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Dettaglio seduta n.165 del 07/07/92 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sulla situazione della Lancia di Chivasso e del comparto FIAT nel quadro dei problemi della deindustrializzazione del Piemonte


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Diamo il benvenuto a tutti gli ospiti presenti. E' la prima volta che il Consiglio regionale si riunisce in una seduta di Consiglio aperto formalmente convocato.
Il tema all'o.d.g. è di particolare rilevanza per il Piemonte e deriva dall'approvazione di un ordine del giorno da parte del Consiglio regionale che, in occasione delle vicende della Lancia di Chivasso, aveva chiesto di svolgere un dibattito sulla situazione della Lancia di Chivasso e del comparto FIAT, ma va sottolineato che questa discussione si inserisce nel quadro dei problemi della deindustrializzazione del Piemonte. Si tratta quindi di un tema di carattere assolutamente generale.
Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e che con la loro presenza sottolineano l'importanza di questo momento e della discussione che il Consiglio regionale intende fare.
L'organizzazione dei lavori che ci siamo data prevede un primo intervento del Presidente della Giunta regionale che parlerà in rappresentanza dell'esecutivo e della maggioranza; seguiranno gli interventi delle OO.SS., dei rappresentanti della FIAT, dei rappresentanti della Federpiemonte e dell'Unione industriale.
I Capigruppo hanno convenuto di dare il più ampio spazio ai nostri ospiti proprio per sentire i problemi e l'ottica con la quale i problemi della deindustrializzazione del Piemonte vengono affrontati e vissuti.
In conclusione dei nostri lavori - prevediamo questa conclusione nella seconda parte della giornata - vi saranno gli interventi dei Consiglieri regionali proprio per avere la possibilità di ascoltare le varie voci, le varie esperienze e le varie realtà che oggi sono presenti in Consiglio regionale e che io ringrazio moltissimo.
La parola al Presidente della Giunta regionale, Brizio.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Il tema oggetto del Consiglio aperto di oggi va correttamente inserito nel quadro della situazione economica mondiale che attraversa una fase di crisi generalizzata.
I problemi del Piemonte sono strettamente connessi alla sua specificità di Regione fortemente interessata dal settore industriale che ne costituisce l'asse portante pur in presenza di una rilevante diversificazione in atto. Altre aree forti della Padania, il Bresciano e il Bergamasco, sono ora fortemente colpite e presentano problemi del tutto simili, ma certo la nostra Regione, area, storica dell'industrializzazione del Paese e zona a vocazione produttiva, sta attraversando un periodo di crisi che rischia di portarla ad assumere connotati economici del tutto diversi da quelli che, per anni, ne hanno determinato e garantito lo sviluppo.
Il 1991 ha presentato un'accentuazione del rallentamento dell'economia nazionale e regionale che già aveva segnato l'evoluzione congiunturale dell'anno precedente.
La crescita del prodotto interno lordo, dimezzata rispetto ai valori registrati l'anno precedente, è da attribuire ad un rallentamento degli investimenti e nella componente estera della domanda.
Secondo le prime valutazioni del nostro istituto di ricerche, l'IRE S che sta ultimando in questi giorni la relazione socio-economica 1991 l'incremento del prodotto interno lordo regionale si dovrebbe attestare intorno al 0,50%. Particolarmente preoccupante per l'economia regionale è il calo della produzione industriale. La Banca d'Italia stima al riguardo un calo del 4,8% rispetto all'anno precedente. Sempre secondo la stessa fonte il calo del 1990 rispetto al 1989 era stato del 3%.
I comparti che hanno segnato gli andamenti peggiori sono proprio quelli che hanno storicamente caratterizzato il tessuto industriale piemontese: i prodotti metalmeccanici, i mezzi di trasporto e il tessile abbigliamento.
La caduta più accentuata nel comparto dei beni di investimento e dei beni di consumo durevole hanno esposto la Regione ad un andamento peggiore rispetto al quadro nazionale, ove la flessione della produzione industriale si è attestata su un decremento del 2,1% rispetto al 1990.
In particolare sul mercato automobilistico, che ha manifestato una sostanziale stagnazione del mercato interno, mentre si sono affievolite le situazioni di crescita nel contesto europeo, desta preoccupazione la cospicua perdita di quota di mercato dei produttori nazionali all'interno mentre non si registrano significativi recuperi all'estero: la conseguenza è una flessione produttiva pari al 13%.
Considerate le difficoltà nel settore tessile abbigliamento e nell'informatica ne consegue un profilo cedente nell'utilizzo della capacità produttiva a livello regionale, che tende a collocarsi a fine anno di poco al di sopra del 70%. Per quanto riguarda le prospettive e il profilarsi di alcuni segnali di miglioramento del quadro economico internazionale e nazionale in un clima di perdurante incertezza potrebbe indicare anche per il Piemonte un possibile recupero, ma non prima del 1993.
Le motivazioni delle attuali difficoltà sono infatti riconducibili ad una serie di fattori fra loro relativamente indipendenti. Tra essi possono essere richiamati: la flessione congiunturale della domanda in molti dei principali mercati di sbocco la perdita di competitività per differenziali di inflazione, in condizione di campi fissi la dinamica del costo dei fattori produttivi (lavoro, denaro energia) caratterizzata in Italia da vari motivi di endemica tensione inflattiva l'effetto negativo, in termini di maggiori costi e minori opportunità, delle insufficienze dell'apparato infrastrutturale e del sistema dei servizi l'eccessiva presenza, nell'ambito della struttura produttiva regionale, di attività di tipo "tradizionale", a carattere esecutivo più che creativo: un dato che, certo meno accentuato che in altre regioni del Paese, presenta tuttavia una stridente incongruenza con le linee evolutive tipiche di una Regione avanzata, quale il Piemonte l'ancora insufficiente dinamismo commerciale di molte imprese appartenenti al sistema della subfornitura, relativamente a diverse filiere produttive regionali l'emergere di un crescente condizionamento negativo da parte della ridotta dimensione d'impresa nell'impostazione di adeguate strategie e programmi di ricerca e di innovazione, così come di conquista e controllo dei mercati.
La situazione occupazionale della nostra Regione si sta di conseguenza modificando in modo preoccupante.
Indipendentemente dalla valutazione degli indicatori di sintesi questo dato è percettibile in termini molto tangibili e concreti, osservando il numero di intensità dei cortei che percorrono quasi quotidianamente la città e che confluiscono in Piazza Castello all'attenzione dell'Assessore al lavoro, Cerchio.
Sembra di ritornare al 1984, anno nero dell'economia regionale, quando in Piemonte e a Torino si erogava rispettivamente 1/3 e 1/4 della cassa integrazione nazionale.
Rispetto a quella data almeno gli indicatori statistici ci sono di conforto, visto che secondo le rilevazioni ISTAT per ora l'occupazione nella sua globalità sembra tenere.
All'inizio del 1992 si registra ancora, rispetto ad un anno prima, un incremento dell'occupazione complessiva intorno alle 6.000 unità interamente attribuibile ad un incremento dell'occupazione femminile di 9.000 persone circa.
Risulta confermata la crisi dell'industria di trasformazione che perde 19.000 unità, assorbe la maggior parte della cassa integrazione e vede pericolosamente crescere la lista dei lavoratori inseriti nelle procedure di mobilità. L'edilizia e le altre industrie non manifatturiere che complessivamente, fanno registrare un incremento di circa 21.000 unità svolgono un sorprendente ruolo di ammortizzazione oggettiva.
Nel terziario registriamo una stazionarietà del commercio e decrementi consistenti nella Pubblica Amministrazione (-14.000) e negli altri servizi (-6.000) che riguardando soltanto ed in modo più consistente manodopera maschile. Nel comparto credito ed assicurazione si verifica un aumento di circa 16.000 unità (anche qui uomini) e nei trasporti un incremento di 5.000 unità (per lo più donne).
L'occupazione, quindi, tiene, ma cresce il numero delle persone in cerca di lavoro di circa +5.000 unità, il 3,7% il più.
La crescita della disoccupazione nella nostra Regione interessa entrambe le componenti per sesso: le donne in cerca di lavoro passano da 90.000 a 92.000 (+2,2%), e rappresentano il 66,2% del totale; gli uomini registrano un aumento più sostenuto in termini percentuali, e raggiungono le 47.000 unità, contro 44.000 dell'anno precedente.
Il mercato fatica ad assorbire l'afflusso di nuove leve, un fatto su cui non può aver inciso il progressivo esaurimento dell'esperienza dei contratti di formazione lavoro.
Il tasso di disoccupazione resta stabile in Italia all'11,3%, mentre in Piemonte aumenta di due decimi di punto percentuale attestandosi nel mese di gennaio scorso intorno al 7,2%.
Sarà difficile che gli ammortizzatori attuali possano continuare ad esplicare un effetto di contenimento in presenza di una stretta dei redditi e dei consumi ed in questo caso lo scenario potrebbe avere nel breve e medio periodo sviluppi anche fortemente negativi.
Ci troviamo di fronte ad una crisi del sistema delle imprese più preoccupante che in passato e ad una riduzione dell'occupazione che avrà come principale effetto quello di innalzare le barriere d'ingresso peri giovani: l'attuale fase di ristrutturazione inoltre farà affluire nell'offerta di lavoro disoccupati adulti e dequalificati.
Il quadro è complicato dalla difficoltà qualitativa e non solo quantitativa dell'incontro fra domanda e offerta di lavoro, mentre emergono i primi effetti della Legge 233/91 che ha riformato la cassa integrazione nel momento congiunturale meno opportuno. In effetti questa legge avrebbe potuto avere un significato positivo se fosse entrata in vigore nella fase di ripresa economica poiché avrebbe potuto favorire una certa mobilità aziendale, mentre oggi appare chiaro che la mobilità tende tout-court alla disoccupazione.
I dati della nostra Regione sono preoccupanti. Con la prossima riunione della Commissione regionale per l'impiego convocata per domani mattina i lavoratori posti in mobilità saranno 9.000. Altri 1.500 lavoratori sono in attesa di adempimenti burocratici formali per essere inseriti nella stessa lista. Si può quindi dire che la consistenza reale delle liste di mobilità della nostra Regione supera già oggi (7 luglio 1992) le 10.000 unità. Oltre al dato quantitativo preoccupa il dettaglio qualitativo di queste liste: in esse troviamo infatti oltre il 63% di manodopera femminile ed il 67% degli iscritti ha oltre 40 anni di età.
Analizzando le cause della specificità della crisi industriale del Piemonte non possiamo non rilevare che i prodromi devono ricercarsi nell'inizio di quel processo di progressiva alienazione del ruolo di Regione-guida dell'industrializzazione italiana, di cui il Piemonte fu oggetto negli anni '70 ed '80, a beneficio di altre aree del Paese. Una perdita di ruolo che si è evidenziata oggi rispetto al cuore del sistema industriale padano, che è andato localizzandosi sempre più tra Lombardia e Veneto. Una perdita di ruolo, quest'ultima, che vede la nostra Regione insieme ad altre (Liguria e Valle d'Aosta) evidenziare un tasso di crescita del valore aggiunto inferiore sia alla media italiana sia a quella padana.
Un pericolo, questo, che intuimmo già nel 1988 nell'ambito della predisposizione del terzo Piano regionale di sviluppo e che oggi viene illustrato nelle sue conseguenze più inquietanti in una ricerca della Fondazione Agnelli. Allora, infatti, si evidenziò il rischio che il sistema imperniato sul cosiddetto "triangolo industriale" alla luce dei prevedibili mutamenti negli assetti economici e territoriali andasse perdendo complessivamente di peso nell'ambito dell'economia nazionale e più in particolare nel sistema della Padania. Oggi possiamo affermare che ciò si è verificato soprattutto ai danni dei due dei tre poli del suddetto triangolo: Torino e Genova.
Per contro, sono andate rafforzandosi o creandosi nuove aree di sviluppo contigue, in particolare nella direttrice della Via Emilia e del Veneto, in una sorta di proiezione verso l'est del triangolo stesso con un allargamento all'Emilia e al Veneto dei confini della più importante area economica del Paese.
Le cause della progressiva difficoltà devono essere ricercate in una complessiva perdita di competitività del sistema Piemonte. Sotto questo aspetto l'insufficiente dotazione infrastrutturale e di servizi alle imprese ne ha ridotto il grado di attrattività localizzativa. Se a ciò si aggiungono poi i dati relativi ad un alto livello di mortalità delle aziende e quindi il sensibile processo di destrutturazione industriale di cui è fatta oggetto la Regione, il quadro appare preoccupante. Questo è il vero nodo della situazione attuale dalla cui soluzione dipenderà la risposta all'interrogativo che ci dobbiamo porre sul futuro industriale della Regione.
Le aziende più importanti, per parte loro, una risposta se la sono già data spostando altrove (in presenza di più favorevoli fattori localizzativi) fette sempre più consistenti della loro produzione.
Pertanto, in quella che è stata la culla dell'industrializzazione italiana si produrrano sempre meno automobili, sempre meno computer o capi di abbigliamento e ci si dovrà preparare ad una profonda riconversione delle capacità industriali e finanziarie.
In altri termini, siamo in presenza di un incipiente processo di deindustrializzazione di Torino e del Piemonte ed il fenomeno non riguarda solo i grandi gruppi industriali; esso investe anche quell'insostituibile fattore di sviluppo rappresentato dall'insieme delle piccole e medie imprese che dei primi costituiscono l'indotto e che sempre più stanno subendo il fascino delle politiche di incentivi poste in essere da Regioni e Paesi contermini.
Così, se da un lato le grandi industrie piemontesi vanno a produrre dove il costo del lavoro è inferiore, alcune piccole e medie imprese stanno prendendo in considerazione l'eventualità di trasferirsi a pochi chilometri da qui, dove forti sono gli incentivi, veloci i trasporti, disponibile energia a basso costo, anche se molte proposte sono più immaginarie che reali.
Il Piemonte, Regione forte d'Europa, rischia un reale indebolimento nel contesto del sistema europeo in cui è fortemente integrata. E' evidente a tutti che gli sforzi volti a non far trasferire altrove il substrato industriale oggi presente sono di gran lunga meno duri di quelli che dovremo sopportare domani per ricrearlo una volta perduto.
All'ovvietà di tale considerazione non fa riscontro a livello di Governo nazionale un sufficiente impegno affinché il Piemonte non debba sopportare i costi sociali ed economici di un grave processo di destrutturazione industriale. A questo riguardo si tratta di operare delle scelte a livello centrale prima ancora che regionale; scelte che negli ultimi anni non hanno quasi mai guardato a Torino e al Piemonte, quasi vi fosse la convinzione che quest'area del nord-Italia, in quanto guida del processo di industrializzazione del Paese, avesse sviluppato forze autosufficienti a reggere l'urto concentrico proveniente dall'interno e dall'esterno del Paese.
Veniamo alla vicenda FIAT e al caso Chivasso. La FIAT è, in sé e per l'indotto che origina, non solo un gruppo industriale importante del Paese ma elemento essenziale e vitale del sistema produttivo piemontese. Abbiamo da tempo aperto un colloquio con l'azienda ed avuto notizie del Piano investimenti del decennio in corso riferendone al Consiglio. E', come noto un piano cospicuo che non trascura il Piemonte, specialmente nell'ambito della ricerca, ma che per il forte impegno a Melfi e per la svolta di Chivasso non segnalata a suo tempo ed anzi a noi smentita in precedenti non lontani incontri non ci tranquillizza.
Sotto il profilo generale credo si possa convenire con le osservazioni formulate dal Ministro dell'Industria alla Camera dei deputati. La strategia della FIAT, in presenza di una concorrenza che si sviluppa anche con forte pressione sui prezzi di vendita, appare caratterizzata più che da una difesa delle quote di mercato ritenuta onerosissima, dalla ricerca dell'equilibrio economico-finanziario dell'azienda nella prospettiva di una ripresa che dovrebbe permettere un significativo recupero a partire dal 1993 per consolidare poi la presenza propria nel prossimo decennio. Questo obiettivo è ritenuto realistico anche se nel mercato europeo è prevista una crescente influenza dell'auto giapponese. Secondo la Commissione CEE la produzione europea di autoveicoli passerà da 13,7 milioni di unità del 1991 a circa 16 milioni di unità nel 2000, ivi compresa la produzione giapponese.
Secondo FIAT Auto, negli stessi anni il mercato italiano dovrebbe passare da 2,3 milioni di autoveicoli a 2,6 milioni. La produzione del Gruppo FIAT in Italia dovrebbe passare da 1,7 milioni a 2,2 milioni e quella complessiva, compresa la produzione all'estero, dà circa 2 milioni a 3,2 milioni.
Se questi dati sono esatti non dovrebbe porsi il problema per Mirafiori (sentiremo poi dalla FIAT una conferma che gradiamo in proposito) essendo la capacità produttiva attuale in Italia di 2.140.000 vetture anno e dopo la, chiusura di Chivasso (-100.000 unità) e l'apertura di Melfi (+400.000 unità) dovrebbe salire a 2.440.000 unità.
Il programma della FIAT assegna la massima priorità al rinnovo della gamma dei modelli affinché il loro lancio rappresenti - nei prossimi tre anni - un effettivo progresso rispetto ai modelli sul mercato in quel momento.
Si assicura che entro il 1996 verrà rinnovata l'intera gamma dei veicoli e che il ciclo di rinnovo dei modelli, oggi decennale, si accorcerà a cinque-sei anni.
Per far fronte al suo piano di riorganizzazione industriale e commerciale e di qualificazione del prodotto, sono stati previsti 40.000 miliardi di investimenti nell'arco del prossimo decennio.
In Piemonte, nel periodo 1992/96 sono previsti 12.385 miliardi, nel periodo 1997/2001 altri 10.000 miliardi. In complesso sono previsti 22.385 miliardi.
Il comprensorio di Mirafiori sarà interessato da circa 10.000 miliardi di investimenti per lo sviluppo del prodotto e da circa 8.400 miliardi di impianti; il comprensorio di Rivalta da circa 3.600 miliardi di investimenti e lo stabilimento di Verrone da 359 miliardi di investimenti.
La FIAT ha motivato con l'esigenza strategica di recuperare produttività e capacità di competere in un mercato sempre più aperto, la decisione che riguarda la chiusura di Chivasso e l'alleggerimento degli organici impiegatizi, conseguente a processi di riorganizzazione già avviati negli ultimi due anni.
Queste pesanti decisioni hanno spinto il sindacato ad aprire un confronto con l'Azienda, per ottenere precise indicazioni sulle strategie di breve e medio periodo; per definire un accordo che garantisca la reindustrializzazione dell'area di Chivasso e per definire adeguate garanzie per tutti i lavoratori coinvolti in questi processi di riorganizzazione.
L'accordo è stato siglato il 2 luglio ed è stato definito dalle stesse Organizzazioni Sindacali "una svolta nel governo dei processi di ristrutturazione industriale".
L'accordo, oltre la parte indicante la strategia FIAT Auto, prevede: 1) il rientro al lavoro di tutti i lavoratori a scadenze certe e ravvicinate in FIAT Auto (Mirafiori e Rivalta) e con ricollocazione sull'area di Chivasso: 500 rientri nel 1992, 1100 nel 1993, 1160 nel 1994 e i restanti nel 1995 2) la ricollocazione di 1250 lavoratori nell'area di Chivasso attraverso iniziative industriali promosse e garantite da FIAT Auto e gestite da un Consorzio che prevede la partecipazione di FIAT e Unione Industriale in rapporto con le Organizzazioni Sindacali 3) la garanzia generale della FIAT che nel prossimo trienno non verranno effettuate chiusure di stabilimenti 4) la conferma delle missioni produttive di Mirafiori e Rivalta, senza ulteriori interventi di riduzione strutturale.
Non possiamo che vedere positivamente l'accordo raggiunto, rilevando che ha come presupposto il riconoscimento, da parte degli organi competenti, dello stato di ristrutturazione aziendale e che ipotizza la costituzione di cooperative con la collaborazione degli Enti proponenti l'attivazione di processi di formazione professionale, oltre alla trasformazione dello stabilimento di Chivasso in un Centro Tecnologico industriale su iniziativa FIAT Auto con coordinamento dell'Unione Industriale e con l'obiettivo di creare una nuova area industriale attrezzata per lo sviluppo dell'area torinese.
La Regione è disponibile a fare la sua parte in tema di formazione e cooperazione, non solo, ma rivendica le sue competenze ed un suo ruolo territoriale e di programmazione per quanto riguarda l'area attrezzata che può essere una grande occasione se essa sarà non soltanto un polo logistico speculare a quello previsto a Melfi, non sarà dedicato esclusivamente all'indotto, ma sarà in grado di offrire condizioni insediative veramente capaci di costituire un polo di attrazione di nuove iniziative in termini concorrenziali rispetto alle regioni vicine.
Merita qui ricordare che nel citato quadro di insufficienza di interventi per il Piemonte, la Regione-Istituzione ha operato al meglio per creare le condizioni necessarie a garantire lo sviluppo in senso industriale, e lo ha fatto addirittura costituendo un Assessorato alle politiche industriali, affidato alla Vicepresidente Vetrino, sebbene la Regione sia priva totalmente di specifiche competenze in materia di politica industriale, che lo Stato solo con la recente legge 317/91 ha cominciato a riconoscere.
In una società moderna la dimensione regionale diventa una dimensione strategica. Gli studi più recenti di politica industriale rivalutano grandemente l'importanza della realtà locale per l'attività delle imprese.
Essa cresce a causa dello spostarsi del confronto competitivo verso l'innovazione, a scapito della tradizionale competizione basata esclusivamente sul prezzo.
Quest'ultima conduceva alla ricerca del più basso costo dei fattori indipendentemente dalla localizzazione, ed era la base logica delle imprese multinazionali.
Quando la competizione si sposta sull'innovazione e sul livello di servizio, per le imprese diventa importante la qualità delle risorse reperibili, oltre al loro prezzo, diviene inoltre essenziale la concreta utilizzabilità delle risorse stesse, cioè la possibilità di valorizzare in misura più o meno grande il potenziale insito nelle risorse, soprattutto umane, impiegate.
Ciò significa che la competizione per attrarre investimenti ed attività economiche è ristretta a quelle aree che possono offrire livelli qualitativi equivalenti; solo fra esse vale un confronto dei prezzi delle risorse.
Lo sviluppo di attività basate sull'innovazione permette di sottrarsi gradualmente alla concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro, sintanto che si riesce a precederli significativamente nei ruoli innovativi.
Per questo, la Regione si è impegnata sul terreno dell'apertura internazionale, delle infrastrutture e dell'innovazione.
Dobbiamo guardare non solo alla Padania per riequilibrare il peso dell'area occidentale, ma alla grande Regione macro europea che ha al centro le Alpi (Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta, Rhóne-Alpes, Provence Còte d'Azur) cogliendo l'opportunità di una nuova centralità.
Si stanno infatti delineando in Europa alcuni grandi sistemi di sviluppo che legano fra loro le aree di più intensa urbanizzazione e di più consolidata tradizione produttiva, al cui interno si realizzano energie particolarmente forti tali da confermarle come gli assi portanti del futuro continente.
Di questi sistemi Torino e il Piemonte fanno parte, per collocazione geografica e Vocazione industriale ed è quella dell'apertura europea la grande opportunità della nostra Regione. Certo, occorre individuare e gestire politiche capaci di rafforzare il ruolo del Piemonte nella collaborazione-competizione all'interno dell'area che va dalla Catalogna attraverso le Alpi e la Padania fino ad est, aperta verso nord. Abbiamo lavorato al completamento dei centri intermodali, abbiamo partecipato alla stesura della convenzione con le Ferrovie dello Stato e Torino per il nodo torinese e per il nuovo assetto ferroviario in Piemonte, abbiamo guidato il Comitato Promotore dell'Alta Velocità con le Regioni della Padania (Lombardia e Triveneto) e d'Oltralpe (Rhóne-Alpes) e con gli operatori economici per dare avvio alla linea est-ovest, Venezia-Torino, e per aprire, attraverso la linea Lione-Torino, la connessione tra la rete italiana e la rete europea di Alta Velocità.
Siamo intervenuti ed interveniamo per il sistema autostradale e per quello autoportuale. In tema di innovazione occorre partire dalla solidità di fondo e dal patrimonio tecnologico che caratterizzano l'economia e l'industria piemontese.
Si pone il problema di allargare la gamma delle specializzazioni operative della Regione, sia in campi già in parte sperimentati, quali il terziario per il sistema produttivo, sia in campi relativamente nuovi, dove il possente knowhow politecnico regionale potrebbe incontrarsi con settori di domanda in espansione, determinando l'attivazione di nuovi ceppi produttivi. La Regione ha allargato alla qualità i benefici della legge sull'innovazione che, gestita dalla Finpiemonte, consente alle imprese minori di avere entro tre mesi risposta sulle possibilità di finanziamento dei loro progetti innovativi e contestuale erogazione: esempio unico di tempestività amministrativa.
Si stanno avviando iniziative per i Parchi Scientifici. Con Tecnorete si sta avviando la costituzione dell' "Agenzia per l'Innovazione", si è dato avvio operativo al Centro di Supercalcolo che porta il Piemonte alla dotazione di due Supercalcolatori "Cray" sui cinque esistenti in Italia e che ha comportato investimenti di avanguardia della SIP nella rete di comunicazioni.
In tema di energia, la Regione ha attuato una convenzione con la SNAM per la diffusione del metano ed ha perfezionato l'accordo socio-economico con l'ENEL. Per l'avvio della centrale di Trino (1000 miliardi di investimenti in Piemonte).
E' stato previsto l'inserimento qualificato in Cooperative di giovani disoccupati o in CIG e predisposto un disegno di legge contenente "Norme per incentivare l'occupazione dei lavoratori in difficoltà occupazionale" tramite la promozione, il sostegno, la diffusione di nuove iniziative imprenditoriali e la costituzione di un apposito fondo.
Occorre proseguire energicamente su questa strada con un'azione di largo respiro, avendo presente che la già citata nota sull'andamento dell'economia del Piemonte nel 1991 redatta dalla Banca d'Italia a proposito delle valutazioni degli imprenditori circa le cause che rendono poco conveniente produrre in Piemonte, indica che solo il 10% delle imprese individua specificatamente nella Pubblica Amministrazione il principale fattore negativo per l'evoluzione futura di tale convenienza.
In termini oggettivi il Piemonte rimane ed è una Regione forte, la seconda Regione, dopo la Lombardia, per il livello delle esportazioni e presenta nel 1991 una bilancia commerciale attiva per 5814 miliardi superiore ancora, in valore assoluto ai 5620 miliardi del 1990. Essa rappresenta un elemento di forza per il Paese. Il dialogo-confronto con il Governo non è facile. Avremo un interlocutore piemontese, il Ministro Costa, dopo tanti interlocutori diversi. A livello di Conferenza Stato Regioni il confronto è stato serrato e dialettico, non privo di tensioni anche forti, come in occasione della questione ancora aperta del deficit sanitario e della stessa legge finanziaria. Proprio ieri al Senato si è operato ancora per ritirare il decreto di copertura del deficit sanitario 1990, sul quale siamo scoperti come Regioni di 5600 miliardi e come Piemonte di 400 miliardi.
Di fronte ad un generale riconoscimento dell'esigenza di attribuire alle Regioni maggiori competenze e più ampia autonomia (riconoscimento ampiamente recepito con quello delle risorse nel programma del nuovo Governo Amato) di fatto siamo costretti a verificare il blocco delle necessarie innovazioni legislative ed un quotidiano processo di riaccentramento che trova espressione nei comportamenti delle Amministrazioni dello Stato, del Parlamento e nei provvedimenti di politica economica.
Allo stato della vigente suddivisione di competenze fra Stato e Regione, che vede settori fondamentali centralizzati a livello nazionale quali la politica industriale, gli investimenti sulla rete ferroviaria e su quella autostradale nonché la stessa istruzione universitaria, i problemi che sono sul tappeto e che abbiamo enunciato non si risolvono prescindendo dalle scelte nazionali e senza una diversa attenzione del livello centrale.
Siamo assolutamente determinati a porre al nuovo Governo, con forza, la questione piemontese. Non si tratta di porre il problema sul terreno assistenziale, dove non sarebbe postulabile né credibile e concorrendo solo a deprimere oltre il vero l'immagine del Piemonte. Si tratta di far comprendere appieno a livello nazionale, al Governo e al Parlamento, che certi interventi infrastrutturali e di sostegno alla ricerca in Piemonte sono assolutamente necessari, indilazionabili ed utili, non soltanto per la nostra Regione, ma certamente per l'intero Paese che ha tutto l'interesse a salvaguardare e a potenziare un'area forte in posizione strategica quale porta del Paese verso l'Europa.
Non è accettabile il costante differimento del finanziamento di opere essenziali quali l'ampliamento della Torino-Savona, o il collegamento di un capoluogo di provincia come Cuneo al sistema autostradale, ed è impensabile la disattenzione nei confronti di motivate richieste nel campo informatico con finanziamenti che corono sempre su Milano e su Bologna e mai su Torino.
Siamo disponibili e pronti ad un confronto serrato, convinti delle nostre ragioni; in particolare, è assolutamente necessario un intervento massiccio nel settore delle infrastrutture e dell'Università.
Si deve provvedere al rifinanziamento della L. 317 da destinare specificatamente alle imprese ubicate nelle aree ricomprese nell'obiettivo 2 della CEE ed interessate dalla crisi dell'auto.
Si deve operare per l'utilizzo del Regolamento CEE n. 2052 con la messa a disposizione di adeguate risorse nel senso indicato dal Ministro dell'Industria in Parlamento con la previsione, oltre che del previsto finanziamento integrativo, anche di un finanziamento esclusivamente nazionale.
Infine, è essenziale il rifinanziamento della legge per la ricerca e l'innovazione tecnologica, che potrebbe essere utile per facilitare nuovi insediamenti industriali, anche attraverso l'ipotizzata estensione dei suoi benefici al finanziamento di progetti strategici proposti da imprese o loro consorzi.
Si tratta di linee di intervento che possono riguardare direttamente l'area di Chivasso come altre aree, ma che vanno accompagnate da altri interventi più specifici e più intensi.
Riteniamo necessario ed utile affrontare il problema con il Governo nei termini di un vero e proprio accordo di programma. Abbiamo già chiesto al Presidente del Consiglio dei Ministri un incontro.
Siamo consapevoli di attraversare una fase difficile, ma riteniamo si debba evitare una nuova edizione di quella cultura e di quella politica della crisi e della rassegnazione che ha toccato il Piemonte a cavallo degli anni'70 e'80 e ha lasciato purtroppo il segno.
Non serve l'inerzia, come ho detto martedì scorso in tema di Alta Velocità e va respinta la sindrome del rinvio. Va respinta sul nascere una nuova anacronistica battaglia contro le infrastrutture del tipo di quella consumata nel blocco delle cosiddette "opere faraoniche". Occorre al contrario prendere coscienza delle difficoltà per superarle con l'iniziativa, il lavoro, l'impegno di tutti.
E' necessario quanto auspicabile da tutte le forze economiche e sociali e dalle istituzioni piemontesi un moto di orgoglio per superare anche strani ed ingiustificati complessi che volgono alla rinuncia; occorre anche uno sforzo degli operatori economici, uno spirito imprenditoriale più vivo meno timoroso, un'azione intensa, una forte collaborazione tra pubblico e privato, fra forze economiche e sociali.
La Regione Piemonte, la Giunta del Piemonte è impegnata su questo terreno per concorrere a creare le condizioni che consentano alla Regione di sfruttare tutte le opportunità che gli stanno davanti per l'uscita verso l'alto dalla difficile fase presente.



