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Dettaglio seduta n.237 del 22/06/93 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
La Conferenza dei Capigruppo ha convenuto di dedicare l'intera odierna seduta al dibattito sulla situazione occupazionale in Piemonte, di cui al punto 10) all'o.d.g.
Pertanto, i punti relativi alle interrogazioni ed interpellanze vengono rinviati alla prossima seduta. Vengono altresì rinviati i punti 7), 8) e 9) all'o.d.g.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 6) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale" comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Cattaneo, Coppo, Grosso e Sartoris.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge vistati dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

Richiesta di inversione punti all'o.d.g.


PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Chiezzi; ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, colleghe e colleghi Consiglieri. Ricordo al Consiglio che nella scorsa seduta si è svolta una discussione in merito al problema dell'assetto della Giunta nell'ambito del Consiglio regionale e che a conclusione della stessa, insieme ad altri colleghi (i Consiglieri Maggiorotti, Marino, Giuliano, Segre, Miglio e Vaglio), avevo presentato un ordine del giorno di richiesta di dimissioni della Giunta.
In sede di Conferenza dei Capigruppo abbiamo deciso di svolgere, nella seduta odierna, il dibattito sull'occupazione; il sottoscritto non richiede di anticipare la discussione dell'ordine del giorno alla comunicazione della Giunta sull'occupazione e alla relativa discussione, ma che immediatamente dopo venga posta ai voti la richiesta di inversione del punto 11) con il punto 33) all'o.d.g., per poter discutere l'ordine del giorno con cui richiediamo motivatamente le dimissioni della Giunta regionale.



PRESIDENTE

Il Consigliere Chiezzi, come peraltro aveva anticipato in sede di Conferenza dei Capigruppo, a norma di Regolamento (ai sensi dell'art. 51 comma terzo, chiede l'anticipazione del punto 33), che prevede l'esame dell'ordine del giorno n. 604 di richiesta di dimissioni della Giunta regionale, al punto 11), cioè dopo le comunicazioni della Giunta regionale sulla situazione occupazionale in Piemonte.
Il Regolamento prevede, a proposito di tali richieste, un intervento a favore, già svolto dal Consigliere Chiezzi, ed uno contrario.
Ha chiesto la parola il Consigliere Picchioni; ne ha facoltà.



PICCHIONI Rolando

Siamo assolutamente contrari alla richiesta inversione dell'o.d.g.
perché la ripetizione ad oltranza dell'escamotage politico-assembleare da parte dell'amico Chiezzi non credo possa avere ulteriore udienza da parte di quest'aula. D'altra parte, dal 6 giugno ad oggi, mi pare che i fatti si siano svolti in maniera totalmente diversa da quanto il collega Chiezzi poteva presumere od auspicare. Inoltre, questa funzione così "balillesca" di pilotare il Consiglio secondo i propri conati politici ritengo debba trovare uno stop definitivo.
Pertanto, siamo assolutamente contrari; il dibattito politico richiesto lo possiamo svolgere quando volete, rispettando però cronologicamente la presentazione degli ordini del giorno.



PRESIDENTE

Pongo pertanto in votazione la richiesta di inversione del punto 11) con il punto 33) dell'o.d.g. avanzata dal Consigliere Chiezzi.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La richiesta è respinta con 2 voti favorevoli, 17 contrari e 10 astensioni.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni della Giunta regionale sulla situazione occupazionale in Piemonte


PRESIDENTE

Passiamo pertanto al dibattito sulla situazione occupazionale Il Piemonte, aperto da una comunicazione dell'Assessore al lavoro, Cerchio.



