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Dettaglio seduta n.153 del 26/05/92 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Tutela dagli inquinamenti del suolo - smaltimento rifiuti

Interrogazioni n. 883 e n. 1095 presentate dal Consigliere Marino inerenti lo smaltimento dei liquami suini provenienti da mega allevamenti, in particolar modo nella zona di Fossano


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 2) all'o,d,g. "Interrogazioni e interpellanze" esaminiamo le interrogazioni n. 883 e n.1095, entrambe presentate dal Consigliere Marino, cui risponde l'Assessore Lombardi.



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

In risposta alla prima interrogazione presentata dal Consigliere Marino si fa presente quanto segue.
L'art. 2 bis della legge n. 283/89 prescrive che per fermare il progressivo degrado della qualità delle acque del Mare Adriatico vengano attuati, nei bacini tributari, specifici interventi secondo un programma pluriennale che riguarda la depurazione degli effluenti urbani industriali, in attuazione di quanto disposto dalla legge n. 319/76 1a depurazione degli effluenti degli allevamenti zootecnici e il perseguimento della compatibilità ambientale attraverso il riequilibrio del rapporto tra capi di bestiame e territorio la riduzione del carico inquinante immesso nei bacini attraverso: a) incentivi alla trasformazione dei cicli produttivi industriali b) incentivi per la razionalizzazione e riduzione dell'impiego di pesticidi e fertilizzanti.
L'art. 2 bis, quindi, delinea una strategia di intervento che ad azioni depurative sugli effluenti associa azioni dirette di contenimento delle fonti di inquinamento connesse con le attività industriali, agricole e zootecniche. Viene così riconosciuta l'esigenza di modificare ed integrare le previsioni della legge n. 319/76 e quindi dei piani.di risanamento delle acque da questa previsti in ordine all'obiettivo specifico di contenimento dell'eutrofizzazione del Mare Adriatico.
Lo strumento previsto dalla legge è quello dello "Schema previsionale programmatico", articolato per criteri e progetti, a valenza pluriennale e riferito a bacini idrografici con recapito nell'Adriatico. Coerentemente con queste disposizioni, la formulazione e l'approvazione degli schemi programmatici viene demandata, per i bacini di rilievo nazionale, come è quello del fiume Po, alle Autorità di bacino (art. 2 bis, comma primo).
Tale procedura ha subìto deroga per gli anni 1989 e 1990. Nel 19891e risorse disponibili sono state utilizzate sulla base di programmi predisposti dal Ministro dell'Ambiente, sentita la Conferenza per l'Adriatico e le Regioni interessate. Per il 1990 l'utilizzazione delle risorse è avvenuta nell'ambito delle intese programmatiche tra Ministero e Regioni, in attuazione della deliberazione CIPE del 3/8/1990 (Programma triennale 1989/1991 per la tutela ambientale).
Quanto al 1991/1992, si sottolineano le recenti determinazioni della Conferenza Stato-Regioni (seduta dell'1/8/1991) che meglio precisano la procedura indicata dall'art. 2 bis: "Per l'attuazione della legge n. 283 /89 per il 1991 e il 1992, in coerenza con la programmazione triennale per l'ambiente e in coordinamento con l'Autorità per il Mare Adriatico, vengono definiti in sede di Autorità di bacino di rilievo nazionale afferenti all'Adriatico gli schemi programmatici e i programmi sulla base di obiettivi parametri, verificando gli obiettivi stessi in sede di Conferenza Stato-Regioni".
Per quanto riguarda il bacino del Po va rilevato che lo Schema previsionale programmatico, approvato dal Comitato istituzionale il 31/10/1990, dedica particolare attenzione ai problemi dell'eutrofizzazione descrivendo sinteticamente la dinamica del fenomeno e le cause che lo determinano. Vengono inoltre indicati criteri e linee di intervento con diversificazione delle azioni in funzione del tipo di fonte di generazione puntuale o diffusa.
Indicazioni dettagliate vengono date coerentemente con la specificità della legge n. 283/ 89, relativamente alle azioni volte ad ottenere una sostanziale ristrutturazione del comparto produttivo agricolo e zootecnico finalizzata alla riduzione di cariche eutrofizzanti. Viene anche individuata nel raffronto dei costi e benefici la metodologia di valutazione dell'efficacia degli interventi e della definizione delle priorità.
Lo Schema previsionale programmatico approvato rappresenta dunque la base per la predisposizione dei programmi per l'attuazione della legge n.
283/89 per il biennio 1991/1992. Gli interventi da attuare nel breve periodo da finanziare con le risorse disponibili per il biennio 1991/1992 saranno individuate in base ai seguenti criteri: a) per settore e tipologia di intervento, in coerenza con quanto disposto dall'art. 2 bis: impianti pubblici di depurazione effluenti urbani, industriali e zootecnici e/o relative reti di fognatura ed adduzione servizi di trattamento e gestione, su base consortile degli allevamenti zootecnici (in particolare suinicoli), finalizzati all'utilizzo agronomico dei liquami e dei suoi derivati nonché al riequilibrio del rapporto fra capi di bestiame e territorio centri dimostrativi di assistenza tecnica agli agricoltori per la razionalizzazione e la riduzione dell'impiego dei fertilizzanti di sintesi e dei pesticidi in agricoltura.
b) Per aree critiche definito in funzione dell'effettivo apporto di cariche eutrofizzanti nel Mare Adriatico, cioè del carico effettivamente liberato nel fiume Po e del potere autodepurativo esplicato dai corsi d'acqua e dal suolo.
Gli interventi dovranno avere carattere di completezza e autonomia funzionale e saranno valutati in relazione alla loro efficacia di rimozione del carico veicolato in termini di confronto fra costi e benefici.
Per quanto riguarda la parte relativa al danno ambientale, oggetto di una seconda interrogazione del Consigliere Marino, si fa presente quanto segue.
La previsione del danno ambientale che può essere causato dalla presenza di allevamenti zootecnici intensivi è da tempo all'attenzione dell'Amministrazione regionale.
La particolare realtà zootecnica piemontese (caratterizzata, al contrario di altre zone del nord Italia, da allevamenti in gran prevalenza a conduzione familiare, normalmente con terreno a disposizione nei pressi dell'allevamento) si trova molto raramente in presenza di aziende che raggiungono dimensioni tali da potersi considerare mega allevamenti.
Questa situazione oggettiva fa ritenere che l'eventuale danno ambientale legato alla zootecnia venga generato, più che da elevate densità di suini allevati, dalla presenza o meno di sufficienti superfici agricole ove spandere i liquami prodotti, in relazione sia al tipo di terreno e alle necessità di concimazioni delle colture, che ad altri parametri legati alla zona in cui è sita l'azienda ed alla situazione dell'allevamento stesso (peso vivo medio allevato/anno, gestione dei liquami dal momento della raccolta e stoccaggio in azienda a quello della distribuzione in campo).
In conseguenza di queste premesse, vista anche la L.R. n.13/90, che fissa il numero di capi allevati (50 nel caso dei suini), oltre il quale va richiesta alla Provincia competente l'autorizzazione allo spandimento sul terreno dei liquami zootecnici, e considerata la necessità di stilare un documento allo scopo di stabilire le disposizioni tecniche e le procedure per le richieste ed il rilascio delle autorizzazioni (anche allo scopo di unificare le modalità d'attuazione ed interpretazione della L.R. n.13/90 in ambito regionale), la Giunta regionale ha di recente approvato le "Prime disposizioni tecniche e procedurali per l'autorizzazione allo smaltimento in agricoltura dei liquami provenienti da allevamenti animali" (deliberazione Giunta regionale del 30/12/1991 n. 48-12028, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte n. 10 del 4/3/1992).
In esse vengono stabilite, tra l'altro, i criteri cui far riferimento al fine di garantire un corretto spandimento dei liquami sul suolo agricolo.
La deliberazione della Giunta regionale sopra citata contiene alcune valutazioni relative ai diversi sistemi utilizzabili per garantire una corretta utilizzazione agronomica dei liquami zootecnici. Occorre tener presente che vi è un finanziamento rivolto alle iniziative per la depurazione del bacino del Po che verrà indirizzato da parte della Regione Piemonte, Assessorato all'agricoltura, alla costruzione di vasche di stoccaggio che consentano un razionale e tecnicamente assistito utilizzo di questi liquami stoccati nei momenti e sui terreni più adatti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marino.



MARINO Massimo

Ho delle osservazioni generali da fare su questa questione. Ritengo che le due risposte dell'Assessore non chiariscano le questioni di fondo e, per la parte che le chiariscono, non mi trovano d'accordo.
La questione delle concentrazioni di suini e delle relative conseguenze sul territorio è grave in alcune Regioni, per esempio l'Emilia Romagna com'è noto, e in alcune zone del Piemonte, in particolare nel Cuneese e nella zona di Fossano. La questione di fondo è legata ad una constatazione che inevitabilmente si deve fare, cioè che negli ultimi anni si è sviluppata una preferenza dei consumatori in particolare per le carni suine rispetto a quelle bovine.
Le cause, le motivazioni e le conseguenze di questa situazione non posso valutarle in pochi minuti, almeno per quanto è la mia opinione, ma è un dato di fatto che oggi ci troviamo per la prima volta, credo, dal 1990/1991 in una situazione in cui i consumi di carni suine in Italia hanno superato i consumi di carni bovine, e in generale il consumo di carne degli italiani è altissimo (mi dicono che è probabilmente uno dei più alti d'Europa). Giustamente il Consigliere Rivalta commenta che conseguentemente, anche il livello di colesterolo sarà fra i più alti d'Europa.
Senza entrare nel merito, la questione del modo di affrontare il problema dell'eutrofizzazione dell'Adriatico in generale e la parte di problema che riguarda l'inquinamento da suini sono decisamente paradossali.
Non intendo entrare nel merito di grandi scelte culturali sul consumo di carne, sui vegetariani, ecc.; tralascio questi argomenti, anche se una qualche riflessione sarebbe utile. Il problema di fondo è che non si sta arrestando per nulla un processo che in particolari zone, come ad esempio il Cuneese, sta determinando lo svuotamento delle stalle di bovini (essendo in diminuzione il consumo di carni bovine e quindi la relativa produzione) per riempirle gradualmente con suini.
Siamo di fronte ad un fenomeno di aumento della concentrazione di suini in alcune e poche circoscritte zone del territorio regionale conseguentemente a questo, si aggrava quel fenomeno disastroso di inquinamento del terreno (e poi, alla fine dei conti, del Po e dell'Adriatico) causato da questo primo fenomeno.
E' noto che, in parte consistente, lo smaltimento dei liquami avviene sostanzialmente in forma illegale, e avviene apparentemente andando ad individuare (e quindi a segnalare, credo, anche alla Regione Piemonte) dei terreni nei quali spandere i liquami, tralasciando il fatto che, non essendoci alcuna forma di controllo reale, nello stesso terreno spandono liquami magari cinque diversi produttori di suini con le conseguenze che si possono immaginare; questo non risulta da nessuna parte e nessuno apparentemente ha rilievi da fare in merito.
Io ho visto e letto velocemente, per la verità uno o due mesi fa quando ho presentato le interrogazioni, la deliberazione di Giunta regionale citata dall'Assessore, la n. 48-12028. La ritengo - se non resta sulla carta - sicuramente un primo passo per cercare almeno di porre le basi per affrontare la questione.
Ho letto anche - e devo dire che mi ha stupito di più della prima - la deliberazione della Giunta regionale n. 160-12886, che l'Assessore non ha citato direttamente, che è stata la base della mia seconda interrogazione.
Una delle questioni di fondo è quella di definire attraverso legge regionale o nazionale - ed oggi non esistono né l'una né l'altra in Italia mentre in altri Paesi sì - un limite di concentrazione di suini sul territorio.



RIVALTA Luigi

In Emilia hanno introdotto il numero chiuso.



MARINO Massimo

A me non risulta.
Questo è il dato di fondo: se non si affronta questa questione, tutto il resto rischia di essere o un mettere le toppe a qualcosa che comunque continua a perdere (in questo caso liquami), o addirittura sprecare soldi che riguardano la legge n. 283 sull'eutrofizzazione dell'Adriatico per finanziamenti - diciamo così, per essere benevoli - che nulla hanno a che fare con la soluzione del problema.
A questo punto si tratta di capire se la Regione Piemonte ha la volontà o meno di definire un parametro di limite (capi di suini/ chilometro quadrato o chili di suini/chilometro quadrato); se non c'è questa volontà ho l'impressione che non risolviamo il problema.
La seconda questione riguarda un aspetto specifico. Io so che, rispetto alle disponibilità di risorse date dal Ministro Ruffolo, alcuni mesi fa c'è stata una discussione (se n'è parlato anche sui giornali) fra le varie Associazioni, che non si trovavano d'accordo sul modo di spartire i 35 o 40 miliardi - se non ricordo male- riguardanti il Piemonte; una deliberazione di Giunta, se non sbaglio, è stata bloccata dal Co.Re.Co., e sinceramente non so come questa questione è stata in seguito riaffrontata. Ho visto però, e mi riferisco a questa parte specifica, la deliberazione della Giunta regionale n.160-12886 che, con il titolo "Programma di interventi per il comparto agricolo e zootecnico...", stanzia - mi pare - 4 miliardi per finanziare programmi dei centri dimostrativi di assistenza attraverso la cosiddetta Associazione Regionale Gruppi Coltivatori Sviluppo Torino.
Più esattamente, cito un intervento di 4,5 miliardi totali finalizzati all'attivazione di centri dimostrativi di assistenza tecnica per ridurre i carichi inquinanti da suini e per culture e tecnologie di debole impatto ambientale; centri dimostrativi il cui soggetto attuatore risulta essere l'Associazione Regionale Gruppi Coltivatori Sviluppo Torino.
Sinceramente, ignoro cosa siano questi centri e cosa sia questa Associazione, però mi rende perplesso il fatto che si stanzino 4 miliardi per avviare dei centri dimostrativi di assistenza tecnica. Qui non c'è niente da dimostrare; la questione dei suini è vecchia di anni per non dire di decenni, è una questione che riguarda anche altri Paesi dell'Europa, e in alcuni di questi Paesi è stata affrontata e in parte, almeno, risolta.
Il problema è quello di non sprecare i soldi che riguardano gli interventi per ridurre l'eutrofizzazione dell'Adriatico. Questi interventi hanno come prima base una volontà politica - se c'è - di ridurre la concentrazione di suini, di regolamentare gli spandimenti, di valutare quali sono i sistemi e le dimensioni giuste per quanto riguarda i depuratori. Faccio un esempio molto concreto: se in una certa zona il numero di suini è 60.000, non si può costruire un depuratore che ha una capacità di smaltimento per 80/90.000. Vuol dire che comunque si prevede che la concentrazione di suini in quella zona aumenti, tant'è che questo depuratore - per quanto mi risulta - per vari motivi non è stato costruito. Personalmente ero molto perplesso, soprattutto per le dimensioni del depuratore e anche sapendo che la maggior parte dei depuratori non sono gestiti bene, non funzionano e peraltro costa portare i liquami allo smaltimento.
Chiedo all'Assessore che mi spieghi meglio, perché sinceramente non ho capito, come si pensa di risolvere il problema attraverso interventi di finanziamento (i 4,5 miliardi che ho indicato adesso) senza fare delle leggi che affrontino alla radice la questione. Il problema è limitare l'eutrofizzazione dell'Adriatico. Chiederei all'Assessore una piccola replica. Questo modo di spendere le risorse mi lascia perplesso; spero che la deliberazione n. 48-12028 che dà le prime disposizioni tecniche per gli smaltimenti in agricoltura non resti solo sulla carta. Oggi la situazione è veramente drammatica e non è pensabile utilizzare le poche risorse a disposizione in modo discutibile.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Lombardi:



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

Al collega Marino vorrei precisare che la deliberazione da lui richiamata ed approvata dalla Giunta non tratta finanziamenti concessi tratta proposte di finanziamenti che tengono conto dei progetti presentati dalle Associazioni dei produttori direttamente o attraverso organismi di assistenza tecnica. D'altra parte, il collega Marino, che mi sembra abbia approfondito l'argomento, ben comprende che l'attuazione di iniziative progettuali tendenti a ridurre il carico inquinante, in specifico su alcune aree della nostra regione, deve coinvolgere coloro che rappresentano la produzione, perché è molto importante che iniziative di questa natura vedano coinvolti i produttori. Si tratta di proposte di finanziamento notevolmente superiori alle scarse possibilità del finanziamento stesso e che quindi dovranno essere scelte in base a delle priorità, che dovranno prevedere - questa è la posizione portata avanti dall'Assessorato iniziative concrete, operative: non più centri di assistenza tecnica, ma iniziative tendenti a ridurre il carico inquinante derivante da attività di allevamento zootecnico, in particolare suinicolo. Nella risposta ho ricordato iniziative tendenti a dotare gli allevamenti di vasche di stoccaggio che consentano lo spargimento dei liquami in momenti validi sul piano della stagione, del terreno, perché non tutti i terreni sono uguali non tutte le stagioni si prestano; questi spargimenti sono seguiti dall'assistenza tecnica attualmente a disposizione delle aziende agricole.
Per quel ché riguarda invece la valutazione del rapporto animali/territorio, tengo a precisare che in nessuna area della nostra regione il carico di allevamento è superiore a quei 40 ql per ettaro previsti dalle attuali disposizioni. Ci possono essere, questo è vero alcune aree ristrette dove il carico è superiore, però complessivamente nemmeno l'area Fossano - Savigliano - Cuneo, che è 1a più interessata al problema, vede un carico complessivo superiore al rapporto stabilito dalla legge. La deliberazione che abbiamo assunto con indicazioni tecniche anche per quel che riguarda le decisioni del livello locale, dovrebbe creare le condizioni perché in alcune situazioni a particolare rischio ed in particolare difficoltà il livello locale abbia le indicazioni tecniche che consentano di non lasciare aumentare il carico nelle zone già in difficoltà. Queste sono le precisazioni che in questo momento possiamo dare, salvo verificare proposte inerenti al problema che, tenendo conto delle esigenze produttive e delle disposizioni legislative, consentano di migliorare ulteriormente la situazione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MONTABONE



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marino.



