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Dettaglio seduta n.243 del 13/07/93 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute (rinvio)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g. "Approvazione verbali precedenti sedute", comunico che sono stati distribuiti ai Consiglieri, prima della seduta odierna, i processi verbali delle adunanze consiliari del 26 maggio 2, 9 e 16 giugno 1992. Verranno posti in votazione nella prossima adunanza consiliare.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 6) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bergoglio, Cantore, Cattaneo Coppo, Dameri, Ferrara, Lombardi e Maggiorotti.
Vi è tra questi il congedo dell'Assessore Cantore, il quale mi ha comunicato di non partecipare alla seduta del Consiglio regionale per partecipare ad una convocazione indetta a Roma per il riparto di fondi che attengono allo sport.


Argomento: Norme generali sull'agricoltura

Dibattito sulla situazione dell'agricoltura in Piemonte


PRESIDENTE

Passiamo al punto 10) all'o.d.g.: "Dibattito sulla situazione dell'agricoltura in Piemonte".
L'Assessore Fiumara ha fatto pervenire un'ampia relazione.
Ha pertanto la parola.



FIUMARA Francesco, Assessore regionale

A) Introduzione.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, colgo con soddisfazione la decisione assunta dal Consiglio regionale del Piemonte di affrontare in un dibattito l'attuale situazione dell'agricoltura. Ciò consentirà certamente di trarre elementi utili, che permetteranno di pervenire ad una più chiara individuazione delle linee di intervento, dei progetti e delle azioni per il suo rilancio.
L'agricoltura soffre di tanti mali, di difficoltà economiche e di mercato, nonché di difficoltà internazionali, ma uno è più grave: il silenzio in cui l'agricoltura è tradizionalmente confinata.
Oggi questo dibattito rappresenta un riconoscimento da parte del Consiglio regionale del Piemonte del ruolo di centralità svolto dall'agricoltura.
L'agricoltura italiana attraversa momenti di grandi mutamenti legati a fatti di mercato, alla situazione socio-economica attuale, alle decisioni della CEE e agli eventi istituzionali nazionali conseguenti alla soppressione del Ministero dell'Agricoltura. Oggi bisogna parlare più che di settore dell'agricoltura di "sistema agroindustriale", poiché assistiamo all'instaurazione di relazioni economiche funzionali sempre più intense fra il settore della produzione agricola e gli altri settori ad esso collegati come in particolare quello industriale e dei servizi.
In un momento di crisi acuta e di incertezza per il settore industriale nella nostra Regione, come è emerso nel dibattito consiliare sull'occupazione, l'industria legata all'agricoltura può avere un peso significativo per l'occupazione. Infatti, accanto a positivi esempi di sistema agroindustriale evoluto come l'industria enologica piemontese esistono esempi di potenzialità non ancora utilizzate, principalmente nel comparto dell'ortofrutta e delle produzioni zootecniche.
L'agricoltura non è soltanto espressione di prodotti agricoli, ma è anche paesaggio, spazio rurale, verde, ambiente nonché tradizione che in questo periodo di omologazione culturale e culinaria rappresentano dei valori da tutelare e tramandare.
L'agricoltura non costituisce soltanto un settore produttivo, ma è anche un mondo complesso di gente che lavora, che affronta ogni giorno i problemi grandi e piccoli della nostra società.
La politica agricola regionale deve tenere conto delle realtà diversificate dell'agricoltura piemontese: agricoltura di montagna povera agricoltura di collina povera e di collina ricca, agricoltura di pianura ricca.
Giustamente il prof. Romano Prodi, nell'introduzione al rapporto Nomisma del 1993 sull'agricoltura italiana, scrive: "Si avverte la necessità di rivedere la politica agricola nazionale cercando di distaccarsi da ormai sorpassati principi di uniformità e passare ad una politica più specifica, con una maggiore selezione nelle azioni e nei fini: in particolare, essa dovrebbe avere due campi di azione uno finalizzato a migliorare la capacità competitiva delle imprese, l'altro con risvolti più di tipo sociale o ambientalistico, di proteggere le aree rurali dal degrado fisico, economico e sociale".
E' necessaria pertanto una politica flessibile e diversificata secondo le varie realtà socio-economiche e territoriali del Piemonte.
Al centro di tale politica però deve essere posta l'efficienza delle imprese agricole e agroindustriali, capaci di stare sul mercato e di competere con la sfida dell'economia.
In Piemonte esistono alcuni presupposti importanti come le potenzialità imprenditoriali da valorizzare e sviluppare, produzioni di alta qualità che è necessario promuovere e fare conoscere, affermando l'immagine del Piemonte.
I fatti di mercato trascendono i confini regionali e nazionali ed i limiti istituzionali della Regione.
Risulta determinante però il ruolo dei produttori agricoli sul mercato e il loro modo di organizzarsi ed aggregarsi.
La Regione potrà fare la propria parte di ente pubblico, creando alcune condizioni ed opportunità come la politica della qualità e della tutela della produzione attraverso i marchi.
I colleghi Consiglieri troveranno nella relazione distribuita alcuni elementi utili per il dibattito, una base di discussione sugli aspetti più importanti ed attuali, momenti di conoscenza ed analisi, ipotesi e prospettive.
B) La situazione attuale.
1) Lo stato dell'agricoltura piemontese.
1 - Il peso dell'agricoltura piemontese.
Accanto ad un Piemonte industriale e del terziario esiste un Piemonte agricolo che ha un peso significativo nella realtà sociale ed economica del Piemonte, assicurando l'occupazione a 115 mila addetti pari al 6,4% degli occupati con una produzione lorda vendibile di 4.540 miliardi di lire alimentando, contemporaneamente, un importante indotto di mezzi produttivi industriali, come macchine agricole, fertilizzanti, energia, e della trasformazione industriale di prodotti agricoli come vini e formaggi.
A livello nazionale, con il 7,6% di produzione lorda vendibile, il Piemonte occupa il sesto posto dopo Emilia, Lombardia, Sicilia, Veneto e Puglia.
Il Piemonte risulta il maggiore produttore di riso (6,8 milioni di quintali e 418 miliardi di valore); è al secondo posto fra le Regioni italiane per le carni bovine (poco meno di 2 milioni di quintali e 799 miliardi di valore) e per il grano tenero (6,5 milioni di quintali e poco meno di 200 miliardi di valore). E', poi, al terzo posto per il mais (11,5 milioni di quintali) e al quinto posto per il vino (3,3 milioni di ettolitri per un valore stimato dall'ISTAT di 451 miliardi di lire nel 1992).
2 - I mutamenti strutturali dell'agricoltura piemontese.
L'agricoltura piemontese nel corso degli anni '80 ha vissuto processi di ristrutturazione e di riconversione importanti.
Dal 1982 al 1990 oltre ad assistere ad una diminuzione della superficie totale delle aziende agricole e della superficie agricola utilizzata si è riscontrata la diminuzione del numero delle aziende stesse sotto le 200.000 unità (194.000 nel 1990 rispetto alle 241.000 del 1982).
Riclassificando le aziende secondo la tipologia comunitaria, risulterà probabilmente che le aziende agricole economicamente valide non saranno di molto superiori alle 50.000 unità.
E' cresciuta invece, ma in misura modesta, la superficie media aziendale, passando da 5,04 ettari del 1982 a 5,77 ettari del 1990.
Altro dato di rilievo è costituito dal drastico ridimensionamento del patrimonio bovino, ovino e caprino, a seguito delle difficoltà degli ultimi anni; mentre fa da contraltare l'aumento del patrimonio suino.
Le aziende con vite sono diminuite dal 1982 al 1990 di 27.168 unità ed oggi non raggiungono le 70.000 unità (erano 181.066 nel 1961!), con una riduzione anche della superficie di circa 13.000 ettari.
Infine, l'agricoltura piemontese si caratterizza in misura crescente per la tradizione della conduzione familiare diretto-coltivatrice.
E' comunque da sottolineare come l'ammodernamento strutturale e il progresso tecnico abbiano fortemente aumentato la produttività dell'agricoltura piemontese: nel 1990 con meno della metà delle giornate di lavoro, il valore della produzione vendibile è aumentato in termini reali del 40% rispetto al 1970.
L'agricoltura piemontese ha registrato una ristrutturazione superiore alla media nazionale: l'andamento dei pesi percentuali sul totale italiano ne fornisce una conferma.
Rispetto al 1982, infatti, tranne il caso della superficie a vite e del numero di suini, in cui il peso nel Piemonte è cresciuto, l'incidenza delle altre variabili è diminuita.
2) La politica agricola comunitaria.
1 - La politica dei prezzi e la politica delle strutture.
1) Per meglio comprendere l'evoluzione della politica agricola regionale non è possibile esimersi dall'esprimere alcune considerazioni sulla politica agricola comunitaria, poiché le scelte operate dalla Comunità Economica Europea hanno rappresentato e rappresentano un vincolo forte sia per la politica agricola nazionale sia per la politica agricola regionale.
L'anno 1992 segna una svolta decisiva nella politica agricola comune con l'emanazione di alcuni provvedimenti rivoluzionari che costituiscono l'epilogo di un acceso dibattito iniziato attorno alla relazione Mac Sharry che voleva essere un documento di meditazione sui risultati della politica agricola comunitaria, mettendo in discussione l'impostazione di tale stessa politica con un cambiamento di 180 gradi.
2) Gradatamente viene smantellato il sostegno dei prezzi che si allineeranno ai prezzi internazionali prevedendo compensazioni per il reddito degli agricoltori europei e misure di accompagnamento per l'agricoltura ecocompatibile.
A livello comunitario si sta cercando di introdurre delle semplificazioni procedurali per la notevole complessità applicativa dei provvedimenti, principalmente dei premi per i seminativi.
Da più parti si stima che la modifica della politica dei prezzi rappresenterà un maggiore costo per le finanze della CEE e non contribuirà a raggiungere gli obiettivi che ci si prefigge.
3) Stando così le cose possiamo affermare che le prospettive per l'agricoltura sono dense di incognite.
Il reddito degli agricoltori dipenderà dalla burocrazia dell'AIMA, dal modo come questa saprà organizzarsi e pervenire rapidamente all'erogazione dei premi.
4) Circa la politica agricola delle strutture è da rilevare il maggiore coinvolgimento delle Regioni nell'applicazione delle azioni poiché i provvedimenti comunitari hanno sempre demandato l'applicazione agli Stati membri, e per essi alle Regioni, con possibilità di apportare alcuni adattamenti alle varie realtà locali.
Nella più recente evoluzione della politica delle strutture si è andato affermando un rapporto che ha esaltato il ruolo di "partner" tra CEE, Stato e Regioni, come è avvenuto per i programmi operativi dell'obiettivo 5b) e come lo sarà per i prossimi programmi operativi dell'obiettivo 5a).
La Regione Piemonte ha avuto sempre un atteggiamento positivo cogliendo tutte le opportunità esistenti nei provvedimenti comunitari superando l'atteggiamento prevalente in Italia di non applicare le azioni comunitarie perché ritenute poco adatte alle condizioni socio-economiche nazionali.
Se una difficoltà il Piemonte ha incontrato è rappresentata dall'insufficienza dei fondi messi a disposizione dallo Stato; anzi il Piemonte ha destinato altre risorse finanziarie proprie ad integrazione di quelle statali.
2 - Le quote latte.
1) Non si può non ricordare sul versante della politica dei prezzi e della regolazione dei mercati che la CEE ha stabilito quote fisiche di produzione di latte bovino per ogni Stato della Comunità.
E' stata congelata la situazione produttiva dell'anno 1983 consolidando situazioni di esubero per alcuni Stati e di deficit per altri come in particolare per l'Italia, che, pur avendo produzione inferiore ai consumi, non può aumentare la produzione stessa.
Si tratta di una vicenda avviata in Italia con molte difficoltà e nella quale il nostro Paese - purtroppo bisogna dirlo - non ha dato prova di buona organizzazione.
Forse l'Italia ha sottovalutato l'importanza di tale regime, sperando in una disapplicazione per inesistenza di controlli.
Un atteggiamento negativo, di cui stiamo pagando le conseguenze a causa della sottostima della reale produzione nazionale.
L'Italia, messa alle strette da parte della CEE, ha definito, con la legge n. 468/92, le regole per la gestione delle quote.
La Regione Piemonte, a seguito dell'incarico ricevuto, sta facendo la parte che le compete, in collaborazione con le Associazioni dei produttori di latte, facendosi inoltre promotrice di incontri ed intese con le altre Regioni della pianura padana.
3) Farsi parte attiva e propositiva nei confronti della CEE.
Nel mettere mano a qualsiasi programmazione regionale bisogna avere presente i condizionamenti e i vincoli rappresentati dalle scelte della Comunità Economica Europea.
Il Ministro dell'Agricoltura, in un recente incontro a Roma con gli Assessori all'agricoltura, ha manifestato l'intenzione di avanzare una proposta a livello CEE per l'organizzazione comune di mercato, sul vino e sui prodotti ortofrutticoli chiedendo la collaborazione di idee e suggerimenti alle Regioni.
Condivido questo ruolo propositivo e di concerto tra Stato e Regioni convinto della necessità di avere la capacità di influire sulle scelte effettuate a livello comunitario.
Bisogna, in buona sostanza, farsi parte attiva e propositiva verso chi dovrà rappresentare l'Italia in sede comunitaria, ma anche instaurare un rapporto di "partenariato" diretto tra la Regione e la CEE.
La storia di questi ultimi anni, a livello comunitario, ha visto vincenti gli Stati che hanno saputo esprimere proposte e progetti.
Il Ministero dell'Agricoltura e Foreste non ha dimostrato, fino ad ora una capacità progettuale e ha rifiutato il contributo di idee e di conoscenze della variegata realtà nazionale che poteva essere portata dalle Regioni italiane.
Il senso della richiesta di referendum dell'abrogazione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste è stato anche di denunzia di questa separatezza.
Con la riforma del Ministero dell'Agricoltura e Foreste i rapporti di collaborazione ed informazione dovranno essere istituzionalizzati.
Questo il Piemonte ha richiesto, quale punto forte nelle proprie proposte di emendamenti al testo di disegno di legge governativo di riforma del Ministero dell'Agricoltura e Foreste attualmente all'esame della Commissione Agricoltura del Senato.
4) L'industria agroalimentare.
L'incidenza dell'industria alimentare piemontese sul totale nazionale in termini di valore aggiunto è di circa il 9% per le industrie alimentari di base e sale al 15% per le attività di seconda trasformazione (con punte del 34% per il settore vinicolo).
Il peso delle strutture cooperative di trasformazione non è globalmente di grande rilievo: in termini di occupazione è intorno al 15% nel comparto zootecnico e nella conservazione e trasformazione di ortofrutticoli e del 7,5% nell'industria dei vini tranquilli; molto più bassa negli altri comparti.
Nel complesso, l'industria alimentare piemontese non è fortemente specializzata, tranne che per i comparti dei prodotti amilacei (pane e pasta alimentari), dolciari e delle bevande alcoliche (vini, acquaviti e liquori).
Il grado complessivo di integrazione con il mondo agricolo non è elevato, poiché generalmente le aziende industriali definiscono le loro politiche di approvvigionamento a scala nazionale ed internazionale secondo logiche di mercato.
Anche nei casi di più ravvicinata integrazione con il mondo agricolo come quelli mediati dalla cooperazione, la dipendenza da forniture locali può rappresentare un fattore di rigidità, data la non sempre soddisfacente continuità di disponibilità di materie prime da trasformare, con influenza negativa sui costi aziendali.
Questa è la principale sfida per l'operatore pubblico e per la Regione in primo luogo, che deve sforzarsi di favorire l'instaurazione di rapporti di filiera tra il mondo agricolo e quello industriale (e della distribuzione, in particolare della grande distribuzione).
L'esperienza degli accordi interprofessionali del moscato e del latte dovrà essere continuata e possibilmente estesa ad altri settori.
Per tale obiettivo risulta fondamentale l'apporto dell'associazionismo agricolo, sia in termini propositivi e promozionali sia per limitare i forti svantaggi derivanti dall'eccessiva parcellizzazione e dall'ancora insufficiente qualificazione dell'offerta agricola.
Un'adeguata applicazione, presente e futura, del Regolamento CEE n.
866/90, relativo al miglioramento delle condizioni di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti agricoli, potrà contribuire al raggiungimento degli obiettivi precedentemente indicati.
5) Le incertezze attuali.
1) Come detto in precedenza, l'agricoltura, e non solo quella piemontese, attraversa momenti di incertezza sia per fatti interni alla Regione stessa, ma anche, e principalmente, per fatti esterni.
Ci troviamo in un momento di radicali cambiamenti e dunque di incertezze a livello comunitario per le innovazioni rivoluzionarie introdotte dalla CEE nel 1992 con la Riforma della politica agricola comunitaria (PAC).
2) A livello nazionale è all'esame della Commissione Agricoltura del Senato la legge di riforma del Ministero dell'Agricoltura e Foreste conseguente agli esiti del referendum del 18 aprile.
Le incertezze pongono gravi problemi di rappresentatività a livello internazionale e comunitario, ma anche a livello nazionale in un momento delicato di cambiamenti per l'agricoltura.
3) La crisi finanziaria a livello nazionale si ripercuote sia sul mondo agricolo sia sulle Regioni.
La prevista fine del regime speciale fiscale IVA dell'agricoltura, per fortuna avviato a soluzione positiva, aveva creato non poche preoccupazioni.
Infatti il Governo si è impegnato a ripristinare il regime speciale e la sanatoria per il periodo di validità del decreto legge.
Altre difficoltà per l'agricoltura sul versante fiscale provengono dai carburanti agricoli agevolati in quanto, dopo la riduzione dell'anno 1993 viene prevista per l'anno 1994 la sostituzione dell'agevolazione con un buono d'imposta che nessuno ancora sa di cosa si tratti.
Aumenteranno, conseguentemente, i costi di produzione del carburante agricolo, aumentando ancora di più lo svantaggio dei produttori italiani rispetto a quelli europei che beneficiano di prezzi di mezzi produttivi inferiori.
4) La nota vicenda della Federconsorzi ha rappresentato un'ulteriore fonte di incertezze e di difficoltà per l'agricoltura italiana, ma anche per l'agricoltura piemontese.
5) Si riscontrano difficoltà ed incertezze sul versante del mercato dei prodotti agricoli, assistendo ad una riduzione dei prezzi alla produzione e ad un aumento dei costi di produzione.
Siamo in un momento delicato ed importante nei rapporti tra la produzione, il commercio e la grande distribuzione che possono vedere perdenti i produttori agricoli in questa lotta se i produttori stessi non sapranno organizzarsi.
C) Le prospettive e le azioni della politica agricola regionale.
1) La qualità: una scelta strategica.
La Regione Piemonte riconferma la scelta, già intrapresa negli anni passati, di puntare sulla qualità, poiché la nostra agricoltura è caratterizzata da prodotti di pregio (carne, vino, latte ed ortofrutticoli).
E' necessario riconoscere la validità della L.R. n. 35/88 che ha disciplinato, per prima in Italia, l'istituzione del certificato di garanzia delle produzioni delle carni bovine, nonché la validità della L.R.
n. 39/80, ugualmente prima in Italia, sulla repressione delle frodi vitivinicole, con la quale fu istituito un sistema di rilevazione e controllo della produzione e del commercio dei prodotti vinicoli.
Bisogna aggiornare, rivedere, meglio qualificare, tutti gli strumenti necessari per perseguire la qualità, agendo sulle varie fasi. La qualità rappresenta un impegno da parte di tutti; nasce nella fase di produzione ma poi deve essere accompagnata nelle fasi di trasformazione valorizzazione e distribuzione.
Le profonde modifiche intervenute nel mercato dei prodotti agroalimentari impongono un rinnovamento dell'idea di qualità, la quale è un concetto dinamico che si modifica al mutare delle esigenze dei consumatori.
Oggi sono sempre più importanti i servizi aggiunti al prodotto, la naturalità e la compatibilità ambientale delle tecniche di produzione; in breve: la qualità lungo il processo nonché la presentazione, la standardizzazione, un'efficace organizzazione e la puntualità nelle consegne.
Recentemente anche per i prodotti agroalimentari, sotto la spinta dell'iniziativa comunitaria nel campo della normazione, si inizia a parlare di norme e di certificazione di qualità.
Scelta strategica della Regione Piemonte per garantire lo sviluppo della politica di qualità deve essere, pertanto, lo stimolo alla creazione di tali sistemi di certificazione.