CERCHIO Giuseppe, Assessore regionale

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, come aggiornamento temporale della relazione, ma soprattutto per disamina e attenzione all'evolversi di una situazione occupazionale e produttiva certamente difficile, con un percorso tutto in salita, nonostante la particolare attivazione dell'impegno da parte dell'Assessorato e della Giunta nel suo complesso inizio col dirvi che la crisi, a partire dalla seconda metà del 1990, con rapida progressione ha coinvolto l'economia piemontese e continua a manifestarsi in tutto il suo spessore e la sua gravità produttiva e occupazionale.
I segnali di una possibile "ripresina", colti tra l'altro nei mesi e nelle settimane scorse da alcuni osservatori, connessi al miglior andamento delle esportazioni per il più favorevole rapporto del cambio della lira sono per la verità, come avete avuto modo di registrare, stati rapidamente ridimensionati dall'analisi dell'insieme dei dati produttivi e occupazionali e dallo stesso andamento dei mercati, che confermano in pieno il perdurare della difficile situazione.
I dati più recenti sulla produzione industriale, resi noti a livello nazionale nei giorni scorsi dall'ISTAT, confermano obiettivamente la continuità di una crisi che nel settore, ad esempio, dei mezzi di trasporto, così importante per il Piemonte, assume consistenza assai pesante, con una caduta della produzione di quasi il 20% nei primi quattro mesi del 1993.
La durata della recessione che investe il settore industriale; la sua consistenza ed estensione che tocca obiettivamente tutti i principali settori dell'economia e della produttività della realtà regionale piemontese (dall'auto al settore metalmeccanico, dall'informatica al tessile, al chimico) e che tocca, in gran parte delle aree territoriali del Piemonte, non solo le grandi aziende, ma anche le piccole e medie aziende (il fenomeno, almeno negli anni '80, non aveva coinvolto il sistema delle piccole e medie imprese, le quali, pur di fronte a processi di ristrutturazione, avevano mantenuto un certo livello occupazionale): tutti questi fattori determinano un rischio oggettivo di deindustrializzazione della Regione sia per il ridimensionamento dei grandi Gruppi leader sia per le difficoltà per le piccole e medie imprese, a crescere e svilupparsi.
Va inoltre considerato che alla crisi del settore industriale si è poi aggiunto anche quello di altri settori, che hanno avuto, soprattutto in questi ultimi mesi, un'accelerazione particolare; basti pensare, ad esempio, al settore dell'occupazione nell'edilizia, che pur aveva tenuto fino a sei/sette/otto mesi fa, e che oggi vive - anch'esso momenti di difficoltà.
Sono note peraltro le difficoltà nel commercio e nell'artigianato, i vincoli delle assunzioni nella Pubblica amministrazione e - ripeto - la grave crisi dell'edilizia, conseguente alla paralisi degli investimenti.
Il prodotto interno lordo piemontese, che già nel 1991 risultava inferiore a quello dell'anno precedente, nel 1992 è ulteriormente diminuito; la flessione ha coinvolto tutti i settori, interessando in modo particolare l'industria manifatturiera, ed anche, dopo un lungo periodo di crescita, lo stesso settore del terziario che in Piemonte ha registrato una contrazione dei livelli produttivi pari allo 0,4%, in controtendenza rispetto al dato nazionale, ancora positivo.
Sono dati significativi che insieme ad altri, relativi al mercato del lavoro, confermano la persistente gravità della situazione piemontese, non solo in termini congiunturali, ma - come ormai è consolidato anche in termini strutturali.
Le ultime informazioni sull'andamento del mercato del lavoro segnalano una congiuntura negativa che si sostanzia in un forte aumento della disoccupazione e in una riduzione meno marcata ma comunque apprezzabile dell'occupazione, e che segna una preoccupante accelerazione soprattutto a partire dalla seconda metà del 1992.
Le persone in cerca di occupazione nel corso del 1992 registrano una crescita del 15,4%, con un incremento più consistente per gli uomini.
Mi permetto di svolgere una relazione piuttosto agile, richiamandomi ad una relazione scritta, in corso d'arrivo, terminata questa notte ed alla quale è accluso un ulteriore allegato riguardante i singoli comparti, che in qualche misura risponde ad una serie di ripetute interrogazioni considerate esaurite con tale comunicazione al Consiglio regionale.
A questa dinamica corrisponde un'impennata del tasso di disoccupazione che nel giro di un anno sale di oltre un punto percentuale, passando dal 7 all'8,1%. La sola area provinciale non interessata dall'incremento della disoccupazione in Piemonte è sostanzialmente l'area di Cuneo. In tutte le altre province la crescita è consistente, in particolare ad Asti e a Torino, dove il dato torna ad essere a due cifre, raggiungendo nel 1992 il 10,1% dall'8,9% dell'anno precedente e dove le persone in cerca di occupazione, che erano 90.000 nel 1991, si attestano a quota 103.000. Gli occupati segnano una contrazione dello 0,9% (meno 17.000 unità); il saldo negativo è sostanzialmente frutto di variazioni in segno opposto dei diversi settori di attività. L'occupazione si riduce in agricoltura e nell'industria in senso stretto; rimane stabile nell'industria delle costruzioni, almeno fino al termine del 1992, anche se in questi primi mesi del 1993 anche qui si registra un calo. Rimane sostanzialmente in crescita nel terziario: più 15.000 addetti (+1,6%).
Tutti i dati provinciali confermano questo trend discendente con punta negativa a Vercelli; in provincia di Torino si registra una perdita di 19.000 posti di lavoro nell'industria, ma il dato trova una certa compensazione nel risultato positivo segnato dal terziario e nella tenuta dell'occupazione agricola. Questo quadro preoccupante trova conferma in tutti gli altri indicatori disponibili.
Vale forse la pena citare le statistiche a livello nazionale sull'occupazione nella grande industria, che nel 1991 registrano una flessione del 5,5%, e quelle sulla produzione industriale, in calo del 1,6 rispetto all'anno precedente. L'Unioncamere comunica che nel 1992 il saldo fra natalità e mortalità delle imprese è negativo per 90.000 unità.
In Piemonte, tra l'altro, spicca l'incremento della cassa integrazione straordinaria, che raggiunge i 24,5 milioni di ore, due terzi dei quali in provincia di Torino, con un saldo positivo sul 1991 del 32%; la componente ordinaria continua a crescere, superando i 40 milioni di ore (+13,7%).
Dai dati sugli avviamenti al lavoro provenienti dalle sezioni circoscrizionali per l'impiego emerge la situazione di grave difficoltà in cui versa la domanda del lavoro. Nel 1992 si registra una flessione nelle chiamate del 4% rispetto all'anno precedente; contrazione ancora relativamente contenuta ma che arriva, dopo il calo più marcato verificatosi già nel 1991, ad un -13%. La diminuzione degli avviamenti al lavoro si concentra specie nell'industria (-8%) e nella Pubblica amministrazione (-14,4%).
Nel primo trimestre di quest'anno (1993) si registra un'ulteriore accelerazione di questo ritmo di caduta, con una riduzione degli avviamenti del 25% nei confronti dei primi tre mesi del 1991; dinamica negativa che interessa maggiormente la componente maschile. Queste anticipazioni sul primo trimestre 1993 fanno ritenere che lo scenario che si va prospettando per l'anno in corso sia ancora più preoccupante di quello, per la verità già grave, del 1992. Dopo il breve stop della primavera 1993, dovuto essenzialmente ad un cambio della normativa di riferimento, sono infatti continuate ad aumentare le iscrizioni alle liste di mobilità.
Nell'ultima seduta di metà giugno, la Commissione regionale per l'impiego ha registrato il superamento delle 15.000 unità iscritte alla mobilità. In pratica, ogni nuova seduta della Commissione regionale per l'impiego registra un incremento di circa 800-900 lavoratori inseriti in tali liste.
Il dato torinese all'interno del quadro di riferimento regionale incide peraltro per oltre il 61% sul dato regionale; le donne sono ancora la maggioranza, il 57%, sebbene in questi ultimi mesi la differenza con la componente maschile si stia in parte riducendo. E' alto il numero di iscritti nel capoluogo regionale e nei Comuni della prima cintura, in particolare a Moncalieri, a Rivoli, a Ciriè, a Orbassano; tutti gli altri capoluoghi di provincia, escluso Cuneo, presentano situazioni egualmente preoccupanti e nelle subaree provinciali si registrano situazioni difficili, in particolare a Verbania, Borgomanero, Borgosesia, Biella e Novi.
Nel frattempo, sono state cancellate dalla lista di mobilità oltre 3.600 persone, il 47% per decorrenza di termini, il 33% per aver trovato a vario titolo un posto di lavoro. In pratica, con una certa approssimazione una persona su tre posta in mobilità trova un nuovo posto di lavoro: dato certamente non esaltante, ma anche non completamente sconfortante. E' certo però, se questa linea di tendenza verrà confermata, che nei prossimi 12-13 mesi ci troveremo presumibilmente, in proiezione, con circa 10.000 nuovi disoccupati, che appesantiranno la situazione già di per sè critica del mercato del lavoro regionale e torinese.
Una volta di più ritengo quindi coerente il provvedimento recentemente assunto dal Consiglio regionale (riprendo un concetto già espresso a maggio, in occasione dell'approvazione dell'ultima legge regionale di attenzione sulle fasce più deboli). Anche se alcune voci (poche per la verità) avevano criticato quell'intervento, personalmente lo ritengo coerente perché si tratta di un provvedimento (sul quale mi soffermerò più avanti) che, al fine di assorbire questo segmento del mercato del lavoro mette in campo una serie di incentivi.
Con questa relazione, che cerco di svolgere nel modo più agile e meno pesante possibile (pur essendo di pesante spessore il problema e relativa gravità), non intenderei illustrare l'analisi articolata e dettagliata delle problematiche dei principali settori produttivi, che rimando alla relazione scritta e agli allegati e a quanto di consolidato in questi mesi abbiamo svolto. Tuttavia, va svolta qualche sintetica annotazione, partendo dal settore dell'auto e della componentistica, sia per il ruolo che questo settore assume nell'economia piemontese sia per la grave crisi che obiettivamente continua a colpirlo: dati recenti sul mercato dell'auto rivelano un'accentuazione della crisi e fanno scivolare in avanti, nel tempo, le previsioni di ripresa.
Il mercato dell'auto in Italia registra oggi un calo dei volumi produttivi di quasi il 22%, a fronte di una media europea di circa il 18 con ulteriore calo della quota di mercato, ormai ridotta sotto il 43,5 delle marche nazionali. Vi è concreta e reale possibilità che quest'anno nel nostro Paese venga consegnato mezzo milione di auto in meno rispetto all'anno precedente: possibilità che, riferita alle attuali quote di mercato, significa circa 200.000 auto FIAT e Lancia Auto in meno.
Francamente, diminuzioni percentuali così forti di volumi produttivi non paiono recuperabili con il lancio di nuovi modelli, anche perché le case straniere non dormono e, per il Piemonte, ai cali di crescita si aggiungono gli effetti di diversi equilibri produttivi nord-sud, dovuti alla ristrutturazione degli insediamenti tradizionali (vedi Cassino) o ai nuovi (vedi Melfi).
Le minori vendite annue e le scelte di FIAT Auto dal 1990 ad oggi configurano una situazione che potrebbe mettere in discussione uno dei grandi stabilimenti produttivi piemontesi o comunque determinare adeguamenti impiantistici tali da provocare un consistente surplus di manodopera. D'altra parte, anche se il processo si è svolto finora in modo soft e quindi non ha suscitato allarmi fortemente preoccupanti o diffusi non può sfuggire all'Amministrazione regionale del Piemonte e al Piemonte nella sua globalità, che il solo mancato rimpiazzo del turn-over di circa 4.500 unità annue equivale, in termini occupazionali dal 1990 ad oggi, alla chiusura di uno stabilimento ben più grosso della Lancia di Chivasso.
In questo contesto è più che mai aperto il confronto per decidere quali provvedimenti assumere dopo l'esaurimento, che si compie in questi giorni della cassa integrazione ordinaria. Le ipotesi potranno essere diverse; noi auspichiamo si affermino soluzioni non traumatiche, quali quelle che stanno emergendo, che si muovono nell'area della volontarietà e del solidarismo.
E' però certo - e non occorre essere Cassandre per dirlo che senza una forte ripresa del mercato della FIAT non potrà protrarsi a lungo nel tempo uno scarto troppo forte fra organico e forza lavoro attiva. La criticità della situazione è dimostrata dalla richiesta FIAT di ricontrattare gli accordi inerenti all'import-export di auto fra i Paesi CEE e il Giappone accordi che in un primo tempo - come qualche Consigliere attento ricorderà la FIAT aveva fermamente difeso.
Effetti occupazionali critici continueranno a realizzarsi anche nella componentistica. Le trasformazioni della filiera automobilistica, in parte anche accelerata dalla flessione del mercato automobilistico e dalle politiche dei prezzi e dai pagamenti della FIAT, causano ristrutturazioni e ridimensionamenti occupazionali delle stesse aziende.
Perdura anche la crisi del settore informatico, caratterizzata - come sapete da una concentrazione territoriale nell'area canavese. L'Olivetti ha operato più fasi di ristrutturazione, che hanno ridotto l'occupazione in Piemonte dai quasi 13.000 dipendenti del 1990 ai meno degli 8.000 attuali con un'ulteriore riduzione avviata all'inizio dell'anno.
Da una riunione alla quale ho partecipato ieri in sede di Unione Industriale ad Ivrea, è emerso qualche segnale, anche se non ufficiale ulteriormente negativo per l'Olivetti, nonostante che nelle scorse settimane e nei recentissimi mesi si fosse registrato qualche dato positivo. I dati più recenti sulle vendite di personal computer in Europa vedono il marchio Olivetti aumentare la propria quota in misura superiore all'andamento del mercato. Questo, unitariamente alla presentazione di nuove linee di prodotti della stessa Olivetti, fa ritenere che il punto più basso del mercato sia stato superato, anche se permane uno stato di latente preoccupazione e di incertezza circa le possibilità che la ripresa definitiva possa essere in qualche misura consolidata.
Anche la Bull ha annunciato un'ulteriore ristrutturazione che investe lo stabilimento localizzato in quel di Caluso. Fra azienda e sindacati è stato raggiunto nei giorni scorsi un accordo che prevede una gestione soft del processo di ristrutturazione.
