Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.88 del 17/09/91 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute (rinvio)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute", comunico che i processi verbali delle adunanze del 23 e 30 aprile e del 7 e 21 maggio 1991 verranno posti in votazione nella prossima seduta.


Argomento: Varie

Interrogazione n. 553 del Consigliere Cucco inerente le dichiarazioni offensive dell'on. Luigi Rossi di Montelera


PRESIDENTE

In merito al punto 2) all'o.d.g.: "Interrogazioni ed interpellanze" esaminiamo l'interrogazione n: 553 presentata dal Consigliere Cucco.
Risponde il Presidente della Giunta, Brizio.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Ho appreso anch'io dal quotidiano "la Stampa" del 17 maggio 1991 che l'On. Luigi Rossi di Montelera avrebbe presentato un'interrogazione parlamentare sul patrocinio concesso dalla Regione Piemonte alla "Fondazione Sandro Penna" e al "Fuori!" per iniziative promosse in occasione del ventennale della nascita del medesimo.
Nei fatti l'Assessore alla Cultura ha espresso parere favorevole per la concessione del patrocinio gratuito (lettera prot. 3134/PAC del 14/05/1991) soprattutto in considerazione di una delle iniziative di cui trattasi: la conferenza all'Università di Torino del prof. George L. Mosse, svoltasi il 16 maggio - presente il prof. Vattimo - in concomitanza con l'apertura ufficiale del Salone del libro.
La presenza a Torino del notissimo studioso del nazismo e del nazionalismo ha riscontrato, peraltro, una vasta eco presso i docenti universitari e studenti del nostro Ateneo, meritando poi ampio spazio sulle pagine de "La Stampa" di domenica 26 maggio ("Società e Cultura" pag. 17).
Quanto al merito della sua interrogazione riterrei opportuno non scendere in polemica, dal momento che non credo che l'Amministrazione regionale sia tenuta a giustificare presso il Governo iniziative, quali quelle in questione.
Qualora, invece, dovessero giungere dal Ministero competente richieste in questo senso, sarà cura della Giunta regionale fornire delucidazioni in merito ai criteri che informano le scelte della Presidenza e della Giunta per quanto attiene la concessione del patrocinio regionale, evidenziando come nel caso specifico si sia operato per patrocinare un'iniziativa che ha portato a Torino uno dei massimi studiosi mondiali dei razzismi che hanno percorso l'Europa nel XX secolo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cucco.



CUCCO Enzo

Ringrazio il Presidente per la risposta puntuale e condivisibile.
Intendo solamente integrare le sue informazioni annunciandole che l'interrogazione del signor Rossi di Montelera è stata presentata nella seduta della Camera dei Deputati del 21 maggio 1991. Se avessi avuto in mie mani il testo dell'interrogazione presentata alla Camera, la mia interrogazione avrebbe assunto toni molto più pesanti, perché la notizia alla quale mi ero riferito era apparsa su "l'Avvenire" del 17 maggio.
Invece l'interrogazione del signor Rossi riporta nell'articolato un testo che recita: "...se risulta al Governo che la Regione abbia fornito finanzia-menti a tale iniziativa:" (quella che lei, Signor Presidente, ha citato) "...se ritengano che questo corrisponda alle finalità e competenze statutarie della Regione stessa, anche tenendo presente la gravità morale di un simile comportamento; esso infatti porta a pubblicizzare e a legittimare, da ogni punto di vista, tendenze e comportamenti che, causati normalmente da anomalie psichiche o fisiche, provocano frequentemente grave scandalo anche mediante la pubblicità e sfrontatezza delle manifestazioni stesse e devono comunque considerarsi patologici sia sul plano della natura che della morale." Un tono del genere credo appartenga sì e no agli anni quaranta considerato tutto quello che e successo in questi anni, compresa la dichiarazione del Presidente dell'organizzazione mondiale della sanità, che quattro anni fa dichiarò che l'omosessualità non è una malattia, come del resto non lo è mai stata. Io non avrei sollevato la questione, Presidente lo dico molto francamente perché del resto l'atteggia-mento del signor Rossi è stato talmente "piccolo" nel suo modo di operare, avendo appunto comunicato questa sua interrogazione soltanto al giornale "Avvenire" che è quello dell'area elettorale che più lo avvicina. Evidentemente questa è un' iniziativa di stampo elettorale, lui deve garantire al suo elettorato elle fa il "cane da guardia" anche contro gli omosessuali nella Regione Piemonte. Ho sollevato la questione affinché agli atti ufficiali di queste istituzioni non passasse il tentativo, nemmeno con una risposta ufficiale sia da parte di chi ha organizzato le manifestazioni, sia da parte di chi ha voluto, con le motivazioni che lei ha apportato, di sponsorizzarle.


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Interpellanza n. 462 dei Consiglieri Buzio e Bosco inerente la soppressione del distaccamento di Polizia di Borgomanero


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 462. Risponde il Presidente della Giunta Brizio.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Regionale Con riferimento all'interpellanza n. 462 dei Consiglieri Buzio e Bosio, da notizie assunte presso i competenti uffici, la soppressione del distaccamento di Polizia Stradale di Borgomanero formulata dal Compartimento regionale della polizia stradale di Torino parrebbe tuttora all'esame della competente Direzione del Ministero dell'Interno.
Tale Direzione ha di recente fatto conoscere che le preoccupazioni rappresentate da più parti (ed anche dalla Regione, perché ci siamo fatti parte diligente), cima l'eventuale chiusura delle parti in oggetto, saranno tenute in particolare considerazione. Voglio assicurare che stiamo seguendo la questione, quantunque non di competenza nostra, e che la Regione sta valutando l'opportunità del mantenimento del distaccamento di Polizia Stradale di Borgomanero.



PRESIDENTE

Consigliere Bosio, desidera replicare?



BOSIO Marco

Mi dichiaro soddisfatto della risposta.


Argomento: Tossicodipendenza

Interrogazioni nn. 333, 429, 480, 556, 624 717 del Consigliere Cucco inerenti gli adempimenti relativi alla normativa sui servizi per le tossicodipendenze, la relativa ripartizione delle finanze statali e la mozione n. 63


PRESIDENTE

Passiamo ora alle interrogazioni sulla tossicodipendenza e sugli adempimenti di cui al punto 3) dell'o.d.g.
La parola al Consigliere Cucco.



CUCCO Enzo

Ho richiamato in aula con questo gruppo c interrogazioni e interpellanze due temi paralleli Uno riguarda l'applicazione della mozione n. 6 che nel gennaio scorso il Consiglio regionale ha approvato all'unanimità e riguarda una serie c iniziative nel settore della prevenzione dell'AIDS fra la popolazione tossicodipendente, in particolare l'iniziativa della distribuzione di siringhe. Il secondo blocco di interrogazioni e interpellanze riguarda l'applicazione della legge n. 162.
Voglio richiamare brevemente i temi che sono al centro delle interpellanze dell'applicazione della legge e della mozioni per ascoltare poi l'Assessore.
Riguardo all'applicazione della legge n. 16 chiedo a che punto sia la questione degli albi, questione di non secondarla Importanza. La legge nazionale prevede, infatti, la costituzione di albi regionali per l associazioni ed i gruppi che si occupano di assistenza e recupero delle persone tossicodipendenti con un formulazione che lascia ampissimo margine di inserimento degli stessi, anche perle associazioni che di tal recupero non si sono mai occupate.
E' nata una questione, a livello nazionale, di interpretazione della legge n. 162. Vorrei sapere quindi, a che punto sia la situazione e la costituzione dell'albo per avviare un'azione di verifica dell'attività delle comunità e dei gruppi, necessaria per una corretta applicazione della legge stessa.
Ho altre richieste da fare. La principale è relativi allo stato di attuazione dei cosiddetti nuovi servizi per le tossicodipendenze. Dico subito all'Assessore che l ritengo una fesseria, nel senso che a livello raziona si è visto che i SERT sono quei servizi che già c'erano, oppure non c'erano, perché in moltissime regioni la legge non è stata assolutamente applicata.
Nelle regioni ove i servizi già operavano, sono stati semplicemente trasformati con un'operazione di maquillage per cercare di rispettare il dettato di un decreto, ampiamente contestabile nella stessa sostanza.
Sono arrivati i finanziamenti per il 1990 e il 1991; c'è una polemica in corso con il Comune di Torino ed i servizi torinesi, sulla quale si è espresso recentemente anche Il Co. Re. Co., dando ragione alle nostre posizioni ed a quelle dell'Assessorato contro l'operato dell'Assessore comunale Bracco. Spero quindi che l'Assessore si esprima anche su questo argomento.
Per quanto riguarda l'applicazione della mozione n. 63, vorrei sapere dall'Assessore quali passi abbia fatto per far conoscere alle Amministrazioni comunali tale mozione e a che punto siano i contratti con le città, visto che sono ampiamente scaduti i termini di comunicazione al Consiglio del progetto individuato nella mozione, e come intenda procedere in questa direzione.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Maccari.



MACCARI Eugenio, Assessore alla sanità

L'interrogazione n. 333 è relativa agli adempimenti regionali previsti dal Testo Unico delle leggi sugli stupefacenti.
Dopo l'approvazione della legge n.162/1990 l'Amministrazione regionale ha curato la sua capillare diffusione a Enti e servizi pubblici e privati ed ha organizzato un seminario di studio per gli operatori pubblici e privati, realizzato con la collaborazione dei magistrati della Commissione tecnico-consultiva regionale per le tossicodipendenze.
Parallelamente ha avviato una serie di rapporti con le Prefetture - per i necessari raccordi in relazione ai nuovi importanti compiti ad esse attribuiti dalla legge - ed ha promosso riunioni con i Laboratori di Sanità Pubblica delle Unità socio-sanitarie locali per concordare il graduale avvio dei dosaggi delle sostanze stupefacenti o psicotrope, alla luce del Decreto del ministero della Sanità 12/7/1990 n. 186.
A partire dal mese di settembre 1990, l'Amministrazione regionale ha provveduto alla registrazione temporanea, al sensi dell'art. 28 della legge n. 162/90 (art. 116 del DPR 309/ 1990), di 74 enti privati senza fine di lucro che gestiscono strutture per la riabilitazione dei soggetti tossicodipendenti, come segue: n.47 Comunità residenziali n.9 Comunità semiresidenziali n.7 Centri di accoglienza n.11 Cooperative per il reinserimento socio-lavorativo.
L'attivazione degli albi definitivi è subordinata ad un confronto sull'applicazione dell'art. 28 della legge 162/1990 tra Ministeri interessati e Regioni ed alla successiva emanazione di un atto di indirizzo a livello centrale, come richiesto dalle Regioni stesse, a partire dal luglio 1990.
Soltanto nel febbraio c.a. è stato costituito presso il Ministero della Sanità un gruppo di lavoro a livello tecnico, con la partecipazione dei rappresentanti di alcune Regioni, tra cui il Piemonte, per l'esame dei problemi inerenti il riconoscimento degli enti ausiliari e l'aggiornamento del Decreto del Ministro della Sanità 3/2/1986 inerente lo schema tipo di convenzione.
Le proposte formulate dal predetto gruppo di lavoro dovrebbero essere presentate a tempi brevi a tutte le Regioni ed ai rappresentanti degli enti privati interessati. Il Ministero della Sanità ha, nello stesso tempo costituito un secondo gruppo di lavoro a livello tecnico, con rappresentanti di altre Regioni, per l'elaborazione di una proposta per il rilevamento epidemiologico da parte delle Regioni e delle Unità socio sanitarie locali dei dati concernenti la dipendenza da sostanze stupefacenti o psicotrope.
E' prevista la presentazione al Consiglio Sanitario Nazionale delle proposte formulate dal predetto gruppo di lavoro entro il mese di settembre 1991.
A livello regionale, a partire dall'ottobre 1990, è stato avviato, con la collaborazione del CSI-Piemonte, lo studio di una cartella computerizzata per i tossicodipendenti, la cui prima parte è stata presentata ai servizi perle tossicodipendenze nel maggio 1991.
Dal giugno 1991 la predetta cartella viene sperimentata in quattro SERT già dotati di apparecchiature informatiche (USSL n. 25 di Rivoli, USSL n. 34 di Orbassano, USSL n. 47 di Biella e USSL n. 51 di Novara). Nel settembre 1991 è stato richiesto al Ministero della Sanità, nell'ambito del programma "Sorveglianza delle tossicodipendenze e informatizzazione dei servizi per le tossicodipendenze", il finanziamento delle apparecchiature informatiche per tutti i SERT che ne sono sprovvisti, al fine di realizzare un sistema per la raccolta tempestiva dei dati relativi all'attività dei predetti servizi.
In considerazione del lungo periodo (2-3 anni) necessario per portare a regime nuove procedure per la raccolta dei dati da parte delle USSL. nel transitorio è stata mantenuta la scheda regionale già in uso all'entrata in vigore della legge n. 162/1990, rimandando l'adozione di un nuovo modello di scheda sanitaria ex art. 120, comma 8, del DPR n. 309/ 1990 all'avvenuta sperimentazione della cartella (di cui la scheda sanitaria rappresenta una parte) ed al raccordo delle informazioni in essa contenute con quelle che verranno richieste dal Ministero della Sanità con il decreto ex art. 2, comma 1-C del DPR n. 309/1990, in fase di elaborazione.
Nel dicembre 1990 è stata inoltrata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la richiesta di finanziamento dei progetti di formazione e aggiornamento sulle tossicodipendenze e AIDS per gli operatori dei servizi pubblici e privati, volontari, referenti sindacali, per un Importo di L.
834.077.400.
A fronte di tale richiesta, nel luglio 1991 è pervenuta comunicazione del finanziamento di L. 648.577.400.
Sono stati riconosciuti validi, e quindi finanziati, tutti i programmi presentati ad eccezione dei corsi di formazione sulle alcol dipendenze.
Alcuni corsi finanziati sono già stati realizzati, altri sono in via di preparazione.
Nel luglio 1991 è stata inoltrata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una seconda richiesta di finanziamento dei progetti di formazione e aggiornamento sulle tossicodipendenze e AIDS per gli operatori dei servizi pubblici e privati, volontari, ecc., per un importo di L. 2.627.
650.600.
Il piano di formazione presentato comprende sia i corsi per operatori di nuova assunzione, sia il proseguimento in sedi decentrate di alcuni corsi già contenuti nel primo programma, sia l'avvio di nuove iniziative.
In merito alle interrogazioni nn. 429 e 624, a seguito dell'approvazione da parte del Consiglio regionale della mozione n. 63 sono state avviate da questo Assessorato le consultazioni sia degli amministratori delle Unità Socio Sanitarie e dei Comuni interessati, sia degli operatori dei Servizi delle tossicodipendenze delle stesse Unità socio-sanitarie locali per valutare possibilità, modalità e tempi perla realizzazione delle iniziative previste dalla mozione stessa.
Al termine delle riunioni è stata richiesta agli amministratori la trasmissione di una relazione congiunta USSL-Comune sulla situazione a livello locale.
Nonostante i numerosi successivi solleciti, alcune risposte, peraltro non sempre concordate tra USSL e Comune, sono pervenute solo nel mese di luglio c.a.
Dalle risposte finora pervenute emerge la seguente situazione per quanto riguarda le iniziative volte ad eliminare lo scambio di siringhe fra 1 popolazione tossicodipendente: Torino città: il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle 10 Unità socio-sanitarie locali subcomunali h comunicato la decisione assunta nella seduta del 8/3/91 "di non aderire alla richiesta di formulare un piano per la installazione di macchinette per 1 distribuzione di siringhe".
Non risulta che il Consiglio comunale di Torino abbia finora discusso l'argomento. Settimo, Biella, Verbania, Alessandria hanno dichiarato la disponibilità a realizzare un progetto concordato USSL-Comune.
Vercelli e Novara si dichiarano d'accordo sull'iniziativa, ma sia le Unità socio-sanitarie locali che i Comuni sollevano problemi di finanziamento.
Asti e Cuneo: aderiscono soltanto le Unità socio-sanitarie locali il Comune di Asti si dichiara disponibile esclusiva mente per iniziative di informazione, il Comune c Cuneo non ha mai comunicato il proprio orienta mento sull'argomento.
Sono successivamente pervenute segnalazioni di adesione dal Comune di Nichelino, dall'USSL 25 di Rivolli, dal Comune di Bra, dalla USSL di Bra che stanno preparando un progetto di realizzare in sede locale.
Le Unità socio-sanitarie locali di Rivoli, Biella e Novara hanno richiesto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il finanziamento dell'iniziativa sul Fondo nazionale c intervento per la lotta alla droga progetti di prevenzione. E' prevista entro la fine del mese di settembre c.a, una riunione con le Unità socio-sanitarie locali ed i Comuni interessati, per concordare le modalità di avvio dei progetti. Come il Consigliere Cucco sa bene, alcuni interventi sono previsti in modo diretto "saltando" la Regione, il che non è positivo in quanto. In u quadro programmatico, non vi è possibilità c collegamento: le cose, purtroppo stanno così. L stesso succede per gli stanziamenti a favore del sistemazioni edilizie delle Comunità, che sono governate attraverso il Comitato dell'edilizia residenziale del Ministero dei lavori pubblici.
Soltanto dopo tale riunione sarà possibile predisporre un piano complessivo di interventi livello regionale.
Il secondo punto della mozione inerente l'attivazione di un Centro di accoglienza del] persone tossicodipendenti, aperto 24 ore al giorno, è stato accolto positivamente dalle Unità socio-sanitarie locali 1-10 Torino 28 Settimo, 47 Biella, 51 Novara, 7 Alessandria, che tuttavia hanno sollevato problemi di adeguamento delle piante organiche di servizi per le tossicodipendenze.
La USSL 58 di Cuneo, oltre ai problemi di organico, segnala difficoltà a individuare locali idonei. Le predette richieste sono state tenute presenti nella proposta di adeguamento degli organici dei SERT ai sensi del D.M. 444/90, in corso di predisposizione.
Le Unità socio-sanitarie locali 45 di Vercelli, 55 di Verbania e 68 di Asti hanno richiesto di poter valutare i risultati della progressiva estensione dell'apertura del servizio per le tossicodipendenze a 12 ore giornaliere, prima di programmare un Centro aperto 24 ore al giorno.
In merito alle interrogazioni nn. 480, 556 e 717 con l'attivazione dei servizi perle tossicodipendenze nelle Unità socio-sanitarie locali 1 e 4 rispettivamente l'1/3/1991 e i 1/4/1991, è stata completata la rete dei predetti servizi sul territorio regionale. Pertanto, con deliberazione n.
144-5411 del 15/4/1991, la Giunta regionale ha provveduto a individuare i servizi per le tossicodipendenze - SERT - istituiti e funzionanti in ogni USSL. ai sensi dell'art. 118 del T.U. In materia di stupefacenti - D.P.R.
9/10/1990 n. 309 - e del Decreto Ministeriale della sanità 30/11/1990 n.
444 (G.U. 30/1/1991 n. 25). Con lo stesso provvedimento la Giunta regiona le ha confermato che ogni servizio territoriale è dipartimentalmente collegato con l'ospedale di riferimento, entrambi i presidi assicurano le prestazioni indicate nel progetto obiettivo "Prevenzione delle tossicodipendenze, riabilitazione e reinserimento dei tossicodipen-denti" della legge regionale 23/4/1990 n. 37.
La revisione e l'adeguamento delle caratteristiche funzionali ed organizzative dei servizi per le tossicodipendenze era stato necessariamente rinviato alla disponibilità dei nuovi operatori, che si sarebbero potuti assumere soltanto dopo l'assegnazione delle risorse finanziarie previste dalla legge 162/1990.
Nel frattempo si è proceduto alla ricognizione degli organici autorizzati nel corso degli anni (1981-91) a ciascuna USSL per l'attività a favore dei tossicodipendenti ed alla verifica che fossero effettivamente assegnati ai SERT.
Dopo la comunicazione della quota del Fondo sanitario nazionale 1991 assegnata a questa Regione (deliberazione C.I.P.E. 30/5/1991 - G.U.
19/7/1991) sono state attivate nel mese di luglio c.a, le consultazioni delle Unità socio-sanitarie locali sulla composizione delle piante organiche esistenti, sulla proposta di riparto dei fondi assegnati per fanno 1991 e sulla individuazione delle aree di maggior rilevanza numerica dei tossicodipendenti che devono assicurare l'apertura dei servizi 24 ore al giorno.
In base alle osservazioni scritte - richieste alle Unità socio sanitarie locali entro il 20 agosto - pervenute nei primi giorni di settembre, è in corso di elaborazione la proposta definitiva di riparto dei fondi 1991, che sarà presentata entro breve termine l'approvazione della Giunta e del Consiglio regionale.
Parimenti è in corso di preparazione la proposta di riparto dei fondi relativi all'anno 1990, assegnati soltanto nell'aprile 1991, di cui si prevede l'utilizzo per iniziative complementari a quelle finanziate con i fondi 1991.
Circa la consistenza dei fondi assegnati per l'anno 1991, si fa presente che nel corso delle consultazioni delle Regioni sia in sede tecnica che in sede politica è stata più volte rappresentata (esigenza di disporre di maggiori fondi per la prevenzione.
Tuttavia si evidenzia che complessivamente questa Regione ha ottenuto un finanziamento superiore a quello delle altre Regioni - a parità di popolazione e di soggetti trattati - fra considerazione dell'elevato numero di servizi per le tossicodipendenze attivati (n. 68).
E vero che la Lombardia ha di più, ma è anche vero che ha il doppio della popolazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cucco.