PRESIDENTE

Ringrazio per la presenza l'on. Pagani, Ministro delle Poste, e l'ori.
Costa, Ministro delle Regioni. Ringrazio anche il Sottosegretario on.
Bonsignore, che è qui alla Presidenza.
Devo scusare l'assenza - ci hanno inviato un messaggio - del Ministro Bonniver e dell'on. Grassi della Lega Nord Piemont.
Ha ora la parola il Segretario regionale della CGIL, Sabattini.



SABATTINI Claudio, Segretario regionale CGIL

Ho apprezzato, e ringrazio il Presidente della Giunta per la sua relazione in particolare per le valutazioni che sono state fatte rispetto alla situazione piemontese, per il suo giudizio sulla soluzione che ha riguardato sia le organizzazioni sindacali sia la Fiat per ciò che riguarda i problemi posti alla Lancia di Chivasso.
Il punto saliente è che il Piemonte si trova di fronte ad un processo di deindustrializzazione. Non era molto difficile pensare che ciò sarebbe avvenuto. Del resto, per ciò che riguarda punti fondamentali della struttura produttiva del Piemonte (che, come sono stati citati, riguardano sia l'automobile, sia l'informatica, si potrebbe dire le macchine utensili oltreché i settori dell'abbigliamento), ci troviamo di fronte all'inizio di un processo di deindustrializzazione, che tenderà a radicalizzarsi se non interverranno iniziative appropriate. Inizio di un processo di deindustrializzazione che presenta possibilità di valutazione che sono di fronte alla Giunta, come sono di fronte a tutti gli interlocutori tradizionali e politici del Sindacato.
Al di là delle dichiarazioni fatte - e che noi del resto a suo tempo abbiamo approvato - che gli investimenti della FIAT al Sud sarebbero stati di ordine aggiuntivo, è molto difficile oggi pensare che saranno effettivamente di ordine aggiuntivo. Non lo dico solo per il fatto che come si sa, gli investimenti hanno un significato in funzione delle loro capacità di creare prodotti in grado di avere penetrazione nel mercato, ma anche perché siamo di fronte ad una concorrenza europea ed internazionale che certamente è diventata più forte e più dura che nel passato e quindi presenta problemi che vanno affrontati in termini assolutamente precisi e tempestivi.
E' per questo che noi abbiamo valutato positivamente l'accordo fatto sulla Lancia di Chivasso. L'abbiamo valutato positivamente come un terreno che, da un lato, punta ad una fase di razionalizzazione e riqualificazione dell'apparato produttivo che riguarda l'automobile, e dall'altro lato permette un processo di concentrazione e di razionalizzazione dell'indotto oltre ad altre iniziative che certamente avranno un significato o potranno avere un significato di qualificazione e di crescita e quindi di tendenziale difesa dei livelli occupazionali.
Però occorre dire che, se si considerano i volumi produttivi oggi fatti al Nord e si considera un incrocio industriale che verrà tra il 1994 e il 1995, e se mai fosse vero che la tendenza sarà quella di un rovesciamento delle tendenze produttive per cui il Sud avrà il massimo di produzione automobilistica rispetto al Nord invertendo l'attuale situazione, siamo davvero all'inizio di un processo di deindustrializzazione.
Noi ci siamo posti questo problema che penso interessi anche il Presidente della Giunta così come la Giunta nel suo complesso.
Siamo contrari in generale al fatto che vi siano ulteriori spostamenti dal Nord al Sud, dal Piemonte ad altre Regioni. Credo che vada detto contrasteremo con tutta la nostra forza iniziative che tendessero prospettare semplicemente un passaggio dal Nord al Sud.
Noi pensiamo che non è possibile incentivare situazioni che già sono ampiamente incentivate; ma se questa fosse la logica e questa logica fosse effettivamente quella che vale (sapendo quali sono gli incentivi dati dallo Stato per ciò che riguarda il Sud) noi non potremmo che prevedere un trasferimento complessivo dell'industria piemontese verso il Sud.
In realtà la nostra opinione è quella che, per ciò che riguarda l'apparato produttivo che esiste in Piemonte, noi lo difenderemo riqualificandolo, sapendo perfettamente che esistono problemi di concorrenza europea ed internazionale che puntano a una diversa collocazione di questi stessi settori in termini di innovazione di prodotto e di processo, soprattutto di prodotto.
Dall'altro lato, noi pensiamo che non sia possibile difendere l'occupazione, e quindi, per capire perfettamente, di fendere la coesione sociale - come si usa dire in Europa - di questa Regione, se non si sceglieranno altre filiere tecnologiche e produttive da incentivare in questa Regione. Non è più pensabile che i settori tradizionali, che sono stati di traino all'industria piemontese, possano essere ulteriormente garanzia di crescita occupazionale, come lo sono stati nei decenni passati.
Occorre pensare quindi a un processo di riqualificazione da un lato, ma dall'altro lato passare dalla deindustrializzazione ad una nuova industrializzazione che non può semplicemente fondarsi su settori tradizionali. Nuova industrializzazione a cui ovviamente noi pensiamo che anche i settori tradizionali debbono dare un loro effettivo contributo di diversificazione produttiva.
Dico questo perché, al di là delle considerazioni che si possono fare sull'attuale accordo avvenuto alla Olivetti con una grande impresa americana come la Digital, se si guarda all'ac-cordo in sé, bisogna arrivare alle conclusioni che in realtà noi acquistiamo semplicemente tecnologia avanzata dalla Digital. La cosa che facciamo è di "carrozzare" questa tecnologia avanzata; il cuore del prodotto rimane importato dagli Stati Uniti d'America! Voglio dire che quando si fanno operazioni di questo genere si va ad un degrado tecnologico vero e proprio. So benissimo che ci sono difficoltà di mercato. Devo dire che un accordo di questo genere, che pure può salvare l'occupazione (e questo è un fatto del tutto positivo), non risponde per alle ragioni di competitività internazionale per il Piemonte e il nostro Paese.
Arriviamo quindi al dunque del problema. Noi siamo contrari ovviamente ad una linea di fondo che si sta sviluppando. Parlo dei lavoratori, per esempio, delle mense così come dei lavoratori delle pulizie che stanno nell'area di Chivasso e che oggi sono stati semplicemente licenziati dalle loro imprese. Noi pensiamo che se si costruisce lì - come è stato dichiarato - un polo tecnologico nuovo, che quindi assesti un insieme di piccole e medie industrie, non c'è dubbio che le ragioni di queste mense rimarranno e non c'è dubbio quindi che, almeno, questi lavoratori debbano avere la stessa possibilità della cassa integrazione in funzione di raggiungere la stessa possibilità di rioccupazione in quel settore.



(Applausi da parte del pubblico)



SABATTINI Claudio, Segretario regionale CGIL

Per favore, non siamo in un comizio.



PRESIDENTE

La ringrazio molto. Questo è un Consiglio aperto, è una sede istituzionale, siamo qui per ascoltare. Ascoltiamo in silenzio, così è più facile seguire il dibattito.



SABATTINI Claudio, Segretario regionale CGIL

Comunque, al di là di tutte le considerazioni, la nostra richiesta su questo punto rimane ovviamente molto ferma.
A proposito dell'applicazione della legge 223, non abbiamo apprezzato non apprezziamo e non apprezzeremo la disinvoltura con cui, per esempio l'ex Presidente della Confindustria, Pininfarina, nella sua impresa torinese, di fronte ad un processo di ristrutturazione avviato dall'impresa stessa, ha premesso ad ogni iniziativa 400 licenziamenti; questo non sta nello spirito della legge 223 che, com'è noto, accompagna strumenti diversi e possibili per i processi di ristrutturazione.
Vorrei far presente alle autorità regionali che la linea di fondo delle associazioni industriali piemontesi è quella di liberarsi della forza lavoro (come del resto le statistiche dimostrano per la maggioranza si tratta da un lato di donne e dall'altro di lavoratori oltre i 40 anni). In questo modo si sfoltisce l'apparato produttivo (quindi le ragioni non sono di ristrutturazione, ma di sfoltimento delle lavoratrici e dei lavoratori).
Noi contrasteremo fino in fondo un disegno di questo genere, e lo contrasteremo in tutti i settori in cui ciò avverrà come abbiamo fatto fino ad ora. Questa legge darwiniana per cui solamente se si è giovani, magari maschi e forti, è possibile lavorare mentre tutto il resto viene in qualche modo accantonato, non può certo essere la posizione di un Sindacato che ha fatto della solidarietà e dei diritti il suo punto essenziale.
L'ultima cosa che volevo sottolineare è la seguente: il Presidente della Giunta regionale ci ha detto che occorre determinare un accordo di programma col Governo per ciò che riguarda un Piemonte ormai pieno di croci, investito - e lo sarà sempre più - da processi di deindustrializzazione. Ho già cercato di dire che da un lato bisogna passare ad una riqualificazione produttiva e a processi di innovazione del prodotto, e dall'altro insistere su nuove filiere produttive, innovative della stessa storia industriale del Piemonte. Però, quando si affrontano problemi di politica industriale, dati gli scarsi poteri che la Regione ha in materia, occorre dire che come organizzazione sindacale CGIL siamo favorevoli a che le Regioni (se la politica industriale ha una sua dimensione territoriale fondamentale) abbiano la possibilità di avere prerogative di politica industriale atte ad affrontare i problemi che si manifestano nei territori stessi; questo è un punto chiave del nostro programma.
Noi pensiamo che oggi sia impossibile fare una politica industriale semplicemente dal centro nazionale sia perché l'Italia, e in particolare il nord dell'Europa, entrerà fra qualche mese nel mercato interno europeo, sia perché l'intreccio e le nuove qualificazioni produttive portano a una ridislocazione diversa degli assetti produttivi in Italia e in Europa che non possono che essere considerati decisivi. Interventi di politica nazionale sulla politica industriale ed effettivo decentramento territoriale dei poteri sulle politiche industriali, secondo noi sono assolutamente necessari al fine di affrontare i problemi che abbiamo di fronte. Del resto pensiamo che la stessa Regione piemontese abbia richiesto prerogative di questo genere.
Contemporaneamente, però, pensiamo che il problema del Piemonte non si risolverà senza politiche industriali che massimizzino i fattori fondamentali già presenti in Piemonte e soprattutto che valorizzino una serie di consumi pubblici che riguardano, per esempio, i trasporti, ma anche la vivibilità delle città, la prevenzione sanitaria, le possibilità di risanamento ecologico; tutti settori che necessitano di interventi tecnologici di eccellenza, da svilupparsi in Piemonte se si vuole avviare un diverso processo di industrializzazione.
L'intervento del Governo e delle politiche industriali nazionali non può essere un intervento a pioggia (dare soldi perché si faccia qualcosa) ma deve essere finalizzato; se ciò deve essere, è responsabilità della Regione indicare i progetti industriali necessari per far fronte a questa situazione. Se il ceto politico di questa Regione non si fa carico del fatto che ha una responsabilità primaria nell'indicare, non genericamente le linee di fondo, ma i progetti concreti, necessari per poter affrontare questa situazione, alla fine faremo discussioni "di grande interesse", la cui conclusione sarà assolutamente inutile.
In virtù delle cose dette finora, cioè di progetti finalizzati e quindi finanziabili in ordine ad obiettivi definiti, non abbiamo apprezzato il fatto che l'iniziativa della Regione di proporre il CREL come possibilità di incontro e di confronto permanente tra i vari soggetti sociali istituzionali, di ricerca e culturali (facenti quindi parte dell'insieme delle forze da coordinare e far convergere al fine di un processo di iniziativa generale), abbia trovato le Associazione Industriali in una posizione totalmente negativa, qualificandola come proposta burocratica.
Può darsi che tutto ciò che viene dalle istituzioni sia ormai considerato di per sé burocratico, ma considerando il fatto che il Presidente della Giunta regionale dovrebbe far parte di questo istituto, si può individuare in questo caso una preminenza politica.
Tutto questo nasconde un problema molto più importante. Le Organizzazioni Sindacali sono disposte ad un confronto per poter uscire da questa situazione, sono disposte a questo confronto con tutte le parti sociali, fondamentali, così come sono disposte a questo confronto con le istituzioni politiche così come con quelle culturali e scientifiche. Tutto ciò tentando di far convergere in un unico disegno, se possibile, le condizioni per una ripresa economica e produttiva del Piemonte. Chi si sottrae ad un confronto permanente di questo genere significa che intende fare da solo. Io credo che nessuno intenda e possa fare da solo soprattutto quando utilizza i soldi dello Stato paradossalmente necessari per poter fare da solo. E' una contraddizione che sarebbe utile sviluppare.
E' da questo punto di vista che voglio concludere il mio intervento dicendo, da un lato, che la CGIL e penso anche le altre Organizzazioni Sindacali (del resto abbiamo fatto un'iniziativa comune) sono disposte a determinare le condizioni di una convergenza sociale e istituzionale che permetta di affrontare questi problemi attraverso il dibattito, la discussione, le proposte; dall'altro, sosteniamo che per i lavoratori e le lavoratrici del Piemonte, i quali hanno dato tanti contributi allo sviluppo dello stesso, sia necessario, utile ed assolutamente congruente difendere la loro situazione occupazionale e promuovere tutte quelle iniziative che permettono la loro rioccupazione, perché la risorsa umana è la risorsa essenziale, se si vuole effettivamente uscire da questa crisi.
Non parliamo solo di fattori produttivi; parliamo prima di tutto di qualità della vita e di qualità del lavoro, che sono la consistenza essenziale per una coesione sociale nella nostra Regione; è solo difendendo le lavoratrici e i lavoratori che pensiamo di fare cosa utile per lo sviluppo del Piemonte.



PRESIDENTE

Ascoltiamo adesso l'intervento del dott. Cesare Annibaldi, responsabile delle relazioni esterne della FIAT:



ANNIBALDI Cesare, Responsabile relazioni esterne FIAT

Ringrazio per l'opportunità che mi è stata data di partecipare a questa discussione. Ho aderito a questo invito soprattutto per avere l'occasione di precisare meglio, negli effettivi termini, il progetto di reindustrializzazione di Chivasso, che riteniamo essere un punto molto rilevante, non solo all'interno dell'accordo sindacale e della soluzione del problema di Chivasso, ma anche per il significato che può avere peri temi che stiamo affrontando oggi in questa sede.
Prima di parlare brevemente su questo argomento, volevo però fare alcune riflessioni, prendendo lo spunto dall'ampia e ricca relazione del Presidente e dall'intervento che ho sentito adesso di Sabattini.
Innanzitutto sul tema della deindustrializzazione, che mi sembra essere lo slogan e il motivo intorno a cui poi si sviluppano tutti gli altri argomenti. E' sempre difficile trattare di parole, perché o significano troppo o significano troppo poco, e quindi credo vadano sempre affrontate con molta cautela.
Credo che deindustrializzazione significhi un'area nella quale c'è meno industria di quanto non ci fosse prima o quanto meno un'industria che pesa percentualmente di meno.
Io non credo che oggi in Piemonte si sia in presenza di un fenomeno di questo genere, se la parola deindustrializzazione ha un significato di irreversibilità, di strutturalità, di stabilità (non so come si possa definirla).
Indubbiamente, l'industria italiana sta attraversando una fase molto difficile e pesante. Negli ultimi anni l'industria italiana ha perso nel suo insieme competitività, come ha perso il "Paese Italia" (e in genere l'industria è l'espressione più forte dell'andamento dell'economia di un Paese).
Da lungo tempo se ne erano denunciate le ragioni (che erano poi ragioni strutturali nell'economia italiana, le quali facevano perdere competitività all'industria); per un certo periodo questo fenomeno non è risultato visibile per il fatto che la congiuntura favorevole internazionale rendeva meno evidenti i motivi di debolezza; oggi, che questa congiuntura internazionale non è più sotto il segno dello sviluppo, tutti questi motivi di debolezza si stanno verificando.
L'economia italiana è ormai divisa in due parti: un'economia non soggetta alla competitività internazionale che ha ancora degli andamenti positivi, e invece un'economia legata alla competitività internazionale, la quale è costretta a lavorare con ricavi bassissimi. Dell'inflazione del 5%,,in realtà quella legata all'industria è intorno al 2%, perch evidentemente i suoi ricavi sono fatti sull'inflazione internazionale e non sull'inflazione italiana, mentre l'inflazione dei settori non esposti alla concorrenza si aggira intorno al 10-12%.
Ci sono dei motivi strutturali profondi di politica economica che stanno dietro alla situazione che stiamo vivendo; quindi, per parlare di deindustrializzazione, questo significherebbe - anche se ognuno di noi pu avere le sue valutazioni - che c'è molto pessimismo sul fatto che l'Italia riesca, nel giro di poco tempo, a mettere a posto i propri conti.
Ognuno di noi - credo - può essere ottimista o pessimista, perché poi ognuno è legato o alle sue visioni della vita o alle sue visioni politiche tuttavia, credo che oggi il grande impegno di tutti sia quello di fare in modo che queste condizioni si modifichino in un arco di tempo ragionevolmente breve e l'industria italiana ritorni competitiva come lo è stata in passato.
Però, qual è il rischio? Se i tempi sono troppo lunghi, il rischio è quello di un ulteriore forte indebolimento dell'industria italiana. Questo si chiama o non si chiama deindustrializzazione? Non lo so. Certo il rischio è quello di un'industria più debole, però - ripeto - rientra nelle nostre possibilità affrontarlo, non è un rischio fatale o che sfugge alla capacità di governo di un Paese.
E' chiaro che oggi il Piemonte, che di questa Italia industriale rappresenta una delle realtà più forti, è un'area che vive maggiormente di questo clima generale di indebolimento; da qui i problemi occupazionali, da qui le aziende che mettono in cassa integrazione.
A parte il fatto - ma credo che poi Terna lo potrà dire meglio di me che mi pare che oggi non si siano ancora verificati fenomeni di situazioni irreversibili nell'area piemontese in maniera diffusa. Infatti Sabbatini che nel suo pessimismo è prudente, parlava di "inizio di un processo di deindustrializzazione"; quindi, al momento, si tratta più di una tragica profezia che di un accertamento di una situazione reale.
Sono convinto che il Piemonte abbia una serie di elementi di forza ovviamente, sempre che le condizioni generali siano favorevoli - che faranno sì che, al momento dell'uscita da questa crisi, possa uscirne meglio; e a mio parere, il settore automobili è sicuramente uno dei grandi elementi di forza nella difesa e nella stabilità di questo sistema.
Per me è bene anche cercare altre filiere; onestamente ho sempre creduto abbastanza poco alle industrializzazioni per decreto legge, però è auspicabile che si sviluppino altri tipi di attività. Io penso che quelle che ci sono hanno in sé sufficienti elementi di forza da rappresentare comunque un elemento di stabilità; poi, il fatto che sia con un certo livello occupazionale o con un altro, non credo che questo sia, a medio lungo termine, un problema centrale.
Non dobbiamo dimenticare che noi, come FIAT, alla fine dell'89, se non addirittura all'inizio del'90, abbiamo avuto serissime difficoltà nell'assunzione del personale, perché il mercato del lavoro del lavoratore generico a Torino non dava possibilità occupazionali; credo che questa sia una prospettiva destinata a riverificarsi in tempi relativamente brevi ovviamente una volta che tutta questa fase sia stata superata.
Che l'auto sia un settore con queste caratteristiche che lo dimostra il piano investimenti FIAT di cui ha già parlato il Presidente, piano di investimenti tale da continuare a dare tutte le condizioni di forza e di competitività, come sono sempre state e come credo debbano continuare ad essere.
Quando si parla dell'auto, se ne parla nel suo insieme, nord e sud.
Melfi, nella strategia generale della competitività, è un elemento di forza che rafforza anche le presenze industriali delle altre aree, Piemonte in particolare.
Il Piemonte è l'area nella quale c'è il cuore delle attività produttive, dove ci sono Rivalta e Mirafiori, che - lo dico con un po' di imbarazzo - sono gli stabilimenti che rimangono stabilmente due condizioni fondamentali di forza. Qualora questi due stabilimenti entrassero in crisi e per l'amor di Dio, tutto è possibile nella vita - ciò significherebbe la crisi, temo irreversibile, della FIAT Auto, perché essi sono il cuore della vita dell'azienda.
Quindi non vorrei nemmeno pormi questa ipotesi, salvo che non ci siano alcune persone non solo pessimistiche, ma addirittura iettatrici; quindi da questo punto di vista, non insisterei troppo. Sarebbe come dire ad una persona: "Come stai bene! Stai proprio bene!", senza esserne molto convinti.
Il discorso Lancia è un discorso diverso perché avevo detto personalmente che la Lancia entrava in crisi nel momento in cui nel 94195 sarebbe cessata la produzione che stava svolgendo e da quel momento in poi non sapevamo quali erano le ulteriori prospettive. Rispetto al '94/'95 data in cui lo stabilimento sarebbe stato messo in discussione perch cessava le attuali produzioni, sorgeva il problema di cosa sarebbe successo nell'avvenire della Lancia. In effetti, si sono anticipati i tempi perch le condizioni generali di competitività impongono, nella maniera più assoluta, un'accelerazione nell'opera di abbattimento dei costi. Infatti nel discorso Lancia, c'è stato uno spostamento di produzione: non si tratta di una realtà produttiva alla quale si è cancellata la produzione, la produzione si è spostata ad un altro stabilimento e non ha nemmeno inciso sulla capacità produttiva che poteva essere l'altro parametro preoccupante perché la capacità produttiva complessiva della FIAT in Piemonte è rimasta inalterata. Infatti quelle che erano le necessità di tenere delle capacità libere si sono straordinariamente ridotte per effetto delle nuove organizzazioni che consentono di lavorare in condizioni assolutamente diverse da quelle del passato.
La capacità produttiva è ancora la stessa capacità produttiva che c'era prima della situazione di Chivasso, salvo avere ulteriori forme di flessibilità qualora, come tutti ci auguriamo, ci saranno a partire dal 93/94 le ulteriori potenzialità di sviluppo. Si tratta quindi di rimanere nell'ambito della razionalizzazione.
Perché ritengo il discorso di Chivasso di grande attualità ed importanza? In primo luogo perché il numero di aziende e di occupati, per i quali è previsto nell'arco del biennio l'insediamento dell'area, è uno dei più alti, penso, di quanto siano coinvolti in esperienze simili in Italia.
Cioè non era mai successo che si riuscisse a prevedere l'insediamento di oltre 10 aziende con un numero di lavoratori tra i 1.400 ed i 1.500 e con un numero di nuovi occupati di 1.200 lavoratori.
Visto che questo è stato un impegno elevatissimo mi sembra giusto sottolinearlo, non solo ai fini del fatto che darà occupazione effettiva a questi lavoratori, ma per il fatto che il rafforzamento del tessuto industriale torinese trova un suo tassello di primaria importanza, anche perché trattandosi di lavorazioni omogenee si viene a costituire una specie di distretto tecnologico con la possibilità, quindi, di creare un sistema integrato attraverso il polo logistico con gli stabilimenti terminali di Rivalta e di Mirafiori con una prospettiva di arricchimento complessivo dell'area importante.
In secondo luogo c'è una dimensione, che credo non sia meno importante della prima, relativa all'esistenza nell'area di notevoli potenzialità di spazio, perché non tutti gli spazi coperti sono stati utilizzati attraverso questa prima iniziativa e perché esistono comunque in aree vicine possibilità di ulteriore copertura e di ulteriori aree da utilizzare.
L'area di Chivasso si trova in una condizione molto favorevole per quanto riguarda i collegamenti ed è molto attraente per le aziende che ci vogliono collocare.
Dall'altra parte l'Unione Industriale, che si è assunta la responsabilità di coordinare lo sviluppo di questa iniziativa di ampliamento ha già raccolto una serie di adesioni che, per il momento, sono ancora interlocutorie, ma, comunque, significative di aziende le quali sono interessate al porsi in quell'area.
Da questo ne trarrei una conclusione che mi sembra sia in linea con le cose dette sia dal Presidente Brizio sia da Sabattini.
E' vero che i motivi di fondo dello sviluppo o della crisi di un sistema industriale sono in genere ragioni di natura generale, trasversale non sono motivi di tipo locale; però è altrettanto vero che nel territorio possono nascere iniziative per orientare lo sviluppo o frenare le crisi: queste potenzialità a Torino esistono, ma richiedono innanzitutto disponibilità di aree industriali a condizioni favorevoli. Nel caso di Chivasso c'è stata una situazione che lo ha consentito, ma credo che di aree di questo genere se ne dovrebbero creare altre, perché solo i pessimisti avevano pensato che non ci fosse più bisogno di aree industriali perché non c'erano più imprese disponibili a collocarsi. L'esempio di Chivasso credo che questo lo dica: il 40% di quegli occupati sono di aziende multinazionali che avrebbero collocato all'estero le loro produzioni e che sono disponibili a venirlo a fare qui; non basta avere le aree, ma bisogna creare delle infrastrutture adeguate che siano disponibili a costi competitivi rispetto a quelli, di altre aree.
Questa delle aree attrezzate è solo una premessa, perché poi ci sono le ulteriori esigenze, da quelle della ricerca a quella del rapporto con l'Università, a quella dei servizi e così via. Se non mettiamo a disposizione le condizioni base è difficile pensare alle nuove filiere o ad attrarre investimenti su Torino.



