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Dettaglio seduta n.144 del 28/04/92 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Edilizia e norme tecnico-costruttive

Interrogazione n. 666 dei Consiglieri Rabellino, Farassino, Vaglio inerente la sospensione autorizzazione inanellamento Museo Civico Craveri di Bra.


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 2) all'o.d.g. "Interrogazioni e interpellanze" esaminiamo l'interrogazione n. 666 dei Consiglieri Rabellino, Farassino e Vaglio cui risponde l'Assessore Cantore.
CANTORE, Assessore regionale Signor Presidente, colleghi Consiglieri, in merito all'interrogazione n. 666 dei Consiglieri Rabellino, Farassino e Vaglio, inerente la sospensione dell'autorizzazione all'inanellamento al dottor Giovanni Ettore Molinaro, direttore del Museo civico Craveri di Bra, e ai suoi collaboratori, richiamo i seguenti elementi di fatto.
L'art. 25, comma quinto, della Legge regionale n. 66/79 prevede il rilascio da parte della Giunta regionale, su preventiva richiesta di istituti o laboratori scientifici pubblici o riconosciuti, della autorizzazione a specifiche persone incaricate di catturare esemplari di determinate specie per attività di marcatura.
La Giunta regionale, su specifica richiesta del Museo civico Craveri di Bra, aveva autorizzato con D.G.R. n. 142-25613 del 20 dicembre 1988 il dottor Ettore Molinaro, direttore del museo, e 'i suoi collaboratori abilitati alla cattura di avifauna per attività di inanellamento su tutto il territorio regionale per il triennio 1989/91.
In data 20 marzo 1991 il Comune di Bra comunicava all'Assessorato caccia della Regione Piemonte che la Giunta municipale con provvedimento n.
66-0107 dell'8 gennaio 1991 aveva deciso di limitare le funzioni del direttore del Museo civico dottor Molinaro, al solo ambito scientifico interno con esclusione di qualsiasi altra attività. Con lo stesso provvedimento è stato vietato al medesimo l'adozione di qualsiasi atto che possa impegnare l'amministrazione verso l'esterno.
Considerato che il Comune di Bra, con il provvedimento della Giunta municipale sopraccitato, ha fatto venire meno le condizioni oggettive e soggettive per la prosecuzione dell'attività di inanellamento, e valutato inoltre che la medesima attività per le sue caratteristiche deve essere espletata necessariamente sul territorio, l'Assessorato regionale ha preso atto della decisione del Comune di Bra e ha revocato l'autorizzazione al direttore del museo e ai suoi collaboratori.
Ciò richiamato, l'Assessorato ritiene che in ordine alla richiesta degli interroganti, circa un intervento della Giunta regionale nei confronti dell'Amministrazione comunale di Bra per consentire la ripresa dell'attività di cattura e di inanellamento da parte del dottor Molinaro e dei suoi collaboratori, la Regione non abbia poteri di intervento in materia. La decisione della ripresa dell'attività in questione spetta in piena autonomia al Comune di Bra.
L'Assessorato concorda con gli interroganti circa il grave pregiudizio arrecato alla ricerca scientifica dal blocco dell'attività di cattura e marcatura di specie ornitiche. Rileva inoltre che tale attività svolta nella Regione Piemonte, già da diversi anni, ha costituito una fonte costante di importanti informazioni di carattere scientifico sulle popolazioni di specie sia migratorie che residenti nella nostra regione.
