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Dettaglio seduta n.228 del 04/05/93 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute", i processi verbali delle adunanze consiliari dell'11 e 17 marzo 14, 22 e 28 aprile; 5 e 12 maggio 1992, distribuiti ai Consiglieri durante la scorsa adunanza consiliare, se non vi sono osservazioni, si intendono approvati.


Argomento: Problemi energetici

Interpellanza n. 1214 dei Consiglieri Chiezzi e Maggiorotti inerente la convocazione della Conferenza regionale per l'energia


PRESIDENTE

In merito al punto 2) all'o.d.g.: "Interrogazioni e interpellanze" esaminiamo l'interpellanza n. 1214 presentata dai Consiglieri Chiezzi e Maggiorotti.
Risponde l'Assessore Lombardi.



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

Le considerazioni e i quesiti rappresentati dai Consiglieri interroganti impongono alcuni chiarimenti recuperando la memoria storica dei dibattiti avvenuti in questo Consiglio e, più recentemente, gli elementi che lo stesso Consiglio dovrà valutare in ordine a specifici provvedimenti di competenza regionale.
Occasioni di confronto e dibattito più recenti hanno nuovamente evidenziato la necessità di promuovere una conferenza regionale per l'energia, la cui organizzazione era già stata ipotizzata e strutturata nella precedente legislatura, anche a seguito dell'ordine del giorno n. 547 del 1988 cui è stata data esecuzione con modalità e tempi diversi, anche alla luce dello spessore e dell'articolazione di quelle determinazioni che furono approvate da un'ampia maggioranza.
In sintesi, per chiarezza e per completezza di informazione, si rammenta che l'ordine del giorno in argomento prevedeva che il Consiglio regionale promuovesse tale conferenza da organizzarsi d'intesa con la Giunta regionale, pur in presenza di una proposta di lavoro rappresentata come iniziativa autonoma di Giunta.
Tra il febbraio e l'aprile 1989 la Presidenza del Consiglio convocava una riunione propedeutica e di metodo dove, con l'intesa del Presidente della Commissione competente e dell'Assessore all'energia, veniva formulata la volontà di delegare ad un gruppo misto di funzionari, in forza al Consiglio e alla Giunta, il compito di definire una specifica ipotesi organizzativa.
Il gruppo di lavoro elaborava un progetto con due soluzioni alternative e consegnava in data 19 maggio 1989 ai rispettivi organi regionali la proposta organizzativa, sollecitando successivamente in data 28 settembre dello stesso anno l'assunzione delle determinazioni conseguenti necessarie all'avvio operativo della conferenza.
Successivamente, stante l'approssimarsi della fine della legislatura e visti i numerosi impegni del Consiglio, ivi comprese altre conferenze su temi di particolare e più urgente attualità, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio decideva di rinviare la convocazione della conferenza demandando ogni scelta ai nuovi organi istituzionali regionali.
Poiché pare di capire che la volontà di allora non sia mutata, la Giunta è sempre stata disponibile, anche alla luce delle determinazioni allora votate, a recuperare la proposta avanzata all'epoca dal gruppo di lavoro, verificandone i contenuti con l'Ufficio di Presidenza e stabilendo modalità e tempi relativi di svolgimento, così valorizzando proposte e contributi già avanzati a suo tempo.
Ciò che non ha permesso l'avvio di tale iniziativa è l'oggettiva mancanza di una proposta assembleare in ordine ai ruoli e ai compiti che gli organi istituzionali regionali intendono assumere in merito, visto che il Consiglio decise di promuovere tale conferenza da organizzarsi d'intesa con la Giunta così come previsto dalle determinazioni consiliari del settembre 1988.
Alla promozione di iniziative e alla generica assunzione di impegni da realizzarsi tramite intese, va data attuazione con azioni concrete e con accordi, magari da assumersi attraverso nuove e rinnovate determinazioni a sostituzione di quelle precedenti, se queste ultime non sono da ritenersi più valide o dove viene a mancare una generale intesa politica.
Ciò per fare definitiva chiarezza in ordine alla prima osservazione.
Sulla seconda osservazione, che entra nel merito della bozza delle prime linee per un piano regionale sull'uso delle fonti rinnovabili, e sulla già evidenziata necessità di organizzare la conferenza come momento e strumento di indirizzo del piano, merita sottolineare che la redazione del piano rientra negli adempimenti dell'art. 5 della legge n. 10/91 e che lo stesso costituisce, come ricordato nel convegno organizzato dalla Giunta nel luglio dello scorso anno, quale concreta azione di informazione e di confronto, momento di analisi e di costruzione di un processo in cui le prime scelte rappresentano obbligatoriamente gli aspetti metodologici procedurali e organizzativi del processo stesso, con gli obiettivi generali da perseguirsi.
Una conferenza, come momento di consultazione e confronto, possiede per sua natura carattere eccezionale e valenza propositiva, ma non certamente forza supplente e sostitutiva alle attribuzioni che la Regione deve esercitare, come lasciano chiaramente intendere talune interrogazioni.
Semmai, il principio della consultazione e del confronto deve essere riconosciuto e praticato sotto forma di nobile e stabile strumento di garanzia e di supporto, ma obbligatoriamente disciplinato quando questo interviene in un procedimento decisionale previsto da una specifica norma (in questo caso quella statale, appunto, di cui all'art. 5 della legge n.
10/91).
Coerentemente con questo pensiero, la Giunta regionale nell'applicare la disposizione dell'art. 16 della citata legge n. 10 in cui è previsto che le Regioni emanino norme per l'attuazione della legge statale, sempre riferita esclusivamente alle sole fonti rinnovabili, ha recentemente approvato un apposito disegno di legge all'interno del quale, nel titolo concernente le determinazioni organizzative e con riferimento agli obiettivi della legge e alla definizione del piano, vengono previsti due livelli di consultazione, confronto e di intesa, articolati in una Conferenza annuale con tutti i soggetti portatori d'interessi rispondenti agli obiettivi della legge e una Conferenza istituzionale, a cadenza semestrale, rivolta agli enti locali cui la legge fa riferimento per la definizione dei procedimenti di intesa con i soggetti istituzionali dalla stessa previsti.
Senza entrare anticipatamente nei contenuti del disegno di legge, cui si spera la Commissione consiliare, che ha già iniziato il lavoro, vorrà riservare una tempestiva attenzione, - si era iniziato, poi è stato riportato in Commissione per una visione complessiva dei vari provvedimenti inerenti il settore - non si può negare come questa rappresenti una concreta testimonianza della volontà della Giunta di garantire il principio della consultazione e del confronto, ricondotto però agli obiettivi collegati agli adempimenti regionali, cui peraltro i Consiglieri interroganti fanno esplicito riferimento nel rispetto e a tutela dei ruoli che i diversi soggetti sono chiamati ad esercitare, e, possibilmente, negli ambiti delle decisioni che la Regione deve assumere in forza al quadro programmatico e normativo vigente.
Ciò premesso, la Giunta è certamente tuttora disponibile ad una Conferenza sull'energia globalmente intesa. E' appena il caso di far presente, infatti, che le problematiche relative alle fonti tradizionali e ai processi d'insediamento dei grandi impianti e delle infrastrutture, sono sullo sfondo dello scenario delle linee di piano approvate dalla Giunta regionale, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 10/91, che hanno riscosso vasti apprezzamenti per la metodologia anche innovativa introdotta e del disegno di legge proposto ex art. 16 della stessa legge n. 10, entrambi limitati all'obiettivo di attivare, esaltare e promuovere le fonti rinnovabili, entrambi considerati adempimenti obbligatori della Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente.
Nel 1988 il Consiglio regionale deliberò l'impegno di organizzare Giunta e Consiglio congiuntamente, una Conferenza sull'energia. Questo è un impegno del Consiglio regionale mai stato soddisfatto.
Sono passati 5 anni e il problema, caro Assessore Lombarbi, non è tanto quello di dichiararsi disponibili ad attuare quell'impegno. Ci mancherebbe altro! Occorrerebbe un nuovo voto del Consiglio regionale che contraddicesse quella decisione. Quindi, non è un granché la sua risposta anche per una sorta di duplice responsabilità che lei ha messo in luce, da parte dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio e da parte della Giunta regionale, nel non fare una cosa decisa dal Consiglio.
Quando la responsabilità è di due soggetti parimenti importanti occorrerebbe che i due soggetti discutessero il modo di attuazione della decisione del Consiglio, e portassero a conclusione il voto del Consiglio stesso.
Si parla tanto di correttezza, di dignità, di vergogne che accadono in questo Consiglio - atteggiamenti definiti "vergognosi" come quelli tenuti dal sottoscritto perché espose un piccolo cartellino ma analoga vergogna evidentemente i vertici della Regione non provano per una decisione presa cinque anni fa inattuata e, ancora oggi, sospesa in un limbo decisionale.
L'Assessore Lombardi ha chiamato in causa l'Ufficio di Presidenza e ha ragione, perché la Giunta di cui fa parte, e l'Ufficio di Presidenza dovrebbero dare dignità con il loro lavoro ai lavori del Consiglio attuando questa decisione o, viceversa, decidere che tale decisione va contestata e assumerne le conseguenze. La decisione non è però contestata e l'Assessore Lombardi si dichiara disponibile. Questo, a mio avviso, è troppo poco. Il passo successivo per sbloccare la situazione - mi rivolgo adesso alla Giunta - è quello non di dichiararsi semplicemente disponibili alla Conferenza sull'energia, ma di richiederla con forza, come elemento necessario per la Giunta regionale per avviare un'azione di governo.
Questo è il salto di qualità che è mancato e che lei, Assessore Lombardi, ha di fronte. Vuole fare questo salto di qualità o no? Perché se lo fa, allora pone in Giunta e, come Giunta, all'Ufficio di Presidenza l'urgenza di una scelta prioritaria in questa direzione, perché la Giunta ne ha bisogno per decidere, perché la politica dell'energia è politica anticrisi, perché la politica dell'energia la ritrovate sui banchi del vostro lavoro come materia "ruvida" da trattare in Valle di Susa. La ponete come un'esigenza vitale per un'azione corretta di governo e la ponete all'Ufficio di Presidenza. Penso che l'Ufficio di Presidenza non abbia nulla da eccepire, forte di un voto del Consiglio e forte di una sollecitazione della Giunta. Penso che l'Ufficio di Presidenza non possa che acconsentire a questa priorità. Così anche l'Ufficio di Presidenza si assume le responsabilità che lei qui ha evidenziato. Il rimpallo di responsabilità tra i due è quanto mai sgradevole e improduttivo.
Il paradosso è che l'Assessore Lombardi dice che non è compito di una Conferenza attuare le leggi dello Stato, e quindi non si può attenderla per permettere alla Giunta di attuare la legge n. 10. Questo non è un pericolo che lei ha corso, perché la proposta sulla legge n. 10 è stata fatta e la Conferenza no. Assessore, durante le consultazioni sull'adempimento della legge n. 10 sono emerse critiche a vasto raggio sul merito delle scelte contenute. La proposta avanzata - gli anni passano ed è chiaro che la cosa diventa ridicola - è che una tempestiva Conferenza sull'energia poteva dare la forza necessaria alla Giunta regionale per attuare la legge 10 in modo meno superficiale e meno generico di quanto ha fatto. Questo non può essere escluso come elemento di forza e propedeutico ad un'azione di governo.
Siamo ancora in tempo a realizzare la deliberazione del Consiglio regionale; spero che i due vertici della Regione Piemonte - la Presidenza della Giunta e la Presidenza del Consiglio - sollecitati da un parere della Giunta e, in modo specifico, dell'Assessore Lombardi e anche dell'Assessore Vetrino che reggeva questo problema, porti la decisione di organizzare la Conferenza dell'energia in quest'aula.
Non penso siano le proposte che mancano, è la decisione di farlo che manca. Spero che dopo la discussione in Consiglio si fissi la data di convocazione della Conferenza sull'energia.



PRESIDENTE

Se mi permette, Assessore Lombardi, intervengo in quanto è stato chiamato in causa l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale. E' evidente che su una questione di settore - nel momento in cui la Giunta si dichiari disponibile ad affrontare la materia - l'Ufficio di Presidenza del Consiglio, per la sua limitata parte di competenza, metterà in atto tutto ciò che è necessario per far fronte all'adempimento e all'impegno che il Consiglio si è preso.
Intanto pregherei l'Assessore Lombardi di volermi far avere copia della sua risposta, appena la Giunta sarà disponibile possiamo parlarne, anche alla Conferenza dei Capigruppo, in modo da programmare anche in tempi non immediati una data certa. Per parte nostra non abbiamo alcuna ragione n volontà, di disattendere un orientamento che il Consiglio si era dato, per cui alla prossima Conferenza dei Capigruppo possiamo parlarne e calendarizzare l'argomento con i tempi che la Giunta riterrà di dovere avere per affrontare congruamente il problema.


Argomento: Protezione della natura (fauna, flora, minerali, vigilanza, ecc.)

Interpellanza n. 953 del Consigliere Chiezzi, interrogazione n. 955 del Consigliere Marino ed interrogazione n. 965 dei Consiglieri Miglio, Segre e Giuliano inerente la tutela e il regolamento di navigazione del Lago di Viverone


PRESIDENTE

Esaminiamo ora l'interpellanza n. 953 e le interrogazioni nn. 955 e 965.
Al Consigliere Marino, che è assente in questo momento, faremo pervenire risposta scritta.
Risponde l'Assessore Panella.