Il Piemonte, anticipando la stessa legge nazionale n. 88/88, ha iniziato, da anni, il programma "latte qualità" con lo scopo di pervenire al pagamento del latte secondo le caratteristiche igienico-sanitarie e merceologiche dello stesso.
Il programma è stato di stimolo per gli operatori agricoli e ha contribuito al miglioramento strutturale degli allevamenti ed in particolare ha elevato il livello delle condizioni igieniche di produzione.
2) Il "Made in Piemonte".
Gli sforzi per migliorare la qualità dei prodotti agroalimentari deve avere quale naturale complemento, oltre alla politica dei marchi, anche un'efficace politica di promozione in Italia e all'estero.
L'Assessorato all'agricoltura ha intenzione di dar vita ad un "coordinamento delle attività promozionali" dei prodotti agroalimentari piemontesi, attualmente realizzate dai produttori e da enti diversi attivando una convenzione con le Camere di Commercio, l'Istituto per il Commercio Estero e le Province, per concentrare idee, energie, risorse, e allo scopo di evitare quelle dispersioni e confusioni di comunicazione che in passato non hanno dato effetti e non hanno prodotto l'incisività sperata. La Regione e tutti gli altri soggetti promozionali devono orientarsi ad operare con iniziative sia pure autonome, ma coordinate rispetto all'obiettivo di valorizzare "la denominazione Piemonte" in un'unica immagine di produzione di qualità.
L'immagine dei prodotti agricoli dovrà sempre accompagnarsi alle tradizioni, alla storia, alla cultura, al paesaggio o architettura della nostra Regione in un insieme indissolubile.
Il tentativo sarà quello di cercare di elaborare una nuova metodologia di promozione dei prodotti agricoli piemontesi, nell'ambito del progetto complessivo di marketing denominato "Piemonte International", promosso nei giorni scorsi dalle maggiori componenti pubbliche - tra le quali riveste un ruolo centrale la Regione Piemonte e private piemontesi per il rilancio all'estero dell'immagine del Piemonte produttivo.
3) Agricoltura ed ambiente: un binomio indissolubile.
La presa di coscienza della tutela dell'ambiente è un fenomeno che inizia a partire dagli anni '80.
Un fatto culturale e filosofico all'inizio, che è diventato attualmente patrimonio di una vastissima parte dell'opinione pubblica.
E' diventato anche patrimonio degli agricoltori piemontesi per le importanti esperienze maturate negli ultimi anni.
La Regione ritiene necessario un approccio attivo al problema dopo tanti strumenti vincolistici e penalizzanti che sul tema dell'ambiente sono stati posti all'attività agricola.
La qualità dei prodotti agricoli è collegata strettamente con i metodi di produrre rispettosi dell'ambiente.
La Regione già da cinque anni ha intrapreso l'attuazione del Piano regionale di difesa integrata delle coltivazioni con buoni risultati riconosciuti ed apprezzati a livello anche nazionale, coinvolgendo circa 7.000 aziende agricole assistite da 200 tecnici agricoli di base.
La Regione Piemonte è impegnata sul tema dell'agricoltura biologica già da alcuni anni, sostenendo la nascita di apposite associazioni di produttori; finanziando, tra l'altro, alcuni progetti di ricerca e di sperimentazione.
Verranno ripresi in esame dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso di alcune Regioni, contro il Decreto del Ministro dell'Agricoltura che aveva sottratto alla competenza delle Regioni tale materia, i progetti di legge giacenti presso la Commissione Agricoltura del Consiglio regionale riguardanti la regolamentazione dell'agricoltura biologica.
Tra giorni la Giunta regionale procederà all'approvazione del programma regionale pluriennale di applicazione in Piemonte del Regolamento CEE n.
2078/92 relativo a "Metodi di produzione agricola compatibile con l'esigenza di protezione dell'ambiente e con la cura della spazio naturale".
Sul versante dei rapporti agricoltura-ambiente, l'Assessorato all'agricoltura è in attesa del finanziamento da parte del Ministero dell'Ambiente dell'apposito progetto presentato sul trattamento e l'utilizzazione agronomica dei reflui suini che potrà dare una risposta positiva al problema dell'inquinamento delle acque da fonti agricole.
4) Rivedere gli strumenti legislativi di intervento.
1 - La legge n. 63/78 e la legge n. 44/86.
Per dare maggiore slancio alla nostra agricoltura bisogna mettere mano ad una revisione degli strumenti legislativi di cui dispone la Regione per il settore dell'agricoltura.
Sicuramente una buona legge è stata la L.R. n. 63/78 "Interventi regionali in materia di agricoltura e foreste" che, nata in un contesto diverso e per esigenze diverse, oggi necessita di essere rivista, tenuto conto che la nuova politica agricola non prevede più l'aumento delle produzioni, ma la diminuzione e il contenimento delle produzioni.
Le linee di politica agricola risultano ribaltate; gli strumenti debbono essere, pertanto, coerenti con la nuova politica agricola.
Parimenti dovrà essere rivista la legge n. 44/86 che ha attuato in Piemonte il Regolamento CEE n. 797/85 per il miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie per adeguarla a tutte le novità intervenute a livello comunitario sulla politica delle strutture agricole e recepite principalmente dal Regolamento n. 2328 del 1991.
2 - La legge n. 40/87 sulla cooperazione e l'associazionismo.
Per quanto riguarda la cooperazione e l'associazionismo sarà rivista la legge n. 40/87 "Interventi regionali straordinari per il consolidamento e lo sviluppo della cooperazione agricola di valorizzazione dei prodotti agricoli", per adeguarla alle esigenze che via via sono andate crescendo di uno sviluppo del sistema agroalimentare in Piemonte.
Sulla base della precedente esperienza applicativa e dell'evoluzione recente della legislazione in materia di cooperazione, si evidenzia l'esigenza di disporre di un nuovo strumento legislativo.
Fermo restando il principio di una sempre maggiore partecipazione finanziaria dei soci, l'intervento regionale dovrà prendere in maggiore considerazione gli investimenti di consolidamento e di sviluppo finalizzati al raggiungimento di economie di scala e di una migliore presenza sul mercato.
5) I servizi di sviluppo agricolo.
1 - In una moderna agricoltura i servizi di sviluppo agricolo rappresentano uno strumento strategico, finalizzato alla crescita imprenditoriale degli operatori agricoli e allo sviluppo complessivo del settore.
Si tratta di servizi alle aziende agricole singole ed associate e di servizi al settore che vanno dalla ricerca e sperimentazione all'assistenza tecnica, gestionale e contabile, alla formazione professionale all'informazione socio-economica, alla divulgazione e al trasferimento dell'innovazione tecnologica.
In Piemonte operano diversi soggetti privati (organizzazioni professionali agricole, associazioni dei produttori agricoli, centrali cooperative) e diversi soggetti pubblici (Regione, Università, Istituti di Ricerca del Ministero dell'Agricoltura, enti strumentali regionali, scuole agrarie, Province, ecc.).
I servizi di sviluppo agricolo in Piemonte, ormai per scelte fatte nelle legislature precedenti, sono un sistema pubblico-privato che è andato crescendo nel tempo, subendo ampliamenti e ristrutturazioni.
I servizi di sviluppo sono funzionali alla politica agricola, sono uno strumento per raggiungere alcuni obiettivi.
Gli obiettivi oggi sono profondamente mutati, anzi per alcuni aspetti sono opposti; dal 1975 al 1985 l'obiettivo era di produrre di più, dal 1985 l'obiettivo era di abbassare i costi di produzione, dopo il 1990 l'obiettivo è di ridurre le produzioni e rispettare l'ambiente. Tuttavia entro l'anno occorrerà riesaminare i servizi di sviluppo agricolo.
2 - L'applicazione del Regolamento CEE n. 2078/92 sull'agricoltura ecocompatibile potrà rappresentare un rilancio dei servizi di sviluppo per contenuti specifici di interesse attuale.
3 - Circa le associazioni dei produttori agricoli, dopo la fase di avvio delle ventiquattro associazioni, è necessario un loro consolidamento sia organizzativo, sia di presenza sul mercato, atteso che le associazioni sono nate appunto quale rimedio alla debolezza dei produttori agricoli attraverso l'aggregazione dell'offerta quale presupposto per competere sul mercato.
6) Un approccio integrato per l'azione della Giunta.
L'agricoltura rappresenta un sistema complesso strettamente collegato ad azioni ed attività che non rientrano tra le competenze dell'Assessorato all'agricoltura, bensì nell'ambito di altre responsabilità assessorili.
Le azioni regionali riguardanti i servizi veterinari condizionano fortemente le produzioni zootecniche, così come la politica dei mercati dei prodotti agricoli condiziona fortemente il commercio e i prezzi dei prodotti agricoli stessi.
Le scelte urbanistiche nonché le grandi infrastrutture come strade insediamenti urbani ed industriali, interessano il territorio agricolo per l'impatto che hanno sulla superficie delle aziende agricole con sottrazione di terreni, modificazioni e limitazioni all'attività agricola.
Analogo discorso può essere fatto per l'uso delle acque con la loro utilizzazione a scopi irrigui, a scopi civili, a scopi industriali; per l'agriturismo; per la formazione professionale.
Pertanto è necessario un approccio integrato prendendo in considerazione tutte le connessioni che influenzano l'agricoltura superando una visione settoriale di responsabilità assessorile.
Merita un accenno particolare il problema delle acque irrigue, con l'esigenza di superare il problema del deficit irriguo nel sud del Piemonte e con l'esigenza del riordino delle utenze irrigue, nonché con la necessità di mantenimento e ammodernamento delle reti irrigue del nord del Piemonte.
7) Migliorare la macchina regionale.
Le innovazioni a livello comunitario (con la riforma della PAC) e a livello nazionale (con la soppressione del MAF) impongono alle Regioni di rivedere la propria struttura burocratica per l'agricoltura per far fronte a tali importanti, anzi rivoluzionari, cambiamenti.
La Regione non dovrà limitarsi a gestire le scelte fatte a livello comunitario e nazionale, ma dovrà porsi quale "centro di governo" per lo sviluppo agricolo del proprio territorio, venendosi ad ampliare e riqualificare le proprie competenze.
Conseguentemente la Regione deve modificare la struttura burocratica per adeguarla all'accresciuta funzione di governo.
E' necessario rendere snella la struttura, trovare maggiore ritmo essere più intraprendente, in una parola: osare di più.
Pertanto dovranno essere esaltate le capacità progettuali e propositive della struttura: non soltanto gestione, ma programmazione, impostazione di strategie, di programmi, stimolando l'inventiva e la fantasia.
Un fattore non secondario per raggiungere questi obiettivi è anche una rinnovata formazione professionale del personale a livello europeo.
Tuttavia nell'attività di gestione dovranno essere rivisti procedure e metodi di lavoro, operando le maggiori semplificazioni amministrative possibili, poiché non risultano più compatibili con il nuovo ruolo attivo delle Regioni i ritardi e le inefficienze che si ripercuotono negativamente sui produttori piemontesi.
8) L'Ente di Sviluppo Agricolo del Piemonte: le ipotesi di soluzioni.
1 - Un ruolo importante per migliorare la macchina regionale pu svolgerlo l'Ente di Sviluppo Agricolo. Il dibattito sull'Ente risale ormai al 1990, cioè alla data del commissariamento dell'Ente stesso. Dal 1990 fino ad oggi l'Ente si è alleggerito di tutte le strutture nel campo della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli che, nate originariamente per supplire a carenze di iniziative da parte dei privati hanno continuato ad essere gestite con una situazione finanziaria spesso passiva.
Durante la gestione commissariale la Regione Piemonte ha individuato linee di attività per l'Ente di Sviluppo Agricolo del Piemonte che stanno dando buoni risultati, come il Piano di difesa integrata delle colture agricole, la costituzione di un Centro di ricerca e sperimentazione per la vitivinicoltura (la tenuta Cannona), le problematiche dell'impatto ambientale.
Pertanto l'Ente ha trovato una propria collocazione in funzioni che occupano uno spazio non coperto dagli uffici della Regione Piemonte.
2 - Il dibattito, è consequenziale, deve essere riaggiornato, poich l'Ente oggi ha assunto una configurazione diversa da quella precedente per il superamento di tutte le gestioni passive che hanno suscitato da più parti molte perplessità tali da indurre ad ipotizzare lo scioglimento dell'Ente.
Lo scioglimento dell'Ente in tale situazione, ormai risanato, non comporterebbe un risparmio finanziario per la Regione perché i compiti attualmente svolti dall'Ente debbono continuare ad essere svolti dalla Regione stessa, mentre il personale dell'Ente, così come previsto dalla legge, deve essere assorbito nei ruoli regionali.
Oltre a non realizzare alcun risparmio finanziario, l'eventuale scioglimento comporterebbe una dispersione di professionalità e di esperienze positive che esistono nell'Ente.
3 - Risponde alle esigenze della pubblica amministrazione e dell'agricoltura piemontese disporre di un Ente per lo Sviluppo Agricolo anche per l'ampliato ruolo della stessa Regione nel settore agricolo.
4 - L'Ente, comunque, deve essere riformato, riducendo e qualificando i compiti, semplificando gli organi di gestione ed assicurando un raccordo più stretto con la Giunta regionale.
Pertanto, un vero Ente strumentale, che operi strettamente secondo gli indirizzi della Giunta regionale.
9) Il futuro assetto istituzionale regionale.
Circa l'aspetto istituzionale, la Regione, dopo aver acquisito maggiore competenze con il trasferimento di nuove funzioni dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste e dopo le riforme istituzionali, già delineate in modo chiaro ed autorevole dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, dovrà rivedere, all'interno del territorio regionale, il sistema dell'assetto istituzionale valorizzando principalmente gli enti locali.
Argomento molto importante e delicato che merita approfondimento e meditazione consapevole; fin da adesso deve essere chiaro il ruolo della Regione: sempre meno gestione e sempre più programmazione e legislazione.
Deve essere avviato il lavoro preparatorio per la creazione dei necessari Uffici dell'agricoltura nelle due nuove Province di Biella e del Verbano Cusio Ossola.
D) Problemi finanziari e prospettive.
Alle incertezze legislative si sovrappongono le preoccupazioni di carattere finanziario.
Si è passati sulla legge n. 752/86 da un'assegnazione statale di 133 miliardi del 1992 ai 39 miliardi del 1993: si tratta di ben 94 miliardi in meno in un solo anno! Di conseguenza nei giorni scorsi l'Assessorato è stato costretto a rivedere gli impegni di spesa.
In questa situazione occorre una solidarietà finanziaria: sin dai prossimi giorni, in occasione dell'approvazione da parte del Consiglio regionale della prima legge di variazione che vada a consentire un'integrazione, anche se parziale e limitata, tenuto conto dello stato complessivo della finanza regionale, delle risorse statali ridotte di ben il 70% rispetto al 1992.
Le prospettive finanziarie a medio termine per l'agricoltura per quanto riguarda gli interventi ordinari e programmati, sulla base della bozza di disegno di legge di rifinanziamento della legge n. 752/86 e delle prime indiscrezioni sulla legge finanziaria dello Stato per il 1994, sono preoccupanti.
Il dato di fondo è il seguente: nel medio periodo, cioè per i prossimi anni, le risorse che saranno disponibili sulla legge n. 752/86 saranno inferiori mediamente a quelle ripartite negli anni scorsi.
In termini reali, le Regioni dovranno operare con la metà circa delle risorse di cui disponevano, annualmente, negli anni passati.
Ciò significa che occorre andare rapidamente, già in preparazione del bilancio di previsione 1994, ad una severa riqualificazione della spesa pubblica in agricoltura, specie di quella corrente.
Tutto ciò al fine di ricostituire, nel medio periodo, un minimo di capacità operativa per le spese di investimento non coperte da regolamenti o programmi operativi CEE, ma necessarie alla sopravvivenza e allo sviluppo dell'agricoltura regionale (irrigazione, cooperazione, infrastrutture ecc.).
Per gli interventi riconducibili alla normativa comunitaria, occorrerà invece rendere al massimo il cofinanziamento comunitario ed inserirvi, ove consentito e possibile, anche interventi finanziati in passato con risorse ordinarie.
Così come la Regione ha attinto al finanziamento CEE con l'obiettivo 5b), previsto dal Regolamento CEE n. 2052/88, potrà attingere ai fondi CEE per l'obiettivo 5a) allorquando sarà approvata dalla CEE la modifica del Regolamento n. 2052/88 che prevede l'elaborazione da parte delle Regioni di un programma regionale pluriennale.
E) La riforma del Ministero dell'Agricoltura.
Un capitolo a parte merita la trattazione della riforma del Ministero dell'Agricoltura.
Stiamo vivendo un momento straordinario: un profondo rinnovamento delle istituzioni del nostro Paese per la compiuta attuazione della Costituzione che, è bene ricordarlo, prevede uno stato regionalista.
In merito alla riforma del Ministero dell'Agricoltura e Foreste soppresso a seguito del referendum popolare del 18 aprile, esiste un testo unificato della Commissione Agricoltura del Senato all'esame delle forze politiche e delle Regioni che deve essere approvato entro il 5 agosto.
Le Regioni hanno elaborato un articolato di proposta di riforma del Ministero sulla quale il Piemonte si riconosce pur con qualche differenziazione circa il livello di collocazione del nuovo Ministero.
E' necessario che il Parlamento pervenga con urgenza all'approvazione di una legge di ridefinizione delle competenze istituzionali Stato-Regioni in materia agroalimentare, che vada oltre il DPR n. 616/77 nel rispetto della Costituzione, degli orientamenti della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali e della volontà popolare espressa nel referendum del 18 aprile, pervenendo ad uno Stato regionalista.
Il Piemonte sostiene un'ipotesi di Ministero agile e snello, non di gestione, ma di programmazione, indirizzo e coordinamento, presieduto da un Ministro e non da un Sottosegretario perché il rango di Ministro pu assicurare autorevolezza a livello nazionale e comunitario.
Quale organo di raccordo tra il Ministero e le Regioni deve essere previsto un Comitato permanente presieduto dal Ministro e composto dagli Assessori regionali all'agricoltura.
F) Conclusioni.
Concludendo, signor Presidente e signori Consiglieri, ritengo la relazione non esaustiva, trattandosi di un tema ampio e complesso, quale è quello dello sviluppo dell'agricoltura e del sistema agroindustriale del Piemonte.
Spero che la relazione possa rappresentare, come detto in premessa, una base di discussione, uno stimolo politico e culturale, un momento di conoscenza e riflessione per gli elementi di analisi, le ipotesi e le prospettive contenute nella relazione stessa.
Certamente le forze politiche presenti nel Consiglio regionale daranno al dibattito il loro contributo di idee, pur nella diversità delle varie posizioni politiche.
La Giunta regionale terrà nella dovuta considerazione quanto emergerà dal dibattito, tentando di pervenire ad un disegno politico di rilancio e riqualificazione di azione della Regione che, è bene ricordarlo, vedrà accresciute le proprie competenze e responsabilità con la soppressione del Ministero dell'Agricoltura e la sua riforma.
Anche se siamo giunti alla seconda metà della legislatura, bisogna tuttavia ritrovare tutte le energie politiche, culturali e gestionali per impostare una politica agricola regionale profondamente rinnovata e coerente.
Non a caso abbiamo individuato la strada da percorrere per il rilancio della nostra agricoltura: 1) nella scelta della qualità e dell'ambiente 2) nella creazione del "made" in Piemonte 3) nella modernizzazione della struttura burocratica della macchina regionale 4) nella riforma dei servizi di sviluppo agricolo 5) in un approccio integrato dell'azione della Giunta 6) nella riforma dell'Ente di Sviluppo Agricolo 7) nel rivedere il futuro assetto istituzionale regionale.
Ecco perché riteniamo che bisogna fin da adesso, con urgenza individuare la direzione nella quale muoversi ed intervenire in alcuni punti strategici.
Sulle cose da fare la Giunta regionale, oltre a confrontarsi con le forze politiche del Consiglio regionale, vuole avere l'apporto di idee delle rappresentanze agricole e in primo luogo delle Organizzazioni professionali agricole regionali.
All'inizio della relazione è stato messo l'accento sull'isolamento culturale della nostra agricoltura, isolamento che bisogna rompere con azioni coordinate e mirate.
A tale scopo ci sentiamo di proporre al Consiglio regionale l'istituzione di una sezione speciale del prestigioso premio letterario "Grinzane Cavour" dedicata agli autori italiani e stranieri che hanno scritto sull'agricoltura piemontese.
Grazie per l'attenzione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Zacchera.



