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Dettaglio seduta n.238 del 22/06/93 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 6) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Cattaneo, Grosso e Sartoris.


Argomento:

Nomine


PRESIDENTE

In merito al punto 35) all'o.d.g. si distribuiscano le schede per le seguenti nomine.


Argomento: Nomine

Consiglio Regionale di Sanità ed Assistenza (art. 3, L.R. n. 30/84 mod dall'art. 1, L.R. n. 20/85 - Nomina di 3 degli 8 esperti previsti ad integrazione dell'organo.


PRESIDENTE

Nomina di 2 dei 6 esperti da nominarsi (ad integrazione dei 27 previsti).



PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletti i signori Manlio Pizzetti e Donato Triolo Regis.



PRESIDENTE

Nomina di 1 membro esperto scelto sulla base di una rosa di nominativi indicata dalla Caritas.



PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Dichiaro non valida la votazione non avendo alcuno dei candidati riportato voti sufficienti.



PRESIDENTE

Nomina di 1 membro esperto scelto sulla base di una rosa di nominativi indicata dall'AVIS - AVO - Gruppo Abele.



PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletto il signor Valentino Prati.


Argomento: Nomine

Commissione Tecnica per l'Informazione (art. 11, L.R. n. 52/90) Sostituzione del signor Giuseppe Richeri membro esperto in materia giuridica (dimissionario).


PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletto il signor Claudio Paolazzo.


Argomento: Nomine

Interporto di Torino SITO S.P.A. (art. 3, L.R. n. 8/82). Collegio sindacale - Nomina di un Sindaco effettivo.


PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletto il signor Aurelio Bertoldo.


Argomento: Nomine

Commissione regionale per il lavoro a domicilio (art. 6, L.R. n. 877/73) Nomina di 1 dei 3 rappresentanti.


PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletto il signor Elio Lodi.


Argomento: Nomine

Cooperativa artigiana di garanzia - Provincia di Torino s.r.l. (art. 12 L.R. n. 17/85). Consiglio di amministrazione. Sostituzione del signor Ernesto Laguzzi (dimissionario).


PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletto il signor Sergio Bracco.


Argomento: Nomine

Istituto per le piante di legno e l'ambiente della Regione Piemonte IPLA S.P.A. (art. 8, L.R. n. 12/79). Consiglio di amministrazione Nomina di un rappresentante (integrazione).


PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletto il signor Francesco De Pace.


Argomento: Nomine

- Centro Studi e Ricerche storiche sull'architettura militare del Piemonte con sede nel Forte di Exilles (art. 4, L.R. n. 48/92). Consiglio di amministrazione - Nomina di 4 membri.


PRESIDENTE

E' stato svolto lo scrutinio delle schede. Proclamo eletti i signori Renato Montabone, Sergio Marchini, Vera Comoli Mandracci ed Alberto Reale (quest'ultimo designato ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 8 della L.R.
n. 10/85 e dell'art. 72 del Regolamento).


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni della Giunta regionale sulla situazione occupazionale in Piemonte (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito sulle comunicazioni della Giunta regionale in ordine alla situazione occupazionale in Piemonte, di cui al punto 10) all'o.d.g.
Prego i Consiglieri di stare nei tempi previsti dal Regolamento. Se qualcuno prevede di fare un intervento più lungo mi preavvisi in modo da non subire spiacevoli interruzioni.
E' iscritto a parlare il Consigliere Giuliano; ne ha facoltà.



GIULIANO Valter

Signor Presidente, colleghe e colleghi Consiglieri, mi sembra che l'aula non sia molto più affollata di stamane, anche se non ci sono riunioni in corso: tant'è.
Innanzitutto tengo a precisare che non ci riteniamo affatto soddisfatti della risposta all'interrogazione n. 1620 sull'Istituto Donegani di Novara.
La situazione di quell'Istituto è gravissima e coinvolge l'intera purtroppo scarsa, politica della ricerca attuata in Piemonte. Sul tema riterremmo necessaria non soltanto una risposta in specifico, ma addirittura un dibattito, una comunicazione particolare dell'Assessore: nel momento in cui proponiamo il Piemonte come possibile polo tecnologico e scientifico europeo non possiamo prescindere dall'impegno sul mantenimento sul potenziamento di strutture di così grande prestigio come quella oggetto della nostra interrogazione.
Venendo invece alle questioni più generali, siamo fortemente preoccupati non soltanto per la grave crisi economica ed occupazionale, ma anche per le risposte che ad essa si intendono dare, che ripercorrono strade antiche, sbagliate e ormai superate. Risposte che, come sempre rientrano in quella concezione del modello di sviluppo che non ammette limiti alla crescita, all'espansione delle produzioni e dei mercati e che identifica necessariamente la stagnazione con la recessione, l'arresto della crescita con la crisi, continuando ad ignorare i limiti dello spazio e delle risorse del nostro pianeta.
Noi, invece, pensiamo che proprio da questi ultimi elementi occorra partire per interventi radicali che non inseguano soltanto il contingente di una crisi che probabilmente ne prepara altre, destinate ad essere sempre più gravi. L'attuale crisi, infatti, appare del tutto fisiologica, così come, per rimanere in un settore produttivo primario e trainante della nostra Regione, la contrazione della produzione nel settore automobilistico. La crisi che il mondo industrializzato nella sua globalità sta vivendo deve per contro essere l'occasione per un ripensamento radicale del nostro atteggiamento e per far sì che ci si possa incamminare verso un modello di sviluppo capace di coniugare le attività economiche e i comportamenti umani con lo stato dell'ambiente, con la sua salvaguardia con l'uso razionale delle risorse disponibili. Una crisi che deve dare alla classe politica, amministrativa ed imprenditoriale, lo spunto per cercare nuove risposte a domande antiche sul come produrre e per chi, per ripensare all'impresa, alla produzione, alla circolazione delle merci, alle stesse merci, agli orari di vita e di lavoro, al ruolo del lavoro. Nel contempo attenzione ed impegno scientifico vanno spesi anche sul terreno della ricerca tecnologica, affinché l'innovazione porti con sè modi e forme della produzione che non contribuiscano ulteriormente alla distruzione delle risorse e a nuovi inquinamenti.
A questo proposito non dobbiamo dimenticare, infatti, che il modello di sviluppo industriale ha dilapidato in poco più di un secolo tante risorse quante ne sono state consumate in tutti gli altri periodi storici della presenza dell'umanità sul nostro pianeta.
I piani di riconversione industriale devono porre le premesse, in una possibile transizione, per un modo nuovo di produrre e per un tipo di sviluppo che sia ecosostenibile. La crisi può dunque trasformarsi in opportunità, ma occorre un grande sforzo - e non soltanto di fantasia.
La risposta non può essere certo quella del Governo Amato, replicata ci pare - a livello regionale. Affrontare la crisi economica ed occupazionale significa dare risposte incentrate sulla politica delle grandi opere pubbliche che, nel recente passato - ricordiamo solo gli ultimi episodi, dai Mondiali alle Colombiadi ha prodotto guasti ambientali enormi e ha dato il "la" a meccanismi perversi messi in luce dall'inchiesta di "mani pulite".
Le opere infrastrutturali pubbliche da tempo costituiscono il principale attentato al territorio della penisola, ne distruggono le caratteristiche ambientali e paesaggistiche indispensabili ad un turismo qualificato, e sono quasi sempre responsabili anche di un aggravio dei carichi inquinanti e di conseguenza del peggioramento generalizzato della qualità della vita.
Rispetto ad una crisi di carattere strutturale non ci possono essere risposte congiunturali; occorre entrare nell'ottica secondo cui la contrazione dei livelli occupazionali non è solo legata al rallentamento dei tassi di crescita, ma è anche il prodotto - come prima ricordavo della crisi di un modello basato sulla crescita indiscriminata. E' necessario impegnarsi su grandi progetti che riguardano la produzione industriale l'agricoltura, gli assetti urbani, così come la salvaguardia della salute dell'ambiente e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico culturale del nostro Paese nonché della nostra Regione.
Gli ambientalisti hanno sottolineato alcuni punti prioritari di intervento capaci di trasformare progressivamente il sistema produttivo che andrà accompagnato da intelligenti politiche di incentivo e di disincentivo e dalla messa in atto di strumenti di solidarietà sociale in maniera che gli oneri del cambiamento siano distribuiti fra tutti.
I settori di intervento che necessitano di nuovi indirizzi produttivi sono, da una prima analisi, quelli legati ad esempio al settore energetico ed elettromeccanico, con riguardo specifico alle tecnologie di risparmio energetico e di utilizzazione di energie pulite rinnovabili nonché l'ampio comparto della chimica, con il risanamento delle molte aree a rischio, il settore manifatturiero e della cantieristica, con l'avvio di politiche per la promozione dei veicoli elettrici, ferroviari, cabotaggio costiero. E poi ancora, il settore impiantistico, con tutta la problematica del trattamento dei rifiuti; l'agricoltura, con nuove colture produttive capaci di vivere in armonia con l'ambiente senza dilapidare la risorsa suolo e la fertilità del suolo, la forestazione, l'agriturismo; l'edilizia, con il risanamento innanzitutto e il restauro e il recupero dei centri urbani, con una manutenzione che tenga conto delle nuove innovazioni tecnologiche nei materiali per il risparmio energetico e per la tutela dell'ambiente di vita in cui si vive, e la viabilità; il turismo - come dicevo - con la valorizzazione del patrimonio storico culturale ed artistico agrituristico.
Sul piano della fiscalità occorrerà procedere innanzitutto con l'aumento dell'imposizione fiscale su alcuni consumi per ridurne l'espansione e, per quanto riguarda l'impresa, con l'alleggerimento del costo del lavoro, spostando nel contempo gli oneri sociali nella direzione del costo della risorsa ambientale ed energia al fine di favorire produzioni pulite e risparmio energetico.
Nel concreto dei suggerimenti puntuali, le analisi degli ambientalisti hanno condotto alla redazione, negli scorsi mesi, di un contropiano per l'occupazione che prevede di creare circa 350.000 nuovi posti di lavoro intervenendo nella riorganizzazione della città, nella manutenzione del territorio, in agricoltura e nel settore del risparmio energetico.
Voglio sottolineare ai colleghi come le tecnologie per il risparmio energetico e l'uso delle risorse rinnovabili fanno sì che questo settore sia destinato ad una grande espansione, visti anche gli obiettivi firmati e sottoscritti dai Governi per una progressiva riduzione delle emissioni dei cosiddetti "gas-serra". Basti pensare che la Germania tra il 1982 e il 1988 ha incrementato le esportazioni di prodotti legati al risparmio energetico al ritmo annuo del 4,6%, ben superiore a tutti gli altri comparti dell'economia tedesca. L'Italia continua ad ignorare il problema: la Finanziaria del '93 ha addirittura cancellato ogni previsione di spesa per le leggi sul risparmio energetico.
Un'ultima nota di preoccupazione relativamente a quanto si sta sempre più spesso verificando e cioè il passaggio dell'impresa ad un ruolo improprio che nella ricerca della massimizzazione dei profitti sembra aver messo da parte definitivamente il tema dell'utilità sociale del lavoro. Un contesto che lascia spazio a veri e propri atti che non esito a definire di pirateria, in cui la speculazione finanziaria si sostituisce all'investimento d'impresa. Sono stato ieri testimone, per quel poco di solidarietà che la mia persona in rappresentanza del Gruppo regionale dei Verdi ha potuto portare, di un episodio che non sembra nel nostro tessuto economico piemontese e cittadino affatto isolato. Sono stato ad un incontro con i lavoratori di una piccola impresa, la BRM di Via Orbetello, che produce attrezzature e macchine speciali, un'azienda sana con 3 miliardi e mezzo di fatturato, ventuno lavoratori di cui, oggi, una decina in cassa integrazione. Ebbene, per difficoltà del titolare questa azienda, ripeto con commesse e quindi con attività lavorativa in corso, è stata rilevata da una finanziaria con capitale sociale di pochi milioni che ha poi cambiato più volte nome e che ha scientificamente proceduto a smantellare gli impianti. Oggi le attrezzature di precisione giacciono inspiegabilmente alle intemperie nel cortile dell'azienda, mentre i lavoratori sono in agitazione non solo per le nubi che si addensano sul loro futuro, ma anche perché da mesi non percepiscono il salario e non hanno nessuna assicurazione rispetto alla cassa integrazione, per la quale debbono avere risposta entro pochi giorni.
E' un episodio che sembra piccolo, marginale rispetto alla crisi economica più generale e ad aziende di impatto ben maggiore, ma altrettanto sicuramente rispetto a questo episodio, rispetto a ciò che denuncia questo episodio, credo che non si possa continuare a rimanere a guardare.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Goglio.