PRESIDENTE

La parola al Segretario regionale della CISL, Panero.



PANERO Giancarlo, Segretario regionale CISL

Signor Presidente, signori e signore, amici, e compagni lavoratori purtroppo ci voleva Chivasso per tornare à parlare in Piemonte di occupazione e di deindustrializzazione.
Il Consiglio regionale aperto sarà una importante e positiva iniziativa se si concluderà con due o tre decisioni comuni.
Il buon accordo raggiunto alla Lancia non ha risolto il problema della crisi del Piemonte e neanche della zona di Chivasso. Per non parlare dei problemi collegati alla questione Lancia ancora aperti per i lavoratori delle mense, delle imprese di pulizia, del servizio trasporti. E' un lungo elenco di dati negativi che abbiamo davanti agli occhi. Pensate che entro agosto circa 2.000 lavoratori, che oggi sono nelle liste di mobilità passeranno direttamente alla disoccupazione e questo è un problema che dobbiamo considerare.
La completa relazione del Presidente della Giunta cita tutti i dati rispetto a questa crisi: 1) la deindustrializzazione si è già affacciata nella nostra Regione 2) il declino del Piemonte è ormai in corso 3) le cifre della disoccupazione sono alte 4) i soggetti che hanno più difficoltà nel trovare lavoro soffrono questa situazione di emarginazione 5) c'e angoscia ed incertezza all'interno dei lavoratori.
La crisi colpisce sostanzialmente tre settori portanti della nostra economia: l'informatica, l'auto e il tessile.
Sul tessile c'è la necessità di individuare nuove regole per quanto riguarda il rischio dell'apertura dei mercati negli scambi internazionali.
Una crisi che colpisce le grandi e le piccole imprese - l'elenco è lunghissimo - colpisce anche il territorio. E' sufficiente ricordare che il 9 luglio ci sarà lo sciopero territoriale nella provincia di Alessandria il 14 luglio vi sarà un'analoga iniziativa nella provincia di Asti. La crisi ha colpito duramente il Canavese: nell'informatica con l'Olivetti nel settore auto con la Lancia (che si sovrappone) e il settore dell'agricoltura che per effetto delle decisioni della CEE, soffrirà una condizione di difficoltà. Pensiamo ancora al settore della gomma e a cosa succederà in Piemonte rispetto alle decisioni di carattere nazionale.
Un ruolo importante lo giocheranno i servizi rispetto al dato di reindustrializzazione e di sviluppo della nostra regione. Per quanto riguarda ad esempio il settore dei trasporti, noi riscontriamo da parte della Giunta alcune scelte unilaterali rispetto al rapporto col sindacato mentre per quanto riguarda il settore della sanità vediamo delle non-scelte da parte dell'Assessorato competente.
Rispetto a questa situazione complessiva sembra che l'unico problema per la competitività dei prodotti delle nostre imprese sia il costo del lavoro. L'unica variabile pare sia il lavoro, purtroppo in una Regione dove il lavoro non è più centrale. Non emerge una politica economica all'altezza nel programma del Governo Amato, infatti c'è poco o nulla rispetto alla questione dell'occupazione. Il confronto aperto a livello nazionale tra Confindustria, Sindacati e Governo, dovrà perciò partire dal problema dell'occupazione, dopo dieci anni di assenza di politica industriale. La politica sociale è fatta di tagli: in Piemonte alla crisi occupazionale si somma la crisi dello stato sociale. Come si interverrà rispetto ai 1.000 miliardi che mancano alla sanità? Con le non-scelte, sperando che il Governo intervenga, o con decisioni all'altezza e confrontate col sindacato? Quale politica territoriale? Quali competenze da parte degli enti locali? Chivasso, in buona sostanza, è il banco di prova: la sfida è la gestione dell'accordo alla Lancia, con un ruolo alto, propositivo e attivo da parte degli Enti locali. Quindi l'individuazione delle competenze tra i Comuni, la Provincia e la Regione per accompagnare i lavori della Commissione sindacale che è attivata proprio grazie all'accordo.
Occorre rimboccarci le maniche come piemontesi, non piangere quindi solamente sulla spalla del Governo centrale, ma intervenire in modo positivo e attivo. La stessa questione che riguarda il polo dell'area di Chivasso in buona sostanza è in funzione di trattenere le imprese. E' difensiva rispetto alla situazione che attiene alla collocazione delle imprese e non è espansiva rispetto alla quantità di imprese presenti nell'area piemontese.
Cosa fare perciò a livello aziendale, dopo che abbiamo parlato di territorio, di politica sociale, di politica industriale, di politica economica? A livello aziendale è necessario affermare l'impresa come comunità di persone dove la partecipazione è coinvolgimento e non solo consenso. Ecco la qualità totale che si può affermare, che parte dalla qualità del lavoro.
La crisi che vive il Piemonte occorre trasformarla in opportunità: è necessario un "progetto" per far crescere la Regione, per disegnarne il profilo, per attivare un nuovo sviluppo che poggi sul consenso, sulla partecipazione, sulla solidarietà e che sia attento alle condizioni presenti nei vari territori che compongono la Regione Piemonte. E' uno sviluppo che deve partire dalla crescita della persona umana, non si deve quindi correre dietro alla crisi, gestire gli effetti e le code della crisi (l'Assessore al lavoro si affanna giustamente rispetto a questo elemento) ma occorre governare insieme la crisi, pare invece che ben che vada si amministra. La partecipazione - lo dice anche la Carta Costituzionale viene prima della programmazione, quindi su questo dovremo confrontarci con la Giunta regionale a partire dal nuovo piano regionale di sviluppo.
Governare significa stringere un patto per il lavoro e per lo sviluppo all'interno della comunità piemontese, dove tutte le parti partecipano e mettono del proprio, non solamente chiedono e rivendicano.
Occorre trovare una sede per esplicare questa partecipazione. Signor Presidente della Giunta, come mai la nostra richiesta rispetto al Consiglio regionale dell'economia e del lavoro non ha ancora trovato una risposta positiva? Come mai non c'è una risposta positiva quando nella Regione Lombardia abbiamo letto che recentemente si è dato corso alla costituzione del Consiglio regionale dell'economia e del lavoro con la partecipazione dei rappresentanti dell'Assolombarda, che è la Confindustria territoriale? Sulla politica dei redditi.
Tutti concordiamo rispetto a questo titolo, che non è solo nazionale ma è anche regionale, quindi riguarda le tasse regionali. Non è solo una questione di difesa, giustamente, del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni, ma è soprattutto decidere insieme per quanto riguarda l'intervento: come prelevare, a chi prelevare, quanto prelevare, per che cosa prelevare e soprattutto poi verificare queste decisioni. Non pu essere una sommatoria della situazione fiscale presente a livello nazionale, quindi su questo anche la Regione deve esprimere un ruolo proprio nel rapporto col Governo centrale e col Parlamento.
In buona sostanza la Regione dal nostro punto di vista deve "darsi una mossa". Siamo in una situazione di emergenza: la crisi del Piemonte non è solo una questione piemontese. Noi non dobbiamo - giustamente lo diceva nella sua relazione il Presidente Brizio - chiedere assistenza a Roma, ma noi sappiamo che il Piemonte ha la forza, la volontà, le risorse per negoziare e contrattare con Roma, concordando prima a livello di Regione Piemonte con le parti sociali le questioni da affrontare. Questo diventa l'elemento di forza nel rapporto con il Governo centrale. Si tratta certamente di interventi selettivi finalizzati: ad esempio la Legge 317, il Regolamento CEE n. 2052, maggiori incentivi per quanto riguarda aree territoriali mirate e perché non andare insieme a Bruxelles per quanto riguarda gli interventi da mettere in campo rispetto alla situazione piemontese che è estremamente preoccupante, interventi già previsti dalle decisioni del 1989 che però hanno la necessità di essere rivisti e riadeguati rispetto alla situazione in cambiamento? Si, pongono delle questioni rispetto a questo quadro.
La mobilità. Quali supporti e quali strumenti mettiamo in campo rispetto alla mobilità? Io penso alla formazione professionale, penso a Commissioni territoriali per gestire la Legge 223, la creazione di imprese per accompagnare il processo che si è aperto all'interno della situazione della Lancia. Vi è una precisa responsabilità sociale - lo affermiamo con forza - delle imprese rispetto a questa situazione. E l'accordo della Lancia è positivo perché coinvolge l'impresa anche e soprattutto nella gestione di questi processi.
Chiedo al rappresentante della Confindustria piemontese come mai vi è una indisponibilità ad un rapporto diretto col sindacato regionale per discutere di queste problematiche. Anche su questo dovremo andare ad un confronto con le varie organizzazioni sociali imprenditoriali a livello regionale per fare un'analisi e delle proposte che affrontino il problema del Piemonte.
Altri aspetti riguardano (energia, il credito e il territorio. Per esempio sul territorio, partendo dall'accordo della Lancia di Chivasso, non si tratta solamente di riempire il "contenitore", ma qualificare la presenza industriale all'interno del futuro, polo tecnologico di quell'area.
E' necessario quindi trovare la sede regionale per affrontare i problemi dell'occupazione e dello stato sociale che sono una miscela esplosiva all'interno della nostra realtà. La Giunta regionale sarà verificata su questi due punti, visto che siamo a metà legislatura. E' necessario però, dal nostro punto di vista, seguire questo lavoro con una specie di "Commissione di crisi" del Consiglio regionale dove sia presente l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, i Presidenti delle Commissioni consiliari, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali regionali e imprenditoriali; una Commissione di crisi per seguire e anticipare i problemi, ma anche accompagnarli per quanto è necessario.
Quindi questo Consiglio regionale avrà senso se si concorderà dal nostro punto di vista su queste iniziative. Diversamente sarà chiara, signor Presidente, l'incapacità della politica a rispondere alle richieste che pone la società piemontese. In un momento in cui la società piemontese chiede più politica, è chiaro che la politica non ce la fa, non ha ruolo non ha proposte e progetti.
A cosa serve la politica se non a fare sintesi, se non a dare speranza ai più deboli? Questa la prima riforma istituzionale; non sono architetture astratte. Questa è la prima riforma istituzionale che sarà visibile da parte della gente. Il sindacato piemontese, la CISL. vuole giocare il proprio ruolo, dare un contributo, entrare in campo come soggetto sociale essere in buona sostanza canale per aggregare e non dividere, per indirizzare e proporre e non solamente protestare. E in base a ci decideremo i nostri comportamenti, per dare uno scrollone, se sarà necessario, al fine di rendere visibile l'impegno concreto.



PRESIDENTE

La parola al Segretario regionale della UILM, Agnolon.



AGNOLON Sergio, Segretario regionale UILM

La UILM esprime apprezzamento per l'iniziativa assunta dal Consiglio regionale in merito all'emergenza occupazione in Piemonte e soprattutto rispetto alle iniziative concrete che in modo concertato potranno essere assunte.
Poiché, partendo dalla valutazione del dopo, l'intesa con la FIAT Auto sullo stabilimento di Chivasso, ci si proponga impegni e obiettivi e percorsi comuni, così come abbiamo fatto con la FIAT, infatti: l'annunciato disimpegno della FIAT Auto dallo stabilimento di Chivasso presupponeva, per essere accettato e gestito con il consenso del sindacato: 1) un quadro complessivo di certezze e garanzie di non alienazione e di capacità produttiva o di impianti (sul piano nazionale) e specifico (Piemonte) per i prossimi tre anni, non essendo l'operazione di chiusura frutto di un semplice riequilibrio produttivo tra gli stabilimenti 2) impegnare con le necessarie garanzie di iniziative industriali a Chivasso, promosse dalla FIAT e gestite da un Consorzio che prevedesse la presenza della FIAT stessa che, oltre a garantire il rientro dei lavoratori a Chivasso, con la creazione di un polo per la produzione della componentistica auto, ponesse le basi per sbocchi occupazionali anche per le imprese dei servizi allocate a Chivasso 3) occorreva definire un processo di rilocalizzazione, in tempi certi tutti gli operai ed impiegati in CIGS e tappe intermedie di verifica dell'andamento del percorso medesimo, assumendo il pieno coinvolgimento delle parti sociali, nella gestione di un programma di formazione e riqualificazione del personale 4) monitorare i processi di riorganizzazione che coinvolgono la struttura impiegatizia e le ricadute del processo della fabbrica integrata.
Questi erano i punti fondamentali sui quali la UILM, insieme alle altre organizzazioni, ha improntato la propria iniziativa rivendicativa nei confronti della FIAT, esplicitandoli ai vari livelli, quindi alle forze politiche e alle istituzioni. L'unità del Sindacato e la determinazione dei lavoratori di Chivasso hanno consentito la realizzazione dell'accordo proprio sulla base di ciò che è stato detto, modificando la posizione iniziale dell'Azienda e realizzando, da un lato, la conservazione del posto del lavoro e, dall'altro, un forte impegno per un nuovo sviluppo industriale del territorio. La conclusione di questa vicenda, per la UILM, deve creare le condizioni per aprire, a partire da questo Consiglio regionale, una fase nuova nei rapporti con la FIAT, con l'Unione Industriale, con le altre associazioni, come Confapi Artigiani e Tessind, con le istituzioni e il Governo.
Noi riteniamo che, proprio a seguito del caso Lancia di Chivasso, vi possa essere un primo banco di prova sulla volontà reale delle imprese e delle istituzioni di passare ad una fase di nuovo governo dei processi di ristrutturazione, passando da una sede di applicazione degli ammortizzatori sociali ad una riconversione produttiva e ad una riqualificazione occupazionale che prefiguri una prospettiva economica per il nostro territorio, anche alla luce delle decisioni della FIAT di cessare la produzione di auto a Chivasso.
Come organizzazione sindacale abbiamo esaminato la situazione e le prospettive industriali occupazionali e sociali nella nostra Regione.
L'analisi che è ormai comune a tutti (e gli interventi che mi hanno preceduto l'hanno rimarcato) indica una tendenza ad una vera e propria deindustrializzazione della nostra Regione che ha oggi nei settori che maggiormente in passato ne hanno caratterizzato lo sviluppo il punto più debole. La crisi industriale investe in Piemonte tanto i grandi gruppi quanto la struttura della media e piccola impresa ed anche i settori a maggiore contenuto tecnologico come la meccanica strumentale ne sono profondamente coinvolti.
I conseguenti processi di ristrutturazione, alcuni dei quali sono già stati negoziati dal sindacato, indicano una fase di declino economico e sociale. Tutti sappiamo che nella nostra Regione a partire dalla seconda metà degli anni '80 si è assistito ad un rallentamento degli investimenti da parte delle imprese, fino ad arrivare ad una stasi negli ultimi due-tre anni. Nel contempo è ripreso un crescente utilizzo della cassa integrazione guadagni; c'è una flessione rilevante nell'occupazione, un saldo negativo tra nascita ed estinzione di imprese; si accentua il fenomeno della ricollocazione delle medie aziende in ragione delle mutate convenienze agli investimenti nel sud Italia, come in altre aree dell'Europa vi è ormai una marginalità dei centri di ricerca accompagnati dalla stagnazione dei settori dei servizi.
In questo contesto, gli strumenti di governo della crisi, attraverso la contrattazione degli ammortizzatori sociali, si stanno dimostrando grandemente insufficienti ed inadeguati alla qualità e alla dimensione dei processi in atto. Gli strumenti di governo del mercato di lavoro, come la legge 223/91, sono insufficienti. Inoltre, la mancanza di intese quadro tra le parti sociali in materia di mobilità, riqualificazione professionale reimpiego dei lavoratori, non consente un'adeguata gestione della situazione.
Vi sono, poi, ritardi da parte del Ministero del Lavoro nelle disposizioni attuative sulle delibere della CRI del Piemonte, per la legge 407/90; vi sono ritardi da parte dell'INPS sul pagamento delle indennità di mobilità, determinando grandi problemi economici ai lavoratori. Non è quindi più rinviabile, ad avviso della UILM del Piemonte, un'iniziativa forte che vada oltre i normali strumenti di contrattazione e che coinvolga e responsabilizzi le parti sociali è i soggetti istituzionali per definire un patto perla ripresa economica del Piemonte e che, fermo restando le reciproche autonomie, ricerchi tutti i possibili terreni di convergenza che consentano di evolvere azioni comuni di sviluppo.
La profonda apertura internazionale ricca di :problemi, ma anche di opportunità, ci impegna ad una severa competizione. Delineare gli scenari diventa allora la premessa per l'identificazione di strategie idonee. Il problema è di scala delle risorse e degli obiettivi. Con l'attuale situazione, il Piemonte non può competere per un ruolo elevato. Se questo è quanto, cosa fare per rimuovere le cause? La prima è istituzionale, non è derogabile l'esigenza di una forte azione politica regionale atta a favorire una nuova fase di sviluppo puntando sul funzionamento delle istituzioni e della valorizzazione delle risorse disponibili, materiali ed umane. Proprio le risorse diventano allora punto chiave, perché gli interventi utilizzati in passato nel nostro Paese per la politica industriale in genere rispondevano a specifiche emergenze e non erano collegati organicamente tra loro e con il resto della politica economica e con il contesto ambientale e sociale.
Oggi, di fronte alla crisi, occorre rafforzare i sistemi locali con l'obiettivo dello sviluppo tecnologico e produttivo, coinvolgendo imprese grandi e piccole, industriali e di servizi, con azioni capaci di attivare le risorse necessarie e di favorire il trasferimento tecnologico verso tutte le realtà imprenditoriali.
Questo tipo di intervento pubblico capace di adattarsi al contesto socio-economico non è in alternativa ad altri strumenti di politica industriale nazionale, anzi si integra e valorizza maggiormente le risorse locali: per esempio, attraverso la creazione di agenzie o società consortili miste adatte a fare cooperare imprese ed Enti pubblici e privati nello sviluppo dell'innovazione.
Sul tema della reindustrializzazione è necessario che la Regione assieme al Governo individui i settori ed i grandi gruppi fondamentali per il nostro sviluppo territoriale e nazionale, come l'informatica, i mezzi di trasporto, beni strumentali a sostegno degli anni '90, oltre a fattori come l'energia, i trasporti ed altri servizi pubblici, come elementi però di riequilibrio in un mercato in caduta.
Senza dubbio il funzionamento delle istituzioni rappresenta la precondizione indispensabile, poiché è difficilmente contrastabile la tendenza a spostare altrove le produzioni manifatturiere e a più basso contenuto; non è però snaturabile la vocazione produttiva del Piemonte.
Essa va, al contrario, rafforzata, ridando ragione di convenienza nell'investire nella Regione soprattutto per le produzioni che garantiscono funzioni superiori, direzionali e di ricerca avanzata.
Occorre rinnovare per dare efficienza al sistema, anche attraverso il funzionamento dei servizi e del sociale. Questi ultimi, funzionando possono trasformarsi da costi in risorse. E' quindi giusto richiedere anche agli industriali di fare la loro parte, scegliendo la strada del profitto piuttosto di quella della rendita.
Se gli interlocutori del sindacato sono tutti presenti qui oggi, a loro chiediamo un confronto per istituire un comune tavolo di confronto sulla crisi industriale, per regolarne congiuntamente gli effetti ed individuare i fattori che localmente possono incentivare investimenti ed attivare una cooperazione fra Università, Centri di ricerca ed imprese, coinvolgendo il sistema bancario e gli istituti per il finanziamento alle imprese.
Il cammino è lungo e complesso, ma è possibile; è già stato compiuto in altre realtà nazionali ed internazionali ed è stato avviato quasi sempre in presenza di grandi crisi.
Chiuso il caso Lancia resta aperto ed attuale il caso Piemonte. Noi vogliamo oggi evidenziare la necessità di operare in modo più incisivo rispetto al passato e soprattutto comprensibile per la gente. Chiediamo un intervento delle istituzioni chiaro, incentrato sulla nuova fase di sviluppo. Chiederemo alle nostre controparti analogo ed adeguato impegno per quello che ci concerne siamo disponibili a fare la nostra parte.
Il nodo da sciogliere è quello di un impegno regionale diverso dal passato, unica strada per evitare gli eccessi regionalistici. Di questo dobbiamo essere consapevoli e all'altezza della situazione.



PRESIDENTE

Ha ora la parola il Direttore della Federpiemonte, prof. Terna.



TERNA Pietro, Direttore Federpiemonte

A nome della Federpiemonte devo, in primo luogo, ringraziare il Consiglio regionale per l'invito odierno ed immediatamente scusare due assenze, quella del Presidente regionale Pichetto, impegnato in una funzione pubblica cui non ha potuto sottrarsi, e quella del Presidente dell'Unione Industriale, Rambaudi, che ha avuto un impegno improvviso. Con me è presente il collega Dott. Gherzi, Vicedirettore dell'Unione Industriale di Torino.
Svolgerò un intervento di analisi sulla situazione piemontese e cercherò di essere breve, muovendo da considerazioni di struttura e di carattere congiunturale.
In primo luogo le considerazioni di struttura. In effetti governare una Regione è un'opera particolarmente difficile e complessa, anche perché gran parte degli strumenti di cui la Regione dispone non sono tali, nella loro azione, da poter avere visibilità immediata. Molte cose che si decidono e si attuano avranno risultati positivi o negativi a distanza di tempo distanza che supera quella dì una legislatura. E' molto difficile governare quando non si vedono immediatamente i risultati.
Però opportune lezioni si possono trarre dalla storia e non da quest'aula, ma dall'aula che ospitava il Consiglio regionale negli anni'70 e in particolare dal'75 in poi, si è scritto un pezzo di storia che oggi stiamo seguendo e praticando. Allora, con una decisione incontestabile nei fatti, perché è scritta nei documenti della Regione, si decise che questa area era troppo sviluppata e occorreva intraprendere un cammino tale da controllarne la dinamica e limitarne lo sviluppo; ciò in particolare con delle non scelte, o annullando delle scelte, nel campo delle infrastrutture.
Non possiamo stupirci ora negli anni'90, a distanza di 15 anni, che l'aver deciso di non investire sul piano infrastrutturale in Piemonte abbia portato ad una debolezza per la competitività di questa area. Debolezza che emerge chiaramente dopo un decennio, gli anni'80, che è stato, soprattutto dalla metà in poi, un decennio di buon sviluppo per l'economia italiana e per la stessa economia piemontese. Però il Piemonte in quei dieci anni ha registrato, dal punto di vista della sua economia, un ulteriore regresso sul piano degli impieghi interni della propria ricchezza.
Citerò solo quattro dati. All'inizio degli anni'80, su 100 lire prodotte in questa Regione, 96 erano impiegate in Piemonte sotto forma di consumi e investimenti. Alla fine degli anni'80, sempre su 100 lire, solo più 91 sono impiegate in questa area. Dunque abbiamo un saldo fra importazioni ed esportazioni straordinariamente positivo. Questo è molto positivo, significa che il sistema produttivo negli anni '80 ha saputo continuare a reggere la competizione internazionale, ma significa anche che siamo una Regione che impiega all'esterno le proprie risorse nell'ambito di un sistema nazionale che fa esattamente l'opposto e che per tutti gli anni '80 ha realizzato consumi ed investimenti maggiori di quanto ha prodotto.
Tutto ciò a lungo termine non può che indebolire la Regione "formica" nei confronti della nazione "cicala".
Un secondo gruppo di dati riguarda l'industria, sempre negli anni '80 all'interno del sistema regionale. Si è parlato più volte di deindustrializzazione, di supposta deindustrializzazione, di ruolo nell'industria. In quei dati degli anni'80 possiamo leggere che, all'inizio del decennio, il valore aggiunto regionale, cioè la ricchezza prodotta in Piemonte, veniva per il 47% dall'industria. Se si guardano i dati di fine anni'80, quindi al termine del decennio, si legge che soltanto il 40% del valore aggiunto viene dall'industria, ma è un'illusione statistica, dovuta al fenomeno inflazione. L'industria produce poca inflazione; per tutto il decennio degli anni'80 è stata intorno al 3%, contro una media nazionale del 6-7%, e se si fa una media significa che le altre componenti dell'inflazione sono tutte al di sopra dell'8-9%. Pertanto, calcolando il peso delle varie produzioni a lire inflazionate, sembra che l'industria abbia perso importanza; se invece si misurano le contribuzioni produttive dei vari settori a lire di inizio anni '80, si scopre che l'industria, che aveva un valore aggiunto del 47% sul totale regionale, a fine decennio è scesa solo al 46,5. Dunque non deindustrializzazione, ma tuttora industria motore del nostro sistema produttivo, ancorché il fatto sembri mascherato dall'evenienza che l'industria ha prodotto meno inflazione degli altri comparti.
Con questo non voglio dire che tutto sia sereno e che non ci siano problemi di cui preoccuparsi. I problemi sono molti, discendono dalla perdita di competitività del sistema Italia e del sistema Piemonte, per quegli errori sulle scelte infrastrutturali cui ho fatto cenno prima discendono da una situazione congiunturale mondiale i cui riflessi si vedono purtroppo nella nostra nazione e in Piemonte.
Credo valga la pena un riferimento alla situazione congiunturale attuale. Tre mesi fa la Federpiemonte, rilasciando i dati congiunturali relativi al secondo trimestre dell'anno, aveva accennato alla speranza di una lieve ripresa. Purtroppo, e tutti potranno constatarlo quando rilasceremo i dati del terzo trimestre dell'anno, questa speranza si è subito esaurita e le previsioni delle aziende piemontesi - abbiamo raccolto 1100 risposte per il prossimo trimestre - sono di nuovo in prevalenza negative.
In quale direzione bisogna operare? Come bisogna agire? Intanto un riferimento al primo dei dati della convocazione odierna, e cioè il tema Lancia di Chivasso.
Sul tema Lancia di Chivasso, a nome delle Associazioni industriali, in particolare dell'Unione Industriale di Torino, desidero confermare in questa occasione solenne, nell'ambito di un Consiglio regionale, che l'impegno dell'Associazione sarà forte e significativo per l'attuazione di quella parte che coinvolge in prima persona l'Unione Industriale di Torino.
Mi riferisco alla parte dell'accordo firmato sulla Lancia di Chivasso, che cito testualmente: 'per il coordina- , mento volto alla trasformazione dello stabilimento di Chivasso in un centro tecnologico industriale". Ci sarà un impegno diretto, testimoniato anche dalle dichiarazioni di ieri del Presidente Rambaudi, che avete potuto leggere questa mattina sui quotidiani. Quindi, l'Unione Industriale seguirà strettamente da vicino con i propri associati, questo importante episodio.
Mi avvio alle conclusioni con alcune proposte.
Su un piano più generale credo che dobbiamo tutti sforzarci di individuare negli strumenti di azione della Regione, sia pure spesso con il limite della non immediatezza dei risultati, quali sono le linee giuste da seguire e da indirizzare.
Non credo che sia il momento per aprire un dibattito, mal definito nei suoi confini, sui limiti delle' competenze della Regione o degli Enti centrali. Non è momento per dibattere su questioni di ingegneria istituzionale sulle quali i lavori procedono con molta lentezza. Vedremo se il Governo Amato, che li ha posti in primo piano nel suo programma, darà un impulso al Parlamento, ma non credo sia questo il momento o il luogo specifico per dibattere dì ciò.
La nostra convinzione è che, negli strumenti di cui la Regione oggi dispone, ci siano molti spazi per un intervento positivo in termini di efficienza dell'apparato produttivo e del sistema industriale in particolare.
Il riferimento va alle tematiche territoriali, alle tematiche ambientali, allo strumento della formazione professionale; va infine al tema delle politiche attive nei confronti dell'industria.
Sappiamo che l'Assessorato competente ha in corso una revisione della normativa in essere. Abbiamo letto, da dichiarazioni di questi ultimi giorni, di un documento della DC che sarà portato all'attenzione della maggioranza e che contiene delle proposte, che varrà la pena approfondire anche di intervento attivo di politica nei confronti dell'industria.
Oggi annunciamo a questa assemblea che stiamo consegnando ai Consiglieri e alla Giunta un documento di proposte della Federpiemonte.
L'occasione è una coincidenza di tempi. Il nostro Consiglio del giorno 3 quindi di venerdì scorso, ha esaminato e approvato in termini definitivi un nostro documento di contributo all'attività della Regione, oggi a metà legislatura. Un contributo che si articola sui vari filoni propri di competenza della Regione Piemonte.
Concludendo l'intervento affermo che, per parte nostra, l'occasione odierna di incontro è un punto di partenza per una analisi congiunta delle diverse proposte, avendo ben presenti quelle che sono le competenze attuali e le possibilità immediate di intervento.
Non vorremmo però che, badando soltanto a temi di politica attiva nell'occupazione, ci fermassimo con l'attenzione esclusivamente sul breve periodo. Le scelte importanti non sono solo quelle di breve periodo, ma anche quelle di medio e lungo periodo.
Oggi siamo, in gran parte dei soggetti qui presenti, impegnati su una questione estremamente complessa che riguarda un'azienda per la quale è reale il rischio un caso di deindustrializzazione. Mi riferisco alle Acciaierie Ferrero, le quali hanno investito 100 miliardi - che non sono una piccola cifra - per una occupazione complessiva di 800 dipendenti e rischiano di perdere la possibilità di terminare la ristrutturazione dello stabilimento, quindi rischiano di dover chiudere un'attività produttiva che si profila competitiva a livello europeo, per la mancanza di decisioni che in questo caso non sono di breve momento, ma di lungo periodo relative al piano degli investimenti ENEL nella nostra Regione.
Quando si parla di problemi della struttura economica piemontese quando si parla di rischi di deindustrializzazione, credo che invece di evocare preoccupazioni occorra conseguire la capacità di confrontarsi sul lungo periodo sulle cose positive. Questo è molto più importante che aprire dibattiti dai contorni mal definiti sulle nuove filiere di industrializzazione o sulle grandi scelte dell'industria a livello mondiale.