ZACCHERA Marco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, sicuramente al termine della mia relazione io non prenderò gli applausi di nessuno, però mi sento di proporre al dibattito alcune considerazioni ed esprimo comunque la mia profonda delusione per la relazione dell'Assessore.
Se impostiamo il discorso su una critica è inutile farla perché è scontata, voglio invece porre queste cose in termini discorsivi o perlomeno non di conflittualità, ma di controproposta all'Assessore. Quindi non intendo aggiungere aggettivi negativi alla sua relazione che sicuramente è apprezzabile per molti versi quando tratta con dovizia e precisione molti argomenti. La critica che avanzo alla relazione dell'Assessore è che non affronta alcuni nodi gordiani dell'Assessorato, quasi ora "Ministero dell'Agricoltura" di questa Regione, che volutamente sono minimizzati in quella relazione mentre invece dovevano essere il centro del dibattito di oggi. Mi dispiace che non sia presente in aula l'ex Assessore all'agricoltura e cioè il collega Lombardi, perché in definitiva non è poi neanche giusto che mi scagli contro il neo Assessore, che può avere un'informazione abbastanza superficiale dell'ambiente. Era giunto finalmente il momento di affrontare in quest'aula - lo stavamo aspettando da due anni - un dibattito sull'agricoltura in modo serio, non dimentichiamo che all'o.d.g. c'è proprio una discussione sull'ESAP che si trascina ormai da due anni. Non posso accettare che ad un punto all'o.d.g.
da due anni vengano dedicate invece solo poche righe a pag. 34 dicendo che non si cessa l'attività dell'ESAP perché adesso sappiamo quali sono i compiti da fargli svolgere. Non è questo un modo sufficientemente serio di lavorare, c'erano alcuni punti sui quali avrei gradito che l'Assessore rispondesse. Potremo affrontare questo discorso da tantissimi punti di vista, il rischio è di essere abbastanza scoordinati proprio perch numerosi sono i punti sui quali soffermarci.
Il primo punto era un giudizio obiettivo, serio dell'Assessore sulla struttura del suo Assessorato. Funziona o no questo Assessorato? Come si può farlo funzionare meglio? Secondo aspetto. Com'è l'organizzazione agricola in Italia e nello specifico nella nostra regione? Un interrogativo che un non agricoltore come me si è sempre posto, è che le strutture agricole sono cose sicuramente utili, ma occorre valutare se siano razionali o meno. Mi sembra infatti che un settore così delicato per poter funzionare necessiti assolutamente di contributi e in maniera ingente; ma d'altronde il bilancio dell'agricoltura spazia su 400 miliardi all'anno.
Secondo me vi è una disorganizzazione diffusa con una sovrapposizione di compiti. Un esempio: in Commissione, non più tardi di un mese fa, quando appresi che noi andavamo ad assumere anche i divulgatori agricoli (oltre cento nuovi divulgatori agricoli) mi sono chiesto come mai avessimo preso tale decisione. Mi è stato risposto che dobbiamo sistemare della gente che di fatto sta già svolgendo tali compiti e che sono persone che hanno frequentato la scuola per apprendere tali mansioni; in pratica però abbiamo un'ulteriore sovrapposizione di organizzazione. Vi sono poi circa 24 organizzazioni agricole "targate" (anche dal punto di vista di indirizzo più o meno organizzativo-ideologico) che si sovrappongono a questa vicenda apparati che ciascuno a sua volta porta avanti come le proprie strutture (pensiamo ai CATA ed altre cose consimili).., alla fine però costano per struttura organizzativa, e non tanto dell'Assessorato, quanto a loro stesse. Così si dissecca una buona fetta di quei fondi che dalla CEE, dallo Stato vanno all'agricoltura.
Questo è un punto sul quale bisogna parlare, quando per esempio si accenna in tre righe al problema della Federconsorzi, pag. 41. Liquidiamo così questo argomento? E la nota vicenda della Latte Verbano, quanti miliardi è costata alla Regione Piemonte? E il problema all'assistenza alla Cooperativa Cuneo Carni? Alla fine il discorso Federconsorzi ha scoperchiato una situazione insostenibile, ma nella quale - parliamoci chiaro è cresciuto per mesi, per anni, per decenni, un partito politico che sottostava e sovrastava alla Federconsorzi e con ridistribuzioni elettorali a tutti i livelli! Ma altre operazioni portate avanti dalla nostra Regione meritano in quest'aula di essere conosciute fino in fondo in termini di costi, di produttività per gli agricoltori, in termini di risultati! Perché alla fine se abbiamo buttato dei miliardi, dobbiamo capire perché li abbiamo buttati e a che cosa questi miliardi siano serviti! Queste risposte però non sono mai arrivate.
Stavamo parlando dell'ESAP. Il Commissario dell'ESAP nel 1991 ci ha portato a conoscenza di una relazione che meritava di essere attentissimamente valutata da tutti i colleghi, dopodiché, però, non ha più portato alcuna relazione perché l'ESAP era su un binario morto in via di esaurimento, o almeno così si diceva. Oggi scopriamo invece che sull'ESAP si è girato di 180 gradi, si dice che può anche essere una scelta valida.
Su questo punto c'è però il diritto-dovere del Consiglio regionale di avere da parte del Commissario ESAP delle relazioni abbastanza importanti. Non basta dire, Assessore, che bisogna sfoltire il vertice dell'ESAP. Lei sa meglio di me, Assessore, che il Consiglio di amministrazione dell'ESAP prevede 26 membri! Una struttura da Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese; una struttura da voi scelta in termini di organi decisionali di questa Regione, 26 componenti di un Consiglio di amministrazione! Qui siamo davvero alla follia quando diciamo in queste settimane che al massimo i componenti dei Consigli di amministrazione devono essere 3 o 5.
E' chiaro che bisogna arrivare a queste soluzioni, ma perché allora un mese fa, quando si fece il dibattito sugli enti strumentali di questa Regione, il Presidente Brizio non è venuto a dirci che uno dei principali enti strumentali, cioè l'ESAP, andava cambiato in questo senso? Ecco la disorganizzazione totale che c'è nella Giunta regionale! Sul discorso dell'ESAP c'è un punto specifico all'o.d.g.: secondo me non ci si può esimere da un discorso serio su questo problema se vogliamo affrontare il tema dell'agricoltura.
Ci sono poi delle sottolineature che sfuggono: parliamo per esempio dei contributi assegnati alle associazioni di categoria. Io denuncio che il suo predecessore, Assessore Fiumara, volutamente non volle rispondere alle interrogazioni del sottoscritto! Perché quando il sottoscritto gli ha chiesto attraverso quali studi professionali si andavano a prendere i fondi in questa Regione mi ha risposto dandomi l'elenco di una decina di studi ma senza dire - volutamente! - quante pratiche passavano per ciascun studio. Se si va a fondo nelle risposte (ma l'Assessore poi è sparito dalla circolazione e non ha più risposto su queste cose) si può vedere che cosa succede a livello di determinati studi professionali. Ad esempio in quello di due fratelli (che poi si sono divisi lo studio un paio di anni fa). Uno dei due è stato arrestato recentemente per aver periziato, stando almeno agli articoli di stampa, delle cose che non sussistevano e per le quali è in corso un processo nel quale l'Assessore mi ha detto verbalmente che ci siamo anche poi costituiti parte civile. Ebbene, in quegli studi professionali sono passate la gran parte di tutte le pratiche presentate.
Perché queste cose non si è avuto il coraggio di dirle quando si è risposto alle interrogazioni del sottoscritto? Evidentemente, qualche motivo per segnalare certe situazioni di profondi dubbi sui sistemi con cui poi vengono distribuiti i contributi c'erano! Si è però volutamente dribblato cercando di imbrogliare le carte facendo un elenco di studi professionali senza dire che - magari uno aveva cento pratiche, l'altro una sola, sperando poi che di queste cose ci si vada a disinteressare come è avvenuto per gran parte delle interrogazioni fatte al suo predecessore alle quali non sono state date risposte regolarmente.
C'è però un aspetto più importante ancora che io aspettavo di vedere nella relazione. Il sottoscritto, con altri colleghi, ha presentato delle denunce alla Procura della Repubblica di Torino sulla gestione di determinati fondi. Ebbene, nella relazione assessorile non c'è una riga sulle indagini che sono in corso: se la Procura abbia sequestrato o no determinati fascicoli e chi erano gli intestatari di questi fascicoli; se è stato o meno ascoltato qualcuno dell'Assessorato e magari l'Assessore stesso; se per caso, visto che non possiamo saperlo ma questo si poteva più o meno scriverlo (è la mia valutazione personale), c'erano delle comunicazioni giudiziarie.
Quando voglio conoscere con chiarezza la situazione dell'Assessorato all'agricoltura io ritengo che il Consiglio regionale vuole avere queste risposte, non dei temi scritti bene, apprezzabili, anche condivisibili sul futuro e sulle problematiche dell'agricoltura. Queste sono le risposte che noi cerchiamo. Per esempio, la denuncia che io avevo presentato si riferiva in buona parte alla situazione del latte. Prendiamo la relazione dell'Assessore, pag. 10, facciamo una scoperta! Voi sapete, colleghi, che il numero dei produttori di latte di questa Regione è ballerino? La situazione delle quote latte è risolta a pag. 10, punto 3, della relazione che dice che "è di questo periodo l'invio dell'AIMA alle Regioni della seconda versione dei bollettini, cioè degli elenchi dei nominativi dei produttori con l'indicazione della quota individuale attribuita. Anche in questa seconda edizione sono stati riscontrati errori ed inesattezze consistenti principalmente: nella non attribuzione di quota a molti produttori storici; nella presenza di indirizzi incompleti; nell'errata attribuzione delle quote; nella presenza di produttori attualmente non attivi; il totale dei produttori risultanti da tali bollettini ammonta a circa 16.600 aziende". Nuovo risultato: siamo ballati da 9.000 a 18.000 secondo quanto aveva scritto nella risposta, a suo tempo, alle interrogazioni l'Associazione dei produttori del latte. Si è saltati da parte di questo Assessorato con delle risposte a quella interrogazione completamente diverse in termini di migliaia di numeri. Oggi scopriamo che secondo l'AIMA i produttori sono 16.600. Ma scusate, in una serietà come il problema delle quote latte (nel quale la credibilità della nostra nazione è finita sotto le scarpe), la Regione Piemonte non potrebbe dirci con più chiarezza che cosa risulti agli archivi, se ci sono; ai funzionari, se ci sono; ai controlli, se vengono fatti, di quanti sono i produttori latte di questa Regione? Dite un numero! Un numero non si discute: ad un certo giorno sono un certo numero! Non possiamo ballare di 1.000 in più o di 10.000 in meno, come è successo l'anno scorso, con tutti i contributi che sottostanno a queste cose! Non vorrei lasciarmi trascinare, mi scuso con la Presidenza, però un po' di chiarezza, una tabellina di numeri, è tutto quello che si chiede! Si elimina così ogni polemica, ogni difficoltà di interpretazione e si fa chiarezza. Anche perché l'unico documento che abbiamo in mano predisposto dalla Regione Piemonte è datato 16 febbraio 1992, quando si veniva a dire in pratica, che erano tutti sbagliati i conteggi fatti nelle interrogazioni presentate da altri colleghi e dal sottoscritto. Nella relazione firmata dall'Assessore c'era scritto che praticamente tutti gli indici ISTAT sono "balordi", che addirittura ci sono degli errori del 50% tra le valutazioni dell'ISTAT e quelle della Regione. Non si può andare avanti così! Ed è inutile che io cominci a discutere su questo punto perché ne ho degli altri. Sicuramente, però, non è questo un modo serio di affrontare il problema; chiedo soltanto delle tabelle di numeri certi con dei contributi certi! Parliamo ora dell'Istituto Zooprofilattico, di cui non mi pare che la relazione dell'Assessore parli. Il ruolo, il costo e il funzionamento dell'Istituto Zooprofilattico, sono aspetti importanti nella dinamica e dell'economia della nostra Regione dal punto di vista agricolo. Penso che sia necessario avere delle chiarezze anche in questo senso con dei giudizi da parte dell'Assessore e dei consigli o delle proposte per farlo funzionare meglio.
Ecco perché c'è bisogno di maggiore chiarezza in questo settore. Non c'è, io continuo a non trovare chiarezza! Ho accennato prima al discorso della Cuneo-Carni. Questo problema è grave, colleghi. In pratica, alla Cuneo-Carni vengono dati, sotto forma di mutuo, altri 10 miliardi circa e si tratta di una cooperativa agricola che ha poco più di cento iscritti. Tra l'altro sono in debito con la Cuneo Carni perché ho promesso loro che sarei andato a visitare gli impianti.
Fisicamente non ci sono riuscito, ma ci voglio andare, anche perché non voglio venire in Consiglio regionale a dire delle cose inesatte. Non voglio criticare a priori, però dei chiarimenti si devono pur chiedere, perché se noi andiamo a dare fideiussioni, a coprire, a dare garanzie su decine di miliardi, visti i casi che ci sono stati in passato (dal Latte Verbano al caseificio di Crescentino, ecc.) cosa succederebbe? Dobbiamo stare attenti perché se per caso - e non me lo auguro la cooperativa "salta" ne è responsabile chi ha garantito i mutui, le fideiussioni, quindi è necessario sapere di cosa si è garanti, si devono pur avere delle risposte (tra l'altro alcune di quelle che mi sono state date erano molto approfondite): ma quanti sono effettivamente i soci quanti sono gli allevatori effettivi? Le cifre in nostro possesso rivelano che sono pochissimi, in totale abbiamo 71 coltivatori diretti iscritti alla cooperativa. Non è, per caso, che alla fine la cooperativa di produttori sia, in realtà, una cooperativa di commercianti? Bisogna capire se coloro che apportano le bestie le hanno allevate o le hanno solo ingrassate per poco tempo.
Non voglio sembrare scandalistico, perché non voglio esserlo, ma noto che ogni volta che si chiedono delle cose precise, le risposte arrivano sempre confuse. Lei, Assessore...