Il blocco delle autorizzazioni all'inanellamento costituisce certamente un elemento di discontinuità in progetti che basano la qualità dei dati raccolti sulla regolarità e sulla durata dei rilevamenti.
Ciò premesso, la Giunta regionale, riconoscendo in tale attività un rilevante interesse scientifico, si impegna a valutare con particolare attenzione l'opportunità di consentire la ripresa dell'attività in questione.
In tal senso l'Assessorato ha già avviato contatti con l'Istituto Nazionale di Biologia della selvaggina di Bologna anche al fine di concordare idonei criteri di tipo tecnico e organizzativo. L'Assessorato si è mosso in due direzioni: da una parte cercando di convincere il Comune di Bra a restituire la facoltà al dottor Molinaro e quindi al Museo civico Craveri di Bra, di procedere all'inanellamento e quindi all'attività di marcatura; dall'altra parte, cercando sul territorio - piemontese un'altra struttura che consenta ai ricercatori e ai collaboratori del dottor Molinaro di effettuare l'inanellamento e l'attività di marcatura.
Ad oggi il Comune di Bra mantiene la sua posizione ferma a non concedere la facoltà di svolgere attività esterna a questo suo dipendente ed inoltre è difficile trovare un'altra sede che possa corrispondere alle esigenze di questa attività sul territorio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vaglio.
VAGLIO Ringrazio l'Assessore per la risposta che, ancora una volta, giunge molto in ritardo. Siamo ad un anno dall'interruzione di questo servizio che tutti concordiamo costituiva statisticamente una tappa molto importante per la conoscenza della avifauna stanziale e di passaggio sul territorio della nostra Regione.
L'Assessore ha rimarcato la necessità comunque di proseguire in qualsiasi altro modo questa attività, anche trovando una struttura alternativa a quella del Museo civico di Craveri. Ricordo che la querelle è nata da una fumosissima indagine giudiziaria a cui non è corrisposto peraltro, a quanto ci consta, l'emissione di alcuna comunicazione giudiziaria e di alcun mandato di qualsivoglia genere. A causa, quindi, di semplici voci un servizio utilissimo alla conoscenza dell'ambiente naturale della nostra Regione rischia di essere messo in gravissimo pericolo perch se l'interruzione diventerà - a quanto pare sarà così - molto più lunga di quanto ammesso dalle norme della statistica, tutto il lavoro precedente effettuato dal dottor Molinaro e dai suoi collaboratori sarà buttato via e non potrà più essere utilizzato per uso scientifico.
Stante queste osservazioni e le immotivate, a nostro modo di vedere scelte da parte del Comune di Bra, ritengo estremamente utile che l'Assessorato e la Giunta contattino il Comune di Bra per far ripartire al più presto possibile l'attività che era del dottor Molinaro e dei suoi collaboratori, o comunque, nel caso di assoluta contrarietà da parte di questa amministrazione municipale, di trovare urgentemente un'alternativa per riprendere il lavoro scientifico di inanellamento per la valutazione dello stato dell'avifauna sul territorio della nostra Regione.