Il settore tessile, che nei mesi scorsi sembrava registrare una minima ripresa, non riesce a trarre dalle più favorevoli condizioni di esportazione stimoli sufficienti ad uscire dalle difficoltà che il calo dei consumi determina.
Anche le recenti previsioni per i prossimi mesi, emerse in occasione della recentissima assemblea nazionale dell'Associazione Laniera realizzatasi la scorsa settimana, sono impostate al pessimismo per il calo di domanda interna.
Lo stesso settore edile, che fino all'anno passato e all'inizio di quest'anno aveva obiettivamente svolto un ruolo di sostegno all'occupazione, è ora entrato in grave crisi, determinata da una complessità di fattori economici e non, difficili da superare. Gli addetti raggiungevano nel luglio del 1992 le 147 mila unità; all'inizio del 1993 gli occupati, dato stimato, risultano scesi a 115 mila unità.
Devo dire che non tutti i settori presentano aspetti negativi. Il comparto alimentare, ad esempio, sembra ancora, almeno per ora, reggere alla negativa congiuntura economica, che potrebbe tuttavia incidere alla lunga anche su questo settore. Gli andamenti previsti nei diversi settori produttivi piemontesi sono comunque prevalentemente negativi.
Un'ultima osservazione, sulle imprese pubbliche operanti nella regione.
Queste infatti si trovano nella condizione di dover fronteggiare la fase economica negativa, in taluni casi particolarmente pesante - si pensi ad esempio al settore aerospaziale - e nel contempo ad operare in una situazione d'incertezza, sostanzialmente relativa al proprio assetto istituzionale, che incide sulle scelte strategiche aziendali.
A titolo esemplificativo e non esaustivo, si possono richiamare le attese per i programmi Enichem, che interessano particolarmente l'area territoriale dell'Ossola, e la condizione della SIV di Settimo Torinese che rischia di essere danneggiata dall'attesa dell'espletamento delle procedure di vendita; vendita che si sarebbe certamente attuate, ma che in qualche misura ha frenato lo stabilimento da possibilità produttive che lo avrebbe visto fortemente ed intensamente attivo in questo periodo. La situazione rischia di essere danneggiata dall'attesa dell'espletamento delle procedure susseguenti. Attualmente risulta che la vicenda si sia chiusa: si prevedono tuttavia problemi occupazionali che dovranno essere oggetto di contrattazione fra la nuova proprietà e i sindacati.
Sono infine noti i pesanti effetti, anche sui fornitori privati, delle vicende connesse alla liquidazione EFIM. Si rende pertanto necessario che le procedure di privatizzazione per quanto complesse, siano portate a termine una volta stabilite in termini rapidi, e che sia ridefinito il ruolo di quanto invece è destinato sostanzialmente a rimanere pubblico.
In questo quadro, le politiche attive del lavoro che l'Amministrazione regionale ha attivato in questi anni e soprattutto in questi ultimi tempi dispongono da tempo, a mio parere, di una strumentazione articolata piuttosto estesa, soprattutto se si considerano i limiti obiettivi della titolarità delle Regioni in termini di competenza e di risorse strumentazione ovviamente non sufficiente, da sola, a fronteggiare la gravità della crisi.
Sono noti i diversi strumenti da tempo ormai in atto a livello regionale: sostegno alle cooperative formate da soggetti deboli, cantieri di lavoro per disoccupati, appoggio a progetti per l'impiego di lavoratori in cassa integrazione in servizi socialmente utili, il CILO ed altre iniziative.
Sul fronte delle iniziative più recenti in tema di politiche attive del lavoro, la recentissima legge regionale approvata nel maggio scorso ha dato risposta immediata. Proprio in questi giorni il Commissario di Governo ha apposto il visto esecutivo alla legge. Obiettivi e modalità di intervento del provvedimento sono stati ampiamente analizzati a maggio, nel corso della discussione sull'esame della legge; non voglio riprenderne il dibattito, se non per alcune brevissime battute.
Dibattito che, seppure in termini ridotti, qualcuno ha inteso utilizzare per muovere forti critiche; mi rivolgo alle assenze della parte medio-bassa, a destra, di questa assemblea: dopo aver detto in aula che si trattava di una delle migliori leggi che la Regione potesse fare, con il solo limite dei pochi fondi a disposizione, ha poi inviato a tutti i decentramenti regionali una lettera dal contenuto del tutto inverso a quanto aveva detto in Consiglio regionale: ognuno è responsabile delle cose che dice.
In riferimento alla costituzione di un fondo per l'occupazione, si è detto che la legge ha le caratteristiche proprie dell'intervento di un ammortizzatore sociale. Ciò è indubbio, ma la qualità della crisi e la quantità dei lavoratori coinvolti quotidianamente nel processo di esubero dal ciclo produttivo richiedono risposte anche individuali che affrontino immediatamente i drammatici problemi di chi, fino a ieri, aveva un lavoro e oggi non è più in condizioni di mantenere la propria famiglia.
La prevista istituzione del Consiglio Regionale dell'Economia e del Lavoro, cioè del CREL. dovrebbe costituire - attendiamo che assemblea e Commissione portino alla discussione tale istituzione, approvata con deliberazione di Giunta nel febbraio scorso - la sede in cui istituzioni e parti sociali possano confrontarsi tra loro, confrontare i diversi strumenti di politica per l'occupazione, attivati e che stanno per esserlo verificarne, con la partecipazione corale dell'assemblea, le possibili ricadute e la loro rispondenza alle esigenze della comunità piemontese ed eventualmente proporne dei nuovi. Ricordo l'importanza dell'attivazione di questo strumento - il CREL - e in questo senso ne sollecito l'iter in Commissione e in aula.
Si tratterà infine di valutare gli effetti a livello regionale delle politiche per il lavoro e per l'occupazione attivate dal nuovo Governo. Al momento è stato riproposto il decreto legge n. 57, sul quale le Regioni hanno espresso, indicativamente, un orientamento favorevole. Il provvedimento è stato ritirato, nelle scorse settimane, senza tenere conto delle modifiche di notevole importanza introdotte dal Parlamento nel corso della discussione del testo decaduto, che riguardano l'aumento di indennità di disoccupazione, la mobilità lunga per il settore tessile e gli interventi per invalidi.
Occorrerà seguire con attenzione il nuovo iter parlamentare, con l'auspicio che si arrivi ad una conclusione definitiva, che superi la provvisorietà dei decreti emanati e non convertiti.
Altrettanto importante nella pluralità di quanto vi sto esponendo, non per creare direttamente occupazione ma per contribuire in qualche misura a favorirne la crescita in Piemonte, è il ruolo che dovrebbe assumere la formazione professionale. Il tema è certamente complesso e non può essere sintetizzato in poche osservazioni. Ribadisco comunque il nostro impegno già avviato in questi ultimi tempi, a diversificare e a qualificare l'offerta formativa nelle sue varie articolazioni, consapevoli della rilevanza della valorizzazione delle risorse umane in una strategia di sviluppo. Proprio domani, in sede di competente Commissione consiliare, è previsto un confronto sul tema specifico della formazione professionale.
Anticipando alcune brevissime considerazioni, vi informo che in tal sede approfondiremo soprattutto quelle problematiche che hanno assunto in materia spunti di novità, che non possono non tenere conto della stessa transizione del modello produttivo nelle politiche economiche locali e quindi del ruolo sostanziale dello sviluppo delle politiche formative.
Dalla formazione professionale non possiamo certo attenderci risultati o contributi sconvolgenti alla soluzione di problemi gravi ed urgenti; alla formazione, nella sua più ampia accezione universitaria, si richiede soprattutto un disegno sempre più vasto e coerente, che favorisca l'evoluzione positiva del sistema economico-sociale locale verso nuovi equilibri interni e verso nuovi modelli di organizzazione della produzione.
In questo quadro emerge l'importanza di un progetto organizzativo forte capace di mettere insieme e far collaborare risorse pubbliche e private presenti sul territorio. Le politiche formative non devono essere riferite alle previsioni congiunturali di occupazione, ma alla qualità dei fabbisogni formativi da cui dipende il funzionamento competitivo e lo sviluppo degli apparati produttivi locali. In altri termini, non si tratta di rimpiazzare il turn-over oggi bloccato e non basta neppure l'adeguamento tecnico dei profili professionali: si tratta di collaborare affinché si realizzi veramente questa auspicata transizione.
Si tratta di muoverci, come ci sforziamo di fare, per una concezione della formazione lungimirante e moderna, capace di collaborare con le politiche di sviluppo economico e sociale. E' un passaggio non facile, non automatico e certamente arduo, pur di fronte ad una formazione che in Piemonte si è sviluppata ed evoluta; una formazione, la nostra, non passivamente subordinata alla congiuntura del mercato del lavoro; una formazione che già oggi, nel rapporto comparato con altre realtà regionali si colloca con capacità progettuale assai positiva (e non è un giudizio personale mio o di questa Giunta); una formazione che ha attivato tutti i fondi straordinari stabiliti dallo Stato - cito il qualificante esempio dei fondi previsti dalla legge n. 492 che consentiranno notevoli innovazioni nel nostro sistema formativo regionale.
Accennando alla formazione professionale ho implicitamente richiamato la crisi industriale; ritengo quindi giusto esaminare le azioni regionali di politica industriale, pur con le nostre scarse titolarità in materia. A fronte della difficile e grave crisi produttiva ed occupazionale in Piemonte, la Regione ha sviluppato una intensa, articolata e complessa attività, che da un lato si fonda su alcune consolidate linee di intervento, dall'altro cerca di cogliere eventuali nuove opportunità per le Regioni, pur in un contesto di competenze spesso disorganiche e frammentate o di scarse risorse.
Per favorire la crescita delle piccole e medie imprese - questo l'obiettivo dell'Amministrazione regionale e non può che essere tale - la Regione ha posto in essere strumenti importanti come la legge sulle aree attrezzate, la legge n. 56 sull'innovazione tecnologica, il BIC e quant'altre iniziative.
Voglio richiamare la legge n. 56 sull'innovazione tecnologica dimostratasi obiettivamente assai utile ed apprezzata dagli operatori economici; sarebbe necessario aumentarne la dotazione finanziaria, al fine di estenderne la capacità di intervento. Da notare che la dimensione media delle imprese che hanno utilizzato la L.R. n. 56 sull'innovazione tecnologica e che hanno ottenuto finanziamenti si mantiene sotto i 50 dipendenti, evidenziando come la normativa si rivolga in particolare alle imprese minori.
In questi tre anni e mezzo di applicazione della legge, 450 piccole e medie aziende piemontesi hanno goduto di finanziamenti e quindi, all'inizio del 1993, in una situazione di libera circolazione di capitali, di mezzi e di persone, della possibilità di diventare più competitivi in un rapporto comparato con altre realtà nazionali.
La Regione ha anche appoggiato, attraverso Finpiemonte, iniziative volte a rafforzare i sistemi di garanzia offerti agli Istituti di credito per sostenere le attività delle piccole e medie imprese.
Riteniamo che anche nei prossimi mesi sarà importante perseguire nella linea di sostegno all'innovazione tecnologica, che tutte le analisi economiche obiettivamente ritengono fattore strategico per lo sviluppo delle piccole e medie imprese e per l'aumento della loro competitività sui mercati aperti.
Per quanto concerne le aree attrezzate, ai tradizionali obiettivi di riequilibrio economico e territoriali si sono aggiunti quelli più recenti di occasione e stimolo soprattutto per la nascita di nuove imprese e la crescita di quelle esistenti. A tal fine credo debba essere ribadita innanzitutto la necessità che oltre alle infrastrutture primarie - sto parlando delle aree industriali - si presti maggiore attenzione alla dotazione di servizi.
L'ulteriore sviluppo in questa materia è rappresentato dai parchi tecnologici che stiamo sperimentando con l'iniziativa in atto nel Verbano Cusio Ossola, cioè nell'Alto Novarese, che dopo molte difficoltà entra ora in fase operativa. Esistono, come voi sapete, anche altri progetti, in particolare nel Canavese e a Caselle, la cui difficoltà principale è rappresentata dal reperimento delle risorse finanziarie necessarie: questo però, non deve costituire un alibi per non attivare anche nell'Eporediese discorsi legati al parco delle biotecnologie o al distretto industriale o all'Aviation Park di Caselle; attivazione che in queste settimane stiamo seguendo con particolare attenzione.
Gli interventi per i parchi scientifici e, presumibilmente in futuro per i business park, quelli in cui agli investimenti industriali si affiancano quelli commerciali e di ricerca, rappresentano un aspetto importante di una nuova politica industriale, anche se sono numericamente limitati per le loro stesse caratteristiche oltreché per i forti investimenti che richiedono.
Nelle prossime settimane proporremo questi nuovi ragionamenti, queste nuove attenzioni della Regione sul versante delle politiche industriali pur trattandosi di un campo dove abbiamo scarse, per non dire quasi nulle titolarità. I parchi scientifici sono oggetto di particolare attenzione e proposizione non soltanto da parte della Regione, ma anche da soggetti pubblici e privati (l'incontro di ieri, ad Ivrea, sul parco delle biotecnologie ne è un esempio).
In ogni caso, queste novità anche di qualità, non si sostituiscono a più consolidati interventi per le aree attrezzate, che hanno finalità diversa e interessano in misura crescente il territorio regionale. Venerdì scorso l'Unione Industriale di Torino e le Organizzazioni territoriali torinesi hanno presentato alla Regione - al sottoscritto e al Presidente Brizio - una proposta per l'esame di altre due o tre ipotesi di ampie aree industriali ai confini dell'area metropolitana torinese; su questi aspetti avvieremo certamente un confronto attento e preciso.
In tema di aree industriali sarà opportuno avviare una riflessione sulla normativa regionale in materia di aree attrezzate, pur tenendo conto dell'esperienza acquisita e del mutato contesto economico. Potrebbe essere obiettivamente avviato un aggiornamento dell'attuale L.R. n. 9/80 sulle aree industriali, con l'obiettivo di ampliare e qualificare gli interventi nonché di rivedere le procedure operative, rafforzando anche il ruolo degli enti locali ed in particolare delle Amministrazioni provinciali, anche alla luce delle nuove normative sulle Autonomie locali.