CUCCO Enzo

Ringrazio l'Assessore per la risposta molto articolata. Mi devo solo dolere del fatto che queste risposte vengono date in Consiglio, mentre sarebbe opportuno averle in Commissione, perché quella è la sede adatta per discutere di questi argomenti. Non ho fatto tuttavia la richiesta di discussione in Commissione perché, considerati i tempi della IV Commissione, rischiavamo di discuterle fra nove mesi, oltre i quattro o cinque di ritardo che si sono già verificati.
Questa questione ha a che fare con l'organizzazione dei lavori e bisognerà in qualche modo affrontarla. Mi accingo molto brevemente a sollevare tre questioni.
Innanzitutto, la questione dell'applicazione dell'Albo. L'art. 116 della legge n. 162 definisce "enti ausiliari" le associazioni egli enti che gestiscono strutture per la riabilitazione e il reinserimento sociale di tossicodipendenti. Con questa formulazione tutti gli oratori del Piemonte possono accedere alla qualifica di "ente ausiliare", tutti, nessuno escluso. Se il Ministero non si affretta a dare dei chiarimenti sull'applicazione dell'art.116, noi avremo - e qui sta la responsabilità dell'Assessorato - una serie di autorizzazioni temporanee che saranno la porta d'ingresso per l'autorizzazione definitiva a tutte queste associazioni. Un esempio, la CORA, associazione a cui appartengo, è un'associazione antiproibizionista che non richiederà mai il riconoscimento come ente ausiliario, perché non ritiene di averne né i titoli né la volontà e perché sa di che cosa si tratta. Esiste un'altra associazione in Piemonte, la LENAD, che fino ad oggi, cioè fino alla legge n. 162, non ha mai ottenuto il riconoscimento come cooperativa o come ente; con l'applicazione della legge n. 162 lo ha ottenuto in via temporanea.
Lo dico, Assessore, in replica alla sua risposta. Se le autorizzazioni temporanee saranno utilizzate come prova, come elemento sufficiente per poter rientrare nell'Albo degli enti ausiliari riconosciuti, anche se sarà più restrittiva la normativa nazionale, come sembra sarà, questa sarà veramente una ennesima "fregatura" in nome di una legge già completamente inapplicabile nei fatti, perché così è stato.
Già a livello nazionale ci sono voci molto ricorrenti su questo piccolo meccanismo che permetterà a chi ha già ottenuto l'autorizzazione temporanea di "saettare" nell'elenco degli enti con riconoscimento, senza rispettare in effetti il contenuto della famosa circolare che dovrebbe arrivare. MI sembra molto grave come prospettiva.
La seconda questione è quella relativa alla mozione n. 63. Faccio rilevare che al di là di ogni pessimismo e al di là delle lentezze veramente defatiganti, Settimo, Biella, Alessandria, Bra, Rivoli Nichelino, Cuneo, Novara, Vercelli e Asti in qualche modo, o attraverso l'USSL o attraverso i ore comunale, hanno aderito alla mozione. Ciò mi sembra un dato positivo che bisogna potenziare e spero che la riunione di settembre sia concreta, fattiva per andare avanti nella programmazione e nella realizzazione concreta di questi programmi.
Voglio fare un inciso: a un certo punto della discussione, nella scorsa primavera, è stata fatta circolare la voce che l'esperimento di Modena era completamente fallito; non solo, ma attraverso un documento distribuitoci dall'ineffabile Assessore Bracco, in una riunione di Commissione al Comune di Torino, si diceva addirittura che i servizi di Modena volevano abolire l'esperimento della distribuzione delle siringhe. Ebbene, non solo a Modena l'esperimento è andato bene, ma la Regione Emilia Romagna lo sta diffondendo in tutto il territorio. Questo per evidenziare che occorre fare attenzione alle informazioni che circolano, perché possono avere degli effetti decisamente negativi sullo sviluppo dell'attività in Piemonte.
Quello che chiedo all'Assessore è che ripeta nella sede della riunione di settembre questa dichiarazione, come del resto aveva già affermato pubblicamente, e la faccia seguire da fatti concreti: laddove il Ministero non interverrà con fondi propri per l'attivazione di questi servizi l'Assessorato si farà parte attiva per ricercarli fra i propri e fra altri fondi regionali che sono a disposizione.
Ultima questione è quella dei SERT e dei servizi. Sono convinto, e in qualche modo contento, che la Regione Piemonte abbia il numero più alto di servizi rispetto alla popolazione fra le Regioni d'Italia: rimane il fatto che comunque i servizi non sono sufficienti, e in particolare rimane il fatto che la lettera del decreto ministeriale sull'attivazione dei SERT non è assolutamente stata applicata: Mi riferisco ai centri di accoglienza 24 ore su 24. Noi, nella mozione n. 63, ne richiedevamo uno per ogni capoluogo di provincia e almeno due per l'area metropolitana torinese, perché ci sembrava il numero minimale; il decreto n. 444 parla addirittura di un servizio 24 ore su 24 per ogni USSL. che mi sembra assolutamente inaccessibile e inapplicabile vista la realtà dei fatti. Quello che per voglio sottolineare, e che (Assessore non ha richiamato. è lo scontro che esiste - che (Assessore camuffa con un linguaggio più istituzionale - con l'Amministrazione comunale di Torino e con l'Assessore Bracco.
Prima del riparto dei fondi del 1991, che verrà fatto fra poco, l'Assessore Bracco in Comune ha deliberato l'istituzione dei servizi istituzionalizzando il coordinamento cittadino fra i servizi per le tossicodipendenze e creando addirittura un primario dei primari che si occupano di tossicodipendenze. Contro questa iniziativa noi siamo intervenuti, è intervenuto anche (Assessore e sono intervenute anche altre associazioni, in particolare il gruppo Abele.
Il CO.RE.CO., ha dato parere contrario all'iniziativa dell'Assessore Bracco. Che io ricordi, è la prima volta che il CO.RE.CO, si esprime contro una deliberazione dell'Assessore Bracco in questa materia.
Se si procede in questo modo e, più nello specifico, se la città di Torino vuole ricostituire il coordinamento fra i servizi delle tossicodipendenze delle Unità socio-sanitarie locali torinesi, sarà un dramma. Questo coordinamento ha già dimostrato nei fatti che non serve per migliorare l'attività; serve per una serie di studi molto importanti, ma che non incidono sulla qualità dei servizi; serve semplicemente per controllare gerarchicamente quello che accade nelle Unità socio-sanitarie locali torinesi. E, siccome Torino è quasi la metà della Regione Piemonte siccome il problema grave della carenza dei servizi è a Torino, occorre che la Regione intervenga decisamente per evitare una cosa che non è nemmeno più prevista nella legge di riforma dell'USSL dopo la nomina degli amministratori straordinari. Ogni USSL deve essere sganciata dai diktat che arrivano dall'Assessore comunale, perché se qualcosa potrà essere fatto a livello della città di Torino sarà soltanto by-passando fattività dell'Amministrazione comunale.


Argomento: Strutture ricettive (albergh., extra-albergh., campeggi e villaggi, classif., vincolo) e strutture e impianti turist.

Interrogazione n. 133 del Consigliere Tapparo inerente il problema degli sfratti alle imprese alberghiere; interpellanza n. 141 dei Consiglieri Chiezzi, Calligaro, Bosio, Monticelli inerente la cessazione attività esercizi alberghieri causa trasformazioni edilizie dei fabbricati sede dell'attività.


PRESIDENTE

Esaminiamo l'interrogazione n. 133 e l'interpellanza n. 141. La parola all'Assessore Cantore.



CANTORE Daniele, Assessore al turismo

L'interrogazione e l'interpellanza riguardano lo stesso argomento, ma poiché la seconda è articolata in modo diverso fornisco due risposte separate. Vorrei far notare, ma penso che i colleghi l'abbiano già notato che le risposte arrivano parecchio in ritardo. Di questo sono dispiaciuto.
Gli sfratti nei confronti dei titolari di alberghi non sono un fenomeno di questi mesi - e ce ne sono stati parecchi - ma risalgono all'applicazione della 27.7.78, n. 392 e successive modificazioni ed integrazioni di "Disciplina della locazione di immobili urbani". Certamente il fenomeno è stato ulteriormente accentuato con la dichiarazione di illegittimità da parte della Corte Costituzionale; dell'art. 5 del D.L.
27.6.67, n. 460 convertito in Legge n. 628 del 28.7.67 in materia di vincolo alberghiero. Non si può però accusare la Regione Piemonte di non aver considerato Il problema in modo tempestivo: infatti già con la legge regionale 5.12.77, n. 56 modificata ed integrata con legge regionale 20.5.80, all'art. 12 fu prevista la preservazione del patrimonio ricettivo disponendo che nei Piani Regolatori siano individuate aree ed immobili specificatamente destinati ad uso turistico, mediante l'adozione di norme che ne individuino la destinazione, i tipi e le modalità di intervento.
Tale dispositivo fu ulteriormente evidenziato ai Comuni mediante circolare n. 11/BUR del Presidente della Giunta regionale, pubblicata sul B.U.R. del 10.6.81, n. 23.
Il principio divincolo urbanistico sulle strutture ricettive fu poi ripreso e sancito dall'art. 8 della Legge Quadro per il Turismo del 17.5.83, n. 217 In sostanza, nella nostra Regione, non son certo gli strumenti che mancano, a supporto della tutela del patrimonio turistico ricettivo, piuttosto le cause di tanti sfratti devono essere ricercate in volute situazioni economico-giuridiche createsi un contesto protezionistico, che non ha avvantaggiato il settore anzi ha favorito, in molti casi. 1 sfruttamento del patrimonio edilizio a discapito di migliorie ed ammodernamenti indispensabili e mantenimento di una qualificata offerta ricettiva.
Queste considerazioni non vogliono di certi sminuire il problema che sussiste con tutte le su implicazioni economiche ed occupazionali, alla cu soluzione non sono necessari nuovi provvedimenti, ma una semplice, corretta e razionale applicazione delle norme vigenti.
Applicazione che, purtroppo, non è stata possa bile e che spesso vede le Amministrazioni comunali in netto contrasto con la normativa regionale e nazionale. Spesso le comunali non mantengono il vincolo alberghiero sui manufatti. E' il caso dell'Hotel Campo di Marte; la preoccupazione era che terminata la locazione con i proprietari dell'Hotel Campo di Marte, ci fosse un'altra determinazione di parte dell'Amministrazione comunale di Torino di cambiamento divincolo alberghiero ad altro. L'Amministrazione comunale non ha ancora fatto questi passo, anzi, ha negato di cambiare vincolo e destinazione dell'albergo. La preoccupazione è però che i manufatto rimanga vuoto per due o tre anni e chi obblighi l'Amministrazione comunale a trovare w altro vincolo, quindi a far cadere quello amaro.
Noi ci siamo mossi per evitare lo sfratto, e per alcuni mesi ci siamo riusciti, all'Hotel Campo di Marte ma ci sono altri alberghi nella stessa situazione Abbiamo interessato anche il Prefetto di Torino, che stato molto attento a questa problematica.
Ritengo che il problema debba essere ripresi in un confronto tra gli enti locali e lo Stato per fa in modo che il vincolo venga rispettato da tutte l Amministrazioni comunali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Ringrazio l'Assessore anche se, come lui h ammesso, la risposta arriva un po' tardi rispetto quando si era determinato il problema: l'Assessore ha anche accennato al caso specifico che aveva innescato questa discussione.
Credo sia utile in quei frangenti conoscere la sensibilità del Consiglio e il peso che questo può esprimere per far sentire la propria voce.
Dalle risposte dell'Assessore emerge che gli strumenti normativi non mancano, ma ci sono insufficienti sensibilità da parte delle comunali.
Questa sottolineatura viene fatta in un momento in cui, sia per quanto riguarda la riforma della legge urbanistica regionale sia per altri motivi si pensa di liberalizzare la normativa di interesse regionale affidando ai Comuni un maggiore spazio di determinazione. Offrendo ai Comuni un maggiore spazio di orientamento non sempre si va incontro all'interesse globale, ma si va incontro all'interesse specifico che è quello di trasformare un albergo in un "residence", un albergo in uffici da parte della proprietà dell'immobile, quindi andando contro alle politiche che la Regione esprime in questa materia.
Un altro segno è quello di non considerare valide le politiche interstiziali, cioè andando pezzo per pezzo anche in vecchie strutture per permettere, con la permanenza della gestione dell'albergo, investimenti di miglioria.
E chiaro che un gestore di albergo non investe se non ha una certezza di lungo termine. Si preferisce quindi guardare al nuovo, quasi come nel Piano Regolatore di Torino dove le cose interstiziali interessano poco.
Interessano di più le cose che l'On. Bodrato in un suo articolo su "La Repubblica" ha detto dei gruppi, dei grandi appalti Interessati a muovere queste cose.
Ritengo che la Regione abbia una materia e un ruolo - e non dubito che l'Assessore lo voglia interpretare - per dare un respiro di programmazio-ne in questo campo non disdegnando il lavoro, anche micro, di sommatoria tra tanti aspetti che possono apparire interstiziali.
Mi auguro che su questa materia ci sia una certa sensibilità che dia il senso del peso, del respiro regionale e della capacità di programmare questi tipi d'intervento. La politica del "lassez faire" in questa materia ha dimostrato che si perdono pezzi significativi del sistema alberghiero piemontese.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cantore.



CANTORE Daniele, Assessore al turismo

Non voglio aggiungere altro a quanto detto dal collega Tapparo ma, in relazione all'interrogazione dei Consiglieri Chiezzi, Calligaro, Bosio Monticelli, desidero specificare che la sentenza della Corte Costituzionale n. 4 del 22.1.91 dichiarò illegittimo l'art. 5 del D.L. 27.6.67, n. 460 che lx divenne legge n. 628, che disponeva la proroga del vincolo alberghiero. Le motivazioni portate a supporto ditale sentenza nascevano dalla constatazione che, a seguito della consistente crescita del patrimonio alberghiero, venivano a decadere l circostanze che nel dopoguerra avevano determinato il provvedimento divincolo a tutte le strutture turistico-alberghiere allora esistenti.
Quindi da parte dello Stato c'è scarsa attenzione nei confronti delle strutture turistico-alberghiere, e questo è in palese contraddizione con 1 volontà di far diventare o far continuare il nostro Paese ad essere un paese a vocazione turistica. In relazione a questa sentenza della Corte alla legge 628 del 1967, la Regione Piemonte tramite la L.R. 56 e alcune circolari emanate da Presidente della Giunta negli anni 1981 e 1983, h invece costretto i Comuni a mantenere questo vincolo alberghiero.
Nello specifico l'art. 8 della vecchia legge quadro per il turismo (n.217), che è oggi in discussione perché probabilmente ce ne sarà una nuova, ammetteva re suo articolato un vincolo urbanistico relativo alle strutture ricettivo-alberghiere.
In relazione a questo, la Legge regionale 11.4.1990 n. 27 "Programma degli interventi per 1 sviluppo dell'offerta turistica", all'art. 9 prevede u vincolo ricettivo-alberghiero di 15 anni perle strutture che hanno beneficiato dei finanziamenti regionali. Probabilmente è necessario rivedere l'articolo della Legge 27 e questo anche per altri motivi; nello specifico, come dicevo al collega Tapparo, per poter intervenire nel micro nelle problematiche che nascono ogni giorno, bisogna prolungare da 15 a 20 30 anni il vincolo alberghiero, prevedendo una norma di maggiore incisività nei confronti dei Comuni.
Infatti, anche se la Legge 27 prevede questo vincolo ricettivo alberghiero; alcuni Comuni non l'hanno rispettato; è opportuno che la Regione Piemonte possa invece prevedere una norma che obblighi i Comuni a rispettarlo.
Questo vincolo, ovviamente, ha delle grosse integrazioni nella legge urbanistica, perché coro dicevo prima rispondendo al collega Tapparo spesso ci troviamo - sono andato a vedere la storia di alti strutture alberghiere - nella situazione in cui l'uso alberghiero viene a cadere.
Succede infatti che quando un'azienda viene dismessa per diversi motivi, perché viene sfrattata, l'Amministrazione comunale di qualsiasi Comune non cambia il vincolo, il manufatto rimane vuoto per alcuni anni ed è quasi conseguente che un'Amministra-zione comunale, magari con una diversa maggioranza, passati alcuni anni, dia al manufatto un altro utilizzo.
Questo è l'escamotage a cui ricorrono alcuni finanzieri o imprenditori per appropriarsi di manufatti con vincolo ricettivo-alberghiero: sfrattano gli inquilini pensando di averne poi negli anni un beneficio e con la speranza di veder cambiare, anche se non subito, il vincolo alberghiero.
Ritengo che sull'impostazione della legislazione regionale si debba intervenire proprio perché questo non avvenga.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Colleghe e colleghi Consiglieri, nell'interpellanza chiedevamo di conoscere il numero degli esercizi alberghieri minacciati di chiusura su richiesta della proprietà dei fabbricati: l'Assessore non ha fornito questi dati, non so se non sia riuscito a reperirli, se ci sia una difficoltà in questo senso. Certo sarebbe utile conoscere la dimensione del fenomeno.
Sappiamo che la disponibilità di posti letto in Piemonte, nell'area torinese é, in certi momenti dell'anno, assolutamente insufficiente: sappiano anche che molti esercizi alberghieri sono soggetti a sfratto. Era perciò importante in questa sede conoscere la dimensione del fenomeno.
Assessore, dobbiamo prendere atto che in questa congiuntura specialmente a Torino, la situazione del mercato immobiliare è tale per cui l'industria alberghiera si trova ad essere, dal punto di vista della remunerazione della proprietà, più debole di altre attività terziarie.
Questo è un dato di fatto preoccupante che produce, come conseguenza azioni da parte delle proprietà immobiliari tese a lucrare il più possibi le dai propri terreni e dai propri immobili, sfrattando fattività alberghiera che, in certe situazioni, diventa meno remunerativa della trasformazione dell'immobile, del suo risanamento e della riconversione in attività per ufficio o commercio.
Come ovviare a questa situazione? La Regione e i Comuni possono impedire tutto questo in nome dell'interesse collettivo? In che modo? Il tema è abbastanza complesso perché occorre regolare e definire i limiti del diritto di proprietà.
Il vincolo su un immobile per destinazione alberghiera limita l'esercizio di un diritto di proprietà, e quindi rientriamo in normative molto difficili e dure del nostro sistema di mercato: Infatti, i proprietari riescono a far approvare i provvedimenti che ritengono per loro più remunerativi: l'Albergo Campo di Marte è un esempio.
Concordo sul fatto che il vincolo sugli alberghi deve essere di lunga durata, perché l'investitore, sia esso proprietario o gestore dell'albergo in accordo con la proprietà, ha bisogno di tempi lunghi per poter programmare un investimento e renderlo economico. Ritengo che accanto a questa iniziativa legislativa, volta a limitare l'esercizio del diritto di proprietà in funzione di interessi collettivi, sia decisiva l'assunzione da parte della Regione Piemonte di una politica forte di riqualificazione degli esercizi alberghieri. A questo dovrebbe aggiungersi analogo impegno politico da parte dei Comuni e soprattutto del Comune di Torino.
Ritengo che solo in presenza di questa scelta politica, chiaramente esplicitata a tutte le forze sociali ed economiche, possa poi derivarne una maggiore forza concreta dei vincoli apposti con le leggi capaci in tal modo di agire, essere positivi e concreti introducendo insieme un elemento di tutela e di valorizzazione della industria alberghiera.
Questo sinora non l'ho visto: non ho visto una decisione netta da parte dell'Amministrazione regionale che prenda in esame il settore alberghiero e ne verifichi necessità, problemi e prospettive future e lanci alle forze sociali ed economiche una propria politica. A quel punto l'azione della Regione Piemonte può veramente diventare una politica di tutela e valorizzazione delle attività alberghiere esistenti, che con le leggi attuali mi sembra siano lasciate in balia della congiuntura di mercato, che mette in crisi molte di esse.
Nel passato la Regione Piemonte aveva tentato di imboccare una strada pericolosa in questo settore, proponendo una legge che, esonerava le attività alberghiere da ogni compatibilità urbanistica con le leggi esistenti. In quest'aula ho contrastato in tutti i modi, insieme ad altri colleghi, la proposta che veniva dalla Giunta e il Commissario di Governo fortunatamente per tutti, soprattutto per i proponenti, non ha approvato quella proposta legislativa.
Era una proposta legislativa ripresa dalla Regione Lombardia che invece (approvò: fortunatamente per noi non venne approvata, perché alla Regione Lombardia la Magistratura ha poi inviato avvisi di garanzia a tutti coloro che avevano pensato di esonerare dagli obblighi previsti dalle leggi urbanistiche gli esercizi alberghieri.
Adesso ho saputo che l'Assessore ha presentato in Giunta un progetto di legge sugli esercizi alberghieri. Non conosco questo progetto, ma non vorrei che fosse la riesumazione di quel pericoloso e inaccettabile progetto di controriforma, dal punto di vista urbanistico, per gli esercizi alberghieri Confido invece sia un progetto serio di riqualificazione e tutela di queste attività nell'ambito della correttezza sugli strumenti di intervento sul territorio. In quella occasione prego l'Assessore di fornire, se possibile; quei dati relativi agli esercizi alberghieri, messi in crisi da provvedimenti di sfratto, che avevo chiesto nell'interpellanza.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Richiesta risposta ad interrogazioni


PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Zacchera; ne ha facoltà.