Argomento: Varie

Interpellanza n. 861 dei Consiglieri Farassino, Rabellino e Vaglio inerente la lotteria del Palio di Asti


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 861. La parola all'Assessore Cantore.
CANTORE, Assessore regionale Mi pare che la non illustrazione del Consigliere Vaglio dimostri la inutilità non solo della risposta, ma anche dell'interpellanza, solo per motivi di tempo.
Riconosco al Consigliere Vaglio e alla Lega Nord, per quanto riguarda lo scorso anno, una particolare attenzione nei confronti della Lotteria Nazionale legata al Palio di Asti.
L'interpellanza è giunta il giorno prima che il Governo decidesse di affidare la Lotteria Nazionale al Palio di Asti. Quindi, di fatto (interpellanza si può definire decaduta, non ha più motivo di esistere, in quanto il Governo ha deciso di abbinare la Lotteria Nazionale al Palio del Comune di Asti.
Stiamo definendo con quest'ultimo la campagna promozionale relativa al Palio e alla lotteria; è una campagna molto importante, perché è chiaro che una lotteria nazionale dà una rilevanza non solo nazionale, ma internazionale a questa importante manifestazione del Piemonte. Quindi, c'è un'azione congiunta tra il Comune di Asti e la Regione Piemonte, affinch quest'anno il Palio di Asti, abbinato alla Lotteria Nazionale, possa diventare un evento molto rilevante.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vaglio.
VAGLIO Intervengo per chiedere un ulteriore chiarimento che pensavo fosse piuttosto evidente nell'interpellanza.
Visto e considerato che il 1991 e il 1992 non hanno visto alcuna manifestazione del Piemonte, indipendentemente da quanto dichiarato un attimo fa dall'Assessore sulla presa di contatto con la città di Asti per stabilire le iniziative per riproporre il Palio tra le manifestazioni abbinabili alla Lotteria Nazionale, vorremmo sapere se anche nel 1993 si prevede che il Piemonte non avrà alcuna manifestazione, o se si ritiene che il Palio di Asti rientrerà nelle manifestazioni. Qualora il Palio di Asti non dovesse rientrare nelle manifestazioni, vorremmo sapere quale altra manifestazione a carattere regionale l'Assessore intenda richiedere per l'inserimento tra le lotterie nazionali.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cantore.
CANTORE, Assessore regionale E' chiaro che l'attività promozionale è mirata non solo a far conoscere la manifestazione e a darne un carattere internazionale, ma anche, in modo concreto, a fare vendere molti biglietti, perché la risultanza della continuità dell'assegnazione di una Lotteria Nazionale è relativa alla vendita dei biglietti.
Vorrei ricordare la Maratona di Carpi, svoltasi due anni or sono, che fu abbinata alla Lotteria Nazionale eliminata l'anno successivo in quanto non furono venduti i biglietti.
E' nostro intendimento promuovere l'iniziativa per far sì che vengano venduti parecchi biglietti, testimonianza dell'interesse nei confronti del Palio di Asti, e muoverci affinché l'assegnazione della manifestazione alla lotteria avvenga anche nel biennio successivo.