A questi strumenti si sono affiancati più recentemente quelli offerti dalla strumentazione comunitaria, dai Regolamenti comunitari e in particolare dal noto Regolamento comunitario n. 2052 e dai recenti rapporti con la Comunità europea sulla quale è opportuno svolgere qualche breve considerazione.
Dopo la prima fase dell'intervento di applicazione del Regolamento comunitario n. 2052 nei confronti delle aree a cosiddetto declino industriale - della provincia di Torino e dell'Alto Novarese - si apre proprio in queste ore, la seconda fase di applicazione; si entrerà in fase operativa a partire dalla fine del 1993 per terminare l'operazione entro il 1995. Questo percorso permette di saldare i lavori della prima fase di applicazione del Regolamento comunitario n. 2052 alla seconda, garantendo continuità agli investimenti.
Credo che sotto il profilo finanziario questa seconda fase sia particolarmente da apprezzare, perché si caratterizza per un investimento complessivo di circa 576 miliardi: 74 della Comunità europea, 75 del Governo, una quindicina della Regione e i restanti da parte di privati: intelligente operazione di congiunzione fra investimenti pubblici e privati, che avranno immediata ricaduta sul territorio regionale piemontese.
Stiamo entrando, come dicevo, nel vivo dell'operatività. Ai primi di giugno è stato pubblicato un Bollettino Ufficiale speciale contenente i bandi per la partecipazione ai contributi pubblici, dove soggetti pubblici e privati, enti locali ed imprenditori, mondo privato e pubblico possono entro il 30 luglio, presentare domanda e creare condizioni di investimento.
Terminato il periodo di presentazione delle domande, nei mesi di agosto e settembre la Regione procederà all'istruttoria; entro ottobre sarà possibile rendere noti i progetti cantierati e cantierabili, in modo tale da poter dare avvio alle procedure d'appalto, per enti pubblici o privati direttamente alla fine di quest'anno. Sappiamo bene come si faccia in fretta, in momenti di grande difficoltà e debolezza congiunturale e strutturale, a creare condizioni di deindustrializzazione e quanti decenni occorrano poi, invece, per ricreare condizioni di crescita.
Ho fornito a tutti i colleghi quel numero speciale del Bollettino Ufficiale - che credo sia arrivato nei giorni scorsi - ed ho già anche relazionato nelle scorse settimane, in merito all'avvio della seconda fase del Regolamento, alla competente Commissione.
Da parte della Commissione della Comunità europea è in corso di definizione la riforma dell'attuale Regolamento comunitario n. 2052. In queste settimane sono già stati avviati i nuovi termini per investimenti sul territorio; dobbiamo però pensare a quanto potrà accadere nei prossimi anni, visto che nel 1994 ci sarà la riforma relativa ai fondi strutturali sapendo che ad oggi nessuna area territoriale del Piemonte viene inserita relativamente al futuribile, nelle cosiddette aree a declino industriale.
Probabilmente la riforma verrà approvata entro l'estate contestualmente la CEE si appresta a identificare le aree a declino industriale che dovranno beneficiare dei contributi a partire dal 1994 secondo quanto verrà regolato dalla citata riforma dei fondi.
Le due procedure si intersecano in quanto con la riforma dei fondi sono anche in discussione gli stessi parametri per l'individuazione delle aree corrispondenti ai vari obiettivi, compreso l'obiettivo 2). Il negoziato che, con intensità e vivacità, abbiamo instaurato in queste settimane in un rapporto comparato con il Governo e con la Comunità europea, tra la CEE, lo Stato italiano e le Regioni, è prossimo alla fase decisionale. La posizione della Regione tiene conto sia dei parametri attuali sia degli orientamenti riguardanti la riforma dei fondi. La Regione ha inoltre avanzato la propria proposta, che si articola come segue.
Per l'intero territorio della provincia di Torino proponiamo per il 1994 l'inserimento di Torino città (che oggi è escluso), dell'area ovest Ticino, del Verbano Cusio Ossola, della sub-area di Asti, di una sub-area di Cuneo, di una sub-area di Vercelli e della sub-area della Val Sesia.
Nel merito vorrei fare presente che questa proposta si riferisce ad un livello provinciale (provincia di Torino), con riferimenti ad alcune sub aree; se dovessimo ottenere quanto richiesto (non solo il riconoscimento del tasso di disoccupazione, ma anche il monte-ore della cassa integrazione) saremmo nelle condizioni tecniche di ottenere i risultati prefissi. Non c'è da illudersi che le otto/nove aree proposte vengano accolte; c'è un cauto ottimismo, vista la compartecipazione dei parlamentari, compresi quelli europei.
Accanto alle azioni di politica industriale di diretta competenza regionale e a quelle comunitarie gestite a livello regionale di cui si è già parlato, credo sia il caso di ricordare i riferimenti di carattere nazionale. Vanno ricordate le diverse normative a livello nazionale varate nei mesi scorsi, che prevedono l'individuazione di aree di crisi per interventi tesi a fronteggiare l'emergenza produttiva ed occupazionale. In particolare, il decreto legge sull'occupazione, recentemente reiterato metà maggio - prevede l'ulteriore individuazione di aree a forte squilibrio fra domanda ed offerta di lavoro, che saranno definite dal Governo su proposta delle Commissioni regionali per l'impiego. Essendo le Commissioni regionali presiedute dall'Assessore regionale al lavoro, la Regione si muoverà per far emergere le proprie indicazioni. In materia di aree di crisi, di loro individuazione, di gestione degli stessi interventi e dei relativi finanziamenti, dopo i diversi riferimenti, non sempre coordinati contenuti nei provvedimenti governativi di questi ultimi mesi (a partire ad esempio dall'istituzione di un'apposita task force sotto la Presidenza del Consiglio e fino al più recente decreto sull'occupazione) è necessaria una chiarezza di intenti ed un'operatività che finora sono mancate: non è più possibile differire di fronte al perdurare della crisi. Infine, ricordo la legge n. 317, legge di sviluppo della piccola e media impresa, sulla cui attuazione anche le Regioni hanno un loro ruolo, sia pure limitato. Le strutture regionali e l'IRES stanno esaminando, in particolare in questo periodo, le problematiche relative alle definizioni dei distretti industriali previsti dalla stessa legge n. 317; sempre in questi giorni è stato emesso il decreto attuativo dei distretti industriali. Lavoriamo quindi non sul base-zero, ma su un lavoro già predisposto e confrontato a livello di Regione e di IRES.
Altro importante strumento previsto dalla legge n. 317 riguarda i Consorzi: per i prossimi giorni è annunciata l'emissione del decreto attuativo; siamo in attesa di poter partire anche su questo versante.
Da questo sintetico quadro si può rilevare che esiste ormai un ventaglio di strumenti regionali e di intervento a sostegno del sistema industriale abbastanza articolato, anche se ancora parziale rispetto alla gravità della crisi.
Si pone ancora una volta la necessità che alle Regioni sia riconosciuta una competenza ben definita e organica, quanto meno in materia di piccole e medie imprese. Competenza che consenta di passare dalla fase che finora abbiamo vissuto in relazione agli spazi che ci eravamo dati, che ci erano consentiti o che ci eravamo ritagliati, ad un sistema organico di politica industriale a livello regionale fondato sul rapporto con il livello nazionale meglio definito.
I gravi problemi indotti dalla crisi produttiva ed occupazionale sono stati oggetto, in questi ultimi mesi, di un intenso rapporto fra Regioni italiane e Governo. Il confronto ha riguardato sia i temi di carattere generale che gli aspetti specifici delle singole politiche di intervento.
Il risultato di questo lavoro è attualmente rappresentato dal Protocollo d'intesa sugli accordi di programma definito tra Stato e Regioni e dal decreto legge n. 101 di accelerazione della spesa pubblica. Si tratta di due provvedimenti che, oltre alla loro consistente rilevanza di merito assumono importanza anche di tipo procedurale, in quanto evidenziano nuovi rapporti fra Governi locali e Governo centrale.
Il recente cambiamento di Governo ha comportato, nelle scorse settimane, la necessità di rivedere i rapporti con i nuovi titolari dei Ministeri interessati dai temi specifici; per quanto riguarda il decreto legge n. 101 e l'accordo di programma, sono già ripresi i contatti con il Ministero del Bilancio, che segue queste problematiche. I meccanismi previsti per l'attuazione del provvedimento normativo dovranno favorire la realizzazione di investimenti che hanno già accentuate caratteristiche di immediata cantierabilità, sui quali verranno concentrate le risorse disponibili. Nelle prossime settimane potremmo meglio valutare gli effetti di questo importante provvedimento sull'accelerazione degli investimenti in Piemonte.
Credo che il miglioramento dei rapporti registrato in questi ultimi mesi tra Governo e Regioni sia sicuramente un primo passo positivo, ma non tale da far venir meno l'esigenza di un riesame complessivo del ruolo e delle attribuzioni delle Regioni anche in materia di industria e lavoro tanto più in una situazione di crisi come l'attuale, dove un'organica riforma dell'istituto regionale è ormai inderogabile.
Il Piemonte si è avviato all'unificazione europea nel momento in cui versa in una crisi del tutto particolare, risultato di una grave, difficile e ormai lunga congiuntura economica negativa e di una fase di ristrutturazione e di riassetto del sistema produttivo che interessa tutti i settori strategici per l'economia regionale. Due ordini di fattori si intrecciano tra loro in un complesso rapporto di causa-effetto: il risultato è una situazione difficile da gestire anche per l'operatore pubblico, per la Regione in particolare.
L'articolazione dei fattori che determinano la crisi attuale rende poco probabile un'uscita spontanea dalla recessione. In funzione delle opportunità che verranno offerte - il momento appare ancora non relativamente vicino - da una congiuntura economica internazionale più favorevole, il sistema Piemonte dovrà avviare a soluzione i nodi strutturali del proprio apparato produttivo, che riguardano anche la Pubblica amministrazione. La ripresa dello sviluppo del Piemonte richiede capacità di riassetto della struttura industriale e dei fattori che ne alimentano la crescita; capacità che deve coinvolgere, in comune sforzo coordinato, imprenditori privati ed operatori pubblici, partendo dall'esistente patrimonio oggettivo di conoscenze, di risorse umane e di tecnologia: una delle risorse più forti della realtà regionale piemontese.
Gli imprenditori e i sindacati svolgono sicuramente un ruolo determinante, ma anche la Pubblica amministrazione deve fare la propria parte, al fine di creare un ambiente nel complesso idoneo allo sviluppo del sistema produttivo, perdurando nel potenziamento e nell'estensione delle infrastrutture e della qualificazione dei servizi, adeguandoli agli standard europei.
Per un sistematico rapporto di consultazione e concertazione fra istituzioni e parti sociali sui temi dell'economia del lavoro, la Giunta ha attivato una prima proposta di confronto, costituita dal Consiglio Regionale dell'Economia del Lavoro. Le azioni di politica industriale e del lavoro, richiamate sinteticamente in questa relazione, devono essere integrate in un'azione più ampia che metta al centro obiettivi di sviluppo e di lavoro.
A tal fine è necessario rivalutare lo strumento e il metodo della programmazione, che oggi può essere rivitalizzata attraverso istituti nuovi, quali l'accordo di programma, i distretti industriali, gli interventi comunitari e nazionali. Andrà anche rafforzato, ed è quanto stiamo facendo con impegni non semplici, il rapporto con i principali gruppi imprenditoriali operanti nel Piemonte; rapporto certo non facile da realizzare, soprattutto in una situazione come l'attuale, dove molte sono le incertezze e le preoccupazioni sulle prospettive di medio termine di alcuni importanti Gruppi sia pubblici che privati. Andrà inoltre sollecitata una sempre maggiore integrazione ed un maggiore collegamento fra l'attività dei diversi enti partecipanti della Regione e gli indirizzi programmatici della Giunta regionale.
Nell'ambito di una valorizzazione della programmazione si colloca anche una politica di bilancio che selezioni e concentri le risorse su obiettivi qualificati e strategici per lo sviluppo del sistema Piemonte; strada non semplice, ma che stiamo percorrendo.
Le politiche regionali, anche quelle relative ad altri settori, debbono svolgere un ruolo determinante nel creare condizioni idonee alla ripresa.
E' sufficiente richiamare, ad esempio, gli effetti della politica urbanistica e delle infrastrutture sulle scelte di investimento e di localizzazione delle imprese ed anche le politiche del commercio dell'artigianato, del turismo così come le economie esterne, rappresentate da una riorganizzazione dei servizi che riduca quella parte di costi ancora riconducibili ad assetti non razionali o a gestioni poco efficienti.
Assume peso rilevante l'organizzazione stessa della Pubblica amministrazione, anche a livello locale, al fine di dare efficienza all'azione amministrativa ed efficacia alle risorse, valorizzando impegno e professionalità.
La Regione, in definitiva, deve rafforzare il proprio ruolo di governo locale, di ente che progetta e promuove lo sviluppo e che gestisce direttamente o indirettamente risorse non indifferenti. Ogni azione per aiutare il Piemonte ad uscire dalla crisi, ed essere in condizioni di sostenere la sfida europea, richiede che il contesto economico nazionale ritrovi un equilibrio che oggi appare, nonostante gli sforzi recenti ancora lontano. E' chiara in tutti, credo, la consapevolezza che ogni impegno locale sarebbe inutile se non ci sono condizioni internazionali favorevoli e se non si sciolgono i grossi nodi economici, ma anche politici e istituzionali di carattere nazionale, che frenano in qualche misura lo sviluppo del sistema Italia.
Credo però che questi nodi non possono essere considerati quali comodi alibi per non attivare sino in fondo, pur con le scarse titolarità o con le scarse capacità finanziarie che abbiamo, gli interventi nelle politiche industriali del lavoro, le nostre capacità regionali, le nostre intuizioni le nostre progettualità, i nostri sforzi, così come, pur in percorsi difficili e in salita, stiamo cercando di fare nel confronto serrato con le parti sociali del Paese.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTICELLI



PRESIDENTE

La comunicazione della Giunta prosegue con l'intervento dell'Assessore Cavallera.



CAVALLERA Ugo, Assessore regionale

Tranquillizzo il Consiglio: sarò molto più breve del collega.
Come ricordava l'amico Cerchio, la crisi che stiamo vivendo interessa pesantemente il settore dell'edilizia, un mondo che resta fondamentale per l'economia del nostro Paese ed anche, quindi, della nostra Regione. E' noto a tutti che il rallentamento dell'edilizia provoca effetti negativi in tutti i settori collaterali che costituiscono l'indotto di quest'importante attività.
Oltre all'andamento economico generale negativo nel settore dobbiamo rilevare il calo degli stanziamenti pubblici - parlo dell'edilizia in generale - registrato in questi anni; calo che ha interessato sia l'edilizia residenziale pubblica sia il settore delle infrastrutture.
E' noto che per quanto riguarda il comparto dell'edilizia residenziale quella pubblica rappresenta circa il 25% del settore, intesa come sommatoria degli interventi di edilizia sovvenzionata e di edilizia agevolata. Sul comparto dell'edilizia, ovviamente, gravano anche gli effetti della cosiddetta "tangentopoli", nel senso che vi sono fenomeni diffusi di blocco dei pagamenti alle imprese di lavori già appaltati, di ritardo negli appalti stessi e nella consegna dei lavori. Dobbiamo avere allora la consapevolezza che in un momento di crisi anche l'edilizia residenziale pubblica, oltre ad assolvere alle proprie finalità istituzionali a beneficio di categorie sociali che possono così risolvere i loro problemi abitativi, costituisce un volano per l'intero comparto volano magari anche insufficiente, però tale da consentire alle imprese di mantenere in vita la loro attività produttiva.
Questa la consapevolezza del Governo e delle Regioni che si stanno confrontando nella Conferenza Stato-Regioni sul decreto legge n. 180, cui faceva riferimento il collega Cerchio, che prevede precise norme per l'accelerazione della spesa nel comparto dell'edilizia residenziale pubblica. Edilizia residenziale pubblica: argomento principale degli incontri avuti nella mia breve permanenza all'Assessorato all'urbanistica e all'edilizia, sia con le organizzazioni sindacali sia con le imprese sia con il mondo della cooperazione. Soggetti con i quali stiamo confrontandoci per raccogliere suggerimenti e stimoli al fine di attivare e completare al più presto gli interventi che le disponibilità finanziarie, soprattutto statali, ci consentono. A questo proposito non va dimenticato l'impegno del bilancio regionale relativamente agli oneri, sempre crescenti ed aggiuntivi, per benefici nel comparto dell'edilizia agevolata per quanto riguarda gli interventi in ammortamento.
A questo punto ritengo necessario un commento sullo stato di attuazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica. Dall'esame dello stato di attuazione degli interventi programmati in edilizia sovvenzionata risultano da appaltare, da parte delle nuove Aziende territoriali per la casa e da parte dei Comuni, circa 1.900 alloggi sul territorio regionale circa altri 1.900 sono già in corso di costruzione. La maggior parte degli alloggi da appaltare, pari a circa 1300, è stata finanziata con l'ultimo programma - il cosiddetto 1990/1991.
Per questi interventi, localizzati dalla Giunta regionale alla fine del mese di giugno 1992, l'inizio dei lavori nominali è previsto per il corrente mese di giugno 1993. Eventuali ritardi, peraltro previsti dalla vigente normativa regionale, che si potranno manifestare nell'apertura dei cantieri, sono da ritenersi fisiologici se verranno contenuti nell'ambito di pochi mesi (registratisi anche in passato) poiché alla data di scadenza il progetto deve essere comunque stato presentato alla Commissione competente per la verifica. Gli altri alloggi non appaltati, circa 600, si riferiscono ai programmi precedenti del IV, V e VI biennio.
Per quanto riguarda l'edilizia agevolata, risulta significativo precisare che su 2.862 alloggi da attivare per ben 1.989 sono già state assegnate le aree, mentre dei restanti 873 alloggi 537 sono di nuova costruzione e 336 si riferiscono ad alloggi di recupero.
Per quanto riguarda gli alloggi da attivare di nuova costruzione si prevede che le aree vengano assegnate in tempi brevi; per i programmi di recupero risulta difficile preventivare tempi di attivazione, essendo questi legati soprattutto a problemi di disponibilità degli immobili.
E' importante sottolineare che gli alloggi in corso di costruzione o con progetto già licenziato ammontano a 4.346.
Per quanto riguarda i 1.989 alloggi con area già assegnata, per 1.309 si prevede che i lavori possano iniziare nel giro di tre/quattro mesi; per i restanti 380 alloggi, essendo state assegnate le aree a seguito dell'ultimo assestamento, si presume che i lavori inizino entro la fine dell'anno. Qualora l'assegnazione da parte dei Comuni interessati non avvenisse in tempi rapidi, si potrà procedere, ove possibile, a rilocalizzare gli interventi o a promuovere la Conferenza dei servizi, come previsto dal recente decreto legge n. 180.
Con riguardo al programma integrato, previsto dall'art. 17 della L.R.
n. 76 del 1979, si rammenta che è prevista la realizzazione di circa 2.600 alloggi, di cui circa 550 finanziati. Si fa presente che in fase di avvio sono sorte difficoltà principalmente inerenti all'obbligo di attivare, da parte del Consorzio di coordinamento, il programma nella sua completezza stante l'impossibilità di fatto di alcuni Comuni (per esempio, Torino ed in parte Collegno) ad assegnare le aree previste a tale scopo.
Allo stato attuale - l'ultima verifica è stata compiuta nello scorso mese di maggio - è stata presentata da parte del Consorzio una nuova documentazione, al vaglio degli uffici - avendo come Assessorato e come uffici lo scopo di creare le condizioni affinché anche questo importante programma possa decollare.
Analizziamo un attimo le cause che hanno impedito l'inizio dei lavori vi sono parecchi alloggi in costruzione, ma ve ne sono altri fermi al palo.
Per quanto riguarda l'edilizia sovvenzionata, il ritardo nell'inizio dei lavori per il IV e V biennio è attribuibile a carenze nella programmazione regionale e nella pianificazione urbanistica dei Comuni come pure a previsioni finanziarie inadeguate dei soggetti attuatori (leggasi ATC, ex-IACP o Comuni).
Le carenze nella programmazione regionale si riferiscono soprattutto ad una verifica (parlo di una verifica preventiva) insufficiente in ordine alla cantierabilità degli interventi localizzati. A questa carenza si è rimediato con gli ultimi due programmi regionali (il VI integrativo ed il VII), localizzando gli interventi previa verifica della loro cantierabilità tramite un'indagine specifica degli uffici regionali.
Vi è poi la mancata attivazione della L.R. 19/2/1982, n. 6, che prevedeva l'istituzione di un fondo di rotazione per acquisizioni anticipate di aree ed immobili. A questo proposito mi riservo, nel contesto della presentazione della manovra finanziaria collegata all'assestamento di bilancio, di fare una proposta specifica, pur se nei limiti, purtroppo delle disponibilità del bilancio regionale, tenendo anche conto delle previsioni di finanziamento che possono essere ravvisate all'interno del decreto legge n. 180.
Da ultimo, come condizione negativa comunque da valutare, vi è la prevalente destinazione dei fondi a nuove costruzioni, a fronte della costante riduzione delle aree disponibili nell'ambito dei Piani di Edilizia Economica Popolare approvati dai Comuni (i famosi PEEP). Le carenze comunali sono infatti riferibili principalmente all'esaurimento dei PEEP approvati negli anni '70. Di contro, l'eccessivo ricorso all'art. 51 della legge n. 865, adottato anche contestualmente all'art. 3 della legge n. 247 denota una contraddizione nell'azione pubblica ed un mancato coordinamento tra la programmazione dei fondi pubblici destinati alla casa e la pianificazione urbanistica cui prima faceva riferimento il collega Cerchio (mi riferisco ovviamente alla pianificazione urbanistica comunale). I finanziamenti dovrebbero infatti, come è logico, essere localizzati su aree o immobili con destinazione urbanistica conforme al Piano regolatore generale.
Alcuni Comuni inoltre, soprattutto quelli di minore dimensione, hanno incontrato difficoltà nella progettazione e nell'attuazione degli interventi. Operatori pubblici, Comuni e IACP, ora ATC, hanno sottostimato il costo degli interventi, con il risultato di dover spesso richiedere un'integrazione del finanziamento prima di andare all'appalto delle opere.
A questo inconveniente si è rimediato nell'ultimo programma (il settimo) obbligando i soggetti attuatori a calcolare il costo dell'intervento sulla base del costo medio desunto dagli appalti degli anni precedenti.
Nella provincia di Torino, alle cause già accennate occorre aggiungere le note difficoltà delle ATC ad avviare gli interventi programmati (mi riferisco ovviamente all'ATC di Torino, che com'è noto, è commissariata).
Per i fondi già programmati, il Ministero del Bilancio ha richiesto alle Regioni le previsioni di spesa desunte dall'andamento dei cantieri in corso e dalla prevedibile apertura dei cantieri relativi agli interventi non ancora iniziati. Come è stato illustrato in un riepilogo trasmesso al Ministero del Tesoro (ho qui delle copie per i colleghi che volessero prenderne visione) su 363 miliardi e 306 milioni depositati presso la Cassa Depositi e Prestiti per i programmi regionali di edilizia sovvenzionata circa la metà, pari a 155 miliardi e 573 milioni, dovrebbe, pur con tutte le riserve del caso, essere spesa nel corso del 1993, mentre 151 miliardi si prevede di spenderli nel corso del prossimo anno, 1994, con un residuo di spesa (parlo dei fondi attualmente disponibili) rispettivamente di circa 30 miliardi e 26 miliardi nei due anni successivi.
Per quanto riguarda l'edilizia agevolata, come dicevo prima, per le nuove costruzioni si è aggravata la carenza di aree idonee alla realizzazione degli interventi programmati, a fronte anche di una legislazione sugli espropri che rende più difficile l'acquisizione delle aree da parte dei Comuni, in particolar modo quando i costi sono sostanzialmente quelli del libero mercato. Nel caso del recupero, invece esistono problemi relativi al frazionamento della proprietà ed alla mobilità dell'inquilinato, che rendono onerosi oltreché difficoltosi gli interventi.
Un capitolo a parte meriterebbero gli interventi di recupero affidati ai Comuni, che oltre ai problemi di cui sopra devono fare i conti con i mutui che non sempre sono in grado di accollarsi, nonostante il tasso agevolato - com'è noto, del 3% specie nelle piccole realtà che, peraltro rappresentano la grande maggioranza dei Comuni piemontesi. Di questo bisognerà tenere conto quando formuleremo i prossimi programmi.
Quali ipotesi di programmi futuri si possono stendere sulla base delle previsioni finanziarie pluriennali che possiamo compiere oggi? Per quanto riguarda l'edilizia sovvenzionata le disponibilità finanziarie sono garantite dai fondi GESCAL. che la legge n. 498/92 tiene in vigore fino a tutto il 1995. Le Regioni, tutte insieme, chiedono al Governo centrale che questi fondi siano destinati ai programmi regionali e siano da subito ripartiti a copertura finanziaria dei programmi pluriennali, che siamo in grado di redigere al più presto. Sulla base dei fondi attribuiti negli anni precedenti è possibile programmare, nel prossimo quadriennio, circa 366 miliardi che consentirebbero di realizzare circa 1.800 alloggi al costo medio presunto di 200 milioni ciascuno.
Inoltre, a breve termine, la deliberazione del CER (Comitato Edilizia Residenziale) del novembre 1992 prevede di attribuire al Piemonte circa 139 miliardi nell'ambito della cifra che tendenzialmente ci dovrebbe spettare.
Questi 139 miliardi consentirebbero la realizzazione di circa 700 alloggi ripeto al costo presunto di 200 milioni ciascuno. La Giunta regionale intende presentare il programma all'approvazione del Consiglio nel prossimo mese di luglio.
Per quanto concerne l'edilizia agevolata si prevede, entro i prossimi mesi, l'attivazione di un nuovo programma, in funzione della messa a disposizione delle economie tecniche dei fondi pregressi. In termini di capitale tali somme ammontano complessivamente a circa 199 miliardi. Di questa cifra, circa 73 miliardi dovranno essere utilizzati per coprire l'intera spesa dell'edilizia agevolata per il corrente anno, in conseguenza dell'applicazione della legge finanziaria che ha disposto lo slittamento dell'annualità 1993 ad anni successivi. All'importo complessivo di 199 miliardi sono inoltre da detrarre circa 20 miliardi per riserve a garanzia dello Stato (è una trattenuta che viene compiuta in sede centrale). Per altri 60 miliardi vi è poi un contenzioso tra Stato e Regioni, intendendo lo Stato programmare direttamente tali fondi per i programmi integrati a livello centrale, mentre le Regioni, com'è ovvio, rivendicano la messa a disposizione in sede regionale per poter integrare il programma, già allo studio delle varie Regioni. Di conseguenza, a valere sulle giacenze, la somma disponibile per edilizia agevolata può variare, nella peggiore delle ipotesi, a 46 miliardi e nella migliore, quella a cui tendiamo come Regione all'interno della Conferenza Stato-Regioni e del CER. a 106 miliardi.
Gli alloggi complessivamente programmabili in edilizia agevolata variano quindi da un minimo di 1.200 ad un massimo di 2.700. In proposito è da precisare che ho provveduto, in data 16 giugno, a sollecitare al Ministro dei Lavori Pubblici l'urgente messa a disposizione di questi fondi; venerdì 25 giugno è inoltre previsto un incontro a Venezia degli Assessori regionali proprio per stabilire una strategia che spinga lo Stato ad attuare quanto stiamo chiedendo.
A tutte queste previsioni si aggiungeranno i circa mille alloggi conseguenti all'utilizzo dell'annualità di 7 miliardi e 357 milioni di cui alla legge n. 67/88. E' opportuno infine rammentare che per i programmi di edilizia agevolata, oltre alla parte finanziata, viene attivato l'investimento privato sia per la quota di costo non coperta da finanziamento (ogni 75 milioni di mutuo se ne aggiungono mediamente 105 di apporto privato), sia per l'attivazione di programmi aggiuntivi di autofinanziamento proposto dai singoli operatori.
Concludendo, per i futuri programmi occorre anticipare la localizzazione degli interventi per rispettare i tempi di attuazione previsti dalla legge n. 179/92 (la Botta-Ferrarini) e dal decreto legge n.
180, in modo da attribuire, per l'edilizia sovvenzionata, i finanziamenti agli interventi già corredati da progetti esecutivi, mentre per quanto riguarda l'edilizia agevolata occorre individuare interventi facilmente cantierabili. Questo richiede collaborazione tra il comparto regionale dell'edilizia e quello dell'urbanistica al fine di compiere le verifiche delle dichiarazioni rilasciate dai Comuni.
Infine, occorre destinare una maggior quota di finanziamenti al recupero edilizio, per il quale si deve dare attuazione alla previsione della legge n. 179, che prevede, appunto, di destinare una quota non inferiore al 30% per questa finalità d'intervento.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cantore.