PRESIDENTE

La parola a Severino Conti, Segretario generale dell'API, che conclude la serie degli interventi di impostazione della questione, dopodich apriremo la discussione agli altri interventi.



CONTI Severino, Segretario generale API

Anche la Federazione delle Associazioni provinciali delle Piccole Industrie ringrazia la Presidenza del Consiglio regionale per l'opportunità che è stata data di portare le proprie valutazioni, il proprio contributo ed anche - perché no? - se è possibile, delle idee.
Abbiamo ascoltato con attenzione la relazione del Presidente Brizio cogliendo le sue valutazioni e abbiamo inteso anche un momento di rammarico rispetto a quello che la Regione non può fare, perché non ha le possibilità e le prerogative per farlo.
Dobbiamo dare atto peraltro che la Regione Piemonte, a nostro avviso nel recente passato ha dato una dimostrazione di sapere essere pronta a utilizzare le poche possibilità che ha, al fine di dare un contributo o comunque una indicazione ai grossi problemi sociali e della produzione.
Ricordiamo la legge n. 56 per l'innovazione nelle PMI, ricordo la legge n.
53 sull'occupazione, che tuttora costituiscono un fatto positivo.
Passando all'oggetto specifico, oggi all'o.d.g., l'accordo di Chivasso anche noi, come Associazione delle Piccole e Medie Industrie, esprimiamo una valutazione positiva al risultato raggiunto.
E' in effetti la razionalizzazione di un problema che poteva avere molte più gravi ripercussioni. E' un accordo che riteniamo primo in Italia e che prevede il reimpiego di tutti i lavoratori coinvolti da un esubero totale. E' un accordo che parla di industrializzazione. Anche le piccole e medie industrie sono interessate a questa industrializzazione nel comprensorio, tra cui anche alcune dell'Associazione delle Piccole e Medie Industrie.
E' una occupazione aggiuntiva, quella che prevede l'accordo, rispetto al sistema interessato delle piccole e medie industrie. Sono produzioni recuperate al Piemonte quelle che insedieranno a Chivasso. Questo è un fatto estremamente positivo che dobbiamo sottolineare. Ciò dimostra che quando si mettono sul tavolo delle trattative delle discrete condizioni e delle razionalità si può arrivare ad accordi di carattere positivo.
Dobbiamo dare atto alla responsabilità delle parti che hanno trattato questo accordo, alla FIAT e alle Organizzazioni Sindacali.
E' un esempio che riteniamo possa e debba essere, per l'imminente futuro, preso in considerazione.
La conseguenza di questo accordo, con la razionalizzazione, degli impieghi che vi sono previsti, è una dimostrazione di come non soltanto le multinazionali ma anche le piccole e medie industrie siano attente alle occasioni che si propongono loro da qualsiasi parte provengono. In questo caso sono pervenute dalla più grande azienda torinese nazionale.
E' la proposta di un polo tecnologico, quella che si evidenzia dall'accordo di Chivasso, che non deve esaurirsi solo con le aziende che potranno essere interessate a una specifica produzione come quella indicata nell'accordo, ma deve essere esteso a possibilità per altre attività produttive. Necessita quindi che le istituzioni pubbliche e gli enti prendano a riferimento questo accordo per proseguire nella razionalizzazione e, considerato che non ci sarà più un soggetto privato al quale andare a chiedere un'ulteriore disponibilità, vedere come essi e le rappresentanze, sia di imprese sia di lavoratori, possano completare specifici investimenti per il polo tecnologico di Chivasso.
A nostro avviso, l'accordo di Chivasso è anche una chiara risposta a quelle tentazioni - e sono tentazioni reali, l'abbiamo sentito anche dalla relazione del Presidente - che invitano il sistema delle piccole e medie industrie a rilocalizzarsi altrove; questa è la dimostrazione del fatto che qualcosa si può fare anche qui, però è chiaro che il coinvolgimento deve essere totale.
E' una scommessa da accettare e che vede interessata una regione che oggi sta soffrendo - al di là delle diverse valutazioni di parte si pu dichiarare se si tratta già di effettiva deindustrializzazione o di inizio di deindustrializzazione -; certamente non vorremo trovarci tutti e troppo tardi a verificare che, in effetti, non si è fatto a sufficienza per ovviare a un'eventualità del genere.
Sono stati ricordati dei fatti negativi; da parte nostra, come piccole e medie aziende, stiamo soffrendo in termini concreti di una situazione che si protrae ormai da un biennio. Non ci dà soddisfazione ricordare che proprio l'API, nel 1989, in una Commissione regionale aveva previsto che saremmo arrivati a una situazione di questo genere. Oggi le aziende associate alla Federapi Piemonte, al sistema delle piccole e medie industrie del Piemonte, registrano oltre 500 aziende in cassa integrazione dall'inizio dell'anno, cioè quasi il doppio di quante erano l'anno precedente; non solo, ma dobbiamo registrare l'aumento delle ore di cassa integrazione per oltre il 30% e un calo effettivo dell'utilizzo dei contratti di formazione lavoro per oltre il 40%. Questi dati devono preoccuparci perché arrivano da un sistema che è sempre stato considerato sano e che ha sempre prodotto ricchezza e occupazione.
Questo è quanto succede nel Piemonte. Ma, signori Consiglieri l'imprenditore piccolo e medio non è rassegnato.
Fatta questa bella dichiarazione, dobbiamo anche considerare il fatto che per il piccolo e medio imprenditore non è più possibile risollevarsi soltanto con le proprie possibilità. Senza fare un distinguo, perché non abbiamo bisogno di distinguerci in quanto rappresentanza imprenditoriale dobbiamo ricordare alle organizzazioni sindacali che l'API e la Federapi sono state le prime organizzazioni imprenditoriali ad aver accettato la proposta della Regione di costituire il CREL; questa disponibilità continuiamo a confermarla e ci auguriamo che questo organismo, che riteniamo indispensabile per andare a considerare tempestivamente i problemi di carattere economico, produttivo e sociale nel nostro territorio, si costituisca al più presto possibile. Ai signori Consiglieri ricordiamo che l'API, con le organizzazioni sindacali, ha costituito l'ente bilaterale per la formazione professionale, anche per contribuire al recupero di quei lavoratori messi in lista di mobilità.
Detto questo, è necessario che chi ha le prerogative (per esempio la Regione) per poterlo fare, metta questo ente in condizioni di realizzare le possibilità di riqualificazione, prendendo in considerazione l'effettiva esigenza di figure professionali che il sistema delle piccole e medie industrie oggi ancora richiede, seppure in misura molto inferiore rispetto al passato, appoggiandone finanziariamente le iniziative.
Noi riteniamo, infine, che occorra attuare quelle indicazioni che abbiamo dato due anni fa alla Commissione regionale. Occorre che si attui una politica degli investimenti produttivi, e per far questo riteniamo indispensabile che la partecipazione ai problemi del Piemonte, dimostrata in tutti gli interventi di oggi, venga raccolta e, con il modo che si riterrà più adatto, portata in sede nazionale affinché questa Regione abbia la possibilità di poter disporre di maggiori prerogative di intervento.
Occorre salvaguardare l'imprenditoria minore esistente, perché è questa che ha dato occupazione ed è ancora in grado di darne; occorre creare nuova imprenditoria, e l'abbiamo sentito anche dagli interventi del Sindacato: vogliono più imprenditori nella nostra regione, bisogna porre le basi affinché questa possibilità si realizzi: incentivare coloro che hanno queste capacità imprenditoriali, rendere possibile per loro creare attività produttive e non utilizzare queste loro capacità per altre attività che certamente creeranno loro maggiore soddisfazione, maggiore ricchezza, ma non avranno un ritorno per il sistema produttivo del Piemonte.
Bisogna inoltre che in Piemonte si trattengano occasioni di lavoro. Noi ci troviamo nel profondo nord-ovest, rischiamo di diventare un'altra zona da Cassa del Mezzogiorno; per evitare questo si devono realizzare le possibilità di una maggiore conoscenza delle capacità produttive, che hanno fatto forte la nostra Regione e chele hanno permesso di creare l'industrializzazione del nostro Paese dal dopoguerra ai giorni nostri.
Queste capacità e persone con mentalità imprenditoriale ci sono tuttora.
Queste indicazioni le abbiamo ripetute più volte; riteniamo che siano attuali, ma lo saranno forse per poco se non riusciamo a realizzare interventi consoni a decisioni, i cui limiti di tempo non sono più prorogabili.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cambursano della Provincia di Torino.



CAMBURSANO Renato, Assessore Provincia di Torino

Come Provincia, abbiamo accolto positivamente l'accordo raggiunto tra le Organizzazioni Sindacali e la Fiat, anche perché l'accordo andava nel senso che l'istituzione provinciale aveva a suo tempo indicato in occasione del dibattito del Consiglio comunale aperto in quel di Chivasso, quando si constatava che, a fronte di iniziative che andavano pesantemente a penalizzare una realtà non solo produttiva ma anche un'intera comunità come quella di Chivasso, dovevano esserci degli impegni precisi da parte dell'azienda che in quel momento adotta- va un simile provvedimento.
Certo è che si potrebbe parafrasare dicendo che, a fronte di un tifone che minacciava di trascinare con sé l'intera città di Chivasso, l'intera economia della città, adesso constatiamo, a seguito di questo accordo, che forse il tifone ha preso un altro andamento, ma ciononostante constatiamo esserci una tempesta, una grandinata di quelle che lasciano pesantemente il segno.
Ci interroghiamo ancora una volta, come abbiamo fatto in altre occasioni, se gli impegni presi da parte della Fiat nei confronti delle Organizzazioni Sindacali, che sulla carta constatiamo essere positivi avranno un loro mantenimento, un loro prosieguo operativo. A questo punto quindi, vale la pena ancora una volta di interrogarci sull'affidabilità della controparte, che ieri affermava alla città di Chivasso, alla Provincia di Torino, alla Regione Piemonte, che lo stabilimento di Chivasso non era a rischio; e questo lo diceva non soltanto a settembre dello scorso anno, ma lo confermava ancora nella primavera di quest'anno, esattamente nel mese di maggio, quindici giorni prima del provvedimento di chiusura dello stabilimento.
Oggi constatiamo un impegno che viene messo sulla carta nell'ambito dell'accordo; ci interroghiamo quindi se il domani avrà come riferimento quello che è successo purtroppo fino adesso o se invece l'azienda Fiat non solo nei confronti delle Organizzazioni Sindacali, ma anche nei confronti delle istituzioni, avrà un atteggiamento diverso.
Qualcuno, in occasione del dibattito al Senato, aveva valutato le risposte dell'ex Ministro Bodrato in termini non positivi; ebbene, io constato invece che oggi quelle indicazioni sono esattamente sulla stessa lunghezza d'onda dell'accordo raggiunto.
Il ragionamento che veniva fatto verteva sostanzialmente su questi punti: da una parte la crisi dell'auto, che non è soltanto una crisi del nostro Paese, ma sta attraversando tutta la Comunità economica europea in una fase di radicale trasformazione; dall'altra si constatava purtroppo un peggioramento della situazione della nostra maggiore azienda produttrice automobilistica, la Fiat appunto, con la perdita di quote di mercato sia all'interno che all'esterno del nostro Paese.
Si constatava inoltre una strategia Fiat che andava più verso una ricerca dell'equilibrio economico-finanziario che verso una difesa delle quote di mercato. La chiusura dello stabilimento di Chivasso veniva letta come un recupero di produttività, senza preoccuparsi di quello che si lasciava sul territorio.
Ed è proprio su questo che noi concentriamo le nostre maggiori attenzioni; chiediamo come Provincia di Torino che la Regione Piemonte individui un progetto preciso di quello che vuol fare sul territorio del Comune di Chivasso, quali sono le iniziative che vuole portare , avanti rispetto a quello che sta capitando non soltanto purtroppo - lo ripeto ancora - nel Chivassese, ma in tutta la Provincia di Torino, in particolare il Canavese, ma se andiamo dall'altra parte constatiamo che anche il Pinerolese sta vivendo momenti altrettanto drammatici.
Non a caso, la stessa Comunità economica europea, con qualche anno di anticipo, ha individuato l'intero territorio della Provincia di Torino esclusa la città, come area di declino industriale. Questo è un segnale di minor attenzione che le istituzioni nazionali e locali hanno avuto nei confronti di questo territorio; addirittura arriviamo un attimo dopo rispetto a quello che invece la Comunità aveva individuato prima.
Da questo punto di vista, non può che esserci un progetto preciso da parte della Regione di che cosa vuole fare sul territorio provinciale e soprattutto in quelle aree che stanno pagando più di altre il declino industriale già in atto, come ricordava il Presidente Brizio nella sua relazione; non è solo un rischio, nella Provincia di Torino è già in corso.
La risposta, dunque, non può che essere quella di ricostruire un tessuto produttivo, prima di ogni altra iniziativa; la Regione deve avere un progetto mirato per la zona e non già invece, su questo fronte proseguire come purtroppo sta facendo o, in qualche modo, ha fatto fino a poco tempo fa, autorizzando alcuni insediamenti che con la produzione quindi con l'occupazione, hanno poco a che vedere. Mi riferisco, Presidente Brizio e Assessore Garino, agli insediamenti o agli ampliamenti di discariche, agli ipotizzati insediamenti di inceneritori sul nostro territorio.
La città di Chivasso, l'intero territorio del Chivassese ha bisogno di un progetto che definisca che cosa deve arrivare in termini di produzione ripetiamo quindi anche qui, in questo Consiglio regionale aperto, le indicazioni già date in altre occasioni. Devono essere individuate non soltanto quelle realtà produttive sulle quali la Fiat insieme alle Organizzazioni Sindacali sta ragionando per riattivare attività produttive nell'area Fiat, ma devono anche essere tenute in evidenza quelle alternative che la stessa città di Chivasso e la Provincia hanno già proposto; ad esempio, quella di ampliare aree per la produzione per far sì che sul territorio del Comune di Chivasso e del Chivassese in genere vengano attivati quegli incubatori con aree attrezzate, con servizi all'impresa e vengano finalmente realizzati anche nel nostro territorio provinciale alcuni parchi tecnologici, in modo da attivare tutta una serie di altri meccanismi che portano con sé attività produttive.
Come si può attuare? Già è stato individuato lo strumento, che è quello dell'accordo di programma, che chiama in causa da una parte la Regione, la Provincia, i Comuni del Chivassese, ma che non può non chiamare in causa anche i Ministeri competenti. Sono presenti stamane - e li ringraziamo alcuni Ministri e alcuni sottosegretari; a loro in particolare ci rivolgiamo per far sì che gli strumenti che lo stesso ex Ministro dell'Industria indicava (il Regolamento CEE n. 2052, la legge 317 e la legge 46), vengano intanto rifinanziati, si crei o si individui una questione Chivasso, una questione Provincia di Torino e si intensifichino i finanziamenti affinché gli obiettivi che indicavamo in premessa vengano realizzati.



PRESIDENTE

Prende adesso la parola l'on. Libertini.



LIBERTINI Lucio, Senatore Rifondazione comunista

Parlo come Consigliere comunale di Chivasso, ma anche come Presidente dei senatori comunisti. Esprimo quindi l'opinione dei parlamentari comunisti della Regione, che sono sei, dei Consiglieri provinciali e comunali di questa Regione. Sono preoccupato dell'andamento di questa riunione, lo dico molto francamente. Guai se essa si concludesse, come spesso è accaduto, con una passerella che non ha sbocchi: noi questo non potremmo accettarlo. Quindi non farò analisi, perché ad esempio Sabattini ha fatto un'analisi in cui mi riconosco. Non credo sia necessario aggiungere parola a parola.
Partiamo dall'accordo sindacale che è stato raggiunto a Chivasso che è un accordo che non critichiamo, assumiamo, ma che certo non copre l'area dei problemi, vediamo i problemi che abbiamo davanti. Il primo problema cari amici, drammatico - sono qui oggi presenti alcuni rappresentanti - è quello dei 500 lavoratori, donne e uomini, degli appalti mensa e pulizia.
Questi non hanno cassa integrazione, il 17 luglio vanno a spasso. Già cominciano ad arrivare i licenziamenti, questo va impedito. Sabattini nella sua relazione ha detto che dobbiamo assumere un impegno preciso che vada incontro anche alla richiesta dei sindacati. La soluzione può esservi basta che questi non si considerino figli di nessuno. Se si fa un polo tecnologico, si fa anche un servizio mensa; si assumono e c'è la cassa integrazione. Questa è una strada. Ci possono essere fenomeni di mobilità verso il pubblico impiego, lo si fa per altri, lo si può fare anche per loro, non è che se si è dipendenti dell'Olivetti si ha un privilegio rispetto ad uno che è dipendente di una piccola azienda. Insomma, noi chiediamo che oggi si decida di dar corso ad azioni esecutive perché il 17 luglio queste 500 persone non siano sul lastrico, disperate. Questa è la prima questione che poniamo.
Seconda questione: nell'accordo sindacale ci sono delle cose importanti ché riguardano il processo di rientro dei lavoratori in produzione e la possibilità di attivare iniziative industriali nell'area di Chivasso: D'accordo, però devo dire ad Annibaldi che non gli credo, esattamente come non credevo prima quando per tre volte, in tre sedi diverse, la FIAT mi ha detto che non avrebbe chiuso Chivasso. La FIAT è inaffidabile perché ha mentito già tre volte, ora ha stipulato un accordo, bisogna per garantirlo. E' necessario vigilare su quell'accordo perché sia realizzato si è parlato di 3.200.000 vetture di cui 2.200.000 in Italia, ma se queste cifre sono sbagliate, quando arriva Melfi non solo non c'è riassorbimento ma entrano addirittura in crisi Mirafiori e Rivalta. Questo è un punto che non possiamo affidare alle buone speranze. Bisogna che ci sia un impegno di sorveglianza e di vigilanza passo passo non lasciando solo i sindacati a garantire l'accordo che hanno firmato. Terza questione: non credo affatto che le iniziative produttive nell'area di Chivasso siano sufficienti; c'è un problema del Comune per quanto riguarda l'area industriale e il Piano Regolatore, e c'è un problema della Regione su come attivare le iniziative industriali. Si è parlato di un accordo di programma, mi sta bene, ma questo richiede che il problema sia seguito passo passo.
Voglio quindi proporre, ed è il motivo per cui sono intervenuto, che sono dell'avviso che oggi - c'è anche il Governo, ma rappresenta la controparte - si stabilisca un patto tra il Consiglio regionale del Piemonte, il Consiglio provinciale, le Amministrazioni comunali interessate e i parlamentari per seguire insieme questa vicenda.
Il Comune di Chivasso credo che annuncerà oggi un'iniziativa positiva l'incontro con i lavoratori e con le aziende della mensa a Chivasso perch bisogna pure dare un punto di raccolta, altrimenti c'è la frammentazione e la disperazione. Lascerò Alla presidenza - devo purtroppo rientrare a Roma a causa di alcuni decreti al Senato, però ci sono qui gli altri rappresentanti della delegazione del mio Partito, il Consigliere Chiezzi ad esempio - un documento che non è inteso come ordine del giorno, ma come documento che vorrei fosse sottoscritto, naturalmente può essere modificato. E' un impegno che non può riguardare i sindacati che sono un soggetto diverso e autonomo, siamo anche noi controparte rispetto ai sindacati, ma riguarda gli eletti, i Consiglieri regionali, i parlamentari i Consiglieri provinciali e comunali.
Voglio concludere il mio intervento dando lettura di questo documento che lascio con l'intesa che, naturalmente, siamo disposti a cambiarne i contenuti, ma sarebbe assai importante se oggi si finisse questa seduta del Consiglio regionale aperta annunciando che vi è questa intesa che viene sottoscritta liberamente e che ognuno fa valere nelle sedi di sua competenza. Annuncio che per la nostra parte lo faremo valere, perché al Senato è già iscritta all'o.d.g. la mozione sulla FIAT che abbiamo presentato. So che altri partiti come il PDS hanno presentato mozioni analoghe e la mozione significa che il Senato dovrà non solo discutere, ma votare e in quella mozione ci sono alcune delle cose che sono presenti in questo ordine del giorno.
"I Consiglieri regionali, provinciali e comunali, e i parlamentari convenuti a Palazzo Lascaris in Torino il 7 luglio 1992, dopo avere esaminato la vicenda dalla Lancia di Chivasso, i processi di ristrutturazione del Gruppo FIAT e la crisi industriale della Regione assumono concordemente i seguenti orientamenti: 1) la crisi industriale, che colpisce oggi severamente l'occupazione e mette a rischio la struttura produttiva del Piemonte, deve essere affrontata dallo Stato e dalla Regione con una politica incisiva di conversione e riorganizzazione produttiva, che insieme accresca la competitività dell'industria regionale, garantisca i livelli di occupazione, salvaguardi e promuova l'ambiente (qui può essere inserita la proposta del Presidente della Giunta regionale Brizio sull'accordo di programma) 2) i trasferimenti finanziari dallo Stato alle imprese devono essere coordinati e finalizzati a questi scopi con una logica di programmazione".
Qui voglio toccare un punto molto preciso: si parla dell'insufficiente intervento dello Stato, io sono per avere un censimento - perch l'intervento dello Stato è rappresentato anche dai finanziamenti ricevuti via breve sia dalla FIAT che dall'Olivetti - globale di queste risorse, si veda se sono inadeguate, ci batteremo in Parlamento per adeguarle, ma allora devono essere usati in una logica di programmazione, non da ogni impresa per i fatti propri. Sono soldi dello Stato, nel momento in cui la FIAT costruisce lo stabilimento di Melfi pagato per 4/5 dallo Stato è un'impresa privata fino a un certo punto; è un'impresa privata per metà pubblica perché ha un socio che è quello che ha costruito lo stabilimento col suo danaro. Quindi vogliamo, questo sarebbe il punto, che la Regione promuova questo censimento delle risorse trasferite globalmente in Piemonte. Poi vedremo se sono trasferite in modo giusto, se deve essere cambiato il modo di allocazione o devono essere integrati, e questo sostanzia l'accordo di programma.
"2) 1 processi di ristrutturazione del Gruppo FIAT, in particolare nel settore auto, devono garantire il mantenimento complessivo dei livelli occupazionali e non ridurre l'impegno del Gruppo nelle attività produttive regionali. Gli investimenti del Gruppo FIAT nel Mezzogiorno sostenuti, come accade, dall'intervento pubblico, devono avere un carattere aggiuntivo e non ridursi ad un trasferimento di attività produttive dal Nord al Sud (questo è lo spirito dell'accordo sindacale e io propongo che gli eletti lo assumano) 3) è compito della Regione (ma è incarico di tutti) controllare che il riassorbimento dei lavoratori della Lancia che andranno in cassa integrazione, impiegati ed operai, e lo sviluppo di attività produttive nell'area di Chivasso vadano a buon fine secondo i contenuti dell'accordo tra FIAT e sindacati. La Regione Piemonte opererà in tal senso con gli strumenti e le risorse disponibili (ma tutti noi dobbiamo manifestare l'impegno ad operare nelle proprie sedi perché questo avvenga) 4) è necessario garantire l'occupazione e il salario dei lavoratori degli appalti sino ad oggi occupati alla Lancia di Chivasso. Ciò può essere fatto introducendo ammortizzatori sociali che, nelle forme più diverse parifichino i lavoratori degli appalti ai lavoratori metalmeccanici in cassa integrazione con processi di mobilità verso il pubblico impiego utilizzandoli diversamente nell'ambito del settore delle mense e della pulizia".
Questo è un impegno che dobbiamo tutti quanti assumere: i 500 lavoratori in quel caso, ma so che si aprirà un problema più generale delle mense a Torino, comunque intanto questi 500 devono essere garantiti e gli Enti pubblici, i parlamentari, gli eletti, devono agire perché si trovino gli strumenti opportuni.
"5)1 parlamentari piemontesi hanno il mandato di agire sul terreno legislativo perché sia garantito il diritto alla pensione nella sua integrità ai lavoratori delle aziende in crisi 6) viene costituito - se ne era già parlato nell'assemblea che si tenne a Chivasso con la Regione e i Sindacati - un Comitato di crisi che abbia la presenza della Regione, della Provincia, dei Comuni interessati e dei parlamentari (naturalmente non tutti, uno per Gruppo), il quale abbia il compito di seguire l'andamento della crisi e dei processi di ristrutturazione cercando di garantire il rispetto dei criteri sopraindicati".
Abbiamo bisogno di un momento di coordinamento e di unificazione. Basta uscire da questo palazzo per vedere la disperazione di aziende che si stanno squagliando, di lavoratori che non hanno - come si dice - né padre né madre; per capire che la Regione, gli Enti locali, i parlamentari, hanno il dovere di costituire un punto di riferimento nel corretto dialogo con le OO.SS, che li rappresentano e in un rapporto - Ministro Costa e Ministro Pagani - serio con il Governo, che spero venga in Parlamento a rispondere sulle mozioni e accetti di votare degli impegni che non siano fatti solo di parole.



PRESIDENTE

La parola al Sindaco di Chivasso, Bruno Ardito.



