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Dettaglio seduta n.72 del 18/06/91 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta é aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione dei verbali delle precedenti sedute", i processi verbali delle adunanze del 5, 6 e 12 marzo 1991 verranno messi in votazione nella prossima seduta consiliare.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 2) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bergoglio, Buzio, Coppo, Cucco Dameri, Maccari, Penasso, Riba, Rivalta.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge vistati dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

d) Apposizione visto per decorrenza dei termini


PRESIDENTE

E' stato apposto il visto per decorrenza dei termini alla L.R. del 28/5/1991 "Disposizioni finanziarie per gli anni 1991/92 - Integrazioni alla legge regionale 23/4/1990 n. 39".


Argomento: Gruppi consiliari

Costituzione del Gruppo Rifondazione Comunista


PRESIDENTE

Informo il Consiglio regionale di avere ricevuto una lettera in data 12 6/ 1991 dal Consigliere Chiezzi nella quale comunica la costituzione del Gruppo Rifondazione Comunista, a norma dell'art. 13 del Regolamento interno del Consiglio regionale. In data 17/6/1991, l'Ufficio di Presidenza ha preso atto della costituzione di tale Gruppo e augura al Consigliere Chiezzi buon lavoro.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sull'occupazione in Piemonte e ordini del giorno collegati


PRESIDENTE

Il punto 3) all'o.d.g. reca: "Dibattito sull'occupazione in Piemonte e ordini del giorno collegati". Devo informare che sono stati presentati diversi-ordini del giorno e diverse interrogazioni attinenti alle problematiche dell'occupazione. L'Assessore Cerchio nella sua relazione introduttiva al dibattito, che mi auguro venga seguito con attenzione, darà una serie di risposte alle interrogazioni, seppure per cenni riassuntivi.
Il testo delle risposte alle interrogazioni é pronto e l'Assessore Cerchio lo consegnerà scritto ai Consiglieri.
Verranno discussi: l'ordine del giorno sulla RAI firmato da Monticelli Ferrara e Tapparo, come convenuto nella Conferenza dei Capigruppo; un ordine del giorno specifico sui temi del lavoro, firmato da Marengo ed altri; un ordine del giorno, firmato Chiezzi e Maggiorotti, sempre sulla RAI.
Mi é stato consegnato in questo momento un ordine del giorno presentato dal Consigliere Chiezzi inerente le tematiche complessive del lavoro, che verrà posto in discussione con gli altri documenti che via via perverranno alla Presidenza e che saranno connessi con questo argomento.
Anticipo che verrà messo anche in discussione un ordine del giorno dell'Assessore Cerchio relativo alla problematica del lavoro a domicilio nella zona di Settimo: Prego l'Assessore Cerchio di prendere la parola per la relazione introduttiva.