ZACCHERA Marco

Vorrei sapere perché le interrogazioni presentate dal nostro Gruppo che risultano essere le prime nell'elenco predisposto dalla Giunta, non vengono discusse.



PRESIDENTE

Consigliere Zacchera, quando ho aperto la seduta, lei non era presente.



ZACCHERA Marco

D'accordo, ma prima che venissero discusse queste ultime siamo entrati in aula. Non capisco quindi perché non siano state discusse le nostre.



PRESIDENTE

Ho accolto la richiesta dell'Assessore Cerchio di rispondere ad una interrogazione. Avrei fattola stessa cosa se lei mi avesse chiesto di discutere la sua.



ZACCHERA Marco

Vorrei avere la conferma che la prossima settimana tratteremo le varie interrogazioni sulle nomine nelle Unità socio-sanitarie locali



PRESIDENTE

D'accordo, la prossima settimana cominceremo con le interrogazioni presentate dai Consiglieri Zacchera e Majorino.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione n. 608 presentata dai Consiglieri Chiezzi e Maggiorotti inerente le lettere di licenziamento alla Filatura Laurella di Occhieppo Inferiore


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione n. 608. Risponde l'Assessore Cerchio



CERCHIO Giuseppe, Assessore al lavoro

Rispondo a memoria avendo purtroppo dimenticato in ufficio la risposta scritta.
La Filatura Laurella, oggetto dell'interrogazione, ha registrato una serie di incontri, a partire da un verbale realizzato in sede ministeriale nell'agosto 1990, in cui si indicavano alcuni passaggi. Devo dire che (organico che era di 35 dipendenti ha avuto in questi mesi una riduzione sostanziale e la situazione è drammatica per i lavoratori; 13 di questi hanno trovato collocazione in altre aziende, ne rimangono 22 per i quali è formalmente richiesta la disoccupazione speciale. Siamo in attesa di capire in che misura questi 22 lavoratori residuali potranno. In applicazione della recente legge n. 223, andare in mobilità nella ipotesi di qualche soluzione all'interno di un pacchetto generale di mobilità che, in applicazione della nuova normativa nazionale, si attiverà nelle prossime settimane. Non altro è possibile dire su questa vicenda; aggravata anche dal fatto che si tratta di occupazione femminile, che è la fascia più debole del mercato del lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, colleghe e colleghi Consiglieri, è un peccato che l'Assessore non sia giunto con la risposta scritta che aveva preparato su una questione che interessa, è vero, poche decine di dipendenti, ma che rientra nel gigantesco e drammatico problema che si sta affacciando nella nostra Regione di una crisi occupazionale che investe alcuni settori che un tempo costituivano l'ossatura forte, ricca e dinamica della Regione Piemonte.
In questo caso la vertenza è finita male, nel senso che la Filatura non ha ripreso l'attività e l'Assessore ha detto che ci sono ancora 22 dipendenti che nel gergo molto malevolo della proprietà sono "dipendenti residuali". Chiedo che l'Assessore a queste 22 dipendenti, (sono sempre le fasce più deboli ad essere colpite), dedichi un'attenzione assolutamente prioritaria. Probabilmente in una prossima seduta di Consiglio regionale discuteremo una nuova volta non solo dei problemi occupazionali, ma anche di quelli relativi all'economia della Regione Piemonte. Continuo a pensare che il problema dell'economia e quello dell'occupazione siano due aspetti di un unico problema, nel quale la garanzia dell'occupazione deve avere un ruolo preminente. Non penso che la Regione Piemonte possa acconciarsi semplicemente alle compatibilità cosiddette di impresa e consenta che i lavoratori e le lavoratrici vengano espulsi dal processo produttivo in base a queste semplici dichiarazioni di compatibilità che sono spesso oscure per l'ente pubblico. Oscure per tanti motivi perché i benefici prodotti e la ricchezza della produzione non sono noti allo Stato, all'ente pubblico e questo risulta chiaro anche dalla larga evasione fiscale che esiste nel nostro Paese.
Chiedo quindi all'Assessore, in occasione del prossimo dibattito sull'economia, di dedicare una relazione speciale sui cosiddetti lavoratori residuali che questo sistema espelle dal mercato, lasciandoli in una situazione in cui parlare di vita civile diventa veramente difficile.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Richiesta risposta ad interrogazioni (seguito)


PRESIDENTE

E' esaurito l'esame del punto 2) all'o.d.g. relativo alle interrogazioni ed interpellanze. Ribadisco che la prossima settimana cominceremo dalle interrogazioni inerenti le Unità socio-sanitarie locali che facevano già parte dell'elenco predisposto dalla Giunta per questa seduta, ma che per ragioni di tempo, non è stato possibile trattare oggi.
Ha chiesto la parola il Consigliere Monticelli: ne ha facoltà.



MONTICELLI Antonio

Intervengo per segnalare che anche Il nostro Gruppo aveva presentato alcune interpellanze sugli stessi argomenti, ma non compaiono in elenco.



PRESIDENTE

Farò presente la questione al Presidente della Giunta e all'Assessore competente.


Argomento:

Richiesta risposta ad interrogazioni (seguito)

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 4) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente" comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Sono in congedo i Consiglieri Croso, Dameri, Foco, Marengo, Penasso e Rossa.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Comunico che l'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Comunico che l'elenco delle leggi vistate dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

d) Approvazione per decorrenza dei termini


PRESIDENTE

Comunico che l'elenco delle leggi approvate per decorrenza dei termini sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

e) Mancata apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Comunico che l'elenco dei progetti di legge che non sono stati vistati dal Commissario del Governo sarà riportato sul processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

Richiesta di iscrizione di argomenti all'o.d.g.


PRESIDENTE

Ricordo al Consiglio che i vari Consiglieri hanno ricevuto un telegramma nel quale si comunicava l'iscrizione all'o.d.g. dei seguenti punti: legge rinviata Commissario Governo relativa alla distribuzione carburanti deliberazione n. 275 del Teatro Stabile di Torino deliberazione n. 282 sull'individuazione dei Comuni per itinerari ciclabili.


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione di Luigi Einaudi nel trentennale della morte


PRESIDENTE

Trent'anni fa, il 30 ottobre 1961, moriva a Roma all'età di 87 anni Luigi Einaudi.
Il Consiglio regionale del Piemonte intende oggi ricordarlo per il grande contributo da lui offerto alla vita politica, economica e culturale italiana rappresentato dal severo e importante lavoro di economista docente, scrittore e giornalista e dall'esempio dato di rigore morale saggezza e semplicità di costumi nel suo impegno di statistica.
Libero docente in Scienza delle Finanze a 24 anni, cattedratico a 28 Senatore nel 1919, Rettore dell'Ateneo torinese dopo il 25 luglio 1943.
Costretto all'esilio in Svizzera da un ordine di cattura nazista, al suo rientro nel 1944 fu nominato Governatore della Banca d'Italia.
Eletto nel 1946 all'Assemblea Costituente, Luigi Einaudi fu poi Ministro del Bilancio e Vice Presidente del Consiglio nel Governo De Gasperi.
Infine, Presidente della Repubblica dall'11 maggio 1948 al 25 aprile 1955.
Il Consiglio regionale del Piemonte lo vuole oggi anche ricordare come piemontese, perché profonde furono le radici della sua personalità e del suo pensiero nella nostra terra. Si potrebbe dire di Einaudi ciò che egli stesso scrisse in occasione della morte di un collega da lui stimato ed amato, Francesco Ruffini: "L'autorità sua morale gli veniva, sì, dagli studi, dagli uffici ricoperti e dalla vita intemerata, ma anche dall'essere sempre stato legato alla terra che aveva visto nascere lui ed i suoi. Là dove il contadino è tenace nel conservare la casa, avita e lo scienziato insigne cerca in essa i! conforto degli animi anni ed il riposo ultimo, non v'ha tramonto, ma perpetua rinascita".
Einaudi piemontese. L'aggettivo non suoni come espressione di campanilismo, ma bensì di quelle virtù (l'etica del lavoro, la professionalità, la serietà) che sono proprie dell'italiano migliore.
Nativo di Carri, di quella Langa i cui abitanti dicevano "Andiamo in Piemonte" quando passavano il Tanaro e "Scendiamo in Italia" se partivano per Roma, non fu mai un provinciale nel senso negativo dell'espressione bensì seppe fare tesoro di "certe piccole virtù provinciali" con la frequentazione quotidiana di un mondo di contadini, di artigiani, di funzionari dediti con ostinazione al lavoro, come suo padre, concessionario del servizio di riscossione delle imposte.
Formatosi agli studi ed alla coscienza civile nell'ultimo decennio del XIX secolo, sono celebri i suoi servizi giornalistici in occasione degli scioperi dei tessitori biellesi, ripubblicati poi da Piero Godetti editore sotto il titolo "Le lotte del lavoro". Egli vide lucidamente le cause sociali e le sofferenze che facevano lievitare la protesta operaia e riconobbe nelle lotte una spinta positiva verso nuovi equilibri tra forze imprenditoriali e forze del lavoro.
Lontano da ogni forma di dogmatismo, non fu mai astratto, avulso dalla realtà umana, anzi, legato ai più profondi motivi della sua promozione. Da qui la sua simpatia per il piccolo e per il medio, per l'agricoltore, per l'artigiano, per l'imprenditore in proprio, per il professionista scrupoloso.
Fu lontano dall'astrattezza e dagli schematismi, non solo nelle sue teorie scientifiche, ma anche nella vita privata tanto che, ad esempio, non si limitò a trattare accademicamente le questioni dell'economia agraria, ma fu egli stesso un protagonista del processo produttivo, investendo nella terra i suoi risparmi e facendo sul serio anche l'imprenditore agricolo nel senso più moderno ed illuminato del termine. La terra fu infatti la sua grande passione, il tema che, a differenza di quelli consueti, riusciva a strappare alla sua prosa scabra ed asciutta, accenti di poesia. Una delle ragioni più profonde della vitalità del magistero di Luigi Einaudi - di fronte alla caduta di tutti i miti ideologici - la compresero assai bene due suoi straordinari allievi: Piero Gobetti ed Arturo Carlo Jemolo. Il primo vide "in un intimo scetticismo verso tutte le formule, anche le proprie, il centro fecondo del pensiero einaudiano, che gli permette di superare agevolmente gli schematismi teorici". Il secondo identificò la logica dello studioso piemontese con "la logica che ragiona su termini del mondo reale, ben controllabili ogni giorno alla luce dell'esperienza".
Come scrisse Einaudi stesso, egli combatté sempre contro gli "scatoloni vuoti", le utopie ideologiche che hanno drammaticamente attraversato il XX secolo senza riuscire a tradursi in termini storicamente concreti, se non mediante forme oppressive e disumane di dittatura. E' questa una grande lezione di laicità intesa come demistificazione dei dogmatismi ideologici a cui Einaudi fu sempre fieramente avverso. Egli fu un uomo politico corazzato di cultura, uno di quegli uomini che hanno sempre avuto presente la memoria storica e sono giunti ad un equilibrio con essa in modo da correggere i pericoli che la politica a volte comporta.
Assunto alla più alta carica dello Stato, in mezzo al tumulto ed alle rovine ereditate dal fascismo e dalla guerra perduta, esercitò il suo mandato con prestigio, con autorità, con rigorosa onestà, dimostrando ancora una volta come il suo concetto di "buon governo" fosse per lui, come ha scritto Norberto Bobbio, "non soltanto un concetto astratto, un ideale ma una esperienza personale, una pratica quotidiana" .
E' rimasto famoso il ricordo di una cena al Quirinale durante la quale gli ospiti di Einaudi, allora Presidente della Repubblica, assistettero ad un episodio singolare ed esemplare. Alla frutta, il Capo dello Stato avendo notato nel vassoio pere grandissime, domandò ai suoi commensali se qualcuno volesse dividerne una a metà con lui. Offerta che venne accettata da uno dei commensali, Ennio Fiatano, che racconterà poi l'episodio descrivendolo come un piccolo ma significativo esempio della naturale probità di Einaudi.
E va ricordato anche il suo stile, frutto di equilibrio, di correttezza, di rispetto scrupoloso delle forme, di vera saggezza, non di affettazione. Significativo, ad esempio, il ritratto che ne fece Cesare Merzagora, che fu Ministro durante il settennato presidenziale di Einaudi: "Egli fu riguardoso e tollerante con tutti e, anche quando si trovava di fronte ad azioni o a tesi oscure o infondate per la sua mente di scienziato e per il suo animo di umanista, si limitava a sbarrare gli occhi per la sorpresa e poi accennava quel sorrisetto acuto e fine che sembrava portare soffusa sia l'impronta del suo intelletto superiore, perennemente coltivato dalle letture e dagli studi, sia quella sua buona terra piemontese nella quale affondava il bastone di ogni agricoltore appassionato ed avveduto quel sorriso era l'unico rimprovero che la sua cultura riservava all'ignoranza altrui".
Ma in modo particolare io credo sia doveroso ricordare In questa sede la strenua battaglia che Einaudi combatté per l'affermazione delle autonomie locali. Se pensiamo all'articolo da lui scritto nel luglio 1944 dal titolo provocatorio "Via i prefetti", abbiamo evidentissima la prova di una concezione decentrata ed articolata dello Stato, antitetica a quella di stampo napoleonico ed accentratore, che venne da lui propugnata con estrema coerenza. Se è vero che Einaudi ebbe una sorta di religione laica per il Risorgimento èd una smisurata ammirazione per Cavour, è altrettanto vero che egli sentì con chiarezza i Limiti di uno Stato che mortificava le autonomie locali.
Nell'articolo citato infatti scriveva: "L'unità del Paese non è data dai prefetti.., l'unità del Paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani i quali imparino, a proprie spese, a governarsi da sé.., si dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di fare male tifarsi lapidare... Piemonte, Liguria, Lombardia ecc., dovranno amministrarsi da sé, formarsi i propri governanti elettivi liberi di gestire le faccende proprie, liberi di scegliere i propri funzionari e dipendenti, nel modo e con le garanzie che essi medesimi legislatori sovrani nel loro campo, vorranno stabilire." Se una ricorrenza non deve essere solo un rito, ed il Consiglio regionale del Piemonte non vuole che il trentennale della scomparsa di Luigi Einaudi lo sia, ogni ossequio commemorativo sarebbe del tutto sterile se ai ricordo dovuto non si accompagnasse anche una conoscenza del suo pensiero attraverso la lettura diretta delle sue opere.
Rileggere i suoi scritti, così vari nella tematica e quindi adatti a chi abbia i più svariati interessi (la bibliografia einaudiana, pubblicata dalla Fondazione Einaudi nel 1971, comprende ben 3819 titoli) non sarebbe solo un atto di omaggio o di curiosità, ma credo di non indulgere alla retorica affermando che sarebbe un modo per arricchire noi stessi, dato il loro valore e la loro attualità sorprendente.
Einaudi esordì come scrittore nel 1893, depose la penna per sempre nel 1961. In questo periodo l'Italia aveva subito una impressionante trasformazione nell'economia, nella politica, nella cultura, nella psicologia collettiva. L'Italia del blocco industriale-agrario, del suffragio elettorale ristretto, dei pochi grandi intellettuali e dei milioni di analfabeti era diventata l'Italia dei partiti di massa, delle industrie a partecipazione statale, dei saggi in edizione economica ed esplodeva In quegli anni Il ruolo della televisione.
Accompagnando con il proprio commento questo, grande processo di trasformazione, con migliaia di articoli giornalistici contribuì, con la chiarezza cristallina del ragionamento e con il suo sapiente uso dell'ironia, alla formazione di un'opinione pubblica moderna in Italia.
Per queste ragioni noi lo ricordiamo e gli rendiamo omaggio.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Macchini; ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, Luigi Einaudi nasce piemontese e vive la tensione e la responsabilità della libertà come visione del mondo. Qui in Piemonte sono le sue radici e qui il suo arricchirsi umano, culturale, etico e politico.
Le colline di Dogliani sono la illustrazione ed insieme la chiave di lettura della teoria economica di Einaudi; la terra modellata nei secoli di lavoro diviene strumento di produzione, diritto di proprietà, titolo di sicurezza familiare e sociale; le Vigne di S. Giacomo rappresentano fisicamente la concezione einaudiana dello sviluppo economico, una concezione lineare, attenta e consapevole alle tendenze di lungo periodo ispirata da un liberalismo fondato più sull'etica del lavoro che sul successo.
Il Piemonte, il sapore della sua terra ma certo anche la sua tradizione autentica ed alta, la sua storia, l'esempio di Cavour, il quale non si curo di tassare pesantemente per realizzare le infrastrutture di avanguardia che consentirono il grande sviluppo della nostra Regione nell'800, forgiano il carattere autenticamente piemontese di Einaudi ché certo non ne identificano la dottrina che si rifà agli scozzesi, ma che certo neppure si possono ricondurre a meri elementi psicologici, direi di frequen-tazione e di aria di famiglia che legava Einaudi alla gente contadina di Dogliani e di Carrù, da lui tanto ammirata per la saggezza e la previdenza nella conduzione delle proprie terre e dei propri affari.
Vi era in Einaudi, infatti, l'affermazione del primato del Piemonte e della qualità alta della sua storia che lo faceva essere estimatore di Cavour, modernizzatore e liberalizzatore ed interprete degli insegnamenti dei grandi classici delle scienze che permeavano la classe dirigente piemontese sino alla fine del secolo, nobili e borghesi in quel "Piemonte antico", quello che Einaudi chiama Piemonte autentico, provincia di Torino e provincia Gronda, per distinguerlo dal Piemonte più esteso risultato dalle conquiste del 700.
Un liberalismo diffuso che aveva al centro l'indicazione "guverné bin" il che non vuol dire con Einaudi "nel genuino piemontese della nostra provincia di Cuneo, dare una impronta nazionale al governo dello stato, nel senso di Bismark e di Cavour, ma amministrare con tatto, con sapienza, con competenza, forse, scrive ancora Einaudi, queste due parole sono la filosofia di ciò che vuole essere ed è in gran parte il liberalismo piemontese, una gran cosa".
Una cultura di governo, quella di Cavour e quindi del Piemonte, fondata sulla profonda conoscenza della scienza economica che arrivò a chia-mare la scienza dell'amor di patria, che è una rivendicazione puntuale di Einaudi che rifiuta la lettura agiografica dell'epopea piemontese dell'800 come una favola, secondo la quale "i piemontesi in genere siano stati capaci di fare le grandi cose del '59 e del '60 perché erano furbi, cortesi, pazienti e tolleranti, odiatori della retorica ed aventi il senso della realtà". Per Einaudi quindi la grandezza del Piemonte risorgimentale consistette in una unione di idealità e di scienza, non fu dovuta ad un piatto empirismo ma al fatto che l'intera classe dirigente dell'epoca pensava ed agiva in base a principi, guardando alto e pensando in grande.
Il primato del Piemonte, dicevo, che aveva quindi fatto l'Italia non per fortuna ma per virtù; nella convinzione einaudiana lo guida a riconoscere nel contrasto fra le concezioni di Cavour e di Giolitti, al quale Einaudi non perdonò l'irrisione agli italiani "gli italiani camminano gobbi" e mentre nega che lo stesso abbia avuto alcun merito nelle difese del Piave e sul Grappa, afferma come era stato "merito di Emanuele Filiberto l'aver costretto i piemontesi del tempo suo, poltroni famigerati tutti nobili e plebei, a divenire il popolo guerriero per antonomasia tra gli italiani", il crinale tra il tempo della grandezza e il tempo della decadenza del pensiero liberale.
Decadenza del pensiero liberale che Einaudi soffre già negli anni'20 nel suo snodarsi in provincialismo e pressapochismo che porta alla ripugnanza "verso i teorici ed i principi, radicalissima - ci dice Einaudi in Piemonte, non solo nella classe politica ma in tutte le classi in cui si reclutano i liberali - così che - L'intellettualismo militante sembra essersi rifugiato a Torino nell'Ordine Nuovo, senza dubbio il più dotto quotidiano dei partiti rossi ed in qualche semiclandestino organo giovanile come il settimanale Rivoluzione Liberale sulle cui colonne i pochi innamorati dei liberalismo fanno le loro prime armi e, per disperazione dell'ambiente sordo in cui vivono, sono ridotti a fare l'amore con i comunisti de L'Ordine Nuovo." Qui le radici dell'essere politico di Einaudi, ma qui certo anche le radici dei suoi valori ed in primo luogo (etica del sacrificio e del risparmio, come la chiama Gobetti, che sta al fondamento della libertà d'impresa e quindi della libertà tout court.
Senza la vocazione al sacrificio personale, senza la capacità di rinunziare oggi per accumula re in vista del maggior benessere futuro nessun astratto schema di economia anche liberale, potrebbe mai funzionare.
E un'etica che non si risolve nell'utilitarismo e nell'individualismo perché, celebre su questo la pagina di Einaudi, la gran parte degli individui che accumulano non lo fanno solo in vista di un maggior reddito futuro, ma per migliorare la stima di cui godono e per accrescere, più che il proprio benessere; quello della propria discendenza.
E di dove scende quest'etica se non dall'immagine cara ad Einaudi dell'agricoltore pater familias che nel suo lavoro trascende continuamente l'orizzonte temporale della propria vita, per preoccuparsi delle future generazioni non meno che di stesso, nel lento accumularsi del lavoro di generazioni che si succedono, scolpito nelle colline di Dogliani Nella nostra terra ancora le radici dell'uomo Einaudi in quel suo essere modestia, e, come dice Malagodi, ad un tempo utopia ed un sentimento per la natura che qualche volta è nostalgia, come quando nello scrittoio del Presidente descrive il bosco di Sant'Antonio a Pestocostanzo, ricco di alberi anche bimillenari sentiti come monumento della civiltà naturale ed umana, vi è il valore affettivo di ogni albero ed il ricordo di una quercia abbattuta dall'uragano nel suo bosco di Dogliani ed il rammarico di averla dovuta vendere.
Nella nostra terra ancora la religiosità di Einaudi, rileggiamo le sue stesse parole "quando nelle pagine di solenni inchieste si leggono lunghi elenchi delle cause dell'immiserire delle classi rurali proprietarie e coloniche, mancanza di credito, di mezzi, crisi di prezzi, viene fatto salvo che per le malattie e le morti di coloro che erano il sostegno e la speranza della, famiglia; di sorridere a tanta sapienza astratta e si chiede perché gli indagatori non hanno preso in mano i libri delle verità eterne, la bibbia ed il vangelo? Ivi avrebbero imparato che una sola è la causa della prosperità delle campagne, il timor di Dio. La, famiglia timorosa di Dio e cioè unita, intorno al suo capo ubbidiente lavoratrice prospera e sale; sciamano, conquistano la terra le api laboriose, il sol d'estate ed i geli invernali uccidono i fuochi oziosi".
L'uomo, lo studioso, il presidente, il piemontese nelle sue parole e nei suoi scritti, ma una vita lunga, impegnata e ricca anche di episodi molto noti, altri meno; due meglio di altri ci fanno ancora maggiormente amare il presidente piemontese: il primo quello famoso della mezza pera già ricordato dal Presidente Brizio - ed g secondo quello relativo all'incontro con papà Cervi.
Cominciamo dal primo, tratto dal diario di Ennio Flaiano, alla pagina che racconta una cena al Quirinale con il Presidente, sua moglie ed alcuni amici del "Mondo". "La, conversazione era amichevole, fatta di aneddoti e di ricordi, il Presidente sembrava un uomo felice di rivedere i nipoti lontani. Arrivati alla frutta il maggiordomo in Polpe, urta specie di Hitchcock di più vaste proporzioni già profondamente deluso e sdegnato per il modo con cui si svolgeva la serata, recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi napoletani dipingevano due secoli fa, c'era di tutto, eccetto il melone spaccato e, tra questi frutti, delle pere molto grandi; Luigi Einaudi guardò un po' sorpreso tanta botanica poi sospirò 'io disse - prenderei una pera ma sono troppo gronda c'è nessuno che vuole dividerla con me? Tutti avemmo un attimo di sgomento e guardammo istintivamente il maggiordomo, che era diventato rosso fiamma e forse stava per avere un colpo apoplettico."Alla fine è Flaiano ad accettare la mezza pera "il Presidente tagliò la pera, il maggiordomo ne mise una metà sul piatto e me la posò davanti come se contenesse la metà della testa di Giovanni il Battista".
Nel '54 il Presidente volle incontrare al Quirinale papà Cervi ed il colloquio fu cordiale ed imperniato sulle comuni esperienze di vita contadina, ma al di là della conversazione il Presidente uscì commosso dall'incontro e, per rispetto dell'ospite e per pudore proprio trascrive le proprie sensazioni ad un apologo che s'incentra su una domanda che rivela tutto 11 suo orgoglio piemontese "forse che i sette fratelli si sarebbero sacrificati se non fossero stati un po' pazzi costruttori della loro terra e se il padre non fosse stato un savio creatore della legge buona per la sua famiglia? Si sarebbero fatti uccidere per il loro Paese se fossero stati di quelli che noi piemontesi diciamo della 'lingera'? e girano di terra in terra senza fermarsi in nessun luogo? Credo di no".
Così oggi ricordiamo Luigi Einaudi, in altra sede altri ricorderanno lo scrittore limpido, (anticipatore dell'Europa, l'economista su cui è fondata la rinascita del nostro Paese. Qui abbiamo voluto ricordare e conoscere l'Einaudi nostro, l'Einaudi piemontese e siamo onorati di averlo fatto qui in questo parlamento subalpino, il temine che è stato di Aldo Viglione e che certo Einaudi avrebbe apprezzato, propria lui che nel '22 ammoniva che "l'unica garanzia di salvezza contro l'errore, contro il disastro non è la dittatura, è la discussione, noi non siamo degli adoratori del regime parlamentare e dei tipi di Governo che escono dai parlamenti, ma diciamo che essi sono il minore dei mali possibili perché consentono la discussione. La verità non è mai sicura di se stessa, se non in quanto permette al principio opposto di contrastarla e di cercare di dimostrarne il vizio".
Un parlamento, il nostro, un parlamento subalpino, espressione del libero esplicarsi dell'autonomia così cara ad Einaudi contro il centralismo burocratico e napoleonico. Scrive nel '44 "il delenda Cartago della democrazia liberale è via il Prefetto, via tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata, nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo, il Prefetto napoleonico se ne deve andare con le radici, il tronco, i rami, le fronde".
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, abbiamo voluto ricordare così Luigi Einaudi perché in lui ritroviamo i caratteri evidenti ed impalpabili ad un tempo della nostra gente non riconducibili, coane Einaudi stesso ci insegna, ad una sorta di composizione di realismo, pazienza e cortesia; vi è dell'altro e vi è di più, vi è un'attitudine così nella gente semplice come negli uomini di cultura che solo i grandi scrittori piemontesi, e fra questi Luigi Einaudi, sanno, per dirla con Valerio Zanone, esprimere senza descrivere. Quell'attitudine che colpì Erasmo da Rotterdam quando soggiorn a Torino per laurearsi nella nostra Università e che colse con due parole che conservano oggi tutto e pieno il loro significato: la "gentis humanitas" della terra piemontese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picchioni.