ARDITO Bruno, Sindaco di Chivasso

Ringrazio il Presidente del Consiglio regionale per aver dato al Comune di Chivasso da me qui rappresentato, peraltro con una vasta rappresentanza della Giunta comunale (sono presenti con me il Vicesindaco, l'Assessore al bilancio e alla programmazione, l'Assessore al lavoro), l'occasione di esprimere alcune considerazioni che non toccheranno gli aspetti di analisi globale del problema della recessione, della deindustrializzazione della Regione Piemonte, ma molto più semplicemente il problema che più mi sta a cuore, cioè quello di Chivasso e del Chivassese, ma in particolare del Comune di cui sono a capo dell'Amministrazione.
Parto subito da una questione che a me pare fondamentale laddove ha chiuso il senatore Libertini, che tra l'altro è Consigliere comunale di Chivasso, appellandomi anch'io agli organi regionali, ai parlamentari, al Governo che è qui rappresentato, affinché ci sia, fin da subito, un occhio di attenzione per questi lavoratori che sono verosimilmente i più deboli in questa situazione, che sono i dipendenti delle mense, dei servizi di pulizia e dei servizi annessi che non sono in numero minimale, ma rilevante.
Cosa oggettivamente si possa fare è difficile immaginarlo, ma è necessario ché si agisca tutti insieme e il Comune di Chivasso, allo scopo di raggiungere, l'obiettivo di salvaguardare il posto di lavoro, ha fatto le opportune rivendicazioni nelle sedi dovute, tenendo sempre congiunti i problemi. Voglio qui ricordare al Consiglio regionale del Piemonte che il 12 giugno scorso in una partecipata manifestazione nell'ambito di una serrata di protesta per quanto stava avvenendo alla Lancia ho visto in piazza delle persone che piangevano. Non vorrei che una parte di queste grazie all'apporto del sindacato, avesse risolto il proprio problema con l'accordo Fiat e che altri restassero invece nella disperazione più profonda. Vorrei che in questa fase tutti ponessimo attenzione ad un dovere morale di egualità nella situazione drammatica che sta vivendo la città.
Io non sono né pessimista né ottimista, bensì estremamente realista rispetto a quanto sta accadendo a Chivasso. Non è questione di pessimismo ma di prospettiva. Apprezzo l'accordo che è stato raggiunto da parte dei sindacati; è un accordo coraggioso che forse solamente le relazioni sindacali e industriali di 10 o 12 anni fa non avrebbero permesso, perché è stata assunta una responsabilità enorme nell'ambito di questo accordo, ma sta poi a tutti noi congiuntamente darne applicazione, altrimenti rischiamo o rischiano i lavoratori di aver solo rimandato un loro problema, quello della chiusura dello stabilimento di Chivasso che ormai, purtroppo lo devo registrare come Sindaco (non avrei mai voluto sancire questo atto di morte dello stabilimento), può essere solo ribaltato nel tempo creando forse problemi ancora maggiori.
Non sono né pessimista né ottimista, però voglio vedere dentro le cose! Non basta che mi si dica che verranno a Chivasso 10 aziende, va benissimo ma vogliamo vedere il contenuto di queste aziende, cosa portano sul nostro territorio: se reale occupazione o se invece di occupazione non ce n'è più di tanta. Questo è il problema su cui ci dovremo confrontare e su cui chiederei una volta tanto, mi sia consentito, un richiamo alla Fiat di giocare a carte scoperte, perché effettivamente veniamo da una brutta esperienza. Ci hanno ingannati! L'ho detto e lo ribadisco! Sono anche convinto però che dalle ceneri di una disfatta possa sorgere qualcosa di nuovo, ma per fare questo bisogna essere onesti, essere corretti, direi essere anche veggenti nella politica del futuro. Ecco allora che chiedo non una legge speciale per Chivasso perché mi parrebbe non possibile, anche se siamo in una situazione drammatica, ci sono mille città che forse vivono la nostra stessa situazione, ma quanto meno una corsia preferenziale, un occhio di attenzione per quanto occorre alla città di Chivasso, un coordinamento continuo tra l'amministrazione, la Provincia la Regione Piemonte, per dar corso a tutte quelle iniziative che oggi ci possono far rinascere dopo questa che io definisco catastrofe dal punto di vista occupazionale, perché checché se ne dica è comunque un depauperamento in termini economici prima di tutto, ma anche morali, perché si sa benissimo che quando le persone non hanno più l'incentivo del lavoro forse talvolta senza 'forse'- si dedicano ad altre attività che non sempre sono edificanti.
Costruiamo insieme questo, però per farlo noi abbiamo bisogno di uno stretto collegamento con la Regione Piemonte la quale non può agire per corpi singoli astratti. Io ringrazio il prodigarsi dell'Assessore al lavoro Cerchio, che in questo periodo ha fatto molto, ma la reindustrializzazione passa attraverso una serie di cose: passa ad esempio attraverso il nuovo piano regolatore che stiamo impostando e quindi è cointeressato l'Assessorato all'urbanistica; passa attraverso una formazione che non pu più essere quella della scuola di formazione che abbiamo sul territorio oggi; passa attraverso tutta una serie di attività e di interventi che devono essere di per sé coordinati.
Infine, nell'ambito di questa programmazione regionale, chiederei una visione di insieme alla Regione Piemonte. Noi siamo anche disposti a far sacrifici, io non sono così negativo nel dire no a tutto, perché a forza di dire no a tutto forse non otteniamo più nulla di buono sul nostro territorio. Sono pronto a valutare con gli strumenti dovuti cosa sul nostro territorio può avvenire, però non può chiederci la Regione Piemonte di installare sul nostro territorio 4 o 5 interventi che siano tutti finalizzati solo al settore ecologia in senso lato, perché si tratta di smaltimento di rifiuti tossici nocivi, ampliamento della centrale ENEL.
inceneritore, discarica - forse - della Servizi Industriali, che ha già un'opzione sui terreni. Quindi, in termini di estrema correttezza e di franchezza, sediamoci attorno ad un tavolo, vediamo quale sacrificio pu fare Chivasso per la collettività e per se stessa, ma altrettanto dateci una parola definitiva sulla programmazione del nostro territorio. Non potete chiederci disgiuntamente, da quattro o cinque enti diversi l'intervento sul nostro territorio.
Concludo nel fare un accorato appello, dopo questa giornata che ritengo significativa e che si aggiunge a molte altre, affinché il Comune di Chivasso non esca da questa sala e si senta di nuovo solo, chiedo un aiuto per il bene della nostra città, per poter rifiorire e dare a Chivasso quella capacità che ha sempre avuto, quell'iniziativa insita nei chivassesi stessi che significa un rilancio nell'ambito dell'economia. Oggi purtroppo, cessando l'attività della Lancia, vivremo anni difficili, ma se riusciremo a cogliere le prospettive saremo in grado sicuramente di avere un avvenire forse un po' lungo negli anni, ma sicuramente migliore.



PRESIDENTE

La parola all'on. Larizza del PDS.



LARIZZA Rocco, onorevole PDS

Ringrazio il Presidente per averci invitato anche come parlamentari per un dibattito che forse poteva sembrare solo una questione da affrontare a livello locale. Invece proprio la discussione di questa mattina dimostra che abbiamo bisogno di un impegno straordinario, nazionale del Governo e del Parlamento per affrontare le questioni che riguardano lo stato dell'industria torinese e piemontese.
Vorrei partire da una considerazione che credo sia d'obbligo, dopo una lotta come quella che si è svolta a Chivasso, dopo l'impegno straordinario delle lavoratrici e dei lavoratori in questa fabbrica. La considerazione è questa: si sono dette tante cose in questi anni sugli accordi sindacali, mi è capitato spesso di essere molto critico e di prendere posizioni e distanze dal modo di gestire le vicende del lavoro da parte del sindacato.
Devo dire che dopo molti anni ho apprezzato il modo con il quale è stata condotta la lotta, la conclusione dell'accordo, il metodo utilizzato dai sindacati nel dare la parola ai lavoratori affinché potessero esprimersi sulle questioni che direttamente li riguardano; quindi un ritorno ad un metodo democratico nei rapporti tra sindacato e lavoratori che spero sia (inizio di un nuovo metodo che può rafforzare i sindacati e dare un grande contributo anche al Paese.
Do un giudizio positivo, ma non ignoro le difficoltà di applicazione di questo accordo. Esiste, prima di tutto, la questione delle lavoratrici e dei lavoratori delle mense, dei servizi, come è già stato ricordato, che non rientrano nell'accordo e ritengo che dobbiamo chiederci se qualche provvedimento (lo chiedo soprattutto ai Ministri presenti, lo chiedo perch non so se si può fare) diretto del Governo non possa almeno garantire nell'immediatezza la copertura della cassa integrazione anche per questi lavoratori.
La seconda questione che pongo è se, dato che si parla di insediamenti produttivi nell'area di Chivasso, non possa essere previsto il rientro in quelle attività, anche come servizi di una parte di queste lavoratrici e lavoratori. Questo, per non restare sulle questioni generiche.
Voglio aggiungere che si parla di aziende che dovrebbero prendere il posto delle vecchie lavorazioni. Quali sono queste aziende? Sono aziende aggiuntive, oppure si apriranno nella Provincia di Torino problemi di aziende che chiudono da una parte e si trasferiscono in un'altra? In tal caso che fine fanno i lavoratori delle aziende interessate? In sostanza voglio dire che l'accordo è un buon accordo, ma va completato e soprattutto tutti dobbiamo lavorare perché sia applicato.
Negli anni possono cambiare tante cose, abbiamo sentito il dott. Annibaldi dire che fino al 1994/95 si era ipotizzata la continuità produttiva della Lancia di Chivasso. Siamo nel 1992, ma cosa succederà alla fine del'92 nel'93 e nel'94 non siamo in grado di saperlo neppure per gli altri stabilimenti FIAT; quindi non è detto che ciò che è scritto nell'accordo si attuerà per i lavoratori Lancia. Dunque, è importante quello che saremo in grado di fare.
Voglio aggiungere che non possiamo caricare solo sulle spalle del sincacato e dei lavoratori della Lancia il peso di una crisi che investe per questo si parla di deindustrializzazione - i settori produttivi più importanti del Piemonte e moltissime aziende. Per questo motivo non possiamo risolvere le questioni azienda per azienda o settore per settore ed è quindi importante che questa assemblea ci serva almeno per fare il punto su una situazione generale. Quando si parla di deindustrializzazione credo ci siano giustamente delle preoccupazioni, perché chi conosce le fabbriche di Torino e del Piemonte sa che lentamente stanno morendo molte attività produttive.
Aggiungo ancora che potremmo trovarci a settembre con molte fabbriche che, pur non avendolo annunciato, terranno i cancelli chiusi ed i lavoratori non sanno ancora quale fine faranno; non voglio essere un pessimista, ma sono cose che negli anni scorsi abbiamo già visto e che quest'anno potremmo vedere in modo più consistente. Quindi un'attenzione del Consiglio regionale, del Governo e di tutti noi è importante. Mi dispiace che i dirigenti della FIAT abbiano dovuto assentarsi, ma vorrei dire loro con molta franchezza che in questi anni non hanno brillato per trasparenza; i dirigenti della FIAT in questi anni non hanno detto la verità. Qualcuno diceva, mentre parlava il dott. Annibaldi, che hanno mentito anche al Papa. Tutti ricordiamo la visita del Papa allo stabilimento di Chivasso che non era certo, dal punto di vista tecnologico tra i più arretrati d'Italia; mentire al Papa è forse anche peccato mortale, ma soprattutto è grave se i dirigenti della FIAT sapevano quale sarebbe stata la fine della Lancia e non ne hanno parlato prima.
Non è credibile quanto affermano i dirigenti Fiat neanche per il futuro della FIAT di Rivalta e di Mirafiori. Vorrei che si incominciasse a discutere ora di cosa si vuole fare del settore dell'auto e delle aziende insediate a Torino ed in Piemonte. Dobbiamo discutere di cosa si vuole fare per lo sviluppo di questo Paese e del settore dell'auto e questa non è materia da delegare solo ai dirigenti della FIAT.
Tutti conoscono i dati del mercato nazionale; dal 61% del mercato nazionale coperto dalla FIAT nel 1986, siamo passati, ai primi mesi del 1992, a meno del 45%. Questo dato lo ricordo perché ho sentito in qualche dibattito, anche da parte dell'Assessore Cerchio, mettere l'accento sulla crisi internazionale del settore dell'auto. Non nego l'esistenza di questa crisi e di queste difficoltà; dico però che oltre alla crisi internazionale c'è anche una crisi specifica, strutturale della FIAT che per troppi anni è stata negata e noi oggi invece sappiamo essere profonda. Sappiamo che i ritardi sono gravi nell'organizzazione produttiva e del lavoro, sappiamo che ci sono ritardi gravi dal punto di vista anche della ricerca e degli investimenti e non credo che basti buttare sul piatto migliaia di miliardi per dire che abbiamo la garanzia che il settore dell'auto italiano sarà competitivo, perché non è chiaro in che direzione questi miliardi saranno spesi, se si farà la scelta davvero produttiva e soprattutto se ci sarà l'innovazione del prodotto che è la vera causa della crisi della FIAT.
Voglio ancora aggiungere - e ci sarebbero molte cose da dire dopo l'intervento del dott. Annibaldi - che non si trova manodopera per entrare dentro la Fiat. Lo sa l'opinione pubblica come si lavora dentro la Fiat? Quanto si guadagna? E qual è il richiamo e la motivazione per cui un giovane di 20 anni deve passare la sua vita dentro quegli stabilimenti? Si è fatto di tutto in questi 10 anni per svalorizzare il lavoro, per emarginarlo, e oggi si pensa che i giovani entusiasti dovrebbero accettare questa condizione.
Bisogna essere coscienti che si sono fatti dei guasti morali nella cultura della gente quando il lavoro è stato colpito nel corso di questi anni, e bisogna essere coscienti di quali diritti sono stati negati proprio dentro gli stabilimenti della Fiat.
Siamo all'inizio dell'attività del Parlamento e nel programma del Governo non ho visto tracce di preoccupazione vera sulla crisi industriale del Paese. Sono rimasto colpito nei mesi scorsi da un'analisi acuta e profonda che aveva fatto il prof. Prodi, che condivido. Non si capisce perché queste analisi, che non sono fatte da bolscevichi, non siano in grado di essere assunte dalle forze di governo per farsi carico dei problemi reali del Paese. Quindi, credo che dobbiamo soprattutto guardare i problemi che ci sono all'interno della nostra Regione e affrontarli con serietà.
Voglio aggiungere che ci sono state delle polemiche sulla questione di Melfi. Non voglio sfuggire a tale questione; la Lancia ha chiuso senza che Menfi fosse in funzione. Lo stabilimento di Menfi forse non è aggiuntivo e a questo proposito siamo di fronte ad un'altra menzogna dei dirigenti Fiat che avevano annunciato l'obiettivo di 3 milioni di auto all'anno.
Per questo la discussione con la Fiat si dovrebbe fare per intero in questa sede e il Governo dovrebbe avere il coraggio di chiamare i dirigenti Fiat a dare conto dell'uso che hanno fatto delle risorse pubbliche, delle risorse date dallo Stato e delle risorse costruite con una intensificazione della produttività degli operai e dei lavoratori di quella fabbrica.
Un'azienda può andare in crisi perché c'è stata tanta conflittualità tanto assenteismo, ma in questi anni dentro la Fiat si può dire di tutto: c'è stato più lavoro, salari bassi e c'è stato poco assenteismo. A quei lavoratori non si può chiedere di più.
Se lo Stato si deve fare carico dei problemi della Fiat, se dobbiamo tutti convergere e cercare di dare una mano, dobbiamo parlare di accordi di programma. Se altre risorse devono essere spese mi chiedo - e lo dico per la parte che rappresento - se questi dirigenti siano credibili e se possiamo affidare solo a loro le risorse pubbliche.
Quindi, qui si apre una questione che riguarda l'azione del Parlamento la nuova legislazione da fare per la democrazia economica, per le nuove relazioni industriali e per forzare anche la ripresa democratica dentro le fabbriche, affinché i lavoratori possano eleggere le loro rappresentanze: Credo che per ognuno di noi, per ogni rappresentanza qui dentro ci siano dei compiti precisi; il Parlamento può legiferare, queste proposte sono già state presentate da diversi Gruppi. Se vogliamo dare un contributo vero alla soluzione dei problemi dell'industria e del lavoro, bisogna che ognuno faccia fino in fondo la propria parte.



PRESIDENTE

La parola al Sottosegretario al bilancio, onorevole Bonsignore.



BONSIGNORE Vito, Sottosegretario al bilancio (DC)

Grazie Presidente. Intervengo molto brevemente per sottolineare l'adesione mia, come parlamentare piemontese, all'iniziativa. Oggi discutiamo prevalentemente dell'accordo Lancia, ma credo che questa sia una occasione per fare una riflessione più complessiva- come si sta tentando di fare da parte di qualcuno - su quella che è la situazione dell'industria nella nostra Regione.
Che la nostra industria nazionale, e quella piemontese in particolare avesse punti di debolezza lo sapevamo da qualche tempo, non è una cosa venuta fuori negli ultimi giorni. Direi che negli ultimi mesi queste debolezze sono venute a conoscenza dei più; si è presa coscienza di questa situazione, ma alcuni di noi, attenti ai problemi dell'economia e dell'industria in particolare, li avevano già sotto gli occhi da almeno un paio d'anni.
Qualcuno questa mattina ha detto, che l'obiettivo è di avere un'industria nazionale competitiva; non c'è dubbio. Abbiamo il dovere di aggiungere che vogliamo un'industria competitiva nazionale, ma anche piemontese, perché in questa Regione viviamo, lavoriamo e in questa Regione vogliamo continuare a vivere e a lavorare, noi e anche i nostri figli.
Immagino il futuro di questa Regione fortemente legato all'industria non riesco ad immaginare un'attività economica importante all'infuori dell'industria, così come non riesco ad immaginare un Piemonte europeo senza una grande industria, grande per la sua qualità, oltre che per le sue dimensioni.
Non sono d'accordo con chi ha detto che il problema occupazionale poi si risolve. Non credo che i problemi occupazionali vadano risolti con le statistiche anagrafiche. Queste sono importanti, ma le dobbiamo gestire oggi e non sperare che domani, nascendo meno bambini o mandando in pensione la gente, risolviamo automaticamente i problemi. Oggi di problemi ne abbiamo molti, gli indici non sono belli in tutti i settori, l'occupazione diminuisce, le industrie, le attività e le imprese diminuiscono; il saldo è negativo da qualche anno, così come le attività commerciali e la popolazione di Torino. La popolazione di Torino diminuisce in modo impressionante, circa 2 mila abitanti al mese negli ultimi 11 anni.
L'effetto di tale diminuzione si sente sulle attività commerciali, sulle libere professioni, sugli artigiani; è una città che si avvia lentamente verso un declino al quale dobbiamo porre un argine.
Dobbiamo chiederci quale sia il nostro compito. Il compito di ognuno è quello di portare il proprio contributo affinché la situazione venga affrontata e, in qualche modo, risolta. Certo dobbiamo creare le condizioni perché l'industria possa svilupparsi, quindi un sistema economico, un sistema sociale in grado di attrarre investimenti, in grado di tenere qui investimenti. Quindi, quando parliamo delle grandi Università, del grande Politecnico, bisogna avere in mente il mondo, non bisogna avere davanti la concorrenza con qualche altra piccola sede universitaria del nostro Paese ma il mondo intero, per fare in modo che le nostre scuole universitarie siano di richiamo ai cervelli importanti, per insegnare ai nostri ragazzi a diventare uomini di primo piano in questo grande villaggio che è diventato il mondo.
Allora diventano terreni di scontro concreti, di confronto e di scontro se è necessario sul come, dove e perché fare un grande Politecnico e una grande Università. Non si può avere come obiettivo quello d'iniziare i lavori dell'Università nel 2001; non ci interessa.
Bisogna avere una Regione attrezzata con tutti i servizi a rete e non a rete, ma consapevoli che oggi dobbiamo creare le condizioni per avere un bilancio energetico quanto meno in pareggio. Una Regione come la nostra che non ha un bilancio energetico in pareggio è una Regione debole. Dobbiamo avere un sistema per lo smaltimento dei rifiuti; non è pensabile che le nostre aziende soffrano oggi di un handicap così importante; così come dobbiamo avere una formazione professionale tale che non ricarichi sulle aziende costi aggiuntivi per portare i nostri ragazzi al livello professionale utile alla produzione.
Questi sono compiti ai quali dobbiamo dare con urgenza una risposta positiva con il nostro impegno. Avevo immaginato qualche tempo fa uno strumento, peraltro non nuovissimo in quanto già utilizzato in qualche parte del nostro Paese, che è l'accordo di programma. Ne abbiamo parlato in più occasioni ed è stato proposto da me e da altri sul finire dell'anno scorso; se n'era parlato con il Presidente del Consiglio Andreotti e poi le elezioni ne hanno fermato il processo. Questo processo va ripreso e sono lieto di aver sentito nella relazione del Presidente Brizio riprendere tale ipotesi; anche da parte di altri in qualche documento presentato si richiama l'accordo di programma. Lo strumento giuridicamente previsto è l'accordo di programma. Ne ho accennato l'altro giorno con il nuovo Ministro del Lavoro Cristofori che è sicuramente favorevole. Credo che anche con i colleghi di Governo - tra l'altro colleghi molto più autorevoli, non solo ma anche per la posizione di primo piano che occupano questo problema deve essere portato avanti.
L'accordo di programma deve vedere intorno a un tavolo tutti i soggetti interessati (gli Enti locali, la Regione, le forze economiche - insisto sempre: le grandi banche torinesi che vedo sempre molto assenti - la Finpiemonte, l'industria pubblica e privata, il Governo con i vari Ministeri interessati) a sottoscrivere un programma per Torino e il Piemonte che punti essenzialmente sul rilancio dell'industria e che divida i compiti fra tutti i soggetti che partecipano a questo progetto.
Credo che oggi si sia diffusa la convinzione che questo è lo strumento operativo che noi dobbiamo avere per risolvere i nostri problemi all'interno del quale ognuno assume le proprie responsabilità, ognuno dichiara il proprio gioco, ognuno mette i propri numeri a confronto con quelli degli altri. Se Chivasso chiude un anno prima o un anno dopo è un discorso che si può vedere; se Rivalta rimane o non rimane è un discorso che si può vedere; se il Politecnico si può raddoppiare o non si pu raddoppiare è un discorso che si può vedere coinvolgendo, per esempio anche il Ministero di Grazia e Giustizia per sapere se si possono sbaraccare o meno le ex-carceri Le Nuove.
Noi possiamo avere tutti i desideri che vogliamo. Possiamo anche pensare di fare una grande cattedrale di qualunque genere in Piazza Castello, ma dobbiamo sapere se buttiamo giù Palazzo Madama. Voglio dire che ognuno di noi, ogni soggetto, ogni ente può fare il suo progetto: ma se questo non è correlato con i desideri e i progetti degli altri, alla fine rimangono tante belle chiacchiere e tanti bei progetti sulla carta.
Termino quindi ringraziando per (invito e sottolineando l'importanza di questa riunione, dando la mia disponibilità a lavorare con tutti i colleghi di tutti i Partiti al fine di poter contribuire a risolvere i problemi che ci sono stati posti davanti e che conosciamo bene, augurandomi che questo processo, per portare tutti i soggetti interessati intorno a un tavolo per sottoscrivere un accordo di programma, sia avviato rapidamente.



PRESIDENTE

La parola all'onorevole Matteja della Lega Nord.



MATTEJA Bruno, deputato Lega Nord

Grazie, signor Presidente.
Stiamo affrontando qui un gravissimo problema che, come tutti sappiamo è quello dell'occupazione e della deindustrializzazione del Piemonte.
Negli interventi che mi hanno preceduto ho sentito tante e tante parole. Di una cosa, però, prendo atto. Prendo atto che quello che alcuni Gruppi, i Gruppi autonomisti, dicevano qualche anno fa, finalmente lo sentiamo risuonare in questa stanza in modo netto. Quello che dicevamo alcuni anni fa (che il Piemonte era dimenticato, ci stavano dissanguando e spolpando), finalmente tutte le forze politiche ne stanno prendendo atto.
Un piccolo risultato l'abbiamo raggiunto.
Un piccolo risultato, purtroppo amaro perché ormai i buoi sono scappati quasi tutti completamente dalle nostre stalle.
Forse saremmo ancora in tempo. Saremmo ancora in tempo se esistesse la volontà politica di fare qualcosa; purtroppo, però, è esistita la volontà politica, partita qualche anno fa, di distruggere la nostra economia l'economia del nostro Piemonte, che ha dei livelli occupazionali tra i più elevati d'Italia. Nell'ambito del Piemonte vi sono delle aree, come il Canavese, dove ormai si è veramente al disastro completo.
E' esistita una volontà politica per distruggere la nostra economia, ma non esiste - occorre prenderne atto - una volontà politica per agire in modo netto e deciso per creare una inversione di tendenza. Questo è quanto occorre rilevare.
Nella relazione programmatica del Presidente del Consiglio l'argomento occupazione è stato toccato solo in modo marginale. Questa è la grave realtà! Quando i parlamentari della Lega Nord hanno chiesto, non appena Giorgio Napolitano si era insediato, una riunione d'urgenza della Camera questa richiesta non è stata affatto considerata. Quindi, fintanto che non esisterà questa volontà politica, noi potremo solo piangere sul latte versato. Le nostre fabbriche continueranno a chiudere: questa è la realtà! Si parla di 200.000 lavoratori che perderanno il posto di lavoro nell'arco di tre anni, dal 1990 al 1993. Queste sono fonti attendibili. Quindi, la situazione è gravissima. Sentire un intervento come quello del dott.
Annibaldi è terrificante! Consiglio a questo signore di fare il politico: non ha detto niente! Questa è un'altra realtà. Quando sentiamo dire che prendiamo atto che la disoccupazione va aumentando perché nelle strade aumentano i cortei di disoccupati, mi si raggela il sangue! Il problema disoccupazione parte da molto in là.
Qui non abbiamo ancora affrontato quello, che è il punto chiave del problema: il costo del lavoro. Le nostre aziende chiudono perché il costo del lavoro è elevatissimo. I nostri prodotti non sono più competitivi! Quindi, se noi non andiamo ad agire lì, possiamo riversare in questa sala e in tutte le sale del mondo, fiumi di parole, però non risolveremo affatto il problema. Occorre assolutamente dare un netto taglio al costo del lavoro. L'Italia è un Paese di trasformazione. Sul costo delle materie prime, su cui possiamo fare molto poco, ma sul costo del lavoro possiamo agire. Noi abbiamo dei salari bassissimi e dei costi di lavoro elevatissimi, quindi occorre levare dalle "grinfie" dello Stato quegli oneri sociali che distruggono la nostra economia. Questo è ciò che va fatto. Ma a breve termine! Occorre la volontà di tutti per raggiungere questo obiettivo.
Per quanto riguarda l'accordo Lancia, esso rientra in questo contesto generale. L'accordo Lancia a mio avviso è un grosso bluff! Prima di tutto non credo che questo accordo regga. E' un pezzo di carta che, come tanti altri fatti in passato, sposta il problema di un paio d'anni.
Però, come viene risolto? Viene risolto, ancora una volta, con il solito sistema che vengono riversate, a carico dello Stato, migliaia di persone. Si parla di cassa integrazione, di prepensionamenti e cose di questo tipo. Quindi, fintanto che risolviamo in questo modo il problema occupazionale, non lo risolveremo mai perché questi sono costi che vanno a riversarsi ancora su chi lavora.
Questi sono discorsi che non possono essere accettati a tappeto. L'ha fatto l'Olivetti con i prepensionamenti e continuano a farlo, però la piccola-media impresa, che è la spina dorsale della nostra economia, a questo punto chiuderà irrimediabilmente.
Quindi, per il problema Lancia occorreva agire in altro modo. Occorreva inchiodare il signor Agnelli e il signor Romiti al tavolo delle trattative in un altro modo. Occorreva che le linee di produzione non venissero spostate nel Sud, a Melfi. Lo stabilimento del Sud, che è stato fatto con i nostri soldi e con i soldi di tutti i lavoratori, poteva essere utilizzato per fare conserva, pomodori pelati o qualche altra cosa! Le linee di produzione dovevano assolutamente rimanere nelle nostre aree! Questo è quanto assolutamente doveva essere fatto, ma qui ancora una volta è mancata la volontà politica di inchiodare attorno al tavolo delle trattative Agnelli e andare in questa direzione.
E' stato fatto un accordo e fra qualche tempo vedremo come andrà a finire: questi lavoratori rientreranno in quel grosso pacchetto di disoccupati che ci troveremo per le strade fra non molto. Cosa è necessario fare immediatamente? Portare avanti delle leggi, magari piccole ma significative, che vadano a bloccare i licenziamenti con fiscalizzazione degli oneri sociali e favorire - parlo sempre della piccola e media impresa la nascita delle imprese. A questo punto non posso accettare che si dica: "Occorre che i piemontesi si rimbocchino le maniche": i piemontesi l'hanno sempre fatto e sono in grado di farlo tuttora! Non si può sentir parlare di "spirito imprenditoriale più vivo, meno timoroso", perché chi è che ha il coraggio oggi di mettere su una piccola impresa con tutti gli oneri, i balzelli e la burocrazia che impediscono di lavorare? In attesa che arrivino le grandi riforme, necessitano immediatamente leggi particolari che vadano a rifavorire la piccola e media impresa, in modo da ricreare occupazione; questo è ciò che va fatto, ma immediatamente unendo tutte le forze, non ci sono alternative. Questo, in parte, andrebbe a riassorbire tutte quelle persone licenziate nei grossi gruppi.
Occorre poi assolutamente bloccare o cambiare certe leggi, ad esempio la L. 64 che ha stanziato 120.000 miliardi in 8 anni, di cui solo il 3-4 destinato ad investimenti produttivi. Sono leggi suicide, che vanno ad ammazzare non solo l'economia piemontese, ma tutta l'Italia. Questa è la realtà! E' necessario bloccare tutto questo. Rivolgo un appello ai Ministri presenti, che sono dei "nostri": occorre reagire con determinazione, perch rischiamo grosso tutti; quando avremo 200.000 e più disoccupati per le strade, considerando anche la ricaduta su tutte le attività di servizio che cosa faremo? Il problema Lancia è grave, ma è solo uno dei tanti; occorre bloccare leggi demenziali e farne immediatamente altre che non permettano più ad Agnelli, a De Benedetti e a tutti gli altri, di rubare, di prendere soldi allo Stato (soldi nostri) e fare sporchi giochi finanziari! Sì sa che Agnelli prossimamente andrà a rifinanziare la Ford New Holland con 600 milioni di dollari; in sostanza succede che Agnelli sta aprendo fabbriche in Algeria, a scapito nostro! Allora chiudo con un monito: attenzione, la Lega Nord, cioè la gente, i lavoratori, non è più disponibile ad accettare cose di questo tipo.