CERCHIO Giuseppe, Assessore al lavoro

Per analizzare le problematiche occupazionali, occorre partire dal quadro economico nazionale e internazionale. L'andamento economico produttivo e occupazionale del sistema imprenditoriale piemontese risente in questa fase, di un contesto esterno che é destinato ad influire in modo crescente nei prossimi anni, non fosse altro che per il progredire della integrazione dei mercati.
Il quadro economico si presenta caratterizzato da alcuni elementi negativi ben noti, che sono, in primo luogo, il pesante deficit pubblico l'inflazione, che si mantiene su livelli di alcuni punti superiori a quella degli altri Paesi concorrenti, l'andamento negativo della bilancia commerciale. Inoltre, il costo del lavoro elevato da oneri impropri problema per la cui soluzione é necessario un accordo negoziato fra le parti sociali che non penalizzi innanzitutto i lavoratori, e la difficoltà di finanziamento a costi convenienti, appesantiscono le imprese nei confronti della concorrenza estera, riducendone la competitività. Ne conseguono la perdita di una certa competitività del sistema imprenditoriale e la depressione dei livelli della produzione industriale destinate a ripercuotersi, negativamente, sull'occupazione nell'industria.
Anche le economie degli altri Paesi industriali sono ancora in una fase difficile; con le consuete eccezioni del Giappone e della Germania quest'ultima peraltro comincia a sentire il peso economico e sociale della unificazione.
Alcuni segnali - anche se la previsione e l'indicazione dei punti interrogativi in questo argomento sono ancora problematici - sembrano indicare che l'economia internazionale potrebbe lentamente avviarsi verso quella ripresa che gli esperti hanno previsto per l'ultima fase dell'anno o l'inizio dell'anno prossimo.
La ripresa dell'economia internazionale potrebbe avere ripercussioni positive nei nostri confronti, ma e evidente come la diversa situazione italiana non consenta di essere molto ottimisti sulle prospettive immediate del nostro sistema industriale.
Per il Piemonte, oltre a queste considerazioni, é da tenere presente un problema specifico. Le sue imprese più importanti e più qualificate operano innanzitutto in settori nei quali i mercati stanno diventando sempre più internazionalmente aperti e globali, ove la concorrenza sta diventando forte e dove é in atto un vero e proprio processo di ristrutturazione degli assetti di mercato. Le grandi imprese motrici della Regione operano prevalentemente proprio nei settori (si pensi all'elettronica e all'auto) che stanno attraversando; a livello internazionale, un momento molto difficile.
Sebbene negli ultimi mesi siano aumentati i segnali di difficoltà occupazionale, il dato medio dell'occupazione (+0,8%) relativo al 1990 risulta complessivamente positivo, almeno nel confronto con l'anno precedente, ma se si fa riferimento all'aumento contestuale a livello nazionale (+ 1,5%) risulta evidente che la Regione Piemonte, regione industriale e industrializzata, presenta un momento di particolare difficoltà sul piano congiunturale e ormai anche sul piano strutturale poiché il suo é un aumento molto ridotto nel rapporto comparato con l'aumento nazionale.
La disaggregazione settoriale mette in evidenza una stazionalità dell'occupazione nell'industria, una riduzione dell'agricoltura, mentre si registra un incremento quasi interamente legato all'occupazione femminile nel settore del terziario. Questo primo quadro va però rivisto e corretto sulla base di altri indicatori; innanzitutto la Cassa Integrazione che, al di là di quella ordinaria, ampiamente aumentata, mostra anche un notevole incremento nel ricorso alla straordinaria. E tutto ciò in controtendenza con quanto negli ultimi cinque o sei anni si era determinato, attraverso la ripresa degli investimenti del sistema delle imprese stesse e quindi dell'occupazione.
E se in alcuni casi (ad esempio l'Olivetti) l'utilizzo a rotazione della Cassa Integrazione appare comunque come indicativo di una volontà di non drammatizzazione e di non discriminazione, risulta, tuttavia, diffuso il ricorso alla Cassa Integrazione speciale a zero ore che, nel linguaggio "sindacale" corrente si traduce nel termine "eccedenze", cioè disoccupazione mascherata.
Nella sola provincia di Torino, fonti sindacali indicano in circa 10.000 il numero degli eccedenti, alla fine del 1990, e nella regione all'incirca in 15.000 unità. Anche se questa informazione ha un valore puramente indicativo, tuttavia essa ci permette di affermare che, poiché i dati ISTAT non registrano i cassintegrati in quanto tali e li computano fra gli occupati, il quadro occupazionale relativo all'industria va corretto nel senso che al decremento del lavoro autonomo nel settore si associa una sostanziale stazionarietà della occupazione dipendente.
Un altro indicatore negativo riguarda i flussi di nuova occupazione registrati dal Collocamento pubblico. Infatti, le procedure di avviamento si riducono in un anno nell'industria del 13,4%.
Accanto a queste tendenze negative, relative all'industria, emerge un certo meccanismo riequilibrativo - come dicevo poc'anzi - che parte dal terziario: 30.000 occupati in più in un anno, per lo più donne. Gli indicatori sulla domanda di lavoro, e sull'occupazione industriale tendono al brutto, anche se il terziario si mostra per il momento in grado di continuare nella crescita e quindi, in qualche misura; di compensare la riduzione occupazionale dell'industria. Naturalmente, se la crisi dell'industria dovesse ulteriormente aggravarsi e se il terziario non dovesse più tenere, le ricadute sarebbero più pesanti anche sull'offerta del lavoro. Quali le prospettive dell'occupazione nell'industria? Mi riferisco prevalentemente, ma non esclusivamente, a tre settori: quello dell'auto, quello dell'elettronica e quello del tessile, tre settori per il cui andamento continuano ad esistere forti elementi di preoccupazione soprattutto se si considera il loro peso in termini economici ed occupazionali nella economia regionale, se si considera la loro concentrazione in determinate aree territoriali, della cui economia costituiscono elemento portante, e se si considera l'evoluzione in atto nei mercati internazionali, nei quali le imprese che operano in questi settori devono difendere le loro quote di mercato che rappresentano una parte importante della loro produzione.
Ciò non significa che elementi di preoccupazione non siano presenti anche per l'andamento di altri comparti o per la situazione di altre aree territoriali. Basti pensare, ad esempio, al settore della gomma, con le sue localizzazioni nelle province di Cuneo, di Alessandria e di Torino, che risente direttamente della grave crisi che coinvolge il mercato dei veicoli; basti pensare al comparto delle macchine utensili che già nell'anno passato ha registrato un forte calo di commesse; basti pensare all'industria chimica dell'alto Novarese, in particolare per quanto riguarda le prospettive dello stabilimento Enichem di Villadossola e quello funzionalmente collegato di Pieve Vergonte e al programma del business plan, presentato dall'Enichem, che preoccupa in misura non indifferente sul quale abbiamo espresso una valutazione negativa. Darò in proposito una risposta più dettagliata ad un'interrogazione del collega Consigliere Goglio.
Basti pensare al comparto degli elettrodomestici con riferimento alla nota vicenda Indesit che, anche per la parte di continuità aziendale assicurata dall'imprenditore Merloni, ha evidenziato l'esigenza di nuove ristrutturazioni con ricorso, anche per questa parte, alla Cassa Integrazione e alle vicende dell'Aspera con problemi di eccedenze di personale negli stabilimenti di Chieri e di Torino; basti pensare alla industria vitivinicola dell'Astigiano, interessata da profondi processi di ristrutturazione degli assetti proprietari e produttivi che vedono in campo, specie ultimamente, importanti gruppi stranieri; basti pensare, ma non é purtroppo l'ultimo comparto, all'industria delle penne a sfera piccolo ma significativo, in questa realtà territoriale.
Rimandando alla relazione scritta per il dettaglio di questi argomenti approfondirò i tre settori in difficoltà, come ho detto, che sono il tessile, l'auto e l'informatica.
Il settore tessile, già nei primi mesi del '90, denunciava segnali preoccupanti: da un lato, la, flessione del mercato nazionale, dall'altro il rallentamento, registrato nella raccolta di ordinativi per le prossime stagioni.
Purtroppo, a queste prime indicazioni fecero seguito alcune manifestazioni concrete di crisi aziendali: coinvolgendo alcune grandi aziende e mettendo in pericolo l'economia di intere aree territoriali. In Piemonte, l'area biellese é per eccellenza un'area tessile ed é in quella zona che, in modo particolare, le crisi aziendali hanno superato la loro valenza specifica, proiettando la negatività della situazione di crisi sul territorio.
Dall'inizio del 1990 hanno cessato l'attività in quella zona 14 filature, mentre altre 12 sono state coinvolte in procedure concorsuali ulteriori 18 aziende hanno effettuato consistenti riduzioni di personale mentre molte altre prevedono analoghi provvedimenti. I lavoratori finora colpiti sono stati circa 2500, ma da questa cifra sono esclusi gli addetti delle piccole aziende artigiane e terziarie.
Anche in altre aree a vocazione tessile la crisi si manifesta in modo concreto, ad esempio, nel Chierese, dove sono in corso ristrutturazioni industriali che penalizzano fortemente l'occupazione. Nell'intesa raggiunta presso l'Ufficio Regionale del Lavoro sulla crisi laniera, ed in altri interventi successivi a livello ministeriale, le parti sociali hanno richiesto l'attivazione di tutti gli interventi possibili a sostegno della struttura produttiva, sia sul piano finanziario sia su quello della politica industriale sia per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali da estendersi anche alle imprese minori ed artigiane.
A tutt'oggi, gli unici obiettivi raggiunti sembrano essere quello di aver ottenuto una maggiore apertura di credito da parte delle istituzioni creditizie dell'area biellese e la decisione del CIDI di esaminare le richieste di Cassa Integrazione Straordinaria di quell'area in termini globali, riconoscendo così la possibilità di ammissione all'istituto della Cassa Integrazione anche alle aziende con meno di 50 addetti.
Circa il settore automobilistico, il mercato mondiale di questo comparto ha conosciuto, negli anni che vanno dal 1985 fino ai primi mesi del 1990, uno sviluppo della domanda can un tasso di crescita mediamente del 9% annuo. L'inversione di tendenza si é registrata intorno alla metà degli anni '90, con un progressivo, pericoloso aggravamento nel secondo semestre del medesimo anno.
Le difficoltà di tenuta delle marche nazionali sono anche da ricercare nella concomitanza di novità di produzione ed alle opportunità di scelta più vaste sul fronte delle vetture straniere rispetto ad un parco nazionale più statico.
Questa situazione non ha potuto non avere conseguenze sull'attività produttiva del Gruppo FIAT, che con i suoi tre marchi, FIAT, Lancia e Alfa Romeo, è (azienda che, detiene in modo quasi esclusivo la produzione automobilistica nazionale e che ha in Piemonte circa il 50% della propria capacità produttiva (55.000 addetti nella sola provincia di Torino) mentre l altra metà e dislocata in altre regioni, in particolare nell'area del Mezzogiorno.
Conseguentemente la FIAT ha dovuto riequilibrare la produzione alla domanda, facendo ricorso alla Cassa Integrazione sia nell'autunno del 1990 sia nel primo periodo del 1991.
Anche il comparto dei veicoli industriali, così come quello dell'automobile, segna una battuta d'arresto. La fase di crescita del mercato, iniziata intorno al 1985, è proseguita fino al 1990, anno In cui si è avuta una svolta, con un calo totale della domanda, relativa all'Europa occidentale, del 4%.
La riduzione del mercato è stata più marcata nella seconda metà degli anni '80.
In Piemonte, l'IVECO possiede la gran parte della propria capacità produttiva e occupa circa 11.500 persone, nella sola provincia di Torino.
L'intero contesto ha riflessi immediati sulla produzione e conseguentemente, sui livelli occupazionali. La contrazione del mercato ha determinato un acuirsi della concorrenza fra i produttori, con pesanti conseguenze sulla redditività aziendale.
L'IVECO ha siglato nei mesi scorsi con le OO. SS, un accordo che prevede la ristrutturazione aziendale, il trasferimento del nucleo principale di Stura di produzioni tecnologicamente più vecchie e redistribuzioni di produzioni con altri centri di produzione europei.
Dall'accordo esce con chiarezza la volontà di qualificazione delle produzioni con un forte Impegno, da parte della FIAT, con investimenti di circa 4.000 miliardi in tre anni.
Questi aspetti positivi sono pero controbilanciati dalla evidenziazione di una eccedenza strutturale di personale di circa 2.000 unità nell'area torinese.
L'accordo prevede il ricorso ai tradizionali ammortizzatori sociali (che, seppur necessari, non sono certo la prospettiva di un rilancio) con modalità che si auspicano analoghe a quelle adottate dall'Olivetti, con, in parallelo, interventi di riqualificazione professionale, collocamento all'esterno di quote di lavoratori non che l'impegno da parte della Regione Piemonte per facilitare la riuscita del piano di ristrutturazione.
Sul piano occupazionale l'intero settore automobilistico allargato complessivo cioè del metallurgico, dell'indotto, dava risultati significativi negli anni scorsi, anche se negli ultimissimi anni si è determinato un calo, perlomeno nell'occupazione se non del numero delle aziende.
Inoltre, le crisi e le ristrutturazioni note alla Regione Piemonte, se non altro come tavolo di confronto delle parti sociali, fanno ritenere che sia in corso una nuova, purtroppo difficile, fase di ristrutturazione, che tocca sia i principali gruppi della componentistica sia molte piccole e medie aziende, e che mette in discussione, con diverse entità e con una pluralità di motivazioni tecniche, posti di lavoro per almeno 7.000/8.000 unità.
Ovviamente, non si parla di licenziamenti, se non in rari casi, ma di alleggerimenti di eccedenze che, comunque, rappresentano una perdita di opportunità occupazionali per la nostra regione.
Passando ad un'analisi più dettagliata dei grandi poli territoriali della componentistica e della metallurgica per l'auto, non si possono non citare le grandi perdite occupazionali realizzate dal 1986 sino ad oggi nella siderurgica torinese finalizzata all'auto: circa 2.700 posti di lavoro alla Teksid di Avigliana, di cui sopravvivono solamente alcune centinaia di lavoratori, per lo più decentrate in altri gruppi; alla Riv SKF, a seguito della grande ristrutturazione terminata solo in questi mesi alla Altissimo, le cui vicende di rilocalizzazione sono fonte di forte preoccupazione.
Per quanto riguarda il Canavese, particolarmente caratterizzato dal settore tipico dello stampaggio a caldo, frazionato in molte piccole e medie aziende, una valutazione prudenziale può far ritenere che (avvenuta ristrutturazione abbia provocato un calo attribuibile al settore autoveicoli di oltre 1.000 unità lavorative.
Un altro polo importante della componentistica e dell'indotto auto è quello astigiano; ove sono state toccate dalla ristrutturazione sette od otto aziende particolarmente significative, collocate nei più vari comparti dell'universo automobilistico, fra le cui le due principali, la Weber e la Way Assauto che, da sole, fatturano circa il 70% dell'intera componentistica astigiana.
Per quanto riguarda le province di Cuneo e di Alessandria, le principali preoccupazioni derivano dal gruppo Michelin, che perdendo nel 1990 ben 1.160 miliardi, ha avviato una ristrutturazione a livello internazionale, che comporta una riduzione della manodopera di circa un quarto degli organici.
Quella che appare forse più stabile è la componentistica presente nel Novarese, che gravita sia sul polo FIAT-Lancia di Torino sia sugli stabilimenti Alfa Romeo di Milano.
Pur nel caso di una sostanziale tenuta del mercato, la componentistica dovrà misurarsi con le seguenti tendenze: a) crescente livello di integrazione del ciclo produttivo automobilistico b) incremento della qualità dei componenti, richiesta anche dalla scelta della qualità totale e della loro ricchezza tecnologica c) ulteriore diffusione del metodo di fornitura just in time d) internazionalizzazione dei mercati che accentua i termini della concorrenza. La componentistica piemontese sta inoltre scontando la necessità della FIAT di sforzare la componentistica al sud d'Italia.
Che il momento sia difficile, che il percorso sia in salita più di quanto rilevino i dati strettamente produttivi, lo dimostrano anche gli andamenti economici dei grandi gruppi della componentistica presenti in Piemonte. Al di là del gruppo ITT, che da anni ripiana all'Altissimo e alla Way Assauto ingenti deficit, anche gruppi leader, quali Gilardini, Valeo Macelli presentano problemi, sia pure diversi caso per caso. Il fatto che questi colossi registrino momenti di utili non eccessivi come negli anni passati, e un sensore significativo. Se hanno criticità non trascurabili possiamo immaginare quali difficoltà possano incontrare i piccoli e i medi componentisti, che talvolta scarseggiano di risorse sia finanziarie che tecniche.
Per il terzo settore, il settore informatico, a cui ho fatto riferimento e che indico per titoli e per grandi capitoli, rimandando alla relazione scritta, devo dire che l'industria europea, penalizzata dall'andamento del cambio che ha fortemente avvantaggiato americani e giapponesi ha subito rilevanti contraccolpi.
Nel 1990 le perdite sono giunte sino al 10-15%0 del fatturato. Il Gruppo Olivetti per poter affrontare con successo le rapide trasformazioni ha avviato negli ultimi anni un profondo processo di ristrutturazione organizzativa al fine di ottimizzare le diverse fasi del ciclo prodotto ridurre i costi, migliorare la propria capacità di offerta con strutture specializzate per rispondere alle richieste dell'utenza.
Ciò ha comportato l'obiettivo di un taglio occupazionale di circa 7.000 unità di cui 4.000 in Italia e 2.200 nel Canavese.
La ristrutturazione del settore ha toccato il Canavese anche per quanto riguarda lo stabilimento della Bull di Caluso, che sta drasticamente ristrutturando per recuperare le forti perdite, sia concentrando le produzioni più remunerative in Francia, sia tagliando i cosiddetti "rami secchi". Conseguentemente lo stabilimento di Caluso si dimezza sia sul piano produttivo sia su quello occupazionale (rimarranno indicativamente 250/300 dipendenti).
L'impatto di questi processi di ristrutturazione sulla struttura produttiva dell'area canavesana ed in genere sulla provincia di Torino e aree limitrofe, seppur attutito da una serie di "garanzie" sociali e da un rapporto aperto con 11 sindacato, é stato senza dubbio rilevante (gli addetti alla Olivetti e alla Bull rappresentano più di un quarto della forza lavoro del Canavese).
Tale processo si é poi verificato in un momento particolarmente delicato per lo sviluppo locale, in lenta ma costante trasformazione da una economia essenzialmente monoindustriale, ad un modello di sviluppo economico più aperto, più integrato con il contesto regionale e maggiormente diversificato. Diversificazione che però ha creato la sovrapposizione di problemi fra diversi comparti produttivi. Non si può non ricordare come il Canavese abbia già risentito della crisi dello stampaggio a caldo, ulteriormente aggravata dalla crisi dell'auto; che tale attività alimenta in parte considerevole.
In tal senso, ai problemi direttamente di carattere occupazionale si aggiunta la necessità, soprattutto da parte dell'operatore pubblico, di sostenere e di incentivare la parziale riconversione del tessuto produttivo e dei servizi locali attraverso lo stimolo di processi di: trasferimento e diffusione dell'innovazione tecnologica ristrutturazione e riorientamento dell'indotto informativo massicci investimenti in formazione professionale, in job creation ed entrapreneurship.
Non si tratta quindi di "giocare in difesa" con politiche assistenzialistiche o tampone, ma di rilanciare; anche attraverso lo strumento dei fondi strutturali, lo sviluppo di un'area; forse unica in Italia, per le elevate potenzialità delle risorse tecnologiche e scientifiche ed innovative esistenti.
La Regione Piemonte si è mossa richiedendo al Governo di svolgere un efficace ruolo di coordinamento della commessa pubblica in campo informatico. Non sollecitiamo nulla di meramente assistenziale: ci pare però di poter affermare che l'accelerazione della informatizzazione della Pubblica Amministrazione risponda a un'esigenza di efficacia e di efficienza e non derivi dal voler creare a tutti i costi commesse aggiuntive. Nella P.A, la legge 241/90, che impone di rendere conto ai cittadini dei tempi operativi, necessita anche quella della accelerazione informatica.
In questo senso anche quella parte degli accordi ministeriali e sindacali che prevedono la mobilità verso la P.A, potrebbe diventare una operazione, oltreché di difficile realizzazione, di assistenzialismo mascherato se non si ponesse attenzione alle professionalità. Potrebbe invece rappresentare un momento innovativo se si desse vita ad una mobilità mirata al sostegno professionale della informatizzazione della P.A.
Ho parlato del tessile, dell'auto e dell'informatica, tranne tre settori particolari, ma la incertezza e la preoccupazione per l'immediato futuro riguarda peraltro un po' tutti i settori e tutto il territorio regionale anche se con specificità e consistenze diverse.
I segnali di crisi, già evidenti nella seconda metà dell'anno passato che avevamo evidenziato con attenzione e tavoli di confronto fin dall'agosto scorso, risultano purtroppo confermati.
Non tutto naturalmente é negativo. Anche in questa fase che vede oramai invertito il ciclo economico, non mancano imprese piccole e grandi con buone e talora ottime performance; quello che conta però é il quadro complessivo e cioè i dati negativi dei mesi appena passati e le previsioni ancor più negative, per quelli prossimi, con gli inevitabili effetti in particolare sui livelli occupazionali.
Si potrebbe osservare tuttavia che una fase negativa, dopo anni di risultati positivi, per un fatto ciclico di andamento, rientra nella normale alternanza dei cicli economici e che la ripresa della economia, a livello internazionale, potrebbe far sentire nei prossimi mesi quegli effetti positivi a cui molti fanno riferimento (ma non sempre i dati sono riferimento di certezza).
Ciò é in parte vero. Giocano però in senso contrario almeno due ordini di fattori, vincoli interni (costo del lavoro e del denaro) ed esterni (stato della finanza pubblica e inadeguatezza o difficoltà dei servizi e delle strutture) che appesantiscono le imprese italiane. In seconda misura la debolezza strutturale del nostro sistema nel momento in cui si aprono i mercati europei e la competitività diventa ancora più forte.
Potrebbe allora succedere, se non si interviene su questi fattori, che la fase negativa si allunghi più del previsto e che gli effetti sulla occupazione diventino pesantissimi.
La preoccupazione perla tenuta dei livelli occupazionali nell'immediato futuro si accompagna ad una amara constatazione e cioè che neppure gli anni passati con positivi economici (ricordo gli anni 1984, 1985 e 1990: calo precipitoso della cassa integrazione, sensore quindi del fatto di un miglioramento) hanno consentito di affrontare in modo risolutivo alcuni nodi occupazionali tuttora aperti.
Sono ancora aperti e magari fra qualche settimana avremo nei nostri palazzi le code difficili delle pesanti ristrutturazioni degli anni'80 (leggasi Indesit). Fra questi mi limito a ricordare il nodo costituito dai lavoratori espulsi dai processi produttivi e da tempo in cassa integrazione (Cent, Indesit e quant'altri) che rappresentano i gruppi numericamente più corsi - stenti, ma non certo i soli.
Per questi lavoratori rimane aperto il problema di una ricollocazione che richiede una disponibilità ad affrontare il problema da parte degli imprenditori.
Possiamo qualificare, possiamo riconvertire; possiamo fare sforzi non indifferenti come istituzioni, ma certo poi il terminale è il sistema delle imprese che, pur coinvolto, pur stimolato, deve dare alcune risposte di sensibilità.
Il D.M, del marzo '91, attuativo della legge 407 di cui auspichiamo una rapida ricaduta operativa, ha creato ora le premesse per ricercare una soluzione. La normativa prevede infatti agevolazioni per i datori di lavoro che assumono soggetti in Cassa Integrazione a lungo periodo, nonché una riserva di posti a loro favore nei ruoli della Pubblica Amministrazione.
Da ultimo voglio ricordare come gli anni passati abbiano visto accentuarsi il declino industriale nelle aree alpine, con perdita di posti di lavoro e crescita del pendolarismo verso le aree di pianura sottolineiamo questo problema perché ha implicazioni non solo occupazionali, ma di ordine economico e sociale più generale.
Riteniamo necessari provvedimenti norma-tivi che rendano nuovamente interessante la rilocalizzazione o la localizzazione in quelle aree di imprese di dimensione e di attività compatibili con il territorio e l'ambiente in cui vanno ad insediarsi. Ancora una volta, come sempre avviene quando si affrontano problemi occupazionali, nuovi e concreti elementi di preoccupazione si affiancano a problemi vecchi e socialmente che non hanno ancora trovato soluzione.
Quale può essere allora il ruolo della Regione e degli Enti locali, a fronte della situazione che abbiamo descritto, anche se si tratta di problemi che vanno ben al di là dell'ambito regionale.
Un ruolo più Incisivo, comunque, potrebbe essere svolto dalle Regioni se venissero riviste le loro competenze in materia, oggi limitate e frazionate. Mi rendo conto che l'art. 117 della Costituzione non pone titolarità e competenza in tema normativo e legislativo sulle politiche industriali e pone scarsi ambiti di azione sulle politiche attive del lavoro. Se era vero che quaranta, cinquant'anni fa, nella fase di ricostruzione del Paese, era giusto che in tema di politiche industriali si mantenessero a livello centralizzato questi compiti, è necessario oggi negli anni 2000, pensare ad un ruolo diverso.
A livello nazionale è necessaria una maggiore attenzione, alle condizioni della nostra industria e al sostegno dell'occupazione, superando anche talune semplificazioni come quella che in passato faceva solitamente dire: "Il Piemonte è una regione industriale, è una regione forte autosufficiente e capace di risolvere al suo interno i problemi".
Queste osservazioni assumono maggior valore se si pensa che il Piemonte, essendo localizzata in questa regione la stragrande maggioranza dei gruppi industriali italiani, paga maggiormente una situazione di difficoltà congiunturale e strutturale. Non si dimentichi che il tasso di disoccupazione in Piemonte è il più elevato delle regioni del nord.
Prima di affrontare il discorso sugli strumenti e le politiche regionali, vorrei telegraficamente richiamare alcune risposte ad una serie di interrogazioni, risposte che verranno peraltro date anche per iscritto.
Mi riferisco alle interrogazioni n. 525 dei Consiglieri Foco e Marengo e alla n. 598 di Cavallera sulla situazione della Morteo. Dopo aver avuto nelle scorse settimane un vivace confronto con l'IRI, abbiamo attivato un primo incontro con la nuova dirigenza della Morteo. La società ha rinnovato i propri vertici aziendali, i quali elaboreremo, prima delle ferie di quest'anno, un piano industriale orientato verso i prodotti con maggiore valore aggiunto.
Detto piano verrà presentato in Regione, con dichiarazione della nuova dirigenza dell'azienda, e sarà cura di questo Assessorato dame notizia ai colleghi. Tale piano di reintervento prevede, soprattutto sul livello degli impiegati, alcuni cali occupazionali. Al Consigliere Goglio ho già risposto nella prima parte del mio intervento, ma gli darò una risposta scritta più dettagliata sul rischio di un'operazione di ristrutturazione della chimica pubblica in Piemonte da parte dell'Enichem.
Alla Lega Nord devo rispondere in merito alla Manifattura di Strambino che attraversa una grave crisi legata all'andamento del tessile di Biella.
La Manifattura di Strambino, che è legata al Gruppo Montebianco; ha chiesto al tribunale la procedura di amministrazione controllata presentando un piano di risanamento ed ha avviato trattative per la cessione delle quote di partecipazione dell'azienda a nuovi imprenditori.
La domanda (finalmente chiarita) di Cassa integrazione, che ha avuto un percorso di almeno dieci mesi per la imprecisa presentazione da parte dell'azienda; in questi giorni, ma soprattutto in queste ore, ha avuto finalmente il parere favorevole del Ministero ed è stata inviata al CIPI.
Mi auguro che alla prima seduta del CIPI, prevista per la fine di giugno o per i primi di luglio, questo tassello possa avere una soluzione.
Al collega Rossa rispondo in ordine alla ventilata soppressione del Centro commerciale della SIP di Acqui, che è legato al piano nazionale di riorganizzazione. Tale piano prevede la chiusura di 30 centri di vendita con l'alternativa di installare una rete di macchine per la riscossione automatica.
Anche se non lo vedo in aula, rispondo al collega Porcellana in ordine al problema della vinificazione della Riccadonna di Asti. Nel febbraio scorso, l'Incontro a Roma con il Sottosegretario alle Regioni e le organizzazioni sindacali ha portato alla sospensione di 73 licenziamenti e alla richiesta della Cassa Integra-zione; anche se il successivo accordo che è stato siglato non ha dato eccessive garanzie di rientro.
Nel contempo darò alcune risposte telegrafiche, anche per conto del Presidente della Giunta regionale, ai colleghi Ferrara e Staglianò e a quant'altri Consiglieri hanno presentato domande sulla vicenda RAI e sulle ultime annotazioni, relativamente ad un intervento tempestivo che ai primissimi di giugno il Presidente della Giunta regionale segnalava al Direttore generale della RAI Pasquarelli a proposito di andamenti che sembravano e sembrano in controtendenza rispetto a quanto dichiarato nel nostro incontro di un paio di mesi fa con l'IRI.
Dice il Direttore generale della RAI che il trasferimento da Torino a Roma della struttura tecnica a bassa frequenza è uno dei molteplici provvedimenti che si è ipotizzato di attuare per una razionalizzazione degli assetti organizzativi ed il contenimento dei costi. E' peraltro un'ipotesi che prevede tempi di attuazione piuttosto lunghi e non implica in alcun caso - secondo la dichiarazione del Direttore generale della RAI il trasferimento delle unità che operano attualmente a Torino.
Viceversa, in merito alla polemica vivace e colorita, sulle recenti incentivazioni a Torino, queste rientrerebbero nel quadro dei provvedimenti finalizzati alla graduale riduzione dell'organico dell'azienda, che, come prevede il piano quadriennale - sono fedele lettore della risposta del Direttore Pasquarelli - approvato dal Consiglio di amministrazione dovrebbe scendere di circa 750 unità nel giro di quattro anni.
Peraltro le incentivazioni del personale trovano una loro naturale ancorché non automatica compensazione nelle assunzioni che l'azienda ritiene di dover garantire per assicurare, attraverso nuovi equilibri quantitativi e qualitativi dell'organico, funzionalità al sistema generale RAI e ai sottosistemi che lo compongono.
Le incentivazioni - dice ancora il Direttore - effettuate di recente non solo a Torino, ma anche in altre sedi, come Genova, Bologna, Bolzano e Venezia, sempre su richiesta dei dipendenti interessati, vanno quindi viste in questa ottica.
Si sottolinea comunque che alcune incentivazioni saranno utilizzate per poter effettuare assunzioni di laureati e finalizzate alla riqualificazione nei settori tecnici di Torino e, in particolare, nel laboratorio ricerche ho svolto alcune analisi - consentitemi di fare alcuni richiami che peraltro saranno più dettagliati nella relazione che consegnerò subito sulle problematiche dell'occupazione nella nostra regione.
Riteniamo ora necessario illustrare, seppur brevemente, come la Regione affronta la situazione che si e' descritta su tre versanti fra di loro connessi: interventi sul mercato del lavoro, in particolare nei confronti delle fasce più deboli, interventi sulla formazione professionale e interventi sui servizi alle industrie. Valuteremo l'uso finora fatto dei principali strumenti a nostra disposizione e cercheremo anche di individuare alcune linee direttrici lungo le quali procedere.
I problemi che la Giunta regionale si e' trovata ad affrontare nel corso degli ultimi anni soni stati molteplici, vanno in prima istanza ricordate le esigenze di ricollocazione di manodopera, di mobilità e di attivazione di processi di qualificazione. Questi problemi sembrano acquistare, in questi mesi, una consistenza purtroppo via via maggiore man mano che si estendono i settori in difficoltà e alla ricerca di migliori assetti produttivi e organizzativi. Abbiamo inoltre carenza di personale con qualifiche elevate e congiuntamente la persistenza di un'area tutt'altro che irrilevante, di disoccupazione, di sottoccupazione o di inoccupazione in cui si evidenziano situazioni particolarmente critiche come quella dei disoccupati di lungo periodo, dei soggetti portatori di handicap, dei giovani in cerca di primo impiego con bassa scolarità e con titolo di studio poco richiesto, di donne con bassa scolarità o bassa o scarsa capacità professionale, e a tutto questo si é aggiunta l'emergenza della presenza di immigrazione extracomunitaria.
Di fronte a questa situazione, la Regione ha cercato, in questi ultimi anni, di attivare un quadro legislativo articolato e per certi versi innovativo. La legge n. 55 sui cantieri di lavoro, successivamente modificata, ha permesso in questi ultimi cinque anni di creare diecimila posti di lavoro temporanei, coinvolgendo nella progettazione circa 530 Comuni e Comunità montane. Mentre la legge n. 9 dell'87, che offre agli enti locali la facoltà, concessa loro dalla normativa statale, di utilizzare temporaneamente lavoratori in cassa integrazione, mi pare non abbia dato risultati positivi; bisognerà quindi ripensarla.
Viceversa risultati positivi sono stati realizzati e incentivati soprattutto ultimamente, con l'applicazio-ne della legge n. 28 sulla cooperazione, modificata con legge n. 44, ricordando che le imprese cooperative costituite ai sensi della legge regionale interessano categorie di lavoratori di difficile collocazione sul mercato del lavoro, quali sono i disoccupati di lungo periodo, i, cassintegrati, i lavoratori provenienti da aziende in crisi,i giovani e le donne.
Vi é inoltre la legge regionale n. 53 (alle 9,30 di stamani abbiamo licenziato i criteri annuali del terzo anno del Fondo straordinario per l'occupazione) che ha istituito, con durata triennale, un fondo straordinario per l'occupazione con una buona ricaduta sul territorio. Il fondo prevede la concessione di contributi alle aziende che assumono a tempo indeterminato soggetti deboli del mercato del lavoro, ovvero che trasformano contratti a termine, avviati sulla base degli accordi tra le parti sociali in rapporto a tempo indeterminato.
Un'attenzione particolare dovremmo porla soprattutto alla legislazione che si porrà in essere nelle prossime settimane, uno strumento sul quale facciamo molto affidamento e che dovrebbe, una volta licenziato, ed é già passato in Commissione, arrivare in aula quanto prima, é l'istituzione dei CILO (Centri iniziativa locale sull'occupazione) da parte dei Comuni. I CILO si collocano, in sostanza, come un "terminale intelligente", cioè con un certo grado di autonomia e di iniziativa strategica, in grado di specificare e di adattare alle realtà locali gli interventi, le indicazioni di programmazione degli interventi a supporto della popolazione in cerca di lavoro o a rischio di disoccupazione. Rimando ovviamente tutto il discorso peraltro lungo e articolato, su alcuni altri versanti o spaccati significativi dell'occupazione: in particolare sull'occupazione femminile.
La progressiva presenza delle donne fra gli occupati e l'incremento dell'offerta di lavoro femminile hanno contribuito a rilevanti mutamenti dell'assetto del mercato del lavoro con iniziative che sono state realizzate dalla Commissione per le pari opportunità e con i nuovi progetti come "retravailler"ed altre proposte significative di questi ultimi tempi.
Un ulteriore ruolo essenziale per le politiche attive del mercato del lavoro dovrà essere svolto dallo strumento più importante che la Regione possiede, almeno come competenza e come titolarità, quello della formazione professionale. Devo dire che un utilizzo appropriato di questo strumento può contribuire non solo a risolvere problemi di natura congiunturale legati all'occupazione, ma anche ad intervenire direttamente nelle profonde trasformazioni strutturali del nostro tessuto economico e produttivo. Su questo piano dovremmo prestare un'attenzione particolare, di fronte alle nuove riforme che si dovranno determinare, a seguito della riforma della scuola media, superiore, della laurea breve e del discorso sull'innalzamento della scuola dell'obbligo. Si tratta di ripensare la formazione professionale che, in un rapporto comparato, quella piemontese con quella delle altre regioni d'Italia, ha dei risultati non indifferenti e non certo solo di carattere assistenziale.
Un ultima capitolo deve essere rivolto - e lo analizzerò anche in questo caso in sintesi - alla difesa dei livelli occupazionali attraverso gli interventi di sostegno alla piccola e media impresa. Sul versante degli interventi regionali, a sostegno e a difesa dell'occupazione é opportuna una valutazione, su due linee di attività, ormai da tempo consolidate quelle relative al sostegno dell'innova-zione tecnologica, di cui alla legge regionale n. 56, nonché a quella delle aree industriali attrezzate.
La legge n. 56 ha avuto una ricaduta non indifferente: in tre anni scarsi di applicazione, ha realizzato investimenti innovativi stimati in Piemonte in 57 miliardi. Oltre 160 aziende di piccole e medie dimensioni piemontesi hanno utilizzato questa opportunità al fine di essere più competitive negli anni 1992/93, data da considerarsi non più come data mitica, ma come un'attualità. Ci siamo indirizzati nuovamente sulle aree attrezzate, non solo per dare delle opportunità nuove, ma anche per ragionare e capire il sistema delle aree attrezzate e le nuove esigenze.
Si configura così una linea di azione a livello regionale nei confronti della piccola e media impresa che s'inquadra anche all'interno delle politiche CEE di cui, ad esempio. BIC - Piemonte di recente costituzione ed ITACA di prossimo avvio, rappresentano le prime realizzazioni. Aiutare la piccola e media impresa a crescere, attraverso i servizi reali e con la creazione di un contesto favorevole al suo sviluppo, appare, oggi, una delle linee d'azione più importanti per creare nuovi posti di lavoro, anche se molto dipende dalla politica economica e industriale sviluppata a livello nazionale che risulta essere il fattore determinante. Anche le Regioni hanno comunque un loro ruolo da svolgere.
Uno dei campi sul quale dovremmo muoverci, e ci stiamo muovendo quello di rapportarci direttamente e indirettamente con gli enti locali e can i privati nei confronti delle politiche comunitarie che saranno lo spazio sul quale dovremo lavorare nei prossimi anni, a partire dall'applicazione del Regolamento CEE 2052 che, per la prima volta per le Regioni del nord, ha individuato le cosiddette aree a declino industriale.
Nella Regione Piemonte sono la Provincia di Torino, esclusa Torino città, e Palio Novarese cioè il Verbanio - Cusio - Ossola. In prospettiva i rapporti fra Regioni e Comunità europea sono destinati a diventare sempre più stretti e gli spazi operativi d'intervento per le Regioni, nell'ambito dei progetti CEE, sempre più consistenti. Si tratta di una nuova linea di azione che la Regione deve affrontare `attrezzandosi in modo adeguato per cogliere le opportunità che si presentano.
L'ultimo richiamo é relativo al recenti impegni della Regione Piemonte sulla legge 56, sull'innovazione tecnologica, sulle normative delle aree industriali attrezzate. E' occasione non solo di riequilibrio territoriale ma anche per un ordinato sviluppo economico, i recenti progetti regionali richiamano che a livello statale non c'è stata alcuna significativa apertura a nuovi spazi di competenza per le Regioni nel campo delle politiche industriali.
La recente legge Battaglia, positiva per il contenuto innovativo e che spero diventi norma operante per il sistema delle piccole e medie imprese non apporta però nuove occasioni d'intervento perle Regioni che le avevano rivendicate. Quindi vi deve essere la richiesta di nuovi spazi e di nuove responsabilità per le Regioni.
Nel dibattito sulla riforma istituzionale sempre di più si parla della necessità di rilanciare il ruolo delle Regioni dando ad esse maggiori poteri, maggiori responsabilità e maggiori risorse. Auspico nuove competenze nelle politiche industriali, competenze chiare, definite ed integrate sia con le normative nazionali che comunitarie; é una posizione non contraddittoria con la crescente integrazione delle economie europee.
Abbiamo cercato di evidenziare alcuni aspetti problematici dell'occupazione nella nostra Regione, di valutare gli strumenti di intervento che abbiamo a disposizione e di individuare nuove linee d'azione. E' necessario avere la consapevolezza che lo sviluppo dell'occupazione non dipende soltanto da una adeguata realizzazione di politiche attive del lavoro, di politiche formative e di politiche a sostegno della piccola e media impresa. La Regione ha un importante ruolo come soggetto di governo del territorio nella espressione più ampia del termine, e come soggetto di politica economica. Nello svolgimento del proprio ruolo è necessario avere sempre la consapevolezza che lo sviluppo dell'occupazione é uno degli obiettivi prioritari che lo Statuto assegna alla attività complessiva della Regione.
Non ho svolto nella sua completezza quanto la relazione propone, quindi rimando ad essa per quanto non riferito.
Un'ultima battuta e lo dico in una stagione difficile per la realtà occupazionale piemontese, difficile per me, Assessore alle tante emergenze della Regione. La valutazione dei dati sul mercato del lavoro, sui tassi di disoccupazione é importante per comprendere se esistono condizioni di accessibilità a nuovi provvedimenti, a nuove opportunità comunitarie, a nuovi spazi che dobbiamo conquistare, e che ci siamo conquistati, pur con scarsa titolarità in termini normativi come Regione Piemonte. Gli indicatori statistici, anche se rigorosi e gestiti correttamente, come rigorosa è l'attenzione del Consiglio regionale sui problemi emergenti del lavoro, non sempre rendono la drammaticità e la tempestività delle situazioni. Nel nostro caso le statistiche non registrano le evoluzioni delle gravi crisi aziendali dell'ultimissimo periodo né il senso di smarrimento e di angoscia che devono trovare le istituzioni sensibili.
L'impegno della Giunta e del Consiglio non sarà solo proporzionale alle cifre, ma, nei limiti del possibile, alla intensità delle legittime preoccupazioni. Le statistiche registrano ciò che è avvenuto e noi invece siamo fortemente preoccupati per ciò che sta avvenendo oggi che, se non si trovassero correzioni; prefigurerebbe un domani ancora più difficile. Non dobbiamo seguire la logica dell'intervento a posteriori perché sarebbe troppo tardi. D'altra parte non ci si può adagiare sulla situazione confidando solo sugli ammortizzatori sociali, che sono necessari soprattutto in questa fase difficile, ma che non sono la prospettiva della realtà. Solo ieri nell'alto Novarese si prospettava l'idea di avere qualche ammortizzatore sociale a fronte della proposta di smembramento della chimica di Stato: sono soluzioni che non interessano una regione industriale e industrializzata. Non vogliamo continuare a pensare di vivere e di progredire con gli ammortizzatori sociali. Occorre, quindi, lavorare ed operare intensamente, e lo stiamo facendo e intendiamo continuare anche se con difficoltà, affinché nella Regione non ci siano figli e figliastri privilegiati e danneggiati, cosa che potrebbe capitare fra qualche giorno di fronte ad un intervento legislativo e normativo che sta passando.
E' nota poi la mia posizione dura e precisa sulla necessità che non debbano esserci lavoratori privilegiati perché il tavolo regionale è un tavolo di confronto e di mediazione dove arrivano i privilegiati perché più sponsorizzati, perché più grossi, perché più tutelati, perché magari sono i figli giusti della Olivetti che fa più opinione, ma arrivano anche tante decine e migliaia di lavoratori che queste tutele non le hanno.
Tutto questo non per fare polemica, ma per confermare il nostro impegno nella convinzione di dover trovare, soprattutto nell'ambito del Consiglio regionale, tra maggioranza e opposizione, le cose che uniscono piuttosto che quelle che dividono, e per tradurre quel senso, a volte solo recitato verbalmente o scritto, della solidarietà in termini pratici. La solidarietà per noi amministratori pubblici, legislatori è la traduzione in termini pratici di norme, leggi, atti deliberativi che vadano incontro ai soggetti più deboli, i quali rischiano di essere sempre più penalizzati in una società dove 12/3 hanno raggiunto stabilità di lavoro, quindi crescita sociale, ma dove 1/3 rischia di essere sempre più debole e dunque più penalizzato.