PICCHIONI Rolando

Signor Presidente, Einaudi si identificò certamente con un mondo di pubbliche e private virtù, animato anche da pudiche e profonde passioni che trovarono modello soprattutto nell'Inghilterra vittoriana. Il suo era il mondo della libera impresa, che una guida autenticamente liberale doveva portare al rispetto degli interessi generali contro le pressioni proprietarie, contro qualsiasi demagogia, contro il monopolio industriale e finanziario, contro gli eccessi sindacali dell'epoca.
Ciò voleva significare, in una parola, assoluta renitenza agli ideologismi totalizzanti e dogmatici e la preferenza netta, invece, per l'analisi empirica concreta dei problemi posti via via dalla società industriale di allora. Ciò comportava una netta opposizione alla spinta autoritaria degli anni 1898-1900, periodo crispino e un netto appoggio al riformismo liberale e socialista del successivo quindicennio.
Non diversamente da altri grandi intellettuali, come Croce, fini col ritrovarsi all'opposizione del giolittismo, e lo allontanò dallo statista piemontese il suo schietto liberalismo economico. La gestione giolittiana dello Stato appariva fin troppo legata, tra (altro (com'è già stato ricordato), alla rete prefettizia, all'impianto burocratico culturale con una forte limitazione delle autonomie locali, al protezionismo industriale ed agrario, all'incoraggiamento dato alle baronie pubbliche, inaffidabili almeno come quelle economiche, politiche e sindacali. Trasformismo affarismo, burocratismo, così l'egemonia giolittiana si connotava come una grande operazione di potere priva di sollecitazioni etiche e politiche, e raccoglieva attorno a queste valutazioni, per tanti aspetti parziali, gli spiriti migliori dell'Italia di allora, da Croce a Salvemini a Sonnino.
La sua polemica contro lo Stato interventista, lo Stato imprenditore e com'egli chiamava, doganiere partiva dal concetto che la scienza assicura sì la razionalità delle scelte, ma non può essere esente dai giudizi di valore che si misurano invece nella concretezza della vita pratica, della vita sodale.
Liberismo non significò per lui agnosticismo, indifferentismo etico e politico dell'economia e della finanza: il suo buon governo, in fondo; era semplicemente questo. E così tale visione liberista non avrebbe potuto non comportare una struttura politicamente liberale.
Durante il fascismo, dopo un primo momento di compressione, egli fu costretto a presentare le dimissioni dall'Università di Torino e dal Corriere della Sera. E rimasto significativo, come un classico quasi tacitiano del dire di allora, quand'egli, riprendendo la collaborazione del Corriere della Sera, intitolò il suo articolo di fondo "Dicevamo ieri".
Nel dopoguerra egli arrestò con la riforma monetaria del 1947, la precipitosa caduta della lira e pose le premesse indispensabili della stabilità e dello sviluppo degli anni'50. La sua politica economica fu di pieno ed autentico liberismo che sostenne con un'attività pubblica indefessa e con un'attività accademica altrettanto importante.
Monopolio e collettivismo, fiscalismo e protezionismo furono gli oggetti di elezione della sua polemica.
Alcune posizioni furono rivelatrici del suo pensiero: la sua sfiducia nei riguardi di luna riforma agraria che regalasse ai contadini la terra senza che questi la conquistassero con lo sforzo del risparmio: la soluzione del Mezzogiorno forzata con interventi straordinari nel riguardo di una politica contro la disoccupazione, ma fondata sulla logica di mercato.
Einaudi ebbe ragione nel ritenere che l'Italia si riprendesse presto dalle rovine del fascismo, che l'Europa avesse ricchezze tali da emulare gli Stati Uniti, a patto di promuovere lo spirito creativo e l'impegno morale necessario. Fu soprattutto in questa stagione che Einaudi condusse il liberismo col liberalismo, l'economia è politica, la politica è etica in un nesso imprescindibile di pensiero e di azione.
E' stato ricordato, e qui lo ricordiamo anche noi, come piemontese probo, riservato, frugale. E io che sono doglianese per parte di madre, ho qualche piccolo ricordo personale da aggiungere a quanto è stato detto, un taglio molto semplice, ma certamente significativo dello statista piemontese.
Ero piccolissimo, quando Einaudi venne accolto nella sua Dogliani come Presidente della Repubblica. Gli apprestarono un palco degno del suo mandato e della sua carica; questo palco collimava con il parapetto del terrazzo Albergo Reale. Egli non si sedette sulla poltrona presidenziale prese il suo fazzoletto bianco, lo stese su questo muro e si sedette li come facevano i contadini di Dogliani, come forse fanno i contadini di oggi.
In quell'occasione, che era immediatamente successiva ad un'alluvione del torrente Rea che traversa Dogliani, gli amministratori di allora col sindaco in testa gli fecero presente (opportunità che lo Stato partecipasse con alcune provvidenze straordinarie per rifare gli argini per ovviare i danni alluvionali di quell'emergenza. Ed egli, con quella concezione tolstojana della storia per cui i fiumi non possono andare in salita, cioè soluzioni artificiali non possono mai ferma-re i processi naturali, disse semplicemente ai contadini e agli astanti: "Voi avete nel passato derubato il torrente Rea delle sue terre, adesso il torrente si è vendicato con voi riprendendosi le terre che gli appartenevano", e li lasciò così di stucco con la sua nuova e crudele sentenza, col suo senso della storia equilibrato, con quella sua capacità di essere contadino tra i contadini capaci di prendere dai contadini le lezioni umili della terra, ma forse anche le lezioni più sagaci.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale, Brizio.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Mi riconosco perfettamente negli interventi che si sono svolti.


Argomento: Questioni internazionali

Esame ordini del giorno sulla questione jugoslava


PRESIDENTE

Passiamo all'esame degli ordini del giorno inerenti la questione jugoslava di cui al punto 6) all'o.d.g. I documenti presentati sono i seguenti: mozione dei Consiglieri Rabellino, Farassino, Vaglio, Cucco e Majorino mozione del Consigliere Sartoris ordine del giorno n. 212 del Consigliere Chiezzi ordine del giorno n. 215 dei Consiglieri Miglio, Segre e Staglian ordine del giorno n. 216 dei Consiglieri Leo, Peano, Cavallera e Picchioni: ordine del giorno n. 217 dei Consiglieri Monticelli, Coppo e Rivalta.
Mi giunge adesso anche un documento presentato dai Consiglieri Majorino e Zacchera.
Chiede di intervenire il Consigliere Zanoletti; ne ha facoltà.



ZANOLETTI Tomaso

La situazione in Jugoslavia è estremamente grave e merita ogni attenzione da parte dello Stato italiano. Però, in riferimento a questo dibattito, ricordo quanto avevo dichiarato durante la discussione sull'Acna, e cioè che personalmente non avrei più partecipato a questo tipo di discussioni fin quando il problema dell'Acna rimane irrisolto.
In coerenza con quella dichiarazione, mi assento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Peano.



PEANO Piergiorgio

La ringrazio Signor Presidente, per quanto ha anticipato sulla situazione In Jugoslavia veramente drammatica, l giornali riportano che l'Europa in queste ore sta cercando di entrare con proposte di soluzione interessanti e speriamo che sia veramente così.
Si sperava tutti che la crisi jugoslava avesse un senso di provvisorietà, invece è piombata pesantemente nell'elenco delle guerre civili e fratricide che scrollano il mondo. Per noi non è più solo una guerra a distanza, ma rischia di provocarci direttamente e comunque ci fa protagonisti nel dover prepararci con immediatezza a dare risposte urgenti di solidarietà e di rifugio a migliaia di profughi anziani, donne e bambini che stanno arrivando.
Così si sono espressi il Capo del Governo e i nostri Ministri assumendo tutta la responsabilità per quanto dovremo fare, di attesa e di attenzione ai nostri confini. E' il momento anche questo di dimostrare le nostre capacità di fratellanza e per cancellare alcune scelte non da tutti condivise qualche mese fa.
Siamo la Nazione confinante che più di ogni altra deve saper dimostrare tutta la solidarietà verso città e genti che per identità culturali e sociali hanno condotto con noi una parte di storia nei decenni trascorsi.
Pareva che la guerra così vicina e così vera non dovesse più accadere e invece si assiste ad atrocità contro il popolo croato.
Si spara sulle autoambulanze che portano soccorso ai feriti, si torturano e massacrano i prigionieri; carri armati e artiglieria distruggono case, luoghi di culto, monumenti storici, si usano i civili come scudo di battaglia, l'esercito ha preso a cannonate una caserma di polizia che aveva esposto la bandiera bianca, si sequestrano ostaggi civili, si rapisce gente di cui si perdono le tracce, si uccidono donne vecchi e bambini. Un quadro impressionante a pochi chilometri di distanza.
Si è convocata la Conferenza di Pace dell'AIA che rischia di consentire a Belgrado e ai terroristi interni di impadronirsi dell'intera Croazia.
La comunità internazionale così sollecita ad intervenire in Kuwait così pronta, primi giorni, a fermare gli scontri durati 4 o 5 giorni in Slovenia, per la Croazia non sta più facendo nulla.
Appare ormai chiaro che la Croazia e il suo popolo sono vittime di una calcolata oppressione esterna e non già di un conflitto interetnico interno. Lo scenario delle azioni è tutta particolare.
I terroristi serbi attaccano all'interno della Croazia un centro abitato, dal quale sono stati evacuati i cittadini di nazionalità serba che la propaganda fa passare per rifugiati in fuga. La guardia nazionale e la polizia croata rispondono all'attacco. Se per i terroristi le cose si mettono bene l'esercito non interviene. Se i Croati respingono gli attacchi o se contrattaccano l'esercito interviene e spara sui Croati con ogni arma con la giustificazione di fronte al mondo di dover dividerei contendenti.
Ogni commento è superfluo. Pare anche all'opinione pubblica che si faccia di tutto da parte di alcuni mass-media e anche di certi ambienti politici per nascondere la vera realtà delle cose.
Il Capo del Governo della Slovenia Alijs Peterle ha chiesto ad Arona alla festa dell'amicizia un riconoscimento politico per il suo Governo e per il Governo di Zagabria.
Chiediamo all'Europa di essere fedele ai propri principi - ha spiegato e in particolare ha precisato che la Croazia non può ottenere aiuto da nessuno se prima non sarà riconosciuta.
Se osserviamo l'andamento della guerra dobbiamo considerare gli sforzi di pace falliti. Noi chiediamo all'Europa di essere fedele ai propri principi. Ringrazia per la solidarietà e per l'aiuto, ma spera che le parole di tutti, della CEE, dei Ministri italiani ed europei abbiano un riscontro nella vita reale e politica.
Ecco l'importante: che la CEE faccia tutti gli sforzi e che ci sia il riscontro dalle parole ai fatti. Riconoscere la Croazia in questo è estremamente importante per salvare vite umane e deve essere fatto in queste ore perché è estremamente urgente. Non ci sarà credibilità alla Conferenza dell'Aia se l'Europa non riconoscerà la Croazia. E' il punto nodale che ci troviamo di fronte e non vorrei che diventasse un nuovo Libano ai nostri confini e anche noi ne saremmo responsabili.
Si alzano molte voci in questi momenti, le voci delle nostre autorità politiche, delle massime cariche dello Stato. Il Papa stesso continua a mantenere viva la voce del mondo cattolico e richiama i cristiani dell'Europa e di tutto Il mondo. Credo che l'Europa debba seriamente porsi di fronte a questo problema che appare di massima gravità per proporre delle azioni Importanti di interme-diazione e credo debba intervenire anche l'ONU. Nei confronti di un popolo come quello croato che sta soffrendo e pagando con vittime umane, deve essere dichiarata la massima solidarietà e ci deve essere un intervento di tutto il mondo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rabellino.