PRESIDENTE

Consigliere, la prego di concludere.



ZACCHERA Marco

Ha ragione, però ritengo di aver portato qualche elemento al dibattito non del tutto secondario; vado alle conclusioni.
Non si può rispondere ad una interrogazione con la quale si chiede purtroppo, quanti sono i miliardi concessi con la frase "svariati miliardi" (la risposta dell'Assessore è a pag. 7, primo capoverso).
E' lecito rispondere all'interrogazione dicendo che ad una cooperativa sono stati dati "svariati miliardi?" La risposta mi sembra di una leggerezza tale che meriterebbe una precisazione.
Il tempo a mia disposizione è scaduto ed è giusto il richiamo del Presidente, però voglio dire in termini positivi e non preconcettualmente critici: è troppo chiedere che ci sia un altro livello di trasparenza all'interno dell'Assessorato? Io penso di no.
Lo stesso Presidente del Consiglio, la volta scorsa, ha detto che il collega Lombardi doveva allontanarsi da quell'Assessorato perché - con un lungo giro di frasi - "c'erano situazioni ormai troppo incancrenite che bisognava cambiare". Pertanto penso di avere il diritto e il dovere di sapere che cosa c'era di incancrenito, che cosa c'era di non chiaro e perché sono state fatte queste scelte politiche che possono ovviamente anche essere state positive. Voglio capire meglio, quindi mi metto a disposizione dell'Assessorato e l'Assessore deve venire in Commissione e in aula con documenti scritti con concretezza per dare delle risposte. Per ora queste risposte continuano a non arrivare. Grazie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTABONE



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Penasso.



PENASSO Alfredo

Devo confessare che l'Assessore mi ha preso in contropiede, e questo certamente è a suo beneficio perché, siccome si ipotizzava un dibattito sull'agricoltura da diverse settimane, giustamente, avevo cercato di analizzare la situazione dell'agricoltura piemontese nel contesto nazionale ed europeo ed avevo fatto alcune considerazioni da apportare al dibattito in aula. Per cui, grazie alla cortese sollecitudine dell'Assessore, che ha fatto pervenire in anteprima la sua ampia relazione, devo dire, con soddisfazione, che mi trovo molto a disagio se leggo la mia relazione sembra che abbia dato degli spunti all'Assessore oppure che abbia copiato da lui le valutazioni sulla situazione dell'agricoltura piemontese e che abbia quindi tratto le mie conclusioni sulla base di quelle che vengono proposte alla nostra attenzione questa mattina.
Ciò sta a dimostrare che l'Assessore ha svolto fino in fondo il suo ruolo ed ha centrato, a parer mio, il problema; di conseguenza cercherò di commentare la relazione dell'Assessore senza leggere la mia che sembrerebbe la brutta copia, più sintetica, di quella proposta in aula dall'Assessore.
Un fatto da non sottovalutare emerge dalla relazione dell'Assessore (come tutto quello che brevemente dirò): in questi ultimi anni c'è stata una forte caduta produttiva con una riduzione dei prezzi dei prodotti agricoli che ha creato, certamente, insoddisfazione economica nei maggiori comparti dell'agricoltura.
Per la prima volta però negli ultimi dati che abbiamo analizzato si registra un calo dei consumi intermedi a dimostrazione di un potere di acquisto decisamente in diminuzione del comparto agricolo. Questo significa che gli investimenti per la produzione hanno registrato una preoccupante flessione ed è il concetto generale dell'apporto all'agricoltura nel contesto di un'economia più generale.
Questi dati mettono in evidenza, drammaticamente, che c'è stato un calo, in quest'ultimo anno, del 10% del reddito netto dell'agricoltura e sulla base di questo emerge l'esigenza di affrontare questo tema (come stiamo facendo oggi), cercando di dare delle risposte in termini organizzativi, di indirizzo, di organizzazione e di sostegno ad un settore economico - ed è stato messo in evidenza dall'Assessore - che ha un'importanza strategica per l'economia piemontese.
Vedo che ha trattato con dovizia di impostazione i punti cruciali sui quali dobbiamo confrontarci e tentare di dare delle risposte; una nuova forma di commercializzazione della produzione agricola in Piemonte che trova sostegno da parte della nostra organizzazione regionale e che l'Assessore fa sua, la mette in evidenza dando anche alcuni indirizzi.
E' chiaro che questa enunciazione sia il riconoscimento dei problemi reali in cui vive oggi la nostra agricoltura, ed è pertanto lodevole da parte dell'Assessore perseguire, a seguito del nostro dibattito, una serie di azioni e di progetti atti a sostenere l'impostazione teorica che oggi stiamo affrontando.
Agricoltura e ambiente: argomento richiamato molto pesantemente ed ha ragione l'Assessore quando parla di coltura. Per anni siamo stati criminalizzati come essere la parte principale dell'inquinamento del nostro ambiente, per fortuna questo concetto si sta modificando grazie alle politiche e agli interventi realizzati in questi anni, si comincia a vedere l'agricoltura sotto un profilo molto diverso, come una parte necessaria ed indispensabile al mantenimento e al recupero dell'ambiente; di conseguenza sarebbe opportuna un'azione propositiva verso questo comparto indispensabile e necessario, per mantenere, recuperare e ricreare l'ambiente.
Ci è stato posto all'attenzione e ne abbiamo già discusso in Commissione il Regolamento CEE n. 2078/92 programma regionale, per una produzione agricola compatibile con la protezione dell'ambiente e con la cura dello spazio rurale.
Questo è un progetto ambizioso che ci vedrà certamente impegnati e di cui dobbiamo farci carico. Dobbiamo avere una grossa volontà ed applicare con molta tempestività questo regolamento, perché va a supporto di quella difficoltà che oggi vive la nostra agricoltura e va a sostegno della nostra economia oggi in crisi. Qui è stato richiamato, lo ribadisco e vedo con soddisfazione che l'Assessore ha individuato quali erano i punti deboli.
Dobbiamo dire con grossa soddisfazione che questa Regione, nella sua lunga esperienza e operatività in campo agricolo, aveva individuato due leggi fondamentali che hanno dato certamente, e qui sono messi in evidenza, dei risultati positivi. La legge n. 63, la legge n. 44, la n. 40, di cui, per oggi - riconosce l'Assessore - necessitano una modificazione sostanziale.
Quando sono nate queste leggi eravamo in una fase di ricerca di produttività, eravamo spinti alla produzione. Oggi la nuova impostazione di politica comunitaria ci induce a ridurre e a contenere le produzioni. Di conseguenza, è un quadro di riferimento totalmente diverso. C'è chi dice 180 gradi, io dico 360 gradi. Allora si spingeva la massima produzione oggi dobbiamo ricercare il contenimento e la modificazione totale di un concetto di produttività nell'agricoltura piemontese.
Per questo apprezzo e riconosco l'esigenza, che l'Assessore ci propone di modificazione radicale della nostra legislazione agricola, d'altronde riconosco e apprezzo la proposta di un approccio integrato nell'azione della Giunta. Ha ragione l'Assessore, non è solo l'Assessorato all'agricoltura che è coinvolto ed interessato nel comparto dell'agricoltura. Del problema dell'agricoltura fanno parte l'ambiente, la ruralità ed una serie di problematiche che investono l'intero assetto della Giunta, e che va giustamente coordinato. Quando facciamo la politica dei parchi questa ha influenza non solo sull'agricoltura, ma anche sull'ambiente; di conseguenza, è un coordinamento, perché l'impatto che pu avere il parco può essere incompatibile con il progetto e con lo sviluppo della legge specifica sull'agricoltura.
Parlando di parchi, in questi giorni, abbiamo avuto ancora il richiamo dai Sindaci della Valle Susa, e questo è il discorso dell'integrazione di Giunta, dove pesantemente viene ancora messo in evidenza il dramma della sproporzionalità sul territorio della fauna selvatica e, in particolare ancora una volta, dei cinghiali.
Prendo atto con soddisfazione che l'Assessore all'agricoltura e gli Assessori competenti stanno lavorando su questa situazione, di conseguenza mi auguro che si dia una risposta a questo annoso problema, come giustamente si rivendica e si mette in evidenza il grosso apporto che hanno dato i servizi di sviluppo all'agricoltura. La relazione li richiama, li riconosce, li vuole riorganizzare. Noi siamo disponibili a questo dibattito e a questo progetto.
Dirò poi qualcosa, caro Assessore, al termine del mio breve intervento su questo aspetto. L'Ente di Sviluppo Agricolo è un dibattito che viene da più lontano, Assessore, che dal commissariamento. La legge istitutiva dell'ente aveva grandi ambizioni, alcuni tentativi sono stati fatti e alcuni hanno anche dato degli esiti negativi, lo dobbiamo riconoscere, ma io credo fatti in buona fede. Non seguo le tracce del collega Zacchera perché credo che chi ha avuto la responsabilità in tutti questi anni, e sono state plurime, abbia anche avuto dei grossi impegni, in quanto riteniamo ancora oggi che tutto quello che si mette in piedi a sostegno, a difesa e valorizzazione dell'agricoltura abbia una sua validità.
Oggi siamo ad un bivio, realizziamo e continuiamo a difendere e sostenere l'ESAP o vogliamo annullarlo e chiuderlo? Credo che i compiti che ha svolto l'ESAP in questi ultimi anni, e specialmente in questi ultimi due tre anni, siano lodevoli. Può farlo l'Assessorato senza l'Ente di Sviluppo? Può anche farlo, ma deve creare i servizi, la struttura. Assorbe quella struttura o è più snello ed è più incisivo l'Ente di Sviluppo rivisto e riorganizzato? E' un dibattito, e credo che, in questi giorni, dovremmo, a breve termine, dare una risposta. Credo che l'Assessore non abbia grande difficoltà a dire se le forze politiche in Consiglio votassero la chiusura dell'ESAP. Mi organizzo attraverso le strutture assessorili per dare quei servizi che sono necessari. Vi è l'esigenza di trovare degli spazi per sviluppare altri tipi di servizi, o li affiderà all'ESAP o si creerà una struttura necessaria. Verrebbe meno al suo dovere e al suo impegno se non si cimentasse in questo campo.
Vengo alla conclusione, affrontando brevemente il capitolo più delicato, cioè quello che l'Assessore ha voluto con molta responsabilità metterci sotto gli occhi, ed è quello che ci preoccupa, perché condividendo la filosofia di questa relazione, condividendo fino in fondo i progetti di rilancio dell'agricoltura piemontese, attraverso le ipotesi di progetti di revisione che vengono avanti, non ultima quella della riorganizzazione degli uffici, dell'incentivazione e, di conseguenza, della migliore adozione di personale qualificato e di servizi da dare all'agricoltura, ci preoccupano i dati finanziari. Quando riconosce nella relazione la validità di molti strumenti necessari e indispensabili per fare cambiare e per far rivivere quell'agricoltura in termini diversi dal passato, si pone il problema del taglio del sostegno a molti settori, non ultimo quello che critica pesantemente l'amico Zacchera (io invece lo rivendico fino in fondo per il lavoro e per il supporto che hanno dato al sostegno di questa agricoltura piemontese che ci viene riconosciuta e che ha fatto passi avanti), cioè il sostegno finanziario a tutto il comparto tecnico. Senza il sostegno tecnico ai vari livelli, non ultimi quelli dei CAAT fino al sostengo universitario, non possiamo gestire e sperare in un adeguamento della politica e, di conseguenza, delle strutture della nostra politica regionale adeguata ai tempi per poter rilanciare questa nostra agricoltura che credo abbia ragion d'essere in questa nostra Regione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vaglio.