PRESIDENTE

Ringrazio l'Assessore Cerchio per l'ampia relazione che ha presentato al Consiglio regionale. Comunico che l'Assessore Nerviani chiede l'iscrizione della proposta di deliberazione n. 190: "Adesione della Regione Piemonte alla Fondazione Maria A. Prolo - Museo Nazionale del Cinema - Archivio Cinema, Fotografia e immagine." Occorrerà inoltre iscrivere l'ordine del giorno sulla giustizia civile così come si è convenuto di presentare prendendo il testo dell'intervento di chiusura dell'incontro del 7 giugno, svolto dal Presidente Brizio.
L'ordine del giorno è presentato dal Presidente della Giunta, dal Presidente e dai due Vicepresidenti del Consiglio.
L'Assessore Cerchio chiede ancora la parola per una comunicazione relativa al processo che si sta svolgendo a Novara per l'occupazione della Enichem. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe, Assessore ai lavoro

E in corso un processo presso il Tribunale di Novara ai lavoratori della Enichem - Vinavil di Villadossola che ho citati nel corso della relazione, i quali hanno occupato lo stabilimento per impedire la realizzazione di una ipotesi di deindustrializzazione in quella zona.
Pregherei il Presidente della Giunta regionale di inviare al Governo all'Enichem e ai rappresentanti dell'azienda un messaggio, in quanto questo atto politicamente va contro l'indicazione del mantenimento dei posti di lavoro, per un'attività industriale che è redditizia e che, per giochi di politica internazionale, rischia di essere abbandonata.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bosio.