GOGLIO Giuseppe

Presidente e colleghi, che da una crisi produttiva in particolare ed economica in generale, ossia italiana ed internazionale, non possa che derivarne la contrazione di posti di lavoro appare conseguenza più che ovvia. Ce lo aspettavamo; probabilmente il fenomeno si acuirà a breve tempo in tutte le zone particolarmente industrializzate, perché queste sono le prime, per altrettanti ovvi motivi, a subire i contraccolpi della crisi. E non bastano le oscillazioni delle monete forti, come franco e dollaro, a risolvere i mille problemi delle nostre imprese, e nemmeno l'abbassamento di un mezzo punto del tasso di sconto può invertire a tempi brevi le tendenze in atto.
Inutile nasconderci che ad aggiungere ulteriori elementi di allarme e di stasi a quelli noti che determinano l'attuale situazione critica è il blocco di molti progetti già avviati e di tanti in fase di avvio specialmente nel settore dei lavori pubblici. Blocco dovuto all'operazione "mani pulite" i cui riflessi non sono ancora stati sufficientemente valutati. Se da un lato l'operazione ha i suoi indubbi risvolti positivi in quanto tesi a moralizzare il sistema e ad imporre nuove regole nelle relazioni tra pubblico e privato, non è difficile intuire che fino a quando queste regole non usciranno dall'attuale stato di confusione e fino a quando non saranno chiarite le responsabilità di centinaia di piccole e grandi imprese, i cantieri già operanti possono essere chiusi ed è sicuro che tanti altri non verranno aperti.
Allargando l'analisi dello scenario occupazionale, mi sembra doveroso sottolineare almeno alcuni punti. Primo: il costo del lavoro a tutti i livelli è diventato eccessivamente oneroso per le imprese, tanto da indurle ad attivare produzioni lontano dal Piemonte e dall'Italia; si veda la recentissima decisione del Gruppo Miroglio di trasferire in Francia parte delle proprie attività tessili. Se le cose non cambieranno, il fenomeno migratorio è destinato a crescere, perché l'obiettivo di ogni imprenditore serio è di tenere in piedi le proprie attività e non di chiudere le fabbriche.
Secondo, e mi riferisco alla situazione piemontese e torinese. Le aziende che vogliono sopravvivere si stanno diversificando ed aggiornando ciò richiede occupazione più qualificata e, di conseguenza, gli occupati a basso livello di qualificazione saranno sempre più spesso destinati ad essere espulsi dai cicli produttivi. Badate bene che ripeto cose già dette in questa assemblea, dove mi sembra - ma non voglio accusare nessuno - che si ripetano meccanicamente statistiche a tutti note, idee piuttosto superate e proposte che tengono conto di vecchie logiche.
Il problema vero è capire come si possano superare schemi tradizionali all'interno di una situazione che si sta modificando, ma che nello stesso tempo si trova imbrigliata da vecchi e nuovi lacci. Mi sembra di poter affermare che il Piemonte e Torino hanno risorse umane e produttive ed intelligenze sufficienti per superare questa congiuntura sfavorevole, ma anche che molte cose congiurano a dividere anziché unificare le forze.
Non molti giorni fa la Fondazione Agnelli ha presentato sotto il titolo "Catalogo dei progetti per Torino" una ricerca in cui enumera le occasioni favorevoli, i progetti in atto, avviati o in attesa di decollo e le ipotesi di fattibilità. Ebbene, tra l'anno in corso e il 2003 indica un'ottantina di occasioni da non perdere, perché realizzabili in questo breve lasso di dieci anni. Sono occasioni di nuovo lavoro, di nuovi impieghi, per un investimento stimabile intorno ai 31.000 miliardi; e di questi progetti due terzi insistono sull'area extraurbana, ossia sul territorio regionale.
Si va dalle grandi infrastrutture di collegamento con l'Europa all'Alta Velocità trasversale da ovest a est, con il primo collegamento Torino Milano. Comprendono i progetti del Traforo del Mercantour e del Cenisio, il Piano regolatore di Torino, la metropolitana. Si va dalle trasformazioni dell'area urbana ai progetti di ricerca scientifica, ai progetti sulla qualità ambientale, allo Space Center Columbus, che occuperà alcune centinaia di ingegneri specialistici, ingegneri che con tutta probabilità dovremo importare.
E' chiaro che le risorse finanziarie non potranno essere poste in mobilità dallo Stato, ma è altrettanto chiaro che, per uscire da questa impasse, pubblico e privato possono trovare un punto di convergenza per attivare un volano da 30.000 miliardi. Tutto ciò richiederà tempo, ma soprattutto impegno e voglia di fare. Ciò comporterà pure sacrifici, e quando dico sacrifici intendo sacrifici di tutti, ad un prezzo molto alto per recuperare quello status di credibilità all'interno della competizione con aree già forti, aree affini insistenti al di là delle Alpi.
Mi sembra che da quando qualcuno ebbe a dire che "la festa era finita" ad oggi non sia cambiato molto. Nei discorsi alle varie tavole rotonde e anche dentro quest'aula ci si è limitati a verificare l'escalation di un fenomeno; eppure le basi di partenza sono buone. Occorre che un po' tutti cambino mentalità ed imprenditori, sindacati, amministratori trasferiscano in uno sforzo comune il patrimonio di esperienze che hanno accumulato negli anni in cui le cose andavano meglio.
Se continuano a permanere egoismi; se si vogliono difendere ad oltranza frontiere come quelle della pressione fiscale, che proprio in questi giorni subisce un ulteriore giro di vite; se non si interviene a modificare i meccanismi che formano la busta paga e il sistema previdenziale; se non si incentivano le aziende, specialmente piccole e medie, con agevolazioni creditizie vere, che non siano di tipo assistenziale, credo proprio che rischiamo di non andare molto lontano.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Buzio.



BUZIO Alberto

Signor Presidente, colleghi, l'intervento che farò riprende alcuni punti di una mozione presentata dal nostro Gruppo e che verrà posta in votazione.
E' indubbio: il Piemonte attraversa una fase economica molto difficile.
Da un paio d'anni il PIL regionale cresce a tassi vicini allo zero; la disoccupazione aumenta; l'industria perde posti di lavoro non compensati dall'aumento degli occupati in altri settori; anche se nel terziario, come diceva prima l'Assessore Cantore, si registra un lieve aumento, questo non compensa certamente il calo generale. Cresce il ricorso alla CIG; si ingrossano le liste dei lavoratori posti in mobilità. La crisi è particolarmente forte nell'area torinese, anche a causa della sua struttura industriale particolarmente esposta alla caduta della domanda interna ed internazionale.
Per tornare ad essere un'area vitale il Piemonte e in particolare la Provincia di Torino devono avviare al più presto processi di reindustrializzazione e favorire la crescita e l'ammodernamento del sistema produttivo sia industriale che terziario. Il raggiungimento di questo obiettivo richiede un grosso sforzo di investimento da parte delle imprese nonché l'impiego di risorse pubbliche, ingenti sul piano quantitativo ed importanti sul piano qualitativo.
Condizioni al momento entrambe difficili da soddisfare a causa della crisi finanziaria in cui versa il sistema economico ed anche per la limitatezza dei fondi di cui dispongono gli enti pubblici, dovuta soprattutto all'enorme deficit pubblico. Per superare questi vincoli, una delle vie più importanti e significative - suggerita anche dall'Assessore ma che io vorrei riprendere - è accedere ai Fondi strutturali della CEE destinati al finanziamento dei progetti di reindustrializzazione in aree colpite da declino industriale (Regolamento n. 2052/88).
La CEE procederà quanto prima - lo rilevava l'Assessore ad una nuova individuazione di tali aree che, a partire dal 1994 e fino al 1999 beneficeranno dei nuovi aiuti comunitari stanziati nell'ambito della riforma del predetto Regolamento. Negli ultimi quattro anni la Provincia di Torino, escluso il capoluogo e il Verbano Cusio Ossola, hanno già potuto accedere a queste provvidenze per complessivi 150 miliardi, destinati all'attuazione di programmi di intervento.
Tuttavia, al momento, il Piemonte e la maggior parte delle Regioni italiane rischiano di essere escluse dai soggetti beneficiari dei nuovi fondi a causa della sottostima dei dati della disoccupazione italiana, non essendo valutata in alcun modo l'incidenza della CIG che, come ben si sa spesso è l'inizio di un processo che porta, anche in tempi brevi, alla perdita del posto di lavoro; comunque, al di là del fatto che questo istituto giuridico non venga contemplato a livello CEE, è certo che seppure non si possa considerare il lavoratore in CIG un disoccupato a tutti gli effetti, per la situazione di precarietà in cui è posto statisticamente non si può certamente considerarlo un lavoratore a tutti gli effetti.
Questa eventualità va contrastata con forza, anche in considerazione del fatto che numerose leggi nazionali - lo ha sottolineato anche la relazione dell'Assessore - subordinano l'erogazione di incentivi all'inclusione delle zone beneficiarie fra le aree di declino industriale della CEE (per esempio, i contributi previsti per il fondo occupazione finanziamenti destinati alla reindustrializzazione, incentivi al Centro Nord).
Si tratta nel complesso di altri 500 miliardi che il Piemonte rischia di non poter utilizzare per sottostima della disoccupazione. Questo fatto penalizzerebbe particolarmente la Provincia di Torino, che presenta un tasso di disoccupazione, corretto con la CIG, che andrebbe oltre la soglia CEE (9,2 contro 8,7).
Ciò vale anche per il Verbano Cusio Ossola, se oltre al tasso di disoccupazione corretto, che è già oltre l'8%, si somma la particolare situazione del frontalierato la cui diminuzione occupazionale è significativa (più del 10% sono i lavoratori - circa 1.000 su 7.000 che hanno subìto nel 1991/1993 tale congiuntura sfavorevole).
Teniamo conto che il declino industriale delle aree interessate era quasi del 15% nella Provincia di Torino e di oltre il 30% nel VCO nel periodo 1981/1991.
Ora la Provincia di Torino, per quanto concerne il tasso di disoccupazione, è certamente al primo posto, alla pari del VCO, se si considera il fenomeno del frontalierato, anche se abbiamo notato che la crescita della disoccupazione in tutto il Piemonte vede punti di calo notevole soprattutto nelle Province di Asti ed Alessandria, seguite non a molta distanza anche da Cuneo e Vercelli (cito i dati relativi alla media triennio 1990/1992). Il monte-ore di incidenza della CIG in Provincia di Torino è assai rilevante; tre quarti delle ore CIG usufruite in Piemonte sono a carico delle imprese operanti in Provincia di Torino. Il Piemonte in Italia, nell'utilizzo della CIG è secondo solo alla Lombardia (con metà degli addetti); nella CIG l'incremento nel periodo 1991/1992 è del 32,4%.
La Provincia di Novara (comprensiva della Provincia del VCO), secondo l'Osservatorio del mercato del lavoro, è seconda solo a Torino nel computo del monte ore delle aree colpite dalla cassa integrazione.
Ora, l'Assessore Cerchio, sia a Domodossola in un convegno sullo stato dell'occupazione, presente l'on. Borghini della task force prevista dal Governo, sia in dichiarazioni apparse sulla stampa piemontese, sia in un recente convegno del CIE, ha assicurato il proprio impegno ad intervenire nei confronti della CEE e del Governo centrale affinché il Piemonte non venga privato delle risorse indispensabili alla sua reindustrializzazione e sviluppo. Ma si è spinto ancora più in là; non solo ha ribadito la necessità della riproposizione delle aree tradizionali della Provincia di Torino e del VCO, ma ha ritenuto che la stessa venisse estesa, così come richiesto dalle organizzazioni sindacali e dai nostri parlamentari nazionali ed europei, all'intero capoluogo piemontese.
In sostanza, oltre alla riconferma della Provincia di Torino e del VCO per garantire continuità e saldatura degli interventi attualmente in corso si pensa anche ad interventi in altre aree (Asti, Valle Scrivia, Ovest Ticino, Vercelli, Valsesia e Cuneo) per interventi in settori di crisi.
Sarà opportuno conoscere a breve i risultati di tali iniziative, che l'Assessore ha comunque affermato di voler assumere nei confronti della CEE, al fine anche di porre in discussione la questione dei parametri usati per definire il tasso di disoccupazione e per raggiungere i due obiettivi che abbiamo già citato: intervenire presso i Ministeri competenti e la Comunità Europea per chiedere l'inserimento dell'intera Provincia di Torino fra le aree che potranno beneficiare dei fondi comunitari; consentire contemporaneamente ad altre subaree piemontesi colpite da declino industriale di poter accedere ai fondi comunitari.
Bisognerà verificare in sede CEE se si riuscirà a modificare questi parametri. Credo si avrà più voce in capitolo quanto più si dimostrerà di aver bene utilizzato i fondi finora erogati dalla CEE, se i progetti finanziati si saranno rivelati validi, se si può già tentare qualche consuntivo agli effetti di un riscontro occupazionale, obiettivo di fondo di un impegno congiunto di cofinanziamento CEE - Stato - Regioni ed intervento privato.
Sull'efficacia di quanto finora attivato, almeno per quanto riguarda l'area del VCO, ho qualche dubbio circa l'efficacia degli interventi. In molti casi i progetti sono stati precipitosi, anche se si è sottolineata l'importanza del Parco tecnologico di Itaca. Credo che questo abbia avuto un rilievo inferiore, ben al di sotto di come veniva caratterizzata questa società che doveva attivarsi per l'integrazione telematica del VCO. Mi sembra che si sia ridotto di molto l'obiettivo che in partenza questa società doveva avere, per essere un supporto all'impresa e all'economia del VCO. Adesso l'intervento di Itaca diventerebbe molto parziale; tra l'altro direi che un Parco tecnologico andrebbe visto all'interno di Itaca e non viceversa.
Spesso abbiamo denunciato la grave carenza di informazione da parte di molti operatori, dei soggetti che sono i potenziali beneficiari. Tra l'altro è importante sapere come vengono prodotti questi interventi, per far sì che gli obiettivi che abbiamo individuato anche nella nostra mozione, l'innovazione introdotta e la qualità del prodotto siano quelli raggiunti, siano gli obiettivi veri che creano l'indotto occupazionale che vogliamo costruire. Molti imprenditori locali hanno sottolineato la notevole mancanza di informazione circa la possibilità di accesso ai fondi.
Questo mi fa pensare che siamo ancora ad una vecchia logica; informare vuol dire conoscere, selezionare le proposte.
Abbiamo votato un ordine del giorno in Consiglio che impegnava la Giunta da un lato a confrontarsi con le istituzioni locali, confronto peraltro sollecitato costantemente dagli enti locali riuniti anche nell'assemblea costituente della Provincia del VCO, e dall'altro a sottoporre alla Commissione a valutazione trimestrale le attività di realizzazione del programma e dei progetti ex art. 2 del Regolamento CEE.
Per conseguire gli obiettivi che ho citato prima (inserire tutta la Provincia di Torino, capoluogo compreso, allargare l'accesso ai fondi comunitari ad altre aree piemontesi) si rende necessaria la riconsiderazione dei tassi di disoccupazione Eurostat per tener conto della CIG e, per quanto riguarda le zone di frontiera, anche del frontalierato.
Abbiamo considerato anche la piena attuazione dell'art. 9 del Regolamento n. 2052 per consentire l'inclusione fra le zone beneficiarie anche delle aree colpite da crisi nei settori dominanti.
Per quanto riguarda la qualificazione della forza lavoro si renderebbe indispensabile attivare l'obiettivo 4 del nuovo Regolamento CEE, per consentire al Piemonte di accedere ai benefici comunitari diretti ad agevolare attraverso la formazione e l'adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali e all'evoluzione dei sistemi di produzione.
Nel merito, ogni intervento attivato con questi fondi va inquadrato in un processo/progetto generale, in una politica di programmazione complessiva di un territorio (altrimenti l'episodicità, la frammentarietà e la scarsa efficacia degli interventi è conseguenza fatale), e qui ritorna il limite dell'attività di questa Giunta.
Il mio intervento riassume solo in parte la mozione presentata da me e da altri compagni sulla situazione economica occupazionale del VCO, ma so che ci sono altre mozioni presentate da altri Consiglieri per quanto riguarda l'area Alessandria-Asti o l'area del Canavese presentata dal Consigliere Picchioni.
In questa mozione si chiedeva, anche in relazione ad aziende di livello nazionale (o sovranazionale), quale rapporto pensa di instaurare l'attuale Giunta con il Governo centrale in relazione alle conseguenze di azioni industriali di grandi aziende a partecipazione statale o pubbliche, quali gli sbocchi delle situazioni di crisi per aziende che si muovono sulla scacchiera nazionale ed internazionale. Dalle comunicazioni al Consiglio dovrebbe quindi emergere l'azione della Giunta, che dovrebbe essere costantemente aggiornata.
Chiedo scusa se rubo ancora qualche minuto, ma non si può non riprendere la questione generale della politica e della programmazione di piano, alla quale mi sembra alcuni Consiglieri abbiano già fatto riferimento. Non si possono pensare interventi dell'ordine di centinaia di miliardi senza un Piano dei trasporti - ancora di là da venire: mai annunciato, mai discusso - un Piano per il turismo, uno dei progetti obiettivo dei fondi CEE, un Piano generale, e non interventi che hanno una loro dignità, ma che comunque appaiono sempre episodici. E' sempre più evidente infatti come il confronto più che tra imprese tenda a diventare tra Regioni economiche; basti pensare alla nostra economia montana, e quindi alla necessità di confrontarsi con i Cantoni svizzeri, con la Regione Rhone-Alpes e anche tra le stesse aree metropolitane di Torino e Milano.
Occorre far sì che questi interventi abbiano il massimo di sinergia nei vari comparti economici; occorre massimizzare le condizioni di insediamento economico messe a disposizione di aree attrezzate a basso sviluppo, la rete informatica telematica, l'accessibilità dei luoghi, le condizioni ambientali (tra l'altro mi sembra che nelle direttive CEE siano condizioni fondamentali anche per quanto riguarda la possibilità di attingere fondi) occorre attivare una politica di questi interventi industriali ed una politica di pianificazione territoriale che dia indirizzi agli enti locali.
Non si può nemmeno non pensare ad un raccordo con la politica di bilancio e con lo stato della legislazione in materia di interventi. E' stato fatto un riferimento alla legislazione regionale a sostegno della piccola e media imprenditorialità, legislazione in materia di politica del lavoro. Noi abbiamo sempre denunciato la grande limitatezza dei fondi di bilancio in questi settori di intervento. Sulla base della risultanza del progetto Arianna posso dire che per quanto riguarda le politiche del lavoro (per adesso il progetto si è fermato alle politiche del lavoro), pur rispetto alla modestia di risorse stanziate, non fa sempre riscontro la capacità di spendere rapidamente i fondi stanziati.
Un controllo di gestione dovrebbe però essere allargato anche ad altri interventi in campo economico e, più in là, spereremmo che fosse allargato soprattutto al campo della sanità e dei trasporti, particolarmente importanti sul piano della spesa.
Il bilancio a base zero avrebbe potuto fornire anche una verifica generale delle disponibilità ed un forte impulso per una politica a favore dell'occupazione. Siamo ancora in attesa del bilancio vero, quello politico: l'assestamento di bilancio. L'occupazione è certamente uno degli obiettivi prioritari; molte sono le leggi regionali che potrebbero essere attivate anche in settori economicamente rilevanti, quali l'economia montana, il turismo, ecc., purché si faccia un attento esame dell'efficacia dei Piani di sviluppo delle Province, delle Comunità montane, e dalla reale efficacia sul piano occupazionale di iniziative in campo turistico - credo si possa andare ben oltre l'1 o il 2% cui faceva riferimento l'Assessore Cantore per quanto riguarda la potenzialità del turismo in Piemonte.
L'occupazione, la questione ambientale, una diversa e più qualificata politica sanitaria assistenziale sono per noi le urgenze su cui vale la pena concentrare gli sforzi e gli impegni finanziari di bilancio di questi ultimi due anni di legislatura. In questo biennio conclusivo occorre dare fissando chiare priorità di spesa, segni visibili di un significativo cambiamento, ma ciò non può essere realisticamente perseguito se non si pone mano ad una vera politica di programmazione e non si mutano i metodi di governo.
Credo occorra un confronto vero con gli enti locali, un confronto dialettico con le categorie economico-sociali il cui ruolo mi sembra sempre più marginale ed ininfluente sulle decisioni. Concetto ripreso nella mozione presentata dal nostro Gruppo, sia pure in sintesi, in un'articolazione maggiore.
Relativamente alla risposta alla nostra interpellanza ho già richiesto un'ulteriore attenta verifica. L'Assessore Cerchio nel suo intervento parlava di rilancio della programmazione: se si lavora per questo siamo d'accordo. Per essere credibili, però, non basta azzerare il bilancio credo si debba azzerare qualcosa di più, non dico l'esecutivo - non ho questa velleità - però è necessaria una risposta politica tale da rendere credibili gli obiettivi programmatici: penso che un salto di qualità sul piano politico possa essere la condizione affinché un problema come quello dell'occupazione possa essere affrontato con l'efficacia che merita.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferraris.