VAGLIO Roberto

La relazione dell'Assessore Fiumara sullo stato dell'agricoltura in Piemonte viene presentata in un momento cruciale per il settore, ed è pertanto quanto mai opportuno che il rappresentante della Giunta abbia finalmente fatto chiarezza sugli orientamenti del governo regionale in materia di agricoltura, cosa che credo abbia sostanzialmente confermato anche l'intervento del collega Penasso.
Fino dalla prima lettura ho capito che i dubbi sull'inadeguatezza professionale dell'Assessore per le funzioni importanti a cui è chiamato a rispondere erano più che fondati.
Buon senso avrebbe voluto che all'incarico più tecnico della Giunta regionale si dovesse fare fronte con capacità, cultura ed esperienza specifiche. Così non è stato, in ossequio alla logica degli equilibri di maggioranza: il Partito socialista perde un Assessorato in seguito alle disavventure di Maccari, e deve al più presto recuperarne un altro di importanza e di peso ed ha recuperato questo. Se vogliamo stare alle esemplificazioni elettorali di questi ultimi sei mesi, ebbene questa vecchia logica è stata abbondantemente bocciata. Ecco perch contrariamente ad altri colleghi dell'opposizione, continuo a dire che questo Consiglio non è più in grado, anche in questa vicenda, di rappresentare la volontà di chi lo ha eletto. Ma questo è un altro discorso, lo riprenderemo in altri termini e in altri momenti.
Tornando alla relazione, la prima impressione è che troppo spesso la realtà del mondo agricolo viene vista in un'ottica molto ottimista attraverso una lente rosa; in particolare, trattando gli avvenimenti del recente passato, ho avuto l'impressione che i fatti negativi fossero rimossi o comunque omessi e le descrizioni dei problemi solamente fatte attraverso gli aspetti positivi.
Ma veniamo ai singoli punti della relazione. Nel primo capitolo, dove l'Assessore Fiumara tratta del censimento agricolo del 1990, c'è una sorta di compiacimento per i "processi di ristrutturazione e di riconversione importante e di intensità decisamente superiore alla media nazionale"; la forte preoccupazione espressa da economisti del settore, tra i quali ricordo il prof. Giau, a commento dei dati dello stesso censimento per l'abbandono delle aree montane e collinari come sintomo di una prossima desertificazione del nostro territorio, non è stata riportata, non è stata richiamata, non è stata citata. Probabilmente perché al momento di dare applicazione al Regolamento CEE n. 2052/88 (obiettivo 5b) erano state individuate solo tre Comunità montane del Piemonte con esclusione di tutte le altre. All'Assessore Fiumara probabilmente non l'hanno detto o si sono scordati di dirglielo, penso che all'Assessore Lombardi, il suo predecessore, la cosa però fosse notissima.
E' pur vero che la politica agricola delle strutture (capitolo secondo) ha trovato in Piemonte un'applicazione sollecita, o per meglio dire: meno tardiva rispetto a quanto è accaduto in altre Regioni, dobbiamo per segnalare che la ripartizione dei fondi ha penalizzato il Piemonte.
La responsabilità del Ministero dell'Agricoltura e Foreste è innegabile, ma al governo regionale credo vada attribuito il concorso di colpa per non avere richiesto con forza una più equa ripartizione che evitasse sprechi ed ingiustizie. I microsuccessi dell'allora Assessore Lombardi non costituiscono attenuante.
Sempre all'interno del secondo capitolo, precisamente al punto 6 l'Assessore Fiumara lamenta l'eccessiva burocratizzazione dell'AIMA circa l'erogazione dei premi previsti dalla nuova PAC e ha ragione. Ma non crede che si potrebbe facilmente ovviare togliendo questo compito all'AIMA e assumendo direttamente all'Assessorato la gestione degli aiuti? Non crede che questo sia un punto debole della riforma del Ministero dell'Agricoltura e Foreste e valga la pena inserire questa proposta nel disegno di legge delle Regioni di cui riferisce al capitolo quindici? Del capitolo quindici, relativamente alla riforma del Ministero, tratterò in chiusura e penso di stare abbondantemente nei tempi utilizzati dai colleghi.
Per quanto riguarda le assurde limitazioni imposte dalle quote latte mi chiedo se finalmente la Regione troverà la forma mentale e la capacità di assumere un ruolo attivo per difendere i diritti degli allevatori piemontesi, cosa che fino ad oggi non mi è sembrato, ma soprattutto ed in particolare troverà la forza di imporsi per sottrarre a queste limitazioni soprattutto i produttori di montagna che non possono assolutamente rientrare nella politica prevista.
Circa la qualità dei prodotti agroalimentari prodotti in Piemonte, che viene trattata nei capitoli quarto e quinto, penso si possa dire in tutta serenità che la Regione non si è sicuramente distinta in passato per iniziative di valorizzazione dei prodotti di qualità.
Le risorse c'erano, ma sono state spesso disperse a favore di manifestazioni o di enti inutili. Ben venga quindi il coordinamento di cui si parla in relazione, ben venga l'avvio di una nuova politica di valorizzazione e se possibile - parlo ai colleghi dell'aula cerchiamo di evitare la proliferazione di leggi regionali, come la famigerata 35/88, che non ha portato, in termini reali, alcun beneficio ai produttori di carne bovina, costringendoli peraltro ad adempimenti onerosi e burocratici.
Relativamente all'incentivo all'industria agroalimentare, trattato al capitolo 6, siamo tutti concordi nell'affermare che sia indispensabile per ottenere gli auspicati risultati di valorizzazione dei prodotti piemontesi.
In particolare, l'Assessorato in passato ha disatteso le attese del mondo cooperativo, accumulando ritardi ampi e gravi nell'erogazione dei finanziamenti e non consentendo in questo modo ad alcuni settori il necessario sviluppo per competere su un mercato divenuto estremamente difficile e, al contrario, destinando troppe risorse - come ricordava poco fa il Consigliere Zacchera - ad iniziative fallimentari come quella del Latte Verbano.
Sul binomio indissolubile tra ambiente ed agricoltura di cui al capitolo 7 bisogna dire che il rispetto dell'ambiente costringe a cambiamenti delle tecniche agricole, che incide sui costi di produzione, e se l'aumento dei costi non corrisponde ad una valorizzazione del prodotto sul mercato, il settore non ne ricava benefici.
Mi sembra che il collegamento con il mercato sia la parte che è mancata nel Piano regionale di difesa integrato, e che sia necessaria una valutazione dei risultati più attenta.
Per quanto riguarda l'applicazione del Regolamento n. 2078 sull'agricoltura ecocompatibile, da una prima lettura del programma regionale che ci è stato consegnato solo la settimana scorsa - e che mi dicono ulteriormente modificato: personalmente, il documento non l'ho visto ritengo che si rischi di perdere una grossa occasione per l'agricoltura piemontese, perché stiamo andando a costringere le aziende agricole in camicie di forza, tali da rendere spesso non conveniente l'adesione ai programmi previsti.
Ho il sospetto che nella stesura del programma o perlomeno del programma che ho per le mani, si sia pensato più agli interessi delle organizzazioni di rappresentanza del mondo agricolo che non a quelle degli agricoltori; è un'impressione: ne discuteremo mi auguro non domani, ma la prossima settimana in III Commissione.
Note dolentissime ai capitoli 9/10/11 dedicate al funzionamento dell'Assessorato e all'adeguamento della legislazione regionale in agricoltura. Condivido la necessità di rivedere la macchina burocratica cito nuovamente un passo della relazione: "Bisogna osare di più". E' sacrosanto osare di più, ma credo che il supremo atto di coraggio da parte di Assessore, Giunta e Consiglio sia quello di accettare subito il giudizio degli elettori, dimettendosi in blocco e chiedendo nuove elezioni. Non è pensabile che la Giunta attuale, espressione di partiti a cui a tutte le recenti elezioni in Piemonte non accreditano nel complesso più del 30% dei suffragi, possa gestire una riforma ed interventi di tale importanza.
I servizi di sviluppo agricolo vanno rivisti, si dice al capitolo 12.
Certo, ma mi chiedo come possa l'Assessore Fiumara pensare di farlo entro il 1993, quando da tre mesi non è in grado di rispondere alla nostra interrogazione sui CAAT che per ora costituiscono il fondamento dei servizi di sviluppo.
Al capitolo 13, il tentativo di salvataggio dell'ESAP; penso si sia parlato fin troppo di enti inutili che devono essere eliminati, e questo rientra comunque nel novero: tre anni di commissariamento e, nel frattempo le Regioni che avevano fatto da "prime della classe" nell'esperimento degli Enti di Sviluppo, la Toscana e l'Emilia, ad esempio, li hanno sciolti. E noi siamo ancora qui che ci gingilliamo su una possibile riforma, su una possibile ristrutturazione.
La relazione vera e propria termina ricordando i problemi finanziari e le incertezze derivanti dalla nuova politica comunitaria e dalle ristrutturazioni dei mercati.
Ritengo che il calo tragico delle risorse finanziarie disponibili sia da imputarsi in gran parte alla politica dissennata dei Governi che hanno preceduto il Governo Ciampi. Ci sono responsabilità politiche ed oggettive che si devono far risalire alla politica democristiana in campo agricolo compresa la liquidazione della Federconsorzi e di alcuni Consorzi agrari provinciali. E' chiaro che davanti ad una situazione che non è serena, come invece la relazione vorrebbe far comparire, occorre attuare rapidamente la riforma del Ministero dell'Agricoltura. Buona parte delle proposte delle Regioni che sono state illustrate al capitolo 15 sono condivise anche dalla Lega Nord, ferma restando però l'individuazione basilare dei criteri di ripartizione tra le Regioni.
Mi preoccupa che nonostante l'approssimarsi della scadenza del 5 agosto la Commissione senatoriale abbia continuato a lavorare non tenendo conto di queste indicazioni; al momento non mi risulta abbiano avuto una presentazione ufficiale.
La relazione termina con reiterate dichiarazioni di volontà di intervenire ad uno Stato regionalista; a fare da controcanto vi è un documento del 9 luglio dei colleghi del PDS che, dopo la fiera battaglia fatta l'anno scorso a luglio ai nostri emendamenti che cercavano di dare un taglio federalista alla proposta della Regione di modifica costituzionale oggi si ravvedono e richiedono modifiche costituzionali che permettono alle Regioni di praticare una nuova autonomia e nuovi poteri in senso federalista.
Sembrerebbe che si sia tutti d'accordo per il rinnovamento; in effetti noi siamo dell'opinione che le riforme, compresa quella elettorale, debbano essere gestite da un nuovo Consiglio; altri sembrano invece tentati da ipotesi di allargamento della maggioranza che consenta a questo Consiglio di arrivare a scadenza naturale.
C'è un incidente di percorso assai illuminante in questo senso, da parte del Consigliere Penasso, che parlava del fatto che questa Giunta vuol fare un giro di 360 gradi per affrontare i problemi. Ma il problema è che quando si fa un giro di 360 gradi, si guarda sempre e comunque nella vecchia direzione in cui si guardava precedentemente.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTABONE



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Riba.