BOSIO Marco

Concordo con l'Assessore sul fatto che é indispensabile che qui si compia un'analisi approfondita della situazione, delle problematiche e delle prospettive, sul piano economico, non solo a livello regionale, ma a livello nazionale e internazionale; questo mi pare abbastanza scontato per la natura, le caratteristiche, il peso e la struttura dell'economia e dell'assetto produttivo della nostra regione.
Vorrei ricordare che nelle consultazioni avvenute alcuni mesi fa fra Commissione e forze sociali, anche al fine di preparare questo Consiglio circa una serie di dissertazioni sui cicli o gli anticicli, sulla loro intensità e durata, erano emerse delle preoccupazioni rilevanti rispetto alla situazione economica, produttiva e occupazionale. Il tutto, però, era stato ricondotto dagli esperti, con gli ovvi margini delle ipotesi, ad una prevedibile ripresa del ciclo in senso positivo verso la metà di questo anno, metà che stiamo varcando ora. Il riferimento poteva essere forse all'idea di una ripresa della locomotiva anglosassone e americana, insomma di lingua inglese. Le cose paiono non stare così, lo stesso Assessore ha accennato a una nuova ipotesi, a un nuovo oroscopo per la ripresa, verso la fine di quest'anno.
Credo tuttavia che le questioni di cui dobbiamo preoccuparci siano altre. Vorrei ricordare le considerazioni fatte dal Prof. Reviglio all'atto della presentazione del rapporto dell'IRES regionale per il 1990. Il Prof.
Reviglio accennò all'ipotesi di un possibile, lento e progressivo decadimento della struttura economica e sociale della regione e del Paese.
Parlò di "serie B" aggiungendo che serie B non vuole dire qualcosa di puramente statistico o, diversamente; qualcosa di catastrofico, e così via bensì una lenta, costante perdita sociale, uno scivolamento verso un impoverimento rispetto agli attuali tassi di vita, di qualità, di produzione, di servizi che già non sono buoni.
Credo che quell'avvertimento fosse giusto, credo che i dati, gli elementi, i problemi, i nodi dell'economia regionale e nazionale confermino questo rischio e questa possibilità. Penso occorra fare uno sforzo serio prima di tutto per capire, e poi per vedere come porre rimedio.
Si potrebbe dire, e su questo - se non ho capito male - sono d'accordo con l'Assessore - che ci si trova di nuovo in una fase di transizione verso nuovi modelli e, quello che più importa, verso una nuova disposizione dello scacchiere economico mondiale e dei mercati; una nuova disposizione in cui domina un nuovo capitolo della ristrutturazione economica e produttiva e un misto, rilevantissimo per l'economia nazionale e regionale, di contraddizioni rilevanti che espongono in particolare la nostra Regione di fronte all'urgenza di adeguarsi ai nuovi bisogni e alla forza di trascinamento dell'esistente, can tutti i suoi v11, i suoi difetti e la sua storia.
Le modificazioni politiche e la riduzione spazio - temporale che intervenuta in questi anni derivando dall'innesto dei grandi processi di innovazione tecnologica e di ricerca hanno modificato profondamente i confini geo-economici. Il mondo ne é stato in questi anni sconvolto, non solo dal 1989 ma da ben prima.
Oggi sono tre le grandi aree economiche o mercati che si confrontano e che determineranno l'andamento del prossimo decennio. Le previsioni di ripresa a metà- di questo anno si rivelano fallaci ed errate perché il differente, momento congiunturale delle tre grandi aree ha comportato l'abbandono, e questo è in atto ormai da molti mesi, del coordinamento internazionale delle politiche economiche.
Ciascuna economia é tornata a privilegiare gli obiettivi interni quelli di area, con un'accentuata divergenza delle politiche monetarie tra le aree.
Non é un caso che economisti del calibro del Premio Nobel Modigliani tornino a parlare con forza di una previsione dell'accentuazione delle politiche protezionistiche all'interno delle aree e con le contraddizioni che tendono a riesplodere ed a riemergere nelle aree.
Non è un caso, al di là delle valutazioni di merito, che in Francia la signora Cresson, nuovo Primo Ministro, si proponga, come priorità strategica, la difesa ed il rafforzamento strutturale dell'economia e dell'industria manifatturiera francese, e questo in meno di due anni almeno nelle ipotesi.
Non é un caso l'impasse generale del Gatt ed, anzi, il suo lento avviarsi verso il declino del coordinamento mondiale ed unitario dei mercati e del commercio.
Emergono bisogni diversi, dentro squilibri diversi, tra aree e nelle aree. Viene sempre più proponendosi - lo abbiamo detto, lo dice la relazione - il concetto di impresa globale e, al tempo stesso, il bisogno di tipo protezionistico di difesa di imprese di produzioni regionali sui vari mercati.
Il nuovo decennio si inaugura, per buona pace dei cattivi lettori dell'89, all'insegna dell'instabilità politica- la guerra del Golfo ne è un esempio - ed economica e tutto lascia prevedere che questa instabilità carica di problemi irrisolti e di duri conflitti economici, oltre che politici, dominerà il decennio.
Vorrei ricordare che la guerra del Golfo ha portato un rilancio degli armamenti e che le politiche economiche, i consumi dei paesi industrializzati, in questi ultimi anni, e la natura dei conflitti monetari ed economici stanno ostacolando qualsiasi ipotesi di via di sviluppo per il Terzo ed il Quarto Mondo.
Ritengo utile fare un po' di storia dello sviluppo e della natura dell'economia piemontese. Fare un po' di storia vuol dire avere a memoria dei fatti, ognuno con il proprio punto di vista.
Si potrebbe, ad esempio, sgombrare il campo da una discussione - mi augurerei anche degli autori - sorta (come dice l'ultima relazione Ires) nei primi anni '80, sull'evoluzione in senso post-industriale del sistema piemontese o per una autonoma forza del settore dei servizi - dice l'IRES ovvero per un irreversibile declino o collasso della produzione manifatturiera.
La storia concreta ha chiarito il carattere illusorio di queste interpretazioni sostenendo; invece, una prospettiva fondata sulla riconferma della centralità del settore industriale, agli effetti della vitalità di un'economia regionale e nazionale. Dal mio punto di vista, e penso da quello della sinistra, quell'"errore" ha causato effetti nefasti tra i quali quello di oscurare il peso ed il ruolo, nella produzione nell'economia e nella società, delle classi lavoratrici e di quella operaia in primo luogo.
Se negli anni'70 la caratteristica dominante della evoluzione dell'organizzazione dell'apparato produttivo piemontese é stata quella cosiddetta "della specializzazione flessibile", che ha comportato una vasta esternalizzazione di molte funzioni industriali e la conseguente ideologia del "piccolo è bello", di cui ci siamo imbevuti un po' tutti, il decennio appena trascorso ha visto una nuova fase di ristrutturazione che ha avuto come obiettivo il risparmio dei fattori della produzione per unità di prodotto. E questo ha comportato un aumento molto consistente di produttività nella nostra regione. Si é sostituito lavoro con capitale, con processi di automazione spinta; si sono definiti obiettivi di produzione "just in time", ma quello che mi sembra più rilevante, anche se,viene quasi sempre omesso nelle discussioni economiche. é che si é passati da un'organizzazione del lavoro prevalentemente concentrata sull'aumento dell'intensità nell'uso della forza lavoro, alla riduzione del consumo improduttivo di forza lavoro, come di tutte le altre merci all'interno del ciclo produttivo compiuto.
Basterebbe esaminare i dati della Confindustria relativi al decennio passato, per conoscere la variazione dei costi di produzione tra il '70 e l'86 e per capire come l'Italia venga immediatamente dopo il Giappone, come percentuale di abbattimento dei costi di produzione; percentuale ben più alta della Germania, della Francia, del Regno Unito o degli Stati Uniti.
Uno degli elementi più significativi di riduzione dei costi di produzione stata la forte immissione di progresso e di innovazione tecnologica...



PRESIDENTE

Vi avviso quando sono passati i dieci minuti che avete a vostra disposizione, in modo che vi sappiate regolare.



BOSIO Marco

D'accordo, ma la considero una relazione di minoranza, questa.



PRESIDENTE

Se mi si dice che é la relazione di minoranza del Gruppo, non ci sono problemi.



BOSIO Marco

Non é del Gruppo. E' mia.



PRESIDENTE

E' una buona idea per il dibattito!



BOSIO Marco

Dietro questo elemento é riemersa la grande impresa come peso strategico in Piemonte e nel Paese, non come peso quantitativo, perché i processi di esternalizzazione sono andati comunque avanti e si sono accentuati. Bisognerebbe trasmettere questi dati al sindacato che, ancora nell'ultimo incontro, sosteneva che fosse un processo da favorire; l'Italia ed il Piemonte hanno dati di polverizzazione nella piccola e piccolissima impresa impressionanti e questo costituisce uno dei punti di debolezza.
Ai processi di ristrutturazione interna si é aggiunta, crescentemente in questi anni, una ristrutturazione esterna. I fattori che hanno portato a questa situazione sono ovvi; sono legati alla maggiore liquidità ed alla massa dei profitti, realizzati in questo decennio, e sono legati ovviamente ai processi di ristrutturazione che hanno visto i più accorti, ma anche i meno accorti.
Si è determinato perfino - e lo dice la Confindustria - una specie di mercato delle aziende, con domanda ed offerta. E una grande mobilità con caratteristiche intrasettoriali.
In questo quadro, quello che é mancato ferocemente e per scelta ancora una volta lo Stato, un governo reale dell'economia e della società una equa redistribuzione del reddito, l'equilibrio reale dei processi di crescita e di sviluppo del Paese. C'è stato, invece, un governo del Paese che ha marcato un vero e proprio blocco di potere sociale imperniato sulla rendita e sul profitto.
Per dirla con Alfredo Reichein, al termine di un decennio che ha visto la più vasta ed intensa modernizzazione dell'Italia, si scopre che ciò non solo ha aggravato le ingiustizie sociali e gli squilibri, ma ha creato problemi inediti e drammatici che, sommati alla corruzione ed al degrado dei servizi, mettono in causa quel fondamento del patto sociale che è l'insieme dei diritti e dei doveri condivisi. Di qui, tra l'altro, la crisi istituzionale che il nostro Paese sta vivendo in questi giorni.
Oggi si pone, dunque, il problema per il futuro. La fase recessiva segnala per l'industria piemontese, e per quella nazionale, una progressiva perdita di competitività, in una fase cruciale di fronte ad appuntamenti cruciali. Il rischio di un indebolimento strutturale non facilmente reversibile é evidente.
Basta guardare i sovraccosti dell'economia; l'inefficienza cronica del sistema, il cosiddetto sistema - Italia; il peso del debito pubblico.
Vorrei ricordare che il deficit di bilancio è ormai formato solo da interessi passivi e che coloro che incassano interessi sul debito pubblico in via generale, non sono gli stessi che pagano le tasse; è così che possiamo capire molto della storia politica, e non solo economica, di questo decennio. Lo squilibrio crescente del Mezzogiorno, che consuma di più di quanto produce; una costante inadeguatezza politica e sodale dell'impresa e della borghesia industriale, sono i punti nodali della crisi strutturale del nostro Paese, sul piano economico oltreché sociale.
Il Ministro Bodrato, a mio parere a buon diritto, sostiene che mancanza di coraggio nella borghesia industriale del nostro Paese.
Negli ultimi anni si sono realizzati grandi trasformazioni e processi di rinnovamento e di riorganizzazione e ristrutturazione produttiva. Dai dati forniti non solo dall'IRES regionale - che svolge ottimi lavori - ma dalla stessa Confindustria, si rileva che tutto questo é avvenuto all'interno degli stessi tradizionali settori; nessun nuovo settore correndo rischi relativi ad investimenti a lunga prospettiva, è stato scelto né come indirizzo politico né come scelta di rischio dell'imprenditoria regionale e nazionale.
Si hanno di fronte problemi che paiono non irrisolvibili, ma certamente spinosissimi, sovraccosti mantengono costantemente innescata l'inflazione.
Hanno ragione gli economisti a sostenere che questo sia il vero e grande punto di rischio del nostro Paese. Il sistema dei cambi fissi e (obiettivo della stabilità monetaria tengono alti i tassi i quali, a loro volta, scaricano sul bilancio pubblico l'enorme peso degli interessi conseguentemente, si allarga l'area della rendita, di coloro che scelgono di non rischiare ma di sperimentare in concreto le varie opportunità di rendita.
Il risparmio viene così distolto da eventuali , investimenti produttivi; il bilancio dello Stato diventa rigidissimo, e il Ministro Bodrato potrà dire agli industriali che "non pagherà più il pranzo". Pur senza fare del catastrofismo, il serpente inizia a mangiarsi la coda e gli imprenditori iniziano a rendersene conto.



PRESIDENTE

Consigliere Bosio, la pregherei di avviarsi alla conclusione.



BOSIO Marco

Sì, insomma...



PRESIDENTE

Altrimenti, il dibattito durerà otto ore...



BOSIO Marco

Me ne rendo conto, ma mi pare vi sia una questione di diversa valutazione dei testi.



PRESIDENTE

E evidente, ma se si definiscono tempi d'intervento di dieci minuti che al massimo possono diventare quindici, non possono prolungarsi a venti/venticinque minuti. Diversamente, non mi si chieda di coordinare i dibattiti nel rispetto del Regolamento.



BOSIO Marco

Lei ha perfettamente ragione.



PRESIDENTE

La pregherei di concludere entro uno/due minuti.



BOSIO Marco

Vorrà dire che dovrò rinunciare a terminare l'intervento. Questo non lo ritengo minimamente corretto anche perché la relazione dell'Assessore giusta e di contenuto - ha occupato ben 68 minuti! Giusto o sbagliato che sia, non siamo corpi uniti per cui io divido con altri ventidue Consiglieri il tempo a disposizione.



PRESIDENTE

Non le stiamo togliendo la parola, ma dopo 18 minuti, ritengo, a pieno titolo, di poterla invitare a terminare il suo intervento entro uno o due minuti. Questo dibattito si prolungherebbe per due giorni, ma gli stessi tempi di intervento varranno anche per gli altri Consiglieri. Non vorrei continuare a discutere con lei.



BOSIO Marco

Io vorrei continuare a discutere con il Consiglio, ma lei me lo impedisce. Questo é il punto.



PRESIDENTE

Credo che il Consiglio sappia valutare. Continui pure.



BOSIO Marco

No, ho chiuso.



PRESIDENTE

Scusate, signori Consiglieri, non accetto questo atteggiamento; non lo accetto proprio. Se concordiamo che la durata degli interventi sia di dieci/quindici minuti,..



BOSIO Marco

Le avevo detto che avrei parlato di più.