FERRARIS Paolo

Lascio intervenire prima il Consigliere Bodrero.



PRESIDENTE

Consigliere Bodrero, ha facoltà di intervenire.



BODRERO Antonio

Ferraris è un gentiluomo, lo ringrazio pubblicamente. Nella maggioranza ci sono anche dei gentiluomini, non è mica proibito! Circa la produzione è bene che sia ricca e fiorente, ma deve essere altrettanto controllata sull'eventuale danno alle persone all'alimentazione, all'inquinamento dell'aria, dell'acqua e della terra, e a tutti gli esseri viventi. Ma non saranno certo i ventimila forestali della Calabria a correggere certe disfunzioni.
Ciò che dispiace sia nelle comunicazioni degli Assessori che in quelle dei Consiglieri, peraltro discrete ed apprezzabili, è che mai si dica che la causa principale della decadenza economica del Piemonte e del Nord è l'enorme trasferimento - sarebbe meglio chiamarlo rapina - di centinaia di migliaia di miliardi dal Nord al Centro-Sud per alimentare una falsa economia statalistica e parassitaria. Proprio in questi giorni gli organi pertinenti della CEE hanno esortato il nostro Governo a smetterla di sprecare denaro pubblico nel Mezzogiorno, che spesso finisce per potenziare la mafia. Il fatto che gli elettori del Centro-Sud votino ancora in gran parte per certe forze politiche stataliste che hanno già fallito altrove significa soltanto che c'è un ritardo nel riconoscimento delle cause del fenomeno sia da parte delle forze politiche, Governo compreso, che da parte di parecchi elettori. Sarà la durezza della realtà del peggioramento a costringere alla verità.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferraris.