MARINO Massimo

Non sono abituato, purtroppo, a fare conti in quintali per ettaro, ma in capi per km quadrato. Cito solo questo dato: il limite usato in Germania, per quello che mi risulta, è di 200 capi per km quadrato. Nella zona di Fossano, in particolare in località Mellea, la concentrazione di suini calcolata è di 2.500 capi per km quadrato. Quindi, se non sbaglio 12,5 volte il limite attualmente utilizzato in Germania, che ha una legge che prevede un limite, mentre in Italia questo limite in termini chiari non c'è. Poi, l'Assessore faccia le proprie valutazioni e verifiche, ma a me risulta una situazione di questo tipo.


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati

Interpellanza n. 892 dei Consiglieri Majorino e Zacchera inerente la Cooperativa Latte Verbano di Novara


PRESIDENTE

Passiamo all'esame dell'interpellanza n. 892 presentata dai Consiglieri Majorino e Zacchera. Risponde l'Assessore Lombardi.



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

In risposta all'interpellanza dei Consiglieri Majorino e Zacchera, si precisa quanto segue.
Nel periodo 1985/1991 la Società Cooperativa Latte Verbano ha beneficiato delle seguenti agevolazioni contributive e creditizie (da tenere conto che l'anno 1985 è un anno a cavallo fra due legislature e che la Giunta che ha seguito la precedente ha attuato disposizioni o decisioni prese in periodi precedenti): a) contributi in c/capitale e mutui integrativi per interventi strutturali, art. 39 L.R. n. 63/78: 1985: spesa ammessa L. 1.800.000.000, 50% in c/c e 50% a mutuo 1987: spesa ammessa L. 2.200.000.000, 50% in c/c e 50% a mutuo b) contributi negli interessi attualizzati per macchine - art. 44 L.R.
n. 63/78: 1985: spesa ammessa L. 616.000.000 1986: spesa ammessa L. 1.500.000,000 c) contributi attualizzati negli interessi per la capitalizzazione art. 11 L.R. 63/78: 1987: spesa ammessa L. 500.000.000 d) contributi in capitale per la promozione, art. 41 L.R. n. 63/78: 1985: contributo di L. 50.000.000 1986: contributo di L. 45.000.000 e) contributo in c/capitale per spese raccolta latte, L.R. n. 423/81: 1987: contributo L. 92.000.000 f) contributi negli interessi per prestiti di conduzione ed acconto soci, artt. 42 e 50, L.R. n. 63/78: 1985: conduzione L. 2.650.000.000 - acconto soci L. 1.380,000.000 1986: conduzione L. 3.000.000.000 - acconto soci L. 1.380.000.000 1987: conduzione L. 3.000.000.000 - acconto soci L. 1.450.000.000 1987: acconto soci per Chernobyl 1988: conduzione L. 2.700.000.000 - acconto soci L. 1.550.000.000 1989: conduzione L. 3.000.000.000 - acconto soci L. 2.100.000.000.
Vorrei precisare che sono prestiti a tasso agevolato e non sono contributi.
Nel 1989, con l'approvazione del progetto di consolidamento e sviluppo presentato ai sensi della L.R. n. 40/87, sono stati impegnati i seguenti contributi in capitale e in c/interessi, che non sono stati erogati: a) contributi in capitale per il ripiano delle passività onerose: contributo di L. 2.688.000.000 b) contributo in capitale per la capitalizzazione: contributo di L.
531.000.000 c) contributi attualizzati negli interessi per la capitalizzazione: spesa ammessa L. 1.225.000.000.
Nel 1990 e nel 1991, a seguito del mancato pagamento delle rate di mutuo in scadenza da parte della cooperativa, la Regione ha dovuto attivare le fidejussioni concesse nel giugno 1976, nel novembre 1981 e nel gennaio 1988, provvedendo al pagamento dei seguenti importi: 1990: L. 257.797.160 1991: L. 262.485.964.
Nonostante i solleciti, sia verbali che scritti, il Servizio non ha acquisito elementi circa la reale situazione patrimoniale e finanziaria dell'azienda.
Per quanto riguarda i rapporti con la Società Cooperativa CERPL. la Società Cooperativa in data 4/4/1991 ha comunicato che la medesima società è stata ammessa come socio della Società Cooperativa Latte Verbano e ha sottoscritto L. 2.000.000.000 di capitale sociale.
Dagli elementi acquisiti in fase di istruttoria delle diverse domande di finanziamento presentate nel periodo 1985/1989, risultano i seguenti conferimenti di latte: 1985: q 192.220 pari al 52,6% del latte commercializzato 1986: q 179.685 pari al 51,1% del latte commercializzato 1987: q 206.703 pari al 52,1% del latte commercializzato 1988: q 255.000 pari al 62,5% del latte commercializzato 1989: q 327.000 pari al minimo 60% del latte commercializzato.
In sostanza, poiché il collega ha chiesto se corrispondeva a verità che il latte trasformato fosse superiore a quello acquisito, con questi dati siamo a dimostrare che la cooperativa ha sempre avuto i requisiti previsti prima dalla legislazione nazionale e poi dalla legislazione regionale quindi, prima, oltre il 50% e, dal 1989, oltre il 60%.
La percentuale di prodotto conferito rispetto al prodotto lavorato nel periodo 1985/ 1988 rientra nei limiti stabiliti dalla legge n. 752/86 che all'art. 7, prevede che le imprese cooperative di trasformazione non sono ammesse ai benefici ed agli interventi previsti dalla vigente normativa a favore della cooperazione agricola quando si approvvigionino dal mercato di prodotto in quantità superiore alla metà di quello complessivamente trasformato.
La percentuale di conferimento prevista per l'anno 1989, minimo 60% del prodotto lavorato, rientra nei limiti stabiliti per la concessione delle agevolazioni della L.R. n. 40/87.
In ogni caso, la L.R. n. 40/87 consentiva che la prevalenza del conferimento - oltre il 60% - potesse essere raggiunta nel corso .dell'attuazione del progetto triennale 1988/1990.
Le richieste di finanziamento presentate ai sensi della L.R. n. 63/78 dalla Società Cooperativa Latte Verbano sono state istruite dal Servizio Trasformazione e Valorizzazione dei prodotti agricoli, la cui responsabilità è stata affidata al dottor Carlo Curzio fino all'1 novembre 1986 (data del suo pensionamento) e quindi al dottor Alessandro Basili dal 4 novembre 1986 a tutt'oggi. Il collega voleva conoscere i funzionari responsabili: sono questi.
Per l'istruttoria dei finanziamenti della L.R. n. 40/87, la Giunta regionale si è avvalsa di un apposito nucleo di valutazione costituito ai sensi della medesima legge, così composto: dott. prof. Vittorio Lombardi - Consulente per tecniche di valutazione di investimenti dott. Giuseppe Pastore - Consulente di cooperative di associazioni produttori e aziende agroalimentari dott. Massimo Boario - Docente presso la Scuola di Amministrazione Aziendale dell'Università di Torino dott. Alessandro Basili - Responsabile del Servizio Trasformazione e Valorizzazione prodotti agricoli.
Il Perito agrario Bruno Corno è stato eletto Consigliere Vicepresidente della Cooperativa Latte Verbano dall'assemblea dei soci del 30/4/1985, su proposta del Consorzio Produttori Latte di Casale Monferrato (AL) per il triennio 1985/1988.
Nell'ottobre 1985 il citato Perito agrario Corno ebbe l'incarico di mio segretario particolare con le condizioni di precarietà del posto di lavoro riferite a tale incarico, essendo nel frattempo posto in aspettativa dalla Confederazione Coltivatori diretti da cui dipendeva.
Nel marzo 1987, il Perito agrario Corno venne riassunto dalla Regione Piemonte, avendovi già lavorato in passato, ed inserito nella pianta organica assegnato al Settore Attività Strumentali in Agricoltura.
Le dimissioni dagli incarichi societari della Latte Verbano cessano con l'accettazione delle sue dimissioni dal Consiglio della medesima in data 30/7/1987.
Il lavoro svolto all'Assessorato all'agricoltura dal Perito agrario Corno non riguardava e non riguarda l'esame delle pratiche delle cooperative.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Zacchera.



ZACCHERA Marco

Ritengo che ci siano interrogazioni ed interrogazioni. I colleghi che hanno seguito queste risposte si sono accorti che questa è di una particolare rilevanza, per cui gentilmente l'Assessore mi farà poi avere copia scritta della sua risposta.
Su questa partita penso che si debba dire ancora molto. La risposta è stata infatti abbastanza esauriente ed anche sconcertante, perché - ho preso velocemente qualche appunto - i soldi versati a questa cooperativa pur lasciando perdere quelli stanziati e non versati, corrispondono ad un numero notevolissimo di miliardi.
In secondo luogo, una constatazione di fatto: questa è una cooperativa sui generis, perché se è vero che faticosamente si raggiungeva - così dichiara la Cooperativa Latte Verbano - la quota del 50% del latte conferita dai propri soci, allora si deve reputare che è vero che, se non la maggioranza, una grandissima parte di questo latte, non era prodotto da soci di cooperativa e così di fatto la Cooperativa Latte Verbano diventava un'impresa che acquistava latte dall'esterno - me lo conferma anche lei Assessore - e probabilmente dall'estero (perché costa meno) e poi lo vendeva come Latte Verbano.
Abbiamo il problema del signor Bruno Corno, che era contemporaneamente amministratore della Cooperativa Latte Verbano e, per un certo periodo Segretario particolare dell'Assessore. Allora arriviamo a queste deduzioni: perché la Regione Piemonte ha fatto questo pessimo investimento plurimiliardario verso una situazione della compagnia Latte Verbano al limite del dissesto? Ecco perché l'Amministratore straordinario dell'ESAP ha scritto quelle cose nella propria relazione dell'anno scorso, quando diceva che non solo era stato un cattivo affare partecipare alla Latte Verbano, ma addirittura che c'era stato - ricordo testualmente - pochissimo senso di responsabilità nell'assunzione delle fidejussioni che la Regione è andata a pagare perché, alla fine, si sono dovute onorare le ingenti fidejussioni del 1976 e del 1981. Vi rendete conto di quello che è stato fatto? Qual è stata la filosofia di fondo per salvare a tutti i costi questa cooperativa che, sicuramente, avrà avuto effetti positivi per i partecipanti ma, di fatto, è stata un'operazione di potere, perché si voleva il controllo politico di una cooperativa importante come il Latte Verbano, un controllo politico con un filo diretto tra Assessore, il suo Segretario e le Associazioni che controllavano questa cooperativa? Gentilmente, Assessore, risponda a queste domande, perché gliele ho poste e tutti gli atti che mi ha dato confermano, punto per punto, quello che mi dice. Se lei ritiene che questo è un modo giusto di amministrare e di dirigere e un modo logico di portare avanti la gestione dell'agricoltura in Piemonte, se ne assuma le responsabilità e continui a fare così. Secondo me, questo è un modo assurdo: quanti miliardi ci è costata questa cooperativa se, poi, il 50% del latte commercializzato non veniva comprato nemmeno dai soci piemontesi locali confederati, cioè soci della cooperativa? Ritiene corretto che il suo Segretario amministrasse un'azienda...



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale.

Si è dimesso da quell'incarico.



ZACCHERA Marco

I miei dati me li ha confermati lei: il signor Bruno Corno è stato amministratore dal 30/4/1985, ma dall'ottobre 1985 è divenuto Segretario particolare dell'Assessore fino al marzo 1987, quando è stato riassunto in Regione. Il rapporto con la Cooperativa Latte Verbano è cessato solo il 30/7/1987. Allora, era o no contestualmente Segretario dell'Assessore ed amministratore della Cooperativa Latte Verbano?



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

Questo è vero, ma non c'entra con le decisioni prese.



ZACCHERA Marco

Non c'entra niente? E' una questione di etica!



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

Vorrei precisare al collega che deve informarsi meglio. La Cooperativa Latte Verbano è nata nel 1977 per volontà di un Assessore con il quale ero d'accordo, ma che non era certamente della mia parte politica. La Società Latte Verbano non è una cooperativa vicina all'area nella quale io milito.



ZACCHERA Marco

E' proprio per questo che, secondo me, c'è stata la guerra per conquistare la Cooperativa Latte Verbano da parte della Coldiretti.



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

Ho trovato una cooperativa che aveva quasi 400 soci che conferivano il latte in una situazione di difficoltà e l'abbiamo gestita come abbiamo ritenuto fosse possibile gestire 400 partite di latte, altrimenti non collocabili. Ad oggi, da quando il bilancio non è più in regola, i finanziamenti non sono più stati concessi, come dice chiaramente la risposta. Quindi, alcuni miliardi destinati a questa cooperativa sono stati bloccati per questioni di analisi di bilancio. Ho anche detto che le risposte non ci sono state e che i finanziamenti non sono stati destinati.



ZACCHERA Marco

Assessore Lombardi, mi scusi, non faccia torto alla mia poca intelligenza. Lei mi ha detto che si è iniziato a bloccare i soldi nel 1989, dopo che abbiamo "snocciolato" a questa cooperativa una quantità di miliardi e molto prima, quando noi si continuava a snocciolare anno dopo anno questi miliardi, il suo Segretario particolare faceva l'amministratore della Cooperativa Latte Verbano. Questa è un'operazione di potere, di conquista della Cooperativa Latte Verbano da parte delle Associazioni di categoria agricole di cui lei è referente sotto tutti i punti di vista, con una continuità periodica e con una presenza, secondo me, ai limiti della correttezza; lei conferma di essere d'accordo su questo modo di gestione.
Secondo me, invece, questa è la dimostrazione provata di come non dovrebbe essere portata avanti la gestione da parte della Regione nei rapporti con questa cooperativa.
La sua risposta è stata estremamente esauriente, però non finisce così nel senso che mi riterrò libero di continuare ad insistere su questi temi.
Non sono solo io adirlo, ma è anche l'Amministratore straordinario dell'ESAP, sulla quale chiediamo da mesi un dibattito in quest'aula dibattito che lei, evidentemente, non vuole aprire perché, in sede di risposta, disse che era opportuno fare un dibattito sull'ESAP, ma non lo abbiamo ancora fatto.



LOMBARDI Emilio, Assessore regionale

Non decido io i dibattiti in aula: lei continua a dire cose che non hanno senso.



ZACCHERA Marco

Mi sto limitando a dire che lei in quest'aula, rispondendo sull'ESAP...



PRESIDENTE

Consigliere Zacchera, risponda all'interrogazione. Questo non è il dibattito su questo argomento, perché siamo in fase di interrogazione.
L'Assessore Lombardi ha risposto all'interrogazione; la sua risposta potrà essere stata insoddisfacente. Il Consigliere Zacchera, terminando adesso il suo intervento come risposta all'interrogazione, concluderà dicendo se è soddisfatto o insoddisfatto. Ci sono altri strumenti, tempi e strade per andare, eventualmente, se lo si richiede, ad un dibattito. Vi ho lasciato dare qualche chiarimento supplementare, ritenendo che i chiarimenti fossero esaustivi. Visto che mi sembra non lo siano, stiamo in questo strumento.
Qualora se ne attivino degli altri, daremo in quest'aula lo spazio per rispondere su questo tema.



ZACCHERA Marco

Ad una mia richiesta precisa l'Assessore, già mesi fa, disse che era opportuno un dibattito sull'ESAP, però questo dibattito, anche se più volte sollecitato con la presentazione di un'interrogazione specifica e successiva, non siamo arrivati a farlo.
Concludo dicendo che l'Amministratore straordinario dell'ESAP nella sua relazione ha sparato a zero sulla Cooperativa Latte Verbano, anche per il periodo in cui il suo Segretario particolare era amministratore.
Insomma, la relazione del Commissario straordinario parla chiaro. Lei può anche ridere, io un po' meno. La ringrazio della risposta che è stata estremamente interessante, ma, secondo me, ha aperto altri squarci su una vicenda sulla quale sarà opportuna la massima chiarezza in una partita più generale sull'agricoltura piemontese sulla quale torneremo, e con altrettanta chiarezza.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza n. 1009 dei Consiglieri Marengo e Riba, interpellanza n. 1021 del Consigliere Chiezzi, interpellanza n. 1087 del Consigliere Chiezzi ed interpellanza n. 1093 del Consigliere Tapparo inerenti lo sviluppo - del trasporto pubblico - Crisi occupazionale alla Viberti


PRESIDENTE

Passiamo ora alle interpellanze nn. 1009, 1021, 1087 e 1093 sulla situazione all'azienda Viberti, cui risponde congiuntamente l'Assessore Cerchio.