PRESIDENTE

La parola al Ministro Pagani.



PAGANI Maurizio, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni

Non credo di essere autorizzato di poter trarre delle conclusioni per due motivi, e penso che il collega Costa sia d'accordo con me: primo perché non siamo i Ministri con competenza specifica nei settori oggetto della discussione; secondo, perché il Governo Amato, come ben sapete, ha un programma che si sta formando, che sarà collegiale, alla formazione del quale saranno estremamente importanti i contributi venuti dal dibattito di stamane.
Il dibattito è stato molto sereno, molto approfondito ed ha messo in evidenza in tutte le sue connotazioni quello che è il caso Piemonte, che non può certamente essere confuso o risolto dal caso Chivasso. Per quanto riguarda quest'ultimo, abbiamo appreso nei giorni scorsi dai giornali e abbiamo sentito ripetere questa mattina la conclusione della trattativa, la quale ha riscosso l'assenso di tutti, nella quale speriamo e per la quale nutriamo però ancora qualche timore, essendo questa risoluzione subordinata a previsioni di mercato che tutti ci auguriamo possano verificarsi.
Questa mattina sono state fatte delle affermazioni importanti; in particolare ritengo di dover sottolineare quanto ha detto il dott.
Annibaldi, che credo fosse responsabile di quanto sosteneva. Egli ha affermato che Melfi non sarà un elemento sostitutivo, ma aggiuntivo (era un grosso timore, questo): un elemento aggiuntivo destinato a completare e dare maggiore stabilità alla competitività dell'azienda FIAT nel suo complesso. Riteniamo quindi che si debba partire da Chivasso, che indubbiamente rappresenta una soluzione estremamente interessante importante e può essere un nuovo modello di intervento nelle riconversioni e nelle crisi industriali; per affrontare il caso Piemonte, che mi sembra sia stato evidenziato in tutti gli interventi.
Vorrei ricordare alcuni dati citati nella relazione iniziale, molto esauriente, del Presidente Brizio. La Regione Piemonte ha avuto un aumento del prodotto interno lordo del solo 0,5%, inferiore quindi agli incrementi di programmazione nazionale, ed ha avuto una diminuzione di produzione industriale del 2,1%.
Forse non ci si è soffermati su un dato a mio avviso preoccupante: certo, il tasso di disoccupazione del 7,2% è inferiore al tasso medio di disoccupazione nazionale che è dell'11%, però non possiamo dimenticare che questo 11% nazionale nasce da un 20% nel Meridione e da valori molto più bassi nel Nord; quindi, raffrontato alle percentuali di disoccupazione di altre Regioni del Nord, il 7,2% del Piemonte è un dato preoccupante, così come estremamente preoccupanti sono i 10.000 casi di mobilità, di cui il 63% femminili e il 67% di coloro con età superiore ai 40 anni, e tutti sappiamo quali siano le difficoltà di assorbimento di tali categorie di lavoratori che spesso, purtroppo, non sono dotati di un tipo di specializzazione che può facilitarne l'inserimento.
Ci sono quindi dei dati che lasciano ben individuare le connotazioni di questo caso Piemonte, un caso che nasce anche dal fatto - qui già sottolineato - che spesso il Piemonte è stato lasciato troppo solo. Spesso al Piemonte si è chiesto di dare sangue a favore di altre Regioni certamente più bisognose, ma partendo da un'affermazione apodittica secondo la quale il Piemonte aveva in sé le risorse per far fronte ai suoi problemi e risolverli e poter dare anche ad altri. Purtroppo questa affermazione ritenuta per tanto tempo vera, mostra, attraverso i dati che ho voluto citare, che vera del tutto non è, e allora oggi abbiamo il caso Olivetti il caso Pirelli, il caso FIAT, il caso Ferrero, avremo la crisi dell'agricoltura.
Questi casi non sono localizzati; Torino rappresenta certamente uno dei momenti più acuti di questa crisi, ma vorrei ricordare che i nomi che a volo d'uccello ho citato si riferiscono sia a Torino che alla gravissima crisi presente nel Canavese, si riferiscono a Biella, a Cuneo e anche a Novara, quindi è tutto il Piemonte che viene investito da questa crisi ed è tutto il Piemonte che, nel suo insieme, deve reagire.
Orbene, nel dibattito di questa mattina mi pare che si siano evidenziati due filoni: un filone abbastanza ottimista, rappresentato dagli interventi ad esempio dei rappresentanti della grande industria (non quello del rappresentante dell'API), e un filone invece più pessimista. Giocando sulle parole si è detto che non si tratta di deindustrializzazione, come sostengono i più pessimisti, si tratta invece di reindustrializzazione come sostengono i più ottimisti.
Io credo che siano due interpretazioni ai poli opposti; mi riconosco di più nella visione preoccupata ma equilibrata emersa dalla relazione del Presidente Brizio.
Riteniamo quindi che vi siano spazi per il recupero industriale in Piemonte come in Italia, a condizione che si facciano alcune cose, a condizione che non si affronti la crisi verso la quale stiamo andando con gli stessi criteri con cui si è affrontata la crisi industriale degli anni '80, perché rispetto agli anni '80 - anche allora fu una crisi molto preoccupante - oggi abbiamo delle condizioni molto diverse, di cui non possiamo non tener conto.
Il materasso degli ammortizzatori sociali ha rotto le molle e non possiamo più usarlo; la cassa integrazione non è più un assegno vitalizio ma è un assegno con una ben precisa data di scadenza. Quindi non possiamo più far conto su questi ammortizzatori sociali, che spesso sono serviti non a risolvere le crisi, ma soltanto a coprirle quando non a renderle più gravi.
Dobbiamo fare i conti con i costi eccessivi del lavoro che noi abbiamo rispetto agli altri Paesi d'Europa; dobbiamo fare i conti con servizi carenti e troppo costosi e dobbiamo fare i conti con la mancanza di infrastrutture. Queste sono condizioni oggettive che rendono diversa la crisi che stiamo per affrontare; e allora bisogna agire sui campi delle strutture, così come si propone di fare il Governo Amato, così come il Presidente Amato ha sottolineato particolarmente nella sua replica sul voto di fiducia.
E in questo quadro lo Stato non può più agire da solo; lo Stato deve agire con le Regioni. Anche questo è un impegno importante del Governo, ma è presente il Ministro Costa, che penso ne parlerà più diffusamente e con maggiore competenza di quanto possa fare io.
Ormai il discorso sulle Regioni deve essere affrontato; vi è in tutti la consapevolezza della necessità di non affrontare più questo discorso di sinergia con le Regioni in termini esclusivamente retorici o quanto meno solo in termini istituzionali.
Il discorso delle Regioni va aperto e va approfondito in termini effettivi: non possiamo più lasciare le Regioni in mezzo al guado. Diceva il Presidente Amato - e io condivido - che abbiamo creato dei mostri che hanno delle braccia con dei moncherini al posto delle mani; hanno la testa ma non hanno le gambe per camminare. Quindi noi dobbiamo trasformare i mostri che abbiamo creato - il termine mostro non è assolutamente dispregiativo per le Regioni, anzi - mostri che abbiamo creato dal centro riappropriandoci di quelle competenze che erano state date.
Nella scorsa legislatura ho presieduto la Commissione Ambiente e ho fatto una battaglia durata cinque anni, proprio perché in un settore delicato come quello ambientale la spinta centralistica è stata fortissima sostenendo ad esempio che le Regioni non avevano le capacità.
Le Regioni devono essere messe alla prova; forse il Governo dovrà agire con i poteri sostitutivi, però deve dare le competenze e i mezzi per funzionare.
E allora, in questo settore è importantissimo che la sinergia Governo Stato-Regioni sia portata avanti con lealtà e possa dare i frutti.
Credo che su queste basi possa essere affrontato e perseguito quello che è lo strumento principe - che mi pare sia emerso stamane dalle considerazioni di tutti - per agire in questo settore di rilancio: l'accordo di programma; accordo di programma richiamato dal Presidente Brizio e da altri interventi per affrontare la questione piemontese, che deve essere posta in termini globali di questione piemontese. Ciò, non per affrontarla - nessuno lo pensa - in termini assistenzialistici, sia ben chiaro, ma per affrontarla in termini realistici, in termini di rilancio del Piemonte, il quale ha una potenzialità che è stata forse troppo sfruttata, ma che può essere ripotenziata.
In questo quadro, oltre ad un impegno che certamente assumo come Ministro piemontese insieme al collega Costa e agli altri colleghi che non hanno potuto intervenire - in particolare il Ministro Reviglio mi ha pregato di portare le sue scuse, ma penso che tutti possano capire che impegnato com'è nella manovra economica che probabilmente entro la settimana dovremo va rare, non può allontanarsi da Roma - penso di poter assumere, a nome di tutti i colleghi, l'impegno di affrontare, in termini di governo, la questione piemontese.
Come parte specifica, poiché nel settore di competenza del mio Ministero vi è quello delle telecomunicazioni - e legate alle telecomunicazioni vi sono le componenti a fibra ottica che trovano insediamenti rilevanti proprio in Piemonte - assumo l'impegno di dedicarmi con particolare attenzione a questi problemi.
Vorrei solo fare riferimento ad un problema specifico, che non rientra nei grandi temi, ma che ha una rilevanza umana, e tante volte le grandi questioni debbono essere viste nell'ottica della persona singola, del dramma individuale del lavoratore che si trova senza lavoro.
E' emersa la questione delle mense, cioè dei lavoratori delle mense che non hanno ammortizzatori sociali e forse non ne possono godere. Io vorrei portare un modesto contributo, ripreso peraltro da un'idea del senatore Libertini. Penso possa essere formato un consorzio, già ora, a cui possono essere chiamate a partecipare - forse anche la stessa Regione, ma non voglio spingermi così in là - certamente le imprese che sono insediate o che si insedieranno, in modo tale che la costituzione di questo consorzio possa permettere quanto meno di attuare quelle forme di previdenza, quegli ammortizzatori appunto, che potranno far superare a questo servizio un momento di transizione che li vedrebbe, completamente scoperti, senza nessun tipo di sussidio, per poi riprendere a svolgere un servizio utile e che potrà certamente svilupparsi nell'ambito del nuovo insediamento tecnologico e della nuova strutturazione del polo.



PRESIDENTE

Ringrazio il Ministro Pagani, soprattutto per la seconda parte molto propositiva del suo intervento e per l'attenzione e l'evidenziazione del caso Piemonte.
Conclude la prima parte dei nostri lavori il Ministro per le Regioni onorevole Costa, a cui diamo molto volentieri la parola questa mattina nel nostro Consiglio regionale.



COSTA Raffaele, Ministro per le Regioni

Per la verità non si tratta di un intervento ma di una dichiarazione e come tale, vorrei venisse presa dall'assemblea. Per quel che riguarda la sostanza mi richiamo non soltanto a molte delle cose dette in questa sede ma anche alle conclusioni che sono state fatte poc'anzi dal collega Pagani.
Concordo con la richiesta emersa nel corso del dibattito di una più forte operatività sia a livello nazionale sia a livello regionale volta ad arrestare la crisi industriale che sta colpendo il Piemonte, favorendo successivamente la ripresa. Ma concordare non basta. Sarà compito prioritario del Dipartimento delle Politiche comunitarie e delle Regioni del nuovo Governo attivare le proprie energie affinché tutte le risorse economiche assegnate o da assegnarsi al Piemonte da parte della Comunità o da parte dello Stato, sulla base di regolamenti e di norme vigenti, vengano impegnate nella loro integralità ed interezza e soprattutto con la necessaria e doverosa tempestività e con il rispetto dei tempi di legge tutto questo affinché ogni tipo di intervento possa venire utilizzato come investimento per superare la crisi produttiva ed occupazionale della nostra Regione.
Fornirò entro il mese di luglio, a titolo di contributo, il quadro degli interventi pubblici di provenienza CEE o statale assegnati e non ancora assegnati cui la nostra Regione ha diritto, affinché si possano verificare tipi ed entità delle sovvenzioni, eventuali interventi equilibri e scompensi, omissioni o lacune. Ciò non per censurare alcuno, ma soprattutto per censire come è stato chiesto, sapere, conoscere e, se del caso, cambiare insieme o proporre di cambiare come è stato anche richiesto in quest'aula.
Ciascuno di noi ha le proprie idee circa l'intervento pubblico nell'economia: non è questo il momento di discuterne. Quando però c'è l'intervento pubblico dobbiamo insieme sapere subito come e se è stato ripartito, se è stato speso nel settore dell'economia aziendale; in particolare, il pubblico danaro, sia quello di derivazione europea che di derivazione nazionale. Queste poche cose volevo dire ed impegnarmi a fare.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 13.25, riprende alle ore 14.30)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
La parola al Presidente del Comitato di coordinamento delle Confederazioni Artigiane del Piemonte, Bajardi.



BAJARDI Sante, Presidente regionale CNA

Ringrazio il Presidente del Consiglio regionale per l'invito che ha fatto alle Confederazioni artigiane di essere presenti in questo dibattito.
Siamo una struttura economica rilevante nel nostro Piemonte: rappresentiamo 130.000 imprese; occupiamo circa 300.000 dipendenti e quindi siamo un settore rappresentativo dell'economia piemontese.
Nel dibattito di questa mattina e nelle stesse decisioni del Consiglio regionale sono state richiamate allo Stato maggiori competenze dal punto di vista delle deleghe su partite di ordine economico-industriale che riguardano le Regioni complessivamente. Esiste una deliberazione del Consiglio regionale in tal senso e devo qui, con amarezza, richiamare il fatto che proprio sulla materia su cui ci sono deleghe e competenze precise da parte della Regione, cioè l'artigianato, abbiamo le maggiori disattenzioni da parte dell'Ente Regione su questi problemi. Richiamo l'attenzione su questo aspetto perché una struttura così rappresentativa dell'economia piemontese non può più essere trascurata, ma si devono trovare percorsi, strade ed obiettivi attraverso i quali, avviando politiche congeniali rispetto a questo settore, si possano operare dei passi in avanti e fare uscire le nostre imprese dalla situazione di crisi che attraversano.
Il caso oggetto di discussione in questo Consiglio regionale aperto perché è su questo che voglio basare il mio intervento, a nome del Comitato di coordinamento CNA Piemonte, relativo "alla chiusura dello stabilimento Lancia di Chivasso", viene ad assumere, dopo la firma dell'accordo stipulato tra la FIAT e le OO.SS, dei lavoratori, una luce del tutto nuova rispetto al momento in cui il Comitato di coordinamento unitario delle Confederazioni artigiane del Piemonte che ho l'onore di presiedere, aveva iniziato a sviluppare le sue prime valutazioni e proposte inerenti a tale vicenda.
Avevamo immediatamente evidenziato che la decisione di chiudere lo stabilimento Lancia di Chivasso rappresentava un ulteriore passo verso la deindustrializzazione dell'area torinese e del Piemonte, con un nuovo calo dei livelli occupazionali e l'aggravarsi delle prospettive per le centinaia di piccole imprese e di aziende artigiane collegate direttamente o indirettamente all'attività produttiva dello stabilimento.
Se si fosse determinata la scelta preannunciata dalla FIAT si sarebbe ulteriormente sviluppato quel clima di incertezza più generale che in questi mesi vivono le 7.000 imprese della subfornitura piemontese, a fronte di un progressivo indebolimento del tessuto produttivo, all'assenza di progetti istituzionali di politica industriale e alle scarse risorse finanziarie per ristrutturarsi. Partendo da tali presupposti, riteniamo che la gestione dell'accordo rispetto alle novità che rappresenta, deve vedere coinvolta una pluralità di soggetti: le istituzioni, in primo luogo la Regione, le associazioni di categoria e le OO.SS, dei lavoratori. In tal senso, deve essere visto il ruolo della Commissione mista la quale dovrà gestire la reindustrializzazione dell'area di Chivasso.
Se, come ha dichiarato il Responsabile organizzativo della FIAT Auto dott. Magnabosco, "si è aperta una nuova strada", a nostro avviso, con nuovi metodi, questa dovrà essere percorsa fino in fondo. La trasformazione del vecchio stabilimento in una nuova area tecnologica-industriale dovrebbe inizialmente configurarsi quale polo logistico per gli stabilimenti FIAT del nord, con la presenza di aziende che, in particolare forniranno componenti a Mirafiori e Rivalta, nella logica del "just-in time". Questa operazione di ricollocazione alla quale saranno interessate molte aziende dell'indotto, non può vedere quali unici soggetti promotori in grado di sviluppare la necessaria assistenza, la sola Fiat e l'Unione Industriale.
Il caso Chivasso può rappresentare la prima occasione per realizzare un intervento che vedendo la Regione sviluppare un ruolo più incisivo, teso a riqualificare la minore impresa - tramite la concertazione con la Fiat porti alla definizione di un programma che valorizzi il potenziale tecnologico e umano presente in quell'area.
Tale azione dovrebbe inserirsi in quel più vasto programma teso a riqualificare il tessuto dell'artigianato manifatturiero e della minore impresa, che richiede un'azione determinante da parte degli imprenditori collettivi (associazioni imprenditoriali, organizzazioni professionali sistema camerale), oltre che dell'operatore pubblico, nel predisporre un'adeguata struttura connettiva di indirizzo e di servizi, capace di produrre una maggiore diffusione dell'innovazione tecnologica ed organizzativa.
Un'azione fortemente caratterizzata da metodi concertativi, diventa essenziale per rispondere al declino industriale che sta investendo la nostra Regione. Non possono essere esenti, da tale contesto, gli investimenti che la Fiat prevede di attivare nei prossimi dieci anni nella nostra Regione. 122.375 miliardi, suddivisi tra investimenti sul prodotto pari a 10.250 miliardi - e investimenti sui processi impianti - pari a 12.125 miliardi - dovranno a nostro avviso produrre un'ampia fertilizzazione sul tessuto produttivo piemontese.
Occorre dare una risposta all'interrogativo oggi presente, per cui non sempre le vaste risorse impiegate in ricerca e sviluppo danno necessariamente luogo a risultati concreti. A Torino ed in Piemonte è oggi dislocato, tra grandi, medie e piccole unità produttive, un potenziale tecnologico che, se pur molto specializzato e collocato in attività non sempre di frontiera, rappresenta comunque una dotazione notevole, anche nel confronto con i punti di eccellenza della tecnologia meccanica mondiale.
Questa risorsa, se inquadrata all'interno di un processo di forte radicamento territoriale, pu rappresentare un legame possibile fra diverse realtà imprenditoriali per affrontare il tema della "qualità totale". E' l'opzione territoriale che può far venir meno una critica all'ipotesi di comunità di valori e di interessi, sviluppata da coloro che intendono muoversi all'interno della logica impresa-mercato.
Il progetto di reindustrializzazione dell'area di Chivasso pu configurarsi quale esperimento per la realizzazione della qualità totale e dei necessari nuovi rapporti fra l'impresa, i suoi fornitori e i distributori. L'Amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti affrontando il tema della qualità ha affermato: "Si tratta di passare da un rapporto di contrattualità, talvolta di conflittualità, ad un rapporto di collaborazione attiva fondata sullo scambio aperto di informazioni, nel riconoscimento degli obiettivi di qualità come obiettivi comuni, anzich quali requisiti da definire in contraddittorio e sull'individuazione dell'interesse comune in un contesto di reciproca fiducia". Partendo da queste considerazioni, riteniamo possibile l'avvio di relazioni improntate sul rispetto reciproco, sulla partecipazione anche delle minori imprese alle decisioni e discussioni, le quali devono svilupparsi in un clima di trasparenza informativa per raggiungere obiettivi più avanzati sul terreno della qualità. Non possono essere perseguite strade basate sull'imposizione, le quali si configurano con la paura di ritorsioni, o la speranza di futura protezione.
Se con l'accordo si è quindi data una risposta certa per quel che riguarda il problema occupazionale (elemento positivo che se non risolto avrebbe inciso negativamente anche su quell'artigianato di servizio legato alla potenzialità e capacità di consumo delle famiglie), rimane ancora aperta, e a nostro avviso da definire compiutamente, la fase di reinsediamento produttivo.
Un compito fondamentale, quindi, così come prima richiamato, dovrà essere svolto dalla Regione, la quale dovrà organizzare le sinergie attualmente presenti, attivando tutti gli strumenti necessari per creare condizioni finanziarie, di mercato e produttive che consentano l'insediamento di piccole realtà produttive in quelle parti di contenitori che saranno dismessi dalla Fiat.
A tal fine, pensiamo si possa fare riferimento ai finanziamenti previsti dal Regolamento CEE n. 2052 del 1989, relativamente al biennio 1992-1993, in quanto Chivasso è compresa tra le aree di deindustrializzazione. Parimenti, riteniamo che possa essere utilizzata la Legge n. 317/91, per quel che attiene ai finanziamenti a consorzi o società miste, che intervengono per il recupero di contenitori industriali inutilizzati, attraverso anche la necessaria individuazione dei distretti industriali da parte della Regione.
Mi auguro che queste osservazioni vengano accolte dalla Regione e ringrazio compiutamente.



PORCELLANA FRANCESCO



PRESIDENTE

Ha ora la parola il Segretario regionale del PRI, ing. Gandolfi.