RIBA Lido

Grazie, Presidente. Innanzitutto mi sia consentito ringraziare vivamente i rappresentanti del mondo dell'agricoltura piemontese, che è qui presente ai suoi massimi livelli, con ciò segnalando l'interesse e l'attesa che tale mondo ha nei confronti di questo argomento: con la loro presenza questi rappresentanti in parte compensano le assenze sempre vistose tra i banchi dei Consiglieri.
La relazione dell'Assessore Fiumara espone alcuni dati, molto preoccupanti sul trend negativo dell'agricoltura piemontese. Ne esistono altri, che ora aggiungerò.
Il reddito dei coltivatori piemontesi risulta essere l'ultimo delle Regioni settentrionali ed è inferiore del 60% a quello dei francesi e dei tedeschi e del 300% a quello dei coltivatori olandesi. A livello europeo come italiani, siamo invece i primi per tasso di invecchiamento e dimensione del part-time. Esportiamo il 7,9% della nostra produzione agricola, contro il 17% della Francia, il 24% dell'Olanda, il 32 dell'Irlanda, il 37% della Danimarca, il 31% della Grecia; mentre invece abbiamo il primato dell'import con il 18%, che per i prodotti zootecnici arriva al 40%.
Di fronte a questa situazione mi pare veramente singolare l'affermazione contenuta in una parte della relazione - non voglio isolarla dal contesto e so bene che può essere corretta dal senso generale della relazione - secondo cui l'obiettivo di politica agraria, l'ha detto anche il collega Penasso, a partire dal 1990 "è quello di ridurre le produzioni".
Domando: quali produzioni? Quelle italiane, per caso? In queste condizioni? Dietro questo c'è soltanto la smobilitazione totale, immediata e generale.
Pensare che la riduzione degli addetti, delle superfici coltivate e delle produzioni risolva il problema dei redditi è una suggestione ingenua, una valutazione sbagliata, come dimostrano i dati statistici riguardanti il Piemonte. Negli ultimi trent'anni (questi sono dati del censimento riportati dalla Regione) abbiamo perso 403.000 ettari di territorio agricolo: faccio presente che la superficie della provincia di Alessandria ha 397.000 ettari, quindi si tratta di un'estensione superiore a quella della provincia di Alessandria; 140.000 ettari sono stati persi solo negli ultimi dieci anni, confermando perciò che il trend continua e non c'è discriminazione fra territorio fertile o non fertile, anzi quello fertile considerato di prima qualità nella carta di fertilità dei suoli sarà in grado di dimostrare come è stato fuorviato rispetto all'utilizzo. Quindi abbiamo perso il 25% della superficie.
Tra il 1961 e il 1992, parlando di un settore che interessa particolarmente le province del Piemonte sud, la viticoltura, dobbiamo registrare che la nostra superficie vitata è scesa da 131.592 ettari ad appena 61.807, meno della metà; nello stesso periodo quella del Veneto è aumentata dell'84%, quella emiliana del 290%, quella della Toscana del 307%. La relazione non occulta questi dati, ma non ne trae le logiche conseguenze. In realtà molti, in questi anni, seguendo ragionamenti tanto accreditati quanto grossolani, hanno ritenuto che riducendo addetti produzioni, superfici coltivate si potesse arrivare ad una generalizzata lievitazione dei prezzi che avrebbe fatto guadagnare di più. Le cose non stanno così né per l'agricoltura né per nessun altro settore dell'economia.
Ogni riduzione di superficie agricola è una perdita irreversibile di base produttiva. Sugli spazi più ridotti, come si sa, e lo sanno bene gli economisti agrari e i dirigenti del settore agricolo, si produce a costi crescenti; l'imprenditore è spinto a ricercare la cosiddetta rendita intensiva con più alto sfruttamento dei terreni, impieghi crescenti di sussidi chimici, in frontale contrasto con la concorrenza e con le esigenze della concorrenza internazionale, che punta sull'estensione per produrre a costi decrescenti e con le stesse direttive comunitarie già ricordate (Regolamento n. 2078) in materia di politica ambientale.
In Piemonte si è perciò verificato che nonostante la massiccia riduzione degli addetti (da circa 800.000 degli anni '50 ai 200.000 di adesso) per effetto della contemporanea riduzione dei terreni, l'estensione delle aziende è aumentata di pochissimo: soltanto da 5,04 ettari del 1982 a 5,77 ettari del 1990.
Fa strano che il problema strutturale dei rapporti tra addetti e superficie, tra rendite estensive e rendite intensive, tra sviluppo delle aziende e composizione dei redditi - pur così ampiamente presenti nelle elaborazioni di tutti i più accreditati economisti agrari dell'ultima fase da Serpieri a Sereni, a Rossi Doria, agli stessi economisti attuali dell'Università piemontese - siano così poco presenti nelle analisi e nelle elaborazioni della nostra politica agraria regionale.
La conseguenza di questi errori di impostazione sta nel fatto che abbiamo ridotto anziché potenziare e ci troviamo oggi con meno occupati meno superficie e con lo spazio ed il mercato invasi da importazioni sia interne che straniere. Ed è noto che quando un produttore più potente (in qualsiasi settore dell'economia) occupa uno spazio di mercato, vi crea un proprio dominio, impone i propri gusti, crea un suo indotto commerciale di servizi (trasporti, rappresentanti, rapporti bancari) che rendono del tutto irreversibile la sua affermazione a danno dei produttori locali.
In Piemonte questo è largamente successo, così noi consumiamo Parmigiano Reggiano, Mele Renette del Trentino, Galletto Vallespluga, i prodotti del Mulino Bianco di Parma e, tolto qualche cosa nel campo del vino, non saprei dire dove si consuma qualcosa del Piemonte.
Assessore Fiumara, se non partiamo dalle ragioni strutturali, noi continueremo a fare soltanto propaganda e descrizioni dei problemi, ma una politica ristrutturata, capace di affrontare la nuova fase rimuovendo i drammi causati da quella vecchia, non la faremo mai. In questo senso considero insufficiente, non per mancanza di ampiezza, ma per mancanza di analisi, ciò che oggi si propone come elaborazione a livello dei problemi della politica agraria piemontese.
La verità è che il Piemonte, a differenza di tutte le altre regioni agricole (Emilia, Lombardia, Friuli e persino Campania) è rimasta una regione produttrice di materia prima, di prodotto grezzo per l'industria agroalimentare (oggi ci sono pochissimi prodotti che si commercializzano senza un minimo di lavorazione e di conservazione) senza sfruttare tutto lo spazio di occupazione - che riguarda tutta l'economia e tutta la collettività e di valore aggiunto che afferisce al comparto agroindustriale.
Nella realtà attuale la filiera agroalimentare è organizzata in modo che sul produttore - l'anello che comunque è rimasto il più debole della catena si scaricano contemporaneamente i costi fissi di produzione, i rischi di mercato, mentre il comparto industriale e ancor di più quello commerciale possono determinare i prezzi al consumo e fruire delle convenienze offerte dal mercato internazionale. I dati sono al riguardo chiarissimi e per il Piemonte, ovviamente, molto più drammatici che a livello medio nazionale. Il ricavo complessivo finale derivante dai consumi agroalimentari nazionali del 1992 è stato di 226.000 miliardi: di questi 103.000 miliardi sono andati direttamente alla commercializzazione; si stima che almeno 20.000 miliardi siano andati all'importazione di materie prime e ingredienti o prodotti messi sul mercato; 57.000 miliardi sono andati al settore dell'industria e 46.000 sono il residuo dell'agricoltura una ripartizione veramente beffarda per l'agricoltura.
Il Piemonte, avendo una struttura agroalimentare di dimensioni inferiori del 35-40% rispetto alle altre regioni padane paga sia sul fronte del reddito agricolo che sul fronte occupazionale e del reddito collegato alla trasformazione e lavorazione dei prodotti. Questi dati sono molto significativi. In Trentino per ogni occupato nell'agricoltura ve ne è uno nell'industria agroalimentare; in Emilia, Veneto e Lombardia sono ad uno nell'agricoltura e nove nell'industria agroalimentare; in Piemonte ve ne è uno nell'agricoltura e sei nell'industria agroalimentare.
Questo significa che se noi avessimo realizzato non dico il trend olandese ma quello medio dell'Italia settentrionale o quello della Campania noi avremmo circa 65.000 occupati in più nell'industria agroalimentare cioè nel comparto industriale, che oggi è in maggiore situazione di solidità e di espansione come dimostra tutto il trend della filiera agroalimentare di questi anni, a fronte dei 115.000 occupati agricoli che abbiamo ne avremmo 180.000. Uno spazio di rifornimento del mercato agevolerebbe l'agricoltura e si avrebbe un tornaconto in termini occupazionali per il Piemonte.
Dopo queste considerazioni mi pare che i versanti sui quali occorre operare siano essenzialmente due: oltre a quello appena trattato dei ricavi c'è quello dei costi di produzione.
Se i nostri costi sono più alti rispetto a quelli del Paesi concorrenti, con la nuova PAC - che eguaglierà su scala europea sia i prezzi che le integrazioni di reddito - le nostre aziende non saranno competitive e non potranno che soccombere. Ed è ciò che denunciano da tempo le organizzazioni professionali.
Questo perché se il coltivatore europeo ha un costo inferiore di produzione, ed ha la stessa integrazione di reddito, evidentemente sarà più competitivo.
D'altra parte i costi più alti non derivano tanto da un deficit di organizzazione aziendale o dalla possibilità di affermare che le aziende piemontesi sono tra quelle mediamente più organizzate non solo su scala nazionale, ma anche europea per quanto riguarda l'organizzazione d'impresa bensì si tratta di un deficit dell'impresa: le coltivazioni sono più intensive perciò producono a costi crescenti, il denaro è più caro, c'è una minore partecipazione al riparto di valore aggiunto della filiera agroalimentare, l'intervento pubblico è complessivamente minore e molto più disorganizzato, i costi delle tecnologie sono più alti perché sono tecnologie di importazione. Chi conosce i nomi delle varietà di frutta, di mele, di pesche, ecc., nota che sono tutti nomi stranieri, raramente c'è una ricerca prodotta in Italia.
Questi sono problemi che non si possono affrontare con politiche episodiche e disparate, occorre fare un ripensamento strutturale di tutta la politica agraria. Un ripensamento che compete alle Regioni, sia pure nell'ambito di un coordinamento nazionale, e non più al Ministero soppresso che si tenta troppo alacremente di ricostruire.
Alcuni problemi però potrebbero essere affrontati fin da ora, anzi dovevano essere affrontati da tempo nella nostra Regione, cito per esempio il problema irriguo del Piemonte sud. Purtroppo il primo studio per le acque del Tanaro risale al 1947 e l'ultimo della lunga serie risale al 1987 e riguarda le acque del Maira sulla diga di Stroppo. Nonostante tutta questa lunga filiera di costi e di iniziative non un metro cubo di acqua è stato invasato né si prevede di farlo per i prossimi anni.
Questo non fa che conclamare l'incapacità di questa Regione di risolvere i problemi.
Le soluzioni interne alle imprese per ridurre i costi sarebbero rappresentate potenzialmente dal miglioramento delle rese unitarie certamente un coltivatore può migliorare i suoi conti aziendali con l'aumento della produzione di latte pro capite, con l'aumento della produzione di frutta, ma cosa se ne fa se gli accordi comunitari gli impediscono di aumentare le produzioni? Anzi se le aumenta deve pagare delle penali? Bisogna avere un minimo di coscienza di qual è un bilancio aziendale di un'azienda agricola. Questa politica comunitaria va ritoccata.
La relazione dell'Assessore affronta poi questioni rilevanti come la "qualità totale", il "made in Piemonte", il problema ambientale, fino alla riorganizzazione dell'Assessorato, il rinnovamento dell'ESAP. Però questi problemi sono semplicemente descritti, elencati, ma non sono trattati.
Questa descrizione è nota, bisogna sapere se c'è stata un'analisi più completa e se si affrontano questi problemi con proposte che li risolvano altrimenti si andrà avanti con il cabotaggio, con la ricerca del consenso delle organizzazioni, ma strutturalmente la nostra agricoltura deperirà e non si risolleverà.
Ritengo che l'attesa e l'improcrastinabile svolta nella politica agraria della Regione Piemonte richieda oggi alcune operazioni di forte respiro: a) innanzitutto una specifica legge per lo sviluppo agroindustriale. Non ci si deve fermare solo sulla cooperazione, si deve guardare integralmente tutto il comparto delle aziende dirette coltivatrici e di trasformazione, ma occorre creare la condizione per utilizzare quelle quantità di valore aggiunto e di occupazione che sono state trascurate a causa di una politica ritardata perché fuorviata da una valutazione non esatta sui reali interessi economici del Piemonte b) è necessario un progetto per la riduzione strutturale dei costi delle aziende per raggiungere situazioni di parità con i paesi e le regioni concorrenti c) è necessario trasferire alle Province le competenze gestionali riservando alla Regione la parte programmatico-progettuale. In questo quadro si pongano le ristrutturazioni dell'ESAP e dell'Assessorato. Per quanto riguarda il rilancio dell'Ente di Sviluppo faccio presente che da tre anni si sta discutendo se toglierlo, non vorrei essere sospettoso, ma solo quando è venuta a meno la candidatura di una certa persona si è potuto aprire la discussione sul fatto se continuare o meno ad avere l'Ente di Sviluppo.
Questa deve essere una struttura agile al servizio del progetto agroindustriale piemontese d) per quanto riguarda lo sviluppo e il rilancio del settore vitivinicolo abbiamo avanzato una proposta per la creazione del "distretto" vitivinicolo del quale è al corrente l'Assessore e gli altri colleghi che hanno avuto la gentilezza di partecipare ai nostri dibattiti e) lo sviluppo della contrattazione collettiva, oggi operante solo per il settore del latte e del moscato f) la soluzione del problema irriguo, anche con l'applicazione di tariffe elettriche agevolate per l'emungimento dai 3.500 pozzi circa g) il potenziamento della ricerca scientifica e impostazione di sviluppo della qualità e della compatibilità ambientale.
Devo osservare che è totalmente sottratto a questo dibattito e a questa relazione il problema dell'economia montana, che inopportunamente è stato aggregato al problema delle discariche; con ciò segnalo una certa perplessità, in qualche caso persino un po' d'ilarità, tra gli osservatori.
Mi pare che vi siano delle possibilità consistenti di riorganizzare la politica agraria piemontese, non vedo però le condizioni politiche. Non ho trovato nella relazione la tensione che dovrebbe emergere da vent'anni di gestione di queste politiche che hanno concorso a creare questo tipo di sistema. Tranne una breve parentesi abbiamo sempre avuto una maggioranza omogenea a quella nazionale. Credo quindi che si ponga il problema anche in termini politici di superare una condizione di maggioranze, di governi, di indirizzi politici generali, che sono anch'essi alla base della situazione di crisi in cui si trova la nostra agricoltura.
Detto questo, assicuro che è totalmente messa a disposizione e profondamente impegnata la disponibilità e la capacità di cui può disporre tutto il Gruppo PDS della Regione Piemonte, perché sentiamo quello dell'agricoltura come uno dei più consistenti problemi della nostra Regione dal punto di vista sia economico che politico e soprattutto sociale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Giuliano.