PRESIDENTE

Io non l'ho sentita, Consigliere Bosio. Abbiamo previsto di dedicare ai lavori del Consiglio l'intero arco della giornata; se dopo che si concordata la durata dei vari interventi, ognuno parla quanto vuole, il Presidente deve interrompere. Se queste sono le reazioni al richiamo del Presidente, devo dire che non vi é rispetto né per il Consiglio né per il Presidente. Se lei non era d'accordo sull'impo-stazione dei tempi, avrebbe dovuto chiedere la parola, esprimere il suo disaccordo e preannunciare che il suo intervento sarebbe durato circa 30 minuti, durata che forse avrei rispettato. Se mi permette, neanche il suo atteggiamento mi pare corretto.
Ha ora la parola il Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, ho l'impressione che l'utilità del dibattito si stia restringendo molto. Le considerazioni da noi espresse, in genere, sono abbastanza note fra gli "addetti ai lavori" I componenti della III Commissione, e così via. Probabilmente, non siamo stati in grado di suscitare un seppur minimo interesse fra le parti sociali e fra i vari soggetti interessati. E' da molto tempo che non trattiamo la questione in termini generali e mi rendo conto delle difficoltà di esposizione in una seduta che vede anche la Giunta scarsamente presente forse perché si tratta di un dibattito abbastanza scontato. Ciononostante gli elementi dinnanzi a noi sono di grande allarme e dovrebbero suscitare molta tensione per chi detiene la funzione di governo della Regione.
Il processo demografico del nostro Paese é ormai di conoscenza comune.
Nella nostra regione il progressivo invecchiamento della popolazione è ancor più marcato dall'esaltazione di politiche di prepensionamento, che sottraggono al mercato del lavoro energie ancora piene di vigore ed esperienza. La qualità della manodopera e il, livello di scolarità sono insufficienti rispetto a traguardi futuri; viene fatto troppo poco per recuperare il cosiddetto drop out non solo della scuola media superiore, ma anche dell'Università. Molte risorse vengono spese senza arrivare al compimento della formazione.
Vi é una forte marginalizzazione del polo torinese rispetto alle grandi capacità di attrazione del polo milanese, relativamente al settore del terziario. Vi è inoltre in Piemonte una certa polarizzazione in settori produttivi che purtroppo, per 'motivi di respiro internazionale, vedono avanzare profondi processi di ristrutturazione: il settore auto, quello tessile, l'informatica.
Scarsi sono gli stimoli per la formazione di nuova imprenditorialità autoctona o per l'arrivo di quella esterna. Analizzando e intrecciando dati provenienti dalla Camera di Commercio inerenti aziende nuove e aziende - in chiusura, con quelli relativi ai soggetti che ne sono titolari, emerge che il 40% dei nominativi sono ricorrenti. Tale aspetto vale particolarmente per il settore terziario e dell'edilizia.
Da tale fenomeno, al di là di eventuali sacche di malavita, emergono difficoltà e, forse, un determinato tipo di professionismo che sicuramente non si traduce nell'imprenditorialità necessaria a far crescere l'occupazione.
Vi è una pesantissima concorrenza di settori e nuove aree. La Valle d'Asta, con le cospicue risorse finanziarie di cui dispone quella Regione a statuto speciale, senza utilizzare queste risorse, per far nascere nuova imprenditorialità, polarizza imprese del Canavese, spostandola con "facility" che rendono appetibile lo spostamento.
Pensiamo alla capacità di attrazione dell'area di Lione, del Rhòne Alpes o a quella del sud, ai fenomeni dell'indotto automobilistico informativo della FIAT o della Bull che, nell'attraversare momenti di difficoltà, pensano alla definizione di processi di apparato produttivo in un momento di restringimento dello sbocco commerciale delle aziende. C'è il paradosso di non ricordare più il rapporto tra automazione e occupazione l'automazione é un impegno di risorse finanziarie. Si fa la scelta a Torino della metropolitana guardando al risparmio che si può ottenere realizzando una linea interamente automatizzata in modo da non avere personale. Ci sono quindi dei fattori che dovrebbero essere visti da un governo pubblico in modo globale e non in modo settoriale, lasciando alla municipalizzata dei trasporti di fare questa analisi. Oppure si pensa all'automazione delle funzioni burocratiche non vedendo nel fatto non tanto un risparmio di manodopera, ma di crescita della capacità della funzione pubblica.
C'è la sconfitta del sistema Regione, nel porsi su questi problemi.
Anche l'attenzione per l'occupazione nella relazione dell'Assessore Cerchio è troppo settorializzata. Non si può trattare dell'occupazione senza dire cosa facciamo nelle politiche industriali, nelle politiche del terziario, nella politica per l'agricoltu-ra; senza dire come favoriamo i processi di irrobustimento degli indotti che vivono fasi di ristrutturazione,: come quello dell'auto; come cerchiamo di valorizzare la competitività delle aziende offrendo delle economie esterne, e di che tipo.
E' necessario quindi un ruolo nostro attivo nell'economia, battendo le spinte alla delegittimazione. Il silenzio, l'ignorare questo dibattito probabilmente qualcosa uscirà solo dai giornali, sta a significare che da noi si aspetta solo l'erogazione, magari sottraendo qualche risorsa alla formazione professionale o da altre parti e basta. Questa non è colpa degli altri, ma anche responsabilità nostra.
Dunque non compete solo a noi il problema della occupazione (che in genere é quello degli ammortizzatori sociali). Che cosa facciamo per le fasce deboli? Mettiamo in moto i cantieri, è un fatto positivo, benemerito e mi sento coinvolto in questo. Mi riferisco anche al Fondo per l'occupazione. Non dobbiamo considerare questo elemento trascurabile; ma come una componente di un processo più generale che giochiamo. Stiamo per salutare una nuova legislazione sulla Cassa integrazione e i prepensionamenti. Chi gestirà le mobilità che prevede questa legge? Dove andranno i blocchi di eccedenze in mobilità? A chi li mandiamo? Sono elementi che dobbiamo porci stando attenti a ciò che avviene.
Vediamo cosa si determina nei grandi gruppi piemontesi. Sono un fattore importante. Ritengo che la macro - impresa sia quella capace di padroneggiare i processi innovativi sia sul piano tecnologico che organizzativo. Ma la grande azienda, per il peso e la capacità contrattuale nelle politiche industriali, rischia di prendere gran parte dei benefici e di procedere alla ristrutturazione dei propri indotti, che vanno a far morire delle capacità imprenditoriali per ragioni finanziarie con un processo ingiusto. Noi dobbiamo aprire un rapporto contrattuale con Fiat Olivetti, con il settore tessile e così via.
La Fiat a Torino é determinante per i processi economici. Ho presentato un'interrogazione la settimana scorsa sul fenomeno per cui non si programma più nel medio e lungo termine per l'indotto perché la Fiat non ha una visibilità chiara del futuro. I nuovi modelli di automobile si pensa usciranno tra due o tre anni e mancano già da due anni. I titoli crescono in Borsa. Il sospetto é che si stiano determinando nuovamente delle forti eccedenze in Fiat dopo casse integrazioni ricorrenti che , aumentano continuamente (sono stati aggiunti 6.000 lavoratori ai 35,000 previsti nella tornata partita lunedì scorso), sono in corsole trattative con i giapponesi: tutto questo non può farci restare tranquilli.
Veniamo all'Olivetti. L'Assessore ha parlato del ruolo della domanda pubblica. Io credo molto a questo ruolo. Non si tratta di dare più commesse alla Olivetti o alla Bull, ma pensiamo che queste commesse debbano essere utilizzate come leva di politica industriale e del lavoro nei confronti del settore industriale. Pensiamo al tessile: dopo ricorrenti ristrutturazio-ni crediamo forse di andare a porre ancora il problema del costo del lavoro in questo settore dove si é raschiato il fondo del barile? Non è più li la strada per mantenere la competitività.
Pensiamo alle Partecipazioni Statali: si fa una fusione Aeritalia Selenia e si forma l'Alenia, anche per la crisi delle commesse militari e per la riconversione e il nostro settore portante di tecnologie di punta rischia di essere svuotato lentamente come é stata svuotata la RAI. Pur con il massimo rispetto al rapporto con il Mezzogiorno (il discorso vale anche per l'Ilte) dobbiamo pensare a rivendicare con convinzione che noi abbiamo dei punti tecnologici avanzati che vanno mantenuti nella loro completezza.
Se si tolgono delle tessere questo sistema crolla e questi punti di forza della tecnologia avanzata sono quelli che hanno ricaduta il fallout sul sistema produttivo.
Che cosa possiamo fare? Forse poco con le macroimprese, ria certamente di più per quanto riguarda l'artigianato, la piccola industria l'agricoltura, la distribuzione, il terziario avanzato. Qui possiamo misurarci in modo più concreto e dobbiamo farlo in modo settoriale. La distribuzione minore, che non é un serbatoio di manodopera, rappresenta un tessuto importante, per esempio, per le fasce deboli della società perch se la struttura commerciale viene polarizzata in 10/15 punti in strutture di macrodistribuzione, evidentemente ci sono anche degli effetti indotti sulle fasce deboli, sulla mobilità della popolazione, sulla viabilità. Ci sono degli aspetti che, per Il tempo che mi viene messo a disposizione, non posso approfondire. Capisco che sia giusto chiudere il dibattito sull'occupazione, però é mortificante avere a disposizione lo stesso tempo che posso avere per parlare magari dei problemi dei viticoltori di Caluso che sono estremamente importanti, ma sono in una gerarchia diversa.
Allora, vado per titoli.
Stiamo smantellando la Promark, mi chiedo sul piano della promozione come ci muoviamo? Sui piccoli settori (l'artigianato, il comparto dello stampaggio a caldo nel Canavese) come ci muoviamo? Li affidiamo a qualcuno o recuperiamo questa funzione in modo forte? La formazione professionale é una funzione che vogliamo usare in modo forte, oppure cerchiamo di tamponare le falle che il sistema scolastico impone? Le aree attrezzate. Siamo convinti che non servono più nei termini tradizionali, ma devono essere centri nei quali le aziende trovano economie esterne per essere competitive, quindi servizi diversi rispetto a un semplice riquadro di un terreno? Vogliamo capire che l'innovazione non serve alla grande azienda perché la fa da sola (altrimenti muore) e che serve invece alla piccola azienda? Tutti i nostri investimenti nel grande computer e altre iniziative quanto ricadono nell'apparato produttivo minore, nell'artigianato? L'Agenzia per l'innovazione serve alle imprese minori e all'artigianato o serve per aprire un rapporto con le grandi aziende? Se é un rapporto con le grandi aziende é solo propaganda, non serve a niente, perché le grandi aziende hanno i quattrini e la propaganda se la fanno da sé. Se invece é per il tessuto della piccola azienda, ben venga questo tipo di agenzia. Dobbiamo anche favorire nella piccola azienda la riconversione ecologica Quante aziende, per esempio, del settore alimentare sono costrette a chiudere oppure sono in difficoltà perché non hanno i soldi per realizzare il depuratore. So di aziende del settore zootecnico che in questo momento sono in forte difficoltà per le spese enormi che devono sostenere nel settore ecologico. Allora, noi dobbiamo favorire questi processi di riadeguamento ecologico.
Vado alla conclusione, sebbene volessi approfondire ancora due temi: il governo di questi processi e il metodo di governo.
L'Assessore Cerchio ha dato una relazione molto ampia; in alcuni passaggi, forse anche per ragioni di tempo, ha reso delle pure elencazioni.
Mi - chiedo: é agibile questo rapporto pubblico - privato; é credibile dando al pubblico una dignità reale? Come entriamo nel rapporto FIAT indotto vogliamo uccidere di nuovo, come all'inizio degli anni'80, le piccole aziende dell'indotto che hanno difficoltà finanziarie più che di capacità professionale e tecnologica? E le relazioni con le parti sociali la Commissione regionale per l'impiego e l'agenzia che nasce, come si collocano? Sono, con Marengo e Cerchio, uno dei rappresentanti in questi organismi e vivo questa situazione con grande disagio. Le parti sociali ci considerano quasi un intruso che deve mettere i quattrini, punto e basta.
Questa é la realtà. Vogliamo sollevare il velo della propaganda? Allora, in occasioni come quella di ieri all'Unione Industriale, queste cose dovevano essere dette.
Abbiamo l'Osservatore del mercato del lavoro. Valorizziamolo. Invece si creano da parte delle componenti sociali altre strutture che, naturalmente hanno un battage pubblicitario di ciò che producono superiore all'egregio lavoro che si fa. Occorre battere la tendenza a vederci come una pura espressione dell'organizzazione dei servizi (ahimè, anche nell'area metropolitana finiremo così l'autogoal ce lo facciamo da soli), erogatori di fondi, attuatori di grandi infrastrutturazioni, che vengono applaudite ma non soggetti che vogliono collocarsi in modo adeguato nei processi dello sviluppo economico. Qualcuno, ormai sconfitto da tanta storia, é deluso altri non ci credono ideologicamente.
Credo che il ruolo di indirizzo di questa assemblea elettiva, e del governo che lo deve recepire, le priorità, gli orientamenti che nascano qui nell'individuare settori dell'apparato produttivo, aree del nostro territorio, fasce sociali, dovrebbero essere elementi che pesano nello sviluppo della società: questo é recuperare dignità a questa assembla.
Basta la regionalizzazione delle funzioni sul mercato del lavoro e sull'industria? Non lo so.
Ci sarebbe qualcosa da dire sul rapporto con la CEE; ma concludo.
Occorre concentrare gli interventi, occorre evitare i finanziamenti diffusi e polverizzati, occorre pensare ad una grande progettualità e non alle microelargizioni.
Anche il Regolamento comunitario 2052 probabilmente occorreva concentrarlo su due o tre punti forti, fare un'iniziativa secca che avesse la capacità di trascinamento e avesse anche una capacità di emblema.
Dopo aver visto e seguito il ciclo degli anni '80, mi rammarico nel vedere invece la delegittimazione di questa assemblea elettiva nell'esprimere priorità e nel muoversi.
In effetti gli anni '80 hanno lasciato libera la grande imprenditorialità, il sindacato era debole, i finanziamenti delle varie leggi sono arrivati nei primi anni fino al 98% per le grandi aziende.
Ebbene, nonostante questi strumenti, la grande azienda, all'inizio degli anni '90, ci consegna una nuova prospettiva di crisi occupazionale per la nostra regione.
E' per questo motivo che dobbiamo dare un colpo d'ala, un impeto di orgoglio a questa assemblea elettiva, per sapere indicare per questo decennio gli obiettivi e per far sì che il Governo, attorno a questi obiettivi, concentri le proprie risorse.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calligaro.