GANDOLFI Aldo, Segretario regionale PRI

Signor Presidente, questo Consiglio regionale aperto immagino che sia stato pensato in una fase nella quale si poteva ritenere che il dibattito potesse anche essere un'occasione di riflessione tra i momenti istituzionali e le parti sociali ai fini della soluzione del problema di Chivasso. Oggi ci troviamo con un accordo concluso tra le parti che ci sembra positivo e che con le integrazioni sollecitate questa mattina dal sindaco dì Chivasso e dal senatore Libertini possono dare, forse un'adeguata speranza all'area di Chivasso. Quindi questa ci sembra piuttosto un'occasione di riflessione tra le istituzioni, le forze politiche e le forze sociali sulla situazione del Piemonte. In questo senso il PRI si rivolge innanzitutto alla Giunta e al suo Presidente Brizio. Una Giunta di cui fa parte un rappresentante del PRI, una Giunta che in questo momento particolare del Piemonte ha un grosso ruolo da giocare.
Noi lo avevamo detto già qualche mese fa, come sempre accusati di catastrofismo, ma avevamo alla fine dello scorso anno sottolineato che occorreva un ruolo diverso, più attivo dell'ente regionale. I fatti poi ci hanno dato ragione. Ho sentito questa mattina il dottor Annibaldi esporre dati che secondo lui dovrebbero suffragare un atteggiamento più ottimistico. A nostro avviso è un po' strano rifarsi al peso percentuale del valore aggiunto industriale rispetto al valore aggiunto degli altri comparti; valuteremo questi dati, ma non ci sorprende che il settore industriale in termini reali dia più o meno al valore aggiunto del Piemonte lo stesso apporto che dava 10, 15 o 20 anni fa, anche se siamo sicuri che se disponessimo dei dati non del 198788, ma del 1991 e del primo semestre del 1992, le valutazioni anche con questo parametro sarebbero diverse. Ma non c'è dubbio, e lo ha dimostrato la Fondazione Agnelli recentemente, che se prendessimo altri parametri (numero totale di addetti nel settore industriale, valore aggiunto globale, cioè valore assoluto) e li confrontassimo con quelli di altre Regioni italiane o di altre Regioni forti europee, registreremmo un obiettivo impoverimento del potenziale complessivo del Piemonte.
Dobbiamo dire che in Piemonte è andato in crisi un modello di sviluppo quello che ha costituito la fortuna del Piemonte per molti decenni, basata sull'iniziativa e il ruolo trainante di un sistema formato fondamentalmente da grandi industrie e dagli indotti relativi, e che oggi siamo nel pieno di questa crisi per le ragioni che sono state descritte: internazionali interne, la crisi del sistema Italia, la situazione delle tecnologie mature su un mercato internazionale dove c'è una competizione intensissima. Dato di fatto è che le Regioni di più recente industrializzazione e con strutture molto più diversificate ed articolate dal punto di vista produttivo oggi hanno assorbito la crisi interna ed internazionale molto meglio e sono in condizioni di concorrenzialità e di sviluppo relativo migliori di quelle del Piemonte.
Il Piemonte in effetti si sta deindustrializzando in termini assoluti e soprattutto in termini relativi rispetto alle altre Regioni del sistema padano. Quindi c'è il problema del Piemonte, che sta diventando l'area debole del Nord, che presuppone un problema di capacità di direzione politica e strategica della comunità regionale. Tutti dobbiamo fare critiche ed autocritiche profonde sugli anni passati, di relativo ottimismo, di adagiamento nello statu quo. Oggi ci vogliono delle innovazioni, dei progetti di carattere infrastrutturale, in primo luogo che consentano al Piemonte di sfruttare a fondo i vantaggi strategici della Regione (ce ne sono ancora molti da far valere) e che migliorino sensibilmente l'atttrattività del Piemonte nel sistema nazionale ed internazionale, se si vuole evitare che la nostra Regione vada inevitabilmente incontro ad un destino di declino completo ed inarrestabile del proprio potenziale tecnologico.
Queste cose le abbiamo dette e sostenute già da parecchi mesi a questa parte; ci ha fatto piacere registrare in questi giorni un documento della DC, che non abbiamo ancora potuto valutare, ma che ci sembra risponda a quel tipo di sollecitazione. Ci auguriamo che tutte le forze di governo della Regione Piemonte su queste questioni si confrontino seriamente e sia possibile esprimere nuovamente un ruolo di indirizzo e di lavoro della Regione.
Questa mattina qualcuno ha accennato che gli accordi di programma previsti dalla legge 142 possono essere la strada istituzionale corretta per obbligare anche il Governo nazionale ed il Parlamento a discutere in concreto di alcune cose fondamentali per la nostra Regione e per consentire al Piemonte di togliersi da questa situazione. Nel concreto il Capogruppo del mio Partito dirà qualcosa di più preciso, il Gruppo repubblicano farà delle proposte articolate.
Ci auguriamo che complessivamente il dibattito politico in tempi non lunghi consenta alla Regione Piemonte di aprire una iniziativa concreta verso i vertici nazionali dello Stato. Devo dire che, da questo punto di vista, l'intervento del Ministro Costa, credo fatto a nome del Governo, è stato deludente. A noi non basta avere un censimento dei fondi che sono destinati o destinabili al Piemonte. Occorre che il Governo nazionale prenda coscienza che all'interno del sistema economico e produttivo italiano il problema piemontese è grosso e che il problema del rilancio dell'economia piemontese e del sistema tecnologico che esiste in Piemonte e delle potenzialità che il Piemonte può ancora esprimere, è un problema nazionale.
Da questo punto di vista, ci auguriamo ben altri contributi. E' fondamentale, però, anche un'altra cosa: c'è un problema che aleggia e di cui si sussurra, si mormora, ma non si ha il coraggio di affrontare per quello che è, cioè il problema degli aiuti straordinari al Mezzogiorno. In una situazione che per noi è critica, in cui non c'è ancora una nuova realtà imprenditoriale che si esprima e cresca in Piemonte, la vecchia realtà imprenditoriale dei grandi Gruppi (FIAT, Olivetti, nel comparto tessile il Gruppo Finanziario Tessile, nell'industria alimentare la Ferrero, cioè le grandi realtà produttive del Piemonte) ha grosse difficoltà a competere sul mercato internazionale.
La continua sollecitazione che è venuta dagli organi di Governo nazionale alle grandi imprese a trasferire attività nel Mezzogiorno d'Italia, è stato un elemento che ha obiettivamente aggravato la situazione del Piemonte e che continua ad aggravarla. E' inutile nasconderci queste cose, checché ne dicano la FIAT, o i sindacati, qualsiasi persona di buon senso era in grado di capire che l'ipotesi di fare uno stabilimento di prodotti automobilistici a Melfi avrebbe comportato, in una situazione a quote di mercato costanti ed a produttività di lavorazione crescente, la necessità di chiudere comparti di lavorazioni dell'industria automobilistica nel Nord. Ma non è solo questo il problema. Tutte le grandi aziende del nord Italia, ma quelle piemontesi in particolare, perché il grosso della grande industria è in Piemonte, sono continuamente sollecitate, ogni volta che si discute di progetti nazionali e di quadri di riferimento nazionale, a trasferire attività non solo di produzione, ma anche di progettazione e di ricerca nel Mezzogiorno.
Ancora oggi ci risulta che FIAT e Olivetti stanno assumendo gente nelle aree del Mezzogiorno e questo è un fenomeno che periodicamente si ripete ogni qualvolta FIAT, Olivetti o altre aziende del genere sono chiamate a discutere di progetti e di coordinamenti di progetti a livello nazionale.
Questo deve finire! Lo sviluppo nel Mezzogiorno non può essere fatto di trasferimenti di lavorazioni in periodo di medio-lungo termine non sono un reale arricchimento della struttura produttiva del Sud. Il Mezzogiorno deve essere industrializzato attraverso aiuti alle capacità imprenditoriali del Sud che ci sono e che devono avere la ulteriore sviluppo, ma non si pu procedere in una direzione che si risolva con un impoverimento netto della struttura non solo produttiva, ma di progettazione e di sviluppo tecnologico del Nord. Queste cose gli enti pubblici del Piemonte devono cominciare a dirle con estrema decisione, cioè non ci può più essere un atteggiamento pavido o neutrale di fronte a queste sollecitazioni.
Dobbiamo sottolineare la nostra convinzione e chiedere al Presidente della Giunta regionale e ai responsabili degli altri Enti piemontesi di assumere comportamenti conseguenti.



PRESIDENTE

Ha ora la parola la senatrice Pina Grassi.



MAISANO GRASSI Pina, senatrice Verdi

Sono senatrice dei Verdi, mi chiamo Pina Maisano Grassi. Come Verde vorrei dare un taglio un po' diverso al problema di Chivasso. Quello che preoccupa noi Verdi è il constatare come nessuno tenga presenti i limiti della crescita. Ogni cosa, ogni processo industriale o comunque di sviluppo ha un limite oltre il quale bisogna pensare più alla manutenzione che non alla ulteriore crescita.
Quando abbiamo partecipato al dibattito in Senato abbiamo presentato un progetto, anche se molto teorico, agganciato comunque a dati reali.
Riteniamo che un ottimo investimento e un'ottima maniera per dare lavoro ai dipendenti della Fiat in esubero - perché di questo brutalmente si tratta - sarebbe quello di riconvertire le industrie, che non possono più continuare a produrre macchine all'infinito, in impianti di manutenzione e di riciclaggio. L'operazione della manutenzione, d'altro canto auspicata da più parti, è stata accennata nella replica del Presidente Amato alle osservazioni fatte al suo progetto di Governo.
Inoltre si potrebbe prevedere il riciclo del materiale sia liquido che solido delle macchine fuori uso.
Questo progetto non è nuovo, ma è già stato attuato alla BMW e sappiamo che anche la Fiat a livello di studio e di sperimentazione ha un programma di riciclo. Quindi, ci chiediamo perché non sfruttare questa occasione per impiantare proprio un'azienda, un'industria che sarebbe in grado di assorbire tutta la manodopera che è in via di licenziamento.
Se si fa un calcolo si può vedere come le aziende "sfasciacarrozze" che sono a livello molto improvvisato e non danno alcuna garanzia ai lavoratori, occupano in Italia 20.000 persone. Tutti gli altri progetti di cui ho sentito parlare per l'area di Chivasso sono utopistici.
Pensare che nell'area di Chivasso si possano ospitare delle iniziative di piccole industrie dell'indotto, mi sembra una presa in giro; se si costruiscono meno automobili perché si pensa che l'indotto dovrebbe aumentare e che nell'area di Chivasso dovrebbe aver sede un polo logistico un insediamento terminale delle attività del Nord? Per esempio si è parlato di insediamenti di servizi alla Fiera di Milano.
A parte la nostra preoccupazione per la creazione di autostrade o alte velocità o di chissà quali altre grandiose opere pubbliche, che in seguito ad un insediamento siffatto si dovrebbero prevedere, c'è da pensare ch sono degli impianti che avrebbero bisogno di parecchi anni per la loro attuazione e quindi non risolverebbero a breve termine il problema dei lavoratori di Chivasso in cassa integrazione o in prepensionamento.
Quello di Melfi è un insediamento voluto non dalla gente del Meridione perché ricordiamoci che questo insediamento sorge in oltre 300 ettari nei quali vi erano ottime colture irrigue, e soltanto uno Stato miope, che non fa delle previsioni a lungo termine, può pensare di distruggere una ricchezza per creare al suo posto una ricchezza senza dubbio maggiore, ma a termine.
Se è vero che l'insediamento di Melfi occuperà 7.500 persone per 5 anni, come si legge nelle previsioni, bisogna tenere presente che tra 5 anni avremo il problema di 7.500 persone in cassa integrazione o in prepensionamento. Voglio a questo proposito dare una breve risposta alla Lega e ai politici della Lega, che continuano a rivendicare la bravura della gente del Nord contro l'inefficienza della gente del Sud.
Ricordiamoci che la Fiat è cresciuta con i lavoratori del Sud; ricordiamoci che è stato un esempio quasi di colonialismo. Per carità, la gente del Sud ha trovato lavoro nella Fiat, ma quest'ultima ha trovato delle braccia che si sono sobbarcate condizioni di vita certamente non appetibili nei primi anni. Al Sud non c'era lavoro mentre al Nord sì: questo non è stato per colpa del Sud, ma è un fatto geografico e lo sappiamo tutti quanti.
Sappiamo tutti quanti che le posizioni geografiche sono molto importanti per determinare lo sviluppo di un Paese, soprattutto quando non si prevedono e non si attivano i mezzi di comunicazione e le strutture necessarie a far crescere le Regioni meno privilegiate da questo punto di vista; quando si distruggono le ricchezze che potrebbero essere sfruttate per lungo tempo in loco e si pensa di trasformare la cultura e le fonti di lavoro con dei modelli totalmente alieni dal posto in cui sono portati, e non si prevede che le condizioni di lavoro siano le stesse.
Le condizioni di lavoro non sono le stesse per esempio a Chivasso. A Chivasso abbiamo il problema dei lavoratori che non sono protetti dagli ammortizzatori sociali. I lavoratori, quando la fabbrica chiuderà, non avranno cassa integrazione, non avranno prepensionamento. Quindi, chiediamo che da questo Consiglio regionale venga un preciso impegno affinché ci sia un progetto di trattativa tra la Fiat, il Comune di Chivasso, la Regione Piemonte e le imprese che hanno occupato questi lavoratori, perché possa mettersi in atto un programma di lavoro.
Non sarà difficile dare lavoro a gente che non è altamente qualificata però svolge un lavoro utile e necessario. Ricordiamoci ancora che dobbiamo dare un rendiconto ambientale al Paese.
lavoro sempre a scapito dell'ambiente. Dovremmo imparare a progettare le automobili e quant'altro in previsione del riciclo, del recupero, della riconversione, del quasi annullamento dei rifiuti pericolosi e dei rifiuti in generale che, se non faremo una politica adatta, continueranno sempre più ad occupare tutte le cave e tutti i posti che saranno disponibili sul territorio.
A proposito di Melfi, dobbiamo ricordare ancora un'altra cosa, come promemoria per la FIAT: quando funzionerà questo stabilimento, questo grosso impianto industriale, entrerà in funzione un inceneritore che dovrà bruciare 70.000 tonnellate di rifiuti l'anno e non sarà tanto distante dai centri abitati, dagli insediamenti urbani.
Ricordiamo alla FIAT che dovrà stare molto attenta perché già ci sono delle previsioni che per le condizioni climatiche, per i venti presenti in quell'area, i fumi di questi rifiuti industriali procureranno ancora inquinamenti, ancora malattie, ancora pericolo.
Con la tecnologia moderna tutto si può fare, basta prevederlo, saperlo fare, ma soprattutto volerlo fare.
Se noi siamo qui oggi penso che sia per chiedere un preciso impegno alla FIAT e all'Amministrazione regionale del Piemonte perché questi problemi, problemi occupazionali e problemi di previsione e di progetto perle industrie, per il progresso e l'ecologia, vengano affrontati a breve termine con un progetto preciso non lasciato al caso e all'emergenza.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola all'onorevole Garesio, Segretario regionale del PSI.



GARESIO Giuseppe, deputato PSI

Voglio ringraziare il Presidente del Consiglio regionale e il Presidente dalla Giunta regionale per avere promosso questo incontro che credo sarà senz'altro positivo al di là delle molte parole inutili che si sentono in questi casi. Ma tra le molte parole inutili qualche impegno e qualche analisi più puntuale in quest'aula oggi io li ho sentiti. Spero che questa giornata serva soprattutto a creare un clima politico tra gli amministratori locali e i parlamentari che ci consenta di affrontare davvero i problemi che abbiamo di fronte, sfuggendo ad alcune tentazioni.
Certo, se noi ci mettessimo nella logica che ha ispirato quel tipo di cultura sindacale e imprenditoriale che ha portato all'accordo dell'Olivetti per cui l'eccedenza è stata assorbita dalla Pubblica Amministrazione italiana, credo senza alcun costrutto per la Pubblica Amministrazione italiana, o se ci mettessimo in una logica di critica senza approfondimento sui posti di lavoro industriali che dal Nord vanno al Sud credo che andremmo poco lontani e credo anche che questa giornata servirebbe a poco perché sarebbe una ripetizione di cose che per anni abbiamo detto. E sarebbe soprattutto una ripetizione di errori sulla base di una cultura politica clientelare e assistenzialistica a cui la Regione Piemonte, con i suoi amministratori e con i suoi parlamentari, deve assolutamente sfuggire, se vogliamo cavarne qualcosa di buono e se vogliamo dare a questo declino industriale del Piemonte (che il caso di Chivasso evidenzia, ma che a tutti i sindacalisti, agli amministratori, agli uomini politici che si occupano di questi problemi non è certo un dato nuovo) delle risposte che siano convincenti e che non siano soltanto adatte per l'occasione di una giornata di dibattito in un Consiglio regionale aperto.
Dico questo perché chiunque di voi abbia modo di frequentare gli imprenditori del Piemonte o i sindacalisti, impegnati nella loro attività sindacale nelle migliaia di piccole imprese che pure in Piemonte ci sono credo che possa avvertire un calo di tensione psicologica nel nostro mondo industriale, nel nostro mondo imprenditoriale, tra i nostri operatori economici, che credo in questi mesi stia diventando veramente preoccupante e lo era anche prima dell'annuncio della chiusura dello stabilimento di Chivasso.
Credo che noi dobbiamo opporci ad una tendenza al declino che, oltre che economicamente anche psicologicamente, va avanti da almeno un anno e che invece negli anni'88,'89,'90 e fino al'91 eravamo riusciti, come amministratori piemontesi, come amministratori delle città più importanti a invertire attraverso una analisi della situazione piemontese che presentava, rispetto al passato, qualche elemento nuovo.
Ad esempio, noi avevamo detto: "In Piemonte abbiamo un problema drammatico di competitività. Siamo una Regione con una struttura economica scarsamente competitiva rispetto agli altri sistemi con cui ci confrontiamo in Europa, rispetto alle altre aree urbane in Europa, che hanno i nostri stessi caratteri nello sviluppo, nella crisi o nello sviluppo economico.
Dobbiamo assolutamente riuscire a colmare le ragioni di questa perdita di competitività".
L'analisi che è stata fatta negli ultimi anni, e che io continuo a ritenere giusta, prendeva le mosse non da interventi assistenziali dello Stato, non da leggi speciali di un Governo che nei prossimi anni non farà assolutamente nessuna legge speciale e tanto meno la farà per il Nord dobbiamo rendercene ben conto, ma prendeva le proprie mosse dalla consapevolezza di una carenza infrastrutturale formidabile che il Piemonte ha. Siamo a una distanza di uno a tre rispetto alle altre aree economiche europee con cui ci confrontiamo (Lione, Monaco, Amburgo, Francoforte) l'abbiamo fatta mille volte questa analisi, e quindi l'impegno che, come Regione Piemonte e come parlamentari piemontesi, dovevamo chiedere al Governo era quello di colmare questa distanza per avere condizioni paritarie di competitività con le altre aree europee attraverso l'alta velocità ferroviaria, attraverso il completamento del nostro sistema autostradale, attraverso il potenziamento del nostro sistema di formazione.
Senza Università e Politecnici efficienti non si va sicuramente lontano anzi: non ci si muove proprio per nulla nelle moderne economie, verso quell'insieme di condizioni di qualità urbana e di capacità attrattive che ormai caratterizzano le moderne aree in Europa e da cui noi siamo momentaneamente fuori. Ed è la ragione per cui molta parte della nostra imprenditoria investe in Francia, in Germania, in Spagna, investe nel Mezzogiorno quando interviene la legge a dargli i contributi, ma investe poco e con poche prospettive e poche speranze nell'area piemontese.
Dobbiamo dunque recuperare queste ragioni di attrattività e di competitività che sono alla base di una economia che non si rassegna al declino e che mi sembrano anche le ragioni di fondo adottate dalla Regione nel proprio Piano di sviluppo e che ormai credo siano diventate parte dominante dei nostri ragionamenti politici e dei nostri ragionamenti amministrativi che riguardano l'economia e lo sviluppo piemontese.
Dobbiamo però fare in modo che queste valutazioni e queste analisi possano trovare degli effettivi riscontri non solo nella nostra attività politica e amministrativa, ma anche nel tempo, perché non possiamo oggi iniziare delle azioni che si concluderanno tra 15 o 20 anni, perché i tempi delle competizioni economiche nelle aree europee si giocano ormai nell'arco di 2 o 3 anni, tempo entro il quale si chiuderà la fase di prologo all'unione monetaria europea, si chiuderà la fase che definisce i mercati le aree d'influenza e le aree di competizione, e si chiuderanno in maniera pressoché definitiva gli spazi di sviluppo reale per un'economia avanzata se il Piemonte intende ancora competere tra le aree tecnologicamente centrali d'Europa, tra le aree ad economia avanzata, oppure no.
La sfida che abbiamo di fronte è una sfida di prospettiva sulle infrastrutture che ci rendono competitivi; è una sfida di tempi, di tensione psicologica che noi dobbiamo trasmettere agli investitori, al nostro mondo imprenditoriale, al movimento sindacale e a tutti i diversi soggetti dello sviluppo economico della nostra Regione; questo credo faccia parte di un ruolo di indirizzo, di cultura politica e dello sviluppo che la Regione dovrebbe avere come momento centrale nella propria attività e nella propria iniziativa.
Chivasso è un elemento in questo ragionamento; chi si è stupito della chiusura di Chivasso dopo quanto è successo negli ultimi anni, con il tipo di prospettive per l'industria automobilistica nel prossimo futuro, con il tipo di strategie che la FIAT in diverse occasioni ha delineato e che solo i sordi potevano non capire, ebbene chi si è stupito vuol dire che non aveva udito bene queste strategie, vuol dire che non aveva capito bene dove l'industria automobilistica stava andando.
Non voglio vantarmi di supremazia in termini di analisi, ma noi socialisti lo avevamo detto un anno fa in maniera forte e chiara che Melfi avrebbe portato via occupazione dal Piemonte. Il problema è che la soluzione non andava trovata nel dire no a Melfi, cosa che non possiamo fare, ma nell'usare questa diversificazione negli investimenti industriali per una nuova contrattazione col Governo che ci portasse, come avremmo detto un tempo, a profili più alti nella nostra capacità di interloquire con la grande impresa e con le decisioni del Governo centrale, cosa che negli ultimi due anni abbiamo fatto - io credo - in maniera molto parziale e non ancora sufficiente.
Credo che anche dalla relazione di introduzione fatta stamane dal Presidente della Giunta regionale si possano cogliere dei momenti nuovi di consapevolezza che questa è la direzione di marcia che noi dobbiamo avviare. Per quanto riguarda Chivasso, mi sembra che la soluzione concordata tra la FIAT e le OO. SS, sia soddisfacente, purché siano mantenuti tutti gli impegni che sono alla base di quell'accordo.
Mi unisco anch'io all'appello fatto stamane dal seri. Libertini su quei lavoratori che non hanno il cuscinetto della cassa integrazione, ovvero i lavoratori dell'impresa di pulizia e delle mense, i quali, non avendo la possibilità di disporre dell'ammortizzatore sociale della cassa integrazione, sarebbero davvero gli unici che pagherebbero una situazione di enorme disagio come quella che deriverebbe dall'interruzione del lavoro.
Dobbiamo essere particolarmente attenti a chi in questi anni di crisi economica non è garantito allo stesso modo di quanto lo sono altri lavoratori.
Dovremo veramente adoperarci perché la FIAT faccia quella cosa semplicissima e che i Sindacati ci hanno spiegato dovrebbe fare, cioè una lettera in cui sostanzialmente non si interrompe definitivamente il rapporto di prestazione, ma lo si sospende in attesa che nasca il polo, di cui si è parlato, dell'indotto di nuove attività economiche nell'area di Chivasso e nell'altra area attrezzata che il Comune ha predisposto.
Penso che la Regione potrebbe attivarsi perché questa elementare misura di tutela di lavoratori altrimenti non tutelati possa far parte del patrimonio e degli interessi di un Ente come quello regionale. Credo peraltro che la Regione possa fare molto; le idee sono state discusse mille volte: un programma di ristrutturazione del proprio bilancio e delle proprie iniziative sulla formazione professionale. Anche quest'ultima è una cosa che diciamo da molto tempo, ma che mi pare solo in minima parte compiuta, sebbene sappia quant'è difficile .dire di no a chi da anni accede a corsi di formazione ormai obsoleti, quant'è difficile riconvertire la propria spesa su quelle nuove professionalità e su quelle nuove mansioni che sul mercato del lavoro non trovano una propria rispondenza e che invece, formando la possibilità di molti giovani di accedere a quelle professioni, potrebbe colmare una lacuna nel nostro mercato del lavoro.
Inoltre, la Regione potrebbe procedere più speditamente in una serie di iniziative che ha adottato sul finanziamento della piccola impresa con la legge 56, la quale mi pare funzioni bene e possa essere rifinanziata quando ce ne sarà l'occasione, o su nuove iniziative adottate con il fondo regionale sull'innovazione (che è stato istituito tre anni fa ed è andato a rilento, ma poco a poco sta arrivando a un suo maggiore sviluppo).
La Regione potrebbe dare un incentivo reale al mondo economico, anche per rovesciare quel clima psicologico di cui ho parlato che mi sembra un notevole appesantimento nelle prospettive di sviluppo; quando non c'è attesa verso il meglio, quando si ripiega, quando ci si sta per rassegnare al declino, evidentemente qualsiasi terapia d'urgenza diventa inutile se non si inverte alla radice questo modo di pensare.
In questa giornata è stata manifestata da molti colleghi parlamentari la propria disponibilità a lavorare in questa direzione. Ripeto, io non credo a possibilità di leggi speciali del Governo; credo invece ad una possibilità di lavoro comune tra Regione Piemonte, Amministrazioni locali e parlamentari perché gli investimenti dello Stato possano dirottarsi su quegli interventi infrastrutturali che, secondo me e secondo la relazione del Presidente Brizio, rappresentano davvero la base per colmare quei ritardi che registriamo nella nostra economia. Non vedo l'opportunità di fare dei comitati di crisi, come è stato chiesto questa mattina da qualcuno; credo sarebbe già importante se si marciasse insieme per rivendicare un ruolo dello Stato non speciale, ma ordinario rispetto alle cose che il Governo ha garantito e rispetto alle cose che invece al Piemonte non sono giunte a destinazione, soprattutto in un momento in cui dobbiamo avere chiara consapevolezza che non ci sarebbe errore più grande da parte del Governo nazionale che quello di tagliare quelle spese sugli investimenti e sulle infrastrutture per mantenere spese correnti che sono socialmente più urgenti, ma che in prospettiva sono molto meno utili.
In questo senso credo che la Regione Piemonte e le altre importanti Regioni del Nord, quelle che sono a contatto con l'economia europea dove si compete davvero sui mercati, abbiano un interesse comune, un interesse padano a confrontarsi col Governo perché questi obiettivi e questi investimenti siano realizzati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere comunale di Chivasso dei Verdi, Ciuffreda.



CIUFFREDA Libero, Consigliere Verdi Comune di Chivasso

Uno degli impegni che ci siamo assunti in Consiglio comunale era quello di portare la discussione sulla Lancia e sull'occupazione a Chivasso nelle varie sedi istituzionali: in Senato (e l'abbiamo fatto), alla Camera, in Consiglio regionale, dappertutto.
Molti mi hanno preceduto e hanno fatto delle analisi generali, più o meno condivisibili, sui flussi di economia, a volte sui massimi sistemi, a volte anche sul sesso degli angeli. Per quanto mi riguarda, voglio portare ai Consiglieri regionali, al Presidente della Giunta regionale all'Assessore Cerchio, al Presidente del Consiglio regionale, e ai presenti, quella che è la nostra sensazione, quella che è la nostra situazione chivassese, cioè molto di quanto io vivo e quindi rappresento per alcuni cittadini a Chivasso.
Noi siamo molto infastiditi (non uso un altro termine) e molto allarmati perché ci rendiamo conto che su Chivasso, malgrado ci sia un accordo, grava una pesante crisi, un periodo futuro di buio totale, di oscurantismo economico, sociale e politico. Questa mattina, però, queste cose non le ho sentite, e mi dispiace.
Noi siamo preoccupati perché su Chivasso da parte della Regione e della Provincia continuano ad arrivare soltanto richieste, attraverso imprese private, di costruzione di inceneritori, di ampliamento di discariche e poi, sempre attraverso decisioni unilaterali di imprese private (si fa per dire), richiesta di chiusura del più grande stabilimento.
Allora noi siamo allarmati, ed è questo che io spero che nelle orecchie, nelle menti e nei cuori dei Consiglieri regionali entri; è questo il messaggio.
Non è affatto vero che con questo accordo - che io non discuto perch le parti si sono accordate - Chivasso abbia risolto i suoi problemi.
Chivasso avrà dei grossi problemi, dei grossi problemi sociali, dei grossi problemi economici, e spero anche dei grossi problemi politici, perché ci sono delle responsabilità politiche che devono emergere chiare e forti finalmente.
A Chivasso ci saranno migliaia di persone che non lavoreranno, che per anni non potranno avere sbocchi lavorativi e quindi non potranno avere dei soldi in tasca. Questo significherà, a Chivasso, ulteriore, degrado sociale, ulteriore delinquenza, ulteriore droga, ulteriori possibilità di inquinamento della vita sociale, attraverso la mafia e le mazzette che ben conosciamo e leggiamo attraverso i giornali.
E' questo che preoccupa il Consigliere comunale Lino Ciuffreda, che qui parla anche a nome della Federazione Verde; ci sono diverse preoccupazioni che devono arrivare nel Consiglio regionale.
Allora io, quest'oggi, chiedo ai rappresentanti di questa Istituzione all'Assessore al lavoro, al Presidente della Giunta regionale, al Presidente del Consiglio regionale, degli impegni precisi; impegni precisi che vadano anche al di là dell'accordo che è stato stipulato.
Diteci cosa dobbiamo farne di Chivasso; diteci se ormai è stato programmato che Chivasso diventi l'immondezzaio della Regione Piemonte diteci se invece di sfornare dalla Scuola professionale di Castelrosso 150 200 tornitori all'anno, vengano diplomati 150-200 spazzini! Diteci queste cose! Queste sono le nostre preoccupazioni, preoccupazioni che dovrebbero far parte anche di un programma che la Regione e gli enti istuzionalmente preposti dovrebbero spiegarci.
Allora noi - e qui porto la testimonianza di chi mi ha votato in Consiglio Comunale e con l'impegno di portarla anche in Consiglio regionale siamo veramente allarmati di questa situazione. Sappiate, arrivi pure nelle vostre orecchie questo messaggio: a Chivasso, con l'accordo, non è cambiato granché; a Chivasso ci sarà un momento di grande tensione sociale di grande tensione politica, e questa situazione dovremo gestirla insieme non solo come Consiglio Comunale di Chivasso, ma come Regione, come Provincia, come Senato, come Camera! Queste sono le preoccupazioni importanti! A Chivasso ci sono dei quartieri-ghetto che saranno ulteriormente ghettizzati ed emarginati; la delinquenza di Chivasso sarà ulteriormente accentuata. Tutto ciò grazie a questa decisione, che riteniamo unilaterale della Fiat; che poi sia stata accettata, si può discutere.
La nostra richiesta è che la Regione, tramite gli Assessori competenti e il Presidente, ci dica, attraverso la programmazione economica e sociale cosa intende fare di Chivasso.
Io voglio sapere cosa devo dire ai cittadini che abitano a Chivasso e che incontro sotto i portici: cosa hanno in mente la Provincia e la Regione per Chivasso? Cosa diventerà? Diventerà un immondezzaio? Io devo dirglielo! Se voi mi dite di dirglielo, io vado a dirglielo! Oppure c'è qualcos'altro? Oltre a quegli ammortizzatori sociali così aulici (la cassa integrazione), cosa si cercherà di fare in questi anni per frenare la delinquenza e il disastro sociale che si creerà? Vi ricordate quanti suicidi c'erano stati nel periodo della cassa integrazione a Chivasso e in altre aziende della Fiat? Ecco, mettiamo sul piatto della bilancia e degli accordi anche queste situazioni umane, perché noi siamo uomini e donne, ricordiamocelo sempre! Diteci anche - ed è un'altra richiesta che avanzo come Consigliere comunale e come cittadino - cosa dobbiamo fare del nostro Piano regolatore che costa a Chivasso mezzo miliardo, che è stato commissionato per creare a Chivasso delle possibilità di sviluppo, sia abitativo che industriale.
Chivasso, con il nuovo Piano regolatore - badate bene - è stata progettata per ospitare 40.000 cittadini: che ne sarà di questo Piano regolatore? E soprattutto, di chi è la responsabilità di questo mezzo miliardo speso per niente? Oppure - un altro esempio di cattiva amministrazione - diteci: cosa faremo del grande depuratore che è stato finanziato per il Comune di Chivasso? Sapete meglio di me che il depuratore si finanzia grazie al numero degli abitanti o al numero degli abitanti equivalenti. Ebbene, se a Chivasso - come è prevedibile - ci sarà un calo demografico, se a Chivasso ci sarà - come è prevedibile - un calo delle industrie, per che cosa, per quale motivo, per quale strano e diabolico programma è stato finanziato? Badate bene, si tratta di soldi pubblici; in un momento di grave crisi economica, noi abbiamo ancora la possibilità e la "boria" di sprecare miliardi e miliardi dei cittadini! Diteci queste cose! Questa sera, per cortesia, fateci uscire con tre, quattro, cinque punti, ma che siano chiari; dei punti che noi possiamo affiggere magari in piazza e possiamo raccontare ai cittadini che incontriamo dal panettiere o sotto i portici. Questo è il compito del Consigliere comunale che questa sera vi ha portato questo messaggio, questa testimonianza.
Un'ultima cosa. Ci sono, qualcuno dice 500 - io non so bene il numero è opportuno che la Regione e il Comune ed altri ancora si facciano carico di conoscere qual è il numero, perché non sono scatolette di sardine, sono delle persone che rappresentano delle famiglie - qualcuno dice 150 comunque, ci sono probabilmente 500 persone che verranno licenziate persone che piangono, ricordiamocelo ancora; il Presidente del Consiglio prima diceva che qui non bisogna applaudire, ma qui si piange, si gioisce e si è anche tristi.
Ebbene, questa gente piange perché da un giorno all'altro non avrà più lo stipendio, cioè non potrà più andare dal panettiere a comprarsi il pane.
Capita spesso, nella stessa famiglia, che due persone lavorino per la stessa impresa. Allora, questa sera, Assessore al lavoro Cerchio Presidente della Giunta regionale Brizio, Presidente del Consiglio regionale Spagnuolo, diteci cosa succederà di queste persone. Ditecelo perché noi vogliamo raccontarlo a queste persone! Diteci se da parte della Regione, da parte degli enti preposti, c'è un impegno preciso, non vago non pieno di parole, ma un impegno preciso che permetta a queste persone di avere un futuro meno buio, meno oscuro.
Queste sono le richieste che noi facciamo. Ritengo quindi che per evitare di screditare ulteriormente la classe politica si debba uscire da questo Consiglio regionale con degli impegni precisi, se non vogliamo che sia diventato soltanto una maratona di grandi oratori, anzi più o meno grandi. Impegni precisi - lo sottolineo - soprattutto per quelle persone che hanno meno garanzie, in questo caso le 500 o le 150 persone, quindi famiglie che da un momento all'altro si troveranno con il problema più grande, quello di non avere un lavoro e di non avere i soldi per campare.