PANELLA Luciano, Assessore regionale

Si tratta di un'interpellanza e di due interrogazioni rivolte a più Assessori, risponderò per la parte che mi compete, non sarò quindi completamente esauriente. Eventualmente i colleghi potranno presentare interrogazioni più mirate ai vari Assessori.
Com'è noto, nel corso del 1992, è stato redatto un nuovo "Regolamento per la disciplina della navigazione sulle acque del Lago di Viverone" (promulgato con DPGR n. 2685 del 17/6/1992) che sostituisce quello a suo tempo promulgato con DPGR n. 8670 del 24/11/1985.
L'orientamento assunto in merito alla modifica del Regolamento emerge chiaramente dalle finalità del nuovo provvedimento specificate nell'art. 1 dello stesso.
In sostanza la nuova regolamentazione, nel suo impianto generale intende rapportarsi con gli aspetti specifici concernenti la sicurezza e la regolarità della navigazione nell'ottica però di rendere la navigazione stessa compatibile con la salvaguardia dell'ecosistema lacustre e dei beni culturali ad esso correlati.
In particolare, per raggiungere tale obiettivo, si sono principalmente rese più restrittive le norme generali concernenti le caratteristiche dei natanti a motore che possono accedere alla navigazione nelle zone del lago ove questa è consentita, nonché si sono posti limiti precisi alla velocità dei natanti stessi. Particolare attenzione poi è stata posta nel disciplinare l'attività dello sci nautico relegando le relativa attività professionali all'interno di apposite aree.
Questo argomento comunque è stato discusso e approvato in aula, quindi credo che sia a conoscenza di tutti i Consiglieri.
Colgo l'occasione per dire che fra pochi giorni in Commissione sarà presentato il Regolamento per il Lago Maggiore che sarà la conclusione della regolamentazione dei laghi piemontesi. Il Lago Maggiore è solo in parte piemontese, ma tale regolamentazione è concordata con la Lombardia.
Lo schema è simile a quello dei laghi piemontesi, quindi il Regolamento è abbastanza omogeneo.
Per quanto riguarda invece altri quesiti, contenuti nell'interrogazione presentata dai Consiglieri Miglio, Segre e Giuliano, i lavori in oggetto sono stati previsti e finanziati nell'ambito del programma degli interventi di sistemazione idraulica ai sensi della L.R. n. 54/75 per l'anno 1986, con deliberazione della Giunta regionale n. 35-5915 del 17/6/1986 per l'importo di L. 30.000.000 IVA compresa.
Il Comune di Azeglio (TO) con deliberazione del Consiglio comunale n.
59 del 14/8/1986, che riprende i contenuti di cui alla precedente deliberazione del Consiglio comunale n. 68 dell'8/9/1984, esprime "parere assolutamente contrario a qualsiasi opera che sbarri o modifichi il flusso naturale dell'acqua che attraverso la roggia Fola fuoriesce dal lago".
Il Servizio scrivente ha redatto nel frattempo, in ottemperanza alle previsioni del Programma ex L.R. n. 54/75, la perizia n. 11953 in data 9/6/1987 relativa ai lavori anzidetti.
I lavori previsti in detta perizia sono stati autorizzati dalla Giunta regionale con deliberazione n. 10-26390 del 31/1/1989 ai sensi dell'art. 82 del DPR n. 616/77 per gli effetti di cui alla legge n. 431/85 in materia di tutela dei beni ambientali, con le seguenti condizioni: "i lavori siano redatti allo stretto necessario visto che l'area oggetto di intervento si trova in una località definita 'zona umida' e non siano quindi realizzati i rilievi arginali posti in fregio allo specchio lacuale lungo le sponde delle rogge Fola e Tina" "la traversa posta trasversalmente alla roggia Fola e la paratoia siano realizzate in legno, mentre i due manufatti, a cui si è immersa la traversa, siano anch'essi in legno ed eventualmente in c.a, rivestito in pietrame".
Il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali - Sovrintendenza Archeologica del Piemonte - con nota n. 986 del 7/2/1991, ha richiesto copia del progetto in argomento per quanto di competenza.
La Giunta regionale con deliberazione n. 94-8620 del 26/8/1991 ha approvato, ai sensi della L.R. n. 18/84, richiamando tuttavia integralmente le condizioni di cui alla DGR n. 10-26390 del 31/10/1991, la perizia dei lavori citata.
Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Sovrintendenza Archeologica del Piemonte - con nota n. 1632 del 30/9/1991 ha comunicato di avere sospeso ogni valutazione sul progetto in attesa di disporre di ulteriori elementi e di effettuare sopralluogo.
Il Servizio Opere Pubbliche e Difesa del Suolo di Torino successivamente, a seguito del sopralluogo esperito di concerto con la Sovrintendenza Archeologica di cui sopra, ha comunicato all'Assessorato Viabilità e Trasporti con nota n. 4288 del 30/10/1991 la necessità di non dare corso ai lavori a suo tempo approvati, in quanto è necessario acquisire comunque preliminarmente il parere della Sovrintendenza Archeologica tuttora mancante, ed inoltre riconsiderare le previsioni progettuali anche alla luce delle condizioni imposte dal Settore Beni Ambientali e recepite nella Deliberazione di Giunta regionale n. 94-8620 del 26/8/1991.
Infatti, dette condizioni per la loro rilevanza sostanziale, nei riguardi delle previsioni di progetto rendono, già allo stato attuale, di fatto ineseguibili le opere previste nella citata perizia n. 11953 del 9/6/1987.
Data la complessità della risposta, fornirò immediatamente fotocopia della risposta scritta. Chiedo ai colleghi che, in base a questa approfondiscano ulteriormente l'argomento con domande più specifiche e mirate. Spero di essere stato comunque utile in quest'opera di raccordo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio.



MIGLIO Mario

Assessore, mi pare di avere capito che, nella sostanza, le questioni sollevate con l'interrogazione avevano un loro fondamento. Era necessario verificare meglio l'impatto che poteva derivare dalla realizzazione di una paratoia per poter controllare il deflusso delle acque dal Lago di Viverone al fine apparente di mantenere un equilibrio sul piano ecosistemico. Era ragionevole, era corretta la segnalazione dell'Associazione locale che si occupa della difesa di questo bacino lacustre ed era opportuno che anche i Consiglieri regionali sollevassero la questione agli Assessori competenti.
Se posso dirmi sostanzialmente soddisfatto per il fatto che, anche grazie all'intervento della Sovrintendenza, si è deciso di bloccare i lavori di realizzazione dell'opera per verificare più puntualmente l'opportunità di realizzare lo stesso sbarramento o quali trasformazioni potevano essere apportate al progetto per renderlo in maggior misura compatibile con le caratterische del luogo, debbo però sollevare un'altra questione. L'interrogazione verteva ad avere una risposta non solo dall'Assessore Panella, perché introduceva anche un altro argomento rispetto ad un caso così particolare come il Lago di Viverone, quello della compatibilità ambientale. Mantenere un equilibrio ecosistemico salvaguardando le caratteristiche della zona umida, doveva essere il fine dell'intervento e per questo ci attendevamo una risposta dall'Assessorato all'ambiente, che già sta facendo un egregio lavoro con il monitoraggio della qualità delle acque. Pregiudiziale all'assenso è la comprensione della funzionalità, dell'obiettivo reale che può essere solo quello di mantenere un equilibrio ambientale, nel senso di far sì che il livello dell'acqua non raggiunga un'altezza tale da far venire meno le condizioni minime di vita per gli organismi animali e vegetali. Il problema era quello di capire quale correlazione c'era stata fra i diversi Assessorati per poter fare un'analisi anche dell'impatto ambientale e quindi della funzionalità dell'opera, così come era stata proposta. Mi sarebbe piaciuto avere una relazione anche rispetto ai lavori avviati dall'Assessorato all'ambiente su questa particolare questione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente, colleghe e colleghi. L'Assessore, per quanto riguarda i lavori di costruzione di una paratia, ha concluso dicendo che il progetto va riconsiderato e occorre ancora un parere della Sovrintendenza Archeologica. La questione di competenza della Regione Piemonte è la seguente: è vero che questa opera idraulica è finalizzata alla possibilità di utilizzare lo specchio lacustre del Lago di Viverone Azeglio a fini motonautici? Perché è questo l'elemento sul quale la Regione deve assumersi delle responsabilità. Un comitato ambientalista, che opera per la difesa dell'ambiente e del Lago di Viverone, afferma che quest'opera di idraulica corrisponde a delle necessità di esercizio motoristico dello specchio lacustre, per consentire una regimazione delle acque che non turbi quest'attività. Attività che viceversa è gravemente turbativa dell'ambiente lacuale. Se questo è vero il progetto, a mio avviso, non dovrebbe essere semplicemente riconsiderato, dovrebbe essere semplicemente abbandonato.
Quindi chiederei che l'Assessore esaminasse questa questione alla luce delle proprie responsabilità. La Sovraintendenza ha un altro settore di competenza. La Regione prenda una deciisione sulla base delle proprie responsabilità.
Per quanto riguarda l'esecuzione dell'opera l'Assessore ha segnalato che queste sono opere che i settori tecnici hanno deciso di costruire in legno, e l'altro manufatto, ha detto l'Assessore, sarà in cemento armato rivestito di pietrame. Sulla paratoia in legno posso semplicemente dire che il discorso critico non è sull'utilizzo del legno, ma sul senso che ha la paratoia. Comunque l'Assessore evidenziava il fatto che fosse prevista in legno, credendo in questo modo di proporre l'utilizzo di un materiale più consono all'ambiente e su questo concordo. Non concordo invece, Assessore, sulla seconda osservazione, quando lei dice che l'altro manufatto sarà eseguito in cemento armato, ma sarà rivestito di pietrame.
Questa scelta tecnologica la ritengo una sorta di foglia di fico inaccettabile. Non so se la tutela dell'ambiente passi attraverso l'esecuzione di muri in calcestruzzo, piastrellati con delle pietre. E' un modo di utilizzare le tecnologie, assolutamente privo di cultura. Il cemento armato è una tecnica costruttiva che può essere utile in certe situazioni, ma pensare di utilizzare quella tecnica costruttiva e poi occultarla con una spesa pari ad essa, attraverso il mascheramento della stessa, utilizzando le pietre come fossero delle piastrelle, mi sembra un modo oneroso per la collettività, e culturalmente debole. Se il cemento armato va usato si dica ai nostri tecnici di utilizzarlo facendo leva sulle proprietà di questa tecnica costruttiva per inserirla nell'ambiente.
Comunque sia non deve essere occultata, l'intervento dell'uomo non deve mimetizzarsi all'interno della natura in questi modi. Se lei, Assessore percorre alcune strade statali, alcuni appalti fatti dall'Anas - la strada che in Piemonte porta in Liguria attraverso il Colle di Nava - lei vedrà dei muri di cemento armato alti 5/10/15 anche 20 metri, che sono stati piastrellati con del materiale litoide. E' una spesa enorme, per coprire una forma di vergogna per il manufatto, che nulla toglie, a mio parere alla devastazione dell'ambiente, mentre molto aggiunge alle dissestate casse della nostra collettività. Chiedo quindi che l'Assessore, che dirige dei settori tecnici, apra una discussione su questi fatti, su queste scelte, improntando un'attività progettuale che sia capace di sostenere l'utilizzo di tecniche costruttive in rapporto con l'ambiente, senza ulteriori spese in opere pubbliche che vengono a costare più di quanto potrebbero. Per questo motivo quella paratia rivestita di pietre che lei ha oggi tra le mani e che si promette di riconsiderare, nel caso venga riconsiderata le sarei grato volesse aggiungere alle sue osservazioni anche quelle da me appena dette.



PRESIDENTE

Pregherei l'Assessore Panella di voler dare la risposta scritta al Consigliere Marino che in questo momento è assente.


Argomento: Norme generali sui trasporti

Interpellanza n. 1128 dei Consiglieri Chiezzi e Maggiorotti inerente l'analisi sull'elevato costo del servizio urbano della città di Torino e proposta di inchiesta sui flussi finanziari di spesa


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 1128 presentata dai Consiglieri Chiezzi e Maggiorotti.
Risponde l'Assessore Panella.



PANELLA Luciano, Assessore regionale

Volevo chiedere al Consigliere Chiezzi se preferiva avere il testo scritto della risposta redatta in termini molto tecnici.



CHIEZZI Giuseppe

Limitati alle parti politiche.