RABELLINO Renzo

Mi allaccio alle parole del Consigliere Peano. Indubbiamente la situazione la conosciamo tutti vendo letto i giornali negli ultimi giorni.
Come Gruppo della Lega Nord non possiamo che deplorare l'atteggiamento del Governo italiano e della classe politica italiana totalmente assente in questi ultimi mesi da un dibattito concreto. Ciò lo abbiamo assistito per quanto riguarda la questione jugoslava anche in Consiglio regionale dove si sono cercate tante scuse per rinviare il dibattito, per portarlo come si era detto a una riunione dei Capigruppo. Si disse: "attendiamo per vedere che cosa accade prima di discutere; è prematuro discutere dei problemi jugoslavi", quando noi avevamo presentato il 2 luglio un ordine del giorno per affrontare questa discussione. All'epoca si era detto che era prematuro e bisognava aspettare gli eventi. Ebbene, gli eventi adesso ci sono e possiamo vedere tutti cosa è successo.
Era facile prevedere che la situazione jugoslava, senza interventi dall'esterno, non poteva che degenerare in guerra civile. Infatti, giorno dopo giorno, si è andati verso una guerra civile e ancora oggi i nostri rappresentanti tacciono o si esprimono con parole di condanna e di deplorazione. Anche dal Consigliere Peano abbiamo sentito parole di condanna nei confronti dei guerriglieri serbi, se così si possono definire.
Qui si parla di un'armata ufficiale di uno Stato riconosciuto ufficialmente dallo Stato italiano, che attacca un popolo che ha scelto una volontà di autodeterminazione.
Il fatto che si continui esclusivamente a deplorare una situazione che ci è sfuggita dalle mani forse non ci fa vedere le vere cause che hanno portato a questa situazione; dall'estero, e dall'Italia in particolare, non sono mai arrivati segnali tangibili di difesa del popolo croato, e in passato di quello sloveno; si è sempre lasciato fare al governo jugoslavo e governo, serbo quello che hanno voluto. Si sono sempre sentite parole di condanna.
Parole, parole, parole ma di fatti non ne abbiamo visti, contrariamente ad altri Stati europei. Cito l'Austria, per fare un esempio, visto che è nelle nostre stesse condizioni in quanto Stato confinante, che sicuramente ha preso delle posizioni più serie e più concrete. Se anche gli altri Stati europei, Italia per prima, avessero affrontato il problema e avessero riconosciuto immediatamente l'esistenza degli stati sloveno e croato sicuramente non saremmo arrivati a questa situazione. Si sarebbe dimostrato allo Stato jugoslavo che i suoi popoli erano riconosciuti e sarebbero stati tutelati.
Oggi dobbiamo attrezzarci per accogliere i profughi che arriveranno qui a causa della guerra civile; in particolare donne e bambini. Il paragonare questi profughi, che saranno comunque temporanei sul territorio nazionale con i profughi albanesi mi pare abbastanza scorretto. Noi stiamo affrontando il discor-so dei profughi jugoslavi che, alla fine di questa guerra civile, rientreranno nelle loro terre. Il discorso albanese era diverso: perché si trattava di persone che intendevano stabilirsi in Italia.
Abbiamo sostituito il nostro ordine del giorno del 2 luglio, perché era sicuramente sorpassato dai fatti. Nel documento sostitutivo, oltre a deplorare l'atteggiamento del Governo italiano, chiedevamo che il Consiglio regionale invitasse il Governo italiano innanzitutto a riconoscere Immediatamente la Croazia e la Slovenia e ad attivarsi per tutelare e per difendere, con iniziative concrete e non soltanto a parole, il popolo croato, soprattutto le minoranze venete, friulane e giuliane presenti sul territorio istriano e dalmata.
Il riconoscimento di Stato sovrano sarebbe sicuramente un importante passo avanti, anziché demandare sempre tutte le decisioni all'Europa per il nostro comodo. Partiamo dal Consiglio regionale del Piemonte, che sicuramente è autorevole e invitiamo il nostro Governo a prendere delle decisioni, non aspettando sempre che qualcun altro le prenda per noi.
Invitiamo lo Stato, che è sempre assente su questi discorsi, come è stato assente sulla crisi sovietica. Abbiamo visto le sceneggiate dei nostri politici, che quasi sono contenti del golpe sovietico; in fondo qualcuno è contento della retromarcia e della situazione disgregante sovietica.
Al fine di poter vedere al di là della crisi jugoslava, avevano proposto di avviare immediatamente degli uffici di rappresentanza. Di questo avevamo parlato In una riunione dei Capigruppo, lo ribadiamo nel nostro ordine del giorno e invitiamo la Giunta regionale, o se vogliamo il Consiglio stesso, ad avviare le procedure per attivare degli uffici di rappresentanza di Slovenia e Croazia in Piemonte.
Inoltre, il nostro Consiglio è equiparato a quello di Slovenia e Croazia in quanto i loro Parlamenti non sono ancora riconosciuti. Per cui invito la Regione Piemonte a dare al popolo croato e sloveno, e soprattutto ai nostri governanti e all'Europa, il segnale che comunque all'interno dello Stato italiano c'è qualcuno disposto a fare qualcosa e non solo a parlare. Sarebbe una svolta veramente Importante ed un'occasione, visto che il nostro Ente nell'ultimo anno ne ha perse tante, per ribadire anche a livello europeo l'autorevolezza della Regione Piemonte. Non dimentichiamo infatti che stiamo andando verso l'Europa, della quale il Piemonte sicuramente sarà una componente importante: per essere importanti bisogna però avere anche l'autorevolezza e la dignità necessarie per stare in Europa. Solo con questi atti la Regione Piemonte può dimostrare adeguata dignità e autorevolezza, non certamente disinteressandosi del problema demandando le decisioni ad altri o temporeggiando anche in questa occasione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Monticelli.



MONTICELLI Antonio

Grazie Presidente. Il Consiglio discute oggi della tragedia che si sta vivendo in Jugoslavia, in condizioni che appaiono purtroppo ben più gravidi quelle che potevamo riscontrare nel mese di luglio quando fu posta per la prima volta la questione all'attenzione della nostra assemblea e quando gran parte dei Gruppi politici, il nostro compreso, presentarono alcuni documenti.
In questa luce, non illustro l'ordine del giorno allora presentato: avendolo riletto in questi giorni, ritengo contenga alcuni punti ancora validi; certamente il nostro ordine del giorno, come immagino altri documenti allora presentati, andrebbe rivisitato, andrebbe attualizzato per tener conto della drammaticità dei fatti che stiamo vivendo in queste ore.
Credo quindi che oggi valga soprattutto la pena di fare un ragionamento. Questo ragionamento deve innanzitutto avere un elemento di modestia, nel senso che il nostro Consiglio non può presumere di sostituirsi con proprie opinioni rigide, determinate, assolute, presuntive di verità al lavoro che faticosamente i Governi di mezza Europa e le istituzioni della Comunità europea stanno svolgendo per intervenire a fini di pace in Jugoslavia. Sinceramente ho qualche riserva a pretendere dal nostro Consiglio pronunciamenti, ripeto, rigidi, assoluti su questioni quali il riconoscimento o il non riconoscimento delle repubbliche jugoslave o su come il governo italiano e la Comunità europea devono intervenire.
Credo invece che a noi spetti più propriamente - e qui non si tratta più di modestia, ma semmai di ambizione - di ragionare sul contesto in cui si sta svolgendo il dramma jugoslavo e su quello che ciò può insegnare anche a noi, su come ci rapportiamo ad un problema che non è di altri, ma che sta diventando sempre più il problema dell'Europa in questo fine di secolo.
Risorge in chiave nuova un tema che sembrava in qualche modo risolto dalla storia, quello delle nazioni e della sovranità. E' un tema che abbiamo visto emergente con grandissima forza e anche con grandi elementi di preoccupazione a livello mondiale, nella vicenda dell'Unione Sovietica per esempio, quando è parso che quel grande Paese, per fortuna scosso da una rivoluzione che ne ha cambiato le fondamenta e le ragioni stesse di identità, potesse non solo spezzarsi, ma deflagrare in qualcosa che incuteva paura. La Russia è un paese detentore di tante armi atomiche e di una potenza militare comunque e sempre spaventosamente grande. Ed è un problema che ci troviamo oggi alle porte di casa con la Jugoslavia. Quando parliamo di questioni grandi che implicano grandi cose, quali i concetti di sovranità, di autodeterminazione dei popoli, ritengo che dobbiamo ragionare con più senso della storia e dei cambiamenti chela storia ha introdotto nella realtà.
E per stare più al concreto sulla realtà jugoslava, credo sia ormai fuori di discussione, perché i fatti parlano da soli, che non regge più in quel Paese un modello di Stato, di unità statuale, che era un modello molto recente, un modello nato attraverso convulsioni, guerre mondiali, ben due guerre mondiali avevano portato a quel tipo di istituzione che la Jugoslavia moderna era, almeno fino a ieri. Quel modello non regge più e quindi occorre comunque pensare a qualcosa di nuovo e che comunque da quella realtà nascerà qualcosa di nuovo. Però gli anni non sono passati invano e oggi, colleghi, l'idea di poter ritagliare degli Stati sovrani etnicamente puri, senza che ciò comporti drammi e problemi, è un'illusione tragica.
Nessuna repubblica jugoslava è etnicamente pura. La tragedia che si sta vivendo ai confini della Croazia ha questo fondamento, questa radice: nella presenza di una minoranza serba, consistente in tutto un arco che è poi il confine con la Bosnia-Erzegovijna che a sua volta è uno Stato che realizza il massimo di mix di etnie, di culture e di religioni in tutta la Jugoslavia. Già si paventa cosa potrebbe diventare quella che qualcuno ormai tende a dire non essere più soltanto una guerra civile, ma una guerra guerreggiata fra Stati in Jugoslavia, se per caso fosse coinvolta proprio la Repubblica della Bosnia-Erzegovijna, che è il concentrato quasi simbolico, estremo, di cosa la storia ha prodotto in termini di mescolanze di culture, di etnie e di religioni; e come in qualche modo questo imponga che, accanto al concetto di autodeterminazione e di sovranità, si affermi sempre di più il concetto di interdipendenza nel mondo di oggi.
Un'interdipendenza che ha, fra l'altro, ragioni fondative sul piano economico, sul piano della struttura del mondo moderno, della struttura di relazioni del mondo moderno, che è l'economia l'Informazione, il diffondersi e la fluidità dei rapporti culturali Non è un caso che in Unione Sovietica, ad esempio, il fatto economico sia stato il movente fondamentale di una spinta che porta a tentare una ricostruzione unitaria pur su basi profondamente diverse. Credo che ragionamenti di questo tipo abbiano un senso in questo Consiglio, perché non sono poi, fatte le debite proporzioni, per fortuna, così diversi dai ragionamenti che potremmo fare come elementi fondanti di un discorso sul regionalismo, sul rapporto fra Stati nazionali, Regioni e dimensione europea nel mondo che vogliamo cercare di costruire in Europa occidentale per i prossimi anni. Sono ragionamenti che hanno elementi comuni, basi comuni di cultura e di impostazione. Credo, quindi, sarebbe importante se il nostro Consiglio arrivasse a pronunciarsi su questi temi non in chiave di presunzione di poter svolgere un ruolo di scelta nella politica estera degli Stati, in un momento in cui i governi faticano molto a trovare risoluzioni concrete positive, efficaci, in una tragedia che si sta vivendo, ma per individuare alcuni punti che sono il riconoscimento di una realtà che è cambiata, per cui non può essere in alcun modo pretesa la ricostruzione dell'unità dello Stato jugoslavo così com'era in passato; per cui in qualche modo va riconosciuta l'istanza di sovranità che si va articolando in quel Paese che per ora ha coinvolto la Slovenia e la Croazia, ma già la Macedonia ha fatto sentire la sua voce in questo senso. C'è chiaramente un problema di ridisegno dell'impostazione di quel tipo di Stato, ma questo ridisegno non può essere gestito sul piano del nazionalismo e del separatismo unilaterale. Questo ridisegno, comunque, va ricostretto sul piano del confronto, della trattativa e del rispetto non soltanto dei diritti dei popoli, ma anche dei diritti dei singoli cittadini. Spesso, dietro l'impostazione nazionalista, chi ci scapita è il singolo cittadino in nome di concetti che possono essere anche astratti, quale il concetto di "popola", se poi non verificati sul terreno. La Jugoslavia è un territorio in cui c'è un infinito numero di minoranze, perché in ogni pezzo del territorio c'è una minoranza rispetto al popolo maggioritariamente presente in quell'ambito. E' il discorso che tocca gli italiani, ad esempio, in Istria e in Dalmazia, ma è lo stesso discorso che tocca i serbi presenti in Croazia, è il discorso che disarticola la Bosnia-Erzegovijna, è il discorso presente nel Kossovo, è il discorso presente in tutta la Jugoslavia! Una separazione che non tenga conto di questi problemi, quindi non soltanto dei diritti dei popoli, ma anche dei diritti dei cittadini, che quindi non cerchi la via della mediazione, dei compromessi, delle trattative sui diritti delle minoranze, sui confini, e che pretenda in modo unilaterale di risolvere questi problemi, è un'impostazione destinata per forra di cose alla tragedia.
Quindi non possiamo inseguire in modo acritico queste impostazioni viziate dal nazionalismo. Il nazionalismo non ha più diritto di cittadinanza nel mondo di oggi. Il nazionalismo è tutt'altra cosa dal diritto dei popoli. Non possiamo scordare queste lezioni della storia colleghi, non possiamo dimenticare quello che ha portato li nazionalismo in Europa in termini di morti e cercare di ridare un valore positivo al nazionalismo, non al diritto delle nazioni, non all'amor di patria, non all'amore del proprio popolo, che sono cose ben diverse dal nazionalismo.
Infine, va cercata una soluzione nuova sul piano istituzionale.
Soluzione che deve essere realmente nuova. C'è l'esempio del tentativo diffi-cilissimo, spaventosamente difficile, che si sta facendo in Unione Sovietica; c'è l'esempio della nostra Europa, il tentativo che l'Europa sta facendo da anni e anni di costruire una comunità non solo economica, ma anche politica. E in questa direzione che vanno fatti dei tentativi.
Mi scuso con il Consiglio se il mio intervento può sembrare un po' laterale rispetto all'urgenza dei fatti e delle ore che stiamo vivendo, se non pretende di dire se è giusto o non è giusto che l'Europa invii le cosiddette forze europee d'interposizione, se è giusto o non è giusto che l'Europa oggi immediatamente riconosca la Slovenia o la Croazia o non sia invece più corretto legare questo riconoscimento all'avvio di una fase di trattativa.
Non so se può piacere a tutti il fatto che non mi pronunci in modo così univoco su chi ha torto e chi ha ragione, su chi sono i buoni e chi sono i cattivi in queste vicende. Credo che questo non sia compito nostro, ma sia compito nostro quello di cercare anche da questa tragedia degli insegnamenti che non sono solo rivolti ad altri, ma anche a noi stessi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picchioni.