Argomento: Protezione della natura (fauna, flora, minerali, vigilanza, ecc.)

Interpellanza n. 876 dei Consiglieri Bresso, Bortolin, Rivalta e Buzio inerente il progetto del nuovo impianto funivia del Monte Rosa in località Alagna Valsesia


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 876. La parola all'Assessore Cantore.
CANTORE, Assessore regionale Nel 1989 è stata svolta dalla Finpiemonte S.p.A., su incarico della Regione Piemonte (D.G.R. n. 6-24777 del 18.11.1988), l'analisi di settore relativa al "Progetto per la riqualificazione turistica della Valsesia" compreso nel Piano regionale di sviluppo .1988-90.
L'analisi di settore individua, con particolare attenzione alla fattibilità economica complessiva del Progetto, le azioni e gli interventi necessari in tutti i comparti di attività funzionali alle finalità perseguite dall'indagine. Tra questi ultimi un'attenta analisi è dedicata al sistema degli impianti di risalita, alla necessità di un suo adeguamento agli standard odierni, alle soluzioni ambientali più idonee per realizzare il collegamento sciistico con l'area sciabile di Gressoney e permettere, in tal modo, la creazione di un unico comprensorio sciistico del Monte Rosa.
Quest'ultimo obiettivo è considerato condizione indispensabile dal Progetto per garantire la progressiva trasformazione dell'attuale forma di turismo, quasi completamente pendolare, in un turismo la cui componente stanziale possa rafforzarsi e sostenere l'ampliamento della struttura ricettiva a rotazione.
L'analisi di settore affianca alle proposte di intervento per il sistema degli impianti di risalita quelle per tutti i comparti ritenuti funzionali alle finalità del Progetto.
In particolare l'analisi approfondisce la ricerca di soluzioni per promuovere la riorganizzazione territoriale e la riqualificazione ambientale, conscia che queste ultime contribuiscano, alla stessa stregua degli elementi infrastrutturali e strutturali, alla valorizzazione turistica dell'area.
Gli interventi proposti vanno oltre la tutela dei territori non ancora antropizzati e propongono una riprogettazione totale di tutta l'area attraverso uno strumento di piano adeguato, per favorire un'azione non di mera conservazione, ma bensì di recupero della qualità ambientale perduta nel corso dello sviluppo turistico precedente.
Stante questa premessa, in relazione ai contenuti dell'interpellanza si specifica quanto segue: le politiche di sviluppo regionale individuano, nell'arco alpino piemontese, pochissime località in grado di confrontarsi sul mercato turistico invernale europeo e extraeuropeo. Uno di questi poli è costituito dal comprensorio del Monte Rosa, ma il suo inserimento nel mercato internazionale della neve necessita di adeguamenti infrastrutturali e strutturali; trai primi risultano fondamentali quelli relativi al sistema degli impianti di risalita per la creazione di un unico dominio sciabile sui due versanti piemontese e valdostano.
Nel sostenere lo sviluppo turistico del Monte Rosa, l'Amministrazione regionale ha voluto comunque preventivamente verificare la validità della scelta operata predisponendo il Progetto descritto e ciò al fine di: a) dotarsi di uno strumento di indirizzo dello sviluppo turistico della Val Sesia nonché di valutazione b) rendere compatibili, attraverso opportune e ponderate scelte tecnico progettuali, le politiche di sviluppo con quelle di tutela e di riqualificazione ambientale c) definire un quadro organico e coordinato degli interventi pubblici e privati necessari sulla base di un'analisi di fattibilità economica complessiva del Progetto, al fine di non disperdere risorse pubbliche e come incentivo-garanzia per gli investimenti privati.
Il progetto che è stato origine di una società, la "Valspro" non ha avuto ancora corso. Ci sono stati degli incontri con il collega Assessore regionale della Valle d'Aosta e con il Ministro del Turismo e dello Spettacolo, ma abbiamo posto particolare attenzione, da una parte, alla possibilità di costruire un comprensorio sciistico a livello internazionale e, dall'altra, a rispondere anche alle richieste della popolazione, che vede in questa parte della Val Sesia, ma soprattutto dell'Alta Val Sesia una situazione di disagio e di difficile mantenimento della popolazione stessa.
Vorrei ricordare, come il Consigliere Bortolin sa, che ad Alagna c'è un solo albergo con pochissima ricezione alberghiera, mentre c'è, secondo me grazie ad una programmazione sbagliata del passato, una importante incidenza di seconde case. L'interesse dell'Assessorato regionale - ma anche la linea di tendenza è questa - è di diminuire la presenza di seconde case nelle località turistiche, soprattutto in quelle turistico-montane, e incentivare invece la ricezione alberghiera o qualsiasi altra forma di ricezione.