PANELLA Luciano, Assessore regionale

Dato l'oggetto dell'interpellanza, "quali analisi si stiano conducendo per verificare le cause della formazione di così grande disavanzo fra entrate ed uscite nel settore-trasporto pubblico, e per individuare ed eliminare le diseconomie ed eventuali sprechi nell'uso del denaro pubblico.., e se non sia il caso di svolgere un'inchiesta sui flussi finanziari", la risposta sarà necessariamente di carattere tecnico: la leggo volentieri, anche se è un po' lunga.
Dal 1986 al 1991, in riferimento ai servizi svolti dall'intera azienda ATM, i chilometri ammessi a contributo sono diminuiti dell'11%.
Per gli stessi servizi, il totale contributo di esercizio erogato all'ATM di Torino nel 1991 è di 230 miliardi, nel 1986: 214 + 7,5%.
Il contributo a livello regionale nello stesso periodo è aumentato del 12,7% ed in questa stessa percentuale è aumentato il relativo Fondo Nazionale Trasporti.
Nello stesso periodo, l'incremento dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati è aumentato dal + 32%.
L'erogazione del contributo di esercizio è definito in base alle percorrenze accertate (dall'Assessorato regionale e dalle Province) ed a seguito della revisione dei bilanci e nel limite dei criteri e parametri standard approvati con deliberazione del Consiglio regionale n. 658-2041 del 16/2/1984, aggiornata ogni anno dalla Giunta regionale.
Avendo nel 1982, anno di entrata in vigore del Fondo Nazionale Trasporti, le grandi aziende pubbliche un costo notevolmente superiore al costo standard (principalmente a causa del maggior numero di agenti impiegato nello svolgimento dei servizi) la stessa deliberazione del Consiglio prevedeva un rientro graduale nell'arco di cinque anni.
Nel 1987 il costo ammesso doveva essere pari allo standard. In generale vi è stato un netto miglioramento. Però alcune aziende (in particolare l'ATM di Torino e la SATTI) non hanno ancora raggiunto l'obiettivo.
Per l'ATM di Torino il maggior costo ed il maggior contributo erogato rispetto allo standard riguarda solo il servizio urbano svolto con bus, e non l'urbano con tram né il suburbano e interurbano.
Il contributo 1992 previsto per l'urbano-bus è di 101 miliardi. In base alla competenza derivante dalla pura applicazione del costo standard sarebbe 91,5 miliardi (pagato, quindi, circa l'11% in più).
Per il servizio urbano-bus di Torino, nel 1992 il costo totale effettivo supera del 12% il costo standard.
Ciò è dovuto alla differenza fra la velocità commerciale effettiva esclusi i tempi non utili al moto, che è di 12,9 km/h.
Il corrispondente dato, preso a base nel lontano 1981 per costruire lo standard, è di 14,6 km/h.
Siccome in un servizio urbano come Torino la velocità commerciale incide direttamente e proporzionalmente sulle ore di impiego degli autisti e dei bus, e quindi sul costo totale, ciò significa che attualmente basta la differenza di velocità commerciale per giustificare il maggior costo e quindi il maggior contributo erogato.
La situazione è migliorata. Basta notare, rispetto ai chilometri annui dell'urbano-bus, l'andamento del numero dei due principali fattori del costo: numero agenti effettivi e numero bus effettivi.
Il contributo erogato in più attualmente è in base ad oggettive condizioni, quindi indipendentemente dal soggetto aziendale.
Il rientro sarà possibile, ma occorrerà ancora tempo, specie perch dipende dalla possibilità di aumento della velocità commerciale.
E' in preparazione una deliberazione che affronta il problema giustifica il presente e pone condizioni di rientro nel costo standard per il futuro.
La sanatoria dell'attuale situazione è possibile anche perché l'attuale costo standard è inferiore a quello nazionale di aziende similari per dimensioni e tipo di servizio.
Anche il costo effettivo dell'ATM di Torino è inferiore a quello nazionale di aziende similari.
Ciò risulta sia dai dati Federtrasporti sia da quelli del conto nazionale trasporti sia da dati forniti dalle altre Regioni nelle riunioni svolte sul riparto del Fondo nazionale.
Nel complesso, anche per tutti i servizi del Piemonte, la situazione è migliore rispetto a quella nazionale, tenuto conto delle diversità di dimensione dei servizi urbani.
All'ATM di Torino si applicano gli stessi controlli di tutte le altre aziende.
Controlli.
Il Servizio programmazione trasporto su gomma del settore trasporti e le Province effettuano i controlli in linea sul servizio, sulle percorrenze ammissibili a contributo, sui vuoti e trasferimenti non inclusi nei chilometri contributivi.
Controllo nel rispetto del disciplinare di concessione, delle sovrapposizioni, parallelismi.
Rilevazione della domanda di trasporto per linea e individuazione di quelle linee che non incassano dal traffico neanche la metà del ricavo minimo stabilito a livello nazionale.
Rilevazione e controllo dell'organico e numero bus attribuibile ai servizi in concessione, necessari anche per il riparto dei costi e ricavi comuni aziendali alle linee.
Per gli investimenti: definizione del numero di autobus ammissibile a contributo secondo gli utilizzi standard per tipo di servizio.
Tenuto conto del numero di bus già contribuiti negli ultimi dieci anni il numero di bus così definito è confrontato ed adeguato al numero di bus esistente nell'azienda di età superiore a dodici anni.
Il numero è ulteriormente abbassato se il numero controllato richiesto dall'azienda è più basso.
Controlli costi.
Innanzitutto è definito il costo standard massimo ammissibile a contributo, a cura del Servizio finanziario del settore trasporti. Per la metodologia analitica di costruzione di tale costo massimo, si veda la deliberazione del Consiglio regionale del 16/2/1984, n. 658-2041.
Tale delibera è stata redatta con riferimento a criteri e parametri strettamente pertinenti all'esercizio, di efficiente e rigorosa gestione, e tenuto conto, con analisi comparate, della qualità e tipo di servizio svolto e delle condizioni ambientali.
Sono state sentite le Associazioni di categoria: Federtrasporti, ANAC e le Organizzazioni sindacali dei lavoratori.
Si articola in base ai tipi di servizio: pianura, montagna, urbano di Torino, urbano non di Torino, suburbano diviso in quattro classi, secondo la velocità commerciale accertata.
Il costo è aggiornato a consuntivo dalla Giunta regionale, considerando le variazioni medie annue dei prezzi per singole componenti di costo e del costo unitario nazionale per agente.
Tali variazioni percentuali annue, con le relative motivazioni costituiscono vincolo nel controllo del costo effettivo.
Il costo ammissibile a contributo, per le principali voci, è il valore minore tra il costo standard e il correlativo costo effettivo aziendale revisionato dagli Uffici regionali.
I costi effettivi aziendali sono rilevati e revisionati a consuntivo dall'Assessorato.
E' impiegata da un paio di anni anche una Società di revisione iscritta nell'albo della Consob che controlla in medie cinque aziende l'anno.
Il piano di rilevazione è unico, immutato. Si compone dello Stato Patrimoniale e Conto economico. Successivi prospetti classificano i costi e per tipo di servizio: interurbani contribuiti, urbani contribuiti e servizi non contribuiti con il Fondo Nazionale, cioè i Noleggi, i servizi pagati dal Committente il servizio, Gran Turismo ed Internazionali.
Oltre che per tipo di servizio i costi sono classificati per funzioni aziendali: movimento, manutenzione ed amministrazione. E' separato il costo del personale, dettagliato secondo i principali componenti della paga e contributi previdenziali.
Il conto economico infine è controllato secondo le normali procedure di revisione contabile e di revisione economico-finanziari. Il controllo è continuo e sistematico ed è immutato dal 1982.
Le tabelle sono allegate alla relazione, spero, dal punto di vista tecnico e politico, di essere stato esauriente.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTICELLI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Colleghe e colleghi, avete sentito come non di fatti tecnici si discuta, ma di fatti che hanno grande rilevanza politica. Il maggior onere che pesa sui contribuenti, per i contributi che la Regione Piemonte assegna all'azienda di trasporti torinesi, dipende dalla inefficienza nella quale il servizio di trasporto pubblico nella città di Torino viene mantenuto ormai da anni, anzi viene per certi aspetti peggiorato. E' proprio di questo elemento che volevo parlare. La relazione che dà per scontato che l'inefficienza esiste, che i costi sono altissimi perché la velocità commerciale media è ben al di sotto dello standard previsto per i contributi.
Dire questo è facile, sta nelle cose, ma da un Assessore regionale ai trasporti mi sarei aspettato che - a fronte di una situazione che non ha alcuna giustificazione e a fronte dal fatto che il denaro dei contribuenti viene dato per gestire in malo modo un'azienda - l'Assessore proponesse linee di comportamento capaci di superare questa questione. L'Assessore viceversa ha semplicemente illustrato la situazione e si è dimenticato, ad esempio, di dire che la responsabilità della Regione Piemonte sul settore dei trasporti è grande e non viene osservata dalla Regione stessa e dall'Assessore in particolare. Mi riferisco al fatto che se la Regione Piemonte disponesse, come suo dovere e obbligo legislativo, di una politica dei trasporti fondata sul piano regionale dei trasporti e se all'interno di questo piano il sistema dei trasporti della città di Torino fosse inserito secondo una logica di razionalità e di miglioramento, la Regione Piemonte potrebbe porsi sulla scena della spesa pubblica, nel settore dei trasporti come un soggetto che cerca di ripianare i deficit, di diminuire e di impiegare le risorse pubbliche non per sostenere sprechi di gestione, ma per incrementare l'efficienza nella gestione stessa. Se la velocità media del trasporto pubblico è bassa, non è dovuto ad una calamità naturale, è dovuta all'assenza di progetti e programmi amministrativi, di organizzazione del settore del trasporto pubblico e privato. Progetti che sono mancati nella città di Torino, abbandonando alle solite inefficienze di gestione il settore dei trasporti.
Per quanto riguarda la seconda parte dell'intervento, mi aspettavo che l'Assessore, oltre ad elencare i controlli - pochi perché cinque aziende controllate all'anno è poca cosa - dicesse anche qualche cosa sull'esito di questi controlli. I controlli si fanno per verificare se questa massa ingente di denaro - centinaia di miliardi viene erogata a chi si deve secondo le convenzioni che si sono firmate e con pezze giustificative controllate. Mi sarei aspettato che si dicesse qualche cosa sull'esito di questi controlli, o sono controlli che segnalano sempre la perfetta aderenza ottimizzazione e inattaccabilità della spesa? Dato che è difficile pensare che tutto si svolga per il meglio quando si eroga in così largo modo il denaro pubblico, speravo che l'Assessore dicesse anche che effettuando i controlli si è riusciti a tagliate le unghie a qualcuno, ad imporre una gestione rigorosa delle risorse pubbliche, questo non è stato detto. Nell'interpellanza avevo suggerito di avviare una vera e propria inchiesta su questi flussi finanziari di spesa, la risposta dell'Assessore da questo punto di vista non ha fatto luce e quindi non ha risposto all'interpellanza e la cosa non mi lascia del tutto tranquillo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calligaro.



CALLIGARO Germano

Siccome l'interpellanza n. 1483 è in elenco ormai da alcune sedute di Consiglio, chiedo che venga discussa come prima interpellanza nella prossima seduta del Consiglio, si tratta di una questione delicata la cui risposta è attesa invano ormai da sette mesi.
Tra l'altro è presente l'Assessore Vetrino, quindi c'erano tutte le condizioni per poterla svolgere oggi.



PRESIDENTE

Faccio presente che prima di discutere quell'interpellanza ci sono ancora, in ordine cronologico, cinque pagine di interpellanze, comunque terremo conto del suo sollecito ed inviteremo l'Assessore a rispondere nella prossima seduta.



CALLIGARO Germano

Ho l'impressione che non si voglia rispondere, che si preferisca non rispondere.



PRESIDENTE

Mi limitavo a far presente il pesante arretrato.


Argomento: Uso delle acque (regimazione, usi plurimi)

Interrogazione n. 1146 dei Consiglieri Miglio, Segre e Giuliano inerente l'alterazione di deflusso del fiume Sesia per lavori svolti nell'alveo localizzato in Comune di Gattinara.


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interrogazione n. 1146 presentata dai Consiglieri Miglio, Segre e Giuliano.
Risponde l'Assessore Nerviani.



NERVIANI Enrico, Assessore regionale

Chiedo scusa ai colleghi Miglio, Segre e Giuliano se ho fatto attendere qualche minuto prima di rispondere.
Con riferimento all'interrogazione in oggetto si specifica quanto segue. In data 7 maggio 1992 è pervenuta l'istanza al Settore beni ambientali, della ditta in argomento che è la ditta frantoio di Ghemme per la conservazione tendente ad ottenere l'autorizzazione ai sensi della legge n. 431/85, per la conservazione di un guado temporaneo posato abusivamente nell'alveo del fiume Sesia. L'istanza era integrata dalla documentazione attestante l'avvenuto pagamento della sanzione comminata correttamente dal Comune ai sensi della L.R. n. 20/89. Esaminati gli atti, constatato che la posa del guado aveva carattere temporaneo e serviva a realizzare opere di estrazione inerti e ripristino ambientale già autorizzate con precedente deliberazione della Giunta, è motivata anche dall'opportunità di non far transitare mezzi nei centri abitati, era autorizzata dal Magistrato del Po sotto il profilo idraulico, ritenuto che non deturpasse il paesaggio fluviale in modo definitivo, in quanto sarebbe stato smantellato nell'arco di tempo di un anno, si è formulato parere favorevole in merito alla conservazione temporanea del guado stesso, con parere incluso nella DGR n.
111-15849 dell'8/6/1992, all'esplicita condizione che a fine lavori il guado doveva essere integralmente rimosso e venisse posto a specifica cura nel ripristino a regola d'arte anche delle zone spondali interessate.
Queste erano le condizioni. Ricordo al collega Miglio, al collega Giuliano e alla collega Segre che il nostro parere era di tipo ambientale si trattava di autorizzare il mantenimento di questo guado, peraltro estremamente precario, che non alterava in maniera irreversibile il paesaggio. C'era comunque il parere del Magistrato del Po, per cui ci era sembrato giusto concedere un'autorizzazione, quindi un parere favorevole all'intervento. Mi pare che la cosa sia superata per i fatti che probabilmente illustrerà Miglio ma anche per la scadenza dei termini che erano previsti dall'autorizzazione, cioè di un anno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio.



MIGLIO Mario

Ringrazio l'Assessore. Non sono d'accordo con le motivazioni addotte a giustificazione della scelta assunta dalla Giunta regionale che ha dato un'autorizzazione, seppur limitata nel tempo, per la realizzazione dell'opera, in questo caso, di un guado sul fiume Sesia.
Ne spiegherò i motivi. Noi sostenevamo che un intervento di questo tipo non solo andava ad alterare il paesaggio e gli elementi distintivi dell'alveo di questo fiume, ma poteva creare dei problemi significativi per il mantenimento del suo assetto idrogeologico. Non a caso, già allora, si sollevava questo problema e la correlata necessità di fare una verifica sul luogo, tanto più che l'ispezione fatta dai Vigili Urbani del Comune di Gattinara si concludeva con la precisazione che non era stata rilasciata specifica autorizzazione da parte della Regione, tant'è che a seguito di questo fatto, veniva presentato un esposto all'Autorità Giudiziaria. Ora apprendiamo che il Comune di Gattinara non si sarebbe neanche accorto che era stata rilasciata un'autorizzazione provvisoria di svincolo alla legge n. 431/85, ci si deve chiedere se tutto ciò denota una scarsa capacità amministrativa o la mancanza di dialogo tra la Regione e i Comuni.
Al di là di questo, sollevammo la questione di effettuare una verifica sulla sussistenza o meno dei requisiti di accettabilità minima dell'opera non solo perché ci risultava mancasse l'autorizzazione di svincolo ai sensi delle legge Galasso, ma soprattutto perché una barriera di questo tipo realizzata con tubi di cemento e con movimentazione di terra poteva comportare un'alterazione significativa del deflusso delle acque del fiume Sesia e, di conseguenza problemi per quanto riguardava il mantenimento dell'assetto idrogeologico.
La situazione si è risolta, ma in un modo un po' strano. La piena verificatasi qualche settimana dopo la nostra segnalazione relativa al guado, per la forza esercitata su questa barriera, portava via, a valle chissà dove, i tubi di cemento e la barriera di terra da poco realizzate in compagnia di alberi ed altro terreno a causa dell'erosione di gran parte della fascia spondale prossimi al guado stesso. Questo dimostra che le questioni da noi sollevate non erano secondarie.
E' sorprendente poi scoprire che la motivazione in base alla quale è stata rilasciata l'autorizzazione provvisoria consiste nella necessità degli automezzi pesanti di raggiungere più facilmente, senza attraversare l'abitato di Gattinara, l'altra sponda del Sesia, in provincia di Novara dove ha sede il frantoio di Ghemme, cioè il soggetto che aveva realizzato quest'opera. Noi avevamo sollevato al pari la questione dell'opportunità di rilasciare l'autorizzazione per l'apertura e l'esercizio di una cava in località Pubbieto, sempre nel Comune di Gattinara, alla luce del fatto che quell'intervento non ci sembrava potesse essere qualificato come recupero ambientale; ciò per la dimensione della cava stessa rispetto all'area degradata e per i problemi che poteva comportare, alla luce del fatto che questa attività estrattiva si localizzava a ridosso dell'argine artificiale del fiume Sesia.
A maggior ragione, ci sembra un po' leggero il comportamento assunto da parte dell'Assessorato competente, il quale, dopo aver rilasciato un parere positivo che individuava come strada di percorrenza degli automezzi pesanti una via interna - quella che dalla cava raggiunge la Strada Statale della Val Sesia per poi arrivare, attraversando Gattinara e Romagnano Sesia, al frantoio di Ghemme, dall'altra parte del fiume, utilizzando il ponte esistente poco dopo decideva di rilasciare l'autorizzazione provvisoria per realizzare, ad hoc, un guado che comportava un impatto ambientale e, come è stato dimostrato, anche di tipo idrogeologico, solo per evitare ad alcuni mezzi pesanti di fare un giro un po' più lungo.
Queste decisioni sono state assunte da un Assessorato che dovrebbe avere, come prima preoccupazione, quella di salvaguardare il paesaggio, di tutelare l'ambiente, di fare il possibile perché le condizioni idrogeologiche rimangano inalterate; ciò denota, secondo noi, una superficialità che dovrebbe essere chiamata e la necessità di comprendere meglio le alterazioni che si possono determinare a seguito del rilascio di autorizzazioni di questo tipo.
Concludendo, la risposta è per le giustificazioni che sono state presentate. Caso vuole che la natura, in questa occasione, abbia provveduto da sola, seppur lasciando il danno irreparabile dell'alterazione ulteriore di una fascia spondale.
Infine, sottolineo la contraddizione di fondo con la politica del Magistrato del Po e dell'Autorità di bacino che, in questo caso, danno un parere favorevole per la modifica dell'assetto di un alveo del fiume e dall'altra parte, come l'Assessore Nerviani immagino sappia, assumono dei provvedimenti per evitare che si continui ad esercitare l'attività estrattiva negli alvei, alla luce anche del fatto che si è constatato l'incremento dell'abbassamento delle falde acquifere, proprio a seguito di tutti gli interventi che vengono realizzati in queste zone.
Ci sembra una politica estremamente contraddittoria proprio perch mentre da una parte si dichiara - per tramite di documenti di voler provvedere a far sì che non si operi più come nel passato, distruggendo un equilibrio che la natura pian piano è riuscita a creare, dall'altra parte invece, con una facilità estrema, si danno dei pareri affermativi - in questo caso del Magistrato del Po, a cui si è aggiunto quello della Regione, per compiere interventi assolutamente inaccettabili.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Sull'ordine dei lavori e richiesta di spiegazioni da parte del Consigliere Chiezzi sulla deposizione spontanea resa dal Presidente della Giunta regionale, Brizio, secondo quanto pubblicato sui giornali