CALLIGARO Germano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ho trovato inadeguata la relazione dell'Assessore Cerchio, troppo settoriale, manca di una visione organica di insieme, non indica le terapie regionali né tanto meno nazionali e Comunitarie, anzi, queste sono semplicemente ignorate.
Le difficoltà prevalenti non hanno carattere congiunturale; hanno carattere strutturale; indubbiamente c'è un intreccio di caratteri, ma quello strutturale mi pare prevalente. Guai a sottovalutarlo. Certo, il carattere strutturale è aggravato dalla bassa congiuntura economico produttiva.
Non sono mancate in questo Consiglio le occasioni per condurre persino delle polemiche sui caratteri delle difficoltà economico-produttive: in occasione del piano socio-economico regionale, che si basava sulle più rosee previsioni, ignorando difficoltà e strategie delle imprese motrici regionali; in occasione della presentazione del programma della Giunta regionale, fanno scorso; in occasione dei dibattiti sul ricorso alla Cassa Integrazione da parte della FIAT e sul pesante sfoltimento degli organici della Olivetti.
Ciò nonostante la mia impressione é che si continua a ripetere un vecchio errore, a sottovalutare gli aspetti della struttura produttiva piemontese. E anche questo, a mio parere, é un segno della subalternità della Giunta alle grandi concentrazioni economico - finanziarie che hanno sede in Piemonte.
Ma come si può programmare e governare la Regione ignorando le strategie delle grandi imprese motrici? Se vi sono state alcune occasioni di confronto, altre sono clamorosamente mancate.
Nostre interpellanze, specificatamente sui piani strategici della Fiat e della Olivetti, presentate rispettivamente i l24 febbraio ed il 3 marzo dell'88, non sono mai state discusse. Questa stessa seduta del Consiglio sull'occupazione in Piemonte doveva svolgersi a settembre del '90, poi ad ottobre e successivamente a novembre dello stesso anno: la stiamo svolgendo oggi.
Considero invece di grande interesse la relazione sulla situazione economica, sociale e territoriale del Piemonte redatta dall'IRES per l'anno 1990. Essa fornisce un quadro economico, dopo sette anni di espansione produttiva, che, a partire dalla metà del 1990, ha registrato un rallentamento del trend, un'inversione di tendenza diversamente caratterizzata (rallentamento, stagnazione, recessione a seconda dei settori e delle aree produttive).
Questo quadro economico mette in evidenza il deterioramento dei livelli di competitività e di redditività delle imprese italiane e delle imprese piemontesi nei settori fondamentali dell'industria, vale a dire quello automobilistico, quello tessile, quello dell'informatica, e poi i relativi indotti e componentistiche, e un quadro allarmante della piccola e media impresa e dell'artigianato.
Se questo quadro provoca situazioni di eccedenza temporanea o strutturale degli organici delle maggiori imprese della Regione, le cause naturalmente non sono solo i rallentamenti o le contrazioni del mercato internazionale.
Le cause fondamentali risiedono nella composizione della struttura produttiva piemontese e nazionale, cioè un'eccessiva specializzazione nei comparti di tipo tradizionale o, nel migliore dei casi, nelle produzioni di massa.
Questi settori sono eccessivamente esposti alla concorrenza dei paesi di nuova Industrializzazione o di quelli a basso costo della mano d'opera in altri casi, le nostre imprese partecipano in condizioni di debolezza ad una spietata concorrenza oligopolistica internazionale, senza avere originalità produttiva ed economie di scala indispensabili per competere su un piano di parità. Lo stesso decentramento delle produzioni al sud all'interno di una logica puramente sostitutiva e non aggiuntiva, rispetto alle tradizionali lavorazioni effettuate in Piemonte, indebolisce la struttura delle Regioni del nord. Naturalmente questo decentramento avviene interamente a spese dello Stato tramite i programmi straordinari per il Mezzogiorno, previsti dalla legge De Vito di cui si fa uso e abuso.
Analizzerò ora la situazione della Fiat.
Nel 1989 c'è stata una crescente aggressività delle case estere sul mercato nazionale, nel '89 queste hanno aumentato la propria quota di marcato di tre punti, nel contempo vi è stato un rallentamento delle esportazioni nazionali.
Nel 1990 vi è stato un ulteriore ampliamento della quota di mercato delle case estere e una consistente diminuzione delle esportazioni, cioè un effettivo indebolimento della posizione concorrenziale della produzione nazionale. La FIAT si colloca al penultimo posto dei grandi produttori nella scala della qualità del prodotto, e lo scenario e quello di una concorrenza sempre più accanita. è quello di una intensificazione della battaglia commerciale, con riduzione di prezzi, aumento di dotazioni di prodotto e di servizio, inevitabili contrazioni dei margini operativi delle imprese e poi, ad aggravare il tutto, ci pensano gli insediamenti giapponesi in Europa che aumentano ulteriormente la sovracapacità produttiva su scala europea, mentre sui mercati dell'est si avvantaggiano tedeschi Ancora più colpita è la componentistica, più colpiti sono i fornitori delle case automobilistiche, i subfornitori, le forniture di primo equipaggiamento e le aziende dell'accessoristica e del ricambio.
Stesso discorso vale per l'informatica. Qui non c'è recessione, la domanda mondiale ha semplicemente subito una contrazione, un rallentamento è calato il tasso di crescita, la competitività si è fatta esasperata, i giapponesi spadroneggiano in Europa nei vari settori dell'elettronica e dell'informatica, il nostro continente è terra di conquista per gli americani, i nordamericani e i giapponesi. Avremo una selezione, destinata ad essere spietata, delle imprese europee. C'è il pericolo di un ridimensionamento drastico dell'Olivetti, se non peggio. Così per il tessile e la filatura laniera, frammentazione di imprese, debolezza finanziaria, insufficiente aggiornamento tecnologico, posizionamento nella fascia produttiva medio - bassa più esposta alla concorrenza estera.
Per quanto riguarda il settore siderurgico, non so se valga ancora la pena parlarne. Ne abbiamo discusso molto nella passata legislatura, il risultato è che sono quasi scomparsi il polo siderurgico torinese e quello ossolano. Per l'elettronica civile - lo ha ricordato anche l'Assessore c'è un drastico ridimensionamento, non solo la crisi rovinosa della Indesit, ma le difficoltà della Merloni, l'incerta esistenza del polo torinese, anche solo residuo, nel settore degli elettrodomestici bianchi.
Poi la crisi dell'Aspera, la crisi della refrigerazione industriale nel Casalese.
La base industriale piemontese soffre di antichi e nuovi limiti, di debolezze strutturali, la svolta del ciclo economico consistita nell'innesto, sul quadro economico, di una fase congiunturale sfavorevole.
Si registra quindi una crescente debolezza di imprese fondamentali per l'economia del Piemonte e del nostro Paese intero, e moltissime altre imprèse sono alle prese con veri e propri, problemi di sopravvivenza, le auto e l'elettronica sono in una fase critica, elementi di ristagno, di rallentamento della domanda, forti spinte innovative verso nuove generazioni di prodotti. Rivitalizzare la domanda in questi due comparti fondamentali richiede innovazioni sostanziali per l'automobile, il confort la sicurezza, l'impatto ambientale; per l'informatica. Lo sviluppo delle prestazioni, la facilità di accesso e della connettività rispetto alle complesse reti di comunicazione, richiede che queste imprese diventino competitori globali capaci di stare su un mercato che é sempre più un mercato mondiale e globale.
Siamo ad una nuova fase di riorganizzazione, di razionalizzazione produttiva nell'ambito di un processo incessante di ristrutturazione, con pesanti ripercussioni sul piano occupazionale.
Pertanto, mi chiedo se è possibile ripetere i balzi di produttività degli anni '83 e '85; anzi, aggiungo un altro interrogativo e cioè se è sufficiente determinare ulteriori balzi di produttività, quando sono emersi drammaticamente problemi non tanto di competitività da costi, ma competitività da qualità, da affidabilità dei prodotti, dei beni materiali ed immateriali, dei sistemi tecnologici integrati, dei servizi offerti dalle nostre imprese.
Analizzerò ora gli incrementi di produttività. Si possono combinare in un modo più razionale i fattori produttivi, si può spremere oltre misura il lavoro, tentare di subordinare, se non addomesticare, i sindacati. Ma, fino a che punto si può ottenere con questi metodi un incremento di produttività? Il problema nuovo, inedito é quello dei costi; dei prezzi della qualità, dell'affidabilità dei prodotti. Questi fattori sono un tutt'uno inscindibile, competitività da qualità e affidabilità. Non si inventa, non si improvvisa.
Bisogna fare i conti con un coacervo di problemi: il livello della scuola italiana e della formazione, dell'aggiornamento professionale, il livello della ricerca scientifica pura e applicata, il livello di innovazione di processo, di prodotto, di materiale, il livello di innovazione settoriale e complessiva di sistema, e non solo settoriale, il livello di incorporazione di tecnologie di innovazione dei prodotti, dei beni, dei servizi, il livello di valore aggiunto delle produzioni, il tipo di relazioni industriali tali da valorizzare pienamente la forza lavoro l'uomo produttore, al fine della qualità. Sono decisivi l'apporto l'intelligenza creativa, la motivazione; il grado di responsabilità, la professionalità del lavoratore, dell'impiegato, del tecnico.
Emergono oggi i problemi di innovazione parziale e non di sistema prevalentemente di processo, si è badato molto a risparmiare manodopera, ma il nostro Paese si dimostra arretrato quando si tratta di innovazione di prodotto e di nuovi materiali. E' noto che l'innovazione dei nuovi materiali é strategica. Emergono limiti nel livello di internazionalizzazione del sistema produttivo e dell'economia italiana.
Tolte talune grandi imprese, che tra l'altro non hanno ancora raggiunto il livello indispensabile di competitori globali, la piccola e la media industria, l'artigianato non appaiono nelle condizioni per gli attuali livelli di conoscenza e di risorse per adeguarsi alla situazione venutasi a creare e all'appuntamento del 1993.
Bisogna certamente riconfermare la centralità del settore industriale ai fini della vitalità economica della nostra regione; è importante il terziario qualificato sia come autonomo comparto di creazione di reddito sia come struttura funzionale ad elevare la produttività dell'industria del sistema regionale, a migliore la qualità dell'ambiente sociale e naturale.
Centralità nel settore industriale significa diversificazione della matrice delle specializzazioni produttive, significa non limitarsi alle aziende industriali, attivando serie e fondamentali economie di sistema, significa innovare l'intero apparato infrastrutturale della nostra Regione, non concentrare lo sforzo nel solo settore industriale.
L'industria piemontese e nazionale é di fronte a problemi di saturazione sui principali mercati, difficoltà di penetrazione nei mercati di nuova formazione, per concorrenza da parte di economie più aggressive per vari motivi, di depotenziamento dovuto al trasferimento nel Mezzogiorno di talune produzioni. Bisogna ripensare alla vocazione industriale del Piemonte; dalla produzione di beni a minore valore aggiunto bisogna passare a quelli con maggiore valore aggiunto; dalla produzione di prodotti a minore tecnologia bisogna passare a quelli che innovino, incorporino maggiori e più elevati livelli tecnologici; dalla produzione dei beni bisogna passare alla produzione di tecnologie di know how. Riaffermare l'insostituibilità della vocazione industriale del Piemonte significa quindi, porre mano a nuove specializzazioni nel campo delle tecnologie alte e medio alte.
Se riusciamo a fare questo potremo sopperire, almeno in parte, al declino delle funzioni manifatturiere tradizionali dell'apparato industriale. Per fronteggiare la situazione occorrono politiche nazionali e comunitarie in quanto ormai si confrontano, si scontrano e competono non solo più le grandi imprese, ma anche i sistemi produttivi nazionali, le grandi aree economiche mondiali in un mercato sempre più mondiale e globale.
Paese curioso il nostro; quando si potevano attuare le politiche industriali settoriali non si é provveduto, ora che non si possono più attuare, molti le auspicherebbero. Le politiche praticabili riguardano la ricerca, la componentistica, l'energia e i grandi progetti nei campi dell'informatica e delle telecomunicazioni, la programmazione della domanda pubblica, praticabili su scala nazionale e comunitaria. Le stesse politiche industriali settoriali, per non scadere al livello della concorrenza sleale, sono praticabili solo su scala europea a due condizioni: la definizione di politiche nazionali depurate dagli egoismi nazionali e coordinabili in modo tale da definire orientamenti europei comuni.
Le politiche nazionali affini coordinate sono elementi indispensabili per costruire politiche europee, comunitarie. La politica economica dell'Italia deprime cattività produttiva, riaccende il processo inflazionistico, preferisce finanziare il non lavoro, la disoccupazione preferisce finanziare l'assistenza piuttosto che il lavoro, le attività, la produzione di reddito e di ricchezza.
Per quanto riguarda l'occupazione avo crescenti difficoltà a sostenere la concorrenza in quanto vi é un rallentamento degli investimenti e gli effetti non possono che essere negativi. Si consoliderà lo zoccolo strutte di non lavoro, di inattività, di disoccupazione. Ad aggravare la situazione intervengono politiche: sbagliate o continuamente rinviate. L'esempio tipico riguarda la riforma della Cassa Integrazione e della mobilità del lavoro di cui si discute da almeno 15 anni senza risultati concreti. Se l'apparato industriale produttivo nei decenni trascorsi ha potuto progredire e; negli ultimi anni, galleggiare con successo, il nuovo ciclo economico lo vede avviato verso un declino e un progressivo decadimento caratterizzato da un'erosione della base produttiva, da un calo del ritmo di crescita, da un ulteriore calo dei posti di lavoro. La Regione deve sollecitare pressioni politiche il governo nazionale a svolgila propria funzione nel nostro Paese e nella Comunità europea e la Regione deve fare la propria parte.
Bisogna che gli strumenti di cui dispone e la Regione siano ampliati bisogna rivendicare al Governo nazionale il ruolo delle Regioni nel campo delle politiche industriali, che devono avere il respiro comunitario di cui parlavo, non possono essere settoriali ed esclusivamente nazionali; bisogna che la Regione usi lo strumento fondamentale della formazione professionale del capitale umano per stare al passo con le gigantesche trasformazioni tecnologiche e culturali che hanno luogo a livello Internazionale; bisogna che i vari strumenti siano coordina tra di loro, che vengano destinate maggiori risorse alla politica di sostegno dell'impresa minore delle microaziende e dell'artigianato; bisogna, in sostanza, che la Regione attui una politica capace di promuovere il lavoro.
Non mancano strumenti e risorse; sono purtroppo scoordinati scarsamente efficienti ed inefficaci. La politica che prevale é quella di subordinazione al Governo centrale. Si preferisce, nel migliore dei casi finanziare interventi assistenziali che di finanziare il lavoro e l'occupazione. E' così che la politica confindustriale - ristrutturazioni selvagge e unilaterali finanziate sempre da parte dello Stato i cui effetti ricadono esclusivamente sui lavoratori - ha via libera.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente e colleghi, questo dibattito é molto importante, per l'affermazione é contraddetta guardandosi attorno, ma, poiché riteniamo si tratti di un dibattito importante é giusto svilupparlo fino in fondo.
Quando si parla di occupazione non si deve commettere l'errore di considerarla come un fatto fine a se stesso, originario e neanche come una subordinata, ma - e mi pare che gli interventi svolti manifestino tale orientamento - deve essere considerata come la conseguenza di una politica industriale. L'Assessore ed altri colleghi hanno inquadrato uno scenario complessivo; ciò é corretto in quanto ci troviamo in un periodo particolare e difficile non soltanto per l'economia nostra, ma per quella mondiale. I dati ufficiali evidenziano che l'economia mondiale aumenterà dell'1-2% nel 1991 a fronte dell'aumento nel 1990 del 2,1%. Nell'ambito delle economie europee vi sono delle difficoltà: la Germania sta affrontando alcune questioni e l'entusiasmo nato subito dopo l'abbattimento del muro di Berlino si sta riducendo; la Francia, pur essendo in crescita, ha dei problemi; la Gran Bretagna presenta aspetti fortemente negativi.
Importante é stabilire a che livello é, oggi, la nostra economia. E' debole rispetto a quelle europee con le quali si deve confrontare quotidianamente. E se l'economia italiana si trova in un momento difficile di confronto, il Piemonte é, oggi, l'anello o uno degli anelli deboli dell'economia nazionale.
Qualche tempo fa si parlava del Piemonte come area forte dell'Europa: oggi credo si possa dire con tutta franchezza che é una delle aree più deboli. Può sembrare provocatorio dire ciò di una regione fortemente industrializzata, ma certamente il Piemonte si sta avviando verso una forte deindustrializzazione che, fino a oggi, non si è voluta denunciare, ma che purtroppo sta andando avanti. Le altre Regioni del nord Italia che pur hanno problemi gravi di economia in difficoltà, hanno delle alternative. La Lombardia avendo puntato molto ed essendo cresciuta, rafforzata e puntellata, non soltanto sul sistema industriale, ma sul sistema dei servizi e del terziario, riesce comunque ad affrontare, in qualche modo, la crisi.
La stessa Liguria che é sempre stata ed é regione debole; ha comunque delle opportunità nuove con l'integrazione europea, quindi può diventare porto non soltanto più della Padania, ma anche dell'intero sistema europeo.
Il sistema "Piemonte" è oggettivamente il più debole perché ha intorno tutta una serie di elementi più forti. Una certa politica che c'è sempre stata del Mezzogiorno e che fino a oggi non ha creato grandi difficoltà comincia, in un momento difficile per il sistema industriale piemontese e del settentrione, a creare o a evidenziare alcune difficoltà. Noi dobbiamo farci carico della crescita del Mezzogiorno d'Italia, ma dobbiamo prendere coscienza che una politica discriminata di questo genere va a cogliere un sistema industriale oggi in posizione di debolezza.
A parte questa politica, che comunque é un fatto storico perché é da molto tempo che viene realizzata, oggi ci sono situazioni nuove intorno al Piemonte che rendono più difficile questo sistema, quali la crisi industriale, la crisi di quei settori che sono stati caratteristici della nostra regione.
Il settore dell'automobile, quello tessile, quello dell'informatica erano i più forti della Regione Piemonte, oggi sono i settori, che presentano le industrie più colpite dalla crisi, andando ad incidere in modo particolare e forte su tutto il Piemonte. Tutto ciò lo si verifica dal settore delle macchine utensili, che pure era caratteristica significativa del Piemonte: le macchine utensili hanno oggi dei cali straordinari. La macchina utensile é il sintomo della capacità, della voglia e della volontà di investire. Oggi non si investe più, il sistema piemontese non investe più, gli investimenti sono fatti a brevissima scadenza, a brevissimo ritorno, con un payback di non oltre due anni. Questo accade perché non c'è più una prospettiva complessiva.
C'è poi una difficoltà geografica: intorno al Piemonte ci sono situazioni più forti. La situazione della Valle d'Aosta; di cui dobbiamo pure prendere atto, crea discriminazioni nei confronti della nostra regione. La Valle d'Aosta, avendo delle opportunità straordinarie supportate da una legislazione vecchia, quella del primo dopoguerra che privilegi ava in modo straordinario le Regioni a Statuto speciale, ha oggi delle potenzialità industriali capaci di fare una fortissima concorrenza al sistema piemontese.
Non é soltanto un discorso italiano; abbiamo delle situazioni a pochi chilometri da Torino che creano le condizioni di una concorrenza straordinaria al sistema piemontese. Sappiamo, infatti, che oggi in Francia si produce con un costo di mano d'opera certamente non superiore e molte volte inferiore al costo della mano d'opera italiana, con un costo dell'energia del 30% inferiore al costo italiano, e con un sistema complessivo di servizi di organizzazione della società certamente superiore al nostro. Qualcuno diceva che il primo Ministro francese fa una forte politica a difesa e a supporto del sistema produttivo. E' vero, ma non soltanto una politica nazionale questa, é una politica locale.
Per questioni di lavoro, ho avuto modo di verificare un fatto che emblematico e che dovrebbe farci riflettere tutti: per favorire il passaggio di una industria italiana in Francia le autonomie locali, a poche decine di chilometri oltre la dogana, hanno offerto il 40% a fondo perduto per la costruzione di uno stabilimento, più il residuo 60% a un tasso di soli due punti superiore all'inflazione, con costi di progettazione interamente a carico della comunità, e il pagamento di salari, per un anno a carico della collettività. Politiche industriali di questo genere non possono essere affrontate soltanto per mezzo di piccole manovre, occorrono manovre molto più forti, occorrono manovre, politiche, prospettive capaci di contrastare in qualche misura le altre politiche che ormai ci sono vicine.
Il Ministro Bodrato dice; "Se crediamo che la situazione del Piamente possa cambiare senza far niente, saremmo perdenti. In un sistema economico chi non reagisce alle difficoltà è soltanto destinato a perdere". Credo che Bodrato abbia ragione. Chi non reagisce a questa situazione con delle politiche altrettanto forti é destinato a perdere, e il Piemonte destinata a perdere se non riesce ad affrontare questi problemi La Regione non ha grandissime competenze in materia di politica industriale, quindi il problema é riferito al Governo. Nel 1987, quando le Leghe erano ancora lontane, noi ponemmo proprio in quest'aula la questione settentrionale, provocarlo l'ira di un Consigliere molto simpatico il quale leggeva quell'iniziativa come una sorta di razzismo. Allora dicemmo: l sistema industriale forte del nostro Paese, che é il sistema settentrionale, se non é fortemente supportato da politiche nuove in materia industriale, é un sistema che, messo a confronto con gli altri sistemi industriali europei, é destinato a perdere. Dicemmo che occorreva uno straordinario sforzo a favore del sistema industriale forte del settentrione.
Però non é un discorso da rivolgersi soltanto al Governo. Credo che occorrano delle politiche nuove anche a livello regionale. Forse questo è l'aspetto che ci ha lasciati più perplessi rispetto all'ampia e in gran parte apprezzabile relazione dell'Assessore.
Ho la sensazione che le politiche, o molte delle politiche che cerchiamo di attuare, siano politiche che ancora si muovono in una cultura diversa, in una cultura ancora assistenziale. Calligaro le ha chiamate politiche subordinate alla Confindustria o al Governo. Ho la sensazione però che troppe volte siano politiche subordinate al sindacato e all'opposizione, caro Calligaro, e cercherò di dimostrarlo.
Quando diamo valenza di politica industriale forte ai cantieri di lavoro, che sono una politica assistenziale, e non industriale, quando diamo una valenza industriale forte al Fondo straordinario per l'occupazione, che é ancora una politica assistenziale e non industriale quando calchiamo la mano, e indichiamo nel CILO uno strumento capace di aumentare l'occupazione, capace di indirizzare l'occupazione, comunque uno strumento di politica del lavoro, noi crediamo che si faccia un errore.
Sul CILO siamo molto perplessi, ne parleremo quando si discuterà di questo disegno di legge. Il Partito Repubblicano credo non lo approverà e spiegherà in quella sede le sue ragioni.
C'è un'altra politica che potrebbe essere una importante politica industriale, non soltanto dell'occupazione ma di efficienza complessiva del sistema: la formazione professionale. Si tratta di una politica che assorbe gran parte delle risorse regionali e anche di questo parleremo ancora perché noi siamo convinti che si tratti di uno strumento unico straordinario, di competenza propria della Regione, che deve essere usato nel migliore dei modi.
Noi facciamo riferimento ad un ordine del giorno che é firmato da tutte le forze di maggioranza, che dava certe scadenze e chiedeva certi impegni alla Giunta. Quando le discuteremo, anzi, solleciteremo un dibattito chiederemo un cambiamento rispetto alle politiche della formazione professionale.
Non credo si stia recuperando in questo settore. Certamente, non siamo confrontabili con molte altre regioni, ma non mi pare vi sia un recupero forse stiamo perdendo qualcosa. Almeno questa é l'opinione dei destinatari degli operatori. Il Consigliere Tapparo ha detto che occorre concentrare gli sforzi ed io sono d'accordo con lui. Occorre evitare di disperderci in mille rivoli.
La legge regionale n. 56 ha una grande capacità innovativa; occorre rinforzarla, occorre dare forza a quegli strumenti di politica industriale che politica industriale fanno davvero e che non sono strumenti assistenziali.
L'accoglimento che il sistema industriale, il sistema economico hanno dato a questi strumenti, che sono effettivi strumenti di politica industriale, va ad indicare i corretti strumenti capaci di modificare questa situazione. Occorrono nuove politiche industriali di supporto assunte d'intesa con il sistema delle imprese e con il sistema sindacale formazione gratuita per nuovi insediamenti industriali, assistenza alle piccole imprese per i nuovi insediamenti industriali, per l'individuazione dei finanziamenti più favorevoli, in sostegno della piccola impresa.
Nei momenti di crisi, la grande impresa é capace di reagire, la piccola impresa, proprio in questi momenti, ha la più grande necessità di supporto.
Chiediamo che questo supporto sia dato con urgenza, senza indugio, sapendo che occorre destinare a questo settore delle risorse.
Sono d'accordo con il Consigliere Tapparo quando parla della dispersione; ho cercato di interpretare alcune sue perplessità rispetto all'Agenzia per l'impiego (sull'agenzia per l'innovazione anche noi abbiamo delle perplessità da chiarire); l'agenzia per l'impiego é un'altra cosa noi crediamo si debba fare il CILO, proprio perché esiste già qualcosa..
Dobbiamo finalizzare tutte le nostre risorse; sono poche e devono essere orientate a poche iniziative capaci di costituire un supporto.
Lo stesso vale per la politica di promozione. Ancora oggi ho sentito chiedere chi farà mai la politica della promozione e se saremo ancora in grado di farla.
Forse, dopo l'atto di coraggio che la Giunta ha avuto la scorsa settimana, che ho apprezzato, c'è finalmente la possibilità di fare una politica di promozione senza più essere condizionati dalle sovrastrutture che abbiamo.
La politica di promozione non si fa attraverso una o due società, ma si fa attraverso una politica a punto e la politica a punto la si fa non disperdendo risorse ed energie per sostenere sovrastrutture, ma la si fa creandola, finalizzandola e finanziandola..
C'è stato da parte della Giunta un atto di coraggio che non ha molti precedenti, non solo nella storia di questa Regione, ma nel sistema pubblico italiano. Crediamo che, per affrontare il problema dell'occupazione, o meglio, del sistema industriale e del sistema della piccola impresa, che più ci riguarda, occorre che questa Giunta compia altri atti di coraggio, sapendo rinunciare ad una serie di spese che ormai si sono incrostate nel nostro sistema. Bisogna saperle scrostare dal nostro sistema, recuperare risorse ed energie perché siano finalizzate rispetto a quei pochi strumenti che possono essere facilmente individuabili e che sono un vero supporto e sostegno dell'economia industriale.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GROSSO