PRESIDENTE

La parola al rappresentante della FIOM nel Consiglio di Fabbrica della Lancia di Chivasso, Trono.



TRONO Saverio, rappresentante FIOM C.d.F. Lancia - Chivasso

Mi rivolgo ai presenti e agli assenti soprattutto, mi rivolgo a loro perché io quel giorno, il 23 giugno, c'ero, non è per sentito dire, ma c'ero davvero e non ero solo.
Per la prima volta la Lancia di Chivasso è uscita da Fort Apache intendo dire che siamo usciti da Chivasso con dei mezzi di trasporto che ci hanno portato a Torino: non siamo venuti a disturbare i lavori dell'Assemblea regionale, ma ritenevamo opportuno, dopo 20 giorni dalla dichiarazione FIAT annunciata ai giornali e non al sindacato - non dimenticate che è vergognoso che nel '92 un'azienda democratica che parla di trasparenza si rivolga ai giornali senza dare comunicazioni né alle istituzioni né al sindacato - intervenire a questo Consiglio regionale aperto.
Il 27 giugno, insieme al Presidente Brizio, all'Assessore Cerchio e ai Capigruppo del Consiglio regionale, si è stabilitala data insieme a noi, ma non per minaccia o per ricatto, l'abbia-mo detto in altre sedi che siamo gente che lavora in difesa del posto di lavoro. Non abbiamo spaccato nessun vetro in un mese di lotta per 1 milione al mese, difendiamo solo il nostro posto di lavoro! Di questo si tratta e non perché quelli della Lancia sono una cosa speciale.
In un Paese dove si gareggia, dove ci sono gli Agnelli e i Berlusconi che vogliono vincere lo scudetto, c'è una squadra che vince a livello mondiale i rally, questa è la Lancia, che batte qualsiasi giapponese o altro, ma non sono né un alfista, né un lancista, né un fiattista. Sono nato in Sicilia e mi ritrovo in questa terra: ho sempre cercato di vivere della rendita del lavoro, non andando a ,rubare; ho sempre combattuto la mafia ed ero anche a Palermo, per questo lo striscione della Lancia era lì presente! Sono andato a Milano, in qualsiasi sede per dire: "Noi siamo i lavoratori della Lancia". Ci tenevo proprio a parlare oggi, non ce la facevo a stare zitto, e non è uno sfogo, credetemi.
Volevo ripartire da quei signori che sono assenti. C'era qualcuno - mi pare che fosse non uno del mio partito, perché ognuno di noi ha una tessera in tasca, forse - come il Consigliere Marchini, che appartiene al Partito liberale, che diceva che oggi il Consiglio regionale aperto sarebbe servito ad una passerella. In parte non si sbagliava, però sono venute fuori delle proposte. Noi, quel giorno, siamo andati via non soddisfatti, ma siamo andati via con un impegno della Regione Piemonte, dell'istituzione che ci diceva: "il giorno 7 ci incontriamo con i lavoratori che hanno questo problema" e noi non parlavamo dei lavoratori della Lancia e basta, ma dei lavoratori di tutta l'area di Chivasso che non riguarda solo la Lancia. La vicenda è iniziata molto prima dove c'è l'ingegnere americano, sapete tutti a chi mi riferisco, non c'è bisogno che ripeta nome e cognome perché mi vergogno a fare i nomi di questi signori che comprano e vendono le fabbriche come se cambiassero la cravatta! Questo è vergognoso per chi vive del solo reddito da lavoro! Allora bisogna fare chiarezza.
Parlavamo dell'area del Canavese, altro che Silycon Valley, i sogni, le pepite d'oro, quando le cose andavano veramente bene. E' necessario che questo se lo ricordino tutti e qui dentro sono tutti vaccinati, al di là di qualche giovane che non conosce. Però qualcuno si ricorda ancora, e allora bisogna ripartire da quelle cose. Non ci siamo battuti solo perché non venisse chiusala Lancia di Chivasso, siamo partiti da Ivrea dall'Olivetti e dall'ex Honeywell Bull per arrivare a Chivasso, perché fuori di qui c'è una Castellamare di Stabia che è vergognosa per un Paese civile e democratico con una Costituzione repubblicana! A Castellamare di Stabia, dopo che sono stati chiusi i cantieri navali, è stato dato tutto in mano alla camorra e alla mafia! E' vergognoso! A Palermo ho conosciuto le lavoratrici e i lavoratori della fabbrica di Grassi, l'imprenditore che non ha accettato di pagare le tangenti. Ho parlato con loro e mi hanno detto: "siamo in cassa integrazione perché non abbiamo commesse". Allora lo dico non alla Regione Sicilia, ma voglio raccontarvelo perché l'ho vissuto ed è vergognoso per uno come me che è nato in Sicilia, che da generazioni si batte contro la mafia - allo Stato alla Regione , al Comune e alla Provincia -, che se effettivamente vogliono dare una risposta alla mafia qualcosa si può fare. Ad esempio a Palermo i vigili urbani non hanno la divisa, trasformiamo, facciamo un'industria tessile per fare le divise dei vigili urbani e le tute degli operai dell'acquedotto se acqua c'è, altro che mettere in cassa integrazione e dire che la mafia ha ragione! Questo succede là, dove non può esistere quello che stiamo facendo insieme oggi. Lo abbiamo costruito in una giornata, sabato 27 giugno, ed io c'ero! Al sabato! Ho abbandonato la fabbrica, la famiglia, però dicevo: "la Lancia di Chivasso è qui" e lo dicevo ai miei tre segretari generali che sono Larizza, D'Antoni e Trentin al Sindacato per primo, e poi lo voglio dire ai politici, a quelli che raccolgono i voti! Venerdì sera mi sono trovato ad una trasmissione televisiva, dove è vero che parlavano di Lentini, però è anche vero che hanno parlato di noi ed ho anche detto a tutti quelli che parlano di moralità ed immoralità tangenti e tutto quello che volete, che è vergognoso! Parlo da semplice cittadino, poi sono anche un lavoratore della Lancia e chiedo scusa a tutti i presenti se ruberò due minuti di tempo, ma ho proprio l'esigenza di dire queste cose. Come vedete sto parlando non a titolo personale, perché ci sono migliaia di famiglie che vivono questo dramma. Abbiamo fatto un mese di lotta e di sacrifici, perché a noi lo sciopero non viene retribuito, non siamo né statali né altro. Non abbiamo rotto un vetro, non un cassonetto dell'immondizia né una macchina né un pullman, cosa che invece hanno fatto altri solo perché è stato venduto un giocatore, è vergognoso! Di questo bisogna prendere atto e allora mi dispiace che non ci siano quei signori, quelli che si preoccupavano, Marchini; Assessore Cerchio Giunta, componenti del Consiglio regionale, mi rivolgo soprattutto a voi perché se questa fiducia viene a mancare c'è una ragione.
Qualcuno era preoccupato che oggi sarebbe stata soltanto una passerella ed è vero Marchini - però qualcuno ha anche fatto delle proposte. Rester fino alla fine di questo Consiglio insieme ai, miei compagni, non siamo tutti, non ce n'è bisogno, perché non è il numero che fa la forza, ma l'unità.
Dobbiamo dare una risposta vera alle cose dette finora e dire che il Consiglio regionale aperto di oggi non è stata solo una passerella; e la risposta la dobbiamo dare ai signori che sono assenti, a quelle sedie vuote, non è per polemica, sappiatelo! I miei compagni mi conoscono, non parlo mai degli assenti. Qualcuno si preoccupava: "E se la FIAT non si presenta ?". Qualcuno gli ha anche ricordato che la FIAT si presenta nei salotti buoni e quando gli fa comodo! Non è uno sfogo, lo ripeto.
Voi che siete l'istituzione - io ho solo la possibilità di dare un voto avete mille modi per dire alla FIAT come deve comportarsi e non siamo d'accordo sulle cose che diceva Annibaldi, perché il 24 febbraio c'era qualcuno all'Unione Industriale, non c'erano le istituzioni, probabilmente anche voi avete avuto il sentore. Non ci sono neanche i miei amministratori locali, come potete vedere; non accuso nessuno, però in una giornata come questa gli impegni bisogna metterli da parte perché abbiamo fatto dei sacrifici per essere presenti.
Si dice che noi della Lancia o della Fiat abbiamo raggiunto un accordo ed è vero. Sappiate che abbiamo raggiunto un accordo - Picchioni, mi rivolgo a te, ti do del tu perché sei una vecchia conoscenza e non voglio parlare di altre cose - però voglio ricordare ai presenti una cosa certa: la difesa del posto di lavoro. E io dovrò vivere tre anni con un milione al mese, ho moglie, due figli a carico e l'affitto da pagare di un alloggio di 47 metri quadrati! Questo per rendere coscienti e non per piangere lacrime! Qui non ci raccontiamo barzellette perché questo sarà dal 1 settembre; il mio sindaco, Ardito, non c'è, non appartiene al mio partito, l'ho detto prima, ma non andrò da lui a chiedergli come fare a sbarcare il lunario non vengo qui a piangere la miseria, voglio solo dirvi che questo è lo spettro della realtà che ci aspetta! E quei signori che sono latitanti quelli che si diceva che magari non si sarebbero presentati, dovrebbero stare attenti e riflettere perché hanno preso in giro tutti quanti! Allora che lo facciano loro, quelli che cambiano la cravatta, è giusto, ma voi che rappresentate le istituzioni, la fiducia del cittadino, cercate di metterci non dico la sensibilità, forse il cuore appartiene a Barnard, quello che ha fatto il trapianto la prima volta, noi siamo una cosa diversa, però io sono un essere umano, non sono ancora riuscito a trasformarmi in un marziano non ci riesco e allora voglio ritornare a me.
Mi dicono che io sono un garantito perché guadagnerò un milione al mese, però vi ho detto qual è la situazione. Quelli della mensa e dell'impresa di pulizie o i lavoratori degli appalti, avranno seri problemi. Sapete cosa sono venuto a dirvi? Al di là della denuncia, mi sembrava che in una giornata come questa, dopo averla richiesta noi, non volevamo che si dicesse che c'era un neo, cioè che quelli che lo avevano chiesto non erano presenti. Vedete però che noi gli ordini di scuderia sto parlando seriamente - li rispettiamo, comunque voglio dire, per non dare ragione a Marchini, io ne prendo atto e lo dirò con forza, che ci sono stati degli impegni, qualcuno ha detto "sottoscriviamoli", ma non perché io mi riconosco in Libertini - Picchioni - tanto da estremizzare, dalla sinistra all'ala destra, se vogliamo chiamarla così, o al centro, io non sono geografico, sono nato in quella terra e lavoro in questa, però mi piacerebbe che una volta per tutte, visto che c'è una confusione totale in questo Paese, io non sono per perdonare nessuno, primo! Sappiatelo, perch il perdono non lo chiedono i politici, ma lo devono chiedere i cittadini perché quando andranno a votare...
L'altra sera mi sono trovato a quella trasmissione dove, come sapete si viene tirati per i capelli. Avevo una lettera in tasca, faccio nomi e cognomi così mi capite: il 16 giugno la Lancia di Chivasso si è recata al Senato e c'erano le Camere riunite per un dibattito. Abbiamo scritto una lettera intestata a due Ministri, uno dei due era piemontese, l'altro è un ex-sindacalista (si chiama il "salto della quaglia"), questa lettera era indirizzata, leggo testualmente: "Al Ministro dell'Industria, Guido Bodrato; al Ministro del Lavoro, Franco Marini e per conoscenza a tutti i Gruppi parlamentari", dalle Leghe a tutti gli altri! Io non ho avuto la possibilità della seconda cartuccia, però qui la voglio dire: questi Ministri, al di là del fatto se sono stati estromessi o dimissionari, come sono stato estromesso io in trattativa con la Fiat, non si sono neanche degnati - Ministri di questa Repubblica! - di rispondere con una lettera o con una telegramma! Io devo dire grazie alla Regione Piemonte perché oggi avete fatto il Consiglio regionale, però vi dirò grazie a nome di tutti i lavoratori, di quelli delle mense, delle imprese di pulizia, dei lavoratori della Lancia e di quelli della Fiat, ma come cittadini soprattutto, se uscirete da qui con un impegno, per dare torto al mio amico Marchini se volete, perch altrimenti è vera passerella; io alla Fiat non ci credo! Grazie.



PRESIDENTE

Ringrazio Trono per questo intervento che ci aiuta molto.
Ha ora la parola il Segretario regionale di Piemont, Gremmo.



GREMMO Roberto, Segretario regionale di Piemont

Signor Presidente, signori della Giunta, colleghi del Consiglio regionale del Piemonte, vi ringrazio per avere invitato anche la nostra forza politica, che peraltro ha tutti i diritti di essere presente qui, non per gradita cortesia di qualcuno, ma in virtù dei voti che i cittadini continuano giustamente a darci sapendo che siamo e vogliamo essere forza di opposizione, costi quello che costi.
Mentre il Consigliere comunale verde parlava notavo da parte dell'Assessore al lavoro - della Regione un certo nervosismo. Ed è da questo nervosismo che vorrei partire per fare una considerazione molto pacata, certamente non politica, ma che credo in qualche modo possa servire al vostro dibattito.
Nei prossimi giorni la Regione Piemonte, sicuramente con il voto contrario del Gruppo rappresentato dal Consigliere Sartoris, si appresta a varare una legge che regalerà una barca di milioni agli zingari. E' una delle tante leggi vergognose che dobbiamo subire, che vedono i soldi dei contribuenti piemontesi gettati al vento, ma che rientrano nella demagogia che i partiti di Roma, tutti, nessuno escluso, usano per favorire tutti meno che i lavoratori, tutti meno che i pensionati, tutti meno che i nostri anziani! Mentre arrivavo oggi a Torino da Aosta ho dovuto passare almeno 4 o 5 posti di blocco, ma i posti di blocco che ho dovuto passare non erano certo fatti dalla Polizia, dalle Forze dell'ordine, quanto dai cosiddetti "lavavetri" che sono i noti immigrati clandestini dal Terzo Mondo che con una legge - ahimè - della Repubblica italiana vengono garantiti per quanto riguarda l'assistenza sanitaria nel senso che non pagano e non pagheranno una lira di ticket! Nel momento in cui la farsa di questa passerella inutile e assolutamente demagogica ci chiama oggi a dover parlare, naturalmente con il solito distacco che le forze politiche hanno che è quella di dire certe cose qui e dire esattamente il contrario a Roma e comunque di non fare assolutamente niente; nel momento in cui ci troviamo in una situazione in cui il nostro Paese deve subire un milione e mezzo di immigrati clandestini, ma il Governo, le forze politiche, le leggi malfatte dal Parlamento, dicono che questi diventano i cittadini di prima classe. E' evidente che quello che diceva il Consigliere comunale verde di Chivasso è la strada in cui finiremo, cioè la strada dell'emarginazione, dei problemi per la gente, la strada di tante parole, ma nessun fatto di fronte alla realtà drammatica che vive chi ha purtroppo il dovere di lavorare. Qualcuno ha ricordato, e sicuramente una lacrima sarà scesa dalle gote democristiane della Giunta, i lavoratori dell'impresa di pulizia e della mensa, per cui si è pronti anche a fare un pensierino, ma non si dice e non si è detto che quando noi autonomisti da 15 anni a questa parte dicevamo e continuiamo a dire, che i posti pubblici della Regione devono essere dati con precedenza a chi è residente nella nostra Regione; questi stessi politici che adesso hanno il coraggio di stracciarsi le vesti sono quelli che ci davano del "razzista". In realtà noi continuiamo a pensare che se si volesse avere davvero la voglia di risolvere i problemi di chi lavora in Piemonte e di chi è rimasto senza lavoro in Piemonte, la prima cosa da fare da parte dei parlamentari - ahimè- sfortunatamente votati in Piemonte, pensiamo soltanto a Borsano, o da parte del Consiglio regionale sarebbe una legge per cui nelle assunzioni nei posti pubblici della Regione, tanto più importanti in una situazione di questo tipo, vengano privilegiati i lavoratori che restano senza lavoro per le scelte dei monopoli. In realtà, proprio perch quelli che vivono in Piemonte non vogliono...



(Proteste da parte del pubblico)



GREMMO Roberto, Segretario regionale di Piemont

Presidente, non vorrei essere interrotto, ho ascoltato con grande cortesia lo show del rappresentante politico che faceva finta di essere un operaio e vorrei non essere interrotto perché...



(Proteste da parte del pubblico)



GREMMO Roberto, Segretario regionale di Piemont

Non c'è niente di male, Presidente, ad essere rappresentanti di un partito politico, a chi piacciono i partiti politici...



PRESIDENTE

Preciso che ha parlato come delegato di fabbrica ed è venuto agli incontri che abbiamo avuto con il sindacato.



GREMMO Roberto, Segretario regionale di Piemont

La ringrazio per la precisazione, ma siccome il collega che ha parlato prima si era qualificato come appartenente ad un partito, perché ha detto: "Non è del mio partito", e non c'è niente di male ad essere appartenente ad un partito, mi limito a dire e pensare...



(Proteste da parte del pubblico)



GREMMO Roberto, Segretario regionale di Piemont

Io sono nato a Biella e non c'è niente di male ad essere nati a Biella! Siccome stavo parlando di difendere i residenti in Piemonte, pensavo di parlare anche a nome dei lavoratori che lavorano alla Lancia, venuti da molte Regioni d'Italia, nei cui confronti non abbiamo mai avuto alcuna posizione di opposizione. Certo, se i lavoratori venuti da fuori regione hanno i comportamenti che ha lei, cominciamo ad essere preoccupati.
Ciò detto, penso che tutto sommato la nostra opinione non cambi nei confronti delle posizioni che si sono manifestate da parte delle forze politiche. Penso con molta pacatezza che il caso Lancia, ma non solo, in qualche maniera palesa l'incapacità assoluta da parte delle forze politiche di gestire un modello che a nostro modo di vedere è ormai arrivato al capolinea. Certo, si è puntato sulla monoindustria, sul modello che faceva arrivare in Piemonte migliaia di lavoratori da altre Regioni, questo modello è fallito completamente e non si è stati capaci, perché non esisteva la volontà politica di farlo, di creare dei modelli ideali industriali e di vita, oltre che sociali, alternativi.
Noi abbiamo sempre pensato che il modello di Piemonte a cui occorrerebbe ispirarsi è un modello in cui l'omogeneità scompare, ma esistono delle grosse volontà di valorizzare non soltanto il settore industriale, ma anche il settore della montagna, della campagna e i settori nuovi di tecnologia avanzata che stanno venendo fuori.
E' su questo, signor Presidente e colleghi di questa assemblea, che puntiamo per un progetto politico che è sicuramente minoritario, ma che proprio dall'incapacità dei politici dei partiti, e da quello che vedo non solo dei politici dei partiti, vogliamo capire certe dinamiche che,' bene o male, stanno venendo fuori.
Questa incapacità farà in modo che dal fallimento, perché ormai di fallimento si deve parlare, di quelle che sono le dinamiche politiche correnti, verrà fuori un'ipotesi diversa ed alternativa. Mi rendo conto che lavoriamo su tempi molto lunghi, ma abbiamo il dovere di dire qui e adesso con grande forza, che non crediamo alle chiacchiere che ci vengono propinate, tanto meno ci crediamo se queste chiacchiere vengono gabellate con i soliti slogan che purtroppo ho dovuto sentire in qualche intervento bassamente demagogico che mi ha preceduto, perché nei fatti, concretamente certi discorsi e frasi fatte lasciano il tempo che trovano.
La sostanza è una sola. Io ho letto la relazione del Presidente Brizio sulla Padania e sulle aree della Padania: è un discorso che ci lascia largamente perplessi. Il vero ragionamento, il vero discorso che può in qualche maniera risolvere i problemi anche occupazionali della nostra Regione è quello dell'autonomia regionale proiettata in una dimensione diversa da quella cui purtroppo i politici di Roma vorrebbero cacciarci.
Noi sappiamo che questa è una posizione minoritaria, sappiamo che è una posizione difficile, ce ne siamo anche resi conto dovendo subire l'intolleranza di certi disinformati che girano per il Piemonte, ma pur sapendo questo siamo al nostro posto e abbiamo ritenuto di essere presenti anche oggi a dire la nostra opinione perché è ben vero che rappresentiamo solo 73.000 cittadini piemontesi, ma abbiamo la fierezza di rappresentarli e di dire, qua ed in tutte le occasioni in cui è necessario, quello che loro pensano.



PRESIDENTE

Grazie, Gremmo. Mi permetto di sospendere brevemente la seduta per una riunione dei Capigruppo.



(La seduta, sospesa alle ore 16.10, riprende alle ore 16.45)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Comunico che si è riunita la Conferenza dei Capigruppo con la Giunta che ha fatto alcune valutazioni rispetto all'iter dei lavori che il Consiglio regionale aperto oggi ha avuto. Intanto, il dibattito che si è svolto fino a questo momento è stato molto ricco e da esso è emersa una serie di questioni e proposte che, per la loro importanza, richiedono un approfondimento ulteriore. L'approfondimento, evidentemente, deve venire dalle componenti del Consiglio: da un lato da parte dell'esecutivo, che ha concorso a fare delle proposte e che ha sentito le proposte emerse dal dibattito; dall'altra da parte dei Gruppi consiliari perché gli argomenti che stiamo discutendo sono di estrema delicatezza e complessità, quindi richiedono un'attenzione nel formulare e definire le proposte e gli impegni che evidentemente non possono essere improvvisati.
Questo significa aver dato importanza da parte nostra al dibattito che c'è stato, a tutti gli interventi, a quelli delle Organizzazioni Sindacali ai lavoratori che sono intervenuti, alla Federpiemonte, all'Unione Industriale, alla Fiat stessa e alle proposte, in primo luogo, della Giunta e delle varie parti politiche che fin qui sono intervenute.
A nome di tutti i Consiglieri, ringrazio moltissimo tutti gli intervenuti in quanto ci avete dato dei contributi che devono essere valutati e approfonditi.
Ricordo che sono stati avanzati alcuni punti di particolare rilevanza.
Prima di tutto l'esigenza di vigilare sull'attuazione dell'accordo per la parte di nostra competenza; l'accordo è intervenuto e vede soltanto una parte di competenza della Regione Piemonte.
Esiste poi il problema dei 500 lavoratori - ed è la seconda grande questione - che hanno il problema aperto della loro occupazione. Posso già anticipare che la Giunta, domani stesso, prenderà ulteriori contatti con queste 500 persone. Anche al riguardo sono state fatte delle proposte sulle quali non si possono improvvisare degli impegni, proprio perché devono essere affrontate con grande serietà.
Bisogna valutare l'ipotesi di lavoro intorno all'accordo di programma ed è il terzo punto che richiede una forte attenzione.
Inoltre, è stato detto dal Ministro Costa che ci farà pervenire un elenco dei flussi finanziari che hanno riguardato in passato e che possono riguardare adesso il Piemonte, sui quali si potrà lavorare per fare delle proposte nel merito.
Sono quattro grandi questioni che richiedono, da parte della Giunta da un lato e dei Gruppi consiliari dall'altro, un momento serio di approfondimento. Abbiamo pertanto valutato, non per interrompere questo dibattito, ma per approfondire le proposte emerse, di riconvocare il Consiglio regionale in sede ordinaria, ammettendo comunque tutti gli ospiti che vorranno seguirlo.
Mi si consenta di dire, con buona soddisfazione di tutti, che non di passerella si è trattato, ma che i contenuti che sono emersi richiedono un approfondimento. Quindi, per avere una settimana di approfondimento per fare delle proposte e arrivare a votare anche dei documenti, il Consiglio è riconvocato la prossima settimana, martedì 14 luglio alle ore 9,30 per dare una continuità al lavoro di oggi. Pertanto, su questa ipotesi di lavoro ci possiamo congedare. Abbiamo fatto un buon lavoro che richiede un approfondimento; lo faremo insieme, siamo aperti, Gruppi consiliari e Giunta, a tutte le ulteriori osservazioni che vorrete farci pervenire.
Ci rivediamo martedì prossimo, perché i problemi che abbiamo davanti e le ipotesi di lavoro che sono emerse qui sono importanti e elettronica e duplicazione; vogliamo trattarle con la dovuta considerazione. Grazie a tutti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 16.55)



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