CERCHIO Giuseppe, Assessore regionale

Risponderò congiuntamente a quattro interpellanze (nn. 1009,1021,1087 e 1093) di vari Consiglieri, relativamente alla situazione Viberti e al problema più generale del settore autobus, cercando di essere il più sintetico possibile. L'Assessorato al lavoro e all'industria in ordine a questo problema ha cercato innanzitutto di approfondire le ragioni di rischio di chiusura del reparto bus della Viberti, nonostante l'ottima fama di cui gli autobus urbani Viberti godono. Tale approfondimento è stato condotto dopo un primo contatto con l'azienda, in sintonia e con la collaborazione dell'Assessorato ai trasporti della Regione, degli Assessorati al lavoro dei Comuni di Torino e di Nichelino - su cui insiste territorialmente l'Azienda Viberti - e dell'Assessorato alle municipalizzate del Comune di Torino.
Dagli approfondimenti svolti in più incontri in queste settimane e mesi, è emerso che il Governo ha sbloccato i fondi per i trasporti e che sono in avanzato corso di stipula da parte della Regione i mutui necessari affinché gli operatori possano procedere alle ordinazioni dei veicoli. In secondo luogo, l'entità dei fondi è tale da far presumere che vengano quanto prima ordinati in Piemonte 350/400 bus, di cui la metà circa di impiego urbano. Le casi costruttrici saranno prescelte secondo le inderogabili norme di legge che non permettono, com'è noto, particolare attenzione alle esigenze di questo o di quel produttore. In terzo luogo, la domanda di bus dovrebbe evidenziarsi anche da parte di altre Regioni perché lo sblocco dei fondi sta avvenendo a livello nazionale.
Potrebbe quindi complessivamente rendersi disponibile una domanda consistente tale da assicurare la continuità produttiva della Viberti sempre che essa sia in grado di competere alla pari con altri produttori.
Questo è un problema di fondo, che va al di là di una diretta competenza della Regione, anche se la stessa, in questo caso, è stata e intende essere attenta ad ogni verifica. Abbiamo realizzato con le Organizzazioni sindacali, con gli enti locali e con l'azienda stessa una serie di incontri, nel momento in cui la situazione Viberti, in termini occupazionali, presenta problematiche non indifferenti. Nel corso di uno specifico ultimo incontro realizzato con l'Assessorato alle municipalizzate e al lavoro del Comune di Torino, si è evidenziato che non possiamo pensare di intervenire in ordine ad un procedimento di avviata asta, per non creare alcun episodio di turbativa d'asta, e per non interferire in alcun modo in aspetti che non sono di nostra competenza, per favorire l'occupazione o le commesse alla Viberti.
In ogni caso, sia gli Assessorati al lavoro che alle municipalizzate del Comune di Torino, in collegamento con la direzione dei Trasporti Torinesi, verificheranno che la gara della Trasporti Torinesi, principale azienda della Regione, avvenga in modo scrupoloso, individuando nel bando della gara stessa specifiche tecniche che rispondano agli interessi del sistema del trasporto torinese. Tale gara riguarderà circa 200 autobus, di cui 45 autosnodati interurbani e 25 autosnodati per la rete urbana, per i quali la Viberti ha già una particolare specializzazione e a cui il Comune di Torino ha contribuito con fondi propri per 76 miliardi.
Esistono quindi buone ragioni per ritenere che la Viberti sarà in grado di partecipare autonomamente alla gara con buoni requisiti di competitività e potrà superare le attuali difficoltà. Se queste condizioni non dovessero sussistere, le possibilità di intervento della Regione sarebbero assai limitate di fronte ai meccanismi di aggiudicazione previsti per legge.
La Regione comunque, nei limiti delle sue possibilità, è disponibile per accrescere le potenzialità della Viberti, sia esaminando con attenzione progetti di aggiornamento professionale dei lavoratori, sia interponendo i suoi uffici affinché vengano accolti a livello nazionale eventuali progetti di innovazione tecnologica.
Una Viberti competitiva dovrà essere in grado di operare su tutte le opportunità pubbliche e private, perlomeno europee, superando ogni tipo di dipendenza tecnica - è questo uno dei limiti registrati in questi ultimi tempi - e dandosi efficaci ed autonome forme di presenza commerciale anche nel comparto dei bus.
Su questo problema la vicenda è ancora aperta; avrò modo di aggiornare ulteriormente i Consiglieri interpellanti su eventuali sviluppi che mi auguro possano andare nella direzione di un aiuto all'azienda.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marengo.



MARENGO Luciano

Intervengo unicamente per chiedere all'Assessore di farci pervenire la risposta per iscritto. Rispetto alle questioni che riguardano lo sblocco del fondo trasporti e le commesse da parte delle istituzioni, l'Assessore ha risposto secondo quanto si richiedeva nell'interpellanza; rispetto ai problemi occupazionali non ho invece sentito alcun cenno, anche se la settimana scorsa c'è stato un accordo sindacale: da questo punto di vista la risposta è superata dai fatti intervenuti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere a Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Signor Presidente, mi pare che quando ci troviamo dinnanzi a situazioni del tipo della Viberti, cioè un'azienda che vive particolarmente su commesse pubbliche - il settore bus è strettamente connesso al rapporto con il pubblico - dobbiamo porci un interrogativo: non rischiamo, con i nostri interventi, di ridurre quel necessario dinamismo che un'azienda dovrebbe avere per ricavarsi spazi di mercato alternativi? Dobbiamo cercare di armonizzare l'esigenza sacrosanta dei lavoratori di vedere garantita e mantenuta la posizione di lavoro con quella di una dinamica d'impresa che non può solamente sollecitare il momento pubblico per avere le commesse. In questo senso, il problema è molto delicato, ed il lavoro dell'Assessorato e dell'Assessore è stato molto positivo.
Penso che l'obiettivo, con l'accordo che l'azienda ha fatto con il sindacato la settimana scorsa, sia importante. Dobbiamo però stimolare queste aziende - non credo che esse usino i lavoratori per rapportarsi con il momento pubblico - perché si rischia di ingenerare degli elementi che degradano quelli che possono essere i meccanismi di mercato. L'azienda deve autonomamente essere dinamica sul piano del marketing, deve cercare l'innovazione; ovviamente, il momento pubblico può poi dare sostegno alle idee innovative attraverso la legislazione vigente o attraverso una serie di servizi reali. Tuttavia ci vuole una forte e spiccata volontà imprenditoriale e manageriale nell'area commerciale e nell'area innovativa.
Questo caso è trasferibile anche ad altri casi dove analogamente si rischia di vedere nella commessa pubblica il garante di una situazione statica.
La Comunità Economica Europea cerca proprio di togliere questi meccanismi: a volte in modo violento, a volte senza tenere conto delle implicazioni sociali, tuttavia credo occorra trovare un punto di equilibrio. Mi pare che nel caso Viberti - che è un caso emblematico della buona e positiva azione svolta dalla Regione - vada anche collegato questo tipo di sensibilità. L'azienda deve essere reattiva ai problemi che pone il mercato; non deve, di volta in volta, ciclicamente, piangere sulle commesse pubbliche, magari utilizzando - non è questo il caso -1a pressione delle legittime istanze dei lavoratori preoccupati di perdere posti di lavoro, o utilizzare ammortizzatori sociali che possono essere l'anticamera dell'eccedenza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Presidente, colleghe e colleghi, la crisi della Viberti deriva probabilmente dalla rottura di un equilibrio di mercato all'interno del quale la Viberti in questi anni si è, dal punto di vista della direzione aziendale, forse anche comodamente accoccolata.
La Viberti presumibilmente, anche sentendo cosa hanno detto le Organizzazioni sindacali, viveva sotto l'ala protettrice della FIAT e oggi questa nicchia, un po' riparata da concorrenze più aggressive probabilmente non c'è più emette in crisi la Viberti anche nella collocazione di alcuni mezzi già predisposti sulla base del vecchio equilibrio di mercato.
Quindi, la Viberti non ha più protezioni di cui disponeva tempo fa, ma la Viberti, che ho anche visitato, è una fabbrica che produce mezzi di rilevante qualità. Non è una fabbrica vecchia o incapace di produrre nuovi prodotti. E' un'azienda che ha capacità produttive per offrire sul mercato mezzi di trasporto pubblico interessanti. Nonostante questo, è un'azienda che rischia di essere messa in crisi.
Cosa può fare l'ente pubblico? Può fare qualcosa o non può fare nulla? Penso che possa fare molto. In questo senso: il trasporto pubblico non è uno dei settori in cui possiamo dire che tutto è stato fatto e il servizio funziona al meglio. Non è uno di quei settori che ha raggiunto un livello di produttività ed efficienza oltre il quale non è possibile andare.
Tutt'altro. Il sistema dei trasporti è uno dei servizi deficitari di questa nostra società. E' un settore in cui investimenti pubblici e privati per rispondere con prodotti specifici alle esigenze di trasporto sono particolarmente necessari. E' un settore in cui l'ente pubblico deve rispondere a fabbisogni insoddisfatti dei cittadini.
Se ci fossero delle politiche capaci di promuovere una domanda di trasporto pubblico qualificata, ecco che aziende come la Viberti, che sono produttive di beni di rilevante qualità, potrebbero avere un futuro produttivo e non di crisi. Pensiamo che la Viberti, specializzata nel trasporto urbano, potrebbe disporre di un mercato, determinato da scelte di governo delle pubbliche amministrazioni, notevole. Se le pubbliche amministrazioni nelle aree urbane impostassero dei piani dei trasporti nei quali il coordinamento delle varie modalità di trasporto prevedesse un'organizzazione dei trasporti diffusa sul territorio, molto flessibile, a servizio delle esigenze della città centrale e delle parti periferiche delle aree urbane, si aprirebbe un mercato relativo ai mezzi pubblici automobilistici estremamente interessante. Pensiamo agli autobus di piccole dimensioni, che potrebbero servire i bisogni di spostamento nelle aree centrali più strette. Pensiamo al tema dell'autobus pulito, che non inquina; al tema degli autobus che portino tutte le persone, anche quelle che devono utilizzare una carrozzella. Sono tutti fabbisogni che un'industria come la Viberti è in grado di risolvere forse meglio di altre.
Ho detto questo perché lamentarsi semplicemente che c'è un'azienda in crisi e mettere in moto le misure che leniscono la sofferenza sociale non basta. Comunque in questa situazione si potrebbe fare molto di più, si potrebbe offrire alla Viberti un quadro di governo diverso.
La seconda parte del ragionamento è che questo non accade perché la Regione Piemonte non sta facendo quanto potrebbe. E' difficile pensare di determinare una domanda pubblica di trasporto senza avere approvato un piano dei trasporti. La Regione Piemonte ha la competenza di approvare il piano regionale dei trasporti. Il piano regionale dei trasporti dorme in qualche cassetto della Giunta regionale.
Agli operai della Viberti che cosa raccontiamo? Le solite frottole! Viceversa agli operai e ai dirigenti della Viberti si potrebbe offrire un programma all'interno del quale si potrebbero individuare nuovi prodotti.
Infatti è di questo che si tratta: di investire in un'azienda tecnicamente sana per produzioni che si possono vendere sul mercato a tutte le amministrazioni pubbliche d'Italia e d'Europa. Certo che, se nel sistema dei trasporti si investono o si dice di investire gigantesche risorse che privilegiano semplicemente una linea di trasporto pubblico - e mi riferisco ai mitici interventi perla cosiddetta metropolitana a Torino - si ha un altro progetto in testa. Si ha il progetto di destinare gli ipotetici 1.300 miliardi per far viaggiare bene, lungo 6 o 7 chilometri, i cittadini che devono passare proprio lungo quella linea, mentre gli investimenti per gli altri sistemi di trasporto non ci sono più. Questo andrebbe detto chiaramente.
Bisogna fare delle scelte, compiute le quali è inutile tenere i piedi in tutte le staffe. Spendiamo 1.300 miliardi per costruire una linea di metrò e poi diciamo che vogliamo anche investire, chissà quanto e chissà dove, per gli altri sistemi di trasporto pubblico! Se si compie quella scelta, inevitabilmente aziende come la Viberti rischiano di scomparire per mancanza di domanda di questi mezzi.
Viceversa, penso che una prospettiva diversa potrebbe essere data dentro un quadro diverso del sistema dei trasporti legato ad una forma urbana equilibrata.
Il metrò che va dal punto A al punto B, lungo una linea, organizza una forma urbana con attività concentrate e quindi investimenti che generano ricchezza lungo una sola linea a scapito di altre parti urbane specialmente le periferie.
Se viceversa l'idea di città che si intende costruire è un'idea che fa leva su più poli urbani, in concorrenza tra loro, con qualità urbane elevate, è necessario un progetto di organizzazione più equilibrata del territorio, che richiede investimenti in mezzi di trasporto flessibili che spostano persone e cose in modo ramificato all'interno del territorio di una città più equilibrata, decongestionata dal centro e vivificata nelle periferie.
Ho fatto solo un breve accenno, Assessore, per dire che non possiamo affrontare positivamente problemi che sembrano locali se non si inseriscono in un progetto politico di governo delle aree urbane, che la Giunta regionale non ha, perché il piano dei trasporti giace chissà dove. Altri interessi portano avanti un progetto politico in direzione opposta assorbendo e concentrando tutte le risorse.
Se sarà così, per la Viberti rimarrà poco e, rimanendo poco, si potrà fare solamente azioni di difesa dell'occupazione che, in questo modo, temo venga ridotta nel tempo.
Mancata risposta ad interrogazioni.



PRESIDENTE

Propongo di rinviare tutte le interrogazioni ed interpellanze richiamate a norma di Regolamento in materia di sanità, in quanto l'Assessore non è presente.
La parola al Consigliere Rabellino.



RABELLINO Renzo

Non so se qui stiamo giocando o meno. Noi gentilmente abbiamo già rinviato due o tre volte quando c'era la presenza dell'Assessore. Poich l'Assessore c'è, in quanto gli abbiamo anche parlato per altre questioni...



PRESIDENTE

Innanzitutto le assicuro che non sono qui per giocare, perché mi piace farlo in altre sedi qualora lo decida. Ho detto che l'Assessore Maccari non c'è, perché prima lo stesso mi ha comunicato che usciva dal palazzo.
La Presidenza si impegna a comunicare all'Assessore Maccari l'esigenza di rispondere, magari questo pomeriggio, a questo punto presentato dalla Lega Nord.


Argomento: Varie

Commemorazione del giudice Giovanni Falcone, della moglie e degli agenti della scorta.


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, la mafia ha eseguito un'altra sentenza: Giovanni Falcone, un giudice onesto, un uomo serio e rigoroso, assassinato per aver dimostrato che la mafia si può colpire e combattere. E con lui la moglie anch'essa magistrato determinato, impegnato nella lotta alla criminalità gli agenti della scorta che avevano scelto, per senso del dovere e per profonda stima nei confronti di Falcone, di proteggerlo e seguirlo in una rischiosissima esistenza.
Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, i tre agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifano sono stati trucidati dalla mafia che vuole dimostrare con atti di spaventosa violenza, con tecniche raffinate e moderne che essa comanda, che essa uccide i suoi avversari, che le condanne della mafia vengono sempre eseguite.
Questa strage apre di nuovo inquietanti interrogativi sulle collusioni che possono esistere con parti del mondo politico. E rende i fatti già tragici ancora più allarmanti.
E' un altro attacco violento allo Stato; è una sfida a tutte le istituzioni, alla coscienza civile del Paese di cui noi tutti insieme dobbiamo essere garanti.
E' una sfida tanto più grave perché cade in un momento in cui la sfiducia è forte, la credibilità del mondo politico è minata, la protesta della gente si è levata alta non solo nell'ultima consultazione elettorale ma è quotidianamente palpabile, troppo sovente è giusta.
Rendiamo omaggio al magistrato, a sua moglie, agli agenti della sua scorta non solo con il minuto di silenzio che scenderà su quest'aula ma, ne sono convinta, con un rinnovato impegno di lavoro. Fuori dalla retorica fuori dalle parole ormai logore, se un segnale concreto vogliamo dare certo possiamo farlo dando testimonianza noi stessi, consapevoli che da questo Consiglio siamo più vicini alla gente e ad essa rispondiamo che si può con onestà ed impegno lavorare giorno dopo giorno per ricucire uno strappo con la società civile.
Dobbiamo appoggiare con ogni mezzo l'azione di chi lotta contro la criminalità organizzata in tutte le sue forme e primo fra tutti il gigantesco, maledetto, affare della droga.
Prendiamo consapevolezza che è nostro dovere lavorare senza cedimenti perché mai più qualcuno abbia a vergognarsi di essere cittadino di questo Paese, perché torni la certezza che ad essere più forte è lo Stato, a nessuno più la criminalità mafiosa possa imporre ricatti, intimare silenzi.
La mafia, la criminalità organizzata ha fatto un salto di qualità nell'uso di tecniche e sistemi raffinati; le istituzioni, le forze politiche devono fare un salto di qualità nel ritrovare valori antichi. E' questa una grande sfida, una sfida che si vincerà solo alzando il nostro senso morale come la gravità della situazione richiede. Allora si potrà dire che il sacrificio delle vite che oggi piangiamo non è stato vano allora daremo a questo sacrificio la grandezza che merita.
Si deve chiudere la pagina dei cedimenti, delle mezze misure, delle ipocrisie di facciata, delle incertezze, dell'assuefazione a tutto, dei veti incrociati, del cinismo eretto a sistema di governo.
Non è più il tempo delle parole, si impone concretezza ed efficienza.
Ognuno rinunci a qualcosa, per non perdere tutti assieme tutto.
Le istituzioni devono ritrovare la loro piena autonomia ed il rispetto della gente.
Noi stessi singolarmente dobbiamo rifarci al senso più alto della rappresentatività popolare, far rispettare il nostro ruolo, difendere con il nostro comportamento corretto e onesto, nei fatti e nell'operato, le istituzioni che rappresentiamo. Saper essere punto di riferimento per un'opinione pubblica già scossa ed ora profondamente ferita da questo nuovo terribile episodio.
Ci vuole determinazione, coraggio, un ritrovato orgoglio.
Questi morti, consapevoli nella loro vita giorno per giorno del rischio grave che la lotta alla mafia comportava, ci chiedono di continuare nelle nostre vite e nella nostra azione istituzionale la loro battaglia contro la sopraffazione e il crimine.
Sono certa di interpretare i vostri sentimenti ed il vostro impegno: faremo la nostra parte anche in omaggio alla loro memoria.