Quindi, da una parte rispondere a queste esigenze di offrire un prodotto migliore che possa essere collegato con la Valle d'Aosta - voglio anche ricordare che gli impianti sono molto desueti soprattutto ad Alagna e dall'altra parte però mantenere una caratteristica che ha l'alta Valsesia: oggi l'alta Valsesia si presenta come montagna incontaminata, nel senso che è soprattutto oggetto di scoperta o di riscoperta da parte di alpinisti o di coloro che vogliono vivere una montagna diversa. Lo stesso impianto che parte da Alagna e va in cima è soprattutto un impianto estivo che porta a questo contatto con una montagna incontaminata. L'obiettivo ché peraltro è un obiettivo che non può perseguire né la Regione Piemonte da sola, né la Regione Piemonte con la Regione Valle d'Aosta, ma che potrebbe rientrare in un obiettivo nazionale,(quindi in un progetto nazionale se così sarà impostata anche la nuova legge quadro sul turismo) è, da una parte, quello di dare una maggiore potenzialità turistica e ricettiva, di migliorare alcuni impianti e soprattutto di fare dei collegamenti tra Piemonte e Valle d'Aosta (già oggi insistono degli impianti piemontesi sul territorio valdostano, ma non c'è una soluzione di continuità) e dall'altra parte non solo quello di salvaguardare l'ambiente quindi non si vuole fare nessuna operazione di cementizzazione o comunque di grandi impianti che possono rovinare questa montagna, ma anche di poterla mantenere come montagna incontaminata e quindi come montagna dove si rivolge un turismo che non si rivolge dalle altre parti. L'ideale sarebbe riuscire a coniugare queste due tendenze. Peraltro, ripeto, c'è una esigenza della popolazione, ma anche degli operatori locali, di dare un impulso diverso al turismo. L'unica strada, secondo noi, è questo collegamento con la Valle d'Aosta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bortolin.
BORTOLIN Replico brevemente alle considerazioni che ha svolto l'Assessore per dire che può essere interessante e confortante sapere che si opera nella direzione di tutelare una parte della nostra montagna ancora incontaminata ma la preoccupazione è abbastanza forte, perché laddove si avviano interventi di impianti di funivia molte volte sono interventi che - se non si presta la massima attenzione e si risponde solo a necessità di carattere turistico ma soprattutto economico di sfruttamento della montagna - possono essere molto devastanti, il cui ritorno indietro non è poi più possibile.
Quindi vi è la necessità di prestare la massima attenzione ai progetti che qui sono stati illustrati. E' indubbio che la necessità della zona di Alagna sia quella di espandere la propria capacità ricettivo-turistica. Ma noi condividiamo che è altrettanto indubbio che la strada non può essere soltanto quella, come è stato in questi anni prevalente, delle seconde case, ma che debba esserci anche la possibilità, per coloro che non possiedono le case, di fruire, di godere di questa parte della nostra montagna che è estremamente bella e accogliente. La preoccupazione è proprio che questo intervento vada ad inserirsi in una zona - l'Assessore l'ha ripetuto più volte - tuttora bella ed incontaminata.
La nostra interpellanza è una sollecitazione di attenzione particolare da parte della Regione Piemonte affinché le preoccupazioni espresse vengano fugate da interventi davvero positivi che vadano nella direzione di utilizzare e di educare la montagna rispettando l'ambiente. Non credo che nessuno di noi voglia, anche per quanto riguarda il Monte Rosa ripercorrere lo sfruttamento che hanno fatto in Valle d'Aosta per il Monte Bianco. I paragoni forse non sono del tutto pertinenti, ma quando ognuno di noi ha la possibilità di constatare il grado di inquinamento di una delle montagne più belle di cui noi disponiamo, più belle non soltanto nel nostro Paese, ma nell'ambito dell'Europa, credo che torni a casa con la volontà di non ripercorrere quella strada. Prima di intervenire in una montagna per noi molto cara e preziosa, qual è il Monte Rosa, credo che si debba tenere conto anche delle esperienze estremamente negative fatte altrove e soprattutto nella nostra vicina Valle d'Aosta. Se è ancora possibile chiederemmo che i Consiglieri siano continuamente informati dello stato di avanzamento di questo progetto.