FERRARIS Paolo

E' doveroso dare atto alla Giunta regionale di avere affrontato l'odierno confronto con notevole impegno corale. Questo a conferma del fatto che il problema occupazionale ed economico in Piemonte è considerato momento decisivo dell'azione programmatica della Giunta ed anche come problema complesso, che richiede un ventaglio ampio di risposte. Non aggiungerò, con il mio intervento, ulteriori puntuali analisi sulla congiuntura, sulle patologie più acute, sulle risposte ordinarie e possibili. E' già stato fatto egregiamente.
Credo possa avere qualche utilità aggiuntiva una riflessione di ordine strutturale sull'evoluzione delle tendenze economiche ed occupazionali sia in generale, a livello nazionale, sia in Piemonte, che possa aiutare la ricerca di soluzioni meno costrette dall'urgenza e dalla drammaticità degli eventi e di risposte meno pronte, ma alla fine più durevoli.
L'economia mondiale vede l'esaurirsi della spinta del "blocco industriale" che l'aveva caratterizzata in questo secolo e che ne aveva determinato i livelli di occupazione, di istruzione e di urbanizzazione motivo principale di questo declino l'internazionalizzazione dell'economia ovvero il trasferimento delle produzioni verso Paesi a salario più basso. I Paesi ad elevato costo del lavoro come l'Italia possono avere futuro solo aumentando la qualità del prodotto, portandosi nella fascia alta del mercato con produzione manifatturiera ad elevato valore aggiunto. Tutto ci comporta però grandi investimenti nella ricerca, nell'innovazione e nella formazione.
Germania e Giappone attualmente sono i Paesi più attivi in questa direzione ed è questo il cuore della ricetta che Jacques Delors ha proposto alla Conferenza di Copenaghen per combattere la grave recessione che sta provocando venti milioni di disoccupati in Europa. Dietro questo settore di tecnologia avanzata si sviluppa un terziario non qualificato, dal turismo ai servizi sociali, in forte espansione anche per rispondere alla crisi di organizzazione sociale indotta dalla contrazione del "blocco industriale".
Anche questi processi di trasformazione richiedono una formazione professionale radicalmente diversa, di tipo permanente, per accompagnare lavoratori maturi da un settore all'altro.
Le caratteristiche di queste tendenze in atto, che pesano tutte sulla nostra Regione, che ne è un perfetto spaccato, ci impongono di smetterla di vivere unicamente nel breve periodo, attendendo ipotetici ritorni di congiuntura favorevole. Occorre piuttosto organizzare il passaggio ad una società post-industriale. In questo contesto c'è un solo modo per combattere la disoccupazione ed è lo sviluppo durevole.
A questa macrotendenza dobbiamo, purtroppo, aggiungere una tendenza strutturale caratteristica del Piemonte e che si è manifestata in modo netto negli ultimi dieci anni, sia rispetto al Nord Italia che a tutto il Paese. Il peso della Padania si sta trasferendo ad est, in termini di popolazione, di valore aggiunto e di occupati. Tra gli anni '80 e '90 in Piemonte la popolazione è scesa del 4,21%; l'occupazione del 4,37%; i tassi di occupazione del 2,17%%. Fatto 100 il valore aggiunto per abitanti d'Italia nell'80, in Piemonte era 117 e nel Nord Italia 122. Ripetuto nel '90, il confronto in Piemonte era sceso a 116,5 e nel Nord Italia era salito a 123,7. Siamo cresciuti in agricoltura, meno del Nord Italia e più dell'Italia, ma nell'industria e nei servizi registriamo una crescita peggiore della media nazionale e del Nord ed anche in modo netto. La costanza e la sovrapposizione decennale dei processi porta a consolidarsi nella nostra Regione una struttura deformata, che corre il rischio di alterare in modo definitivo le possibilità di ripresa dello sviluppo e a rendere palliativi ininfluenti le politiche congiunturali, che pure vengono con impegno proposte, che sono necessarie per ragioni sociali, ma che solo in parte possono mitigare le tendenze del ciclo senza correggere quelle di lungo periodo.
Il Piemonte corre quindi il rischio reale di uscire fuori dal circolo delle Regioni che competono per crescere. Il processo di deindustrializzazione trainato dalla crisi della grande industria pu lasciare dei segni irreparabili, oltre quelle che sono le tendenze generali. Organizzare le risposte è però possibile ed il ruolo della Regione può essere non marginale, sciogliendo quattro nodi di ordine strutturale: il sociale, l'infrastrutturale, il territoriale e l'istituzionale. Non bisogna, ovviamente, prendere abbagli; con poco più di 100 miliardi di risorse discrezionali disponibili all'anno la Regione non può competere a modificare in termini congiunturali il ciclo economico piemontese. Il prodotto lordo regionale è superiore ai 120 mila miliardi e il peso della manovra della Regione su questa entità è quindi inferiore allo 0,1%. Sono inutili, in questa direzione, sia l'eroismo degli Assessori e del Consiglio regionale che le proteste delle forze sociali ed economiche. E' assurdo vaporizzare in aiuti diretti alla produzione le scarsissime risorse: riguarderebbero solo pochi imprenditori, introducendo forti iniquità, scimmiotterebbero politiche nazionali senza averne la dote.
Rilevanti sono però le funzioni istituzionali della Regione; ad esaltare queste dobbiamo dare il nostro impegno. Il ruolo della Regione è soprattutto un ruolo politico e di coordinamento amministrativo, come area sufficientemente vasta per essere momento di riferimento per i soggetti istituzionali e sociali. E' a questi livelli che si manifesta una specifica funzione di utilità. Vediamo quindi il primo nodo, quello sociale.
Illuminanti pagine tratte dall'annuale relazione dell'IRES sulla situazione sociale, economica e territoriale del Piemonte ci aiutano a chiarire ulteriormente questo punto. "Se si vuole pervenire" - e cito - "a contrastare il declino economico e sociale del Piemonte, bisogna rapidamente innalzare i livelli medi di qualificazione dei lavoratori ed elevare il grado di istruzione dei giovani in ingresso. Solo con una trasformazione di qualità sarà possibile gestire positivamente la transizione demografica in corso ed alimentare i processi di profondo mutamento organizzativo necessario alle imprese: una popolazione giovanile nell'età di ingresso al lavoro, in rapida contrazione, un'entità in rapida espansione delle classi in uscita per raggiunti limiti di età, quattro quinti di tutti gli occupati dell'industria e due terzi di tutti i giovani occupati, con al massimo la licenza di scuola media inferiore; una produzione annua di diplomati in diminuzione del 20%".
Sono queste, in sintesi estrema, le coordinate principali del nodo sociale in cui le prospettive di sviluppo economico del Piemonte risultano destinate ad impigliarsi. Conferme aggiornate ed altrettanto taglienti vengono dal Convegno del 6 maggio su "Scenari e progetti per una Torino metropolitana" organizzato dalla Fondazione Agnelli. Le analisi annunciano che nel '94 per la prima volta, grazie al turn-over demografico, gli appartenenti alle classi di popolazione in entrata sul mercato del lavoro saranno inferiori a quelli delle classi in uscita. Il declino demografico dovrebbe consentire un temporaneo allentamento della pressione sul mercato del lavoro, ma la riforma del sistema pensionistico fa crescere nuovamente l'allarme, perché nella sola provincia di Torino i circa 200.000 lavoratori che tra il '94 e il 2003 dovevano andare in pensione si riducono a 130.000 ricreando con ciò situazioni di disagio occupazionale, soprattutto giovanile, che si assomma al peggioramento in assoluto della situazione demografica. Se poi si considera che essendo il livello d'istruzione legato all'età (più elevato nei giovani che negli anziani) al punto che per ogni 100 unità uscite dal mercato si hanno 25 sostituzioni di personale a bassa qualifica con personale ad alta qualifica, si conclude che possedendo i 70.000 lavoratori in meno che avrebbero dovuto andare in pensione il titolo di studio inferiore si avrà un ulteriore e grave ritardo nel rinnovamento culturale tecnico della forza lavoro.
Questo peggioramento della qualità della forza lavoro sta diventando una specificità della nostra Regione. La provincia di Torino in relazione all'area urbana di Lione ha il 35,9% di senza titoli o con titolo elementare, contro il 20,7%; il 39,5% dei licenziati alla scuola media contro il 29,9%; il 24,7% di diplomati o laureati contro il 49,4 esattamente la metà. Sono differenze nette, ma ciò che ancor più preoccupa è che tale fenomeno vive anche nel confronto con l'Italia: il 5,45% di laureati in Piemonte contro il 6,9% in Italia; 25,4% di diplomati contro il 26,2%. La prima conclusione che possiamo trarre è che occorre riavviare rapidamente nella nostra Regione processi di formazione capaci di rialimentare la qualità della forza lavoro. Investire in intelligenza, in cultura e in informazione universitaria, informazione in generale, diventa più che una componente dell'auspicata ripresa dello sviluppo del Piemonte una indispensabile precondizione.
Questo può avvenire anche attraverso una selezionata ripresa dei flussi migratori, non di forze dequalificate professionalmente, ma di lavoratori in possesso di requisiti di elevata specializzazione. Ma è evidente che in questo settore il compito della Regione è decisivo. Con risorse dirette o con un'ancora più intensa utilizzazione del Fondo Sociale Europeo è necessario incrementare la formazione professionale, sia di secondo grado che permanente; interessanti indicazioni sono venute pochi giorni fa durante la consultazione sulla variazione di bilancio e occorrerà tenerne conto.
Il secondo nodo da sciogliere per rilanciare economia ed occupazione riguarda la dotazione di investimenti sociali ed infrastrutturali. La forte competitività fra Regioni italiane ed europee, esaltata dal realizzarsi dell'unità europea, obbliga il Piemonte a confrontarsi con i moderni sistemi limitrofi e a registrare i ritardi cumulati negli ultimi decenni.
Abbiamo già esaminato il ritardo formativo e il nodo demografico, ma altrettanto preoccupante è quello relativo allo stock infrastrutturale che sta pure segnando, e non sarà un limite risolvibile in tempi brevi o medi l'identità piemontese. Il Piemonte deve quindi pensare al proprio futuro come a quello di un'area moderna e competitiva, con una forte capacità di produrre innovazione tecnologica e scientifica e territorialmente aperta all'Europa. La concentrazione di sapere tra Torino, Ivrea e Novara costituisce una solida base di partenza che deve essere costantemente coltivata ed accresciuta dall'industria, dagli operatori privati e dai molti soggetti pubblici ed istituzionali. Ma non sembri tutto ciò un obiettivo facilmente conseguibile, grazie ad un superficiale appiattimento su immagini consuete. Negli ultimi sei anni l'esportazione di prodotti piemontesi ad alta tecnologia si è ridotta, rispetto al totale delle esportazioni, da un già modesto 13,5% al 10,1%.
Per vincere queste strozzature, che appesantiscono le possibilità di crescita del Piemonte, occorre incrementare la dotazione infrastrutturale relativa ai collegamenti a lungo raggio con tutta l'Europa, alla predisposizione di reti, di sedi di ricerca, di scambio e di produzione all'innalzamento della qualità culturale ambientale ed urbana. Ad alimentare la progettualità di sostegno a questa prospettiva non mancano i contributi; la Regione Piemonte, nel predisporre gli atti a sostegno di un auspicato, ma ancora lontano, accordo di programma con il governo nazionale, ha censito - ed è una misura di evidente difetto - progetti strategici per oltre 30.000 miliardi. Lo Stato con i suoi Ministeri, con l'ANAS e con le Ferrovie ha oggi nella nostra Regione progetti cantierabili pari a 23.388 miliardi, di questi è prevista la copertura finanziaria per 11.755 miliardi, mentre mancano risorse per 11.633 miliardi; non abbiamo i dati relativi al complesso delle esigenze e dei progetti non cantierabili e degli interventi altrettanto strategici di ENEL e SIP per limitarci ai settori infrastrutturali.
La Fondazione Agnelli, sempre nel convegno prima citato, indica per la sola area metropolitana un catalogo di 46 progetti, quasi tutti coincidenti con quelli regionali, che richiedono oltre 31.000 miliardi di investimenti nei prossimi dieci anni. Per questi progetti sono già state reperite risorse per 4.678 miliardi; dei 46 progetti, ben 31, per circa 20.000 miliardi, hanno rilevanza extrametropolitana.
Non credo sia impossibile, nella prosecuzione del censimento progettuale, e dopo aver eliminato probabili duplicazioni, giungere per l'intera Regione ad un'esigenza di oltre 50.000 miliardi di investimenti infrastrutturali per i prossimi dieci-quindici anni; sono gli investimenti necessari per portare il Piemonte in Europa. Mi sembra di buon auspicio l'esistenza di una fertile progettualità, ma ciò che allo stato degli atti mi sembra di difficile concretizzazione è la concertazione delle iniziative che permetta di distribuire in priorità le scelte e di affrontare razionalmente il reperimento della spaventosa mole di risorse finanziarie necessarie. La Regione dovrà porsi - e ha già tentato con l'attività di questi anni e con l'accordo di programma, ma dovrà arrivarvi in modo definitivo con il programma di sviluppo - come il crocevia istituzionale tra Stato, CEE e soggetti pubblici, enti locali, operatori privati organizzando il coordinamento delle iniziative.
Il fabbisogno finanziario è terribile, ma non deve spaventare. Se c'è un progetto, mantenuto costante, difeso con tenacia, diventa anche progetto di altri settori, in particolare dello Stato, e dei soggetti economici pubblici e diventa cultura e riferimento per tutti che ad esso dovranno adeguarsi o con esso coordinarsi. Gli inghippi del futuro immediato, il ritardo nell'approvazione del Piano regolatore di Torino, tangentopoli, il rientro dal debito pubblico, che non consente la partenza immediata di nuovi investimenti pubblici, potranno comunque essere superati, e lo saranno meglio, se avremo messo a punto il progetto.
I fondi strutturali CEE, che la Giunta regionale si batte per riottenere, quanto si recupererà con l'autonomia impositiva e quanto con il rigore nelle gestioni attuali, quanto si mobiliterà con la filosofia del decreto Andreatta, che affida la deregolazione degli investimenti, dati in concessione, compiti non strettamente pubblici, sono i punti di sostegno ravvicinato-locale modestissimi sul piano congiunturale, ma utili, per non vanificare il progetto finora definito, in attesa che l'intervento dello Stato possa riprendere e diventare più solido.
Il terzo nodo da sciogliere riguarda i forti squilibri territoriali di sviluppo economico che si sono affermati all'interno della Regione e che stanno creando aree segnate da ritmi di forte declino e quindi di freno all'intera regione. I dati confermano come la provincia di Alessandria in assoluto, la provincia di Torino, anche per la grandezza e la funzione strategica, ed infine quella di Vercelli - seppur meno - sono le province più duramente colpite dal declino.
Negli anni che vanno dal 1980 al 1990 Alessandria perde il 6,48% della popolazione, Torino il 4,93%, Vercelli il 5,70% contro il 4,21% del Piemonte.
Sul fronte occupazionale Alessandria perde il 10,36% degli addetti Vercelli il 6,59% e Torino il 5,23% contro la media regionale del 4,37%.
Nella produzione del valore aggiunto, di fronte ad una crescita complessiva del Piemonte nel decennio, a prezzi correnti del 211% Torino cresce - unica provincia sottomedia - del 194% ed Alessandria la seconda più bassa, del 214%.
Entrambe le province sono sottomedia del Nord Italia, pari a +225%, e addirittura dell'Italia, pari al 230%.
Consentire l'indebolimento del cardine della Regione, Torino, e di un'area strategicamente utile per costruire raccordi con la Liguria l'Emilia e Lombardia, è un grave errore se si vuole mantenere in corsa il Piemonte.
A queste due aree occorre quindi dedicare un'attenzione particolare programmando, d'intesa con le realtà locali, le iniziative strutturali indispensabili, e quanto non potrà essere garantito con i fondi CEE dovrà esserlo con fondi regionali autonomi; non si può consentire la creazione di due aree a due velocità, chi si sviluppa di più e chi di meno, chi riceve fondi di sostegno e chi no.
Il quarto ed ultimo nodo da sciogliere è quello istituzionale e riguarda le funzioni della Regione.
E' auspicabile che dalla bicamerale emerga un disegno di riforma regionale capace di affidare per competenze e per risorse l'energia sufficiente a far sì che le Regioni recuperino ruoli di utilità alla crescita del Paese.
Ma al di là di queste occasioni offerte esternamente, non si pu credere che anche il Piemonte non possa compiere il suo dovere, con le sue forze. La programmazione e la concertazione sono il primo indirizzo da seguire e ne abbiamo già parlato in parte. Occorre che il confronto tra le forze politiche e sociali faccia maturare in concreto scelte di progetto che perseguano l'obiettivo del rilancio regionale, ma perché tutto ciò sia percorribile occorre una dotazione legislativa specifica: è già stato individuato il CREL come tavolo di concerto, ma dovrà essere intanto adottato e poi accresciuto di compiti di confronto non solo congiunturale ma strategici. Ancor più la Giunta deve proporre un nuovo metodo di programmazione; è inutile lamentare in questa sede, come ha fatto a più riprese qualche collega, che non si fa programmazione in Piemonte. Occorre dirci con franchezza che con le norme di cui siamo dotati non è possibile fare programmazione nella nostra Regione senza poter disporre urgentemente di una nuova legge, agile e concreta. Il Piemonte non avrà lo strumento istituzionale per essere quel punto di incontro istituzionale necessario a sciogliere i vari nodi di cui abbiamo parlato. Esistono anche altre possibilità, ne accenno ad una: la semplificazione legislativa. Nei settori economici: agricoltura e foreste, artigianato, commercio, cooperazione edilizia, emigrazione, energia, formazione professionale, industria lavoro, turismo e trasporti, la Regione Piemonte ha 133 leggi operanti, di cui 82 promozionali con destinati complessivamente pochi miliardi di risorse; è più elevato, probabilmente, il costo per mantenere in vita la struttura che sostiene burocraticamente l'impianto di questa legislazione che non la quantità di risorse distribuite.
Non credo perciò che si possa sfuggire a qualche iniziativa di semplificazione e di consolidamento di sinergie, come già si è tentato con il bilancio a base zero che con ciò è fortemente interdipendente.
I punti sopra esposti costituiscono un contributo ad un dibattito che dovrà ampliarsi e a decisioni dalle quali non si potrà sfuggire per affrontare le questioni reali del Piemonte.
In conclusione sono convinto che esista l'esigenza di raccordare queste politiche strutturali sulle quali la Regione può fornire un essenziale contributo con le politiche congiunturali del costo del lavoro e finanziarie che sono responsabilità nazionali. In queste settimane la maturazione di un nuovo modello di contrattazione del costo del lavoro e l'appello lanciato dagli imprenditori a stipulare tra Stato, imprenditori lavoratori e risparmiatori, un patto straordinario per creare 500.000 nuovi posti di lavoro indica come la strada della trattativa e della corresponsabilità sia la strada che può portare il Paese fuori dalla crisi.
Mi chiedo se - ovviamente con interlocutori parzialmente diversi, perch diverse sono le competenze - non sia possibile, anche in Piemonte, che la Regione, gli enti locali più rilevanti, le Camere di Commercio e gli istituti finanziari, gli imprenditori e i sindacati stipulino un patto per lo sviluppo del Piemonte capace di creare nuove occasioni di lavoro.
Ognuno deve dichiarare ciò che è disponibile a fare e ciò che ha la possibilità di fare; non può esserci solo rivendicazione e richiesta reciproca.
La Regione, con il CREL e una nuova legge di programmazione, potrà dare consistenza istituzionale all'intesa, legandola con l'accordo di programma con il Governo. Unire pochi strumenti congiunturali locali a quelli generali per affrontare l'annunciata acutizzazione autunnale della crisi preparare e coordinare le priorità delle politiche strutturali, far funzionare con più efficienza i servizi regionali, sanità, trasporti edilizia residenziale e formazione professionale, sono i contenuti specifici dell'impegno della Regione. La Giunta e il Consiglio devono decidere se tutto ciò deve diventare il cuore di un nuovo metodo politico dato dalla condivisione degli obiettivi con le forze sociali ed economiche.
Se ciò si potesse concretizzare sono certo che per il Piemonte si potrebbe aprire una nuova speranza.
Il Gruppo regionale della DC non si sottrarrà a questa responsabilità.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTICELLI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calligaro.