PICCHIONI Rolando

Signor Presidente, alcuni giorni fa è stato ricordato che un celebre teorico del marxismo jugoslavo, Milovon Silas, disse che la Jugoslavia era l'ultima spiaggia sulla quale sarebbero approdati i regimi comunisti; e fu profeta, fu profeta perché l'Europa delle tribù - come viene definita oggi o della tribalizzazione diffusa, si sta propagando come metastasi; non solamente nella penisola balcanica, ma nella stessa Unione Sovietica - non volendo ricordare i Baltici - nella Georgia e nella Azerbaigian.
Oggi ci troviamo tutti quanti - al di là delle valutazioni che devono sempre essere fatte in punta di penna se non in punta di piedi - di fronte ad una ennesima guerra balcanica, dove ancora una volta il panserbismo l'indipendentismo degli anti-boemo slovacchi, il risentimento dell'Ungheria per il trattato del Trianon, la Moldavia che vuole ritornare alla Romania il Kossovo che si sente orfano dell'Albania, tutti sembrano ricreare quella situazione esplosiva che dette inizio alla prima guerra mondiale.
E stato detto che Yalta è superata, che la seconda guerra mondiale è finita, ma è anche stato detto che è nuovamente incominciata la prima guerra mondiale. Al di là del, rivoltimento contro gli Asburgo e contro i Romanov, troviamo tutti i problemi che contrassegnarono l'inizio di questo secolo.
Oggi con il postcomunismo, caduto il muro di Berlino - è molto facile fare queste associazioni e queste analogie - nasce l'era del cittadino, ma nasce l'era della tribù.
Contrariamente alla Francia, alla Germania, all'Italia che hanno superato in questi ultimi anni le loro contrapposizioni storiche, socio economiche, militari, qui invece ritorniamo precipitosamente al passato quasi come se la memoria fosse stata improvvisamente ibernata.
La storia si ripete paradossisticamente, come se gli ultimi settant'anni non fossero esistiti.
E' stato detto - non vorrei ripeterlo con toni dispregiativi - da Simons Johnson che il patriottismo è l'ultimo rifugio dei "mascalzoni" E' una frase forte, è una frase che potrebbe però avere una sua validità logica. Ma dobbiamo anche ricordare che il riferimento alle radici nazionali esploso in questi ultimi tempi, ha una parentela con una storia fatta di rovine; perché sono uomini sradicati dalla tema, dalla casa, dal proprio costume civile, dei propri ricordi, dei propri lessici familiari sono popoli che sono stati deportati, che hanno conosciuto il trasferimento coatto per una questione di logica di potenza; prendiamo come esempio l'Unione Sovietica. Il recupero della radice nazionale, del proprio vissuto storico è un recupero della propria terra, del proprio standard di vita delle proprie possibilità di essere collegati con il proprio passato.
Abbiamo detto che la decomposizione della Jugoslavia ha prefigurato la decomposizione dell'Unione Sovietica, e l'ha prefigurata nel termini drammatici vissuti quest'estate, per i quali, come ha ricordato il Consigliere Monticelli, qualche cosa è stato fatto, perché, nell'ambito di una confederazione, sia pure nei limiti stabiliti dal congresso dei Soviet qualche cosa si è riusciti a cucire rispetto allo scandalo etnico relativamente alle zone fa che è per esempio la zona della Azerbaigian e della Georgia.
E fallito anche un altro modello statuale, lo Stato di Tito. Ricordiamo il modello della terza via socialista, un modello di terza via che era da imitare, che convogliava a Belgrado tutti i leader del Terzo mondo. E' fallito miserevolmente con una guerra di secessione che, per un'ironia della storia, avviene immediatamente a ridosso di guerre di annessione.
Dicevano una volta che la storia continua a conoscere degli sbandamenti.
Ricordiamo che ad un anno e qualche settimana dalla Guerra del Golfo, oggi conosciamo le guerre di secessione.
Per cui l'Europa unita dall'Atlantico agli Urali, mi pare che si scontri con la storia. Un'Europa unita, che dovrebbe essere il terzo il secondo o il primo colosso mondiale. è anche l'Europa del frammento, l Europa delle etnie, delle religioni. Basti come prova il ruolo giocato dal collante religioso in queste crisi.
Leggiamo sui giornali - non so se siano notizie attendibili- che la Francia e la Germania sono pronte per un intervento CEE in Croazia, che l'Italia frena. E' questa ancora una posizione politica sparsa. Giustamente è stato detto dal Consigliere Rabellino che l'Austria ha riconosciuto la Croazia. Noi tuttavia viviamo in una Comunità Economica Europea dove tutto si lega, oppure tutto si disgiunge. Per questo il problema non è solamente quello di essere noi gli avanguardisti, ma piuttosto quello di essere legati ad un convoglio che, essendo composto da moltissimi vago-ni certamente ha delle lentezze, delle difficoltà da superare, molto più di uno stato sovrano Indipendente, non legato a nessun trattato internazionale.
Certamente, in questo problema noi dobbiamo cercare di articolare la compattezza politica dei nostri trattati con la peculiarità di ciascuno.
Però, in casa nostra, vogliamo dire alcune cose. Il discorso delle etnie delle autonomie, dell'indipendentismo hanno portato ad un'effervescenza emotiva imprevedibile, non tanto per il problema altoatesino, quanto per il problema della Valle d'Aosta. Non intendo con questo fare dell'ironia sui nostri fratelli valdostani; però se comparassimo Il cespite annuale della Valle d'Aosta con il nostro avremmo delle riflessioni abbastanza critiche da fare.
Il problema è sempre una catena di conseguenze legate le une alle altre. Oggi conosciamo queste effervescenze, che poi mi pare siano state subito neutralizzate dal buon senso della maggioranza della popolazione. Si tratta di capire tuttavia che c'è una circolarità della storia che presenta elementi di assoluta Imprevedibilità. Può essere effettivamente un corto circuito che riesce a sconvolgere o a portare a dei parossismi che potevano essere certamente governati con un minimo di raziocinio e con un minimo di convivenza: quella del buon senso.
Noi siamo contro alla repressione militare, perché sappiamo benissimo che questa repressione non porterà a sbocchi definitivi; runica repressione militare che in questi anni abbiamo conosciuto e che forse ha ancora una sua validità nel senso della normalizzazione che è riuscita ad attuare, è quella di Tienan-men. Al di là di questo, crediamo che le soluzioni di questo tipo, da qualunque parte vengano, finiscano per bloccare sul nascere quello che è invece un processo naturale, quello del riconoscimento politico, ma soprattutto del riconoscimento della propria identità culturale da parte della Croazia, della Slovenia, oppure da parte delle altre Repubbliche jugoslave. Siamo contro la repressione militare, ma siamo anche contro una posizione di interposizione. Ho letto il documento del movimento dei Verdi. Non credo che la CEE debba fare la politica coloniale non credo si debbano mandare le cannoniere. Credo invece che, con una serie di pressioni di ordine economico e di ordine politico, la CEE possa far capire come la convivenza tra le repubbliche della Jugoslavia si rilevi come l'unico sbocco possibile, perché questa situazione si normalizzi e non crei posizioni ancora più radicali e più difficili.
Il MSI ha presentato un ordine del giorno dove si parla del superamento del Trattato di Osimo, trattato che viene giustificato come il Trattato scritto dei vincitori, umiliante per la nazione Italiana. Stiamo molto attenti. Noi sfamo presenti nei rapporti privilegiati con l'Istria per questioni etniche, storiche e religiose e, certamente, nei confronti di quelle minoranze, il nostro Paese deve essere attento.
Sono d'accordo con quanto ha detto il Consigliere Rabellino, queste non sono situazioni omologhe a quelle degli albanesi. Pertanto speriamo, al di là delle nostre valutazioni e dei nostri auspici, che la Protezione Civile nel caso di un aggravamento di una drammatizzazione del conflitto, quindi di un'invasione di Zara, sia in grado di assolvere i suoi compiti istituzionali.
Ci sono già ospedali di campo e tende. Queste strutture dovrebbero essere permanenti per via di una possibile grande immigrazione europea, che ieri ha toccato l'Albania, oggi tocca la Jugoslavia, ma domani potrebbe toccare tutti i paesi dell'Est. I cosiddetti paesi della prima fascia B dovrebbero avere strutture mobili, completamente efficienti ed in maniera permanente. Non so dare risposte anche perché, dal nostro punto di vista ogni cosa potrebbe risultare velleitaria. Come è già stato ribadito ritengo però che noi dovremmo essere la forza motrice della CEE, non solo per la nostra posizione geografica, ma anche per un valore ideale, etico e morale.
Non siamo d'accordo, come tante volte appare, con il Governo italiano quando viene preso da una "real politique", che risulta troppo acquiescente ai fatti. Crediamo invece che la storia si possa modificare, come si è fatto in occasione del Golpe dell'Unione Sovietica, e come si è fatto per la guerra del Golfo. Crediamo che il valore morale della nostra gente per queste prese di posizione possa dare al Governo, al di là delle soluzioni politiche (condivido pienamente la posizione del Ministro degli Esteri, De Michelis), la necessaria valutazione di cosa (opinione pubblica italiana rispetto ai popoli confinanti, vuole che si faccia.
Il problema del riconoscimento della Croazia e della Slovenia deve essere valutato, compatibilmente con i nostri trattati, con le altre forze della CEE.
Sul problema della interposizione delle forze e sull'invio delle truppe siamo assolutamente contrari; crediamo che la negoziazione politica e soprattutto la possibilità che, attraverso gli aiuti economici, la CEE possa far sentire la propria voce siano i mezzi più idonei per cercare di riportare il conflitto dalle secche drammatiche della guerra a quelle di un confronto civile.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Zacchera; ne ha facoltà.



ZACCHERA Marco

Eviterò di soffermarmi sugli aspetti già trattati dai colleghi precedentemente, ma farò alcune considerazioni.
Innanzitutto non siamo il Parlamento Italiano, siamo soltanto il Parlamento del Piemonte, quindi non è logico trattare qui temi di politica internazionale che interessano la nostra Regione solo marginalmente. Penso però che sulla Jugoslavia qualcosa vada detto, specificatamente su alcune cose che la Regione Piemonte può fare.
Innanzitutto una considerazione. Le volte scorse abbiamo parlato di problemi lontanissimi da noi, questa volta stiamo parlando di problemi drammatici, immediati e contingenti a pochissima distanza dalle nostre terre. In un periodo di tempo inferiore alla lunghezza di questo dibattito si va in aliscafo da Zara ad Ancona, questo vuol dire esporre il nostro Paese a problemi estremamente importanti sui quali la peggiore delle politiche - e non condivido la chiusura dell'intervento del collega che mi ha preceduto - è quella di continuare a fare quanto si sta facendo, cioè niente. Anche perché c'è un fatto nuovo. Questa volta, in Jugoslavia specificatamente in Croazia, ci sono delle enclave residue di italiani persone che parlano italiano anche se non hanno il passaporto, che, al di là della lingua, sono da secoli profondamente radicate in quella che io continuo a chiamare la loro madre patria.
Non è uno stupido nazionalismo (anche se penso che i nazionalismi seri debbano continuare ad esistere e non essere distrutti) constatare che finito il periodo di Tito, la Jugoslavia è andata e sta andando in pezzi.
E' un fatto esistente, che lo si voglia o meno. Allora nel bene e nel male ricordiamo che migliaia di italiani sono morti ammazzati nelle foibe per volontà delle truppe comuniste di Tito; questo ha comportato che 350 mila italiani sono scappati da quelle terre, ed hanno fatto bene non ultimo vedendo quello che sta succedendo, ma sono diventati esuli in patria.
Questo vuol dire che ancora oggi, 30 mila italiani a tutti gli effetti nonostante tutto. 45 ami dopo aver subito i massacri e le deportazioni sono restati madre lingua italiana. Ieri sera mi faceva effetto sentir parlare il sindaco di Zara che chiedeva all'Italia di intervenire. Sono cose importanti.
Ma la politica del nostro Stato dov'è? Ci vantiamo di essere il quinto (anche se forse siamo il sesto se non addirittura il settimo) Paese industrializzato del mondo, ma non stiamo parlando né di Afghanistan né della ex colonia della Somalia o dell'Etiopia, ma stiamo parlando del mar Adriatico, cioè di un mare che per 1500 Km è italiano. Dall'altra parte, praticamente a vista, vi sono situazioni esplosive, non per colpa nostra, in Albania e adesso in Jugoslavia.
Una nazione che crede nel proprio ruolo deve avere una propria politica, all'interno della CEE, ma specificatamente nel discorso Adriatico, perché la Francia, la Germania, l'Olanda o l'Inghilterra sono molto meno interessate di noi in Adriatico. Quindi, se è giusto tenere una politica europea, deve essere (Italia la parte trainante di questa politica; il Ministro degli Esteri, ben più abituato ad andare alle feste danzanti e, in concomitanza con la crisi jugoslava, a farsi trovare al debutto delle diciottenni a Venezia, dovrebbe rendersi conto che anche un discorso di immagine del nostro Paese in questo momento è essenziale.
Dov'è la politica italiana? Nel non fare nulla, sperando che qualcun altro pensi a questi problemi? Questa volta, volenti o nolenti, i problemi sono nostri e noi chiediamo che l'Italia si assuma le proprie responsabilità.
Nel nostro ordine del giorno chiediamo cose estremamente concrete. Per esempio, al di fuori delle acque territoriali jugoslave, la nostra flotta per quanto possibile e per quanto ridotta, deve essere presente. Se domani mattina fosse necessario portar via decine di migliaia di persone che stanno morendo sotto un bombardamento, l'Italia avrebbe un proprio ruolo se fosse in condizione di farlo, chiaramente non mettendosi a sparare, perch sono problemi interni jugoslavi. Sono responsabilità storiche che dobbiamo assumerci.
Il secondo aspetto è di politica estera. Il Trattato di Osimo siamo stati costretti a sopportarlo perché abbiamo perso la guerra; dopodichè ora la parte contraente del Trattato la Jugoslavia, non c'è più; potrà esserci la Slovenia, la Croazia, ma non la Jugoslavia. Questo vuol dire che bisogna andare ad occupare militarmente l Istria? Per piacere, non facciamo ridere.
Queste sono stupidaggini Pero, nel momento in cui la nazione confinante non c'è più, dobbiamo preten-dere una tutela per gli italiani presenti nella zona.
Ciò non vuol dire mandare i marines (che non abbiamo) o i paracadutisti a difendere Zara, ma pretendere che all'interno di alcune città tradizionalmente italiane, come sono rimaste comunque Pota, Fiume o Zara ci sia uno statuto in cui vengano tutelati i diritti e i doveri degli italiani presenti, così come devono essere tutelati quelli dei croati e dei serbi.
Per fare questo dobbiamo essere credibili e l'Italia non è credibile.
Ecco quindi la necessità di agire su due piani. Innanzitutto occorre rendersi conto che la possibilità di avere in Italia un alto numero di profughi, almeno temporanei, è reale e come tale bisogna organizzarsi e speralo si faccia anche all'interno della nostra Regione, com'è nostro dovere. Inoltre, occorre rendersi conto che le cose in politica cambiano.
La scorsa settimana, dopo 47 anni, il Giappone ha ottenuto la promessa dalla Russia che le isole Kurili ritorneranno ad essere giapponesi; poche settimane fa sono nate tre Repubbliche nel cuore dell'Europa, e tutti sono stati d'accordo. Dopo mesi e mesi dall'inizio della crisi jugoslava, il nostro Governo non ha ancora avuto il coraggio di riconoscere la Croazia e la Slovenia, che quindi non esistono e quindi non possono essere difese.
Penso che la CEE, continuando noi la politica dilatoria del non decidere niente, di fatto stia dando una grossa mano agli aggressori che stanno trucidando gente che, fino a prova contraria, con certe divisioni etniche non c'entra nulla. L'unico Segretario di partito che due mesi fa si è recato a Belgrado per parlare con i serbi. è stato quello del mio partito, il quale è andato a dire - secondo me giustamente - che all'interno della Croazia vi sono minoranze italiane che vanno tutelate. Il nostro Governo, invece, non riesce a tenere alcuna posizione in materia.
Non si tratta di mania di espansionismo o di nazionalismo, in questo senso superato. Chiedo una maggiore presenza dell'Italia e della nostra Regione all'interno di quelle zone, come segno di rispetto e di doverosa comprensione nei riguardi di quella gente. Più in generale, all'interno della CEE, l'Italia deve avere una funzione trainante su questo problema altrimenti sarà fatale che arrivino traghetti da Zara, da Spalato e così via. Cosa si può fare? Morire sotto le bombe o morire di fame? La gente scappa, e il posto più vicino e più logico è lo Stato italiano: è un fatto normale, logico, comprensibile e umano: non si può non volersene rendere conto o continuare a riempire gli stadi di gente, però quando lo faceva Pinochet non andava bene! Cerchiamo in anticipo di avere una politica verso la Jugoslavia cerchiamo di capire che in politica e nella storia le cose cambiano. La Jugoslavia era una contraffazione storica che non stava in piedi, difatti dopo cinquant'anni di regime puntualmente è caduta. Non poteva stare in piedi perché diverse erano le sue componenti.
Chiedo la pressione della Regione sullo Stato italiano per il riconoscimento da parte dell'Italia della realtà croata e di quella slovena, anche per tutelare concretamente queste situazioni, e chiedo una politica seria del nostro Paese all'interno della situazione adriatica che è esplosiva e pericolosa, nella quale siamo vergognosamente assenti.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTABONE



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Tapparo



TAPPARO Giancarlo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo che il dibattito di oggi, anche se tratta temi di politica internazionale, sia molto importante per la nostra Regione, la nostra comunità, il nostro modo d'essere, perch tocca il ruolo che l'Europa vorrà e dovrà assumere e perché, in qualche misura, ci fa rapportare con il ruolo delle identità sociali, culturali e storiche delle genti d'Europa. Non è quindi tema ozioso. Sono un po' ridicole le considerazioni di alcuni politici torinesi, riportate con una certa enfasi da "La Stampa" e "Repubblica", relative alla non utilità e all'oziosità di dibattiti, interpellanze, interrogazioni e discussioni nelle aule dei Consigli comunali, provinciali e regionali su questi temi.
Forse, fra alcuni decenni, uno storico guardando a questo periodo potrebbe fare alcune sottolineature e considerare che la caduta delle ideologie degli anni '80 e la caduta del blocco sovietico hanno fatto emergere e hanno fatto si che le democrazie mostrassero come loro prodotto con forti limiti, solo una risposta di un consumismo omologatone e di un nazionalismo esasperato ed egoista. Ci sono infatti nazionalismi esasperati ed egoistici, che spesso non tengono conto dei diritti delle minoranze.
La Lituania, per la quale ci siamo commossi e per la quale abbiamo voluto l'indipendenza, riceve oggi una nota durissima da parte del Governo polacco, che le ricorda la radice storica dei 300.000 polacchi che vivono nel suo territorio, quindi, le nuove regole di vita che questo nuovo o rinato Paese si sta dando vanno contro ai diritti delle minoranze polacche di quel Paese.
Dovremmo anche non giocare troppo ad est e badare anche all'ovest.
Arrivo da un viaggio in Spagna dove i Paesi baschi e la Catalogna rivendicano fortemente, sull'onda dei nazionalismi, una loro autonomia. Il movimento corso e quello dell'Irlanda del nord mi paiono altrettanto forti ed importanti. Non possiamo parlare e misurare i nazionalismi a senso unico, dobbiamo capire che se scatta la logica della vecchia Europa, deve scattare dappertutto, non può trattarsi solo di un gioco delle influenze.
Dobbiamo anche tener conto di fenomeni di nazionalismo dalla stessa dignità; penso ai Paesi baschi o all'esigenza di autonomia della Corsica o a quella dell'Irlanda del nord. Non possiamo usare un misuratore per la Serbia e un altro per altri Paesi. Arrivo dalla Spagna, dove le province basche, con una loro lingua, cultura e tradizione, fanno rivendicazioni analoghe a quelle che stanno emergendo in altri Paesi; bisogna dar loro una risposta, che non credo possa essere deflagrante.
Attorno al grande tema dei nazionalismi risorgerti vi è la mancanza di risposta da parte delle democrazie occidentali, e il vedere sempre più lontano il problema delle disuguaglianze e delle ingiustizie del sud del mondo.
Si riapre il gioco delle influenze. Il marco tedesco è sostanzialmente la moneta di conto della Slovenia e della Croazia. Riemerge il vecchio vizio dell'Europa: si riformano alleanze nuove, si perde l'asse Berlino Bonn-Parigi, si riforma quello tradizionale francese e inglese, c'è l'influenza tedesca e c'è l'Italia che, come prima della I guerra mondiale resta a metà strada tra questi due blocchi. La vecchia Europa torna a far capolino come se non fosse passato nulla, vi è solo un maggior ingrediente di liberismo e di consumismo omologatore.
Mi auguro anche che alla Chiesa - e lo dico per gli amici presenti in Consiglio ad essa molto vicini - non venga la tentazione di innestarsi sul processo dei nazionalismi più vicini alla matrice cattolica, ma guardi sempre alla dimensione generale, come dovrebbe essere suo compito.
Siamo dinnanzi ad una specie di restaurazione dove giocano molto le influenze economiche. Se l'Inghilterra è contro il riconoscimento della Croazia e la Germania è favorevole, è perché sono in gioco non tanto quelli che possono essere i sogni e i valori della democrazia, ma i sogni e i valori molto ben concreti delle influenze economiche.
Credo invece che occorra cogliere una situazione in cui la costruzione dell'Europa rischia di disintegrarsi; occorre avvalorare la specificità storico-politico-culturale delle genti d'Europa, valorizzando fortemente i regionalismi, ma in un processo federativo in cui ci sia il riconoscimento delle articolazioni storiche che all'interno di ogni singola comunità si sono determinate nel tempo.
Non possiamo non riconoscere che nella nostra comunità si sono inserite, per processi giusti o sbaglia-ti che siano, forti comunità di altre realtà regionali dei Piemonte, nella nazione piemontese, come Cavour prima di assumere il ruolo di Primo Ministro del Piemonte nel suo legame verso l'Inghilterra e verso la Ginevra calvinista, aveva visto.
Oggi dobbiamo riconoscere questi intrecci, dobbiamo riconoscere che in Croazia si sono determinati questi intrecci forse forzatamente, forse naturalmente come è avvenuto nell'Istria, dove ci sono forti comunità; di pari peso di quella italiana, di montenegrini o di macedoni. Credo che occorra salvare l'Europa da, questo rischio. Anche l'autodeterminazione dei popoli deve essere vista "cum granu salis". E' probabile che con l'autodeterminazione dell'Albania gran parte della popolazione chieda di essere collegata all'Italia: si vede il rapporto economico e si vedono anche vari pseudo-valori delle società occidentali comunicati dalla televisione dove ci sono anche profonde disuguaglianze (disoccupati emarginati); pensiamo alla società statunitense o a quella inglese con forti sacche di povertà.
Credo che oggi il ruolo dell'Italia sia quello della solidarietà attiva, non passiva, non verbale, verso i profughi che si possono determinare da questi movimenti. Siamo un Paese povero, perché abbiamo dei poveri, frutto delle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza, ma siamo sufficientemente ricchi per poter reggere la solidarietà attiva che si deve attuare con questi Paesi.
Mi sembra molto forzata la proposta della revisione del Trattato di Osimo, che nemmeno la gran parte della comunità italiana in Jugoslavia rivendica; non si tratta tanto di una revisione dei confini, quanto di una possibilità di controllo del rispetto dei diritti della minoranza italiana in Istria, soprattutto se si viene a formare l'autonomia della Serbia della Croazia e della Slovenia, che probabilmente hanno dei problemi più grandi. Alla Slovenia la revisione del Trattato di Osimo verrebbe a togliere lo sbocco sul mare. Credo che gli interessati faranno carte false affinché questo non avvenga. Non credo sia quella la strada giusta.
Il pericolo dei nazionalismi oggi è che hanno un ingrediente in più specie nell'Europa orientale; pensiamo all'Ucraina. C'è quindi l'arma nucleare, magari quella tattica che magari circola con una maggiore facilità, quindi c'è il rischio di una implosione di questa realtà sulla quale non credo che le democrazie occidentali debbano stendere un tappeto di velluto, ma debbano guardare alla costruzione di una grande Europa che sappia fare i conti con il ruolo e i diritti delle singole comunità, ruolo e diritti però che devono essere circoscritti in un disegno federativo e non in una frantumazione e polverizzazione, perché non si riuscirà nemmeno a fare un modesto conglomerato sulle macerie del nazionalismo che si sta determinando.
L'Europa non si costruirà con i nazionalismi; l'Europa si costruirà attraverso un processo di riconoscimento dei regionalismi che sappiano restare dentro un disegno federativo di questa grande Europa, che certamente ha il nucleo in quella Europa accidentale che storicamente si è determinata con 112 Paesi della Comunità Economica Europea.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Chiezzi; ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Ho ascoltato con tutta l'attenzione di cui sono capace gli interventi dei colleghi e ho apprezzato le loro analisi sulla situazione jugoslava. Mi chiedo anch'io cosa possa dire la Regione Piemonte in concreto su questa vicenda.
La Regione Piemonte non stipula trattati di carattere internazionale e non svolge politica estera, ma penso che, proprio per questo motivo l'impegno di tutti noi potrebbe svilupparsi su un piano più congeniale al ruolo che la Regione Piemonte può avere. Penso che dobbiamo evitare in ogni modo, anche per lo specifico della situazione jugoslava, di avanzare delle letture del problema jugoslavo che insistano su elementi di lettura semplicistica e manichea della storia. Una lettura di questo tipo, il discriminare con certezza ragioni e torti è un modo per costruire le chiavi con le quali aprire i depositi delle armi e risolvere i problemi di ciascuno con la guerra, contando poi magari i propri morti e non i morti altrui e deducendo dal numero dei propri morti le giuste ragioni di una guerra combattuta. Penso che invece la Regione Piemonte, proprio perle competenze che non ha e per il ruolo politico che un'assemblea regionale invece deve avere, debba scegliere o possa scegliere un'altra strada.
La strada che propongo, colleghi, di intraprendere insieme, non è la strada delle ragioni e dei torti, ma è la strada dell'uso della pace.
Penso che sul tema della pace, sul ruolo che la Regione Piemonte pu assumere per far crescere la cultura della pace a tutti i livelli, quella cultura della pace che è molto presente nei comportamenti dei popoli e poco presente nei comportamenti dei governanti, potremmo caratterizzare la nostra presenza sulla scena jugoslava, ma direi anche sulla scena europea e mondiale.
La pace viene invocata, ma gli atti di chi governa raramente utilizzano i principi e gli ideali della pace per risolvere i problemi. Non ci siamo ancora rimessi dallo choc della guerra del Golfo nata contro Saddam Hussein. Mi chiedo se in realtà non sia stata una guerra contro il popolo iracheno, l'unico che ha subito i danni, perché Saddam Hussein non ne ha subiti né durante né dopo la guerra. Questo per dire che sono sempre più convinto che un'istituzione come la Regione deve avere più peso politico deve assumere una collocazione più incisiva ed esplicita quando nascono conflitti e tentazioni di risolverli con l'uso della forza, deve scegliere il tema della pace, della pace ostinata, della volontà ferma e cocciuta nel negare l'utilità dell'uso della forza per risolvere le questioni che nascono tra i popoli.
In Jugoslavia ci sono forze pacifiste. Abbiamo assistito al coagulo di una grande forra pacifista costituita dalle madri di croati e madri di serbi che si oppongono alla guerra. La spinta dal basso contro la guerra fa parte della storia dei popoli e fa anche parte, dal punto di vista negativo, della storia dei governi , che invece hanno scelto sulla testa della gente tante volte la strada delle guerre per risolvere i problemi.
Io sto con le madri di croati, di serbi e di quant'altri stanno patendo l'uso massacrante delle armi e quindi patiscono massacri, torture violenze, oltre alla fame, ai pericoli e alla tensione e penso che la Regione Piemonte debba stare con le madri di croati e di serbi. Dobbiamo spendere qualche parola e qualche atto per significare con nettezza che la strada per risolvere i conflitti non può essere la guerra e l'uso delle armi. La popolazione jugoslava senz'altro deve ridisegnare le proprie istituzioni diversamente da come sono oggi. Il problema è con quali strumenti vengono ridisegnati istituzioni, confini e convivenze di etnie così diverse.
Oggi siamo di fronte ad una situazione in cui gli strumenti che si stanno usando sono quelli delle armi, della guerra, della forza e dei massacro. Chiedo che la Regione Piemonte dica con chiarezza che fuso di questi strumenti è inaccettabile e chiedo che, attraver-so la forca della pace, il confronto e la ragione si costruisca un nuovo equilibrio dei popoli jugoslavi al posto dell'attuale che non regge più.
Accanto alle pressioni economiche e politiche che possono effettuare gli Stati, chiedo ai colleghi di verificare la convergenza su un ordine del giorno che ho presentato adesso, oltre a quello che avevo presentato precedentemente. Chiedo che il Consiglio regionale, proprio per la priorità dei temi della pace su tutti gli altri (priorità che possiamo assumere in quanto assemblea eletta con competenze di carattere generale e non con competenze amministrative in ordine alla risoluzione dei conflitti o ad accordi tra gli Stati) caratterizzi la propria azione adesso (e in futuro quando nasceranno conflitti così atroci) aderendo alla carovana della pace che si svolgerà da Trieste a Sarajevo. E una carovana della pace organizzata dall'Associazione perla pace, dalle ACLI, dall'ARCI, dal convento francescano di Assisi, dai circoli sloveni in Italia, dalla Lega ambiente, dal movimento giovanile socialista, dalla Pax Christi, dal servizio civile internazionale, dalla sinistra giovanile e dai Verdi.
Penso che ai di là di tante parole su questo impegno si potrebbe trovare tutto il Consiglio. Daremmo un grosso contributo, non unilaterale che eviti di accrescere certezze e sviluppare odi e invece determini da parte di un'istituzione decentrata dello Stato un ruolo a un livello politico per il quale mi sembra oggi assolutamente prioritario.
Investire risorse, intelligenze e anche coraggio. Coraggio della pace coraggio di rifiutare, anche come istituzione e proprio perché siamo un'istituzione regionale, fuso della forza e della guerra come uno strumento utile ai popoli per risolvere i problemi.
Stiamo dalla parte della pace, aderiamo alla carovana che attraverserà tutta la Jugoslavia e che incontrerà tanti pacifisti di tutte le etnie che chiedono che attraverso non i massacri e le torture, ma attraverso i colloqui e i confronti si giunga alla risoluzione dei conflitti.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Fiumara.



FIUMARA Francesco

Accolgo in parte (invito del collega Monticelli e mi atterrò ad alcune considerazioni che ritengo utili al dibattito senza lanciare sentenze e senza avere la pretesa di saperne di più del Governo italiano e della Comunità Europea. Tuttavia il Consiglio deve constatare con rammarico la scarsa incisività del Governo italiano nella crisi Jugoslava, senza con questo voler fare gli avanguardisti.
Le decisioni seppure importanti della CEE non possono e non devono limitare il raggio dazione della nostra politica estera. E' una guerra particolare per l'Italia in quanto si combatte ai nostri confini, anzi, in terre già italiane, terre che una guerra sciagurata ci fece perdere.
L'Italia deve porsi anche il problema degli italiani presenti in Istria e non solo. Crediamo si debba incominciare a pensare al nuovo futuro dell'Istria. Il Governo Italiano deve riconsiderare in qualche misura il Trattato di Osimo, senza squilli di trombe e senza rumori di sciabole. Il Trattato di ostino è stato firmato dai rappresentanti della Repubblica Italiana e della Repubblica socialista di Jugoslavia. Nel momento in cui la Jugoslavia non c'è più o sembra non esserci più, vorremmo capire sul piano giuridico, storico e politico quali diritti automatici possono discendere alla Croazia e alla Slovenia dal Trattato di Osimo.
Nella futura Croazia libera dovrà trovare spazio un'Istria con un'Amministrazione particolare, speciale e queste non sono tentazioni nazionalistiche.
Non vogliamo riaprire ferite del passato, ma vogliamo guardare al futuro senza dimenticare quello che è stato il nostro più recente passato.
Noi auspichiamo il riconoscimento da parte del Governo italiano della Croazia e siamo pure per l'immediata cessazione delle ostilità.
Chiediamo infine al Governo che venga considerata la situazione della comunità italiana e che vengano svolti a livello ufficiale tutti i passi presso l'autorità Jugoslava e presso le nuove regioni della Slovenia e della Croazia atti a garantire che la creazione di nuove barriere confinarie non intac-chino minimamente i diritti e il processo di sviluppo delle stesse comunità.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cucco.



CUCCO Enzo

Desidero esprimere poche e brevi considerazioni su una questione non di secondaria importanza, innanzitutto per rilevare un paio di contraddizioni addirittura stridenti e non esplicite per come sono state esposte nel dibattito su questa materia in un'aula che non mi sembra molto partecipe e attenta al destini di questi ordini del giorno e della Jugoslavia.
Si dovrebbe smettere di utilizzare solo quando fa comodo l'argomentazione che questo Consiglio regionale non può esprimersi su questioni internazionali perché non ne ha la facoltà o le carte necessarie.
Quando ci sono stati i dibattiti sul Medio Oriente o sulla guerra del Golfo questa argomentazione non è mai stata toccata. Eppure il Consiglio regionale del Piemonte si esprime su tali vicende e questo ha come unico valore quello della manifestazione del Parlamento subalpino su una questione di rilevanza internazionale che riguarda anche il Piemonte. Certo non ha nessun conseguenza, ed è chiaro che sia così, sulle politiche nazionali e su quanto accade all'estero, se non forse in secondo luogo.
Allora, se questa argomentazione deve essere usata, questo deve avvenire per tutte le questioni di carattere internazionale che si trattano in quest'aula.
Ritengo che in questo consesso ci può essere lo spazio per discutere anche di queste questioni, a patto che non si dimentichi la storia. Sembra addirittura che quanto sta avvenendo in Jugoslavia sia frutto di nazionalismi Interni scoppiati improvvisamente.
La Jugoslavia ha pagato il prezzo di una unificazione forzata in nome di ideali comunisti, che hanno prodotto quello che hanno prodotto; questo è quanto ci rimane di 30-40 anni di comunismo in Europa, ma non è nato per caso. I nazionalismi sono rimasti soffocati - e guarda caso sono rimasti maggiormente soffocati nei Paesi dell'est e non nei Paesi occidentali proprio da quelle ideologie che li hanno voluti soffocare perché credevano che fossero degenerazione borghese; in altre parti, invece, l Europa è riuscita in qualche modo a regolare questi conflitti, tranne in alcune situazioni, per esempio, nei Paesi Baschi e in Irlanda.
In Italia, la questione del Sud Tirolo non ha avuto la forza e la gravità che stanno avendo oggi le questioni nazionali nei Paesi dell'est. E questo perché? Perché le politiche nazionali su questi argomenti sono assolutamente pavide; si fa del machiavellismo di ritorno senza rendersi conto che è semplicemente il frutto dell'incapacità di scegliere. Lo dice molto chiaramente Barbara Spinelli questa mattina su "La Stampa": l'unico vero deterrente alla guerra in atto dà molti mesi in quel Paese era il riconoscimento per tempo di Slovenia e Croazia da parte della Comunità europea, non oggi.
Se continuerà questa situazione la Comunità europea e l'Italia saranno obbligate a mandare le forze armate in quel Paese, non potranno fare diversamente se vogliono salvare la democrazia. Quanto sarebbe, stata più opportuna una scelta politica di questo tipo allora, non adesso! Il riconoscimento dell'indipendenza di Slovenia e Croazia non è norma deterrente nei confronti della guerra già in atto, ma è il riconoscimento di un'identità e di un'autonomia politica effettivamente esistenti Quindi non si può utilizzare la carta del riconoscimen-to di Slovenia e Croazia solo per chiedere alla Serbia di non attaccare, di non fare più morti di quanti non ne abbia già fatti. E' un riconoscimento dovuto che il Governo doveva assumere prima.
Ho letto con attenzione i documenti presentati e devo dire che, tranne quello presentato dalla Lega Nord e in parte quello dei Verdi, mi trovano d'accordo. Faccio quindi una dichiarazione di voto, riservandomi la possibilità di intervenire ulteriormente se verranno presentati documenti unitari o altri ulteriori documenti.
Voterò no a tutti i documenti presentati, voterò sì al documento della Lega Nord perché nella sua essenzialità coglie il problema e la necessità urgente di fare un atto politico specifico per intervenire concretamente e non soltanto con dichiarazioni umanitarie in una situazione del genere.
Mi dispiace che i Verdi siano arrivati solo oggi a formulare un ordine del giorno in merito a questo argomento: il documento contiene ottimi richiami, tranne quello alla cultura del pacifismo, che assolutamente non condivido. Di pacifisti con il pelo sullo stomaco - possibilmente pettinato sempre da una parte e mai dall'altra - credo che né l'Italia né l'Europa ne abbiano più bisogno. Si sono impiegati più di 3 mesi, oltre ai 140 anni passati, per capire che cosa stava succedendo in Jugoslavia; adesso fanno pure la marcia per la pace per arrivare in un Paese che troveranno completamente distrutto e in mano al residuo di comunismo che in Serbia ancora esiste.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio



MIGLIO Mario

Prima di iniziare il discorso, volevo far notare al Presidente che l'aula si sta tendenzialmente svuotando; mi chiedo se non sia il caso di sospendere il dibattito, anche per avere degli interlocutori con i quali confrontarsi. Poiché sono stati presentati ordini del giorno diversi e in successione, a mio parere c'è la necessità che siano comunque presenti in aula anche gli estensori dei documenti.



PRESIDENTE

Credo di aver già fatto all'inizio sufficienti raccomandazioni per richiamare i Consiglieri al senso di responsabilità. Proceda.