PRESIDENTE

Avendo concluso il punto delle interrogazioni ed interpellanze propongo l'ordine dei lavori che si è convenuto seguire dopo le comunicazioni del Presidente del Consiglio. In sede di conferenza dei Capigruppo l'orientamento è stato quello di sviluppare almeno i punti 8) 9), 10), 11) e 12) all'o.d.g. e, per quanto possibile, anche il 13). Poich l'Assessore Nerviani aveva già anticipato che nel pomeriggio si sarebbe recato a Roma, si era convenuto di esaminare dapprima la proposta di deliberazione n. 632 e successivamente i provvedimenti relativi ai parchi che si prevedono di rapida approvazione, e subito dopo la legge relativa all'occupazione.
Questo consente anche, se cominciamo ad esaminare la proposta di deliberazione n. 632, al Presidente della Giunta e a me, che siamo stati richiesti di incontrare una delegazione che è arrivata in Consiglio, di assentarsi un quarto d'ora.
Il Consigliere Chiezzi ha chiesto la parola sull'ordine dei lavori; ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Presidente, prima che assolviate l'impegno che ha annunciato, volevo chiedere al Presidente Brizio di rendere una comunicazione in merito all'avviso di garanzia ricevuto qualche settimana fa. In quest'aula di quell'avviso di garanzia non si è discusso, perché non se ne conosceva il merito, mentre ora - così mi è parso leggendo i giornali - il merito è stato reso noto.



PRESIDENTE

Intanto darei un momento di tempo al Presidente Brizio per valutare la sua richiesta, conché mi permetto di dire che non si deve sviluppare la discussione, perché questo non si era convenuto. Mi rifaccio agli impegni presi nella conferenza dei Capigruppo rispetto a provvedimenti che hanno una scadenza e alla legge inerente l'occupazione. Dico semplicemente questo perché è quanto si era convenuto, poi io non sono il Presidente della Giunta, sarà quindi lui a valutare come e se rispondere alla richiesta che il Consigliere Chiezzi testè avanzato.
Ha chiesto la parola il Consigliere Marchini; ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Chiedo scusa Presidente, mi sembra, però, opportuno che da parte del Consiglio ci sia un pronunciamento su quanto detto dal collega Chiezzi perché la sua richiesta se non avesse risposta verrebbe considerata una richiesta del Consiglio al quale il Presidente della Giunta non ha dato risposta. Io ritengo di interpretare me stesso, sicuramente solo me stesso nel ritenere che nessuna sollecitazione e nessuna richiesta possa essere avanzata al Presidente. Sarà il Presidente a valutare quando saranno maturate le condizioni per una comunicazione in Consiglio. E' improprio per certi versi anche giuridicamente non praticabile, qualunque tipo di sollecitazione al Presidente della Giunta. Pertanto ritengo che su questa questione debba essere il Presidente della Giunta a darci la comunicazione quando avrà valutato la situazione in termini di rapporti con il Magistrato e riterrà che siano maturate le condizioni.



PRESIDENTE

Abbiamo preso atto di questa posizione. Ripeto che non spetta a me rispondere su queste questioni. Credo semplicemente che qualora il Presidente ritenga di dare una comunicazione, di mera comunicazione deve trattarsi.
La parola al Presidente della Giunta, Brizio.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Sono stato molto diretto nel comunicare l'avvenuto ricevimento dell'avviso di garanzia, non ho quindi alcuna difficoltà a dire cosa è successo ieri nell'incontro avuto con il Magistrato.
Ricorderete benissimo che quando ho ricevuto l'avviso di garanzia anticipai in aula che avrei chiesto immediatamente di essere ricevuto dal Magistrato. Il Magistrato dopo tre settimane ha potuto ricevermi, mi sono recato da lui e sono stato accolto, non dico a braccia aperte, ma è stato un incontro di grande apertura. Incontro nel quale ho potuto chiarire che e lo confermo - il tutto deriva da un esposto che è stato presentato da un gruppo di ecologisti della Valle di Susa in ordine alla questione della linea ad Alta Velocità Torino-Lione per quanto riguarda mancate risposte dopodiché l'esposto tocca altri argomenti (il progetto STEF), pone degli interrogativi, una problematica varia. Naturalmente trattandosi di questo ho spiegato al Magistrato molto puntualmente la posizione mia, la posizione della Regione e gli atti che sono stati assunti; il colloquio ritengo sia stato positivo. Il Magistrato ha affermato che non si può dire che la mia non sia una posizione chiara; sono anche rimasto a disposizione per fornire una memoria scritta se fosse il caso. Per ora il Magistrato non mi ha chiesto nulla, come non mi ha interrogato, bensì sono andato io a fare una deposizione spontanea. La situazione è quella che ho illustrato.
Ai giornali non ho parlato io. Voi sapete come succedono queste cose: io sono entrato e uscito e nessuno mi ha visto, ma tutti dicono di avermi visto. E' la solita questione ben nota. Comunque non avevo motivo di tenere segreta la cosa e ho anche spiegato al giudice le ragioni per le quali all'atto del ricevimento dell'avviso di garanzia ho ritenuto giusto portarlo a conoscenza del Consiglio anche se avevo ricevuto assicurazione di poter tenere le cose segrete.
Aggiungo di più: nella presentazione ho potuto tranquillamente dichiarare, a sua domanda, che non ho altre comunicazioni giudiziare di alcun genere e credo che sia una cosa abbastanza rara per un amministratore che ha amministrato un Comune, una Provincia e la Regione per 35 anni. Ho avuto una sola comunicazione giudiziaria nella mia storia, quella riguardante l'Interchim ben nota in quest'aula perché spesso dibattuta in passato. Rispetto a quella comunicazione giudiziaria del 1987 non sono stato sottoposto a nessun interrogatorio e ho dovuto attendere l'inizio del 1993 e la condanna di chi mi aveva denunciato per poter leggere la mia archiviazione. Ho detto anche questo al giudice.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 7) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Cantore, Cattaneo, Cucco, Dameri Maccari, Maggiorotti e Sartoris.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge vistati dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

d) Saluto del Presidente agli studenti del corso di Diritto pubblico Legislazione forestale e ambientale - dell'Università di Torino


PRESIDENTE

A nome del Consiglio regionale desidero porgere il saluto agli studenti del corso di Diritto pubblico - Legislazione forestale e ambientale accompagnati dal prof. Crosetti, che sono qui presenti per assistere ad una seduta del Consiglio regionale nella quale tra poco verranno esaminate delle deliberazioni ed approvate delle leggi. La prima parte delle leggi in esame riguarda la materia dei parchi, quindi di tutela del territorio e dell'ambiente; la seconda riguarda misure straordinarie per incentivare l'occupazione mediante la promozione e il sostegno di nuove iniziative imprenditoriali e per l'inserimento in nuovi posti di lavoro rivolti a soggetti svantaggiati.


Argomento: Pianificazione territoriale - Urbanistica: argomenti non sopra specificati

Esame proposta di deliberazione n. 632: "L.R. 3/4/1989, n. 20. Piano paesistico di parte del territorio del Comune di Pragelato"


PRESIDENTE

Passiamo al punto 9) all'o.d.g. che prevede l'esame della proposta di deliberazione n. 632.
La parola all'Assessore Nerviani.



NERVIANI Enrico, Assessore regionale

Si tratta della deliberazione che porta all'approvazione del Piano paesistico di parte del territorio del Comune di Pragelato.
E' un Piano paesistico raccomandato dalla II Commissione nel 1986 e determinato da una opposizione agli insediamenti residenziali, commerciali alberghieri ed impianti di risalita denominati "Plan 2000" e "Pattemouche" previsti nel Comune di Pragelato. Vi fu in allora un'opposizione a questi insediamenti e l'applicazione dell'art. 9 e delle norme di salvaguardia previste dalla legge n. 56/77, con la conseguente sospensiva della validità delle concessioni per la realizzazione degli insediamenti accennati.
I provvedimenti cautelari sono stati assunti dalla Giunta regionale il 18 novembre 1986. In questo senso si era indirizzato il Consiglio e specificamente la II Commissione competente.
L'incarico è stato impossibile assegnarlo - così almeno mi viene riferito, perché allora svolgevo altre funzioni all'interno di questo Consiglio - in mancanza di una normativa di applicazione dell'art. 9 della legge n. 56 e più specificamente di una normativa regionale di applicazione della 1497.
Successivamente con l'approvazione della legge n. 20/89 è stato affidato l'incarico per la redazione del Piano dall'Assessore Bianca Vetrino, che nel 1989 aveva la responsabilità della pianificazione e dei beni ambientali - che peraltro ha avuto dal 1985 al 1990 - agli architetti Livio De Zani, Mauro Mainardi e Renato Vezzari.
Il Piano è stato successivamente adottato il 10 novembre 1989 e sono state poi fatte le pubblicazioni e raccolte le osservazioni, che sono state presentate in numero di 5.
L'11 novembre 1991 il Piano paesistico veniva adottato dopo l'esame e parziale accoglimento di alcune osservazioni. L'iter successivo si è concluso l'1 febbraio 1993 e il Piano paesistico è stato adottato dalla Giunta regionale. Per l'approvazione vi è la proposta che è oggi all'esame del Consiglio regionale.
E' da rilevare il fatto che il Piano paesistico è assolutamente almeno così appare indispensabile se non si vogliono far riassumere valore alle concessioni che furono date dal Comune di Pragelato in allora e che furono poi sospese in forza dell'applicazione delle norme di salvaguardia.
Noi riteniamo che i tre anni previsti per la validità di questa norma di salvaguardia debbano decorrere dal momento di adozione da parte della Giunta regionale, e cioè dall'11 novembre 1991. Vi è da parte di altri un'interpretazione meno favorevole all'azione regionale.
Per quanto riguarda l'iniziativa regionale ci siamo attestati intransigentemente sulla tesi che soltanto dal 1991 debbono decorrere i tre anni di tempo di validità della salvaguardia, essendo l'11 novembre 1991 la data di effettiva entrata in efficacia del Piano con l'adozione da parte della Giunta regionale.
Il Piano è stato a lungo discusso, passato al filtro di tutti gli organismi previsti. E' atteso e credo che sia un atto di correttezza amministrativa anche a fronte di una spesa decisa dalla Regione, che ha ritenuto di intervenire per risolvere una questione delicata ripetutamente proposta nel passato che finisce per essere esemplare per tutti noi.
Questo credo sia quanto era giusto che dicessi. Il dettaglio ulteriore eventualmente lo riportiamo all'esame del Consiglio nel dibattito.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTICELLI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio.