CANTORE Daniele, Assessore regionale

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ringrazio per l'opportunità di intervenire in questo dibattito sull'occupazione per quanto riguarda i problemi del commercio e del turismo.
Intanto, vorrei far rilevare ai colleghi Consiglieri che il prodotto interno lordo del Piemonte del 1992, per quanto riguarda il terziario, è di 50.993.400 milioni. Da questa cifra abbiamo estrapolato il dato relativo al commercio ed ai pubblici esercizi, di 19.767.700 milioni. Volendo poi verificare il numero degli occupati nel settore - penso sia importante: è la prima volta che in Consiglio regionale si affronta questo settore anche sul piano dell'occupazione - è da rilevare che il terziario in Piemonte nel 1992 ha occupato 954.000 addetti (+ 1,6% rispetto al 1991); estrapolando dal terziario commercio e pubblici esercizi, abbiamo 546.000 addetti ( 2,1% rispetto al 1991), di cui 30.000 addetti al turismo.
All'interno di questo positivo dato piemontese, c'è il riscontro negativo per la città di Torino. Nel 1991 gli addetti al commercio erano 177.983, nel 1992 sono scesi a 152.895 (25.000 in meno); riscontriamo quindi una situazione differenziata: positiva a livello regionale, negativa per la città di Torino.
Altro dato, anche se marginale, è che nel 1992 c'è stato un basso numero di volture, cioè di passaggio di proprietà o di gestione di aziende commerciali: sono state solo 270.
A fronte della riduzione dei consumi interni delle famiglie avvenuta a livello nazionale, l'aumento del settore commercio è dell'1,8% (2,8% nel 1991), dato che si può verificare anche all'interno della nostra Regione.
Il calo è stato soprattutto nel settore alimentare, con un saldo negativo pari al 2,91%; sono soprattutto questi i dati che riguardano la città di Torino, che ha una situazione di maggiore crisi nei confronti del commercio; il saldo negativo è anche rispetto al numero di esercizi aperti sul territorio. Dall'1/1/1992 al 31/7/1992 - questi i dati elaborati fino ad ora - sono stati aperti 203 esercizi (20 alimentari, 23 abbigliamento 160 di merci varie); per contro, hanno invece cessato di esistere 281 esercizi (128 di alimentari, 45 di abbigliamento, 108 di merci varie).
Questo a dimostrazione della situazione molto seria riguardante la nostra area metropolitana, anche se su commercio e turismo - lo vedremo più avanti a livello piemontese si registra una piccola crescita.
Nel 1992 c'è stato un incremento del 4,09% della moderna grande e media distribuzione: nel quadriennio 1988/1991 ci sono state, in Italia, 42 aperture di ipermercati, di cui 9 nella nostra Regione. Secondo le proiezioni dello studio Nielsen, nel 1994 a livello nazionale spariranno 28.000 aziende alimentari; per contro, la cosiddetta grande distribuzione passerà dal 29% del 1981, al 60% nel 1992.
Spiego meglio questi dati: secondo lo studio Nielsen nel 1981 la distribuzione tradizionale copriva il 71% del territorio nazionale e quella moderna, cioè la grande distribuzione, il 29%. Nel 1993 avremo quasi un ribaltamento di queste percentuali: 60% di distribuzione moderna e 40% di distribuzione tradizionale.
In questo senso sarà necessaria una valutazione a livello regionale che in parte è già stata fatta, su come conciliare la grande distribuzione con la distribuzione tradizionale.
Personalmente ritengo negative e non percorribili le opposte tendenze: da una parte c'è infatti chi afferma che nella nostra Regione, o in generale nel panorama economico italiano, non ci sia posto per un nuovo modo di distribuzione - supermercato e ipermercato; dall'altra c'è invece la tendenza a dire che lo sviluppo del commercio sul nostro territorio pu essere solo portato avanti con la grande distribuzione. Penso siano posizioni non solo manichee, ma anche poco responsabili e poco legate alla realtà del territorio nazionale e soprattutto del territorio regionale.
Ritengo si possa conciliare, con un'accorta programmazione sul territorio sia la presenza e il mantenimento della piccola e media distribuzione (comprendendo nella piccola e media distribuzione anche l'ambulantato, come momento di ricerca di prodotto diverso e di qualità) sia la possibilità di offrire il servizio della grande distribuzione.
Programmazione non facile, poiché ci troviamo ad intervenire su una situazione preesistente, che probabilmente ha già compromesso l'esistenza di alcuni bacini di piccola distribuzione; sarà comunque importantissimo da oggi in avanti, intervenire in questa direzione e tentare di conciliare le due opposte, ma altrettanto importanti, tendenze della distribuzione commerciale all'intero della nostra regione.
In questo senso, una parte importante viene ricoperta dalla promozionalità e dalle fiere. Nel 1992 abbiamo investito circa 1.200 milioni per incrementare la commercializzazione del prodotto artigiano; le imprese interessate sono state circa 300, nei seguenti settori: tessile abbigliamento, metalmeccanico, subfornitura, casalinghi-elettrodomestici legno, artistico, plastica e gomma. Nel 1992 sono state autorizzate 48 manifestazioni fieristiche, e precisamente 7 internazionali, 13 nazionali e 28 regionali; l'attivo regionale è stato di 742 milioni.
Aggiungo che nel campo fieristico stiamo anche predisponendo due importanti centri, quello torinese, il CAAT, e quello della Provincia di Cuneo, in specifico della città di Cuneo, il MIAC, nel quale, con contributi nazionali, sarà possibile dare consistenza a progetti molto importanti e agli stessi Centri Agro-Alimentari. A questo proposito informo il Consiglio regionale che è in corso di chiusura l'accordo di programma.
Per quanto riguarda il CAAT, abbiamo incontrato più volte, con il gruppo di lavoro, le Amministrazioni comunali interessate (Rivoli Grugliasco, Rivalta) e la Provincia di Torino; siamo quindi in fase di arrivo sull'accordo di programma che prevede tale realizzazione. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il MIAC; le intenzioni iniziali sono state ridotte e c'è la volontà da parte dell'Amministrazione comunale di Cuneo e del MIAC di intervenire sulle parti principali per poter far svolgere questo importante ruolo di Centro Agro-Alimentare.
Non bisogna inoltre sottovalutare i mercati all'ingrosso, che rappresentano nella nostra Regione un'importante presenza di operatori: circa 9.000 su tutto il territorio regionale. Ritengo sia questo un dato importante da valutare; al più presto dovremo, come Consiglio regionale dare corso ad un regolamento, purtroppo mai attivato dal 1979. Esiste infatti una legge del 1979, che prevedeva una regolamentazione della distribuzione dei mercati sul territorio piemontese; questa legge non ha mai avuto corso; penso che dovremmo farcene carico.
Una parte che può sembrare secondaria, ma che invece è assai importante, è il servizio prestato dalla rete distributiva carburanti, che in meno di un anno ha subìto una diminuzione di 74 punti vendita, peraltro assorbiti in una logica più complessiva della distribuzione dei carburanti e soprattutto dell'assistenza al settore auto. Ci troviamo comunque di fronte ad un settore commerciale che in questi anni ha aumentato soprattutto nella regione, i suoi occupati. Il settore ha avuto invece una flessione significativa, che dovrà essere analizzata, all'interno del Comune di Torino; mi pare dunque importante ribadire quanto ho detto prima a proposito del PIL e quanto il commercio, all'interno del terziario, sia una presenza significativa nell'economia piemontese.
Parte importante è anche quella relativa alla promozione turistica.
Abbiamo 30.000 addetti in questo settore e, per quanto riguarda la ricettività, da un calcolo sul PIL risultano 2.500 miliardi all'anno.
Questa cifra è incrementabile da tutto l'indotto che il turismo trascina con sé; potremmo dire che, nel 1992, il PIL del turismo all'interno della Regione Piemonte è stato di circa 4.500 miliardi. E' questo un altro dato importante: sono 5.000 miliardi, circa un quarto dei 19.767 miliardi che riguardano il commercio e i pubblici esercizi.
Nel 1991 abbiamo investito, come Regione Piemonte, 57 miliardi; nel 1992 circa 31 miliardi (senza i fondi della Comunità europea). Per il 1993 e negli anni a venire speriamo non manchino sia i fondi a livello nazionale sia quelli del Regolamento n. 2052 della Comunità europea.
Gli investimenti in questi anni sono stati cospicui, sia da parte pubblica che da parte privata. Nel 1991 sono stati investiti 110 miliardi in un mixer di pubblico e privato, e 29 miliardi sono stati distribuiti a livello regionale. Come vi dicevo prima, nel 1993 abbiamo a disposizione 28 miliardi in conto capitale. Ad oggi le istanze presentate nell'ambito del Regolamento n. 2052 della CEE sono 220 e riguardano tutto il territorio coperto dal Regolamento: da una parte la Provincia di Torino - escluso il capoluogo e dall'altra il VCO. A questo proposito vorrei aggiungere a quanto detto dall'Assessore, collega Cerchio, che è importante che nella rivisitazione delle 60 aree di crisi che riguardano l'Europa non solo ci sia l'intervento governativo e della Regione Piemonte per mantenere le aree di crisi già esistenti nella nostra Regione (Provincia di Torino e VCO), ma che si allarghi tale numero: nella nostra Regione ci sono altre aree a sofferenza.
Aggiungo - e questo non vale solo per il commercio o per il turismo, ma per tutto l'intervento regionale - che se dovessimo continuare - com'è stato dal 1988 ad oggi - ad individuare solo due aree di crisi all'interno della Regione Piemonte, ci troveremo di fronte a squilibri territoriali che difficilmente riusciremo a compensare.
A fronte degli interventi negli anni 1991/1992/1993 che vi ho riassunto, abbiamo avuto un ritorno per quanto riguarda l'arrivo turistico i cui dati sono interessanti. Nel 1992, tra settore alberghiero e settore extra-alberghiero - ovviamente questi dati non comprendono le seconde case o altri modi di ricezione turistica che sfuggono ad una più precisa valutazione - sono stati interessati 2.630 esercizi, per un totale di 129.778 posti letto: 2.282.989 turisti per un totale di 8.278.535 presenze.
Il dato più importante è quello che riguarda il raffronto tra il 1992 e il 1991, soprattutto il paragone viene poi inserito nel contesto nazionale.
Alcune regioni italiane dall'economia prevalentemente turistica, nel 1992 hanno addirittura perso il 23%. Perdita non subìta dalla nostra regione che, anche se non ha ottenuto grandissimi risultati, mi pare abbia invertito, rispetto al passato, il trend negativo. Rispetto a regioni che ripeto, hanno valenza fortemente turistica - la nostra non è mai stata considerata tale - registriamo dati positivi in crescita, soprattutto negli ultimi due anni.
Per quanto riguarda il 1992, se è vero che gli esercizi sono diminuiti dello 0,89% - soprattutto in provincia di Torino e Vercelli che hanno diminuito rispettivamente del 3,65% e il 3,13% le loro strutture ricettive è anche vero che i posti letto sono aumentati dello 0,88. Ma i dati più importanti sono che gli arrivi totali nel 1992, rispetto al 1991, sono stati del 4,55% in più e che le presenze - ovvero quanto tempo sono rimasti i turisti nella nostra Regione - sono aumentate, rispetto al 1991, del 2,77%.
Questi dati sono comunque frutto di una situazione sul territorio assai differenziata; ma dalle tabelle che consegnerò ai colleghi si evince che complessivamente il turismo piemontese, con punte più alte ed altre meno, è andato assai bene nel 1992. Certo, sono dati non soddisfacenti al punto da non dover ritenere di doverli incrementare ulteriormente, ma penso che avere aumentato del 4,55% gli arrivi turistici rispetto a regioni italiane a vocazione turistica che hanno registrato un decremento del 27%, possa essere considerato importante.
Vorrei ora rilevare un'altra tendenza, assai interessante, che riguarda sia il comparto commerciale sia quello turistico. La debole domanda rivolta al commercio, al turismo, al servizio alle imprese, è però una domanda qualificata. Dal rapporto dell'ISFOL del 1992 emerge che la leggera ripresa complessiva di domanda di lavoro qualificato vada spostandosi dal settore industriale al terziario. Ed è in questo settore che emergono i dati più significativi; tra le 163 nuove professioni individuate nel settore terziario da una recente ricerca svolta dall'ISFOL. quasi un terzo appartiene ai comparti del commercio (19 nuove professioni) e del turismo (32 nuove professioni). Questo a dimostrazione di come la nascente debole domanda si rivolga al terziario e, in particolar modo, al commercio ed al turismo.
Inoltre, all'interno di questi due settori sono definibili nuove posizioni e anche nuovi importanti ruoli, già presenti a livello europeo nel 1992 i corsi di formazione professionale relativi al terziario sono stati quasi la metà e sono aumentati del 10% rispetto all'anno precedente.
Questo dimostra come dal settore del commercio e del turismo provenga una domanda qualificata.
Ci siamo quindi mossi nella direzione giusta, indirizzando i nostri sforzi verso questo settore.
Penso che la Regione Piemonte dovrà qualificare la sua presenza nel commercio; dobbiamo regolamentare la legge del 1979 riguardante i mercati e le fiere; speriamo inoltre di poter dare attuazione al Regolamento della legge n. 112, che riguarda l'ambulantato, e di rivedere i criteri della legge n. 426, che riguarda la distribuzione commerciale sul nostro territorio.
Dobbiamo soprattutto essere convinti che il commercio, pur con alcune situazioni di difficoltà, può essere un comparto sul quale scommettere per una ricaduta non solo economica, ma anche occupazionale, come peraltro dimostrano i dati che ho portato alla vostra attenzione.
Anche nei confronti del turismo ritengo si debba prestare la rinnovata attenzione che abbiamo cercato di costruire in questi anni, anche alla luce della soppressione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, e con la speranza che oltre ai fondi dei Regolamenti CEE anche se purtroppo hanno creato diseguaglianze fra le aree piemontesi, si aggiunga una significativa contribuzione nazionale che ci permetta di intervenire non solo su strutture e infrastrutture, ma anche nel comparto dei servizi e, in particolare, sulla capacità turistica della nostra Regione.
In questa direzione abbiamo ottenuto dalla Facoltà di Economia e Commercio un corso di laurea breve nel settore turistico e alberghiero.
Iniziativa che ritengo assai importante: siamo la prima Regione italiana ad aver proposto, nei corsi di laurea breve, che ve ne sia uno indirizzato alla professione turistico-alberghiera. Ottenuta l'approvazione da parte della Facoltà di Economia e Commercio, ci stiamo impegnando per trovare una localizzazione a questa Università; passo importante non solo per migliorare la nostra capacità turistica, ma per poter essere interlocutrici con Regioni europee dalla maggiore esperienza nel settore.
Dai dati che vi ho illustrato emerge la necessità di lavorare ancora parecchio; sul piano commerciale e soprattutto su quello turistico sembra essersi invertita la tendenza alla disattenzione e al considerare marginale l'occasione commerciale e turistica. Di fronte ad una crisi economica ed occupazionale che riguarda settori ben più corposi, il settore commerciale e turistico può forse offrire la possibilità non di risolvere tutti i problemi, ma di attutirne la ricaduta negativa.