(I presenti, in piedi, osservano un minuto di silenzio)


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 7) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Coppo, Leo e Majorino.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento: Distributori carburante

Proseguimento esame testo unificato delle proposte di deliberazioni n. 347 e n. 387: "Modifica delle norme di attuazione del Piano regionale di razionalizzazione della rete distributiva carburanti per uso autotrazione"


PRESIDENTE

Passiamo al punto 8) all'o.d.g. che prevede il proseguimento dell'esame del testo unificato delle proposte di deliberazione n. 347 e n. 387.
Sono stati presentati alcuni emendamenti.
1) Emendamento presentato dai Consiglieri Foco, Bosio e Monticelli: alla tavola 1, allegata alla deliberazione, il numero massimo degli impianti ammissibile per il Comune di Limone Piemonte viene portato da due a tre.
La parola all'Assessore Vetrino.



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Colgo l'occasione per aggiornare il Presidente del Consiglio di quanto è avvenuto nella scorsa seduta. Sulla mia relazione si è sviluppato un dibattito attorno a questo tema e ci siamo arenati di fronte alla richiesta dei Consiglieri che oggi è stata formalizzata attraverso questo emendamento. In un primo tempo, avevo dimostrato la non volontà della Giunta di accedere a questo emendamento, nel senso che mi sembrava strano che in sede d'aula si accedesse a modificare il piano che sarebbe passato da 2.500 a 2.501 impianti senza motivazioni o comunque senza che da parte della Giunta ci fosse stata la possibilità di un approfondimento della situazione. Ciò soprattutto per evitare di creare delle situazioni contraddittorie all'interno di questo piano che - ripeto - prevede 2.500 impianti di distribuzione carburanti che, con la richiesta di emendamento che è stata formulata, passerebbe a 2.501.
Mi ero anche riservata di fare un'indagine sui Comuni di confine.
Attraverso questa indagine, è stato rilevato che nei nove Comuni presi in esame (Cannobio, Re e Trasquera in provincia di Novara; Clavière Bardonecchia e Moncenisio in provincia di Torino; Argentera, Limone Piemonte e Vinadio in provincia di Cuneo), l'unico che verrebbe penalizzato è effettivamente - come era stato evidenziato - il Comune di Limone Piemonte. Vorrei dire comunque che l'indicazione di due distributori sul territorio di Limone, che è quanto prevede in questo momento la nostra tavola, non è stata individuata con i bussolotti, ma è il risultato di parametri che sono stati applicati per tutti i Comuni. Di fronte a questa richiesta di emendamento, se il Consiglio intende introdurre il criterio di una valutazione specifica per i Comuni posti alla frontiera bisogna riconoscere che Limone Piemonte è l'unico caso, quindi non si crea un precedente, ma si fa per così dire un'eccezione. Pragmaticamente dichiaro che condivido questa richiesta, questa eccezione, perché è suffragata dal criterio della frontiera; diverso sarebbe se ci mettessimo ad esaminare tutto il piano ed introducessimo criteri che consentissero a tanti altri Comuni, che magari si sentono penalizzati da questo piano, di trovare un criterio per essere introdotti. In un certo senso, quindi, questa eccezione, essendo suffragata da questo criterio, è legittima.
Aggiungo ancora che queste tavole sono purtroppo estremamente provvisorie. Infatti, a livello ministeriale è in corso una grandissima revisione di questa ristrutturazione, ai sensi della vigente legge dello Stato. Ritengo quindi che molto presto dovremo ritornare su queste tavole probabilmente con una scure più pesante di quella che stiamo usando in questo momento.
Pertanto, l'eccezione che viene proposta per il Comune di Limone, alla luce della verifica fatta sugli altri Comuni di frontiera, è accettata dalla Giunta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

L'Assessore Vetrino ha detto che gli altri Comuni non sono stati toccati dal punto di vista delle previsioni di impianto di distribuzione carburanti. Nell'elenco allegato alla deliberazione non ho trovato tutti i Comuni citati, non so quindi se quelli non citati siano Comuni per i quali non è prevista alcuna variazione.
Il Comune di Vinadio, però, passa da due distributori ad un distributore.



VETRINO Bianca, Assessore regionale

No, resta a due.



CHIEZZI Giuseppe

Cosa significa allora il n.1 riportato nella prima colonna?



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Sta ad indicare il minimo previsto, mentre la seconda colonna indica il numero di impianti proposto, quindi resta a due.



CHIEZZI Giuseppe

La colonna del minimo che cogenza ha?



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Vuol dire che come minimo devono avere quelli, ma possono averne due.



CHIEZZI Giuseppe

Però sta alle società distributrici tenerlo?



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Sì, sta al mercato.



CHIEZZI Giuseppe

Nel caso di Limone Piemonte in che situazione si andrebbe?



VETRINO Bianca, Assessore regionale

In questo momento Limone ne ha quattro; la proposta di piano ne prevedeva due, c'è ora la richiesta di passare a tre, perché il dimezzamento sembra eccessivo rispetto alle esigenze di mercato e sociali di questa comunità.



CHIEZZI Giuseppe

Quindi si ha nella colonna del minimo il n. 1, in quella proposta il n.
3 e nel massimo il n. 4?



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Sì.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Garino che interviene in qualità di Consigliere.



GARINO Marcello

Intervengo semplicemente per ringraziare l'Assessore Vetrino. Dopo la discussione che era stata introdotta dal collega Riba, il quale aveva portato delle utili argomentazioni per richiedere non già un cambiamento dei criteri adottati (peraltro molto correttamente impostati), male specifiche ragioni che inducevano a considerare la possibilità di vedere per Limone un'eccezione, peraltro suffragata da dati, mi ero permesso di far pervenire all'Assessore Vetrino una mia nota nella quale condividevo queste considerazioni. Sono felice che sia stato così anche per il giudizio che l'Assessore ha dato oggi.



PRESIDENTE

Il Consigliere Riba si riconosce nelle parole cuneesi che gli sono accanto?



RIBA Lido

Perfettamente.



PRESIDENTE

Chiede di intervenire per dichiarazione di voto il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Il nostro Gruppo si astiene su questo emendamento perché ha qualche perplessità su quanto ha ascoltato. Si tratta di capire se il costo minore di carburante all'estero determina un trasferimento dei flussi di utenza all'estero; è difficile farlo ricadere esattamente su questo o quel distributore, su questa o quella località. Non credo che siano i fruitori di Limone che beneficiano di questa specificità, ma alcuni flussi di traffico.
Poiché qui si sono citati alcuni Comuni della Valle Susa, sarebbe il caso che qualcuno, che si occupa di carburanti con tanta saccenza, sapesse che il Comune di Moncenisio è indifferente ai punti vendita, perché non li ha mai avuti, e che i confini che ha con il Moncenisio sono attraverso le capre, che tutto usano meno che gli idrocarburi. Altrettanto vale per l'Alta Valle Susa; il bacino interessato non è sicuramente Clavière, ma il problema eventualmente si pone su aree più arretrate.
A me sembra difficile immaginare che si possa ritenere che alcuni distributori entrano in mercato o meno in conseguenza della fluttuazione dei prezzi degli idrocarburi.
Non abbiamo alcuna obiezione a che questo emendamento venga accolto; ci asteniamo, perché abbiamo l'impressione che la costruzione di questo consenso da parte della Giunta sia stata quanto meno barocca.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'emendamento n. 1).
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 26 voti favorevoli e 4 astensioni.
2) Emendamento presentato dai Consiglieri Foco, Bosio e Monticelli: all'art. 27, terzo capoverso, aggiungere le parole "ed avere una capacità di stoccaggio superiore a mc 10".
La parola all'Assessore Vetrino.



VETRINO Bianca, Assessore regionale

La Giunta è contraria e i Consiglieri conoscono perfettamente le motivazioni.
Con la predisposizione di un Regolamento, recuperiamo la possibilità di verificare; nell'art. 27, infatti, si aggiunge il comma: "La Giunta regionale fissa, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente provvedimento, sentita la Commissione consultiva regionale carburanti, i requisiti minimi necessari per il rilascio di rinnovi e nuove autorizzazioni".
Non credo di dover rifare tutto il dibattito che si è svolto in Commissione, anche per arrivare a concordare su questi requisiti minimi necessari per il rilascio dei rinnovi e nuove autorizzazioni. Comunque, i Consiglieri sanno qual è la posizione della Giunta sin dal momento del dibattito in Commissione.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'emendamento n. 2).
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' respinto con 10 voti favorevoli, 24 contrari e 5 astensioni.
3) Emendamento presentato dai Consiglieri Foco, Bosio e Monticelli: all'art. 28, comma quinto, primo capoverso, aggiungere le parole "ad eccezione di quella relativa alla capacità di stoccaggio minimo".
La parola all'Assessore Vetrino.



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Questo emendamento è la diretta conseguenza dell'emendamento precedente, che è stato respinto; evidentemente anche questo non può che essere respinto.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'emendamento n. 3).
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' respinto con 8 voti favorevoli, 21 contrari e 5 astensioni.
4) Emendamento presentato dai Consiglieri Foco, Bosio e Monticelli: all'art. 28, comma sesto, terza riga, dopo le parole "art. 27" aggiungere le parole "ad eccezione di quella relativa alla capacità di stoccaggio minimo".
La parola all'Assessore Vetrino.



VETRINO Bianca, Assessore regionale

Vale il discorso di prima.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'emendamento n. 4).
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' respinto con 8 voti favorevoli, 21 contrari e 5 astensioni.
Se non ci sono dichiarazioni di voto, pongo in votazione la deliberazione così emendata, il cui testo verrà trascritto nel processo verbale dell'adunanza in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 21 voti favorevoli, 5 contrari e 10 astensioni.


Argomento: Fondi sanitari

Interpellanza n. 833 dei Consiglieri Farassino, Rabellino e Vaglio inerente l'USSL n. 58 di Cuneo


PRESIDENTE

Passiamo ad esaminare l'interpellanza n. 833 richiamata in aula dal Gruppo Lega Nord, ai sensi dell'art. 89, comma nono, del Regolamento consiliare, di cui al punto 4) all'o.d.g. Risponde l'Assessore Bergoglio.



BERGOGLIO Emilia, Assessore regionale

La risposta relativa all'interpellanza, per una serie di circostanze non volute da parte dell'Assessorato all'assistenza, era stata, in un primo momento, avviata dall'Assessorato alla sanità. Quest'ultimo aveva poi risposto che non era di sua competenza, quindi il ritardo è dovuto a tale disguido. Si tratta, in effetti, di quei problemi che sono a scavalco tra le competenze del settore dell'assistenza e quelle dell'Assessorato alla sanità.
L'interpellanza si riferisce in particolare al finanziamento del settore socio-assistenziale dell'USSL di Cuneo, che aveva a suo tempo dato una serie di problemi comparsi anche sui giornali e che sono stati oggetto di attenzione, di incontri e di impegno da parte dell'Assessorato. Si è comunque arrivati ad un'ipotesi di soluzione anche con la collaborazione del Comune di Cuneo che si è attivato in prima persona per sopperire, in qualche modo, a queste difficoltà.
Noi abbiamo assegnato all'USSL di Cuneo, negli anni 1989, 1990 e 1991 rispettivamente le somme di L. 1.009.000.000 (tralascio i rotti), L.
846.000.000 e L. 900.000.000. Come si può rilevare, c'è un calo dal 1989 al 1990 dovuto al taglio consistente del bilancio regionale che, ricordo ai colleghi, aveva subìto un abbattimento del 40% nelle spese correnti dovuto al calo dei fondi statali; nell'ambito dell'assistenza, il calo era stato contenuto intorno a178%, come scelta della Giunta in quella fase. Nell'anno successivo, cioè nel 1991, l'importo era risalito a 900 milioni, mantenendo la base dell'anno precedente maggiorata del tasso programmato di inflazione.
Nella realtà dell'USSL di Cuneo c'era poi stato - mi riferisco agli anni 1989/1990, con una ricaduta nel 1991 - un utilizzo dell'avanzo di amministrazione per l'attivazione di nuovi servizi. Come è noto, gli avanzi di amministrazione sono fondi avanzati nel periodo precedente e che, nel caso specifico, sono stati utilizzati dall'USSL a scavalco degli anni 1989 e 1990. E' chiaro che, trattandosi di avanzi di amministrazione, non sono fondi ripetibili o che rientrino nel ciclo normale della spesa corrente, ma sono una tantum e straordinari, dovuti al fatto che negli anni precedenti l'USSL di Cuneo non aveva speso tutti i fondi che le erano stati assegnati e quindi non aveva attivato questi servizi.
Avendo utilizzato questo avanzo di amministrazione, chiaramente lo sviluppo dei servizi negli anni 1989/1990 è stato notevole, anche se poi non ha trovato riscontro nel finanziamento, che non era previsto da parte della Regione, la quale, invece, ha il programma di attività che ho prima ricordato.
Abbiamo avuto, ripeto, numerosi incontri con l'Amministratore straordinario per verificare la possibilità di continuare a gestire i servizi attivati con il contributo e la collaborazione dei Comuni interessati, in particolare del Comune capofila che nella fattispecie è il Comune di Cuneo; ciò tenendo conto che la legge n. 142, notoriamente, ha trasferito, ritrasferito e ribadito il compito dei Comuni in materia di servizi socio-assistenziali.
Si può quindi considerare l'attività della Regione in questa materia come un'attività che garantisce un congruo finanziamento di una parte di questi servizi nonché il mantenimento di un ruolo di programmazione e di attivazione di nuove esperienze e nuove risorse; non può essere considerato ruolo della Regione quello di un pagamento a pie' di lista di spese che le UU.SS.SS.LL. per conto dei Comuni hanno attivato. Va anche, ricordato in questa sede che la nostra legge n. 44/91 ribadisce questi concetti attraverso la costituzione dell'assemblea dei Sindaci rappresentanti di tutti i Comuni delle UU.SS.SS.LL. e dà a questo organismo, previsto anch'esso dalla legge n. 142/90, compiti di indirizzo, di orientamento, di programmazione, di controllo e soprattutto di assunzione di responsabilità per quanto riguarda la nuova spesa o l'incremento della spesa. Non è più la Regione o l'USSL che decide nel merito degli incrementi di spesa o delle riduzioni di spesa, ma sono i Comuni rappresentati in questa assemblea.
Desidero ribadire che è competenza e compito dell'Assessorato la verifica ed il controllo; in questo senso abbiamo attivato dei sistemi di controllo dei bilanci del socio-assistenziale anche per verificare se c'è corrispondenza tra l'entità della spesa e la dimensione dei servizi resi per evitare che in queste aree si possano ritrovare degli elementi di spreco o di spesa non eccessivamente ben utilizzata. Abbiamo inoltre attivato come Assessorato una serie di incontri con le singole UU.SS.SS.LL per individuare le linee di programmazione di questi interventi, in modo che ci sia una certa omogeneità tra le varie UU.SS.SS.LL. Va infine ricordato, ed è un appello che rivolgo non soltanto ai singoli interpellanti, ma al Consiglio regionale nella sua globalità, che l'Assessorato regionale all'assistenza non può che essere d'accordo con una linea di scelta politica che privilegi come scelta prioritaria l'intervento nel settore socio-assistenziale. In conclusione, raccomando al Consiglio e a tutte le sue componenti una collaborazione in questo sforzo che fa l'Assessorato per ampliare le risorse su questa materia. Al di là di queste perorazioni, posso distribuire alle UU.SS.SS.LL. soltanto i fondi che nel bilancio regionale sono assegnati per questa partita, che sono le somme che all'inizio ho ricordato e che ovviamente non sono sufficienti allo stato degli atti a garantire un grande sviluppo dei servizi; sono però un contributo significativo perché tutti facciano la loro parte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rabellino.



RABELLINO Renzo

Mi fa piacere che l'Assessore abbia invitato il Consiglio ad essere più attento su queste tematiche. Penso però che questo discorso debba essere fatto innanzitutto dalla Giunta; è la Giunta che ci prepara un bilancio non penso che soprattutto le opposizioni possano intervenire in un discorso di questo tipo.
In merito alla nostra interpellanza, penso che il fatto di dare grande responsabilità ai Comuni in questa materia sia un'occasione per far sì che questi servizi vadano via via scomparendo. Conosciamo tutti quali sono i bilanci dei Comuni e quali sono le loro entrate, che chiaramente non possono destinare grosse cifre o addirittura non possono destinare alcuna cifra per questi servizi, perché vi sono sicuramente dei servizi già attivati da tempo che a malapena riescono ad essere coperti da questi bilanci. E' chiaro che dovremmo andare a rivedere il discorso della tassazione. Fin quando noi non riusciremo a trattenere le tasse pagate, è chiaro che assisteremo a questo scempio a livello di servizi attivati, che non potranno sicuramente durare a lungo con un tipo di politica di questo genere. Non possiamo quindi che prendere atto di questa volontà e di questa realtà, che non è sicuramente solo volontà politica della Giunta regionale ma è un discorso che purtroppo investe tutto lo Stato italiano, per cui non possiamo sicuramente ritenerci soddisfatti di questo sistema di gestire una certa forma di assistenza.


Argomento: Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione) - Beni ambientali - tutela del paesaggio (poteri cautelari, vincoli

Esame testo unificato dei progetti di legge n. 23 e n. 105: "Attuazione del DPR n. 1751/88 relativo al recepimento della direttiva CEE n. 82/501 inerente i rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali. Disciplina delle funzioni di competenza regionale"


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del testo unificato dei progetti di legge n. 23 e n.105, di cui appunto 10) all'o.d.g.
Relatore è il Consigliere Bresso, che ha pertanto la parola.