PRESIDENTE

CALLIGARO



PRESIDENTE

Signor Presidente, direi che la crisi politico-istituzionale della Regione si riflette anche in questo dibattito, stanco e rituale pur trattando un argomento di rilevantissimo interesse: probabilmente l'argomento più importante che oggi si possa discutere in Consiglio regionale.
Le relazioni si sono limitate a registrare, ovviamente con ritardo fenomeni economici che hanno assunto carattere rovinoso: recessione industriale - siamo in piena recessione industriale i processi di deindustrializzazione che non accennano a ridursi, il fenomeno crescente della disoccupazione e dell'inoccupazione.
A differenza del passato mi pare si sia spezzato il binomio crisi trasformazione; nelle precedenti fasi di ristrutturazione operava certamente una crisi pesante, ma erano rilevanti e ben visibili i fattori di trasformazione dell'apparato produttivo nazionale. Questo binomio si è spezzato e oggi si possono vedere in modo assai corposo, se non prevalentemente, gli aspetti della crisi e non quelli della trasformazione.
Le cause sono strutturali e risiedono fondamentalmente nella perdita di competitività dell'apparato produttivo nel nostro Paese.
I grandi gruppi industriali non riescono ad elevarsi al rango di competitori globali, l'internalizzazione delle nostra economia non decolla i grandi gruppi non riescono più a svolgere la funzione di trascinamento dell'intera economia nazionale, la piccola e media industria rischia di affondare, perdendo una specificità che l'aveva sempre contraddistinta, che consisteva nel saper stare a galla anche nelle difficoltà.
Vi sono stati errori, distorsioni, miopie. Negli anni di vacche grasse sono emersi ritardi politico-culturali rilevanti; ci si è attardati volentieri a fare politiche esclusivamente monetarie e congiunturali; si è discusso perfino in questo Consiglio sul carattere della crisi, se essa fosse congiunturale o se la congiuntura bassa si intrecciasse ad elementi di crisi strutturale. Si è preferito incentrare tutto sul costo del lavoro soprattutto sui costi nominali, contrattuali, più che sui costi reali; si sono criminalizzati i sindacati dei lavoratori, il costo del lavoro è diventato un elemento pretestuoso. La sua pretestuosità è ben visibile: in questi ultimi tempi si sono ridotte le retribuzioni medie senza alcun beneficio per le attività economico-produttive, proprio perché non si sono affrontate le cause strutturali, che risiedono nella debolezza della ricerca scientifica, nelle carenze della ricerca applicata dell'istruzione universitaria, della formazione dell'aggiornamento professionale, nella scarsa capacità di innovazione del nostro sistema produttivo, nella difficoltà a dislocare l'apparato produttivo nelle fasce produttive a più alto tasso di innovazione, a più alto valore aggiunto.
Abbiamo quindi un apparato produttivo le cui tecnologie sono medie o medio basse, ma si sa che dislocare l'apparato produttivo nelle fasce produttive a più alto tasso di innovazione, a più elevato valore aggiunto significa qualificare la forza lavoro, e noi sappiamo che la qualificazione della nostra forza lavoro è medio-bassa.
E poi, come non vedere le politiche soggettive dei gruppi imprenditoriali: si è puntato tutto sull'innovazione parziale sull'innovazione di processo ad alto risparmio di forza lavoro; si è aumentata la produttività del lavoro, ma ciò non è bastato. Riscontriamo oggi, clamorosamente, carenze nell'innovazione del prodotto, nella qualità ed affidabilità del prodotto e dei servizi realizzati. Scarsa capacità di innovazione nei materiali, soprattutto nei nuovi materiali, scarsa capacità di innovazione complessiva, di innovazione di sistema e non solo di innovazione parziale, di alcune parti del nostro apparato produttivo.
Scopriamo quindi l'inadeguatezza della qualità dei nostri prodotti e dei nostri servizi, la loro scarsa affidabilità, la nostra caduta di capacità, di competitività. Si è badato, negli anni passati, ai risultati immediati, al massimo profitto immediato; si è stati strutturalmente incapaci di combinare in modo adeguato se non in modo ottimale tutti i fattori della produzione, della produttività e della competitività. E' inutile cercare stratagemmi, oggi; dovremmo passare al post-industriale. Ma se stiamo perdendo persino pezzi consistenti del nostro apparato industriale! Dovremmo puntare sul terziario, meglio ancora sul quaternario ma al terziario si punta se si sa produrre ricchezza, se si produce davvero ricchezza e se si fanno investimenti nel terziario avanzato - o, se si vuole - nel quaternario.
La crisi è strutturale, investe la struttura economico-produttiva; e attenzione, a differenza del passato i danni possono oggi essere irreparabili: i posti di lavoro persi oggi sono in larga parte irrimediabilmente persi. La deindustrializzazione che colpisce oggi il nostro Paese e la nostra Regione è difficilmente recuperabile, perché è in atto, oltre alla deindustrialzzazione e la crisi che colpisce la nostra economia, una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati, una delocalizzazione, un decentramento delle produzioni. Non c'è ripresa congiunturale che consenta recupero occupazionale: al massimo si potrà contenere la caduta occupazionale, ma ormai abbiamo di fronte una disoccupazione strutturale di non breve periodo. Superare questi processi estremamente negativi significa innanzitutto non improvvisare. I ritardi accumulati in questi decenni non si possono cancellare e peseranno in modo assai negativo; bisognerà pensare ad un nuovo meccanismo di sviluppo, a politiche industriali degne di questo nome, capaci di prefigurare strategie comunitarie europee: non sono pensabili politiche industriali nazionali se pensiamo con respiro europeo. Quindi, politiche industriali che sappiano innestarsi nel tessuto economico-produttivo del Paese, ma anche strategie che devono essere inevitabilmente comunitarie se vogliamo che siano vincenti.
E' necessario attivare politiche attive del lavoro. Perché non dirlo? Oggi si preferisce finanziare la disoccupazione, l'inoccupazione. Si preferisce assistere - e personalmente considero sia importante - la forza lavoro inoccupata e disoccupata; emerge invece sempre più chiaramente la necessità di utilizzare tali risorse per creare nuovi posti di lavoro, per superare l'inoccupazione, per limitare la disoccupazione. Prevalgono invece politiche tese a finanziare la disoccupazione e a mettere in relazione domanda e offerta di lavoro dal punto di vista non solo della quantità, ma anche della qualità.
Le esigenze sono rilevantissime, ne sono consapevole, ma certamente non si affrontano con un'istituzione regionale ancora mancante di Piani programmatori, che ha leggi per lo più inefficaci e strumenti più che altro finti. Non c'è paragone tra ciò che dovrebbe essere attualmente la Regione rispetto alla crisi economica che l'attraversa e ciò che è effettivamente.
Lo scarto è rilevantissimo; eventuali indirizzi programmatori sono del tutto inesistenti ed impossibili - come diceva poco fa il Consigliere Ferraris: si vive e si governa, o si "sgoverna", alla giornata.
L'Assessore Cerchio ha parlato di ventaglio di strumenti: un ventaglio sforacchiato ormai, largamente inefficace. Gli strumenti regionali sono vecchi, obsoleti, inefficaci, scoordinati tra loro, dotati di misere risorse. Ricordo ai colleghi che continuiamo ad essere la Regione italiana che spende meno per il settore lavoro, nonostante sia colpita da processi di deindustrializzazione tra i più pesanti che conosca il Paese. Se è opportuno rivendicare alla Regione un ruolo nuovo, occorre comunque iniziare ad utilizzare meglio gli strumenti di cui disponiamo: trasformiamoli, rendiamoli efficaci, coordiniamoli tra loro, dotiamoli di risorse adeguate.
La mia impressione è che anche quando disponiamo di risorse non le utilizziamo bene.
Regolamento CEE n. 2052: sono curioso e vorrei che in aula si facesse un bilancio anche parziale almeno della prima fase di applicazione, per capire quanto ha prodotto in termini di occupazione e di promozione di iniziative imprenditoriali.
Per concludere, vorrei soffermarmi sull'artigianato. Questa mattina insieme ad altri Consiglieri e all'Assessore competente, si è tenuto un incontro con rappresentanti di associazioni degli artigiani, i quali ci hanno ricordato che la Regione ha ogni competenza in materia di artigianato in virtù della legge quadro del 1985. Peccato che tale legge non sia mai stata dotata di una sola lira! Le politiche regionali per l'artigianato consistono nel distribuire i fondi impegnati - 3 o 4 miliardi di lire all'anno - che generalmente spendiamo quattro o cinque anni dopo, tant'è che abbiamo accumulato, inutilizzati, 17 miliardi di lire che facevano parte dei fondi impegnati per gli anni 1989, 1990, 1991 e 1992. Li teniamo da parte, inutilizzati, non impiegati - e ci costano circa 1 miliardo di lire all'anno in termini di svalutazione effettiva.
Questa la politica regionale per l'artigianato! Eppure non vi sono dubbi sulle competenze della Regione in materia: funzione fondamentale della Regione è animare le imprese artigiane, il tessuto della piccola e media impresa; importantissimo tessuto produttivo di micro-aziende, che nonostante le crisi del passato, ha saputo dare un'efficace risposta in termini di aumento dell'occupazione. Se è ipotizzabile un aumento occupazionale non si può che guardare a queste imprese minori, a questa miriade di micro-aziende. Quindi, oltreché il dovere di sostenerle in quanto soggetti impresa, una qualsiasi politica attiva del lavoro dovrebbe premiare in modo particolare questi comparti della produzione e del sistema produttivo piemontese: e noi, invece, destiniamo qualche centinaia di migliaia di lire per ciascuna azienda artigiana! Certo, amareggia dover fare queste constatazioni che, purtroppo, si possono fare anche in altri campi della politica regionale: è la conferma della crisi politico-istituzionale della Regione, e in particolare della maggioranza, che non sa dotarsi neppure delle politiche più elementari.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rabellino.



RABELLINO Renzo

Dalle relazioni svolte questa mattina dagli Assessori per competenza più direttamente interessati al dibattito sull'occupazione, emerge il tentativo di sdrammatizzare una situazione occupazionale che purtroppo sta raggiungendo, e raggiungerà in autunno, livelli decisamente preoccupanti in particolare per la nostra Regione. I discorsi proposti sono vecchi e obsoleti; quanto emerso dagli interventi degli Assessori rappresenta un tentativo di non affrontare in modo serio e corretto una realtà occupazionale che raggiungerà livelli drammatici. Non si sono affrontati temi precisi e, soprattutto, non si è capito cosa intendano fare Giunta e maggioranza per cercare di garantire un minimo livello occupazionale. Non si sono affrontati - ripeto - temi importanti quali, ad esempio, le occupazioni alternative nel settore artigianale e commerciale. Su questo non abbiamo sentito assolutamente nulla; non solo, abbiamo preso atto della latitanza totale della maggioranza e della Giunta.
In merito alla deindustrializzazione non vi è stata, da parte della Giunta, alcuna presa di posizione decisa e ferma nei confronti dell'atteggiamento tenuto dal Governo centrale, a nostro avviso causa principale della deindustrializzazione nella nostra Regione. Continuiamo a subire passivamente decisioni penalizzanti nei confronti delle nostre aziende e delle nostre imprese, prendendo atto della situazione di difficoltà e del fatto che miliardi di contributi continuano ad andare verso quelle Regioni - sempre le solite - che hanno fagocitato l'intero benessere dello Stato italiano. Non abbiamo sentito - ripeto - alcuna posizione ferma contraria alle decisioni del Governo in materia fiscale.
Vorremmo capire come la maggioranza si collochi nei confronti di questa drammatica situazione, anche perché affrontare ed assumere atteggiamenti precisi contro alcune posizioni in materia fiscale vorrebbe dire rimettere in discussione il costo del lavoro: se le nostre aziende stanno chiudendo e molte se ne stanno andando dall'Italia aprendo altrove, ci saranno delle motivazioni! Su questo non abbiamo sentito assolutamente nulla nelle relazioni degli Assessori intervenuti. Ciò significa che maggioranza e Giunta non hanno capito qual è il clima che si respira fuori del Palazzo.
Mi pare che la reazione, anche quella elettorale degli ultimi giorni sia stata precisa; ma, ancora una volta, la maggioranza formata dai vecchi partiti non ha capito che la gente chiede un cambiamento, chiede che le istituzioni prendano certe posizioni. La Regione Piemonte intende recuperare questa immagine, che si è deteriorata nel tempo (forse non se si è capito, ma l'immagine delle istituzioni si è leggermente deteriorata nei confronti dell'elettorato, cioè della gente che sta fuori)? Questa maggioranza vuole cercare di recuperare questa immagine? Vuole smetterla di accettare passivamente tutto quello che gli viene imposto? Queste sono le domande che la gente si pone! Senza cambiamenti di tendenza e se non si pongono chiaramente certe questioni, non lamentatevi, signori della maggioranza, se l'elettorato lentamente vi cancellerà dalla scena politica.
Perché questa è la realtà, questi sono i fatti che stanno all'esterno! Sinceramente, non penso che le risposte debbano venire dai banchi dell'opposizione, visto che la maggioranza ha sempre rifiutato ogni tipo di proposta. Tutte le volte che da questi banchi abbiamo presentato degli ordini del giorno che mettevano in discussione il rapporto tra Regioni e Stato, che cosa ci è stato risposto? Personalmente, lo ricordo perfettamente; e forse la stessa maggioranza e lo stesso Presidente Brizio ricorderanno i tentativi di non portarli alla discussione o quelli di respingerli ad ogni costo, senza andare a vedere le motivazioni alla base della posizione ben precisa contro il Governo centrale. I tentativi dell'opposizione di portare dei contributi nei confronti di un certo tipo di rapporto tra Stato e Regione sono sempre stati respinti; i progetti di legge che alcuni Consiglieri hanno tentato di presentare sono stati tutti insabbiati nelle Commissioni: la maggioranza, in due anni, è stata abilissima nell'insabbiare nelle Commissioni tutte le proposte pervenute dalle opposizioni! Questa è un'altra realtà. Vogliamo verificare quanti sono i disegni di legge presentati dall'opposizione e quanti di essi non sono andati avanti in Commissione? Andiamo a verificarlo! Scoprirete che sono molti - ma lo sapete benissimo perché è vostra l'arte d'insabbiare! D'altro canto, però, non sono pervenute da parte della maggioranza delle proposte concrete, e le relazioni di questa mattina ne sono un ulteriore esempio. Relazioni senza alcun peso politico: non è stata proposta alcuna svolta in campo occupazionale. Ma attenzione, signori perché quando a settembre rientreremo dalle ferie - supponendo che qualcuno sia ancora in grado di andare in ferie, vista la stangata fiscale dei giorni scorsi molto probabilmente ci troveremo la gente in piazza. Sappiamo benissimo - è inutile negarcelo - che molte aziende, ormai con l'acqua alla gola, al rientro delle ferie annunceranno licenziamenti e cassa integrazioni che lo Stato centrale non potrà più permettersi di pagare! Su questo non abbiamo sentito nulla; mi auguro che la maggioranza prenda atto della situazione ed inizi a reagire in modo corretto rispetto a quanto richiede la base, la gente fuori dal Palazzo. Se non avrete una reazione di questo tipo, non lamentatevi se alle prossime elezioni sarete cancellati politicamente.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti del suolo - smaltimento rifiuti