MIGLIO Mario

Per quanto riguarda la questione del Piano paesistico di Pragelato indubbiamente si giunge a fare questa discussione come conclusione di un percorso particolare, che non nasce dalla volontà specifica di redigere uno strumento particolare, come quello del Piano paesistico, al fine di valorizzare in modo ulteriore aspetti particolari di una località montana ma come conseguenza obbligata, a nostro avviso, di errori precedenti.
La Giunta regionale, nel lontano 1984, approvava il Piano regolatore generale comunale di Pragelato, e solo a seguito dell'imposizione di vincoli con i "galassini" che risalgono al 1984 e il cui fine era quello di salvaguardare i valori paesistici e ambientali di quel territorio, la Giunta regionale, a seguito anche delle sollecitazioni della Commissione competente, decideva di imporre delle misure di salvaguardia ai sensi dell'art. 9 della L.R. n. 56/77.
Conseguenza di questa decisione era quella di dare una risposta modificando gli obiettivi allora accettati dalla stessa Giunta regionale andando a trasformare quanto veniva proposto per tramite di un piano che prevedeva la realizzazione di un complesso residenziale da costruire ex novo in questa zona.
Ci pare che la soluzione di redigere un piano particolare, come è un piano territoriale paesistico, sia una conseguenza di scelte assunte precedentemente, che hanno costretto l'autorità competente a trovare una strada per poter rispondere all'Amministrazione comunale, che giustamente aveva la necessità di comprendere come doveva comportarsi anche alla luce del fatto che precedentemente la stessa Giunta regionale aveva dato una risposta positiva agli obiettivi che erano stati proposti con gli strumenti ordinari della pianificazione del territorio.
Fatta questa premessa necessaria che tende a chiarificare che il dibattito di oggi, purtroppo, è conseguenza di scelte del passato che non possono essere condivise, noi come Gruppo dei Verdi non possiamo decidere di approvare una delibera di questa natura perché, seppure ridimensiona la quantità dei metri cubi previsti e ridimensiona anche la superficie occupata, rientra comunque in quella logica di cementificazione che non riteniamo sia una scelta opportuna perché non produce uno sviluppo socio economico delle Comunità montane e d'altra parte ingenera un nuovo degrado del territorio e un nuovo snaturamento delle risorse presenti.
Per cui la proposta di approvazione del piano paesistico di Pragelato per i contenuti di questo strumento pianificatorio per gli obiettivi che si propone di conseguire, non viene da noi accolta e quindi voteremo contro la stessa deliberazione.
Cercherò di spiegare meglio i motivi di questa nostra posizione anche per tentare di qualificare ulteriormente un dibattito che io ritengo sia anche se sfora nel tempo, interessante proprio perché è la prima volta che la Regione Piemonte approva uno strumento qual è il piano paesistico dopo i tentativi fatti con le integrazioni ai piani comprensoriali.
Il nostro ragionamento verterà quindi su un'analisi critica incentrata sui diversi ordini di questioni: in primo luogo il concetto e dunque i contenuti propri di un piano paesistico; in secondo luogo il problema di delineare uno sviluppo sostenibile per le aree montane che fermi lo spopolamento senza distruggere quell'ambiente e le realtà socio-economiche e culturali originarie; in terzo luogo gli obiettivi propri del piano paesistico di Pragelato e i limiti correlati. Questo terzo tema cercheremo di svilupparlo all'interno delle due considerazioni precedentemente richiamate.
Per quanto attiene ai contenuti del piano riteniamo che, per una corretta definizione contenutistica a questo strumento di governo del territorio, non si possa prescindere dal considerare la legge quadro, a cui tutt'oggi si deve fare riferimento raffrontando quei concetti che risalgono al lontano 1939 con quelli che in questi decenni si sono via via venuti a formare modificando l'iniziale posizione. La legge del 1939 è l'unico testo che definisce le forme attraverso le quali si possono sviluppare forme di salvaguardia e di valorizzazione di quelli che oggi vengono meglio definiti come beni culturali ed ambientali all'interno dei quali si colloca, ovviamente, anche il paesaggio.
All'art. 5 di questa legge si fa riferimento, per la prima volta, a questo strumento: il piano territoriale paesistico che è un atto di controllo delle trasformazioni fisiche e di ulteriore precisazione dei contenuti vincolistici generali che sono imposti su particolari categorie di bellezze individuate in modo puntuale o secondo vaste aree. Il piano poteva quindi interessare sia bellezze di valore estetico tradizionale sia bellezze panoramiche o quadri naturali e via dicendo. Quindi un concetto meramente estetico che oggi non si vuole più adottare quale punto di riferimento.
Solo richiamando questi fatti si può capire come emerge, nella definizione dei contenuti di questo strumento, una cultura romantica estetica e nazionalista incapace di cogliere i reali valori di un paesaggio e che al contrario veniva protetto sulla base di giudizi soggettivi basati più sull'emozione generata dalla mera percezione visiva o dall'attaccamento affettivo e dalla sensibilità del soggetto a cui era demandato il potere di intervento. In questo caso era il Ministro dell'Educazione nazionale o gli organi periferici del Ministero stesso.
Una logica di questo tipo, una logica centrista, assieme alle limitazioni applicative, ha impedito di fatto al piano territoriale paesistico di entrare nell'alveo della normale attività pianificatoria diventando così strumento ordinario non eccezionale. Su tale disincrasia pesa ancora l'impostazione data dalla legge quadro nazionale in materia di urbanistica che, approvata solo tre anni dopo (nel 1942), riuscì a dimenticarsi dell'esistenza del piano territoriale paesistico separando così nella sostanza la sfera della protezione delle bellezze panoramiche secondo la definizione data nel 1939 - da quella dell'urbanistica rendendo questi due campi di programmazione del territorio, per motivi diversi concorrenziali se non addirittura conflittuali.
Oltre ai difetti citati fino a questo momento, vi sono quelli dati dagli obiettivi del piano territoriale paesistico come formulati dalla legge, ovvero l'impedire che "i luoghi siano utilizzati in modo pregiudiziale alla bellezza panoramica"; la qual cosa si è tradotta in una esclusiva attenzione agli aspetti esteriori e in una prevalente assunzione di provvedimenti passivi incarnati in vincoli e divieti.
Se dalla lettura della legge ci si sposta all'analisi del regolamento di attuazione, le cose risultano ancora più chiare rispetto alle finalità allora assunte per definire i contenuti del piano territoriale paesistico.
Queste finalità venivano stabilite nella necessità di indicare zone di rispetto, di indicare il rapporto tra le aree libere e le aree fabbricabili in ciascuna zona, di definire le norme per i diversi tipi di costruzione la distribuzione e i vari allineamenti dei fabbricati e di definire ancora le istruzioni per le scelte e la varia distribuzione della flora.
L'interesse quindi cade sostanzialmente su aspetti legati all'edificazione e all'urbanizzazione del territorio, mentre la tutela ha un ruolo di fatto marginale. L'obiettivo primario è quello di definire un quadro di riferimento che consente agli operatori pubblici, ma soprattutto a quelli privati, di comprendere se una zona è edificabile o meno e, in caso affermativo, in quale misura.
Lo studio che avevo fatto considerava l'insieme degli undici piani territoriali paesistici approvati dal 1939 al 1971. Piani dove la pratica adottata era tale che si suddivideva il territorio vincolato in due tipologie di zone: una inedificabile e l'altra fabbricabile. La zona fabbricabile veniva a sua volta suddivisa secondo gradi differenziati di copertura del suolo, di realizzazione in termini di metri cubi e di logiche di distribuzione, di allineamento di forma dei lotti e degli edifici stessi. I richiami alla flora erano del tutto marginali ed erano dettati più dalla necessità di abbellire con piante o fiori le pertinenze degli immobili o di dare un disegno organico ai parchi e ai giardini urbani di tali villaggi turistici. Ad ulteriore conferma di questo approccio cementificatorio si può ricordare i contenuti della relazione di presentazione del disegno di legge elaborato allora alla Camera dei Fasci dall'on. Bottai, Ministro proponente e Ministro all'Educazione nazionale.
Non voglio certo assimilare l'Assessore Nerviani all'Assessore Bottai certo c'è un'ampia differenza fra le posizioni assunte dai due gestori di questa materia, però mi sembra utile richiamare questi limiti proprio per capire se esiste, in questo caso, uno scarto culturale programmatorio oppure si ricade nel rifare un analogo errore. A giudizio del Ministro Bottai i piani territoriali paesistici servivano a rilevare che cosa si intende per conservazione di una bellezza panoramico-paesistica e quello che era essenziale alla conservazione di una bellezza di insieme, ma soprattutto che le variazioni fossero in armonia con un piano preventivo concepito con unità di criteri razionali ed estetici. Nella sostanza il piano territoriale paesistico doveva servire a sottrarre le modificazioni al capriccio del singolo, ma non a rimettere in discussione la legittimità di alcuni interventi trasformativi, tanto è vero che il Ministro stesso precisava che quello che è essenziale alla conservazione di una bellezza di insieme è che le variazioni se si debbono consentire - e si debbono consentire in omaggio alle imperiose esigenze della vita, siano in armonia con un piano preventivo, per l'appunto un piano paesistico. Quindi il piano territoriale paesistico non vuole aprire, secondo questa visione originaria, uno scontro con gli interessi economici legati all'imprenditoria edilizia e immobiliare, ma semmai rimuovere i vincoli generici di tutela che non davano garanzia ai privati e agli operatori data l'impossibilità di definire la rendita di posizione e il valore dei terreni. Il piano territoriale paesistico, mediante la zonizzazione legata a indici di occupazione e di edificabilità, supera questa genericità esplicitando da subito quello che può essere realizzato, ovvero il grado di sfruttamento consentito dal territorio.
Questa particolare impostazione, o per altri versi l'attribuzione di un significato al piano territoriale paesistico, ha fatto sì che i pochi piani redatti e poi approvati nella maggior parte, non sono riusciti a modificare le linee dominanti dell'uso del suolo e delle risorse. I piani hanno regolato lo sviluppo dell'edificato nelle aree maggiormente appetibili per la loro qualità paesistico ambientale, diventando nella sostanza piani di fabbricazione fatte salve alcune eccezioni come quella del Monte Conero e di Portonovo. Questo strumento scarsamente utilizzato, e poi dal 1971 di fatto abbandonato - riteniamo che la stessa Regione sia inadempiente rispetto all'applicazione della legge Galasso - viene ora riproposto in una forma particolare. Una forma particolare che non considera pienamente i contenuti riproposti con la legge n. 431 del 1985, che esprimeva di fatto una diversa concezione dell'azione di salvaguardia del paesaggio, orientata a passare da una tutela di piccole porzioni del territorio ad una pianificazione di aree vaste e che, seppur mantenesse il riferimento obbligato alla legge del 1939, legava in maggior misura la pianificazione urbanistica territoriale a quella paesistica come atti attraverso i quali poter costruire le condizioni - e qui cito le parole del Ministro Galasso "per un'organica politica del territorio nazionale".



PRESIDENTE

Consigliere, le ricordo solo il tempo.



RIVALTA Luigi

Cedo al Consigliere Miglio anche il mio tempo.