GIULIANO Valter

Signor Presidente, colleghe e colleghi Consiglieri, la relazione dell'Assessore Fiumara ci sembra abbia fornito una fotografia abbastanza nitida e aggiornata della situazione dell'agricoltura piemontese. Una fotografia - mi è sembrato a tinte più grigie che bianco o nere né tanto meno colorate. Una fotografia che ha sottolineato l'assenza o, perlomeno la carenza di linee di indirizzo e di programma per il passato in cui il comparto agricolo piemontese ha dovuto sopravvivere sulla base del trasferimento delle risorse dello Stato per quanto riguarda gli investimenti finanziari, e sulla base delle indicazioni, spesso contraddittorie e - ahimè - spesso penalizzanti per la nostra agricoltura a livello programmatorio da parte della CEE.
Oggi si aggiunge l'elemento innovativo e non certo secondario che, con il referendum consultivo, la maggior parte delle competenze saranno trasferite dallo Stato alle Regioni anche in questa materia.
La relazione dell'Assessore sembra limitarsi a registrare questo nuovo clima di incertezza, che ci pare carente sul piano dei propositi, del progetto, delle linee lungo le quali la Regione intende muoversi per non correre il rischio di essere, ancora una volta come nel passato, a rimorchio di decisioni che provengono dall'esterno. Proprio perché queste decisioni sono esogene, ben difficilmente sono in grado di offrire delle risposte capaci di tenere nel debito conto le specificità dell'agricoltura piemontese e le caratteristiche territoriali nelle quali gli operatori del settore si trovano ad agire.
Dalla relazione si evince, e lo registriamo con soddisfazione, ciò che sosteniamo da tempo: la prevalenza della qualità sulla quantità e l'attenzione particolare per una produzione che sia attenta all'impatto ambientale che l'attività agricola può avere ed ha pesantemente avuto non solo sull'ambiente naturale, ma sulle stesse risorse, in primo luogo il suolo e la fertilità naturale del terreno, dalle quali l'agricoltura non può prescindere.
Oggi anche i fatti e la politica agricola internazionale ci danno ragione. Ma non è certo questa la sede per evidenziare i problemi di impatto ambientale dell'attività agricola, che pure sono ormai ampiamente noti e rispetto ai quali, fortunatamente, anche gli operatori del settore cominciano ad essere sensibilizzati: il tema del rapporto non sempre facile eppure noi riteniamo così naturale - tra agricoltura ed ambiente, che peraltro è già stato dibattuto ampiamente in più sedi per iniziativa delle stesse organizzazioni agricole.
Un aspetto ci appare ancora carente nelle varie analisi, quand'anche si annunciano trionfalmente aumenti di produttività, ed è quello relativo ai flussi di energia. Paradossalmente l'attività produttiva primaria, l'unica capace di utilizzare l'energia solare per trasformarla in composti organici, accusa oggi un deficit di bilancio energetico. Consuma di fatto più energia di quanta sia in grado di produrre. Questo dato non è affatto secondario e meriterebbe molta più attenzione non solo a livello di ricerca e sperimentazione scientifica, ma sicuramente meriterebbe anche maggiore attenzione politica e di programmazione economica a livello generale.
Tornando al tema che ci è più vicino della compatibilità ambientale delle produzioni agricole, non possiamo che registrare con soddisfazione le iniziative in corso da parte della Giunta regionale e che riguardano l'approvazione del programma di attuazione del Regolamento CEE n. 2078 sull'agricoltura ecocompatibile e sui metodi di produzione agricola compatibili con l'esigenza di protezione dell'ambiente e la cura dello spazio naturale. Avremmo però voluto una maggiore sollecitudine e un maggiore impegno nella discussione di quei progetti di legge sull'agricoltura biologica - preferirei personalmente chiamarla "naturale" perché non conosco un'agricoltura che non sia biologica, ma ormai il nome con cui è conosciuta è questo - che da troppo tempo giacciono nei cassetti del Consiglio regionale.
Ci fa piacere che ne sia annunciata la ripresa in Commissione, dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha accolto i ricorsi di alcune Regioni nei confronti del Ministero dell'Agricoltura, che con proprio decreto aveva avocato a sé le competenze in materia. Ma a suo tempo abbiamo anche presentato un'interrogazione all'allora Assessore all'agricoltura, che non ha avuto - come spesso accade l'onore di una risposta in tempi utili, sul perché la nostra Regione, che era stata tra quelle che avevano promosso il referendum per l'abolizione del Ministero dell'Agricoltura, non si fosse associata all'Emilia Romagna, all'Umbria e alle altre Regioni che avevano presentato ricorso alla Corte Costituzionale.
Il pericolo è che la nostra Regione possa accusare un ritardo nel confronto con altre Regioni italiane ed europee ed essere, dunque, nel prossimo futuro penalizzata in termini di competitività. Non vorremmo che i ritardi fossero da imputare alla scarsa attenzione che i soggetti, che sin qui hanno dettato la politica regionale in materia agricola, dedicano a questo settore che, sulla scena europea, presenta da anni attori protagonisti non secondari che hanno stimolato e sviluppato un mercato parallelo in via di sempre maggiore affermazione. Non vorremmo che le scelte di oggi più che da un'affermata e conclamata cultura dell'ambiente da parte del mondo agricolo piemontese, fosse imputabile unicamente alla convenienza economica e commerciale. Se così fosse si tratterebbe riteniamo di una scelta debole, piena di rischi, difficilmente controllabile, probabilmente portatrice di nuove frodi, cose non nuove nel settore agricolo. Il dubbio mi viene anche ascoltando il collega Penasso che reiteratamente continua a contrapporre il tema "aree protette" e "agricoltura". Non vediamo quale possa essere un'occasione migliore per attuare le politiche europee di compatibilità ambientale dell'attività agricola se non proprio in queste aree protette. Crediamo che su questo occorra sperimentare e da subito agire.
Credo che non sia opportuno continuare anche ad evocare da parte dei rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole i disastri dei cinghiali che non riteniamo certamente attribuibili alla presenza di aree naturali quanto piuttosto ad un'errata politica venatoria che per anni è stata purtroppo appoggiata anche dal mondo agricolo. Mettiamo invece piuttosto sotto accusa le aziende cosiddette faunistico-venatorie che forse sono alla radice di questo problema, che comunque riteniamo vada risolto.
Gli ambientalisti seri, che non fanno della tutela dell'ambiente una nuova religione, ma uno strumento di attuazione di serie politiche di tutela e di uso delle risorse naturali rinnovabili, non hanno - credo nulla in contrario a che si affronti la questione seriamente e scientificamente, ma ci chiediamo anche come mai questa improvvisa emergenza cade proprio nel momento in cui vengono limitate le sovvenzioni, i risarcimenti dei danni provocati da questi animali selvatici.
Non voglio aprire qui una polemica e torno sulle scelte della compatibilità ambientale, perché ritengo che questa sia una scelta vincente, prima di tutto sotto il profilo scientifico come lo era quello di salvaguardare e valorizzare le varietà vegetali o animali tradizionali allo scopo di evitare l'omologazione commerciale, la standardizzazione varietale e il cosmopolitismo tanto pericoloso per il futuro di tutti noi e di tutto il settore agroalimentare.
Non si tratta soltanto di tutela dell'ambiente e di recupero delle caratteristiche tradizionali della nostra agricoltura, che sono pure cose importanti, ma che se così fosse sarebbero comunque cose limitate e limitanti; no, con queste iniziative è in gioco la salvaguardia della biodiversità, la tutela di un patrimonio di germoplasma che sarebbe suicida disperdere o peggio ancora perdere definitivamente.
Sono risorse naturali che bisogna cominciare a tutelare e ad usare razionalmente, allo stesso modo delle risorse idriche che occorre utilizzare in maniera attenta evitando gli sprechi, il cattivo utilizzo e le dispersioni in rete.
I programmi irrigui non necessitano, secondo noi, di nuovi faraonici interventi e invasi; hanno bisogno di un programma generale di razionalizzazione che ne migliori l'efficienza recuperando quelle altissime, intollerabili percentuali di spreco che oggi si registrano.
Condividiamo le linee indicate per il futuro dell'ESAP e vorremmo che sotto il profilo dell'assistenza tecnica agli agricoltori, vi fosse un maggior impegno pubblico.
Non crediamo che si possa continuare a lasciare questo settore unicamente o principalmente o prevalentemente nelle mani delle organizzazioni agricole private che, come sappiamo, sono rose, purtroppo dallo stesso tarlo che ha messo in ginocchio la partitocrazia di questo Paese; né l'assistenza che diamo può limitarsi, come spesso accade, ad un sostegno quasi ragionieristico per le richieste di incentivi o finanziamenti.
Oggi la nostra agricoltura ha bisogno di conoscenze, di competenze e di assistenza tecnico-scientifica che sappiano mettere a disposizione tutte le conoscenze che la ricerca agronomica è in grado di dare alla collettività.
Non è pertanto accettabile che, in questi campi, l'assistenza sia lasciata nelle mani degli informatori tecnico-scientifici delle grandi aziende dell'agrochimica.
Sarebbe dunque compito della Regione stringere rapporti di collaborazione più intensi con le Università e con gli Istituti di ricerca penso ad esempio a quelli specializzati del CNR - sia per tradurre in pratica quello che la sperimentazione suggerisce, sia per fornire indirizzi di ricerca strettamente correlati con le esigenze dell'agricoltura piemontese.
Gli Istituti di ricerca e l'Università possono e devono fare ricerca astratta, ma devono anche, e soprattutto, in questi campi tecnici fare ricerche che possano avere concretamente una trasposizione sul terreno pratico dell'economia regionale.
Nella relazione non ho raccolto alcun riferimento alla "vexata quaestio" dei divulgatori agricoli licenziati dai corsi di formazione della CEE; risorse di intelligenze, di capacità e di professionalità che la Regione e l'agricoltura regionale non possono ignorare. Mi auguro che si tratti di una semplice dimenticanza.
Non è invece una dimenticanza e sancisce, a nostro giudizio, un grave errore di programmazione della politica regionale, l'assenza di informazione sulle politiche forestali della Regione che crediamo non possano essere trattate in sedi separate, in una visione a compartimenti stagni che non può che nuocere all'economia agraria piemontese.
Se è vero che la gestione del patrimonio boschivo e forestale sta sempre più assumendo caratteristiche di tipo ambientale, di tutela e di protezione, sarebbe un grave errore dimenticare che la forestazione può e deve anche essere un settore produttivo, per cui se era sbagliato dare all'attività forestale solo valenza produttiva (come è stato fatto nei decenni passati, in particolare sugli input del Ministero nazionale) così sarebbe oggi errato dare un'impostazione solamente conservazionistica a questo comparto.
Quindi non si può prescindere, nella programmazione dell'economia agraria di questa Regione, dal prendere in esame anche il comparto forestale, perché sappiamo quanto il Piemonte abbia necessità di intervenire sui suoi boschi non solo per i rimboschimenti, non solo per la tutela idrogeologica, ma anche per i cosiddetti boschi da frutto (anche se le castagne, le nocciole e le noci non sono frutti) o per quelli da seme indispensabili per i rimboschimenti con specie autoctone della nostra regione.
Un'altra carenza che vogliamo sottolineare (visto che non vi è stato alcun cenno nella relazione dell'Assessore, ci permettiamo quindi di suggerirgliela sperando che, anche in questo caso, si tratti di una dimenticanza o di una leggerezza) è quella relativa ai problemi dell'agricoltura montana e collinare. Non certo all'agricoltura collinare specializzata nelle aree viti-vinicole, ma a quella stessa collina che soffre problemi e pericoli analoghi a quelli della montagna, vale a dire ad esempio l'Alta Langa.
Credo che la nostra Regione, per la percentuale di territorio situato in terreni acclivi, abbia bisogno di specifici interventi straordinari proprio su questi territori. Ma, al di là di queste carenze, l'Assessore Fiumara ci ha fornito una buona fotografia della situazione.
Concludo sottolineando che pur partendo da una buona base conoscitiva la relazione, per quanto ci riguarda (mi sembra che qualche collega lo abbia sottolineato), non ci sembra sia stata in grado di andare oltre ed è quindi carente sotto il profilo della proposizione dei programmi per il futuro. Si limita infatti aD ipotizzare alcune prospettive senza fare, in definitiva, nessuna scelta.
Francamente non crediamo che l'agricoltura piemontese possa accontentarsi di questo, crediamo che nelle campagne non ci si possa rassegnare all'improvvisazione e ai tempi burrascosi della politica, in quanto bisogna già rassegnarsi ai capricci della meteorologia.
Qualche certezza, giustamente, il mondo agricolo la vorrebbe da chi governa le politiche agricole della nostra Regione e, sotto questo profilo la relazione dell'Assessore, purtroppo, non mi è parso che di certezze ne dia alcuna.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossa.



ROSSA Angelo

Signor Presidente e colleghi, l'Assessore Fiumara con la sua ampia relazione ci ha dato da una parte il quadro della situazione dell'agricoltura piemontese e dall'altra un indirizzo con una serie di obiettivi da realizzare. Si augurava pertanto che questa relazione servisse per una riflessione non solo politica, ma anche culturale sullo stato dell'agricoltura e sugli obiettivi da realizzare per recuperare quella parte del Piemonte che è da mettere accanto al mondo industriale.
Una faccia che è rimasta in questa Regione e che in questi anni ha registrato un convulso sviluppo industriale, una faccia che, come quella della luna, è rimasta, in qualche modo, dall'altra parte, non conosciuta ma che tuttavia esiste ed è molto importante.
Sono grato all'Assessore Fiumara per aver fornito questi dati e gli obiettivi su cui lavorare insieme alle associazioni e al mondo dell'agricoltura. Esiste una grande attesa per la realizzazione di questi obiettivi tesi a riqualificare il Piemonte da questo punto di vista e a consentire alla gente che lavora in agricoltura di poter svolgere con dignità il proprio ruolo.
Quindi, un Piemonte che deve modernizzarsi e che deve camminare a pari passo con tutte le sue attività, da quelle agricole a quelle industriali, a quelle dei servizi. Un Piemonte che, dal punto di vista dell'agricoltura va recuperato, perché se è vero che la dinamica dello sviluppo delle società moderne fa registrare un aumento del settore industriale e commerciale a fronte di una riduzione del settore primario dell'agricoltura, nella quale sono occupati in percentuali molto elevate la manodopera e il lavoro a seconda dei livelli di sviluppo in cui si trova una società, è altrettanto vero che i dati che l'Assessore Fiumara ha portato fanno vedere che esiste nello spaccato tra un censimento e l'altro una serie di riduzioni che non corrispondono soltanto ad una riduzione aziendale, perché ci sono stati anche degli accorpamenti, ma c'è una serie di riduzioni in termini di ettari coltivati, di aziende e anche di risorse.
Se si riduce l'area del lavoro è chiaro che si riducono le risorse che producono reddito e gli interventi di sostegno. Questo è un dato che emerge al termine di un processo che naturalmente porta a compimento l'esigenza di equilibrio nei rapporti dei settori tra il primario, il secondario e il terziario e che non può non sollevare delle preoccupazioni. E' chiaro che esiste una contraddizione; da una parte c'è la spinta, quasi la necessità di ridurre la produzione, e dall'altra c'è un mondo che ha sempre più fame.
Questo è il primo problema dei nostri anni, di questa fine secolo, di questa fine millennio, del millennio a cui andiamo incontro. E' il primo problema. Guai a coloro che dovessero ignorarlo! Non vi è una politica né a livello europeo, né a livello mondiale. C'è una forte riduzione della produzione e non c'è la possibilità di offrire prospettive: prospettive che non possono solo basarsi sulla canna da pesca che bisogna dare a colui che non ha il pesce, ma che devono anche considerare come usare il pesce, per poi far seguire anche la canna da pesca. A meno che non sia un'illusione, perché, cari amici, quando il tempo passa e i risultati sono pochi, sorge il dubbio che l'idea di un mondo che riesca a recuperare le distanze e le avvicini sia solo un'illusione. Spero che non sia così. Mi auguro che questo mondo, che va avanti con grande fatica e travaglio, riesca a fare queste cose, ma per il momento non le ha fatte, anzi riesce più facilmente a fare le guerre che a produrre momenti di convergenza nel lavoro, nei rapporti economici.
Dovremmo essere in grado di realizzare non solo a livello europeo, ma a livello degli Stati più sviluppati del mondo, una politica agricola capace di non penalizzare la gente nell'area alla quale appartengono i Paesi più sviluppati. Saremmo produttori eccedentari di una serie di materie, per cui a questo punto bisogna penalizzare, bisogna realizzare il "to set aside" bisogna contenere, abbassare in nome delle capacità delle competizioni, e sarebbe anche il caso di cominciare a vedere chi sono i più bravi di noi.
Può anche darsi che nel mondo ci sia gente più brava di noi, che abbia meno esigenze di noi, ma sono convinto, come ho sempre sostenuto, che, come un operaio italiano sa fare bene il suo mestiere, così pure lo sa fare un altro operaio che vive in un'altra latitudine del mondo. Sostengo che un agricoltore italiano non è da meno di altri.
Abbiamo aderito alla CEE, ormai da decenni stiamo dando il nostro impegno; è necessario che cerchiamo di far sentire in modo più incisivo più significativo che c'è bisogno di un governo e di una capacità che non penalizzi, non scoraggi le volontà, ma le aiuti, e che, quindi, stabilisca nuovi rapporti, anche a costo di portare il pesce prima di poter dare la canna, piuttosto che sacrificare i beni che Madre Natura è in grado di dare e la volontà degli uomini è in grado di far crescere.
Lo so benissimo che non è un problema facile, se penso che l'agricoltura è sempre stata uno dei problemi più complicati e fonte di grandi contrasti in Europa. E' una continua lotta in Europa, in America, in Giappone, nella ex Unione Sovietica quando crollava e andava in crisi.
Tutta la colpa veniva attribuita all'agricoltura o al Ministro incapace.
Quindi, i piani fallivano; probabilmente, di per sé, è un problema complicato, ma occorre vedere, e questo dibattito ce lo deve consentire come Regione Piemonte, che tipo di interventi fare, e mi pare che le cose indicate nella relazione dell'Assessore Fiumara siano abbastanza evidenti.
Certo dovranno essere approfondite.
Se l'Assessore Fiumara avesse dovuto illustrare capitolo per capitolo le 41 pagine che hanno formato la sua relazione, avrebbe dovuto illustrare molto di più tutta la tematica. Però si tratta di vedere quali strumenti quali obiettivi, quali rapporti ci sono con l'industria di trasformazione.
Veniva ricordato dal collega Riba che ci sono molte cose che vengono importate, e le sto notando come le notiamo tutti. Sovente ci capita di andare a pranzo o a cena in un ristorante e di trovarci anche di fronte a proposte di ottimo vino che vengono da altre parti.
Non voglio fare del nazionalismo regionalistico. Mi pare che dal punto di vista delle forme di assistenza, le associazioni hanno dato un grosso contributo, che c'è un rapporto con tutta la parte agroalimentare, che naturalmente è importante.
Abbiamo discusso la questione del CAAT, riprenderemo la discussione.
Che tipo di ruolo avrà questa grande centrale rispetto ai problemi dell'agricoltura? Che ruolo avranno le associazioni degli agricoltori in questa prospettiva? Che tipo di intervento pubblico richiederà? Che finalità ha? Quali incentivi ne verranno all'agricoltura? Credo che siano queste le questioni che devono accompagnare questo sviluppo. Sono lieto di poter parlare di queste questioni perché mi riportano all'età giovanile quando ho potuto dedicare alcuni anni di lavoro nel settore dell'agricoltura. Erano i tempi in cui si andavano costruendo le cantine sociali, lo strumento che consentì ai viticoltori di mettersi al riparo dalle speculazioni, addirittura selvagge, che venivano dal settore intermediario.
Questi sono gli strumenti che abbiamo costruito, seppure da posizioni diverse. Allora le lotte nell'agricoltura erano molto ideologizzate c'erano più richiami di bandiera che non di impegni, però si era messa in piedi una situazione, anche se aveva certi limiti, i limiti di chi diceva: "La proprietà contadina deve essere la base di fondo", o altri che sostenevano che la cooperazione era il tutto e il resto non contava. Forse anche lì si commettevano gli errori che si commettono quando si sta su posizioni contrapposte. Tuttavia ritengo che sia stato dato un contributo che ha consentito al mondo dell'agricoltura di compiere dei passi avanti seppure con grossi contrasti, perché non è lontano il tempo in cui la gente non aveva né la previdenza né l'assistenza. C'è bisogno di fare dei passi in avanti, superando un certo mondo che ha caratterizzato in questi anni l'agricoltura. Da una parte la Federconsorzi, che è entrata in una crisi irreversibile come struttura, così intesa come l'abbiamo conosciuta, e dalla quale però è necessario far risorgere un ruolo di carattere cooperativistico al servizio dell'agricoltura. Dall'altra, la costituzione dell'AIMA come momento che deve intervenire e giocare il suo ruolo, e sulla quale l'Assessore Fiumara fa dipendere molte delle risposte che dovrebbero essere date dicendo: "Attenzione, non facciamo cadere il tutto nella burocratizzazione dei rapporti con l'AIMA, dei rapporti che l'AIMA ha con il mondo dell'agricoltura, perché le cose che abbiamo immaginato allora come strumento di promozione hanno finito anch'esse di diventare uno strumento che pesa sul mondo stesso dell'agricoltura".
Che tipo di cose dobbiamo mettere in campo per aggiornare le nostre leggi come vengono indicate per realizzare nuovi strumenti per andare verso la qualità sempre più raffinata delle produzioni? E' chiaro che se da una parte dovremmo essere in grado di fornire prodotti di qualità come fanno da tante altre parti in Europa o nei Paesi più avanzati o in America dall'altra dovremmo andare a vedere quali sono le difficoltà per rendere più competitiva la nostra capacità produttiva, se ci sono problemi di servizi, di rapporti e che tipo di innovazione mettere in campo. Credo in una capacità di sinergie con le quali ciascuno, facendo il proprio dovere porta il prodotto finale al risultato nel modo migliore e al livello più alto. Perché se un agricoltore comincia a ragionare sul computer, quando c'è il grano da trebbiare lo lascia nel campo perché deve guardare il computer. C'è chi deve trebbiare il grano e quindi lavorare con la mietitrebbia e c'è chi deve lavorare sul computer. L'importante è che sgombriamo il campo da una figura, che andiamo molte volte mitizzando, che deve fare tutto. Se invece siamo in grado di mettere un cervello elettronico nel computer, il quale nella macchina da trebbiare stabilisce il da farsi.., per carità, io non ho nessun problema, però cerchiamo di capirci, di non fare della demagogia! Il dibattito sull'ESAP è durato due o tre anni. Sono d'accordo sul fatto che, dopo la soppressione del Ministero dell'Agricoltura, oggi sia più che mai necessario avere uno strumento operativo capace di saper fare delle cose. Una sperimentazione che è durata un bel po' di tempo, sulla quale pesava anche l'incertezza se mandarla avanti oppure no. Mi sembra che, dopo l'abolizione del Ministero, una specializzazione, uno strumento che sia in stretto rapporto con l'Assessorato e quindi al servizio della politica regionale in agricoltura sia più che mai necessario.
Credo che siano venuti i tempi in cui si debba aprire a tutto campo con le intelligenze, con le culture, con le cose da fare per far sì che nel quadro della nuova Regione tutta la parte dell'agricoltura riprenda vigore e da questo dibattito parta un messaggio di fiducia nella prospettiva che la gente dei campi ha di fronte. Occorre ridare nuove risorse finanziarie trovare nuove forme di intervento per una politica che, senza indebolire il ruolo nazionale del Ministero a livello europeo, qualifichi il ruolo della Regione anche nel settore dell'agricoltura.
Ho visto il documento che ha elaborato il PDS, ho letto alcune frasi sui giornali, in tale documento si auspica l'apertura di un dibattito. Sono pienamente d'accordo che si apra un dibattito che coinvolga, oltre che il problema del rilancio dell'industrializzazione, anche i problemi dell'agricoltura, che in questo documento non sono ancora compresi.
Un documento che è posto all'attenzione delle forze politiche e dei Consiglieri, ai quali spetta di dare delle risposte; la mia risposta, sia come forza politica sia come Consigliere, è che non debbono esistere problemi che facciano velo a quello che è un dibattito che è giusto che si sviluppi. Mi sembra che sia ancora molto generico e che abbia bisogno di ulteriori precisazioni, si invoca un metodo; credo che il metodo sia quello di consentire a ciascuno di capire qual è il percorso che dovrà essere seguito per realizzare una politica nuova, più incisiva e più significativa a livello regionale. Sono per favorire un dibattito aperto, che se non possiamo fare in questo scorcio di fine luglio che precede il periodo feriale, si possa riprendere al mese di settembre, per verificare le posizioni, per costruire delle proposte politiche che vedano tutti impegnati a realizzare quegli obiettivi che sono stati indicati anche nella relazione dell'Assessore Fiumara. C'è un percorso da fare, c'è da capire qual è il metodo che dobbiamo seguire e una volta chiari gli obiettivi, una volta verificate le volontà, una volta viste le convergenze si tratta di tirare quelle conclusioni che, naturalmente, con la voglia di realizzare gli obiettivi che migliorino il Piemonte - in questo caso il Piemonte agricolo - senz'altro non mancheranno di essere tirate.