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Foco. Ne ha facoltà.



FOCO Andrea

Signor Presidente, signori Consiglieri, dobbiamo ammettere onestamente che è difficile che gli organi di stampa, i mass media, prestino attenzione al nostro dibattito, quando i primi a snobbarlo, a non essere attenti siamo noi stessi. Consiglieri, compresa la Giunta. Ritengo questo un fatto grave, perché può rappresentare un aspetto di rassegnazione e sarebbe ancor più grave se in noi ci fosse la consapevolezza che le scelte vengono compiute da altri ed al di fuori di quest'aula e che la Regione continua e continuerà a contare sempre meno, nel dibattito complessivo.
Mi sembrava doveroso aprire in questo modo il mio intervento affrontando un ambito specifico, ma a mio parere estremamente importante seguendo anche le parole che l'Assessore ha utilizzato nella sua relazione.
Non sto a ripetere i primi due capoversi; si parla di "ruolo essenziale per le politiche attive del mercato" e di "settore di importanza cruciale" cioè quello della formazione professionale.
Credo sia giusta ed importante la valorizzazione della formazione professionale fatta nelle politiche attive del lavoro. Non posso, però, non sottolineare il profondo distacco che registro tra le dichiarazioni ed i fatti concreti dell'operare.
Nel nostro caso - Assessore, non vorrei anticipare il dibattito che ci vedrà impegnati il prossimo martedì - l'operare concreto è il piano corsi '91/'92. Diventa questo il primo banco di prova, la prima verifica se alle parole si riescono a far seguire i fatti.
In quest'aula avevamo già avuto un'altra concomitanza; il dibattito sulla crisi della Fiat e subito dopo sulla formazione professionale. Oggi affrontiamo il tema dell'occupazione in generale, e la prossima settimana discuteremo delle proposte concrete. Credo ci simun profondo distacco, che la proposta concreta che la Giunta è in grado di fare sia abbastanza deludente. Quindi, la mia critica non è tanto all'analisi che viene svolta in queste pagine della relazione dedicate alla formazione professionale e alle indicazioni che emergono, anche se mi pare carente, per non dire mancante, il riferimento al contesto europeo. Ci riempiamo sovente la bocca dell'appuntamento del '93, del Piemonte collegato all'Europa, poi abbiamo delle difficoltà a fare in modo concreto questi collegamenti perch constatiamo quanto sia lontano il Piemonte dall'Europa. Basterebbe leggere pag. 18, tabella 13 - lo studio che l'Ires ha fatto sui sistemi formativi europei per vedere quanto poco il Piemonte spenda, pro-capite informazione: meno della media nazionale, con un distacco enorme poi dagli altri concorrenti a livello europeo, quelli stessi con i quali ci lottiamo per vedere se siamo arrivati quarti, quinti o sesti nella volata finale della graduatoria mondiale dei Paesi più industrializzati. Questi Paesi spendono mediamente tre, quattro volte tanto, quando spendono poco, di quello che spendiamo in Piemonte per quanto riguarda questo comparto. Nella relazione manca inoltre qualsiasi riferimento critico alla politica scolastica statale: la formazione professionale della Regione Piemonte potrebbe operare in un contesto migliore se la scuola di stato e le relative politiche governative fossero all'altezza dei tempi e di respiro europeo.
A questo punto potremmo nuovamente richiamare lo studio dell'IRES o quello, più recente, della Fondazione Agnelli, per una verifica dei drop out, ovvero tutti coloro che non solo non riescono a terminare la scuola dell'obbligo, troppo basso è il livello di scolarizzazione degli occupati ma anche di coloro che non riescono a portare a termine iter formativi minimali; o della secondaria superiore; per non parlare dell'Università dove gli abbandoni, nei primi due anni, raggiungono livelli percentuali del 30/40%.
Questi elementi, non mi paiono utili unicamente per nuove analisi e per poter scrivere altri volumi; sono un contesto di riferimento preciso sul quale innestare politiche e interventi regionali più precisi e mirati.
Non ci si deve limitare a lanciare grida manzoniane, occorre effettuare interventi incisivi e significativi.
Nell'anno in corso, in modo particolare, attraverso il piano-corsi 1991/1992 si sono tentate svolte e cambiamenti; ma svolte e cambiamenti di tendenza non si improvvisano mediante una circolare o una relazione, vanno preparati attraverso processi di coinvolgimento, di scelte politiche complessive, di cui la circolare ha valore come coronamento e conclusione di un processo.
E il vecchio ritornello degli impegni non mantenuti, come quello di definire elemento indispensabile la verifica annuale dei risultati della formazione professionale, impegno assunto nel Programma pluriennale di attività e di spesa 1988/ 1990, senza che questa sia stata mai approntata.
Quest'anno è stato finalmente redatto un primo studio inerente anni precedenti, mi auguro solo che non sia l'ultimo.
Continuano a permanere, con tutta la loro gravità; nodi centrali per quanto riguarda il comparto formativo; sia relativamente agli interventi finanziari sia all'organizzazione dei corsi: permane soprattutto un ruolo di tipo assistenziale. E' giusto dedicare comparti di intervento agli svantaggiati, ai portatori di handicap; ma devono essere interventi precisi e mirati; l'intera formazione professionale non può risolversi come un unico, grande, ambito assistenziale; non é il suo ruolo, non é corretto andare avanti così.
La formazione professionale continua a svolgere, perla gran parte, nei corsi di primo livello quel ruolo di completamento dell'alfabetizzazione che non é risolto dalla scuola dell'obbligo e anche per i altri livelli più alti la formazione professionale è sempre "accodata" o svolge un lavoro di completamento: non ha mai un proprio specifico ruolo ben delineato, proprio in momenti in cui le scelte della formazione professionale debbono essere chiare e precise, con obiettivi di alta specializzazione, anche in funzione di un collegamento con i livelli europei.
E' importante un'integrazione fra formazione professionale e livello scolastico secondario superiore. Non sono sufficienti i primi esperimenti che anche la Regione Piemonte sta compiendo o ha compiuto nel corso di quest'anno, con un impegno a mio parere molto limitato, che vede il rapporto formazione professionale - scuola secondaria limitarsi agli istituti professionali di stato. Occorre una visione più complessiva, che tenga conto di tutti gli indirizzi della scuola secondaria superiore.
Per questioni di tempo proseguirò per titoli: riprenderemo il discorso in occasione della discussione sul piano corsi 1991/1992.
Anche l'intervento di formazione, di aggiornamento o di riqualificazione per i disoccupati e i cassintegrati, non deve avere un ruolo assistenziale, quasi per fornire un'integrazione del salario, ma deve essere di effettiva specializzazione per permettere la mobilità da un posto all'altro, e non da un posto di lavoro alla disoccupazione.
Il discorso vale, quindi, anche peri lavoratori occupati. Anche questo è un comparto estremamente importante e interessante, che non può essere lasciato alla scelta dei singoli (anche se ritengo corretto che debba esserci un'integrazione finanziaria da parte degli interessati singoli o aziende), va messo in un contesto più complessivo, proprio per elevare il livello qualitativo della nostra forza-lavoro che, non dimentichiamolo resta sempre, anche nel mondo dell'automatizzazione e quindi dell'esclusione della fatica dell'uomo, il punto centrale per lo sviluppo economico.
Dobbiamo iniziare a discutere seriamente di educazione e di formazione permanente. In questo contesto, un ruolo centrale dovrebbero avere, e non hanno, i Centri di formazione professionale a gestione diretta, quelli della Regione Piemonte. Essi dovrebbero avere la leadership sia nel campo della sperimentazione di nuovi profili professionali sia nel rompere rigidità che si sono formate nel corso di anni. Se c'è, invece stanchezza e conservazione; normalmente mi pare che queste si trovino proprio nei centri diretti dalla Regione. Questo sta a confermare il discorso con il quale iniziavo questo intervento.
Mi pare altrettanto sbagliata la visione, che ricavo dalla relazione che con il termine formazione professionale s'intenda solo l'aspetto consolida-to. I comparti dell'agricoltura e quello socio-sanitario non sono presi in considerazione in questa relazione, quasi che anche questi camparti non facessero parte di un discorso complessivo sull'occupazione o sulla formazione professionale.
Mi rendo conto della divisione delle competenze, ma sta alla capacità della Giunta svolgere politiche complessive, disegnare una prospettiva complessiva, se davvero si crede, fino infondo, alle affermazioni che si mettono all'inizio delle proprie relazioni.
Ancora due brevi osservazioni prima di concludere.
In primo luogo come affrontare la richiesta che viene posta sempre più con forza e giustamente per certi aspetti (ognuno deve fare correttamente il proprio mestiere) da parte dell'industria privata di poter fare in proprio formazione professionale, ma a spese della Regione. Dobbiamo pensare a nuove forme di risposta: a meno che non si faccia la scelta di svendere sempre più una parte della formazione professionale ai privati.
Dobbiamo andare allora verso forme di gestione miste pubblico/privato, con joint-venture, o consorzi per affrontare problemi specifici, andare perci a studiare convenzioni specifiche.
Ultimo, ma non ultimo, il discorso delle risorse.
Diamo per scontata, per quanto riguarda la formazione professionale, la carenza delle risorse; ci riteniamo soddisfatti se riusciamo a mantenere il livello raggiunto dei 120 miliardi.
Ritengo che si possa spendere meglio questa parte notevole, e contemporaneamente esigua, di risorse finanziarie se confrontata con altri livelli; sicuramente però - ripeto un'osservazione già fatta precedentemente - dobbiamo cercare di avvicinarci, anche a livello di risorse, oltre che dei contenuti, alla spesa che viene fatta negli altri Paesi europei.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la Consigliera Segre; ne ha facoltà.