MIGLIO Mario

Cercherò di stare nei tempi consentiti. Ritengo innanzitutto che questo discorso non sia inutile proprio perché la questione della Jugoslavia, con la complicazione che sta all'interno, coinvolge direttamente noi, come italiani, in quanto innesta un meccanismo di riflessione che ci porta a dover rivedere la concezione della struttura degli stati. Vediamo come anche in questi momenti, dalla Val d'Aosta all'Alto Adige, siano in atto dei movimenti che rimettono in discussione le strutture dello Stato attuale; su questi temi è necessario ragionare e proporre soluzioni che vadano incontro al riconoscimento dell'autodeterminazione di etnie e culture particolari, facendosi che si creino nuove barriere e nuove conflittualità fra i popoli, ma viceversa ci siano reciproco riconoscimento, collaborazione, cooperazione e fratellanza.
Quindi il dibattito che noi facciamo oggi sulla Jugoslava a mio avviso risulta utile non solo perché personalmente, così come credo gli altri consiglieri, sentiamo (esigenza di dover esprimere una nostra posizione di fronte ai massacri che si stanno perpetrando ormai da mesi; ma anche perch questo dibattito ci permette di iniziare a ragionare per andare ad identificare nuovi modelli di strutturazione dei rapporti fra i popoli che non siano più basati sulla conflittualità, ma appunto sulla collaborazione.
Detto questo ritengo che i motivi attuali della crisi jugoslava - e qui tenterò di essere brevissimo - siano dovuti ad un accavallarsi di ragioni diverse; sicuramente vi sono ragioni storiche ma anche politiche economiche ed etniche. Quelle storiche ovviamente sono dovute al diverso sviluppo che nei secoli ha avuto la definizione dei confini delle diverse realtà nazionali dell'attuale confederazione jugoslava. Ciò ha determinato una certa diversità che potrebbe essere riassunta da una parte nella tendenza ad una realtà europea della Slovenia e della Croazia e dall'altra ad una forte caratterizzazione in senso religioso e culturale della Serbia e degli altri Paesi del sud dell'attuale Stato jugoslavo, che sono stati per lungo tempo dominati dall'Impero ottomano.
La seconda annotazione che si può fare e che ci può servire per comprendere la crisi attuale è che la confederazione jugoslava nasce sostanzialmente con Tito, come reazione della resistenza partigiana al governo fascista promosso dai croati durante la seconda guerra mondiale nasce quindi non tanto come una volontà collettiva di costruire qualche cosa, riflettendo seriamente su una struttura confederale, ma piuttosto come controreazione a qualcosa che esisteva già e dal quale ci si doveva difendere.
Se questo è il ragionamento, non si può- a mio avviso sostenere con faciloneria il fatto che la struttura attuale della Confederazione deve essere buttata via perché inadatta a rispondere alle esigenze attuali, alla necessità di autodeterminazione dei popoli, di riconoscimento delle culture. Bisogna invece ipotizzare una fase di transizione in cui allo stato attuale si garantisca l'incolumità delle genti che in questo momento vivono in Jugoslavia. Questo vuol dire impedire che il conflitto in atto possa continuare ad assumere volti ancor più drammatici. La necessità è quella di impedire che tutto questo avvenga istituendo quanto prima un momento di pace, impedendo quindi la conflittualità tra le varie parti per addivenire a un ragionamento complessivo su quello che può essere il futuro della confederazione jugoslava e che parta però questa volta non dall'ano ma dalla base e dalle necessità delle genti che devono insieme svolgere questo percorso.
I motivi della crisi sono riconducibili a ragioni storiche, ma anche politiche ed economiche. Si pensi alla differenza esistente tra il reddito pro-capite e le risorse della Slovenia e della Croazia rispetto a quelli del sud della confederazione, come la Macedonia, il Montenegro e il Kossovo. Non si può accettare il fatto che la separazione tra i vari Stati nasca dalla volontà di separare, anche nel futuro, la capacità di usare collettivamente le risorse NATO creando una collaborazione; vista anche l'interdipendenza ormai ampiamente dimostrata, per cui uno non può non rendere conto ad altri dell'uso che fa del proprio territorio e delle risorse, vista comunque la tendenza a superare il divario esistente fra il nord e il sud del mondo. Non vorrei che si riproponesse anche in questo caso una filosofia per cui i Paesi ricchi debbano sganciarsi da quelli poveri, oltretutto di cultura musulmana e magari non sentiti parte integrante dell'Europa che si vuole costruire; non vorrei che questa filosofia prendesse corpo.
Mi pare che in questo caso ci si trovi di fronte alla necessità di riconoscere due diritti tra loro contrastanti: da una parte il diritto di non intervenire sulle questioni interne agli altri Stati, dall'altra il diritto di riconoscere l'autodeterminazione dei popoli e il diritto di garantire la sopravvivenza degli stessi. In questo momento dobbiamo dare peso sicuramente al secondo concetto del diritto, cioè di dare rilievo alla necessità di garantire la sopravvivenza dei popoli senza la quale qualsiasi altra posizione non avrebbe senso. Per questo noi abbiamo cambiato la nostra posizione iniziale, alla luce anche di quanto è successo nell'ultimo periodo. Riteniamo che l'affermazione di questo diritto in questo momento si debba tradurre nella necessità di riconoscere l'indipendenza della Slovenia e della Croazia, seppure a determinate condizioni, che nell'ordine del giorno per brevi accenni esprimiamo, che sono nella sostanza quelle di costituire l'individualità di nuove nazioni; nel riconoscimento delle minorarne che all'interno di queste nazioni comunque esistono, proprio perché, come ha fatto giustamente notare il collega Monticelli, non si possono demarcare con assoluta precisione gli Stati all'interno dei quali esiste una popolazione slovena, croata, serba e via dicendo. La storia vuole che ci sia stata una frammistione fra la cultura, le genti, le etnie e sarebbe impensabile in questo momento creare con nuovi Stati nazionali strutture ghettizzate in cui le minoranze si ritrovino in una posizione subordinata. Se è giusto riconoscere in questo momento la Slovenia e la Croazia bisogna farlo comunque nel momento in cui ci sono delle forti garanzie, affinché le minoranze esistenti all'interno degli Stati vedano tutelati i loro diritti.
L'ultima questione riguarda l'atteggiamento tenuto dall'Europa e dal nostro Governo. Nelle posizioni prese leggiamo una indecisione e una frammentazio-ne delle posizioni che forse nascondono degli interessi politici di tipo individuale, degli orientamenti diversi tra gli Stati membri della CEE che non hanno permesso all'Europa, che si dice essere guida per tutto questo processo di riunificazione dall'Atlantico agli Urali, di assumere una posizione chiara e decisa che era necessaria per impedire la degenerazione del conflitto come avviene in questo momento.
Forse le ragioni della mancata capacità di trovare una posizione comune possono risalire alla necessità per alcuni Stati di non rimettere in discussione la struttura attuale di altri Stati per non dover fare autocritica. Ricordiamo che il riconoscimento esplicito delle realtà, delle etnie, delle culture, e quindi la necessità di tradurre la esigenza di autodeterminazione di alcuni popoli con il riconoscimento delle individualità di Stati, potrebbe portare a conflittualità al proprio interno e a difficoltà di dare risposta, per esempio, alte realtà dei Baschi o degli Irlandesi che da anni giustamente sostengono la loro diversità da un contesto nazionale, all'interno dei quali sono stati forzatamente inclusi, ma che Invece non trovano ancora una piena risposta nella politica che l'Europa sta portando avanti.
La nostra paura è che la marcata chiarezza e la mancata decisionalità della CEE e dell'Europa nel suo complesso siano derivate proprio da questa cronica deficienza dovuta alla difficoltà di proporre all'esterno ciò che non si proponeva perla propria patria. L'ultima questione ripresa nel nostro ordine del giorno è la posizione da tenere sulla questione dell'Istria. Richiamo alcuni articoli apparsi su un giornale in questi giorni che riportano l'opinione di Claudio Gheis, membro della giunta esecutiva dell'Unione degli italiani d'Istria, il quale dice che la proposta di allargare i nostri confini nazionali, recuperando quella parte del territorio, rappresenta quanto di più astorico e irrazionale si possa pensare per risolvere la delicata questione della minoranza italiana in Jugoslavia: non è stata nemmeno presa in considerazione dai 28.000 italiani che abitano la Regione. Giustamente fa notare come la realtà attuale dell'Istria non è semplificativamente identificabile in una maggioranza assoluta degli italiani per cui facilmente si possano spostare i confini.
Claudio Gheis fa notare che fattuale Istria è divisa amministrativamente fra Croazia e Slovenia e che la penisola è abitata da sloveni, croati e italiani, che rappresentano gli elementi etnici di maggioranza, ma anche da serbi, montenegrini, albanesi e macedoni, emigrati negli anni precedenti.
Gli italiani, che prima erano 300.000, oggi non raggiungono il 7% della popolazione totale. Questo per dire che non ha senso riproporre visioni passatiste, ma è necessario riconoscere la pluralità delle culture e delle genti, riconoscendo l'altruità delle altre persone, mentre si dovrebbe proporre - questo è possibile perché esiste una volontà collettiva di non lasciarsi coinvolgere in questo crescere di nazionalismi, in questa conflittualità .- una possibile convivenza pacifica fra le genti riconoscendola diversità degli altri facendone un elemento per poter accrescere la ricchezza complessiva delle genti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, anch'io non apprezzo lo spazio che alcuni organi di stampa hanno voluto dare a qualche "psicofante" che ha ritenuto di acquistare spazio e benemerenze sostenendo che tanto più si è efficienti, tanto più si vota in fretta, quanto meno si pensa, quanto meno si parla, quanto meno si riflette sempre meglio è; l'importante è votare andare a casa per vedere e permettere di vedere la partita: questa è la filosofia dei discorsi fatti.
Ritengo che dobbiamo avere la misura e capire che dobbiamo sempre riflettere, sapendo di non andare oltre, e in qualche misura autocensurarsi ed immaginare che non possiamo invitare e suggerire, quando non siamo in grado né di invitare né di suggerire. Dobbiamo comunque riflettere sempre perché la storia - ed è questa la novità - non ha più, protagonisti e non ha più comprimari Siamo tutti attori della storia. Il villaggio globale s che dal primo cittadino a Bush gli strumenti, di conoscenza, di decisione e di approfondimento sono gli stessi. Prima della CIA è arrivata nel bunker di Bush sicuramente la CNA, come è arrivata a casa mia.
Quindi ognuno di noi, se ritiene di essere non solo elemento attivo di quella che comunque è una funzione dirigente della società, e se intende essere cittadino del suo tempo, non può non riflettere sulle questioni che ci coinvolgono. Soprattutto se una riflessione non superficiale ci consente di leggere come i "maitres a penser" stiano fallendo perché portatori di una cultura che è naufragata sotto i loro occhi. Ricorderete che un anno e mezzo fa si diceva che era finita la storia, non ci si rendeva conto che invece la storia è esplosa. Questo è il nucleo della questione che stiamo affrontando. Esplosione nel senso positivo del termine, esplode la storia come esplode l'energia compressa da una molla, compressa da forze ostili alla sua naturale progressione e sviluppo.
Quindi la mia posizione è molto vicina a quella prudente tenuta dal Consigliere Picchioni, ma soprattutto all'onesta impostazione realistica del collega Monticelli.
La storia è esplosa; si dice che sono finite le ideologie. E' finito un modello? E' finita la massa che comprimeva la molla? Si dice che la molla non c'è più? Non so se il liberismo sia un'ideologia: Non credo perch avere una ideologia significa essere fermi. Sicuramente è un modello, è un modo d'essere dell'uomo, delle società. Questo si sta realizzando. Quello a cui stiamo assistendo e dal quale dobbiamo essere coscienti e consapevoli è che la molla della storia ha ripreso tutta la sua forza dirompente e bisogna avere la capacità di governarla. I processi di liberalizzazione dell'uomo e delle società avviate nei due secoli alle nostre spalle hanno avuto in questo secolo la loro compressione. La molla, liberalizzatrice dell'uomo e delle società ha avuto come massa di compressione i regimi autoritari che erano caratterizzati da forti organizzazioni militari e dall'autarchia economica, che sono la negazione dei principi del 1789 cioè di quelli francesi e della filosofia economica che ha portato quei valori.
La filosofia liberale, quella di questi secoli che adesso sta esplodendo drammaticamente, drammaticamente, riteneva che le guerre fossero un danno perché distruggevano le risorse e ritenevano che le frontiere non avessero più ragion d'essere. La libertà è soprattutto libertà di comunicazione e di trasmissione. Le masse che comprimevano la forza vitale dei processi culturali dei secoli ultimi stanno esplodendo. Occorre quindi avere la capacità - come giustamente ha detto il Consigliere Monticelli - di cogliere alcuni elementi non positivi dei processi, che noi tendiamo a dichiarare positivi. Certo, i nazionalismi vanno ripensati. E' nato prima lo Stato o la nazione? Sicuramente lo Stato. Lo Stato nasce - e mi rivolgo ai pacifisti qui presenti - per garantire la pace all'interno: la difesa all'esterno e per stabilire delle regole economiche all'interno del sistema, che sia una tribù o uno stato più ampio, comunque le prime esigenze poste dalla società furono quelle di non spaccarsi la testa vicendevolmente e di poter seminare o pascolare in equilibrio all'interno del proprio sistema. Quindi prima nasce lo Stato, e poi i consociati di un certo Stato che si danno costumi, tradizioni, credenze, religioni, qualcosa in più di un fatto meramente giuridico del patto sociale che diventa fatto culturale e, qualche volta, affettivo.
Qui sta saltando lo Stato, viene riproposta la nazione, ma contro che cosa e per che cosa? Viene riproposta per impadronirsi, a livello minimale degli elementi positivi, della molla della quale ragionavamo prima lasciando cadere totalmente gli elementi di garanzia, di espansione della molla sulla quale ragioniamo. Nessun sistema da quando si costituirono le tribù e adesso il villaggio globale, può rinunciare a un garante del patto qualunque patto; si cambia la soglia ma il patto rimane. Il garante della pace e dei liberi commerci non può non esserci. Il sistema di anarchie sta crescendo e molte volte le anarchie sono fondate sugli egoismi. Vorrei vedere quanti dei nazionalismi che si stanno rivendicando troverebbero bracci secolari, se non si immaginasse anche che, con l'affermazione della nazionalità, si esce da un sistema economico che è diverso da quello che si sogna, letto attraverso la propria specificità, guarda caso, migliore all'interno del sistema. Non sono le repubbliche povere a chiedere di uscire, sono le repubbliche ricche.
Quindi, dobbiamo immaginare che la nostra generazione dovrà, con realismo ma anche con brutalità, prendere atto che questa molla fa esplodere sia le autarchie sia i sistemi di difesa nazionale e che, almeno a livello di emisfero, disegnerà una grandissima area di libera competizione; la quale non dovrà essere economica, non da ridursi, caro Consigliere Tapparo, al consumismo, che rende tutti omogenei, non è così.
Il liberismo non è soltanto questo. Tutto questo deve essere garantito da un sistema di relazione tra gli stati, le nazioni.
Quindi nella vicenda iugoslava questa questione nasce con tutta evidenza. La CEE è soltanto un organismo di libero mercato, è un'area che ha scelto di uscire dall'autarchia, che ha fatto una scelta di liberalismo è un'area che ha accettato ed ha deciso, in tempi programmati, di rinunciare all'autarchia, cioè alla tutela dei propri strumenti di produzione ed accetta la competizione totale a tutto campo, come è la definizione degli accordi di Roma. Questo organismo, che tende a realizzare il libero mercato a livello planetario, non ha lo strumento per essere anche il garante della pace dello stesso sistema allargato. Questa è la contraddizione e la difficoltà rispetto alle quali si trovano i nostri uomini politici, tutti parlano della CEE dimenticando che quello che si è immaginato nel mondo por garantire il braccio secolare del principe; della tribù, nella moderna società multicontinentale, è l'ONU. L'ONU è improvvisamente sparito da questa vicenda, nessuno ne parla più.
Nasce una lettura realistica. Ormai il mondo si è diviso in due: il mondo occidentalizzato o comunque quello coinvolto nei processi di modernizzazione, compreso il sistema asiatico che si rifà alla Russia, che guarda sostanzialmente ad un modello CEE, e poi esiste il resto del mondo che si trova ancora all'ONU: ma che sostanzialmente è tagliato fuori da questo processo di "velocizzazione" della storia, se questo può servire a far comprendere il termine. E' evidente quindi che ci si trova di fronte ad una carenza totale di strumenti ed è la conseguenza di un ritardo nell'approccio alla problematica.
I maitres a penser che scrivono sui giornali, che cerchiamo di capire al meglio, nel 1989, anziché scrivere che la storia si fermava e che il mondo era congelato, avrebbero dovuto intuire (come deve essere il loro mestiere, non dire il lunedì cosa bisogna fare il sabato, ma dire il lunedì mattina cosa bisogna fare il lunedì pomeriggio) l'esigenza di far crescere il braccio secolare che doveva sovraintendere questo nuovo processo.
Immagino che il Consigliere Leo dirà cose diverse, ma la pace non è mai stata garantita dai pacifisti, è sempre stata garantita dall'autorità del principe. Il principe, il primo della generazione, può essere l'oggetto di una prevaricazione, può essere il selvaggio che depreda la popolazione spoglia le città, violenta le fanciulle, il secondo diventa un sovrano illuminato. Questa è la storia dell'uomo. Del primo ci si dimentica tutti che poi è l'unico che ha fatto qualcosa di serio: e gli altri, che hanno vissuto di rendita, invece sono i principi illuminati. Questa è la storia del mondo. E' evidente che dobbiamo lavorare per far si che il "nuovo principe", quello che deve garantire il sistema nuovo, ma che in qualche misura è la continuità della sospensione della storia (dagli anni'20 ad oggi abbiamo assistito alla sospensione della storia e non alla storia) sia il più possibile illuminato, partecipato e democratico.
Nella vicenda della Jugoslavia non si può non immaginare, fin da subito, che ci sia il senso del principe e che quindi qualsiasi forma d'intervento del sistema degli Stati (lasciamo da parte la CEE) perch rimuova il massacro della gente, non può non esserci. E' incredibile immaginare di pensare che la Jugoslavia possa ripensarsi e ricostruirsi in termini istituzionali, all'interno di uno scenario CEE (visto che quella è solo una dimensione di libero mercato), se all'interno dello stesso scenario non trova anche il principe garante del nuovo sistema che si dà.
Mi rendo conto che è difficile suggerire qualcosa a chi ha più responsabilità di noi. Mi sembra però difficile immaginare una prospezione che realisticamente immagina lo sviluppo di questi fenomeni in una realtà soprannazionale, che per comodità chiamiamo CEE; ma che dovremo chiamare in modo diverso, se non avremo il coraggio di prendere atto che il sistema degli Stati deve ricostituire il braccio armato per far rispettare le condizioni del sistema della convivenza a livello mondiale. Altrimenti - ha ragione il Consigliere Monticelli - prevarranno gli egoismi, prevarrà la mancanza di solidarietà, e sicuramente ci sarà una continuazione di diaspore in cui - e l'ha detto bene il Consigliere Picchioni - sono i più ricchi che si vogliono staccare, perché non vogliono avere niente a che fare con i più deboli. Non sono la Basilicata o la Lucania che vogliono diventare autonomi, ma sono i "riccastri" della Valle d'Aosta. Questa situazione probabilmente sta succedendo anche in Jugoslavia.
Normalmente, per capire chi è bravo e chi è cattivo, non guardo chi ha il fucile in mano e chi muore, perché muoiono I buoni e muoiono i cattivi.
La posizione assunta dalla CEE su questo è molto misurata, mentre i nostri giornali si sono innamorati di Zagabria, anche perché è una bella città e ci sono belle ragazze. E, guarda caso, i serbi hanno anche foneticamente qualcosa che non piace. A Zagabria invece ci sono stati tutti in ferie, si sono innamorati, hanno trascorso magari la luna di miele quindi, improvvisamente si dimentica che l'esercito federale viene assediato, gli si tagliano i fili della luce e l'acqua.
Ripeto, non sono in grado di esprimere giudizi, dico solo che un lavoro politico va fatto nella consapevolezza - e questo vale anche per la nostra Regione - che la storia ha ripreso il suo corso e non si è fermata.
Dobbiamo immaginare che il suo corso non sarà ordinariamente, ma - come si dice in fisica - progressivamente accelerato, che tende a diventare sempre più veloce. Dobbiamo abituarci anche culturalmente, come partiti e come persone, ad attrezzarci per riuscire a tenere sotto controllo o quanto meno, sotto osservazione e comprensione fenomeniche in passato avevano tempi lunghi.
Ci insegna Socrate che è un singolo che vive in un gregge e che, da quando si è costituito il primo nucleo sociale con il principe capo tribù ha sempre avuto il problema di garantire il suo sviluppo all'interno del sistema ordinato. Quindi quando arriveremo alla società mondiale, e magari l'uomo si confronterà con gli alieni, avrà sempre lo stesso problema di garantire lo sviluppo dell'uomo.
Chi garantisce il sistema ordinato e lo sviluppo dell'uomo è un'autorità. L'autorità statale se ne è andata e non possiamo immaginare che questo si ricostituisca attraverso i nazionalismi, perché i nazionalismi sono le conseguenze degli stati che sono andati distrutti e tendono a macerarsi per conto loro.
Finito lo Stato, finiti 1 legami di ordine giuridico, anche i legami di ordine culturale nel bilancio globale andranno riducendosi. Siamo tutti entusiasti della statua di Michelangelo, ma se avessimo modo di girare di più il mondo e vivere le civiltà dell'Oriente così come viviamo le nostre la nostra non sarebbe considerata la cultura di una piccola isola del Mediterraneo, ma una cultura diversa.
Che cosa vuol dire l'affettivo? Quando si viaggia in aeroplano, non si misura più come si misurava una volta con "alterno perle", un passo dopo l'altro, quindi quello che si riusciva a percorrere in una giornata qualche chilometro, era il mondo al quale ci si legava.
li mondo ormai è il villaggio globale, qualunque messaggio esca di qui dovrà stare nella linea della consapevolezza di questi processi.
La fine del comunismo non deve essere intesa come ideologia, ma come elemento che ha compresso per molto tempo e in una grande parte del mondo lo sviluppo delle tendenze insite nell'uomo che Il primo '700 e il primo '800 avevano realizzato e che adesso riprendono in quei Paesi il loro corso con forza dirompente.
Il nostro Governo deve capire che non può non muoversi a livello internazionale per la crescita del principe che garantisca l'equilibrio e la sicurezza dei cittadini in questo processo drammatico, proprio per recuperare quegli elementi di solidarietà che in futuro diventeranno molto più importanti di quanto non fossero in passato, perché in una economia autarchica, chiusa, non c'è bisogno della solidarietà, perché c'è la povertà per tutti e si è tutti sotto un principe.
In un sistema aperto, invece, come quello che abbiamo la fortuna di avere riscoperto, la competizione tra individui, tra società e tra gruppi è violenta, quindi il principe che garantisca la sicurezza all'esterno e anche la pacificazione e l'equilibrio interni deve essere ancora più importante. E' un paradosso, ma per governare le dittature servono anche gli imbecilli, e la storia ce lo dimostra, mentre per governare le democrazie e ornai il mondo sta diventando una democrazia, ci vogliono persone illuminate.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Leo.



LEO Giampiero

Il mio intervento è l'ultimo e sarà il più breve, anche perché la posizione della DC è stata pienamente e riccamente espressa dal Capogruppo Picchioni e dal Consigliere Peano, nelle cui posizioni mi riconosco.
Farò soltanto una considerazione e, siccome cerco di essere concreto due proposte. La prima considerazione è che va tutto bene, bisogna per fermare il massacro.
Posso non essere d'accordo con il Consigliere Marchini, anche se lo ascolto sempre volentieri; giuro però di non essere influenzato da nessuna ragazza croata; ho più timore di mia moglie che dell'intera armata federale jugoslava! Quello che bisogna assolutamente fare è attivarci per dire, in chiave europea certo, un serio sì alla pace e allo stop del massacro.
Mi pare che la proposta del Consigliere Cucco di convocare il Comitato di solidarietà e di farlo funzionare sia un atteggiamento non minimale, ma concreto, realistico, umano e intelligente; mi pare che la proposta di Chiezzi, della quale parlavo con il collega Peano che la condivide, di aderire alla Carovana per la pace sia un altro segno concreto. Immediato tangibile e percepibile, quindi noi la facciamo nostra.
Mi pare anche - e lo chiedo al Presidente della Giunta - che la Commissione per la cooperazione internazionale in cui siamo stati nominati (che i colleghi mi chiedono sempre di richiamare) venga convocata perch l'urgenza degli sconvolgimenti mondiali rendono importante un luogo operativo di sostegno alle iniziative di pace.
Non so se il mio sia stato un contributo per la pace, sicuramente, non ho tormentato troppo il Consiglio.



PRESIDENTE

Desidero informare anticipatamente il Consiglio che senz'altro accoglierò la richiesta di convocare il Comitato di solidarietà, com'era già nei programmi, come esigenza assolutamente imprescindibile, e che 11 prossimo mercoledì, alle ore 17,30. è convocata la Consulta europea che avrà all'o.d.g., i temi che stamattina abbiamo discusso. I lavori riprenderanno alle ore 15,00.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,50)



< torna indietro