PRESIDENTE

Con quella dell'Assessore Cantore sono terminate le comunicazioni della Giunta. Pregherei gli Assessori di consegnare alla Presidenza le loro relazioni scritte, in modo da poterle consegnare all'aula. Informo che la comunicazione dell'Assessore Cerchio si intende esaustiva delle risposte a tutte le interrogazioni e interpellanze inerenti direttamente o indirettamente la situazione occupazionale piemontese, tranne le interrogazioni n. 1820 del Consigliere Vaglio e n. 1925 del Consigliere Tapparo inerente la crisi delle industrie nazionali del settore dell'avionica, con particolare riferimento alla situazione dell'Alenia di Torino, sulle quali consideriamo che l'Assessore Cerchio debba ancora rispondere.


Argomento:

Richiesta chiarimenti sullo svolgimento di una riunione a latere con rappresentanti del settore artigiano


PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Tapparo; ne ha facoltà.



TAPPARO Giancarlo

Grazie, Presidente. Se è vero che i problemi inerenti all'occupazione e alla crisi economica del Piemonte rappresentano punti cruciali per la nostra comunità, mi sembra che questo dibattito, che dovrebbe avere il carattere - appunto - della centralità, della rilevanza, sia invece un po' strozzato, un po' soffocato dalla mancanza di tempo cui dedicarvi.
Contemporaneamente alla seduta in corso, si sta tenendo, nella Sala dei Cento, una riunione con dei rappresentanti del settore artigiano. Mi pare che la logica che si sta seguendo sia decisamente quella dei compartimenti stagni.



PRESIDENTE

Non mi risulta che nella Sala dei Cento vi sia alcuna riunione con gli artigiani.



TAPPARO Giancarlo

Un usciere mi ha detto questo.



PRESIDENTE

A me l'usciere non l'ha detto.



TAPPARO Giancarlo

Alcuni colleghi sono andati sopra.



PRESIDENTE

Personalmente sapevo di un incontro di lavoro, ma su altro argomento.



FERRARA Franco

A questa riunione hanno partecipato dei Consiglieri?



TAPPARO Giancarlo

Sì, sono presenti dei Consiglieri.



PRESIDENTE

Io non posso sapere cosa fanno i Consiglieri regionali durante i lavori dell'aula. Apprendo in questo momento di questa riunione. Mi informerò, a meno che il Presidente della Giunta sia in grado di dirci qualcosa in merito.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Mi è stato detto che c'era un gruppo di artigiani che desiderava conferire con la Giunta. Io, come sempre, ho chiesto che si sentisse l'opinione della Presidenza del Consiglio: non siamo noi a tenere queste riunioni. Non essendo personalmente disponibile, credo che l'Assessore Fiumara abbia dato la sua disponibilità.



PRESIDENTE

La Presidenza non è stata informata. Io so solo di un incontro riguardante Moncalieri.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

L'incontro su Moncalieri è avvenuto nel mio studio: riguardava la Giunta.



PRESIDENTE

Io pensavo che l'Assessore Fiumara stesse partecipando all'incontro su Moncalieri.



TAPPARO Giancarlo

Siccome ho visto dei Consiglieri salire in Sala dei Cento ho fatto presente la situazione.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazione della Giunta regionale sulla situzione occupazionale piemontese (seguito)


PRESIDENTE

E' aperto il dibattito sulla comunicazione della Giunta regionale relativamente alla situazione occupazionale piemontese.
La parola al Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Entrando nel merito di quanto la Giunta ha esposto sui problemi dell'occupazione, ringrazio i tre Assessori per il dettaglio con il quale hanno relazionato sulle loro aree di competenza. Devo però sottolineare che sarebbe stato forse più utile all'economia dei lavori avere a disposizione i dati analitici che sono stati illustrati ed avere dagli Assessori indicazioni più politiche, magari collegate al bilancio a base zero. Probabilmente, in questo momento, servivano relazioni più strutturali che congiunturali. Sappiamo tutti che la crisi ha caratteri completamente diversi dal passato.