SEGRE Anna

Signor Presidente e colleghi, è la seconda volta che ho la possibilità di partecipare in Consiglio a un dibattito sull'occupazione su relazione dell'Assessore Cerchio. Vorrei soffermarmi su due temi, dato il tempo contingentato che è stato - stabilito e che intendo rispettare.
Il primo tema. Ho letto con piacere nella relazione dell'Assessore Cerchio, che per motivi di tempo nemmeno lui ha potuto richiamare oralmente questa mattina, l'apprezzamento per le iniziative sul lavoro femminile portate avanti dalla Commissione per le pari opportunità della Regione Piemonte;in collaborazione con l'Assessorato all'ambiente.
Voglio partire di qui proprio perché quell'apprezzamento (pag. 40) si riferisce ai corsi "retravailler" che ancora non sono stati ricordati. E il reinserimento delle donne che hanno smesso di far parte del mercato del lavoro per motivi di famiglia, come la maternità, o per la cura prestata agli anziani. Si tratta di una fase sperimentale, peraltro riuscita, quindi è augurabile che queste iniziative vengano riproposte sull'esempio di quanto già avviene in altri Paesi, ad esempio in Francia.
Colgo lo spunto, per dare la mia valutazione su questi tentativi, anche se limitati, di reinserimento di questa fascia di lavoratori, cosiddetta debole. Questo esperimento è stato realizzato dalla collaborazione tra la Commissione per le pari opportunità e l'Assessorato al lavoro. Ricordo, tra l'altro, che la Commissione per la realizzazione delle pari opportunità attende da un anno di essere rinnovata. Oggi è all'esame del Consiglio una proposta, di legge per integrare la composizione di tale Commissione; e spero che con questo si possa dare un contributo al lavoro femminile per il quale è importante la collaborazione della Regione con la Commissione pari opportunità.
Il secondo argomento che desidero affrontare è un argomento che sta molto a cuore ai Verdi, ma che non ho trovato nella relazione dell'Assessore. Ritengo che dobbiamo ragionare su che cosa vogliamo ottenere e su che cosa per noi significa una Regione sviluppata. Dobbiamo comprendere nei nostri ragionamenti che oltre un certo limite di produzione non si può andare perché occorre tener conto delle compatibilità ambientali che le produzioni molte volte ledono.
La Regione Piemonte dovrebbe fornirsi di una strumentazione atta e idonea a definire quello che potrebbe essere un nuovo termine che dovrebbe far parte del lessico quando si parla di occupazione.
Vorrei provare a parlare di "regione sostenibile". Che cosa vuol dire lavorare per una regione sostenibile? Vuol dire, secondo me, mantenere e valorizzare tutti gli elementi di diversità ed Introdurvi fattori nuovi di sviluppo, sia economico che relazionale. Il primo di questi fattori di sviluppo è quello che riconduce alla categoria dell'eco-sviluppo; significa svolgere attività fondate sul rispetto totale dell'ambiente, così come storicamente si è determinato, sulla creazione di un nuovo ambiente caratterizzato da risorse rinnovabili, su uno scambio attività-risorse sostanzialmente autocentrato.
Lo stesso concetto di "sviluppo sostenibile" implica la realizzazione di un processo di qualificazione dei sistemi produttivi urbani, fondato sulla riproducibilità delle condizioni stesse dello sviluppo, per il perseguimento di obiettivi economici in equilibrio con ' (ambiente, sulla progressiva sostituzione delle risorse non rinnovabili e con risorse e tecnologia rinnovabili.
Quindi Al punto di riferimento - mi piacerebbe che queste osservazioni fossero per lo meno annotate - dovrebbe appunto essere quello di un concetto di "regione sostenibile", come ho appena detto, intendendo con questo termine un assetto dei rapporti sociali, delle attività umane e dei modelli di vita fondati su alcuni presupposti essenziali, che siano la valorizzazione delle condizioni storico - naturali del territorio della regione, la rivalutazione di alternative di sviluppo al modello urbano industriale, una forte centralità della comunità locale intesa come luogo di relazione tra produttori e consumatori, capace di rapportarsi con il resto del mondo a partire da alti livelli di democrazia, di partecipazione e di convivialità.
Per raggiungere questo obiettivo, non è che siamo completamente privi di strumenti. Abbiamo leggi nazionali a cui possiamo fare riferimento per affrontare il problema una volta tanto per il capo e non per la coda.
Per esempio, è importantissimo che stia giungendo a compimento, anche per la Regione Piemonte, il recepimento in sede regionale della Direttiva Seveso. Se saremo capaci di renderla attuabile, significa intervenire a priori, e non sempre a posteriori, non quando i disastri ambientali sono capitati; ma soprattutto quando i disastri ambientali si ripercuotono sull'occupazione, portando il conflitto tra ambiente e lavoro. Si avverte inoltre sempre più l'esigenza e l'urgenza di una specifica normativa per affrontare i problemi della riconversione industriale. Giacciono al Parlamento diverse proposte di legge su iniziative di diversi Gruppi politici.
Anche una Regione come la nostra, così fortemente industrializzata dovrebbe farsi carico di questo problema, perché è urgente parlare di riconversione industriale, ovviamente nella tutela della occupazione.
Già al termine dell'altro dibattito sull'occupazione, con un gruppo di colleghi avevo proposto una delibera di istituzione di una commissione speciale sulla riconversione dell'industria piemontese. Mi dicono che per motivi tecnici non potrà andare in votazione oggi. Spero che vada la prossima volta, perché ritengo che l'urgenza di affrontare anche i problemi della riconversione industriale, nella tutela dei posti di lavoro, ma soprattutto nella prevenzione dei disastri ambientali, sia compito della Regione.



PRESIDENTE

Ha chiesto d'intervenire il Consigliere Chiezzi. Ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, colleghe e colleghi Consiglieri, Karl Marx nella "Introduzione alla critica dell'economia politica" scrisse: "La fame è fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta mangiata con coltello e forchetta è una fame diversa da questa che divora carne cruda aiutandosi con mani unghie e denti. La produzione non produce perciò solo l'oggetto del consumo, ma anche il modo di consumo, essa produce non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente. Produzione e consumo, ciascuno di essi realizzandosi, crea l'altro".
Questa citazione segna, all'inizio del primo intervento che svolgo come rappresentante del Gruppo Rifondazione comunista, l'impegno che, con le forze di cui sono capace, svilupperò in questo Consiglio, cercando di costruire, se si vuole dal punto di vista storico ricostruire, un aggiornato punto di vista critico al modo, di produzione capitalistico.
Oggi si parla di occupazione. Io do un senso diverso a questa parola da quello che ho sentito, ad esempio, qui esporre dal collega Ferrara. Tengo a precisare questo senso diverso perché mi pare che le forze politiche debbano essere in grado di dare un significato, una linea generale di interpretazione della realtà e quindi di obiettivi da raggiungere.
Non condivido assolutamente il concetto di occupazione che propone il collega Ferrara: una subordinata ad una corretta politica industriale.
Ci dividono molte cose, colleghi. Come comunista, continuo a ritenere che l'occupazione rientri nell'ethos, nei valori etici, nei diritti fondamentali dell'uomo; ritengo sia un valore fondamentale dell'uomo rientri nel settore del dover essere e non dell'essere. Il lavoro l'occupazione, fa parte dell'attività dell'uomo ed è inscindibile da essa.
Oggi parlare di occupazione in Italia, in Piemonte, forse in Europa significa parlare di chi non ha un'occupazione; e sono tanti, e forse saranno ancora di più in Piemonte, ma significa anche parlare di chi ha un'occupazione e che, avendola, muore, e che avendola si invalida in modo permanente e quindi indirettamente la perde.
Questi due aspetti del problema debbono essere entrambi trattati.
Peraltro l'attività della Regione Piemonte si è svolta anche in questi due settori. Si segnala la presenza di questa grossa crisi che investe settori industriali; una crisi che non é risolta da una crescita del settore terziario, che tra l'altro l'Assessore precisa essere ancora molto ambigua sia per la sua effettiva forza in territorio piemontese, sia per la qualità dei posti di lavora, che spesso, forse, sono solo di carattere marginale e sostenuti o agevolati da interventi pubblici.
Quindi abbiamo gravi prospettive, abbiamo anche una situazione di sicurezza del lavoro assolutamente inaccettabile; siamo ai margini dell'Europa.
Dal 1980 al 1988, 717 morti e 11.715 invalidi permanenti fanno del problema di chi è occupato uno dei problemi che la Regione deve affrontare.
La relazione dell'Assessore manca di sostanza. L'Assessore ha detto molte parole, ha citato fatti, informazioni condivisibili, sono mancate però parole giuste capaci di individuare le responsabilità e le cause di questa situazione. E' mancata l'individuazione delle priorità. Scegliere tutto, vuol dire scegliere niente.
Quali sono le linee di azione della Giunta? Questa situazione non cade dal cielo, non è il terremoto o l'eruzione del Pintakuda nelle Filippine di cui non si sa a chi dire grazie. E una situazione economica e sociale frutto della nostra società e di chi la governa sia dal punto di vista dei poteri economici, di indirizzo, di chi detiene i mezzi di produzione, dei grandi gruppi dominanti, sia di chi ha governato il Paese in questi anni.
Quindi, ci troviamo in questa situazione per precise azioni e interessi sia di forze economiche che di governo nazionale.
Penso che l'esame della situazione occupazionale non debba limitarsi a verificare la situazione piemontese e quella italiana in ordine a parametri che, in una economia di mercato, verificano alcune grandezze, la compatibilità, la produttività del sistema, il livello di innovazione, la qualità del prodotto. Sono tutte analisi che bisogna compiere e dalle quali non ci si deve estraniare. Però esplicito un'altra critica, che caratterizza tutto un filone di pensiero, di lavoro e di lotta, che parte dalla metà dell'800 con Marx e che ritengo non debba essere interrotto e debba essere ripronunciato ed evidenziato come critica al modo di produzione capitalistico di oggi. Ritengo che ci siano delle novità che rafforzano l'esigenza di riprendere (non interrompere) il lavoro di analisi del modo in cui si produce, delle conseguenze della produzione sul consumo e delle conseguenze del consumo sulla produzione.
Siamo di fronte al fallimento dell'economia pianificata di Stato di mezza Europa, qualcosa di più dal punto di vista della popolazione; e siamo di fronte a un divario crescente nelle condizioni di vita; di lavoro, di servizio tra il nord sviluppato del mondo e il sud. Mi colloco tra coloro che (oltre a pensarlo) dicono che il capitalismo non é l'ultima organizzazione economica e sociale di questo pianeta. Ritengo che il crollo economico e produttivo del sistema di Stato collettivizzato dell'est e il rapporto tra nord e sud impongano una ridefinizione del nostro modello di sviluppo, del modello della produzione economica di beni e del livello di consumo dei beni stessi. Prendendo atto e coscienza (e lavorando su questo non sono queste mie poche parole a poterlo fare) che i nostri modelli di consumo, di vita, di produzione, di fronte all'impatto con quello che non si é prodotto e non si é consumato nei Paesi dell'Est e con quello che si continua a non produrre e a non consumare nel sud del mondo, sono modelli inapplicabili a livello del pianeta e quindi vanno ridiscussi. Ritengo, in base alle mie valutazioni, che il modo e il modello di produzione capitalistico, che ha vinto sul piano della capacità di produrre beni e di farli consumare, sia un modo di produzione che, di fronte ai problemi non solo europei, ma planetari, non é in grado di affrontarli e di risolverli.
Ad esempio l'incompatibilità del modello di sviluppo con le richieste che provengono dalla necessità di sopravvivenza del pianeta, le richieste ambientali, i vincoli ambientali.
Questo é il ragionamento che propongo in un ordine del giorno.
Chiedo poi che vengano messe in luce le altre responsabilità, quelle proprie del Governo nazionale, quelle relative alla politica monetaria, che non facilita una ripresa degli investimenti nei settori produttivi; mi riferisco al debito pubblico che situa l'Italia all'ultimo posto in Europa e che è conseguenza di una vergognosa politica di ingiustizia fiscale che il Paese patisce in modo sempre più intollerabile.
Di fronte a questa situazione propongo all'Assessore e ai colleghi una scelta di indirizzi prioritari. Non penso che la Regione Piemonte possa fare tutto, in questo sono in sintonia con quanto ho sentito dire dal collega Tapparo. La prima scelta é proprio quella relativa agli interlocutori economici che noi riteniamo di privilegiare. Penso anch'io che la politica economica dei grandi gruppi industriali è una politica economica che si decide anche a Singapore, in un mercato mondiale. La Regione Piemonte ha un livello di potere e di intervento tale che non riesce a entrare in questo circuito. Penso invece che la Regione Piemonte debba specializzare e finalizzare ogni sua azione versa le piccole e medie imprese e l'artigianato e che debba farlo in tutti i settori di cui si occupa, quello dell'innovazione tecnologica, quello della riconversione ecologica delle lavorazioni.
Il secondo impegno assolutamente prioritario della Regione Piemonte e dell'ente pubblico è quello della formazione professionale, della scuola in senso lato. Ritengo che in questo campo gli investimenti debbano ancora crescere e soprattutto debbano essere finalizzati a processi produttivi e prodotti nei quali ci sia la possibilità d'individuare l'utilità sodale nel modo e nei contenuti della produzione.
Il terzo grande filone riguarda la programmazione territoriale. La Regione Piemonte al riguardo può fare moltissimo non solo per evolvere la politica delle aree industriali attrezzate e, quindi, per realizzare aree industriali moderne, capaci di predisporre non solo i lotti da assegnare alle industrie, ma anche servizi terziari per le aziende.
Penso all'area metropolitana. Nella relazione dell'Assessore s'illustrano in termini locali certe emergenze dal punto di vista occupazionale, come il Canavese, come la Valle di Susa. Ragioniamo colleghi. Pensiamo di poter risolvere le emergenze occupazionali estraniando queste aree da un soggetto istituzionale, qual é l'area metropolitana, che potrà essere destinataria di provvedimenti, specifici ad esempio, a sostegno dell'occupazione o dell'industria? Penso sia un errore da evitare. La Giunta ha deliberato, ma abbiamo sentito dall'Assessore che è una deliberazione di avvio della discussione, non di chiusura della stessa. Coerenza vorrebbe, anche nei riguardi dell'occupazione, che questi temi venissero affrontati con provvedimenti di definizione dell'area metropolitana in termini molto vasti.
Individuo un altro elemento d'indirizzo per la . Giunta relativo all'occupazione in montagna. Non cito le cifre del territorio montano e della disastrosa economia derivante anche dallo spopolamento della montagna. Individuiamo le vallate alpine come un grande momento di rilancio dell'occupazione in montagna, basato sull'uso concetto e rispettoso delle caratteristiche del suolo e del territorio montano come si é verificato nel tempi in cui il rapporto uomo sue attività ed ambiente era più equilibrato.
Si punti sull'assetto idrogeologico, sulla coltivazione dei boschi sull'agricoltura biologica e su tutte le produzioni lattiero - casearie che possono essere caratteristiche pregiate legate all'allevamento alpino.
Sarebbe anche molto utile discutere sul perché si produce e su che cosa si produce per individuare anche procedure e metodi di lavoro che consentano, quando l'ente pubblico concede agevolazioni sotto forma di finanziamenti, di verificare sei finanziamenti sono produttivi in termini economici, ma se hanno una produttività anche dal punto di vista della utilità sociale.
Non sono in grado di proporre linee organizzative concrete, spero per che queste indicazioni siano abbastanza chiare e permettano a tutti, alle forze sociali e soprattutto a chi eroga i finanziamenti, di discutere cosa si produce, come lo si produce e a favore di chi si produce.



PRESIDENTE

La seduta é tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,35)



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