BRESSO Mercedes, relatore

Dovrò prendere qualche attimo, perché si tratta di un adempimento di grande importanza per la Regione Piemonte, atto dovuto fin dal dicembre 1990, data in cui scadevano i termini per la presentazione delle dichiarazioni relative a questa norma sul rischio rilevante, data entro la quale la Regione si sarebbe dovuta dare un'organizzazione per gestire questa materia. Cos'è la legge n. 175 che recepisce la direttiva Seveso? Quando avvenne l'incidente di Seveso, che molti di noi ricorderanno, si verificò non solo un incidente industriale di rilevanti proporzioni, ma emerse come i lavoratori e le popolazioni abitanti nell'area non fossero minimamente al corrente dei rischi che comportavano le lavorazioni che venivano effettuate nello stabilimento; quindi al momento dell'incidente nessuno sapeva cosa fare: non c'era un'organizzazione dei servizi di emergenza, né interni né esterni allo stabilimento. La direttiva Seveso nasce da questo, dalla consapevolezza che in Europa ci sono decine di migliaia di aziende in cui possono avvenire incidenti rilevanti; nel mondo c'è addirittura un censimento, di cui dispone la stessa ENI, di tutti gli incidenti avvenuti e di cosa succede nel corso di questi incidenti.
A fronte di questo, la Comunità europea aveva ritenuto necessario dettare delle norme che riguardano sia l'analisi del rischio presso le aziende, sia le misure di emergenza interne ed esterne allo stabilimento da prendere nel caso l'analisi del rischio con le relative misure di sicurezza non abbia prodotto i risultati sperati, che sono ovviamente quelli di non fare avvenire l'incidente. Quindi la direttiva e la legge italiana di recepimento agisce su tre livelli: da una parte la minimizzazione del rischio, dall'altra le misure di sicurezza interne (perché non riguarda solo i processi produttivi, ma riguarda le modalità con curi processi produttivi si svolgono), e infine la sicurezza esterna, attraverso l'organizzazione di piani di emergenza esterni e l'informazione a lavoratori e cittadini coinvolti in questi processi. Le Regioni hanno competenza rilevante in questa materia, perché le aziende a rischio sono classificate in due grandi gruppi; un primo gruppo che deve presentare una notifica al Ministero dell'Ambiente che comprenda tutta l'analisi del rischio e le misure di sicurezza predisposte. Si tratta delle aziende ad altissimo rischio di incidente; esiste un secondo gruppo di aziende a rischio di incidente rilevante, inserite nella seconda categoria di rischio, che deve presentare una dichiarazione presso le Regioni. Questa seconda dichiarazione doveva essere ed è stata effettuata entro il dicembre 1990 e ha dato origine ad una settantina di dichiarazioni presentate alle Regioni.
Competenza regionale è quella di eseguire l'istruttoria, dettare eventuali modifiche degli impianti di sicurezza, dopodiché provvedere alla gestione degli aspetti esterni di questa sicurezza, come l'informazione ai cittadini, ai lavoratori e alle autorità tenute a compiere certe funzioni nel caso in cui si verificasse un incidente.
Inoltre, la Regione ha competenze anche relativamente alla gestione della parte principale delle aziende ad alto rischio, quella relativa alle notifiche; la Regione infatti riceve le notifiche da parte del Ministero e deve provvedere al controllo del rispetto delle, prescrizioni fatte dal Ministero stesso alle aziende. Quindi, ha di nuovo compiti rilevanti e collabora con il Prefetto nella gestione delle misure di emergenza. Compiti rilevanti che dovevano essere recepiti in una norma, di cui la II Commissione, in collaborazione con la III e la IV, ha lungamente discusso erano stati presentati un progetto di legge del Gruppo PCI-PDS e Verdi e un disegno di legge della Giunta regionale con notevoli somiglianze fra loro.
Le divergenze erano su alcuni aspetti organizzativi, per cui le Commissioni congiunte hanno proceduto all'unificazione del progetto e del disegno di legge. Credo si sia arrivati ad un testo di notevole efficacia, anche se questa è una materia nuova per tutti, quindi una legge in questa materia non può che essere una legge sperimentale che potrà, anche in corso d'opera, necessitare di sistemazione ed adattamenti.
L'iter seguito dalle Commissioni è stato ulteriormente allungato perché, giunta in aula la legge, era stata presentata una serie di emendamenti che, dato il carattere tecnico e molto delicato della norma, si è preferito ridiscutere e verificare in sede di Commissione per evitare un rischio che spesso corriamo con le leggi modificate in maniera significativa in aula, cioè quello di non coerenza fra le diverse parti della legge.
In questo caso, la II Commissione, cui è stata riattribuita la competenza, ha provveduto alla verifica degli emendamenti proposti e ha prodotto un testo con alcune modifiche di cui adesso riferirò in modo puntuale. Questa parte, in cui elencherò le caratteristiche principali della legge, comprende già le modifiche avvenute in sede della seconda discussione della norma in Commissione, che segnalerò in maniera precisa analizzando la legge nei suoi aspetti principali.
Le caratteristiche salienti della proposta di legge che portiamo in Consiglio riguardano l'istituzione presso la Giunta regionale, in particolare presso il Servizio Protezione Civile, di una unità flessibile che si avvale delle competenze presenti nei diversi Assessorati; unità flessibile che dovrà gestire tutte le numerose competenze che la legge attribuisce alla Regione.
Il secondo punto che viene dalla seconda lettura assegnata alla Commissione della legge è la creazione di un Comitato tecnico-scientifico presso la Giunta regionale, che ha come compiti il supporto dell'attività istruttoria e che permette di acquisire alla Giunta le competenze necessarie che, dalla verifica effettuata sulla situazione esistente come personale, è risultata assolutamente necessaria. Il personale disponibile con le competenze necessarie, non avendo finora la Regione mai svolto compiti precisi in questo campo, non esiste; quindi in particolare il compito di istruttoria delle dichiarazioni dovrà necessariamente essere almeno in una prima fase, affidato a competenze esterne. Questo Comitato tecnico rappresenta il modo per la Giunta di acquisire le necessarie competenze tecniche che sono delicate e peraltro non abbondanti nemmeno nel territorio piemontese, perché questa norma è nuova nella sua gestione e nella sua concezione.
Il punto successivo riguarda l'istituzione di conferenze provinciali, a livello di una o più province, nel caso una provincia abbia poche aziende classificate a rischio. Tali conferenze sono incaricate di esaminare le dichiarazioni e i piani di emergenza e di stabilire, al fine della loro corretta gestione, tutti i coordinamenti operativi con il Prefetto per le aziende che devono fare un piano di emergenza esterno e, in generale, con tutte le autorità preposte alla gestione della sicurezza in caso di incidente, oltre che naturalmente coordinare gli organi regionali nelle istruttorie ove lo si ritenga necessario.
Il punto successivo, che rappresenta la novità assoluta della legge regionale rispetto alle poche leggi di altre Regioni italiane finora approvate, riguarda l'istituzione di un osservatorio permanente, che dovrà essere compito del Consiglio istituire in concreto nel corso dei prossimi mesi. Questo ha il compito di svolgere ricerche sulla sicurezza negli ambienti di lavoro e sulla riconversione ecologica dell'apparato produttivo piemontese, al fine di avviare effettivamente e non solo sulla carta l'attività di prevenzione dei rischi e dei danni ambientali. Sappiamo che il rischio, prima di tutto, occorre cercare di prevenirlo prima di intervenire a posteriori per minimizzare i danni, e occorre cercare di evitare che il rischio si traduca effettivamente in un incidente, quindi attraverso degli studi e degli interventi, rendere minimo il rischio connesso all'attività industriale. Questo sarà un compito, ma il compito dell'osservatorio si allarga a tutta la complessa e più vasta partita della sicurezza ambientale che non è solo la sicurezza relativa al caso di incidente, ma anche alle emissioni a norma o non a norma da parte delle attività produttive. Quindi, il rischio ambientale in senso più ampio.
Anche l'osservatorio costituirà un importante supporto tecnico per lo svolgimento dei propri compiti. L'osservatorio è, tra l'altro, strettamente connesso e probabilmente verrà concretamente istituito e definito nella sua struttura alla fine dei lavori della Commissione speciale sulla riconversione ecologica piemontese, che è stata istituita nell'arco di tempo che è passato dalla presentazione di questi progetti di legge.
Nell'ultima versione della legge si è tenuto conto della necessità di collocare i lavori della Commissione con l'istituzione di questo osservatorio. Segnalo anche che nella composizione delle conferenze provinciali entrano rappresentanti degli imprenditori, dei sindacati, delle associazioni ambientaliste, garantendo un livello maggiore di coinvolgimento di tutti i soggetti interessati nella gestione del rischio industriale, maggiore anche rispetto al testo della legge nazionale n. 175 che, pur avendo come compito quello dell'informazione e partecipazione del pubblico e dei soggetti interessati, su questa parte era rimasta molto generica. Evidentemente, queste sono tipiche competenze da Regione, la quale ha un rapporto più diretto con il territorio che di un livello nazionale, che nella gestione dei fenomeni partecipatori ha delle invitabili carenze.
Viene anche assicurata, attraverso la legge, la costituzione di un servizio di pronto intervento presso i laboratori di sanità pubblica, che deve predisporre tutte le misure necessarie per fronteggiare le eventuali situazioni di emergenza che derivassero dal realizzarsi di incidenti.
Da ultimo, viene prevista la creazione di un sistema informativo che gestisca tutte le informazioni relative alle aziende a rischio; predisponga banche dati, modelli di simulazione sul rischio industriale e sulla sicurezza. Anche questa parte è di grande rilevanza, perché la disponibilità delle banche dati che esistono a livello mondiale, spesso di proprietà di aziende o soggetti che mettono a disposizione, solo attraverso precisi accordi economici, la propria documentazione sulle conseguenze degli incidenti più rilevanti verificatisi, in aziende del tipo di quelle presenti sul territorio, è uno degli aspetti fondamentali per poter fare buona prevenzione. Sapere che tipo di incidenti si sono verificati nelle aziende simili a quelle piemontesi in altri territori permette effettivamente, di mirare in maniera più precisa ed approfondita le misure di sicurezza e le organizzazioni dei servizi di emergenza. Un incidente del tipo di quello dell'ICMESA di Seveso oggi sarebbe molto più facile da gestire perché, evidentemente, c'è la conoscenza precisa della dinamica dell'incidente stesso, quindi è una cosa di grande importanza disporre di questa conoscenza che permette di progettare al meglio l'intervento.
Il testo che vi presentiamo ha avuto una larga maggioranza in sede di Commissione e credo sia il prodotto di un lavoro molto fecondo anche se molto difficile, perché la materia è di grande complessità tecnica. Ci rendiamo conto che proprio perché la materia è di grande complessità tecnica può apparire complessa anche la norma, eppure vi assicuro che per chi si è chinato sulla questione non si tratta affatto di una norma complessa, ma di una norma che semplifica la materia e cerca di farla gestire da parte della Regione con la massima chiarezza e trasparenza nei confronti di tutti i soggetti chiamati a svolgere delle funzioni.
Al tempo stesso, si avvia, congiuntamente alla gestione del rischio, il più arduo processo di riconversione ecologica dell'apparato produttivo piemontese, materia che abbiamo ritenuto nostro dovere considerare all'interno di questa norma, proprio perché era già stata posta alla nostra attenzione con l'istituzione della Commissione di indagine di cui quindi questa proposta costituisce, in parte molto piccola, un primo prodotto.
Mi scuso di aver preso un po' di tempo, ma credo fosse necessario chiarire i termini del lungo e complesso lavoro che, con sacrificio di tutti i Commissari, è stato svolto in Commissione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Fiumara.



FIUMARA Francesco

Grazie Presidente, siamo convinti che la soluzione di ogni problema ecologico vada concertata attraverso uno strumento legislativo e politico che assicuri la massima omogeneità normativa nel più vasto territorio possibile. Da questa consapevolezza nasce la direttiva CEE n. 82/501 sui grandi rischi industriali, conosciuta meglio come "Direttiva Seveso" dove sono, a grandi linee, esplicitati diritti e doveri riguardo la prevenzione del "rischio di incidente rilevante".
La gamma dei rischi nell'attività produttiva è molto vasta. La prevenzione dei rischi collegati all'attività industriale fa parte quindi del dovere di sicurezza che spetta a chi ne ha le responsabilità ed è oltremodo, un dovere per il legislatore.
Tali incidenti diminuiscono nella misura in cui i Paesi industrializzati mettono in atto misure di prevenzione che salvaguardino l'ambiente e le persone, attivando iniziative articolate fra tutti gli organismi competenti (Stato, Regione, Province, Comuni, UU.SS.SS.LL.
ecc.).
La direttiva CEE è quindi la cornice entro la quale vengono fornite le linee guida per uno sviluppo normativo omogeneo all'interno degli Stati membri.
Il DPR 17/5/1988, n. 175, che attua la direttiva CEE n. 82/501, giunto assai in ritardo, consente la realizzazione di un programma capace di ridurre il rischio, di tutelare la popolazione e l'ambiente, esercitando il controllo sulle attività industriali a rischio.
I criteri con cui si può assegnare, ad un'attività industriale l'etichetta di "rischio rilevante" sono lo sviluppo incontrollato di un'attività industriale e il collegamento dell'attività con l'uso di sostanze pericolose, con particolare riferimento alle attività chimiche di processo, le quali rappresentano il principale destinatario delle direttive CEE.
Pertanto, al responsabile dell'attività produttiva sono imputati diversi obblighi disponendo che: siano assunte tutte le misure di prevenzione più idonee, individuando i momenti e i luoghi a rischio lungo tutto il percorso di produzione venga data la più ampia informazione si proceda all'addestramento ed equipaggiamento dei dipendenti.
E' fatto, inoltre, obbligo di notifica e di completa informazione in caso di incidente degli elementi fattuali e delle misure adottate sia per contenere le conseguenze dell'accaduto sia per evitare che analogo incidente possa verificarsi nuovamente.
La Regione, quale ente di programmazione e di legislazione, giustamente si è attivata per risolvere questo problema, stabilendo le norme che disciplinano le modalità di esercizio delle proprie competenze.
Al riguardo, i testi presentati d'iniziativa della Giunta e dei Consiglieri si sono ispirati alla legge regionale della Lombardia, che passa precisa ed esauriente anche in considerazione delle esperienze pregresse purtroppo negative. Pertanto, il progetto oggi all'esame del Consiglio è scaturito dal lavoro congiunto delle Commissioni II, III e IV attraverso la costituzione di un apposito gruppo di lavoro che ha operato con impegno alla stesura del testo, consentendo unita-rietà di intenti e di azione e realizzando compiutamente lo spirito della direttiva CEE e della legge nazionale di recepimento.
Il testo proposto intende incidere in maniera rilevante a che le paure e i timori diffusi di incidenti gravi, tipo Chernobyl, Seveso e Basilea non debbano più avvenire, perché eventi di questa natura hanno spesso effetto su scala internazionale.
I punti qualificanti di questa normativa prevedono: l'istituzione di un'unità flessibile a livello centrale, che si avvale delle competenze degli Assessorati competenti e del Servizio della protezione civile (art. 3) la creazione di un Comitato tecnico-scientifico per la sicurezza delle attività industriali a rischio, ma che svolge compiti consultivi nelle valutazioni tecniche di supporto alla Regione (art. 4) l'istituzione di Conferenze provinciali attivate ove necessario con compito di istruttoria, indirizzo e coordinamento con altri enti interessati, che vedono all'interno delle stesse la partecipazione e il coinvolgimento dei rappresentanti delle associazioni industriali, sindacali ed ambientaliste (art. 5) l'impegno e la garanzia da parte dei presidi di sanità e di igiene pubblica ad intervenire in situazioni d'emergenza dovute ad incidenti, in collaborazione con le autorità di protezione civile (art. 10) l'informazione puntuale, attraverso un sistema di gestione dei dati che consente successivamente di predisporre banche dati sui problemi della salute pubblica, del rischio industriale e della sicurezza dei cittadini nonché la possibilità da parte della Regione di individuare dei piani operativi di riconversione e localizzazione di impianti produttivi qualora non siano consoni con le norme di tutela dell'ambiente e della salute dai rischi delle attività industriali la promozione di un osservatorio permanente per la sicurezza degli ambienti, con il compito di svolgere ricerche, in particolare sulla sicurezza industriale e sulla riconversione ecologica in collaborazione con Atenei piemontesi, istituti di ricerca, enti ed associazioni (art. 15).
Pur se l'applicazione di questa nuova legge si scontrerà inevitabilmente con l'insuperata frammentazione di funzioni e competenze tra vari enti ed amministrazioni, è comunque da sottolineare come fatto importante che una Regione industriale come la nostra, particolarmente esposta a questi rischi, abbia voluto attivare una disciplina normativa di carattere specifico allo scopo di rispondere in maniera appropriata ad emergenze quali quelle che hanno originato la direttiva comunitaria.
Il progetto che è oggi all'esame del Consiglio regionale rappresenta non un punto di arrivo, ma di partenza per un'esperienza regionale piuttosto nuova, tenuto anche conto che il quadro normativo nazionale è già in fase di evoluzione e modifica. La Regione svilupperà la sua esperienza nell'attesa di conoscere gli intendimenti del Parlamento testè eletto e, se del caso, anche alla luce di quanto potrà verificare sul campo, provvederà ad eventuali aggiornamenti ed affinamenti delle norme.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente e colleghi, la legge che stiamo esaminando oggi, le sue finalità, le ragioni, l'importanza di un provvedimento di questo genere sono fuori discussione e sono - credo - condivise da tutti.
Alcune perplessità credo possano essere manifestate in ordine ai contenuti della legge stessa. Il DPR n. 175 al quale stiamo dando attuazione - l'ha detto pochi momenti fa il collega Fiumara - è oggi oggetto di riflessione in qualche misura critica, da parte del Parlamento rispetto alle scelte fatte in precedenza. Riflessione tendente e finalizzata non certamente ad un allargamento dei contenuti della legge quanto piuttosto ad una loro ridefinizione più contenuta, puntuale e mirata.
La legge regionale, seguendo una cultura che è ormai tradizione, ma che non ha sempre determinato miglioramenti legislativi, prende le origini da questo DPR. dalla legge della Regione Lombardia, che già ampliava il ruolo che il DPR attribuiva alle Regioni, e lo amplia ulteriormente creando nuove strutture, nuovi enti rispetto alla legge lombarda.
Bisogna cercare di intendere la portata e le dimensioni di tali rischi.
I rischi che prevedono una notifica, i gravi rischi di incidente industriale, sono - se i numeri sono giusti - circa quindici in tutta la Regione. Gli altri, quelli che non prevedono la notifica, sono una sessantina.
I numeri mi paiono minimi, anche se i rischi sono grandissimi. A mio giudizio, in una situazione di questo genere, sarebbe stato più opportuno creare una struttura piccola - perché non grandi sono le situazioni che devono esaminare - ma di grande professionalità, di grande competenza, di grande capacità di coinvolgimento degli enti locali, delle componenti sociali, della gente complessivamente.
Tanto più che tutti o quasi questi grandi rischi - che pur esistono sono sostanzialmente omogenei. Se consideriamo i tipi di industria di questa natura, scopriamo che coprono quasi tutte lo stesso settore industriale. Per quale ragione - mi sono chiesto - visto che abbiamo lamentato scarse professionalità e competenza rispetto a questi problemi così gravi e complessi e che si ritiene da parte di tutti utile e necessario creare degli organismi capaci di affrontare questi problemi anziché distribuirli sul territorio come si è fatto con le Conferenze provinciali, non si è preferito fare un qualcosa che desse unitarietà alle scelte fatte, visto che molte volte unitari sono i grandi rischi che abbiamo di fronte? Mi sono chiesto - e ho chiesto ai colleghi - che senso abbia prevedere nuovi organismi, non previsti dal decreto di attuazione in una materia che vede la Regione non molto coinvolta se non sul piano burocratico. Leggendo con molta attenzione il DPR n.175 ho avuto questa sensazione: che le competenze specifiche e puntuali della Regione siano essenzialmente delle questioni burocratico-amministrative più che questioni inerenti le competenze nella materia specifica.
In una situazione di questo genere, a .me sembrava e sembra che sarebbe stato più opportuno, proprio per dare anche omogeneità laddove ci fossero delle competenze che andassero al di fuori degli aspetti burocratico amministrativi, dare un'unitarietà di valutazione, di giudizi, di indicazioni rispetto all'intero territorio regionale.
Per quale motivo la legge che stiamo approvando doveva andare ad individuare nuove competenze e funzioni che nessuno aveva assegnato e dato e che possono provocare anche situazioni difficili? Mi riferisco in modo specifico e puntuale all'individuazione delle rilocalizzazioni di azienda.
Credo sia un potere e una facoltà, così come è espresso nella legge, che di fatto già esiste, perché poi non si dà alcun potere in particolare alla Regione in questa materia. E' una discrezionalità che già oggi l'Ente Regione ha, ma averlo inserito in una legge credo darà l'impressione di voler dare un peso più forte a questa attività.
Ho la sensazione che avere indicato questa possibilità di trattativa di incontri per la rilocalizzazione delle aziende potrà determinare atteggiamenti (non so da quale parte, forse da più parti) che ci possono creare nuovi problemi e nuove conflittualità.
Per questo motivo, il Gruppo repubblicano ha avuto qualche perplessità rispetto a questa norma, pur ritenendola una norma importante, una norma che è necessario attuare, ma che, a mio giudizio, avrebbe dovuto essere attuata in modo diverso, più scientifica, più rigorosa, più contenuta e meno allargata alla partecipazione che a volte, quando è eccessiva, è anche negativa.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavallera.