PRESIDENTE

Mi scusi per l'interruzione, Consigliere Tapparo. Pregherei i colleghi di avere un po' di riguardo verso chi sta intervenendo. Mi lamento soprattutto per l'uso dei telefoni in aula.
Prosegua, Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

La crisi che sta investendo il Paese ha caratteri nuovi, ma molto spesso per affrontarli si adottano visioni vecchie. La crisi non è soltanto dovuta a carenza di innovazione, sarebbe miope pensare che sia imperniata sul costo del lavoro: sono aspetti ormai che vedono fortemente cambiata la specializzazione internazionale del lavoro. Credo che adagiarsi su un ipotetico terziario in grado di ammortizzare la crisi occupazionale sia grave come ritardo culturale nonché sbagliato come approccio economico.
Il terziario, nella parte che produce ricchezza, subisce gli stessi problemi che subisce l'apparato produttivo; infatti nella compilazione del modello "740" o nei vari servizi che restano all'interno di un mercato chiuso, senza riferimenti internazionali, non si crea ricchezza, ma si accresce la spesa pubblica.
Altro errore grave è l'approccio keynesiano ovvero pensare che la spesa per lavori pubblici possa oggi innescare un processo di ripresa. Non è così per due ragioni. La prima. L'enorme indebitamento pubblico non permette di manovrare questo tradizionale strumento keynesiano, largamente usato negli anni '30 negli Stati Uniti. Seconda ragione è che le ricchezze impegnate in investimenti per lavori pubblici, che non hanno un rapido ritorno in termini di servizi, funzionalità delle imprese, qualità della vita, ecc.
rischiano di essere immobilizzi di risorse che, in una situazione di grande indebitamento pubblico, aggravano la situazione riflettendosi sui tassi d'interesse - in quanto bisogna sostenere il livello dell'indebitamento pubblico rispetto ai percettori di interesse da investimenti in BOT.
Ci troviamo in situazioni che richiedono un coraggioso guizzo da parte del governo centrale in grado di interpretare la politica industriale quale strumento forte. Abbiamo invece un Ministro che lavorando a compartimenti stagni pensa che le proprie scelte, che determinano per certi aspetti una domanda pubblica forte, non abbiano nulla a che vedere, per esempio, con il settore dell'avionica nazionale per il quale è possibile che un altro Ministro chieda risorse pubbliche per poter intervenire rispetto ai problemi che vanno determinandosi. Mi riferisco al Ministro della Difesa che allegramente, senza alcun riferimento al contesto dell'apparato industriale nazionale, per risolvere le esigenze dell'aeronautica militare stipula leasing di aerei statunitensi.
Oggi credo che la politica industriale potrebbe dare un segno tangibile alla situazione se intervenisse nei grandi comparti dell'avionica dell'elettronica, dell'informatica, settori di punta per l'infrastrutturazione di una società e per la ricaduta di ricerca che determinano. Persino gli industriali sarebbero contenti di tornare alla vituperata politica settoriale che sul finire degli anni '70 era stata individuata come politica in grado di intervenire nei grandi settori portanti della società.
Occorre ovviamente pensare ad un impegno sulle Università e sull'istruzione in generale viste le opportunità che la CEE mette a disposizione dei diversi Paesi della comunità in questo senso.
Credo occorra anche riflettere sulla politica attuata per il Mezzogiorno, basata su finanziamenti, su opportunità, su "pezzi" di produzione costruiti nel nord.
Lo stabilimento di Melfi - adesso "questo giocattolo" sta terrorizzando anche la FIAT - nella prima fase continuerà a produrre per il 45% della propria capacità produttiva e non per vincoli tecnici, ma perché la FIAT sa benissimo che utilizzando al 90% l'impianto di Melfi si porrebbe il problema di una parziale chiusura dello stabilimento di Mirafiori; ci significa arrivare in autunno con 10.000 lavoratori in mobilità, anticamera del licenziamento. Possiamo fare il possibile per evitare che ciò succeda ma certe cifre distruggono qualsiasi possibile operatività della Regione.
Pertanto, occorre chiedere all'attuale governo regionale - se non a questo, ad un altro - forza politica, coraggio, determinazione (con il massimo rispetto per la collega Vetrino che è stata indicata da un quotidiano come possibile successore del Presidente Brizio), distacco dai gruppi economici per poter essere realmente contrattuali. Un'autorità forte che sappia anche contrapporsi: le scelte della FIAT non sono ininfluenti sull'indotto, e neppure quelle dell'Olivetti. Noi, Assessore Cerchio, non possiamo passare le giornate a fare i notai delle situazioni di crisi determinate dalle scelte delle grandi imprese.
Occorre una determinazione politica che abbia una sua taratura eventualmente una nuova dislocazione politica del governo regionale necessaria per poter affrontare queste emergenza. Tuttavia, a livello regionale, non possiamo registrare ed inseguire le situazioni; dobbiamo porci nella condizione di poter influenzare i processi produttivi, ad esempio, le ricadute sugli indotti, le dismissioni degli stabilimenti, i nuovi investimenti. Sappiamo qual è l'approccio dei grandi e medi industriali. Prendiamo ad esempio la nuova produzione Pirelli di gomme antivibranti. La soluzione è semplice: chiudiamo lì, riapriamo là rafforziamo quell'altra parte... Non si tiene conto che si determinano delle diseconomie esterne di dislocazione delle persone: la casa, la vita i trasporti, la pendolarità; situazioni molto spesso critiche, alle quali il momento pubblico dovrà dare delle risposte, incrementando in ultima analisi il debito pubblico. Non è culturalmente ed economicamente accettabile che le diseconomie esterne di ristrutturazione vengano caricate sul momento pubblico, sobbarcandolo sempre e solo di costi.
Occorre quindi un governo regionale che abbia il coraggio di porsi il problema dei processi di ristrutturazione delle aziende. E' chiaro che dovremmo massimizzare la forza dei pochi o tanti strumenti che abbiamo a disposizione, e che questi ultimi dovrebbero essere soprattutto mirati alla capacità di rafforzare quella esistente. Sarebbe stato interessante che gli artigiani in riunione al piano superiore sentissero quanto stiamo dicendo.
E sono queste le opzioni che avrei desiderato sentire dalla Giunta. Ma come aiutare l'apparato economico piemontese se abbiamo poche risorse? Un selettore dignitoso potrebbe essere aiutare prevalentemente le attività economiche più esposte alla concorrenza, o perché esportano o perch vendendo sul mercato interno, devono contenere le correnti di importazione.
Altro selettore potrebbe essere premiare soprattutto le imprese che hanno mercati di riferimento pungenti e non quelli che hanno mercati protetti.
L'Assessore Cantore elencava le iniziative di sostegno alla commercializzazione dei prodotti: sappiamo che alcune delle spese illustrate sono semplicemente dovute al circuito interno di commercializzazione dei prodotti, assolutamente inutili rispetto alla creazione di ricchezza, al rafforzamento dell'apparato produttivo, del PIL (del prodotto interno lordo "vero", non quello fasullo). Occorrerebbe premiare maggiormente le iniziative di carattere internazionale e nazionale e lasciare che le forze locali determinino le loro nelle fiere di Paese fiere che non servono a nulla per accrescere la forza dell'artigianato della piccola industria, delle attività del terziario superiore.
Condivido le analisi dell'Assessore sulla formazione professionale. C'è un punto che mi sembra di grande carenza e che la Regione, a parità di spesa, potrebbe far funzionare: fra le molte zone ad alta concentrazione industriale non c'è alcun sistema stellare di collegamento, che potrebbe concorrere alla formazione di un sistema complesso ma coerente, armonizzato al resto del settore (penso al Canavese, con cinque/sei aree industriali e con l'ipotesi di farne area di forte sviluppo dell'innovazione tecnologica).
In questi sistemi di aree industriali - e non più l'area industriale come fatto singolo, a se stante nell'egoismo, nella microvisione della realtà locale - potremmo far giocare anche le leggi nazionali, gli interventi comunitari, il n. 2052, la legge n. 56, ecc.
Inoltre, occorrerebbe giocare forte in un'area dove la cultura imprenditoriale piemontese è assai debole, quella delle società consortili al fine di aggregare energia attorno a obiettivi comuni e cercare di dare prevalenza di interventi a quei settori, a quelle concentrazioni produttive, a quei bacini, a quei distretti dove l'intervento regionale pu determinare massa critica per gli sviluppi.
Dall'Assessore avrei voluto sentire delle considerazioni rispetto alle priorità, rispetto al bilancio zero, al modo in cui diremo a qualcuno "no" motivandolo, e ad altri "sì" perché importanti per determinare i processi di crescita o di rallentamento della caduta occupazionale o di crescita dell'occupazione.
Quanta possibilità esiste nella spesa pubblica regionale, a seconda di come la si determina di riflesso nell'apparato produttivo, nel terziario avanzato o nell'agricoltura piemontese? Pensavo solo nell'avionica, che allegramente il Ministro della Difesa ha sottovalutato rispetto alla ricaduta nell'apparato industriale) C'è un'analisi in questo senso? Ci sono dati chiari? C'è la possibilità di poter verificare anche questi aspetti? Inoltre, quale rapporto si vuole costruire con la nuova Amministrazione torinese, con l'ipotesi dell'area metropolitana - sempre che questa non si riduca ad essere soltanto una povera e semplice aggregazione per meglio gestire la raccolta rifiuti o qualche servizio di questo genere: sarebbe ben poca cosa rispetto ai programmi che i candidati Sindaci hanno espresso, la dimensione europea, il rapporto con le opportunità CEE, ecc., come pensiamo di sinergizzare questo tipo di rapporto? Concludo dicendo che non si tratta solo di un problema di volontà di pesare nei confronti dei rapporti con interessi forti, ma è anche un problema di rendere questo Consiglio regionale più aperto all'esterno. Noi per Statuto, non possiamo utilizzare persone esterne per la formazione della Giunta come avviene per i Comuni con la nuova legge, ma come possiamo superare il limite di aprirci alla comunità solo percorrendo la strada delle consultazioni o di incontri particolari? Come possiamo concertare un progetto per la rinascita del Piemonte, per l'inversione di questa tendenza? Personalmente credo ci siano rapporti politici e volontà precise che toccano la sfera delle dislocazioni politiche dei riferimenti, delle proposte. E' per questo che avrei avuto piacere - e spero nella replica del Presidente della Giunta - di potere individuare grandi direttrici, grandi priorità, sapendo che qualcuno strillerà e qualche altro ne trarrà beneficio. Benefici non per ingrassare qualcuno, ma per avere ricadute utili sui problemi della nostra comunità soprattutto per quanto riguarda l'occupazione.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Tapparo.
Poiché ho appreso, verificando ciò che ha detto il Consigliere Tapparo nel suo intervento, che al piano superiore c'è una delegazione di artigiani, ricevuta dall'Assessore Fiumara, alla quale hanno partecipato diversi Consiglieri, chiedo scusa della mia disinformazione in merito.
Chiuderei i lavori in modo che i Consiglieri che intendono partecipare all'incontro lo possano fare.
La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Mi risulta che dall'elenco delle prenotazioni, un Consigliere dovrebbe adesso prendere la parola: lo dichiari decaduto. Non capisco perché il Consiglio debba interrompersi per riunioni esterne e non debbano interrompersi queste ultime per il Consiglio.
Capisco che occorra sempre trovare un accordo su tutto, ma ci deve essere un limite. Se un Consigliere, iscritto ad intervenire nel dibattito preferisce andare a far vetrina in un incontro in cui non c'entra niente...
Gli Assessori gli incontri li devono tenere in Giunta e non qui! Inoltre, i Consiglieri con gli incontri degli Assessori non c'entrano niente.
Diversamente, si faccia un incontro con il Consiglio e ne risponda il signor Presidente del Consiglio. Se qualche Consigliere vuol andare a fare passerella, e soprattutto a far emergere che non sono presenti gli altri probabilmente, agli artigiani non interessa niente che sia presente qualcuno, ma nota che è assente qualcun altro - deve essere sanzionato.



PRESIDENTE

Consigliere Marchini, questo suo intervento lo dovrei fare io, in realtà, ma non ero stata informata né di una cosa né dell'altra. Tuttavia avendo deciso che avremmo terminato i lavori del Consiglio alle 13,15 circa, mi sembra inutile proseguire nella discussione, visto che alcuni mi hanno fatto presente che vorrebbero partecipare all'incontro che, comunque si sta tenendo, pur essendo anch'io dell'idea che la china che stiamo intraprendendo non è delle migliori, ma non volendo far polemica dichiaro chiusa la seduta del mattino.
La seduta riprenderà alle ore 14,15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,15)



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