SEGRE ANNA



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Porcellana.



PORCELLANA Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, reputo questa una giornata molto importante per il mondo agricolo di questa Regione Piemonte che ha subìto in questo ultimo decennio un forte ridimensionamento. A tutt'oggi purtroppo, le prospettive per il futuro non sono sicuramente rosee.
La relazione dell'Assessore Fiumara è di grande interesse, la esamineremo con molta attenzione nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Certamente le ragioni di questa crisi sono molteplici e molte di esse sono da imputarsi ad imposizioni, a contingenze che vanno al di fuori della nostra Regione.
Ad una situazione economica generale, già di per sé compromessa dal momento di difficoltà e di impasse che attraversa il Paese, si è venuta infatti a sommare la nefasta influenza delle linee di indirizzo imposte dalla Comunità Europea e sotto molti punti di vista è proprio la politica comunitaria la maggiore responsabile di questo andamento sfavorevole.
Stiamo attraversando momenti veramente difficili. Ormai anche le colture più redditizie di ieri, per tradizione, stanno segnando il passo. Credo che tutti noi viviamo con i piedi per terra e accanto ai tanti temi di grande interesse che la Regione tratta ogni giorno, ogni settimana, ogni mese si debba porre attenzione alle difficili situazioni del mondo agricolo che in questi ultimi anni ha potuto riscontrare, dal 1988 ad oggi. Non c'è un mercato che dia soddisfazione al mondo agricolo, l'ortofrutta è in grave difficoltà, il settore del florovivaismo ha riscontrato gli ultimi anni dell'invenduto (qualcosa attorno al 50%), il mercato del vino, abbiamo fatto anche delle interrogazioni in questa sede del Consiglio regionale, è in grande difficoltà eccetto alcune oasi di alcune varietà specifiche e quindi la situazione è talmente grave e compromessa che le stesse aziende agricole, anche le più consolidate e floride, si trovano oggi in difficoltà. Io non parlo certamente per campanilismo, ma per un'obiettiva conoscenza di dati in quanto cito realtà che conosco molto bene: la mia famiglia è impegnata da centinaia di anni nel settore sementiero, per cui conosco in quanto importatore ed esportatore del settore sementiero conosco per aver viaggiato e conosciuto in tutte le parti del mondo, come stanno le cose nel nostro settore. Anche parlando del nostro sud Piemonte delle province di Cuneo, Asti e Alessandria credo che le stesse aziende orticole della piana del Tanaro, del braidese, dell'albese dell'alessandrino abbiano mai riscontrato anni terribili come questi ultimi, gli anni 1990/1992 e primi mesi del 1993. Le aziende hanno chiuso il proprio bilancio in rosso: è solo un esempio di una realtà molto complessa.
Ai mercati generali di Milano, di Torino, di Bologna, di Verona, dove confluisce la produzione orticola e ortofrutticola della nostra Regione, si segnalano infatti sempre più massicce presenze straniere di prodotti provenienti dal Terzo Mondo, dal Sud America, da ogni parte del mondo. Gli operatori commerciali della grande distribuzione preferiscono immettere sul mercato questa produzione estera che arriva a prezzi stracciati. D'oltre confine arrivano sui nostri mercati, al momento opportuno, prodotti le cui caratteristiche sono preferite dagli operatori commerciali al prodotto italiano; quando sul mercato di Torino o di Milano c'è un prodotto cercato che va a migliorare leggermente la remunerazione di questi coltivatori e di questi agricoltori, ecco che quando c'è un prezzo decente nel giro di 24 ore la Spagna, l'Olanda, la Danimarca, immettono sui nostri mercati e sulle nostre piazze il prodotto "x" e il prezzo crolla. Questa situazione certamente non è imputabile a carenze professionali dei nostri produttori.
E' risaputo che le aziende agricole spagnole, ad esempio, abbiano usufruito di finanziamenti statali regionali tali da introdurre persino la cosiddetta catena del freddo.
I prodotti orticoli giungono dalla Spagna come se fossero appena stati raccolti: il trasporto avviene con camion muniti di impianto di refrigerazione, ogni azienda ha a disposizione locali frigoriferi, certe colture vengono raffreddate addirittura sul campo. Gli spagnoli hanno attuato un piano politico di grandi aiuti per permettere ai produttori di coltivare prodotti ortofrutticoli, così vale per la Francia, così vale per l'Olanda, così vale per la Danimarca. In Italia molto poco è stato realizzato e pertanto in ambito comunitario ci troviamo di fronte ad una concorrenza sleale.
Lo stesso discorso può valere per altre colture ed altre attività agricole e per citare sempre cifre alle quali ho particolare interesse e che conosco nel dettaglio, mi pare emblematico il caso del prodotto principe astigiano, le uve moscato, materia prima per la provincia di Asti e del suo spumante.
Dieci anni fa un ettaro di vigneto rendeva qualcosa come 15/16 milioni: siamo arrivati nel 1992 e lo stesso vigneto ha reso ai produttori 10 milioni circa. Ogni commento è superfluo. Le denunce delle organizzazioni professionali agricole sono molto chiare: esiste un disegno politico, è stato scritto da molti giornali, appoggiato dalle grandi multinazionali che prima ha svenduto gli interessi commerciali agricoli europei in favore di altri settori ed ora tenta l'affossamento definitivo dell'agricoltura con l'unico fine di sfruttare la manodopera a costo zero dei Paesi terzomondiali. Queste circostanze sono avallate dalla recente riforma della politica agricola comunitaria.
In questi giorni i produttori cerealicoli e gli allevatori hanno terminato di presentare le domande per l'integrazione del loro reddito. E' stato un impegno burocratico non indifferente, che nella nostra Regione ha coinvolto migliaia e migliaia di agricoltori. Tutto questo con quale scopo? E' difficile trovare una strategia che dia senso a questa politica.
L'obiettivo dichiarato è di ridurre i prezzi del 30% in tre anni. Il risultato è che si sta aiutando i produttori ad abbandonare le campagne.
D'altro canto, la stessa politica agricola comunitaria prevede l'introduzione del prepensionamento dei coltivatori diretti.
C'e un dato però che mi ha colpito maggiormente: ho letto una relazione della Federazione del mondo contadino che ha promosso un'indagine statistica sugli effetti della riforma della politica agricola comunitaria sui redditi delle aziende agricole nazionali.
L'indagine realizzata dall'AGRAL (Ricerche Agro-Alimentari) con il coordinamento del prof. Cesaretti, titolare della cattedra di economia dell'industria agroalimentare della Facoltà di Agraria dell'Università di Napoli, ha fornito precise indicazioni sulle aziende ad indirizzo zootecnico e cerealicolo, in riferimento alla realtà regionale divisa per zone altimetriche. Secondo tale indagine svolta, l'azienda media piemontese ubicata in zona di montagna, con il nuovo sistema di intervento subirà un incremento del reddito aziendale pari al 7,5%, mentre le aziende di pianura subiranno un'ulteriore perdita di reddito pari al 10,4%. Questo vuol dire affossare definitivamente la nostra agricoltura! La Regione deve fare il possibile affinché questo non si verifichi.
La strada intrapresa, amico Assessore, con il piano fitopatologico regionale (legge 44), sicuramente è una strada giusta, che però deve essere rafforzata da scelte ed impegni economici ben precisi, come quello di destinare annualmente una quota consistente del fondo per gli interventi nel settore agricolo, interventi da definire anche attraverso la consultazione delle rappresentanze del mondo agricolo.
Ciò a maggior ragione se si considerano le prevedibili consistenti riduzioni statali a destinazione vincolata e l'inconsistenza dei fondi propri regionali, per la più parte impegnati per annualità passive, ormai consolidate, riferibili ad agevolazioni di mutui di miglioramento autorizzati negli anni 1973/1974/1975.
La situazione è grave e richiede un impegno coraggioso. Allo stato attuale delle cose, le variazioni in aumento al bilancio per l'area d'intervento in agricoltura - tabelle 16 e 19 - appaiono assai modeste e risultano riferite a pochi capitoli di spesa, peraltro condivisi per il contenuto degli interventi da finanziare.
Tutto questo non basta. Al fine di assicurare continuità nell'intervento anche il capitolo 11400, relativo alla formazione professionale in agricoltura, dovrà essere finanziato per l'anno 1994.
Dare maggiore attenzione a questo mondo troppo spesso, a torto sottovalutato, è un segnale forte che la Regione può e deve saper dare. Ed è anche un segnale da un punto di vista di prospettiva: l'agricoltura attende con molta impazienza. Lo attendono le province del nord Piemonte lo attendono le province del sud Piemonte.
L'impegno della Regione deve essere grande anche soprattutto in funzione dei nuovi ruoli, che le saranno destinati in questo campo. Da un punto di vista procedurale restano infatti da considerare le nuove competenze regionali in materia di agricoltura e foreste, a seguito del referendum abrogativo del 18 aprile scorso, in base al quale devono essere ridisegnati ruolo e funzioni dei diversi livelli istituzionali chiamati ad elaborare la nuova politica agraria italiana.
La Regione avrà così modo di dare corso a linee di sviluppo e di programmi più vicini alle realtà agricole locali. In questa ottica occorrerà senz'altro adeguare l'impianto delle leggi regionali a sostegno del settore: la L.R. n. 44/86 attuativa del Regolamento CEE n. 797/85 per il miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie, e la L.R. n.
40/87 "Interventi straordinari per il consolidamento e lo sviluppo della cooperazione agricola di valorizzazione", la cui operatività si è esaurita da tempo.
L'adeguamento delle due leggi dovrà farsi tenendo conto del mutato scenario di riferimento che riguarda il sistema agroindustriale nel suo complesso. Non solo si dovrà tenere conto della nuova regolamentazione comunitaria e di mercato per molte produzioni agricole, ma anche delle possibili incentivazioni per l'avvio di una agricoltura ecocompatibile.
Sarà pertanto necessario un diverso sistema di leggi agrarie regionali che senza scoraggiare l'ammodernamento strutturale delle aziende agricole punti sugli aspetti della commercializzazione dei prodotti agroalimentari e sulle sinergie tra agricoltura e commercio, nonché tra agricoltura e industria di trasformazione.
Un altro settore in cui la Regione deve necessariamente intervenire è quello della progressiva "sburocratizzazione" delle procedure. Mi soffermo un momento su questo tema perché a tutt'oggi infatti gli agricoltori subiscono l'eccessivo peso di una burocratizzazione sempre più crescente.
Al riguardo sono significativi i riferimenti alle disposizioni in materia di servizi di sviluppo, di programmi fitopatologici annuali e di funzionamento e sviluppo delle associazioni dei produttori. Occorre avviare un processo di deregolamentazione delle disposizioni vigenti, processo oltremodo necessario al fine di ridurre gli adempimenti procedurali ed i passaggi burocratici.
I produttori mi hanno segnalato più volte, nel corso dei miei incontri periferici, che hanno difficoltà nel ricevere i contributi previsti per il miglioramento aziendale delle loro aziende dopo che, attraverso le associazioni di categoria, erano stati sollecitati chiarimenti a riguardo dei requisiti per accedere al finanziamento in data 28 maggio 1993. E' stato loro risposto che dovevano essere compresi negli elenchi delle aziende partecipanti ai programmi di lotta integrata. Questi elenchi, per sono stati inviati in Regione in data posteriore a quella di presentazione delle domande di miglioramento.
Questo è solo un esempio, non certamente per amore di polemica, che sottolinea come sia necessario un rapporto di complementarietà e di integrazione per il bene di questa grande famiglia, che è il mondo degli agricoltori e dei coltivatori.
Credo che la Regione debba anche fare qualcosa come avviene in Germania, in Giappone, negli Stati Uniti: aiutare la ricerca. Lo ha ribadito nel suo intervento il Consigliere Riba e mi associo con grande cordialità a questo appello. Alcune Regioni della Germania (Assia Brandeburgo, Baden-Wurttemberg) intervengono fortemente sull'aspetto della ricerca. In Italia invece mi pare che grandi impegni in questo settore da parte delle varie Regioni del nostro Paese e neanche in Piemonte non ci siano. La stessa esperienza di collaborazione in atto tra AIMA ed organizzazioni agricole a livello nazionale, per quanto attiene alle domande di compensazione al reddito, deve insegnarci che nella fase gestionale possono e devono trovarsi opportuni punti di incontro.
D'altra parte anche nella nostra realtà regionale sono consolidate da tempo positive esperienze di collaborazione. Basti pensare all'assistenza agli utenti di macchine agricole, fatta prevalentemente attraverso le organizzazioni professionali regionali, e ciò proprio nell'intento di alleggerire la struttura pubblica di incombenze che per l'entità oggi non sarebbe in grado di fronteggiare. Così i servizi di sviluppo agricolo intesi come momento di autogestione dei produttori agricoli, servizi per i quali la Regione approva annualmente i programmi ne controlla l'attività ed eroga il contributo pubblico.
Questa è la strada da battere per il futuro, Assessore Fiumara, con un Assessorato nuovo per competenze e struttura, aperto alle problematiche dell'agroindustria, della commercializzazione dei nostri prodotti agricoli.
Il riordino del livello centrale, la riforma della realtà regionale, il possibile decentramento agli enti locali - chi non meglio? le Amministrazioni provinciali e i suoi Assessorati rappresentano lo scenario istituzionale entro cui collocare la nuova politica agricola, che discende dalle recenti decisioni comunitarie.
Stiamo attraversando momenti molto brutti; lo ha detto l'Assessore, lo hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto. Ma la gente delle nostre campagne, Assessore Fiumara e colleghi, è abituata a lottare da decenni, da secoli. L'agricoltura piemontese ha la forza e la capacità per farcela: questa lotta continuerà. Alla capacità, alla fantasia di noi amministratori il compito di darle una grossa mano. Grazie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTABONE



PRESIDENTE

La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,35)



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