CAVALLERA Ugo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il nostro Gruppo ha partecipato attivamente in Commissione all'elaborazione del testo che stiamo discutendo.
Abbiamo incontrato anche noi parecchie difficoltà, perché si trattava di conciliare esigenze contrastanti. Abbiamo comunque ritenuto che vi era un interesse generale, quello della garanzia della sicurezza al più alto livello possibile, in un quadro di completa e dettagliata informazione dei rischi che sono connessi con l'attività industriale rispetto alle esigenze dell'attività produttiva che, in modo rilevante, si svolge nella nostra Regione.
Ebbene, credo che il testo che stiamo discutendo porti a sintesi queste due esigenze: l'interesse generale di vedere garantita la sicurezza e l'esigenza di svolgere, nel rispetto delle leggi e dopo avere adottato tutti gli accorgimenti che la tecnica moderna consente, l'attività produttiva nel caso di quelle attività che sono maggiormente a rischio.
Ovviamente si poteva fare meglio, qualche norma poteva essere scritta in modo diverso, ma mi sembra che la rilettura di questo provvedimento abbia consentito di affinare e di migliorare il testo sempre rispondendo a questo spirito.
Per questo respingiamo le osservazioni del Consigliere Ferrara, che ci sia consentito definire "l'eterno cacciatore dell'araba fenice", perché mi sembra che la sua impostazione vorrebbe ridurre la Regione ad un ruolo quasi di burocratico passacarte.
Certamente, con questa normativa abbiamo istituito e andiamo ad istituire qualche nuovo organismo, ma se non lo fa la Regione più industriale d'Italia, quello di porsi certi problemi e di dare ad essi delle risposte, mi sembra che non assolveremmo al nostro compito.
Comunque sono sempre stati presenti, durante tutta la discussione da parte di coloro che più assiduamente partecipavano ai lavori della Commissione, da un lato i presupposti che stanno alla base dell'emanazione della direttiva comunitaria e dell'approvazione della legge a livello nazionale, e dall'altro la necessità di prevedere delle procedure il più possibile snelle, procedure che appunto sburocratizzassero al massimo, pur nel rispetto dei passaggi che sono previsti dalle leggi nazionali, gli adempimenti a carico delle aziende.
Penso che in questo campo si debba comunque garantire il massimo della trasparenza e il massimo dell'informazione. Abbiamo già vissuto nella nostra Regione dei momenti di pericolo dal punto di vista di situazioni contemplate in questa legge che, per fortuna, non si sono poi tramutate in eventi disastrosi per la popolazione. Pensiamo all'incidente che si è verificato nello stabilimento dell'Ausimont o della Montefluos di Spinetta Marengo negli scorsi anni: ebbene, per fortuna, si è potuto intervenire da parte della direzione aziendale, poiché ricordo che l'incidente è stato affrontato e risolto da parte dell'azienda stessa. In quelle ore, non si sapeva bene se i fluidi che erano contenuti nei serbatoi di quello stabilimento potevano o meno esplodere e la popolazione circostante di migliaia e migliaia di persone era veramente con il patema d'animo soprattutto perché non vi era stata quella preventiva informazione che; con questo provvedimento, andiamo a rendere organica e obbligatoria attraverso l'elaborazione dei piani di emergenza che saranno sanzionati nelle conferenze che a livello locale sono previste. Conferenze che non sono state previste e non vengono previste come delle sovrastrutture o delle inutili bardature; addirittura si è prevista la possibilità di andare a delle conferenze interprovinciali. Noi ben sappiamo che la dislocazione di questi impianti a rischio non è omogenea su tutto il territorio regionale per cui ovviamente si dovranno costituire questi organismi, peraltro previsti in forma sicuramente snella.
Noi abbiamo creato la possibilità di un confronto tra la Regione e gli enti locali e tutte le rappresentanze degli organismi pubblici e dello Stato che hanno titolo e che devono intervenire in forma preventiva o nel momento dell'emergenza.
Di particolare importanza, secondo noi, è anche la costituzione del Comitato tecnico-scientifico e la previsione, in forma di previsione futura, dell'osservatorio sulla sicurezza degli impianti industriali, che colleghiamo molto all'attività della Commissione presieduta dal Consigliere Marchini, che sta appunto approfondendo l'impatto ambientale e l'eventuale riconversione ecologica del nostro apparato produttivo; Commissione ai cui lavori noi cerchiamo di dare, nel limite del possibile, il nostro apporto e nel corso dei lavori della quale si potrà anche definire meglio il ruolo di questo osservatorio.
Penso si debba dare atto a tutti coloro che hanno partecipato alla stesura di questo provvedimento del contributo, in termini di rinuncia magari delle proprie posizioni di parte, proprio per poter privilegiare l'incontro sui punti più importanti. I punti più importanti quali erano? Quelli che, a mio avviso, sono contenuti nella normativa.
Una normativa che cerca di dare attuazione alla cultura della sicurezza e, da un certo punto di vista, fa anche giustizia di un certo modo di demonizzare aprioristicamente certe attività produttive.
Sappiamo che ogni attività umana comporta un proprio rischio e sta a noi, classe dirigente pubblica, ma soprattutto sta alle aziende all'imprenditoria e al complesso produttivo del nostro Paese, andare verso soluzioni sempre più avanzate che concertino da un lato la produzione, e dall'altro il controllo degli effetti negativi che possono estendersi dall'industria al territorio.
Per quanto riguarda il nostro compito, ritengo che l'aver messo a punto una normativa che ha anche raccolto osservazioni che venivano dalla società civile, anche delle rappresentanze di quel mondo produttivo a cui questo provvedimento si rivolge, qualifichi il provvedimento stesso.
Per questo respingo certe osservazioni che, secondo me, sono superficiali, ed invito tutti i colleghi ad analizzare a fondo la normativa che stiamo approvando, certamente difficile dal punto di vista tecnico e dal punto di vista dell'articolazione; invece è un tentativo di collegare logicità, sicurezza e snellezza di procedure.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Presidente, colleghi, il provvedimento che stiamo per approvare in quest'aula è rilevantissimo, purché raggiunga l'obiettivo che si propone e non accentui i processi di deindustrializzazione che sta vivendo la nostra Regione. Ciò che manca a questa iniziativa legislativa è un punto d'appoggio e una parallela azione di politica industriale che favorisca quei processi di adeguamento dell'apparato industriale necessari a rispondere alle esigenze di sicurezza della comunità e dei lavoratori che vi lavorano.
Il ritardo nel campo di politica industriale a livello regionale e nazionale, per quanto riguarda il sostegno e la riconversione ecologica dell'apparato industriale, permane; dobbiamo quindi stare attenti che questo tipo di provvedimento non favorisca l'esportazione nel sud o nell'est del mondo di tecnologia - soprattutto nel settore chimico - che non viene poi riconvertita nella tecnica di processo, fuggendo dalle realtà con una legislazione molto vincolante.
Dovremmo anche vedere come la Germania si adegua alla direttiva Seveso sappiamo che la RFT ha la più alta concentrazione di industria chimica così come l'aveva quella occidentale prima dell'unificazione.
Il compito della Regione non è burocratico, ma potrebbe diventarlo e fare da passacarte. Il suo ruolo - ripeto - non è burocratico, perché ci sono alcuni compiti molto importanti. Per esempio, se la Conferenza uscisse fuori da quello che potrebbe essere definito un "gioca tra le parti", gli imprenditori consulterebbero il sindacato anche per i problemi in comune e non solo per quelli della sicurezza. Non solo, ma si sentirebbe anche il Sindaco del Comune dove sorge l'azienda, in quanto il Comune ha tutto l'interesse a che non ci sia una fuga o una riduzione dell'attività della stessa.
Dovremmo rendere la Conferenza un processo più forte, mentre la proposta mi pare leggermente riduttiva. Dovremmo recuperare l'azione portata avanti nel settore dello smaltimento di rifiuti, dove la Conferenza coinvolge un bacino di collettività, implicando non solo il Comune interessato al sorgere della discarica e la singola azienda. Lo dico anche alla collega Bresso che è stata relatrice: dovremmo pensare di coinvolgere tutti quei Comuni interessati dal piano di emergenza, oppure quelli che confinano con il Comune in cui sorge l'attività. Diversamente, mi sembrerebbe una Conferenza monca, nella quale si dibattono esigenze che non sempre pongono, in modo primario, il problema della sicurezza.
Un altro aspetto della vicenda che può evitare alla Regione il rischio di essere una pura struttura burocratica è l'unità flessibile, cioè quell'insieme di strutture multiassessorili che devono saper giocare un ruolo molto forte; è necessario che queste siano create rapidamente, ben strumentate, molto forti e prestigiose, in modo tale da costituire un elemento capace d'incalzare le situazioni e non semplicemente di fare pratica burocratica.
Potrebbe diventare un elemento rilevante, purché l'istituzione dell'ennesimo osservatorio non diventi un modo di salvarci la coscienza.
Infatti, quando si presenta un problema diciamo: "Perché non facciamo un bell'osservatorio?". L'osservatorio permanente sui problemi delle industrie a maggiore rischio può diventare modello di un'iniziativa più vasta capace di dare propulsione al tema e di collegarsi con la capacità delle aziende di riadeguare i loro processi produttivi.
Non credo che con un'azione puramente imperativa e vincolistica si possa raggiungere facilmente questo obiettivo; forse sulla grande azienda ma sulla media azienda, in una situazione di sofferenza finanziaria di questa parte dell'apparato produttivo piemontese, potremmo avere degli effetti indesiderati.
Ritengo che il provvedimento sia zoppo se non ha rapidamente, sia a livello nazionale che a livello locale, la capacità di diventare un sostegno mirato e adeguato, senza limitarsi ad essere un finanziamento a pioggia a quelle aziende che vogliono riadeguare la tecnologia di processo per rendere loro cicli produttivi idonei a vivere nell'ambito della normativa che andiamo predisponendo.
E' un'iniziativa rilevantissima, molto importante ed è per questo motivo che non dobbiamo commettere l'ennesimo errore di restare nel settorialismo classico delle Regioni e nel modo di governare il Paese Assessorato per Assessorato, Ministero per Ministero.
Anche se c'è uno sforzo in questo senso, tuttavia manca il raccordo con le politiche industriali. A questo proposito esiste una Commissione presieduta dal collega Marchini, che però arranca rispetto alla velocità con cui va avanti il processo sanzionatorio e di controllo. Bisogna quindi velocizzare i processi e questo non è solo un compito regionale, ma lo è ancor di più a livello nazionale. Questo provvedimento, invece di raggiungere gli obiettivi desiderati, rischia di favorire ancora di più il processo di deindustrializzazione che sta colpendo, in modo strisciante, la nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Segre.



SEGRE Anna

Nell'affrontare la discussione sul recepimento regionale della direttiva Seveso, vorrei innanzitutto ricordare il ritardo con cui arriviamo all'approvazione (spero oggi) di questo progetto di legge.
Ritardo che non è imputabile solo alla Regione Piemonte, ma anche al Governo nazionale che ha impiegato molti anni per farla diventare legge della nazione. Parlando della direttiva Seveso, ritengo opportuno ricordare come è nato tutto ciò. La vicenda nasce tanto tempo fa e purtroppo fino ad oggi sia lo Stato italiano che la Regione Piemonte sono rimasti privi della possibilità di intervento in caso di incidente industriale rilevante. Se qualcuno se ne fosse dimenticato, ma penso proprio di no, ricordo che l'incidente all'ICMESA di Seveso, cui fa riferimento appunto questa direttiva, è del luglio 1976; quell'incidente fu dichiarato rilevante e per questo motivo ne è discesa tutta una serie di provvedimenti che sono partiti dalla Comunità europea per arrivare fino a noi. Quando nel cielo di Seveso è comparsa la famosa nube tossica, nessuno ne conosceva la composizione, nessuno - né autorità né cittadini - sapeva che cosa fare di fronte ad una simile emergenza. Infatti, allora, nessuno sapeva quali attività si svolgevano nello stabilimento dell'ICMESA e nelle altre aziende vicine, dove si svolgevano attività ad alto rischio. Nessuno aveva verificato, se non gli stessi fabbricanti, la sicurezza dei processi produttivi degli impianti e soprattutto nessuno aveva predisposto piani di emergenza interni ed esterni.
Per questi motivi, ritengo che l'atto che stiamo per compiere oggi sia estremamente importante, un atto dovuto alla cittadinanza del Piemonte.
Infatti, in mancanza di questo, noi siamo ancora praticamente al luglio 1976, ovvero a sedici anni fa. Il lavoro che le Commissioni riunite hanno compiuto, lo sforzo anche suppletivo che nell'ultima riunione è stato fatto per cercare di far rientrare nel testo unificato del progetto di legge le obiezioni venute da parte di alcuni Consiglieri, dovrebbero permetterci di arrivare oggi alla sua approvazione, con piena consapevolezza, ma anche con la sicurezza che un provvedimento di questo genere è assolutamente necessario.
Quando si parla di rischi rilevanti e di problemi di questa entità che hanno un enorme riflesso non solo sulla salute della popolazione, ma sulla sua stessa sicurezza, non si può assolutamente parlare di atti burocratici di atti formali. L'istituzione di organismi preposti al rispetto delle misure di sicurezza non vuol dire espletare una funzione di tipo burocratico, bensì espletare una funzione di tipo sostanziale a cui la Regione non può sottrarsi.
E' vero che a volte si istituiscono organismi inutili (sono la prima a dirlo), ma l'organismo che viene istituito con questo progetto di legge è uno dei più utili, se ovviamente sarà messo in condizione di espletare le funzioni cui è chiamato.
E' vero anche quanto ha detto il Consigliere Tapparo, cioè che tutto questo deve essere visto in una dinamica più complessa e nell'ottica di una riconversione che sia ecologicamente compatibile dell'industria piemontese.
Credo comunque, che il lavoro che la Commissione presieduta dal Consigliere Marchini sta svolgendo vada già di concerto con il lavoro che dovrà essere svolto una volta approvato il testo dell'attuazione della direttiva CEE.
Abbiamo infatti il fondamentale bisogno di sapere, di conoscere per intervenire, ed io credo che la Commissione speciale per la riconversione dell'industria svolga, tra gli altri compiti, soprattutto quello di conoscere per poter poi intervenire.
Non mi resta quindi, ripromettendomi di riprendere eventualmente la parola sugli emendamenti, che sollecitare una rapida approvazione del progetto di legge a cui noi, ovviamente, aderiamo con tutta la nostra fermezza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Maggiorotti.