Esame ordini del giorno n. 602 e n. 612 relativi alla discarica Cavatore Valle Ferri


PRESIDENTE

Se il Consiglio consente, potremmo interrompere per alcuni minuti il dibattito sull'occupazione e passare all'esame del punto 32) all'o.d.g.
riguardante la discarica di Cavatore, rispetto al quale riassumo brevemente la questione.
In più occasioni e da più interlocutori è stata ricevuta una delegazione in Regione in ordine a tale problematica; successivamente sono stati presentati i due ordini del giorno in oggetto.
L'ordine del giorno n. 602, presentato dai Consiglieri Foco, Marino Cucco, Segre, Rivalta, Chiezzi e Vaglio, recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte informato degli ultimi avvenimenti accaduti alla Cascina Scuti in Comune di Cavatore, esprime la propria piena ed incondizionata solidarietà alle popolazioni interessate dall'insediamento di un impianto di trattamento di rifiuti speciali nella sopracitata località, al Sindaco e agli Amministratori impegnati in una civile e democratica vertenza a difesa del proprio territorio, della propria incolumità e dei propri diritti (difesa dei pozzi di approvvigionamento idrico e passaggio di linea di oleodotto) considera sbagliato il comportamento del Presidente della Giunta regionale che senza tenere conto dei problemi sollevati dalle popolazioni e dalle comunità locali ha firmato il decreto di occupazione d'urgenza degli immobili per la costruzione dell'impianto dà atto che solo l'alto senso di responsabilità dimostrato dai manifestanti e dalle forze dell'ordine presenti ha evitato che l'occupazione d'urgenza, tentata anche tramite elicottero, si trasformasse in tragedia.
Tutto ciò premesso chiede al Presidente della Giunta regionale di voler ritirare il decreto e di ricercare altra localizzazione dell'impianto in oggetto conducendo una nuova ed approfondita analisi delle soluzioni alternative possibili, fra cui scegliere la soluzione più opportuna con la partecipazione delle popolazioni e delle comunità locali".
L'ordine del giorno n. 612, presentato dai Consiglieri Foco, Segre Rossa, Cavallera, Marino, Cucco ed altri, recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte informato degli ultimi avvenimenti accaduti alla Cascina Scuti in Comune di Cavatore, esprime la propria piena ed incondizionata solidarietà alle popolazioni interessate dall'insediamento di un impianto di trattamento di rifiuti speciali nella sopracitata località, al Sindaco e agli Amministratori impegnati in una civile e democratica vertenza a difesa del proprio territorio, della propria incolumità e dei propri diritti contro la realizzazione dell'impianto considerato che l'occupazione d'urgenza non tiene conto dei problemi sollevati dalle popolazioni e dalle comunità locali dà atto che solo l'alto senso di responsabilità dimostrato dai manifestanti e dalle forze dell'ordine presenti ha evitato che l'occupazione d'urgenza tentata anche tramite elicottero, si trasformasse in tragedia.
Tutto ciò premesso chiede alla Giunta regionale ed al suo Presidente di voler assumere tutte le iniziative atte a non dar corso alla realizzazione dell'opera".
Vi è una prima parte che differenzia i due documenti, ma nella conclusione hanno il medesimo contenuto. Entrambi tendono a dar mandato al Presidente e alla Giunta di ricercare tutte le iniziative possibili per non dar corso alla realizzazione dell'impianto di trattamento di rifiuti speciali in quella località.



(Il Consigliere Rivalta chiede di poter intervenire)



PRESIDENTE

Forse ho sbagliato nel non informare il Consiglio che, pur essendo in corso il dibattito sull'occupazione, si è convenuto di interromperlo brevemente per passare al punto 32) dell'o.d.g., ma senza dar corso ad alcun intervento, per non allungare troppo i tempi. Ho spiegato al meglio il problema dando lettura dei due ordini del giorno; le chiedo scusa Consigliere Rivalta, ma se apriamo il dibattito, dati i numerosissimi firmatari dei documenti, i tempi si dilaterebbero eccessivamente.
Pongo dunque in votazione l'ordine del giorno n. 602.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è respinto con 17 voti favorevoli e 26 astensioni.
Pongo in votazione l'ordine del giorno n. 612.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 43 Consiglieri presenti.
Ringrazio le persone intervenute a nome del Consiglio regionale. La trattazione dell'argomento, inserito all'o.d.g. della seduta odierna, è stata dovuta - come avrete compreso - all'urgenza e all'importanza che essa riveste, anche in relazione all'iter procedurale ed amministrativo che preoccupava le popolazioni interessate. Ringrazio tutti e saluto i Sindaci sia a nome del Consiglio regionale sia a titolo personale.
Ha chiesto la parola il Consigliere Rivalta; ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Ho accettato di non intervenire per tener fede all'accordo preso e per l'opportunità, nell'ambito del dibattito generale, di non portare via troppo tempo. Lo faccio però adesso (tanto gli abitanti di Cavatore sono andati via) dato che il mio intervento riguarda in particolar modo i nostri rapporti interni.
A questo punto, però, sono soddisfatto di non essere intervenuto perché colgo nell'astensione espressa dalla maggioranza nei confronti dell'ordine del giorno firmato da me e dal collega Chiezzi un'accettazione del giudizio negativo espresso nei confronti della Giunta, giudizio negativo a valle di due anni di critiche al comportamento della Giunta sulla politica inerente lo smaltimento dei rifiuti.
Mi premeva sottolineare questo aspetto, non per polemica - ho infatti aspettato che il pubblico se ne fosse andato ma per ribadire alla Giunta l'errore di impostazione strutturale dall'inizio della legislatura della politica sui rifiuti. Per parte nostra, non potevamo ritirare tale giudizio, fondato su un'esperienza ormai acquisita di tre anni (la legislatura è in corso da tre anni).
Mi premeva far rilevare quanto ho detto, anche a nome del collega Chiezzi.



PRESIDENTE

Ringrazio il Consigliere Rivalta che ha compreso lo spirito della mia precedente richiesta.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni della Giunta regionale sulla situazione occupazionale in Piemonte (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo dunque il dibattito sulla situazione occupazionale in Piemonte.
La parola al Consigliere Bosio.



BOSIO Marco

Tenuto conto della discussione e degli interventi avvenuti precedentemente - alcuni dei quali indiscutibilmente interessanti: ricordo quello del Consigliere Ferraris, ricco di utili considerazioni - vorrei richiamare l'attenzione sulla maniera assai caotica con la quale esercitiamo, o tentiamo di esercitare, come Consiglio, un minimo di analisi e di indirizzo rispetto alle questioni dell'economia, del lavoro dell'occupazione e della crisi.
E' una situazione di vera e propria confusione, tremendamente contraddittoria: a considerazioni di bisogno, di esigenze di natura internazionale dell'economia vengono appiccicate valutazioni secondo le quali occorrerebbe modificare radicalmente il costo del lavoro: non riusciamo mai a stabilire se dobbiamo essere Nazione a livello di Terzo Mondo per attirare investimenti da altri Paesi o se essere Paese che vuole "entrare" in Europa (per la verità più in Thailandia ed in altre parti) ed annoverarci tra quelli a più alto grado di sviluppo e progresso. A risposta di una crisi rilevante, pesante e strutturale regna la più completa confusione. Ma non voglio soffermarmi su quanto già richiamato in molti altri interventi, ma far rilevare due questioni di ordine generale, dai risvolti immediatamente pratici e concreti, riguardanti l'ossatura di un qualsiasi disegno o ridisegno della natura dello sviluppo della nostra Regione e del nostro Paese.
Come Regione e come Nazione siamo entrati nel pieno della crisi pesante, dura, complessa e strutturale che investe l'intero mondo del mercato, quando ormai da molto tempo, a Torino, in Piemonte, a Milano ovvero nella grande area del triangolo industriale, la rigidità del mercato del lavoro era finita da un pezzo: la flessibilità e la precarietà del lavoro sono la norma dominante da anni. I contratti part-time, a tempo determinato, la cassa integrazione, la mobilità (siamo arrivati al punto che nel linguaggio di alcuni sindacalisti i lavoratori in mobilità sono denominati "mobiliferi" come fossero portatori di un handicap o di una malattia infettiva), sono da tempo la norma e non hanno portato ad alcun aumento reale dell'occupazione, né, tanto meno, a quella caratteristica interessante e giusta cui faceva riferimento il collega Ferraris, ovvero di individuare uno sviluppo durevole. Il collega si riferiva ad una situazione e ad una condizione post-industriale, sulla quale si potrebbe anche essere d'accordo, ma si tratterebbe anche di capire cosa si intende effettivamente, per post-industriale.
Questo quanto volevo richiamare. L'industria italiana e piemontese specialmente la grande industria, non può continuare a ricorrere costantemente, con tutta la serie di piccoli rimedi quotidiani cui è ricorsa ed intenderebbe ancora ricorrere, a succhiare il latte di tutte le sovvenzioni pubbliche di qualsiasi natura a livello nazionale o CEE, o stringere, come alternativa, sulle condizioni salariali e di lavoro dei propri lavoratori dipendenti. Questo meccanismo è a consunzione.
Le sovvenzioni pubbliche redistribuiscono, tra l'altro, l'onere delle inefficienze: siamo ormai alla quasi saturazione. Tutti i processi di decentramento della grande e media industria sono avvenuti da tempo incomincia a proporsi un problema diverso, quello della razionalizzazione.
L'idea del decentramento produttivo fuori dei confini non pu svilupparsi così come praticato da molte industrie, e quindi non come decentramento di puri e semplici pezzi di produzione materiale - che, in termini di concorrenza, è possibile decentrare - ricollocando però nel Paese la parte qualitativamente più elevata della progettazione, della ricerca, delle lavorazioni più qualificate e di più alto contenuto tecnologico: il decentramento in corso non comporta alcun miglioramento effettivo dal punto di vista della riqualificazione, della specializzazione della struttura produttiva.
Vale la pena di ricordare, per un veterointernazionalista, che anche il decentramento produttivo ha qualche onere di etica; in questo vorrei ricordare che non è tanto piacevole basare le fortune del progresso nel nostro Paese sulla base di condizioni spaventose di lavoro in Thailandia o di condizioni che sono agli albori dei processi di industrializzazione avvenuti in Europa o negli USA. Questa la prima questione che volevo sottolineare.
Relativamente ai brevetti, la specializzazione nel nostro Paese raggiunge una quantità critica, ovvero una quantità minima accettabile tale da poter ragionare in termini di solidità solo in alcuni settori: l'abbigliamento, le fibre tessili, le macchine per imballaggio, le preparazioni medicinali ed alimentari, il tabacco. Assistiamo alla rivelazione di uno dei più gravi talloni d'Achille della struttura economica e produttiva del nostro Paese; in termini di specializzazione l'analisi dei brevetti permette di verificare che siamo "specializzati" esclusivamente in aree già mature, che non offrono e non consentono più nuove prospettive. In tutti i nuovi settori siamo estremamente arretrati: pur tenendo presente ogni tipo di ragionamento sulla scuola, sulla formazione e così via, questo è sicuramente uno dei punti dai quali occorrerebbe partire.
Terza considerazione. Come molti hanno ribadito, occorre un grande sforzo da parte del Paese per recuperare quanto recuperabile e per modificare gli assetti produttivi: natura, qualità, caratteristiche dello sviluppo. Ma i segnali emergenti sono contraddittori: da un lato si fa riferimento alla natalità, alla mortalità, ai giovani, ci si richiama allo sviluppo costante e così via, ma dall'altro, nella realtà, la natura vera degli intendimenti sono quelli provenienti da Melfi: dopo aver per anni rotto le scatole - a Torino e dintorni - sulla qualità totale, sulla partecipazione dei lavoratori, e sullo spazio da dar loro affinch potessero sviluppare creatività, qualità, compartecipazione, ecc., a Melfi vengono rispolverate due grandi scoperte del capitalismo nostrano: tagliare tempi di lavoro e salari. Ed allora occorre riprendere le mosse dall'istituto politico, dall'istituto legislativo.
Non si tratta unicamente della questione - giusta - sollevata questa mattina dal Consigliere Tapparo secondo la quale Melfi è mezza ferma e produce poco perché diversamente produrrebbe immediatamente rilevanti contraccolpi su Torino e Piemonte. Occorre stabilire quale natura si vuole dare all'auspicabile ripresa e recupero dello sviluppo. Ma se la strada è quella della produzione in quantità attraverso l'aumento dello sfruttamento, siamo davvero al veterocapitalismo. Nei decenni passati certi gruppettari, stroncati dal resto della sinistra, chiedevano "tutto e subito": l'attuale capitalismo ha gli stessi connotati: volgare, da "tutto e subito", senza minimamente porsi alcun traguardo, alcuna prospettiva senza minimamente ragionare in termini di bene sociale, in termini comunitari. No! Si vuole subito tutto quanto possibile.
Vorrei porre una questione al Consigliere Marchini, che spesso riflette sul capitalismo alpino e così via. E' reale: vi sono due diverse concezioni di mercato, di capitalismo. L'una, quella che gli americani chiamano del "now and now is", di fatto il "tutto e subito" in termini di guadagno immediato, giocando tutto quanto è giocabile, non porta mai lontano l'altra, che potremmo chiamare del mercato sociale, si fonda invece sulla nuova capacità di collegare le questioni dell'oggi a quelle in prospettiva il termine usato è "porre il futuro oggi": capacità di affrontare l'oggi guardando al futuro e non sempre e solo a quanto consentirà esclusivamente di rimediare momentaneamente alla natura strutturale della crisi economica di ricreare profitti artefatti ed artificiosi, oltretutto ottenuti sulla pelle di milioni di lavoratori attraverso il taglio sui tempi di lavoro e sui salari e con il peggioramento delle condizioni di lavoro. Ma, visto che si parla tanto di qualità del lavoro, di produzioni, di tecnologia e di innovazione aggiunta, badate bene ad un siffatto meccanismo perché non ne uscirà niente. La gente presa per il collo esce solo stravolta dal lavoro!