MIGLIO Mario

La circolare esplicativa del Ministero, datata agosto 1985 sottolineava per l'appunto come il piano territoriale paesistico fosse uno strumento giuridico indispensabile per ottenere la tutela dell'ambiente e questo doveva uscire da un ambito occasionale di imposizione di vincoli per una protezione passiva al fine di avviare una programmazione il cui cardine stava appunto nella definizione a priori delle compatibilità alla trasformazione degli assetti esistenti e soprattutto dell'uso delle risorse. Il piano, quindi, si proponeva come ambito entro il quale realizzare la connessione o la compenetrazione tra la tutela paesistica e l'urbanistico-pianificazione del territorio, il rilancio della centralità della programmazione, quale strumento di governo per uno sviluppo socio economico eco-compatibile, fondato sul concetto di limite e della non riproducibilità di tutte le risorse naturali. La domanda che sorge spontanea, alla luce di questo percorso storico, è se e in che misura è cambiato, rispetto al piano paesistico che oggi viene posto all'attenzione del Consiglio, il concetto di paesaggio, ma soprattutto l'attenzione all'ambiente e il tipo di programmazione. La conclusione è che in verità la definizione dei contenuti degli obiettivi di questo piano non è tale da denotare un superamento dei limiti che ho cercato di illustrare, perch questo piano non si colloca tanto nell'alveo dei contenuti proposti nell'anno 1985 con la legge Galasso, quanto piuttosto si avvicina molto di più ai contenuti proposti nel 1939. Gli obiettivi contenuti, la parte normativa ed attuativa di questo piano territoriale e paesistico sono fortemente sbilanciati sugli aspetti strettamente costruttivi, nel senso che gli aspetti paesistici o naturalistici sono rimandati ad un secondo momento di precisazione e di redazione di un piano di intervento affermando che ora sono esprimibili solo dei principi generali di salvaguardia in forma vincolistica. Questo si desume chiaramente dal contenuto dell'art. 2.7 del Regolamento di attuazione. Dall'altra parte invece viene ben definita la distribuzione planovolumetrica e i modelli tipologico costruttivi da adottare, il che ci ha portato a dire, nella II Commissione consiliare competente, che più che denominare Piano paesistico tale strumento forse lo si sarebbe dovuto definire come piano di fabbricazione o piano particolareggiato esecutivo.
Per quanto riguarda la seconda questione che atteneva alla discussione ovvero il concetto di sviluppo delle aree montane, sottolineo che il Piano a nostro modo di vedere, presenta una sintetica analisi socio-economica che evidenzia come a partire dalla realizzazione della strada Napoleonica, e poi passando per diverse fasi, si è venuto a determinare un processo sostanziale di spopolamento; al contempo, per quanto attiene ai vani, si nota che dal 1961 al 1981 quelli occupati sono diminuiti da 870 a 704 e quelli liberi sono aumentati vistosamente da 799 a circa 4.000. Questo dimostra come effettivamente si sarebbe dovuto, già in sede di approvazione del Piano regolatore generale comunale, valutare in maggior misura se effettivamente era necessario costruire nuovi alloggi stante la possibilità data proprio per l'abbandono pregresso di questi locali di un patrimonio abitativo già esistente. Il Piano regolatore generale comunale, approvato dalla Regione, invece prevedeva di elevare i vani esistenti a 6.700 e di passare a un numero di persone insediabili di circa 8.000. Un incremento che a nostro modo di vedere è del tutto ingiustificato, proprio perché la creazione di questa nuova offerta è legata alla realizzazione di cinque impianti di risalita e alla costruzione di villaggi turistici a ridosso degli abitati di Plan e Pattemouche. Il Piano paesistico evidenzia quindi il fatto che l'arresto dell'esodo sia determinato in altri Comuni della Valle di Susa, come Bardonecchia, Claviere o Cesana, che hanno aumentato la possibilità di ottenere un buon reddito grazie allo sviluppo degli impianti sportivi per lo sci e l'intensa attività edilizia, anche se mancando un controllo si è trasformato in modo negativo l'ambiente originario. Alla luce di quella esperienza, quello che ci si poteva aspettare era che questo Piano territoriale paesistico non riprendesse le indicazioni del Piano regolatore generale comunale confermando la necessità di realizzare più della metà degli edifici previsti a Plan e Pattemouche per collegare gli stessi al sistema del Sestriere, demanio sciistico che, secondo quanto detto nella relazione di presentazione del piano, poteva competere con le grandi stazioni europee. Il nuovo complesso integrato con rilevanti quote di terziario potrà assumere un peso turistico bistagionale come cerniera del Sestriere e fra il Sestriere e il Parco naturale della Val Troncea. In questo modo, di fatto, con questo piano non si contrasta, bensì si va ad assecondare un processo di cementificazione delle aree montane, seppur diminuendone la quota ritenendo la stessa strada indispensabile per uno sviluppo socio-economico di tali territori. A nostro modo di vedere invece questa strada non porta come risultato finale questo sviluppo, ma al contrario provoca ulteriore degrado sul territorio, senza dare delle risposte durature ai problemi occupazionali che certamente ci sono.
Chiedo scusa per essermi dilungato troppo; invito l'Assessore Nerviani a replicare alle questioni da noi sollevate.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. Sarò brevissimo, avendo ceduto parte del mio tempo al collega Miglio.
Caro Assessore e cari colleghi, la debolezza di questo Piano paesistico sta tutto in una parola, che fa capire molte cose. E' un Piano paesistico si legge nella deliberazione - relativo a parte del territorio del Comune di Pragelato. Ma come? Fosse stato il Piano paesistico di una parte della Val Chisone potevo capirlo, di una parte dell'Alta Val Chisone..., ma qui siamo all'interno di un piccolo comune di montagna e facciamo un Piano paesistico lungo una certa visuale di quel territorio? Come mai questa ristrettezza di orizzonte? Non fa un po' sorridere? Che senso ha? Come si fa a parlare della difesa di un paesaggio, guardando solo da una parte? Il fatto è che il Piano è finalizzato non ad una sistemazione paesistica - non dico della Val Chisone - o del territorio del Comune di Pragelato, ma è un Piano finalizzato a consentire una compromissione concertata per un insediamento edilizio, riducendone le primitive pretese in equilibrio non con l'ambiente in quanto tale, ma con i capitali investiti, che attendono la loro remunerazione, con i capitali pronti ad essere investiti, che attendono la loro lauta remunerazione.
Questo Piano paesistico consente di passare, in una parte del Comune di Pragelato da una colata di cemento ad una più piccola colata di cemento. Ma colata di cemento rimane.
Ed allora, colleghi, il vecchio binomio "sviluppo e ambiente" trova purtroppo, anche in questa occasione, una risoluzione a favore del vecchio tipo di sviluppo, legato a fattori quantitativi, di investimenti che trovano la loro ragione e forza nella capacità di remunerare il capitale investito a breve piuttosto che nella ricerca di un equilibrio economico che faccia dell'ambiente una delle componenti essenziali.
Anche in questo andiamo in direzione opposta alla sentenza della Corte Costituzionale, che affermava che gli elementi di tutela dell'ambiente e del paeseggio vengono prima di ogni altra considerazione economica, che gli interessi economici devono inserirsi in un quadro prioritario di condizioni di salvaguardia paesaggistica. Di tale considerazione ce ne "facciamo un baffo": ancora una volta colleghiamo la trasformazione del territorio alle vecchie regole della speculazione edilizia.
Ultima osservazione è relativa al luogo in cui si compiono tali investimenti. Siamo di nuovo in montagna; il rapporto che questo tipo di investimenti provoca tra la montagna e la pianura è il solito, vecchio rapporto, in base al quale sul territorio montano si mettono a profitto capitali di pianura, che nascono e crescono in pianura, e i cui profitti tornano nella pianura. Infatti, come abbiamo visto, in montagna e soprattutto nelle valli che hanno avuto più sviluppo edilizio di questo genere, di ricchezza ne è nata poca. La ricchezza consentita da operazioni immobiliari di questo genere era ricchezza derivante da capitali di pianura che andavano per un paio di anni in montagna, investendovi risorse, la cui remunerazione è tornata tutta in pianura: le grandi e molte residenze costruite in montagna da chi vive in pianura, hanno portato ben poco dal punto di vista dello sviluppo di un'economia in montagna che faccia leva sui valori ambientali.
La montagna diventa, anche quest'oggi, un territorio che genera ricchezza per altri: è una scelta sbagliata che il Gruppo di Rifondazione Comunista contrasterà con il proprio voto contrario.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, sarebbe intanto interessante sarà il caso di immaginare di farlo, magari con un convegno - capire in quale misura le risorse investite in montagna e in genere nelle situazioni turistiche inducono e producono sviluppo economico e non semplice trasposizione di soggetti portatori di reddito.
Certo, l'argomento va approfondito. Mi chiedo soltanto se alcune valli del Canavese preferiscono la loro sorte rispetto ad altre valli che hanno vissuto questi fenomeni: è questione da approfondire.
Nel caso in discussione, a nostro modo di vedere il nostro dev'essere un giudizio in primo luogo positivo. In questa questione la Regione ha saputo, seppure in termini magari discutibili, esercitare un'attività di Governo concreto rispetto a questi processi: rispetto ad un Comune con un Piano regolatore che consentiva un certo tipo di intervento, estremamente banale e grossolano, la Regione ha deciso di intervenire con un atto di Governo che, come ogni atto di Governo, è - come dire? - di compromesso.
Atto che quindi ha cercato di non danneggiare più di tanto gli interessi anche di natura economica o comunque di natura politica che il Comune aveva avviato con questo progetto, senza che venisse toccato più di tanto il sistema ambientale.
E' quindi un atto di Governo rispetto al quale sarà il caso di riflettere in che modo si possa agire, magari su un'esperienza che consenta ipotesi e modelli più raffinati.
Quindi, giudizio positivo in quanto atto di Governo della Regione rispetto a questi problemi, al di là delle parole, che di solito latitano nelle questioni concrete e soprattutto non riescono mai a vincere le resistenze e le volontà degli amministratori locali. Il grano si semina sulla terra zappata: conta come viene coltivato l'humus specifico.
Sul piano del territorio, quindi, tutti i ragionamenti dei "rami alti" hanno poca ricaduta; diviene infatti decisiva la capacità di muoversi all'interno del territorio. Personalmente ho l'impressione che i nostri amministratori e la cultura dei Comuni rispetto a quello della Regione della cultura tout court, siano molto arretrati - la colpa è anche nostra e difficilmente riusciamo a superare approcci banali e retrò degli amministratori locali.
Questo è uno dei casi in cui non abbiamo accettato e abbiamo avviato una soluzione diversa. E' quindi un'esperienza positiva e da considerare nella memoria.
Dal punto di vista del contenuto, si sono ottenuti due risultati. In primo luogo si è ridotto il peso dell'insediamento: risultato che considerate le premesse, deve comunque essere apprezzato. E, a mio modo di vedere, apprezzato soprattutto dal punto di vista formale.
Mi sembrerebbe veramente giusto, caro Chiezzi, al di là dei problemi di ordine economico, di porsi anche un altro problema nei confronti della montagna: non si deve dire come si deve o si vuole costruire in montagna ma come si vuole e si deve vivere in montagna.
In relazione a questo si costruisce di conseguenza, non viceversa.
Probabilmente, allora, occorre costruire una cultura del perché si va in montagna, cosa si fa in montagna, che tipo di vita si vuole svolgere in montagna e quello che si realizza - in termini di contenitori - è conseguente al tipo di opzione culturale che vogliamo costruire.
La vita in montagna non è una vita di salotto, è una vita di forte relazione nella tradizione delle Alpi occidentali, in particolare del nostro Piemonte.
Non è la cultura individualistica e ghettizzata, per esempio del tanto considerato Alto Adige, che è bello in cartolina, ma è triste per gli uomini.
L'Alto Adige tradizionale è la cultura del maso chiuso, e quindi la cultura dell'enclave, senza nessuna occasione di socializzazione. La cultura invece delle nostre Alpi è la cultura della socializzazione: infatti intorno alla Chiesa, intorno all'abbeveratoio, intorno al forno si costruiva una vita di relazione.
Ci si ferma in montagna perché l'aria è buona?



RIVALTA Luigi

In Trentino non ci sono le Chiese e le fontane.



MARCHINI Sergio

Mi permetto di dirle, Consigliere Rivalta che in Trentino sono molto più rare.
Lo so che le do un po' fastidio, ma in queste zone si percorrono intere valli senza trovare paesi, e le case dei contadini non sono nel paese, sono sul territorio. Mentre nelle nostre Alpi le case dei montanari sono nel paese, dopodiché le mucche al mattino vanno a pascolare, per larga parte sul terreno comunale, poi ritornano in paese, mentre la peculiarità nell'Alto Adige è che ogni famiglia è un piccolo feudo, questa è una caratteristica anche giuridica.
Sostengo che la vita di montagna è bene che si faccia non perché in montagna c'è l'aria buona, cosa che tra l'altro non è vera, quando si dice che si va in montagna per ossigenarsi, perché è esattamente il contrario: in montagna l'aria è povera di ossigeno, i nostri polmoni si abituano a lavorare di più, pertanto quando ritorniamo in pianura, essendoci più ossigeno, sono in grado di produrre maggiori risultati perché sono stati sottoposti ad una maggiore fatica. Quindi andare in montagna è una fatica per i nostri polmoni, non è riposare! In montagna si va per l'aria buona, per il sole? Benissimo, alla sera si torna a casa. Se ci si ferma in montagna si ritiene di apprezzare un certo modo di essere delle relazioni intersoggettive, interpersonali.
Per quanto riguarda gli insediamenti alpini, vi è una prima generazione delle vecchie aree di villeggiatura trasformate poi con la costruzione di skilift; la seconda generazione sono preesistenze sul territorio che sono state pensate in funzione del turismo invernale; la terza generazione è dello ski totale, ovvero non c'era nessun tipo di insediamento e tutto è stato costruito in funzione dello sci.
Queste terze generazioni si sono rilevate un fallimento perché si è scoperto che manca la qualità della relazione che è poi l'elemento fondante del turismo in montagna, non la qualità dell'ambiente e dell'aria.
Se non vogliamo fare il confronto con il Trentino perché forse non è così puntuale, totale, sicuramente nella storia degli insediamenti alpini c'è la storia della prima, della seconda e della terza generazione di cui i francesi sono testimoni; delle tre generazioni quella che si è rilevata più funzionale è la seconda.
La seconda generazione vive intorno ad un vecchio nucleo, non perché il vecchio nucleo sia bello, il vecchio nucleo è affascinante perché è testimonianza di vita di relazione, le case costruite in pietra, con le finestre piccole e i tetti storti, sono un momento della vita, della nostra storia, delle nostre radici che ognuno ritrova anche se non lo riguardano.
Questo progetto è interessante perché non ipotizza delle "case a schiera", tipo Auschwitz - come era il vecchio progetto, con questo non voglio offendere nessuno - che nella loro omogeneità creano le ragioni degli steccati: non c'è nulla più dell'uguaglianza che crea steccato, è la diversità che crea comunicazione. Questo sforzo dal punto di vista dell'organizzazione del territorio porta a una minor comprensione del territorio, ma poi prova ad immaginare a simulare come quel contesto si sarebbe sviluppato se storicamente si fossero verificate le condizioni socio-economiche che ne avessero prodotto lo spontaneo svilupparsi sul territorio. Però in questo modo si conserva in qualche misura la specificità di agglomerato urbano, cioè di posti in cui la gente nasce vive, muore, va a messa, si sposa, lavora e non va solo a divertirsi alla domenica.
Questo sforzo di provare di costruire qualcosa che aiuti il fruitore dell'ambiente montano a vivere una vita diversa da quella della città, mi sembra uno sforzo meritorio.
Anche sulla scorta di questo studio mi pare ci siano delle resistenze qualche amministratore che non capisce questo, non faccio riferimenti perché creerei problemi anche ai funzionari - si mettono in discussione le lottizzazioni diffuse sul territorio a macchie di leopardo e si dice aggreghiamo queste case per creare non solo dal punto di vista estetico, ma da un punto di vista esistenziale delle situazioni di rapporti. L'uomo va a vedere la natura, va a vedere il mondo per stare con gli altri uomini e all'uomo non gliene importa nulla della natura, e anche la solitudine che trova nella natura è un modo per stare con se stesso.
E' molto interessante questo tipo di esperimento che ha trovato il suo completamento nell'introduzione, nel recupero di elementi costruttivi tipici della valle, quindi la pietra, i travi, le finestre pensate in un certo modo hanno senso solo se sono collocate in un modello urbano come quello di questo piano. Se invece vengono utilizzati per una costruzione non per un sistema, diventa a mio modo di vedere una mascheratura, una caricatura. L'ipotesi estetica di questo disegno - per chi non lo avesse visto vi invito a leggere le schede che sono molto interessanti, sono stati recuperati tutti i vecchi elementi costruttivi inclusi i pali della luce è apprezzabile se utilizzata all'interno di un disegno della frazione montana che sia coerente con gli elementi formali, altrimenti se noi costruiamo le case a schiera o a scacchiera e poi i banconi in legno decorato e sopra la meridiana - mi riferisco agli Assessori interessati anche quello dell'urbanistica fuori da una sistemazione funzionale sul territorio in termini di allocazione, rischia di diventare uno scherzo una caricatura. Pensate alle false baite - perché di questo si tratta - se ristrutturate sono accettabili, ma se costruissimo delle baite a schiera come le capanne di Auschwitz, veramente non so dove andremo a finire.
Questo passaggio che il tempo ci costringe a chiudere - iniziato ormai da parecchio tempo - è un'esperienza della Regione che merita apprezzamento. Anche quelli che non condividono la conclusione per ragioni di premessa, come il Consigliere Chiezzi, probabilmente apprezzeranno che in questa vicenda non si sia né subito il predominio di alcuni decisori n soprattutto si sia accettato oltre un certo limite la banalizzazione del territorio, che è il fenomeno che lui cerca di contrastare, e su questo mi trova totalmente alleato.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Vaglio; ne ha facoltà.