MAGGIOROTTI Piergiorgio

Il breve intervento che intendo fare si riferisce a due aspetti. Non avendo potuto partecipare ai lavori della Commissione, ho cercato di fare una lettura il più approfondita possibile del testo di tale progetto di legge, lettura che tuttavia non può essere valutata sufficientemente per poter entrare nel merito di tutta la complessa problematica che si è determinata anche in Commissione e che ha portato al testo definitivo quello del 7 maggio, di cui io in realtà sono venuto in possesso solo oggi (avevo letto il testo precedente). Tuttavia mi sono balzate subito all'attenzione due questioni che giudico fondamentali.
La prima riguarda l'individuazione degli obiettivi principali che occorre porsi con l'approvazione di questa legge. Non è ben chiaro infatti, a cosa si dà maggiore rilevanza: se ad un'attenzione di tipo preventivo, se all'attivazione di procedure di tipo - questa volta sì burocratico-sanzionatorio, se ancora ad obiettivi di conoscenza, di studio e di valutazione degli interventi, se infine all'attivazione delle risorse necessarie, efficaci ed efficienti volte a perseguire gli obiettivi che ci si pone.
Ho cercato di analizzare questo progetto di legge dal punto di vista della prevenzione, intendendo come prevenzione primaria, da una parte quella che è nota come eliminazione dei fattori di rischio e, dall'altra soprattutto l'evitare il determinarsi di condizioni e di fattori di per s fonti di rischio per la salute e per la sicurezza delle popolazioni; quindi secondo una logica di prevenzione primaria.
La domanda che mi sono posto è quella di capire chi siano i soggetti che questa legge determina come soggetti prioritari nella definizione di modelli d'intervento per fare prevenzione. Ciò, dalla lettura di questa legge, non mi è balzato agli occhi; si leggono, certo, le indicazioni, che bisogna fare prevenzione, ma i modi e i soggetti della stessa non sono chiari.
Quello che a me è sembrato chiaro è che esiste un'indeterminata assegnazione di funzioni alle risorse, peraltro già scarse, insufficienti e non professionalmente competenti, quali sono quelle proprie ai laboratori di sanità pubblica (peraltro inattuati) e ai servizi di igiene pubblica dei quali la relazione che recentemente ci è stata consegnata dall'Assessorato alla sanità dimostra essere assolutamente sottodimensionata anche solo rispetto ai compiti di far attuare le leggi esistenti.
Voglio sottolineare il fatto che molto poco si dice e si fa rispetto alla partecipazione, intendendo quest'ultima non come fatto meramente ideologico-politico, quanto modello di intervento efficace per la prevenzione che in sé ha una valenza prevalentemente di tipo tecnico.
Allora, quale coinvolgimento, ad esempio, dei lavoratori? Mi sembra che in questa legge non compaia in assoluto l'esigenza di valorizzare l'esperienza grezza dei lavoratori addetti alle lavorazioni, che sono poi quelli che più di altri sono a conoscenza dei ritmi produttivi, dei modi di utilizzare le attrezzature ed i macchinari, che sono a conoscenza (o dovrebberlo esserlo) dei materiali e delle sostanze impiegate nelle lavorazioni.
Dall'esperienza di dieci anni fa del modello partecipato per la difesa della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro nasce la mappatura dei rischi, finalizzata certamente alla difesa della salute dei lavoratori, ma anche - e io credo sia uno strumento utilizzabile - alla difesa della salute delle popolazioni e alla difesa dell'ambiente. Di questo modello non c'è alcuna traccia, non c'è alcun sedimento in questa legge; e dire che è un modello ancora applicato, ad esempio, nella città di Torino da parte degli operatori delle unità di base.
Io credo e ribadisco che non si può fare prevenzione se non c'è una partecipazione diretta in senso tecnico dei lavoratori all'individuazione dei luoghi e dei fattori di rischio e se non si dà spazio ai lavoratori in un confronto, con pari dignità, con i tecnici della salute addetti all'individuazione dei fattori di rischio all'interno dei luoghi di lavoro.
Sottolineo il fatto che il coinvolgimento dei lavoratori a pari dignità rimarco questo concetto - va attivato anche rispetto al fine della predisposizione di misure atte a minimizzare il rischio; questo è uno degli obiettivi esplicitati, almeno verbalmente, all'interno della relazione.
Se non si rammenta l'esigenza, che secondo me - ribadisco - è soprattutto tecnica e non solo politica, di coinvolgere i lavoratori nella predisposizione di queste misure, se non si fa questo, se si pensa di utilizzare all'interno dei luoghi di lavoro esclusivamente quei pochi ispettori, quei pochi tecnici di igiene ambientale di cui le UU.SS.SS.LL. o i lavoratori di sanità pubblica possono disporre, credo che gli obiettivi saranno irraggiungibili.
A maggior ragione, infine, nella predisposizione dei piani di emergenza e dell'informazione, la partecipazione non può non essere vista come fondamentale strumento per garantire l'efficacia degli interventi: e quindi, chi meglio dei lavoratori può essere coinvolto per segnalare quelli che sono i possibili fattori e le possibili fonti di rischio di incidente? Dunque, non tanto le loro rappresentanze sindacali a livello regionale quanto i Consigli di fabbrica, ad esempio, quanto i lavoratori organizzati all'interno di questi luoghi di lavoro possono essere innanzitutto coloro che possono fornire informazioni e indicazioni nella predisposizione di questi piani di emergenza! L'informazione alle popolazioni a cosa è finalizzata? Se si tratta di realizzare un controllo, se si tratta di realizzare una prevenzione di questi rischi, non si può non pensare a forme di controllo della popolazione, della gente rispetto agli insediamenti produttivi nuovi ed esistenti.
Non mi dilungo ulteriormente, ma credo di avere sottolineato sufficientemente quello che mi sembra essere questa legge, che a leggerla pare di tipo burocratico; in questo senso sono d'accordo con il Consigliere Ferrara, anche se fondamentalmente non condivido le sue idee. La conclusione del suo discorso è quella che per ora non serve nulla; io dico invece che occorreva muoversi da tempo, ma occorreva muoversi a partire dal principio fondamentale che sono i soggetti coinvolti, sottoposti a questi rischi, ad avere in prima persona il diritto di parola.
Chiudo il mio intervento rammentando, come ho già fatto all'inizio, che se i diversi livelli, quello politico, quello di conoscenza ed elaborazione anche scientifica (cioè sperimentale) e quello di gestione partecipata sono i tre livelli che, a mio parere in maniera non sufficientemente precisa, vengono individuati da questa legge, è però soprattutto a livello della gestione che si casca. Non è chiaro se l'unità flessibile è una struttura che si muove all'interno di una programmazione sanitaria ambientale integrata (programmazione che in realtà non mi risulta esistere a livello regionale); soprattutto, a livello locale, verranno a mancare quelle risorse che sono fondamentali, anche solo per i limitati compiti ispettivi che sembra individuare la legge per i servizi di igiene pubblica e per i laboratori di sanità pubblica.
Concludo dicendo che questa poteva essere un'occasione per affrontare un discorso e una pratica più complessiva di prevenzione e di salvaguardia del diritto alla salute e alla difesa dell'ambiente delle popolazioni della nostra regione; mi sembra che si perda un'occasione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Quanto più il dibattito si evolve, tanto più sembra al Gruppo liberale di non essere stato in totale difetto nel far emergere una contraddizione insita in questa legge.
Abbiamo tradotto queste nostre preoccupazioni in una serie di emendamenti; ringraziamo il Presidente Fiumara e il relatore Bresso di aver consentito il ritorno in Commissione per il loro esame. Ringraziamo anche l'attenzione e la serietà con la quale la Commissione ha valutato le nostre considerazioni e ha convenuto con il Gruppo sull'accoglimento di alcuni emendamenti, che si potrebbero definire emendamenti segnale e che mi portano a condividere la valutazione espressa dal Presidente della Commissione inerente a questa legge, considerata un punto di partenza e non un punto di arrivo; una partenza in effetti non delle più felici.
L'equivoco principale è che si tratti di una legge di merito e non di procedure. Di conseguenza, è errato immaginare di realizzare, come suggerisce la collega Segre, dei risultati di natura sostanziale attraverso le procedure; non vorrei pronunciarmi con termini di cattivo gusto, ma questo è proprio il meccanismo lombardo che ha prodotto procedure complesse, poco chiare e non trasparenti, che non portano alla politica, ma a qualcosa che non è politica. Quindi quando il decisore politico richiede di dover affrontare questioni di natura sostanziale, deve farlo con leggi che abbiano anch'esse natura sostanziale. Ha ragione il collega Ferrara nel dire che una norma, quella dello Stato - e che ci chiedeva di attivare metodi processuali originali piemontesi per concorrere alle decisioni in materia - si è trasformata, sotto l'esempio della Lombardia, nella volontà di occuparsi di un problema che poi in realtà non è stato affrontato.
Sostanzialmente, penso che questa legge non lascerà entusiasti e soddisfatti. Vogliamo "mettere in pista" delle procedure e soprattutto prendiamo atto che dobbiamo occuparci di questo problema, al di là della funzione meramente concorsuale e burocratico-processuale che ci è affidata dalla legge nazionale.
Il governo regionale lo si fa con la programmazione territoriale, con la programmazione socio-economica e con l'indirizzo delle risorse rispetto ai settori che attraverso le due leve della programmazione si intendono privilegiare. Altrimenti non facciamo altro che ostacolare i processi per quello che hanno di non condivisibile e non siamo in grado di sostenere i processi che vogliamo attivare. Mi pare quindi che alcuni emendamenti proposti dal nostro Gruppo e approvati dalla Commissione, siano estremamente significativi.
L'osservatorio nascerà in funzione di un forte ed approfondito ragionamento politico che la Regione dovrà fare, in ordine agli obiettivi che intende porre sotto l'obiettivo dell'osservatorio stesso. Chiedo scusa del gioco di parole; non si tratta di un soggetto che concorre alla decisione, ma di un soggetto che concorre alla conoscenza dei processi e agli effetti delle decisioni politiche.
In una certa misura siamo anche riusciti ad ottenere che le Conferenze provinciali tornassero ad essere quelle che sono, praticamente elemento caratterizzante del complesso decisionale che è la Regione; abbiamo ridotto formalmente la valenza della sua decisione, senza però toglierle per questo il significato di espressione dei pareri sia tecnici che politici presenti sul territorio (in questo senso non disturba più di tanto l'emendamento apportato dal collega Tapparo, anzi ci sembra apprezzabile).
Abbiamo insistito sul fatto che questa materia, nel merito delle singole notifiche, debba essere rimessa a quanto di meglio è in grado di produrre la scienza e la tecnica, quindi la conoscenza di processi,puntuali, sia per quel che riguarda il patrimonio universitario che quello pubblico e privato.
Abbiamo ricondotto a misura accettabile il processo di attivazione della rilocalizzazione delle imprese che si ritengono a rischio; la formulazione precedente, infatti, chiamava i Comuni e gli enti locali ad una verifica dell'accettabilità delle industrie sul loro territorio. La direttiva Seveso si occupa di due fenomeni: la localizzazione e la rilocalizzazione di processi in corso (non di cose diverse).
A me sembra però - e lo dico in particolare al Presidente della Giunta che ha il carico di questa materia - che la natura transitoria di questa legge, sia in termini procedurali che in termini di merito, debba essere considerata dalla Giunta come un impegno che assume in quest'aula. Se con il concorso di tutti riterremo che la Regione debba svolgere su questa materia attività anche in questo senso di prevenzione ma non prevenzione sulla macchina, prevenzione sul processo, si dovrà immaginare di individuare le aree che più di altre rendano accettabili alcune attività ad un rischio a soglia compatibile; il che, in una qualche misura, finisce per essere - diceva bene il collega Tapparo - un'azione che tende a prevenire un'ulteriore deindustrializzazione della nostra Regione (perché noi dobbiamo cercare di costruire le condizioni ottimali perle soglie che riteniamo accettabili, non viceversa). Quando avessimo ritenuto che alcune soglie sono accettabili, noi dovremmo fare in modo che gli operatori si insedino sul nostro territorio e realizzino quelle soglie di accettabilità e non che si individuino soglie di accettabilità che non hanno niente a che fare con la Seveso e poi, da altri punti di vista, non si gestisca questo tipo di lavoro come una leva della programmazione socio-economica e del processo di recupero del patrimonio industriale della nostra Regione. La Giunta deve sapere, a mio modo di vedere, che almeno da parte di alcune delle forze, sicuramente della mia, il mandato è duplice; a tempi non lunghi, dopo un'adeguata sperimentazione - la messa in pista dell'osservatorio, l'approfondimento di queste questioni non solo nella Commissione che ho l'onore di presiedere ma anche nella Commissione ambiente - andremo a verificare che cosa in termini di legge di merito, la Regione intende fare su questa materia e, se non in termini di legge di merito, quanto meno in termini di programmazione socio-economica, in termini di programmazione territoriale e quindi di organizzazione del territorio, soprattutto dell'utilizzo di risorse proprie e dell'utilizzo di canalizzazione di riserve private e di riserve dello Stato.
Questo è l'obiettivo di merito e, una volta individuato, noi saremo tra quelli, signor Presidente - ma pensiamo di non essere i soli, infatti l'intervento del collega Ferrara seguiva questa linea - che chiederanno di ricondurre questa legge ad una legge di mera procedura con cui si normano le procedure per l'esame delle notifiche. Quindi questa legge non ha niente a che fare con la politica regionale che si esprime negli atti di programmazione e nelle leggi di merito. Le leggi di procedura sono semplicemente lo strumento che tende a verificare che un certo insediamento abbia le caratteristiche previste dalla legge o comunque delle soglie che devono essere rispettate.
Per evitare che, intorno a questa legge, nascano aspettative che poi rischierebbero di essere vanificate - e che contestualmente le singole pratiche vengano caricate da una valenza fideistica per cui si difende la Regione, la sua natura, la sua sicurezza, il suo sviluppo sulla pratica mi sembra necessario avviare un processo che ora, a mio modo di vedere, è distorto.
La nostra valutazione è di partire con questa legge, riconoscendone i limiti di tipo politico, ma prendendo anche atto che in tempi moderni, in una società industriale avanzata, come legge di procedure è inaccettabile.
Non siamo nel Terzo Mondo e una legge di questa natura, la quale mette in pista tutti e nessuno, non è accettabile a regime.
Affidiamo alla Giunta oggi in aula, avvalendoci del sostegno di questo disegno di legge, la nostra disponibilità a concorrere politicamente.
Dichiariamo la nostra disponibilità a lavorare con essa in Consiglio per verificare se la nostra impostazione ha una qualche possibilità di successo; ci sembra però, anche dai ragionamenti che qui abbiamo ascoltato che questo equivoco vada fin d'ora chiarito.
Questa è una legge di merito, di procedura e di sostanza; qualcuno la interpreta di sostanza, qualcuno la interpreta di procedura. Il solo fatto che due colleghi, puntuali e precisi, abbiano detto queste cose significa che questa legge deve essere, a regime, ripensata e resa più comprensibile o come legge di sostanza o come legge di procedura.
Noi ci auguriamo che in questa legislatura - senza strappare i tempi e senza pregiudicare alcuno degli interessi in campo - sia possibile che questa Regione si dia una programmazione ed una normativa anche su questa materia e, contestualmente, abbia la capacità di inventarsi una procedura e che, pur garantendo la presenza degli enti locali, delle categorie economiche interessate, della cultura presente nel nostro territorio e delle preoccupazioni di altra natura, sostanzialmente non faccia di nuovo delle procedure di autorizzazione, un atto di assoluta discrezionalità e di responsabilità dell'Amministrazione.
E' inaccettabile che in questo Paese si passino degli anni in attesa di avere dei sì o dei no; non si hanno mai i sì e non si hanno mai i no, ma soprattutto non si è mai in grado di capire chi è il responsabile del sì e chi è il responsabile del no.
In questo senso, gli emendamenti che la Commissione ha avuto la cortesia di accettare tendono a ricondurre alla responsabilità politica della Giunta questa materia, riducendo di molto il valore formale - e non politico, evidentemente - del pronunciamento delle Conferenze provinciali le quali fanno la loro valutazione; è però evidente che le responsabilità da assumere come decisione di ordine finale competono alla Giunta, mentre il vecchio testo diceva delle cose diverse.
Signor Presidente, chiedo scusa se ho ripercorso questioni già sviluppate in altra data, ma mi pare che su questa materia, per rispetto reciproco, si debba essere molto chiari.
Questa legge ci va bene, perché è il massimo che siamo riusciti a produrre ad oggi, 26 maggio 1992, alla luce delle costrizioni alle quali siamo chiamati dalla legge nazionale e dalle direttive Seveso, alla luce della cultura insufficiente che c'è su questa materia, alla luce anche di una partenza che considero non felice e che ripercorre il modello lombardo che va rifiutato perché abbiamo visto tutti a cosa porta la fuga dalle responsabilità.
Prendiamo atto del fatto che questa legge, che doveva essere una legge sulle procedure, ha sollecitato l'attenzione, ha fatto crescere la voglia della Regione di essere anche soggetto di governo e non soltanto più di approvazione e di autorizzazione. Noi siamo disponibili a questa sfida e ci auguriamo che la Giunta, dopo una fase adeguata di sperimentazione, possa portare in Consiglio alcune linee (non delle decisioni, perché questa, a mio modo di vedere, è una squisita materia che deve coinvolgere alla grande il Consiglio), linee di superamento di queste leggi rispetto ai due corni che prima abbiamo indicato: da una parte la maggiore comprensione di qual è la politica regionale su questa materia e dall'altra, per quanto possibile la riduzione delle procedure ad atti fortemente comprensibili e trasparenti.
Se mi consente ancora, Presidente - desidero farlo pubblicamente - ho qualche preoccupazione che questa materia delicata trovi qualche difficoltà a decollare. Sono quindi a suggerire, quanto meno per il transitorio, cioè fin quando non si saranno individuati questi due filoni di maggior approfondimento, che questa materia resti sotto la sua responsabilità personale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rivalta.