PRESIDENTE

Consigliere, le ricordo il tempo.



BOSIO Marco

Ho finito.



(Commento fuori microfono del Consigliere Bosio)



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTICELLI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ha ragione il collega Bosio: l'intero Consiglio è assolutamente sordo: un dibattito di estrema importanza si sta svolgendo nella completa indifferenza. Non ci resta che prendere atto della situazione.
Non farò un intervento ampio come avrei inteso fare, anche perch ritengo che una politica volta a risolvere problemi occupazionali sia profondamente connessa con quelle che sono le scelte politiche complessive della Regione. Non si può parlare di occupazione in modo astratto: la politica sull'occupazione si verifica in un documento che non è ragionieristico-contabile, ma politico per eccellenza: il bilancio. Anche se qualche volta mi è stato spiegato che il bilancio è un fatto ragionieristico, personalmente continuo a ritenerlo il documento politico per eccellenza, il documento dal quale traspaiono nitidamente le scelte politiche di un'istituzione. A mio parere, quindi, solo in quella sede potremo valutare compiutamente le scelte politiche della Regione Piemonte.
La lunga relazione dei vari Assessori, in particolare dell'Assessore Cerchio, ha messo in evidenza la crisi reale e profonda nella quale versa il Piemonte: verità non certo dell'altro ieri, ma già di qualche tempo fa.
Nella passata riunione del Consiglio il collega Picchioni ricord polemicamente il rappresentante della FIAT venuto qui a tranquillizzarci dicendo che la crisi non era poi così grave, che un certo catastrofismo, da parte di qualcuno, era decisamente eccessivo. Al termine della riunione nel venirmi a salutare quella stessa persona mi disse: "Guarda che quando ho accennato ai 'catastrofisti' non mi riferivo al dottor Sabatini intervenuto appena prima di lui - ma a te, che sei sempre lì che parli di crisi, di reindustrializzazione: sono cose che non esistono, in realtà non c'è alcunché di molto grave".
Il punto di vista di chi parlava - il cui intento, evidentemente, era difendere o comunque portare la posizione di un'azienda privata era in qualche misura comprensibile: vista la scelta grave ed importante che la stessa azienda stava compiendo era naturale il tentativo di attutirne l'impatto. Ben più grave, invece, l'atteggiamento della Giunta. Quando due anni fa parlavo di deindustrializzazione nella nostra Regione ero guardato con sufficienza, e mi si diceva che non c'erano motivi di particolare preoccupazione. Ricordo una sua intervista rilasciata due anni fa, prima della pausa estiva, a "La Stampa", signor Presidente: lei sosteneva che la crisi, sì, c'era, ma che era congiunturale, una crisi ciclica e niente di più; lei pensava, anzi, che si trattasse di una crisi meno drammatica della precedente e che con l'autunno ci sarebbe stato un nuovo avvio dell'attività economica e industriale. Che grave errore di valutazione signor Presidente!



RIVALTA Luigi

E' da tre anni che si sa tutto: dalla presentazione del programma della Giunta.



RIVALTA Luigi

BRIZIO, Presidente della Giunta regionale



RIVALTA Luigi

Sono cambiate tante cose... Risponderò nella replica.



FERRARA Franco

Grave errore di valutazione pensare che si trattasse di una congiuntura ciclica e non, invece, di una crisi strutturale, seria e profonda che stava investendo la Regione e il suo sistema industriale. Mi pare che un atteggiamento più realistico sia oggi condiviso da tutti, ormai: siamo in presenza di una crisi gravissima, che non ha precedenti se non in anni molto lontani. Credo però che un generale per essere considerato all'altezza del suo compito nell'affrontare una sconfitta non debba unicamente riportare con precisione perdite, morti e feriti: un generale è valido quando sa proporre una qualche tattica capace di invertire la tendenza sfavorevole e creare le condizioni affinché morti e feriti cessino. Dunque, una politica capace di affrontare positivamente le prospettive esistenti.
Non più di due/tre settimane fa ho svolto un intervento assai polemico su certe politiche attive del lavoro: non voglio tornarci sopra; ho sentito il collega Calligaro affermare più o meno le stesse cose: in realtà non esiste alcuna politica attiva del lavoro.
La Giunta non può limitarsi ad affermare l'importanza della programmazione unicamente nelle relazioni scritte, deve attivarsi per avviare quella programmazione; deve individuare un progetto e darsi un programma. Questo quanto ci aspettiamo, quanto indispensabile per affrontare la situazione.
Se è reale che la situazione è più grave rispetto a tre-cinque anni fa chiedo quali saranno i comportamenti - diversi - per affrontare tale maggiore gravità.
Ribadisco quanto ho detto più volte: il bilancio approvato per il 1992 era uguale a quello del 1991, del 1987, del 1985: l'impostazione era la stessa, non c'erano differenze. Anche relativamente al bilancio 1993 dall'impostazione nuova ed originale - che abbiamo apprezzato pubblicamente "a base zero", stiamo verificando che a base zero non era... Oggi, alla manifestazione degli artigiani, si diceva: "Bilancio: zero!", a mo' di voto, non come base.
Mi auguro che il bilancio in discussione subisca, prima della sua approvazione, significative, qualitative e mirate modifiche rispetto al testo presentato. Se questo non avvenisse, signor Presidente, la maggior parte di quanto affermato oggi, anche da parte della maggioranza, risulterà vana affermazione, priva di costrutto successivo; semplici enunciazioni che non portano a proposte concrete.
Non ritengo necessario, nell'affrontare il problema, ritornare a tutti i provvedimenti legislativi e a tutte le iniziative intraprese; è fondamentale che in sede di replica il Presidente Brizio, oltrech enunciarci tutta una serie di cose, ci delinei un disegno complessivo.
La volta scorsa ho commesso l'errore di citare uno studio svolto dall'Università di Torino per conto della Camera di Commercio - il documento dell'IRES peraltro citato anche dal collega Ferraris, molto attento e preparato (avevo citato anche il suo amico Zanetti, signor Presidente, che sosteneva le stesse cose).
Spero che il Consigliere Picchioni non mi rimproveri nuovamente, visto che l'altra volta mi disse che non dovevo perdermi troppo su questi documenti e citandomi Aristofane sostenne che era meglio stare con i piedi per terra che non con la testa tra le nuvole. Ci sono, evidentemente diversi modi di affrontare i problemi.
Ho avuto il piacere di leggere le considerazioni finali - faticose e difficili: non è materia semplice dell'intervento del nuovo Governatore della Banca d'Italia. Si tratta quindi di qualcosa di molto recente: mi era stato fatto notare che il documento della Camera di Commercio era datato anche se si trattava di venticinque giorni e non di venticinque anni prima...



FERRARA Franco

BRIZIO, Presidente della Giunta regionale



FERRARA Franco

Hai letto anche quello sul Piemonte? Ne parlerò nella replica.



FERRARA Franco

Benissimo.
Il Governatore sostiene che la crescita della produzione e dei posti del lavoro - tra loro collegate - si fonda in primo luogo sugli investimenti delle imprese: "Spetta allo Stato e all'Amministrazione pubblica fornire servizi funzionali e promuovere in condizioni di economicità..."; quindi anche il Governatore della Banca d'Italia ritiene che crescita e salvaguardia dell'occupazione non traggano impulso da provvedimenti di politica assistenziale - quando non clientelare ma dalla crescita complessiva del sistema. Ed è esattamente quanto noi sosteniamo da molto tempo. E' modo diverso, questo, di fare politica e di avanzare proposte rispetto allo sfoggio di cultura, un po' salottiera con citazioni di autori di 2/3.000 anni fa, dallo scarso costrutto, ben lontane da qualsivoglia proposta concreta sui problemi attuali della nostra Regione.
Credo occorra la modestia di leggere anche quanto propongono concretamente, le persone che in questo si cimentano, oggi.
Questo quanto personalmente ho cercato di fare e che credo debba fare anche la maggioranza; diversamente, pur continuando a dibatterne, non riusciremo a dare risposta ai problemi che affliggono il Piemonte. Ritengo inoltre che relazioni ampie ma non puntuali e non inserite in un disegno complessivo si riducano ad essere esercitazioni - a volte anche ottime - di eloquio e discussione, chiacchierate senza alcuna possibilità di risolvere gravi problemi, che richiederebbero invece, signor Presidente provvedimenti concreti, corretti, puntuali. Questo quanto noi ci aspettiamo dal bilancio, così come verrà modificato in sede di discussione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