VAGLIO Roberto

Ritengo necessario fare un passo indietro: si tratta infatti della tipica soluzione all'italiana. Quando fu inoltrata la proposta di questi insediamenti, si era in un periodo in cui si riteneva che il turismo della nostra montagna dovesse necessariamente passare attraverso le seconde case all'epoca, probabilmente, questa tendenza era condivisa da molti, oggi non è condivisa da nessuno.
Sappiamo tutti che nei centri dell'Alta Valle di Susa, della Valle Chisone si cerca di escludere la costruzione di nuove seconde case per privilegiare invece la costruzione di case a rotazione, di edilizia residenziale, per la fruizione collettiva. Non sono pregiudizialmente contrario affinché in Pattemouche vengano costruite nuove abitazioni, per sono estremamente perplesso sulla loro finalizzazione.
Ritengo che, essendo presenti in Consiglio regionale da poco, non abbiamo avuto la sensibilità di proporre un indirizzo diverso dall'attuale.
Se si voleva consentire l'insediamento, se si voleva estrapolare il piano da un contesto più generale, si doveva fornire l'indicazione sull'utilizzo di queste nuove abitazioni, di queste nuove case. Quindi, seppure d'accordo sul progetto iniziale e sulle motivazioni che hanno portato a cercare questi escamotages - perché di escamotages si tratta per consentire la costruzione - non sono d'accordo sulla finalizzazione di queste abitazioni, per cui non interverrò a posteriori e annuncio fin d'ora la nostra astensione.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Rivalta; ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

L'intervento del collega Marchini mi trova d'accordo solamente su una frase, ovvero quella che ha definito l'edificazione che si propone di realizzare a Pragelato, delle "false baite". Credo che questa sia la definizione vera, culturale di questa produzione architettonica.
A qualcuno può piacere, e d'altra parte c'è chi dice che è bello ci che piace. Ritengo che nella produzione architettonica, nell'inserimento del paesaggio ci siano ben altre possibilità architettoniche che non quella di scimmiottare il passato per usi che, tra l'altro, non hanno nulla a che fare con quell'organizzazione di vita montana a cui il collega Marchini si rifaceva; non mi interessa comunque fare polemica con il collega Marchini.
Mi interessa invece richiamare alcuni elementi di questa vicenda, per ricostruire una memoria storica a questo istituto regionale, che opera sempre ignorando i segmenti di comportamento che ci sono stati prima.
La prima cosa che voglio sottolineare è che il Comune di Pragelato, con uno strumento urbanistico - che se ben ricordo era un piano di fabbricazione del 1972 - aveva definito il suo sviluppo ad insediamenti residenziali turistici, quelli che secondo la mentalità di quel tempo - e vedo non ancora morta oggi - erano considerati gli elementi motori di un risanamento economico della montagna.
Già il collega Chiezzi ha fatto giustizia di questa concezione; ha richiamato come questi tipi di intervento non abbiano risanato economicamente la montagna: hanno ricostruito possibilità d'uso economico della montagna, che è andata generalmente a beneficio non degli abitanti della montagna ma dei colonizzatori della montagna. Tutte le attività economiche, dalle mense agli alberghi ai vari servizi, sono parte di catene economico-turistiche che hanno sede altrove. Certo, generano un po' di lavoro, ma molto poco, soprattutto quando le case sono seconde case. Il caso di Sestriere e di Bardonecchia e anche il caso di Pragelato mostrano come le seconde case abitate solo in qualche week-end all'anno non siano assolutamente motori di un'economia terziaria che possa risollevare le sorti di quei paesi, di quelle popolazioni.
Dal 1972 in avanti, sulla base di quel piano di fabbricazione Pragelato ha dato vita, anche se in tono minore (perché era meno "appetitoso") ad uno sviluppo residenziale che ha avuto gli apici a Sestriere e a Bardonecchia. Chi ha occasione di recarsi a Pragelato vede che sul fondo della valle, di fatto sul torrente, è stata costruita una nuova Pragelato, che in qualche misura ha distrutto il valore ambientale del vecchio paese. Si tratta dell'operazione Pratur, che persino gli abitanti di Pragelato definiscono fallimentare; fallimentare sotto il profilo dell'operazione economica, ma anche dal punto di vista della qualificazione di un centro montano come Pragelato.
Ebbene, sull'onda di quell'indicazione, il Comune di Pragelato nell'ottobre del 1984 autorizzò la costruzione di un ulteriore, previsto lotto di insediamento edilizio, nella parte più alta del solco vallivo dove scorre il torrente Chisone, a monte del concentrico di Pragelato, tra la strada e il torrente, ma in posizione alta, difesa da qualsiasi danno di tipo naturale a fondo valle. Le due frazioni di Pattemouche e di Plan, sono caratteristiche degli insediamenti storici montani per il loro stretto accorpamento delle case dai colori, dai profili, dai materiali tipici della montagna, ed isolate rispetto al resto della valle.
Quella della conca di Pattemouche e di Plan è una posizione paesaggisticamente di grande valore, resa più evidente e qualificata, in qualche misura resa più percepibile, dal fatto che lì a fianco, in posizione dominante, passa la strada per il Sestriere. Quando una persona percorre questa parte della valle, tra le meraviglie di questa zona montana coglie anche come punto rilevante e importante proprio la conchetta di Pattemouche e di Plan.
Come dicevo, nel 1984 il Comune di Pragelato decide di compiere l'ultimo scempio che si poteva fare in questo solco vallivo e decide la costruzione di un primo lotto di 330 mila metri cubi per seconde case. Già in quel momento l'operazione Pratur era fallimentare, e credo che le imprese che avevano lavorato per dar vita a Pratur si siano trovate in difficoltà finanziaria, se non addirittura in situazione fallimentare perché quegli alloggi non venivano neppure venduti.
In quelle zone, la domanda vera - come diceva il Consigliere Vaglio è di attrezzature ricettive alberghiere; tant'è che la Regione, proprio in questi ultimi tempi, per dare grande sviluppo all'attività alberghiera, ha approvato una legge, respinta dal Governo per ragioni di non competenza sulla materia urbanistica di quella legge; materia urbanistica che viene messa in gioco.
Tuttavia il Comune di Pragelato insiste, nel 1984, su questa espansione di seconde case. Nell'ottobre del 1984, appena io, Assessore alla pianificazione territoriale, sono stato avvertito di questa ulteriore operazione che veniva messa in atto a Pragelato, ho chiesto una riunione in II Commissione. Tale riunione avvenne il 24 ottobre 1984, con all'o.d.g.: "Esame provvedimenti cautelari, art. 9, L.R. n. 56/77". Dalla lettura dei verbali di questa riunione e di quella successiva, che si ebbe il 16 gennaio 1985, si rileva che la Commissione - se ricordo bene pressoch all'unanimità sostenne l'esigenza di intervenire per evitare che quel progetto si realizzasse. Nei verbali c'è anche un intervento dell'Assessore Nerviani, che chiedeva appunto un approfondimento; tra l'altro, la limitatezza di informazioni su questo progetto non permetteva di pronunciarsi in merito.
La Commissione però addivenne alla decisione di non applicare il provvedimento cautelare art. 9 che io proponevo e mi invitò a prendere contatti con l'Amministrazione comunale di Pragelato per procedere a modifiche degli strumenti urbanistici, che peraltro erano in iter di elaborazione e di approvazione, e a modificare gli orientamenti; cosa che io feci con qualche scarso risultato, se non quello di riuscire comunque a rimandare la decisione.
Nel giugno 1985 (in Regione eravamo alla IV legislatura) nel Comune di Pragelato incominciarono le realizzazioni di quelle stecche, disposte secondo le linee previste nel piano di lottizzazione. La collega Vetrino ricorderà che in quel periodo incominciarono forti pressioni in questo Consiglio - e immagino anche sulla Giunta - affinché si continuassero quelle costruzioni. E in un accordo politico-culturale, si addivenne a quel provvedimento cautelare che non si era inteso prendere nell'ottobre 1984 e nel gennaio 1985 per bloccare l'operazione.
La Commissione decise - come peraltro ha richiamato l'Assessore Nerviani - di applicare l'art. 9 e nel contempo di studiare un piano paesaggistico. In quello studio convergevano posizioni diverse. C'era chi riteneva che lì non si dovesse costruire, per il significato di questa conca, per la tutela di questi due borghi isolati (che non lo saranno più quando in quella conca si costruiranno piccole aggregazioni frazionali di false baite); quella che si farà con questa operazione sarà una mistificazione. Qualcun altro invece riteneva che si potesse costruire, ma a condizioni diverse da quelle prospettate dal progetto di lottizzazione.
Le pressioni furono forti, come in tutti questi casi, ma la Commissione ebbe il coraggio di bloccare tutto.
Ho voluto richiamare gli antefatti - sono sempre significativi sul piano delle storie delle procedure e del merito dei problemi. Dico che non considero valida - ma è una posizione mia culturale critica di architetto quella di operare scimmiottando il passato, di fare le imitazioni.
Considero molto belli per esempio i mobili antichi, ma non quelli che vengono prodotti oggi per imitazione a Saluzzo. Oggi la cultura produce altre cose, quando invece si dovrebbe tendere a fare cose altrettanto belle come quelle del passato. Nell'architettura il ragionamento è più complesso ma il risultato è lo stesso.
Voglio dire che l'inserimento in montagna non richiede solo ed esclusivamente di scimmiottare il passato. Io considero non belle dal punto di vista architettonico, ma come un elemento di inserimento possibile, e in qualche misura di valore anche emblematico, per esempio le torri della FIAT al Sestriere che sono certamente, nella loro contrapposizione dal punto di vista della concezione architettonica, una differenziazione dall'ambiente naturale alpino che lì esisteva, ma si tratta di una contrapposizione forte, in qualche misura legata a una storia culturale entro cui è passato il meglio della produzione architettonica. Considero invece degli inserimenti spaventosi, degradanti, gli insediamenti moderni realizzati al Sestriere.
Chiudo dicendo che l'operazione che l'Assessore Nerviani ci presenta è un'operazione di studio per cercare di contenere l'impatto che l'edificazione - comunque negativo e degradante determina sulla conca di Pattemouche e di Plan e sulle stesse due frazioni che in quella conca rimangono come due gioielli dell'architettura montana.
Tale operazione è stata attuata, l'edificazione è stata dimezzata da 130.000 metri cubi a 65.000 metri cubi, comunque considero tale riduzione insufficiente; qualcun altro la considera soddisfacente.
Rimane però il fatto che io ero dalla parte di chi considerava che il piano paesaggistico dovesse mirare a ricercare altre collocazioni dell'insediamento residenziale e a fare emergere il valore di quella conca come un valore da tutelare impedendone l'edificazione, esigenza che in questo studio non è emersa.
Avremmo fatto e faremmo una grande operazione di tutela di due piccole ma significative, belle frazioni montane come quelle di Pattemouche e di Plan, se avessimo continuato e se continuassimo a lasciarle in quella piccola conca isolata, sul percorso tra il centro, ormai deturpato, di Pragelato e la Valle Troncea. La Valle Troncea è stata istituita a parco ormai da un decennio per la sua bellezza e la conca di Pattemouche e di Plan sono l'atrio di ingresso, l'accesso. Introduciamo lì un elemento che non aiuta a comprendere che cosa è, ed era, la montagna, soprattutto per chi si reca con l'intenzione di poter fruire delle bellezze naturale presenti nel parco della Valle Troncea. Facciamo quindi un cattivo servizio ai parchi, a chi ama la montagna e a chi andando nella Valle Troncea desidera poter cogliere la bellezza di quei luoghi. Questa dislocazione all'accesso della Val Troncea nella conca di Plan e di Pattemouche non è un buon servizio alla tutela ambientale. Peraltro Pragelato ha altre frazioni belle, in posizione più elevata, abbandonate, quelle sì che andrebbero recuperate per non lasciarle cadere alla rovina e riutilizzate a fini moderni, non avendo più alcun senso gli usi passati; quelle sì andrebbero tutelate e recuperate.
Per tutte queste ragioni, considerando anche la parzialità con cui è stato fatto questo piano paesaggistico che non si è posto il problema del quadro paesaggistico generale, ma si è posto il problema di rendere minore l'impatto dell'edificazione in quella conca, io voto no a questo piano paesaggistico. Anche se tutte le operazioni elaborative possono portare dal punto di vista critico, dei contributi, se non altro quello di vedere come non si sarebbe dovuto fare, questo piano paesaggistico non lo considero certo una pietra miliare nel cammino dell'elaborazione dei piani paesaggistici che questa Regione dovrà pur darsi.
Comunque il voto del Gruppo PDS è contrario a questa deliberazione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Zacchera per dichiarazione di voto.



ZACCHERA Marco

Quando si arriva a determinate conclusioni, come nel dibattito di questa mattina, è difficilissimo stabilire chi abbia ragione; tutte le parti in causa a questo punto possono sostenere di averla. Ha ragione il privato perché vedeva una situazione urbanistica interessante per i suoi fini più o meno speculativi, per cui si era a suo tempo inserito e dopo anni pretende, ritenendo di averne diritto, che vengano attuate le normative. Ha ragione e diritto il Comune interessato a chiedere una conclusione della vicenda, perché ha svolto un determinato iter che dal punto di vista burocratico adesso è completo. Ma ha ragione anche la Regione Piemonte a sostenere che all'inizio questa destinazione non andava bene ed in parte è intervenuta per correggerla e si ha quindi diritto alla fine di chiudere in qualche maniera la questione perché non si può neanche andare avanti a parlarne fino alla fine dei secoli.
Dopo aver premesso che non conosco specificatamente questa questione anche dal punto di vista geografico perché non sono di quelle parti, devo sottolineare che ormai questa situazione è stata tirata al limite estremo del tempo e partendo da un presupposto sbagliato, nel senso che già all'inizio il nostro Gruppo era per dire no alla possibilità di costruire in questa maniera. E' vero che a questo punto il danno sarà inferiore rispetto all'inizio in quanto siamo scesi a 65.000 metri cubi rispetto ai 130.000 iniziali, però non è che perché si siano ridotte le dimensioni o siano meno gravi i problemi. Certo, il cosiddetto "pugno nell'occhio" sarà visivamente meno emblematico, resta però il fatto che non condivido appunto la posizione di fondo, cioè la possibilità o la utilità di continuare ad intendere la costruzione delle seconde case in montagna in quella maniera.
Forse lo scorrere del tempo è stato anche la causa di questa situazione.
Negli ultimi vent'anni il fenomeno delle seconde case si è evoluto in vario modo: vent'anni fa c'era la mania della seconda casa, ma alla fine degli anni '70, per tutta una serie di vincoli e di nuovi obblighi fiscali (oltretutto condivisibili) è caduta drammaticamente l'utilità di costruire le seconde case perché non c'era più nessuno che le comprava. Agli inizi degli anni '80 c'è stato un minimo di ripresa del mercato che attualmente però mostra, ma a seconda dei posti, una sovrabbondanza di offerta rispetto alla domanda. A questo punto rischiamo di concedere un'autorizzazione doverosa forse anche perché troppo tempo è trascorso dall'inizio della vicenda, per concretizzare una realizzazione edilizia che diventerà negativa, perché pochi saranno quelli che andranno a comprarsi queste case.
Personalmente sono favorevole a maggiori ristrutturazioni e sistemazioni alberghiere e non per la costruzione di seconde case ritenendo che l'albergo, al di là dell'aspetto occupazionale, sia una locazione utilizzata da più persone. Quindi, si realizza un minore deturpamento e rovina del territorio, un maggiore utilizzo delle strutture una minore necessità di costruire dei servizi accessori in termini di strade, una maggiore razionalità per quanto riguarda il recupero di tutte le zone che ci stanno attorno, un più razionale uso delle fognature, delle discariche, ecc.
In tutta questa pratica penso che la Regione abbia giustamente puntato spesso i piedi e abbia rallentato l'iter, ma il fatto di averlo rallentato tanto che ora non è più rallentabile, non toglie che si debba operare una drastica riduzione e chiusura del capitolo delle case di montagna.
Sono favorevole al recupero delle strutture esistenti, non a costruire false baite che non servono a nulla e che, alla fine, vanno maggiormente a deturpare una realtà limitata. Per cui ritengo chiuso questo episodio, sul quale peraltro ci asterremo, perché non trovo che possiamo opporci, in quanto non sussistono dei motivi legali e legislativi per opporsi.
Resta invece un discorso di filosofia dell'intervento in montagna che va necessariamente e maggiormente colto nella conservazione dei siti quindi minori investimenti di carattere edilizio, minori investimenti di carattere stradale, minore possibilità di deturpazione e di fruizione del territorio con i mezzi meccanici.
Penso che l'Assessore sia d'accordo con questa linea sulla quale dobbiamo muoverci. Nello specifico, oggi, forse è troppo tardi opporsi perché nel frattempo i buoi sono parzialmente scappati - come dice il proverbio famoso - e quindi ci poniamo su questioni di attenzione. Però, da questa storia, tutti impariamo qualcosa, e cioè che non è con la costruzione delle seconde case, specialmente in montagna, che si vanno a risolvere i problemi turistici, i problemi occupazionali e i problemi di gestione del territorio.
La soluzione è esattamente all'opposto: ristrutturare e conservare quello che c'è, impedire nella gran parte dei casi, e con le dovute eccezioni quando è il caso, la costruzione ex novo di agglomerati urbanistici, di multicase e di neovillaggi che assolutamente non mi trovano favorevole.