RIVALTA Luigi

Noi - il noi è riferito evidentemente alla parte politica a cui appartengo- abbiamo sostenuto con molta forza l'esigenza che si arrivasse ad una legge regionale, come peraltro richiedeva la legge nazionale in applicazione delle direttive della legge cosiddetta Seveso. Abbiamo operato a che questo avvenisse; proprio in questa sede all'inizio - e sono passati degli anni, non ricordo più se era il 1987 o il 1988, prima ancora .che a livello nazionale venisse formulata la nostra legge, la legge italiana - ci siamo attivati attraverso iniziative come convegni e dibattiti, che avevano avuto una larga partecipazione; attraverso l'iniziativa propositiva di legge e attraverso l'insistenza affinché la proposta di legge regionale venisse presa in considerazione da questo Consiglio.
E se oggi siamo qui a discutere, lo dobbiamo certamente alla discussione avvenuta nella Commissione, che ha investito un gruppo di lavoro fra più Commissioni; ma credo di poter dire - anche soltanto per richiamare il significato politico di una forza come la nostra nel proporre una legge su questi problemi - che ciò è avvenuto anche per l'insistenza che ha vinto le resistenze che in questo Consiglio c'erano (e credo che non le dobbiamo dimenticare).
Sotto questo profilo, anche la storia di qualche anno di dibattito su tale questione in questo Consiglio regionale dovrebbe essere assunta come un riferimento di partenza per andare al di là delle questioni che oggi sono state affrontate e che vanno ancora affrontate.
Noi abbiamo insistito sull'esigenza di questa legge per due motivi, se volete per uno specifico, per una responsabilità precisa che compete dalla direttiva della CEE, dalla legge nazionale in capo a questa istituzione, in particolare in capo alla persona del Presidente della Giunta, affinché si applicassero queste direttive, queste norme. L'inadempienza nell'applicazione era e sarebbe - se dovesse continuare - un fatto gravissimo, non solo dal punto di vista legislativo, ma anche della pratica operativa, con conseguenze non solo politiche.
La seconda ragione per cui abbiamo insistito è che si tratta di una questione di carattere generale che certamente esula da un'analisi della legge sotto lo schema interpretativo della legge di procedura, della legge di sostanza. Quella generale è certamente una questione che ci ha spinto e che sta in ragioni di merito. E' molto generale, tanto che mi consente di fare riferimento al fatto che la storia dei processi produttivi, la storia dell'uso delle tecnologie e della loro evoluzione, la storia stessa dei prodotti che vengono messi in campo, sul mercato, che vengono utilizzati, è una storia che ha alla sua base - o alle sue spalle perché spesso è una storia che è stata nascosta - continui e drammatici effetti negativi spesso mortali, sulla salute dei lavoratori e sui cittadini che abitano attorno agli impianti produttivi che sono sottoposti a catastrofi o a danni gravi.
Quindi sentiamo questa legge come una legge necessaria per stare in questo solco, in questa storia, non come perdenti, ma come comunità di persone che vogliono controllare questa storia e darle degli sbocchi positivi, che salvino innanzitutto la salute dei lavoratori e che salvino il territorio e i suoi cittadini da effetti drammatici. E' una storia che il nostro partito e l'organizzazione sindacale hanno portato avanti nell'ambiente di lavoro, facendo fare passi grandi non solo al rapporto contrattuale tra lavoratori e datori di lavoro, ma anche sul piano della lettura scientifica delle questioni inerenti la salute nella fabbrica quindi a tutta la medicina sul lavoro, ai problemi di organizzazione del lavoro, di uso delle tecnologie e della loro progettazione. Questo è un altro aspetto che arriva con ritardo di normativa e che ci pone - oltre alle questioni di fabbrica- anche problemi di rapporto tra la fabbrica e il territorio, questione che è stata molto poco affrontata. Gli urbanisti hanno tentato in qualche modo, ma con strumenti troppo settoriali e non incisivi. Questa legge invece ci introduce la questione del rapporto tra la fabbrica e i suoi possibili incidenti, con il territorio. Quindi noi consideriamo questa legge non certo risolutiva, bensì, come hanno detto altri colleghi, un punto di partenza. Ho dato una ragione specifica per cui noi la consideriamo un punto di partenza. Consideriamo questa legge un fatto importante. Pensiamo che si debba dare applicazione a questa legge al meglio e nell'applicazione si debbano trovare gli elementi di esperienza per migliorarla. Da un lato per migliorarla e dall'altro per darle contenuti di sostanza, rinnovandola, introducendo i contenuti di sostanza che possono emergere dall'esperienza di applicazione della normativa Seveso, introducendoli quindi nella politica regionale. E ce n'è molto bisogno, perché le politiche regionali non hanno finora tenuto conto di problemi di questa natura; la politica industriale, per quanto è stato possibile alla Regione, è stata indirizzata verso altri obiettivi localizzativi, territoriali anche, ma non legati a problemi di questa natura. Ce n'è bisogno, perché la nostra Regione - e in questo senso mi pare di poter correggere l'impressione che davano gli interventi dei colleghi Marchini e Ferrara - non è immune da problemi di questa natura non è una Regione dove lo sviluppo industriale si è rinnovato al punto da non doverci porre questi problemi.
Siamo in presenza di problemi all'ACNA di Cengio; anche se non riguardano il territorio piemontese, ricadono su territorio piemontese mentre dal punto di vista della normativa Seveso, purtroppo, riguardano la Liguria. Dico purtroppo perché quanto è avvenuto tra Piemonte e Liguria attorno al problema dell'ACNA non ci lascia completamente tranquilli perché si toccano alcune zone del Piemonte. Penso, ad esempio, alla zona del Novarese meridionale, dove sono insediate numerose fabbriche che operano - per la maggior parte - a rischio grave per la legge Seveso. Sono insediate nel Novarese e nell'Alessandrino, a Spinetta Marengo. E' una serie di fabbriche che provocano gravi problemi, sia al loro interno che all'esterno; problemi addirittura disconosciuti dalla relazione sulla situazione della zona di Trecate, ma che negli effetti concreti danno il segno delle condizioni negative e dei rischi che si possono correre. C'è una zona che viene chiamata addirittura "nero fumo". Chi è andato ai cancelli di queste fabbriche in certi momenti è stato anche colpito da senso di nausea, per gli odori; la stessa relazione che i Carabinieri avevano inviato al Ministero dell'Ambiente richiamava problemi di questo tipo. E' quella di Trecate, Galliate, Romentino, è una zona in espansione con attività produttive che pongono dei problemi seri sotto questo profilo.
Siamo in presenza di una situazione in cui è necessario che l'istituto regionale si attivi nell'applicazione della legge Seveso e dia a questa applicazione un corretto contenuto di sostanza.
E' necessario che la Regione si esprima, sostenga politicamente attraverso piccoli interventi operativi, certi indirizzi di sviluppo economico e cerchi di contrastarne altri; questo non per mandarli in altre parti del mondo, ma per evitare che nella nostra Regione ci siano degli sviluppi economici che oggi dobbiamo ritenere negativi. C'è una ragione sostanziale di applicazione dei principi che stanno alla base della legge Seveso nelle politiche territoriali ed urbanistiche: l'insediamento industriale non può essere un insediamento individuato a caso, per disponibilità di terreni, per giacenza, per vicinanza a strade ed accessi viari di trasporto. Certo, sono tutte questioni che vanno tenute in conto ma vanno tenute in conto anche le relazioni negative che si possono generare sotto il profilo del rischio e dell'ambiente in generale. Il problema dell'ambiente tocca anche l'aspetto territoriale, che è materia di competenza della Regione; la politica dell'ambiente riguarda la politica dei rifiuti. Dalla conoscenza dei processi produttivi che possiamo ricavare attraverso l'applicazione della legge Seveso, può partire l'impostazione per come deve essere gestito lo smaltimento dei rifiuti. Sono quindi tante le questioni di sostanza che a partire dall'applicazione pura e semplice delle normative CEE, della legge nazionale, possono diventare informazione contenuto di sostanza per le politiche regionali e ragioni di scelta di indirizzo e di applicazione di queste politiche.
In questo senso noi la consideriamo una politica importante. Certo in questa legge non c'è tutto questo, né ci potrebbe essere, ma noi ci muoviamo nella prospettiva di dare davvero alla politica regionale una base sostanziale di merito che parta dalle ragioni che stanno nella legge Seveso. Voglio richiamare l'importanza vera di questa legge, che è quella dell'informazione; il conoscere non solo ci consente di applicare la direttiva Seveso nel senso di limitare i rischi, di prevenirli, di dare misure di emergenza, ma consente anche di determinare quella coscienza dei processi industriali che, se da un lato, rende più razionale l'atteggiamento da tenere nei confronti dei processi industriali, senza demonizzarli, dall'altro crea anche quell'elemento culturale necessario affinché lo sviluppo delle politiche industriali sia controllato edindirizzato ad una valutazione di bene comune.
Quindi, il dato dell'informazione è fondamentale e basilare. Il primo punto per l'applicazione della legge è dare ad una serie di attività sostanzialmente notarili, da parte della Regione, capacità di lettura scientifica (il Comitato scientifico ci deve orientare nel caratterizzare questa lettura) e di analisi per preparare e mettere in atto una larga informazione con i lavoratori (e le Organizzazioni sindacali già all'interno della fabbrica sono chiamate a questo) e i cittadini nelle varie zone dove questi insediamenti industriali a rischio sono presenti o dove li si intende localizzare o rilocalizzare.
In questo senso, pensiamo si debba con un atteggiamento politico culturale ed informativo, andare al di là delle sole zone a rischio. Con grande capacità di equilibrio nel porre le questioni e nel gestire la politica, occorre allargare il metodo di lavoro cui la direttiva Seveso ci induce a tutta la struttura produttiva industriale e non solo industriale (penso, per esempio, ai problemi dell'agricoltura e ai problemi gravi di inquinamento e di rischio sulla salute che l'agricoltura determina).



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bresso.



BRESSO Mercedes

Desidero fare alcune precisazioni. Purtroppo, sappiamo che le leggi tecnicamente complesse presentano difficoltà di lettura, in particolare per i componenti dei Gruppi piccoli, che non hanno il tempo fisico di essere presenti nelle discussioni in Commissione. E' anche avvenuto un problema di tipo tecnico nella distribuzione del secondo testo emendato, perché la relazione che era allegata al primo testo non è stata ritrasferita nel nuovo testo.



PRESIDENTE

Prego il Consiglio di stare attento a quanto ha detto adesso il Consigliere Bresso, cosa che avrei comunque detto io, cioè che gli emendamenti che sono stati distribuiti devono essere eventualmente ripresi presso la Segreteria, perché hanno subìto qualche piccola variazione per le ragioni dette adesso.



BRESSO Mercedes

Quindi, anche la lettura del testo della legge senza relazione, per chi non ne aveva preso visione nel testo precedente, può risultare ardua e forse anche oscura.
Non solo perché ho stilato la relazione, ma anche per essere stata la persona che più ha lavorato - credo - su questa legge, volevo esprimere non certo un'interpretazione ufficiale, ma l'opinione che mi sono fatta lavorando in tutti questi anni sulla direttiva Seveso e sul rischio industriale. La direttiva Seveso e la legge n.175 non sono certo norme di tipo procedurale: l'obiettivo della direttiva e della legge nazionale è - e resta - quello della prevenzione degli incidenti industriali. Questo è l'obiettivo della nostra legge ed è l'obiettivo che la Regione Piemonte deve assumere nell'operare con questa legge. D'altronde, credo che la legge nella sua tecnicità e le competenze che la Regione si è vista attribuire siano richiamate in maniera puntuale sulla base delle disposizioni della legge nazionale. Questa è una norma complessa, perché è una norma di recepimento di una legge che a sua volta recepisce una direttiva. E' chiaro quindi che in molti casi non può essere ripetuto tutto il dispositivo di merito che sta dentro la , direttiva e dentro la legge nazionale, ma che è chiaramente recepito nel contesto della legge che norma le competenze regionali.
Le competenze regionali sono di grandissima rilevanza, perché la Regione non solo deve predisporre le istruttorie per tutte le aziende che sono sottoposte a dichiarazione, ma deve farsi una cultura sul rischio industriale. Deve essere in grado, attraverso i propri funzionari, o propri esperti, di giudicare delle complesse elaborazioni presentate dalle imprese che analizzano le situazioni di rischio all'interno e all'esterno dell'azienda. Deve essere in grado successivamente - perché questo è l'altro compito rilevantissimo che la legge nazionale le attribuisce - di verificare la continua adeguatezza alle norme di funzionamento delle aziende produttive e l'adeguatezza delle norme di sicurezza dei nuovi impianti industriali. Il comma dell'art. 2, che dice "provvedere alla vigilanza sullo svolgimento dell'attività industriale, acquisite le conclusioni ministeriali", dice moltissimo, perché vuol dire che la vigilanza sulla sicurezza effettiva dell'azienda (e non sul fatto che le aziende abbiano riempito correttamente un modulario o abbiano rispettato formalmente la legge) complica il compito della Regione. Quindi la Regione ha un compito rilevante e di merito e credo che la cosa importante che noi dobbiamo sapere è che questo ci obbliga ad entrare in un campo su cui finora la Regione aveva scarse competenze e che si vede attribuire, per la prima volta, in campo industriale. La Regione viene ad avere importanti competenze di controllo del sistema produttivo piemontese. E' tutt'altro che una questione banale ed è per questo che occorre dotarsi di strumenti.
Credo che il collega Ferrara sottovaluti il peso che sulla Regione viene caricato da questa norma, non perché la Regione se lo voglia attribuire, ma perché sono la legge nazionale e la direttiva comunitaria che glielo caricano. Credo, quindi che in questo senso il lavoro che abbiamo fatto tutti insieme per individuare degli strumenti che potessero essere agili ma allo stesso tempo robusti, perché si tratta comunque di un argomento nuovo per noi, vada considerato nella sua importanza e anche nella sua difficoltà. Tutti sappiamo che occorrono delle messe a punto a regime e questo avviene ogni volta che si entra in un campo totalmente nuovo, non solo per noi, ma per l'insieme del Paese.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, Brizio.



BRIZIO Gian Paolo, Presidente della Giunta regionale

Mi limito a pochissime dichiarazioni perché il dibattito è stato ampio e la predisposizione di questa legge è stata molto attenta e partecipata da parte della Commissione competente.
Ci sono state due proposte iniziali: una della Giunta e una del Consigliere Bresso. In Commissione si è fatto un lavoro molto puntuale; si era già arrivati in aula - lo ricordo -, si è poi ritornati in Commissione perché il collega Marchini aveva presentato alcuni emendamenti che proponevano un riesame più attento di alcune parti della legge; si è ritornati in Commissione e si è riesaminato in Commissione con attenzione si è giunti ad un testo che mi pare complessivamente soddisfacente. Si risponde all'esigenza della legge, esigenza sostanziale, si dà l'avvio a che nella conduzione e nella realizzazione della legge si verifichi quali possano essere le modalità migliori per portare avanti e per assolvere questo compito che sentiamo importante, perché il problema dell'ambiente e della salute è un problema vitale in una regione come la nostra toccata fortemente dal sistema produttivo industriale. Debbo dire che è il settore più a rischio e forse più limitato nella nostra azienda, non come numeri e punti, ma come complessità di rischi rispetto ad altre regioni. Questo non ci esime, peraltro, da svolgere un'attenta politica e su questo terreno siamo certamente impegnati con tutte le forze.
Si è fatto cenno al problema della politica industriale, non si possono scaricare soltanto sulla Regione gli aspetti più complessi e difficili del controllo, quando mancano gli aspetti di promozione che sono importanti.
Per questo, la ridiscussione della misura della politica industriale nazionale deve essere regionalizzata anche in vista del discorso europeo un discorso aperto, che deve ancora essere definito. Dobbiamo tuttavia fare la nostra parte, con puntualità, senza bardature eccessive, con snellezza garantendo lo svolgimento di quei compiti. Adempimenti procedurali che sono essenziali e quei compiti di attenzione all'ambiente e di prevenzione che sono logici.
Al collega Marchini, che invitava la Presidenza a mantenere questo onere, devo dire che ne terremo conto. Mi rendo conto del valore che questo invito ha. Poiché è un tema che tocca l'ambiente, la sanità e che va a rivedere altri settori che hanno una trasversalità effettiva, un discorso di riesame complessivo di certe competenze era già nei nostri intendimenti comunque, non lo faremo calare dall'alto, se dovrà andare avanti. Per ora questo impegno rimane nelle mani della Presidenza con la collaborazione collegiale fondamentale da parte della sanità e dell'ambiente, in un settore che è certamente vitale per la nostra Regione.
Mi riservo di intervenire sugli emendamenti nel momento in cui saranno discussi nel corso della seduta pomeridiana. Uno di questi mi pare accettabile; sugli altri diremo le ragioni per le quali la Giunta intende respingerli o modificarli.



PRESIDENTE

L'esame del testo unificato dei progetti di legge n. 23 e n.105 è rinviato ad oggi pomeriggio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 14)



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