Si è convenuto di concludere per oggi il dibattito sull'occupazione subito dopo il prossimo intervento del Consigliere Marchini che ha chiesto la parola.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri. Temevo che l'odierno dibattito si riproponesse come una delle stazioni della "via crucis" della vita della nostra istituzione: appuntamenti per i quali ci si deve comunque fermare ma durante i quali ognuno di noi pensa agli affari propri: fa parte del rito! Le attuali circostanze politiche hanno invece fatto sì che il dibattito si collocasse in un momento particolarmente significativo della storia delle istituzioni e questo ha introdotto forti elementi di novità.
Innanzitutto, devo ringraziare i colleghi Assessori che hanno svolto come al solito, un'informativa estremamente puntuale, documentata ed attenta e che hanno dimostrato grande attenzione ai problemi loro delegati anche se traspariva dai loro interventi il disagio di trovarsi chiusi in un vicolo cieco che non li porta da alcuna parte.
Nell'analogo dibattito di alcuni giorni fa sono stato rimproverato dal collega Picchioni di avere usato il termine "epocale" tredici volte in quindici minuti: il collega mi ha rimproverato giustamente: avrei dovuto ripeterlo almeno quindici volte e non due volte in meno.
I fatti esterni mi danno da intendere che questa intuizione, alla quale sono particolarmente affezionato, cominci a trovare qualche altro soggetto che la condivide.
Il gruppo "Sommellier '93", che voleva costituire l'attuale on.
Novelli, sostanzialmente era simile al gruppo costituitosi un secolo fa per capire cosa doveva fare il Piemonte a seguito di una crisi epocale: trasferimento della capitale. Novelli, resosi conto di essere in una situazione epocale, ha cercato di individuare strategie di tipo epocale.
Quando si parla di crisi strutturale ci si riferisce automaticamente alla struttura aziendale: è l'azienda, è l'impresa ad essere strutturalmente in crisi. Dal dibattito di oggi scopriamo che non è l'azienda ad essere strutturalmente in crisi, ma il sistema-Piemonte.
Il collega Ferraris ha svolto uno splendido intervento: gli ho scritto due righe per complimentarmi e per dirgli che se oltre ad essere bravo fossi serio, puntuale ed attento come lui, avrei svolto un intervento esattamente pari al suo.
Il collega Ferraris ha esordito "smontando" alcuni miti che il collega Goglio, intervenuto immediatamente prima, aveva riproposto: il Piemonte ha risorse, ha imprenditoria, ha professionalità: non è vero niente di tutto ciò! Il Piemonte non ha più niente rispetto alle aree nelle quali si deve collocare, nelle aree industriali, nelle "aree d'eccellenza", termine usato dal neosindaco di Torino.
Dai dati proposti dal collega Ferraris risulta una scolarità sotto la media relativamente ad aree d'eccellenza - 50% di laureati - ma il direttore della Cassa di Risparmio di Torino sostiene che non ci sono problemi di risorse: mancano le idee. Inoltre, da uno studio svolto (non ricordo quando sia stato illustrato, ma sicuramente qualche collega avrà letto almeno i titoli) risulta che il tasso di imprenditorialità della piccola e media impresa piemontese è minimo.
La crisi strutturale, Presidente della Giunta, non è dell'impresa, è del sistema-Piemonte! Siamo al 22 giugno 1993: la società è strutturalmente in crisi anche relativamente ai dettati di alcune filosofie emerse durante il dibattito: il Consigliere Calligaro ci dice che si preferisce pagare la disoccupazione piuttosto che creare posti di lavoro. Verità sotto gli occhi di tutti, ma con la quale temo dovremo fare i conti. Sul quotidiano "Repubblica" di qualche giorno fa, un giornalista, citando un dibattito istituzionale, si è stupito che nessun esponente avesse avuto il coraggio di dire che dovremo abituarci, in futuro, a convivere con tassi di disoccupazione vicini al 50%.
Questo lo scenario. Le strategie d'attacco non possono essere quelle delle politiche attive del lavoro, che possono incidere solo marginalmente sui costi di un'opera che comunque sarebbe stata avviata. L'imprenditore che decide di avviare una propria azienda in un'area artigianale o in un'area imprenditoriale industriale attrezzata, sicuramente è ben lieto di essere stato messo nella condizione di subire costi inferiori, ma non è quella la condizione che lo ha portato a realizzare l'impresa.
Occorre fare in modo che la Regione sia in grado di sviluppare un progetto volto alla ricostruzione di condizioni di eccellenza relativamente a determinate aree imprenditoriali: non vi è altra scelta. Non ci si deve scandalizzare se segmenti della produzione vengono trasferiti altrove; tale trasferimento fa parte del processo liberatorio di progresso del mondo non del nostro Paese. Se i Paesi sottosviluppati producono beni da noi prodotti dieci anni fa, significa che la loro qualità di vita, di aspettativa di vita è pari a quella della generazione che ci ha preceduti.
E' un processo di sviluppo mondiale, di liberazione dalla fame, dal bisogno, dalla miseria, del quale dobbiamo essere consapevoli e dal quale non si torna indietro. Il mondo non si fermerà per consentire all'Europa di gestire il prodotto della ricchezza dal momento "A" al momento "Z" anche perché l'Europa non è nelle condizioni di produrre le risorse per acquistare tali prodotti.
Si parla di "villaggio globale": dobbiamo abituarci a fare la nostra parte: essere area imprenditoriale d'eccellenza, in grado di attirare sul proprio territorio l'impresa dell'anno 2000, e non di riciclare vecchi tipi di sistema imprenditoriale.
Presidente Brizio, l'appuntamento è stato fissato. Con le elezioni di domenica scorsa si è avuta la straordinaria dimostrazione di come la cittadinanza torinese sappia mobilitarsi rispetto ad un'occasione - non mi riferisco alla prima fase in cui ognuno di noi si è presentato come forza politica e quindi ragionava in termini partigiani: gli sconfitti al primo turno (cioè noi) possono guardare a quello di domenica scorsa come ad appuntamento sociologico prima ancora che politico.
Sostanzialmente, Torino ha rifiutato l'ingessamento-Novelli; tutti gli altri, qualunque fosse la collocazione politica precedente, hanno scommesso su un progetto di modernizzazione. Problema drammatico è sapere se il processo di modernizzazione di Torino possa andare avanti a prescindere dalla capacità di un analogo processo di modernizzazione del Piemonte.
Il problema si pone in primo luogo in termini istituzionali, signor Presidente; non dobbiamo assuefarci all'idea che fra due anni andremo alle elezioni amministrative e che quindi siamo alla fine; in realtà, fra due anni saremo alla metà del progetto Castellani: fra due anni il prof.
Castellani, la sua maggioranza e la sua Giunta avranno prodotto l'intera loro capacità progettuale. Mi domando se la Regione possa essere assente in una fase in cui Torino cerca di costruire una grossa scommessa, un grosso progetto.
Il prof. Castellani dice di voler istituire un'agenzia per l'internazionalizzazione di Torino; mi chiedo se sia accettabile tale agenzia e non quella per l'internazionalizzazione del Piemonte.
Non mettiamoci in concorrenza, non diciamo: "Noi l'avevamo già detto" da un punto di vista più sociologico che politico dobbiamo ammettere che la novità torinese, a prescindere dalla formula politica che ci può piacere o meno, è l'unica scommessa possibile sulla quale giocare il futuro di Torino. La Regione Piemonte, anche istituzionalmente, non può restare indifferente: deve dimostrare disponibilità al progetto, senza la supponenza di voler essere noi chi programma e l'altro colui che attua scopriremo il contrario: sarà la città di Torino a programmare e noi a gestire, magari, qualcosa.
Bisogna riconoscere che vi sono stati accadimenti sui quali non si pu non riflettere. A Torino, fra vinti e perdenti, c'è stato chi ha rischiato moltissimo e ha vinto - il PDS - pagando prezzi altissimi, rompendo con una sua tradizione, con un suo patrimonio, con un suo vissuto ed accettando di essere ridotta al 9% dei voti: il prof. Castellani ha vinto, ma il PDS ha preso il 9% dei voti, i liberali il 3%.
Non possiamo quindi misurarci in termini di vincitori e vinti: dobbiamo cercare di capire "cosa" ha vinto a Torino e non "chi" ha vinto. A Torino è nata una scommessa, la voglia di un progetto fortemente innovativo; ho l'impressione che la Regione istituzionalmente debba porsi il problema di come concorrere a realizzare questa voglia di progettare il nuovo, poich in due anni si realizza e si perfeziona il progetto, non si può realizzarne il contenuto.
Nessuno di noi può accettare il principio per cui, visto che tra due anni finirà la legislatura, possiamo tranquillamente trascinarci sull'ordinario: stipendi, riscaldamento, pulizie... Personalmente rifiuto un tale approccio, ma questo non può che comportare la consapevolezza che l'attuale maggioranza - e Giunta è nata nella logica del trascinamento rispetto alle decisioni che riguardavano il Comune di Torino, non solo in termini di maggioranze e di Giunte, ma anche di contenuti e di modo d'essere.
Qualcuno ci rimproverava i tempi lunghi delle procedure regionali: sottolineo che non sono un inconveniente casuale, ma una realtà voluta perché il modo di far politica al quale ci siamo abituati era quello di "vivere il problema". Il problema, paradossalmente, una volta risolto non rendeva più, nel senso nobile del termine. Era bene che perdurasse il più a lungo possibile e che le relative pratiche, pervenute dalle Associazioni di categoria, venissero filtrate attraverso gli uffici, analizzate dalla Commissione, verificate in qualche incontro. Seguiva una deliberazione di Giunta; questo ci faceva convivere con i cittadini e con gli interessi per l'intera durata della legislatura. Noi abbiamo sempre praticato una politica di trascinamento che sostanzialmente è la storia del Paguro Bernardo: riuscivamo a convivere con i nostri elettori e far permanere nel tempo il consenso ottenuto al momento dell'elezione; politica di trascinamento rispetto alle decisioni del polo torinese e agli umori dell'opinione pubblica di cui le attuali maggioranza e Giunta sono le ultime eredi.
Temo che questo modo di far politica vada rivisto; non si può - dico questo rischiando la scomunica - non prestare la dovuta attenzione a chi come il collega Tapparo - parla dell'esigenza di verificare l'opportunità di una nuova dislocazione della maggioranza, e non di una nuova maggioranza. Il problema esiste; non è immaginabile che forze politiche che a Torino hanno scommesso e vinto su un progetto di modernizzazione e avanzamento della società civile non si trovino, in questa sede, in termini sinergici rispetto al progetto lavoro torinese.
E' una contraddizione che non possiamo vivere. Certamente qualcuno non sarà d'accordo sul progetto-Torino; personalmente, mi riconosco nella "speranza Castellani" (adesso la chiamo così) e mi auguro di poter fornire il mio contributo affinché questa speranza si realizzi.
Sicuramente l'attuale struttura della maggioranza e della Giunta l'attuale cultura regionale debbono essere riviste innanzitutto in termini istituzionali per evitare che la Regione venga by-passata rispetto a progetti e scelte di modernizzazione. Sicuramente il prof. Castellani si chiederà il motivo del 50% in meno di laureati rispetto a Lione, e probabilmente verrà rilanciato il Politecnico di Torino; ma il problema deve essere posto alla comunità regionale, al sistema universitario regionale e non al sistema torinese.
Il TGV. Il problema dal prof. Castellani verrà visto soprattutto come problema della città di Torino: noi lo dobbiamo vedere come problema dell'area socio-economica piemontese.
Non possiamo consentire la solitudine di Torino rispetto a queste tematiche; ne soffrirebbe l'istituzione, come ruolo, e ne soffrirebbe il risultato, per forza di cose parziale rispetto al problema nella sua globalità. Soprattutto, rischiamo di essere ricordati nella storia come dei sopravissuti, come i Conti Ugolino della situazione, rimasti chiusi in una torre per due anni a divorarsi il cranio l'un l'altro. Personalmente preferirei uscire dalla torre, accettare il rischio di scendere in campo aperto - e vincere se ne avrò possibilità.


Argomento: Iniziativa legislativa popolare e degli enti locali

Esame ordine del giorno n. 599 relativo all'abolizione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo


PRESIDENTE

Passiamo al punto 31) all'o.d.g. che prevede l'esame dell'ordine del giorno n. 599.
La parola al Consigliere Cucco, anche se, forse, occorrerebbe la presenza dell'Assessore Cantore...



CUCCO Vincenzo

Lei mi ha letto nel pensiero...



PRESIDENTE

Questo anche perché io le risponderei quanto ho già detto l'altra volta.



CUCCO Vincenzo

Francamente non capisco il motivo per cui un Assessore contrario ad un ordine del giorno non lo dica n' a chi ha sottoscritto il documento n' pubblicamente.
Se c'è qualcosa in contrario a questo ordine del giorno, discutiamone.



PRESIDENTE

Puntualizzo che l'altra volta l'Assessore Cantore, votando il documento sul turismo, nel momento in cui gli ricordai che c'era anche il documento cosiddetto "Cucco"...



CUCCO Vincenzo

Sullo spettacolo...



PRESIDENTE

Sì, anche se si disse che sostanzialmente era ricompreso in quello sul turismo.



CUCCO Vincenzo

No, non era così.



PRESIDENTE

Allora intervenga, così chiarisce la questione.



CUCCO Vincenzo

Chiedo semplicemente che sia messo in votazione il documento. Colgo fra l'altro l'occasione per ringraziare l'Assessore Fulcheri, che è stato molto gentile ad inviarmi il documento di lavoro che gli Assessori regionali hanno già predisposto in materia, peraltro nella direzione dell'ordine del giorno che noi abbiamo formulato, anche se il nostro documento prevede anche altre cose, in particolare di competenza dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio, al fine di smuovere la politica dello spettacolo in Regione e per avviare delle iniziative per comprenderla maggiormente.
Pertanto, chiedo sia messo in votazione il documento anche perché non è assolutamente in antitesi con l'ordine del giorno sul turismo già votato.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cantore.



CANTORE Daniele, Assessore regionale

Concordo con quanto detto dal collega Cucco. In realtà quando si presentò l'ordine del giorno sul turismo si ritenne che potesse comprendere anche la parte relativa al turismo del documento Cucco. Non erano presenti in aula né il Consigliere Cucco né il collega Fulcheri, ma vista l'urgenza come il Consigliere Cucco saprà c'è il tentativo di riproporre il Ministero a livello nazionale si pensò di mandare avanti la parte riguardante il turismo. Da parte mia quindi non c'è alcun ostacolo affinch si voti la parte inerente lo spettacolo che peraltro, in relazione alle notizie in mio possesso, dovrebbe comunque essere scorporata dal turismo.



PRESIDENTE

Pongo pertanto in votazione l'ordine del giorno n. 599 sottoscritto dai Consiglieri Cucco, Picchioni, Leo, Foco, Marino, Bortolin, Marengo Giuliano, Vaglio, Majorino, Marchini, Monticelli, Spagnuolo e Chiezzi, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte, premesso che il 18 e 19 aprile gli italiani si sono espressi per l'abrogazione della legge istitutiva del Ministero del Turismo e dello Spettacolo la volontà popolare va incontestabilmente verso il trasferimento delle competenze sul turismo e sullo spettacolo alle Regioni, fatte salve le necessarie funzioni di indirizzo, coordinamento e programmazione nazionale le recenti affermazioni del Presidente del Consiglio su questa materia prefigurano una scelta governativa che non prevede alcun trasferimento alle Regioni in materia di spettacolo chiede al Presidente della Repubblica, al Governo e al Parlamento la piena attuazione del risultato referendario anche nel settore dello spettacolo definendo, in accordo con le Regioni, le materie da trasferire chiede inoltre al Governo di riformare gli enti nazionali operanti nel settore dello spettacolo, armonizzando le loro funzioni al nuovo assetto che scaturirà dall'applicazione del referendum impegna la Giunta regionale a: a) sostenere questa posizione presso il Governo, il Parlamento ed altre Regioni, con particolare riferimento a quelle che hanno proposto il referendum abrogativo b) chiedere una riunione degli Assessori regionali competenti in materia al fine di concordare una posizione comune, in particolare per sostenere: 1) la chiara ed urgente definizione delle competenze statali e regionali 2) l'assegnazione alle Regioni di competenze piene e specifiche nel settore dello spettacolo, con riferimento ai settori della: promozione distribuzione ed organizzazione dei circuiti servizi alle compagnie e alle strutture dello spettacolo sostegno alle produzioni di natura locale sviluppo e promozione dei rapporti in ambito europeo c) elaborare una proposta di intervento complessivo per il riordino degli interventi regionali - anche rivedendo la proposta di legge regionale oggi giacente in Consiglio - nel settore dello spettacolo da sottoporre alla competente Commissione consiliare entro 60 giorni dall'approvazione della presente mozione impegna l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale a: d) convocare una Conferenza regionale sullo spettacolo in Piemonte, ove tutti i soggetti pubblici e privati del settore possano confrontare programmi ed idee alla luce dell'esito referendario e delle proposte della Giunta (vedi punto c) e delle forze politiche".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 34 Consiglieri presenti.


Argomento:

Interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno (annunzio)


PRESIDENTE

Le interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegate al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 17,25)



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