PORCELLANA FRANCESCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bodrero.



BODRERO Antonio

Intanto confermo l'astensione e considero questo mio intervento come dichiarazione di voto. Io voglio ridire ciò che ho già detto altre volte che il maso chiuso ha salvato la montagna, dove esso vale. Effettivamente se ci sono ancora degli agricoltori, se c'è un'agricoltura viva in Sud Tirol è per il maso chiuso: non è vero che non socializzano i sud-tirolesi con me socializzano eccome. Il fatto è che non socializzano con altri cittadini dello Stato italiano che si presentano là un po' come dominatori e colonizzatori, come comandanti. Purtroppo questo atteggiamento in Italia è alquanto diffuso; in questo caso socializzare diventa difficile.
Purtroppo, se la nostra montagna è rovinata, se ci sono le false baite ma non più le vere baite, è proprio perché si è fatta una politica disastrosa; a parte il diritto romano, che favorisce lo spezzettamento della proprietà in modo tale che non conviene più rimanere sul posto a coltivare. Non parliamo poi della politica agricola dello Stato centralista. Invece di valorizzare la produzione montana, che è ancora l'unica che non ha bisogno di trattamenti chimici e potrebbe fornire frutta ed altri prodotti genuini non trattati. Invece si è fatto di tutto per far morire l'agricoltura montana. So che ci sono vecchi contadini che posseggono una vacca o due e gli conviene chiudere, venderle perch altrimenti vengono duramente tassati. Si crede di salvare la montagna con il turismo. Il turismo certamente è una voce rispettabile, ma è chiaro che una vera montagna deve avere i montanari e se decade e si degrada (frane ecc.) è proprio per lo spopolamento. A parte le guerre imperialiste sanguinosissime che hanno spopolato le nostre valli... Pensate alla mia valle: il battaglione Val Varaita è stato massacrato fino all'ultimo uomo nella prima guerra mondiale, non è più stato ricostituito, si è fatto il battaglione Saluzzo (alpino) perché non c'era più materiale umano per fare un altro battaglione di valle. In tutte queste politiche assurde dello Stato centralista sono la causa della decadenza. Purtroppo l'edilizia è quella che è. In città abbiamo il problema delle case popolari. Ogni tanto salta fuori qualcuno (da Corso Grosseto?) che scrive delle cose incredibili sui giornali, lettere ai giornali. Le case "pubbliche" purtroppo sono quelle che sono. Abbiamo quelle private che anch'esse sono quelle che sono non sempre augurabili, però per lo meno non ci sono gli sprechi di Stato.
Tanto che si vendono le case popolari contro lo spirito della legge istitutiva. In montagna ci sono case da tempo in vendita e non si riesce a venderle e a volte si sente dire: "mi sono annoiato del paese, non c'è nessuno", comprano una roulotte e girano tutte le montagne. Quindi soluzioni ce ne sono parecchie. In una situazione così degradata serve che qualcuno lavori, anche i nostri muratori hanno questo diritto, ma l'astensione dal voto diventa per noi inevitabile dal momento che la situazione montana richiede innovazioni radicali. Grazie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTICELLI



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Nerviani.



NERVIANI Enrico, Assessore regionale

Ringrazio i colleghi per i contributi offerti. Voglio rapidamente aggiungere qualche considerazione a quelle svolte in questa sede, e manifestare, con qualche elemento in più, le ragioni della proposta che viene avanzata.
Il collega Rivalta ha dettagliatamente ricostruito gli elementi che hanno segnato la storia del Piano paesistico, e sostanzialmente credo che coincidano anche con quelli che sinteticamente, in apertura, ho presentato.
Mi pare che pure rispettando - e non potrei fare diversamente l'esplicito convinto dissenso del Consigliere Rivalta, c'è da tenere conto che questa è una storia segnata da vicende che, in itinere, non sono state corrette, e per le quali non si è raccomandata una storia differente.
Concordo con il Consigliere Chiezzi in ordine alla forzatura che viene fatta nel definire Piano paesistico questo studio, e credo che sia risultato anche utile il contributo del Consigliere Miglio che mi sarebbe piaciuto avere in occasione di un dibattito più vasto ed approfondito sulla materia complessiva della legge n. 431, che ho anche recentemente, dopo una richiesta, sollecitato in Commissione.
Al Consigliere Miglio, per inciso, debbo ricordare tuttavia - perch ogni tanto mi pare un po' statalista nella preoccupazione della tutela ambientale - che tutti gli scempi che si sono verificati in loco sono scempi tollerati, autorizzati, permessi, non visti da organi di tutela che non erano la Regione e che da quando la Regione è intervenuta nella materia con competenza progressivamente i fenomeni di decadenza si sono fortemente ridotti. Paradossalmente devo dire che se la storia di Pragelato fosse cominciata quest'oggi probabilmente avrebbe subito uno sviluppo diverso. Ma qui vi sono situazioni pregresse. Collega Rivalta, abbiamo speso 150 milioni circa per assegnare un incarico ed io credo che qualche ragione ci sia stata. A me personalmente non pare giusto che la Regione intervenga con un finanziamento di questo tipo, all'interno di un ambito così ristretto e dove probabilmente altre risorse si sarebbero potute trovare. Questa è stata ovviamente una mediazione fra una situazione che si era precedentemente creata e la volontà della Regione di correggerla; essa ha portato a stabilire che la Regione si caricasse di questo onere e ne portasse le conseguenze di una scelta e una volontà correttiva che si era manifestata in Commissione prima e in Giunta regionale dopo.
Mi pare che anche i colleghi più critici abbiano osservato che in ogni caso una riduzione di volume e una riduzione di occupazione di superficie si è verificata, probabilmente dobbiamo - così è il mio ragionamento come responsabile di governo nel momento presente almeno essere soddisfatti di questo.
Ci sono state valutazioni di merito della progettazione, sono stati criticati il disegno urbanistico e gli interventi di natura architettonica.
Debbo dire che il piano è stato esaminato da una competente Commissione per i beni ambientali e culturali ed è stato esaminato dal Comitato urbanistico regionale. Sia una Commissione sia l'altra hanno dato il loro parere favorevole. Sinceramente non mi permetto, non avendone la minima competenza, di giudicare sotto questo profilo la proposta che è stata avanzata.
Vi è poi la ragione che, senza l'approvazione di questo piano, noi non potremmo più reiterare la norma della salvaguardia ed apriremmo la via all'attuazione di quel piano regolatore che prevedeva le cose che noi abbiamo contestato.
Poi vi è un altro importante elemento, che mi pare sia davvero non trascurabile: quello del rapporto con le comunità locali. Abbiamo stabilito un rapporto che si fondava sull'impegno a realizzare il piano paesistico.
Mi sembra davvero inimmaginabile che dopo due, tre, quattro, cinque, sette anni, per la verità!, si dica: "Adesso ricominciamo da capo". O meglio: "Fate i vostri 'errori', dopo avere speso i nostri soldi per tentare di correggerli, non avendo più noi la possibilità di frenarli perché rientrano nella normativa che noi stessi a suo tempo abbiamo approvato".
Mi pare che ci siano tutte le ragioni per accettare anche le cose che non piacciono al massimo possibile; cose che ritengo possibili e fatte con attenzione e con equilibrio, che probabilmente non soddisfano le esigenze più intransigenti degli ambientalisti, probabilmente non soddisfano appieno neanche il sottoscritto, ma che rappresentano il giusto, l'equilibrato che si può offrire in questo momento alla comunità di Pragelato e che insistentemente ancora ci rimprovera per non avere osservato e rispettato gli impegni che avevamo assunti.
Questi percorsi, fatti con un po' di fatica, di sofferenza, di contraddizioni, ci servano per il momento in cui passeremo a realizzare impegni molto più vasti sui quali noi ci siamo appieno. Vorrei che si ritornasse su questa cosa, sia per i galassini così chiamati, peraltro contestati anche sotto il profilo del diritto, sia per i piani paesistici noi stiamo intensamente lavorando. Vorrei ricordare ancora al collega Miglio che almeno il 10% del nostro territorio è di fatto interessato da piani paesistici, tali sono i piani d'area che si sono realizzati parallelamente alla normativa sulle aree protette. Credo che qualche segnale in positivo come il piano d'area del Po, l'intervento che stiamo facendo in sette/otto altre aree diano la dimostrazione della nostra volontà di proseguire nel senso raccomandato dal collega Miglio.
Voglio ancora dire che circa un anno fa ho presentato uno studio propedeutico alla definizione del Piano territoriale regionale a tutti i Consiglieri regionali e alla Commissione competente. Ho chiesto che su questo si dibattesse essendo questo preliminare ad ogni riflessione. La cosa - per ragioni di sovraccarico di lavoro della Commissione - non è ancora avvenuta. Ma almeno di questo non mi sento responsabile!



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio per dichiarazione di voto.



MIGLIO Mario

Intervengo per dichiarazione di voto ed anche perché mi sembra giusto dare una risposta all'Assessore Nerviani.
Siamo coscienti che la soluzione ultima di portare all'attenzione del Consiglio il Piano Territoriale Paesistico per Pragelato è il risultato di un percorso iniziale sbagliato: quello di avere approvato, come Giunta regionale, il Piano regolatore comunale, all'interno del quale, come obiettivo, c'era la realizzazione di tale insediamento turistico. Quello che certamente non possiamo fare come Verdi è legittimare ulteriormente questa posizione che finisce col ribadire soprattutto ribadisce la validità di un modello di sviluppo socio-economico per le aree montane che a nostro avviso non è tale e che deve essere contrastato in tutti i modi.
Votare in questa sede a favore dell'approvazione del Piano paesistico vorrebbe dire, per noi, cadere in una enorme contraddizione. Siamo ben coscienti del vincolo all'azione programmatica determinatasi per una eredità scomoda che ora ricade sull'Assessore Nerviani, ma presto sarà un problema della Giunta. Non possiamo giustificare una posizione culturale e programmatica che si sostanzia nell'assunzione di obiettivi così come definiti da questo Piano; faccio un unico richiamo che si riferisce alla pag. 49 della relazione. In modo chiarissimo si specifica il fatto che gli interventi si ritengono consentibili alla luce della compatibilità ambientale, in senso lato, e di tre ordini di motivazioni. Tra questi motivi, guarda caso, vengono prima posti quelli finanziari e quelli di mercato e solo in seconda battuta quelli paesistici. E' chiaro che il punto di mediazione trovato con questo Piano paesistico non è certo quello della compatibilità paesistico-ambientale, bensì quello della possibilità, da parte delle due immobiliari interessate, di riscontrare ancora una redditività nell'intervento e quest'ultima poteva essere garantita solo attestando ancora la quantità di edificazione in 95.000 mc. Quello che a noi preme sottolineare è che non possiamo dare un voto positivo a questo provvedimento solo per il fatto che non si consumerà un distruzione un'alterazione sul 100% del territorio, avendo ridotto la stessa, come superficie e cubatura solo al 65% rispetto alle iniziali previsioni.



PRESIDENTE

Non essendovi altre richieste di parola, pongo in votazione la deliberazione, il cui testo è a mani dei Consiglieri e verrà trascritto nel processo verbale dell'adunanza in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è è approvata con 22 voti favorevoli, 13 contrari e 2 astensioni.
Informo che la II Commissione è convocata alle ore 14,30 per esaminare la proposta di deliberazione n. 684: "Approvazione delle modifiche degli artt. 5 e 14 dello Statuto della Finpiemonte S.p.A.". C'è una scadenza quindi l'Assessore Cavallera ha pregato di convocare oggi la II Commissione.
Alle ore 15 invece è convocata la I Commissione per esaminare gli emendamenti finanziari al progetto di legge nn. 272-236: "Misure straordinarie per incentivare l'occupazione mediante la promozione e il sostegno di nuove iniziative imprenditoriali e per l'inserimento in nuovi posti di lavoro rivolti a soggetti svantaggiati".
Alle ore 14,30 si incontreranno il Presidente della Giunta, la Presidente del Consiglio e i Consiglieri interessati al problema del Coro RAI.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,30)



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