Argomento: Strutture ricettive (albergh., extra-albergh., campeggi e villaggi, classif., vincolo) e strutture e impianti turist.

Interrogazione n. 928 del Consigliere Marino inerente il progetto di attrezzatura turistico sportiva in zona Lago Verde di Oulx.


PRESIDENTE

Esaminiamo ora l'interrogazione n. 928 alla quale risponde ancora l'Assessore Cantore.
CANTORE, Assessore regionale Il ritardo con cui sono forniti i seguenti elementi in risposta alle interrogazioni in oggetto, sono da attribuirsi ai tempi di acquisizione della documentazione da parte del Comune di Oulx, poiché tutte le autorizzazioni inerenti l'esercizio di qualsiasi attività turistico ricettivo, come è noto, è competenza dei Comuni.
In specifico a proposito del progetto turistico in oggetto si precisa quanto segue: il Piano Esecutivo Convenzionato (PE C) approvato dal Comune di Oulx nel 1984 prevedeva la realizzazione di strutture turistico sportive, costituite da un camping sul terreno soggetto a tutela ambientale e sito in via L. Einaudi.
Successivamente detto PEC veniva erroneamente stralciato per poi essere successivamente reinserito nel PRGC di Oulx con deliberazione del Consiglio comunale n. 62/69 del 26/ 10/1989.
Nel 1991 il Consiglio comunale riapprovava il PEC della Società Lago Verde srl, che prevedeva la realizzazione di attrezzature turistico sportive, sul medesimo terreno.
La Giunta regionale con deliberazione n. 131-9444 del 7 ottobre 1991 sentito il Settore Beni ambientali della Regione autorizzava, si sensi dell'art. 82 del DPR N. 616, l'esecuzione delle opere nelle zone soggette ai disposti della legge 29/6/1939 n. 1497, tra le altre anche la costruzione di un campeggio in via Einaudi nel Comune di Oulx, su richiesta del sig. Giuseppe Sartirana per la Società Lago Verde srl.
A completamento del presente excursus si precisa che il Settore Beni ambientali dell'Assessorato regionale ai beni culturali e ambientali, nel rilasciare parere favorevole preventivo all'assunzione del sopra citato atto della Giunta regionale, ha dettagliatamente indicato tutti gli accorgimenti e le condizioni a cui dovranno attenersi i realizzatori del progetto, per non arrecare danno all'area soggetta a vincolo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marino.
MARINO Date le caratteristiche, non ho capito quali sono le motivazioni in base alle quali la Regione ha autorizzato un progetto di questo tipo. Non so se qualcuno dei presenti conosca l'area, ma è evidente che un'area come quella, utilizzata per costruire un campeggio, che prevede attorno a sé un ampio parcheggio per le auto, ecc., vuol dire rinunciare a mantenere le caratteristiche di bene ambientale e naturale dell'area stessa. Esprimo quindi, la mia totale perplessità sulla decisione della Regione che modifica e fa perdere un valore non frequentemente presente in quella zona come l'area fino ad oggi non particolarmente costruita e cementificata intorno al lago. E' vero che il campeggio non è una forma di occupazione del territorio particolarmente pesante, ma il risultato finale sarà che quella zona diventerà qualcosa di diverso da quello che è oggi e non so con quali vantaggi, soprattutto per quanto riguarda l'ampio parcheggio ed il fatto che, comunque, il campeggio sia costruito a ridosso di un lago estremamente interessante.


Argomento: Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Interpellanza n. 647 del Consigliere Chiezzi inerente la realizzazione di vani nell'area E/28 piazza Sofia, in prossimità delle sponde del fiume Stura


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 647 del Consigliere Chiezzi.
Risponde l'Assessore Carletto.
CARLETTO, Assessore regionale In riferimento all'interpellanza n. 647 del Consigliere Chiezzi inerente l'edificazione di vani nell'area E/28 piazza Sofia, si comunica che presso gli uffici del mio Assessorato non sono pervenuti atti e/o notizie circa le intenzioni del Comune di Torino di intervenire sull'area stessa e, pertanto, non è possibile a tutt'oggi confermare o smentire quanto evidenziato. Com'è noto, le aree E sono state destinate dal PRGC attualmente vigente all'edilizia residenziale pubblica. Aree, peraltro, che l'amministrazione Comunale di Torino in questi ultimi anni non ha messo a disposizione degli operatori impedendo, di fatto, la realizzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
A questo proposito debbo dire che la Regione ha fatto, negli ultimi sei mesi, nei confronti della città di Torino, un'azione piuttosto incisiva per chiedere alla città di creare le condizioni, dal punto di vista urbanistico e delle aree, affinché i finanziamenti destinati alla città di Torino di edilizia sovvenzionata e di edilizia agevolata possano decollare. La Regione non ha dato indicazioni specifiche sulle aree, ma ha detto che la città di Torino ha delle aree di proprietà pubblica e quindi, su queste può rapidamente intervenire. Infatti, sappiamo che ci sono parecchie centinaia di alloggi, sia in sovvenzionata, quindi in locazione, che in agevolata, quindi in proprietà, attraverso cooperative o consorzi di impresa, che sono finanziati da anni, ma che Torino non riesce a far decollare.
Questa è sicuramente una preoccupazione della Regione e la Regione, nel quadro degli incontri che ha fatto con i Comuni interessati, in particolare con i Comuni oggetto di forte tensione abitativa, quindi Torino e la prima cintura, ha posto questo problema. Pub darsi che l'area E/28 piazza Sofia anzi, non lo escludo, sia un'area sulla quale la città può intervenire, ma documentazione a questo proposito non ne ho, quindi la risposta al quesito preciso è che non mi risulta nel modo più assoluto e 1o considero assolutamente fuori da ogni logica urbanistica, avendo, anche sulla base dell'interrogazione, fatto alcune verifiche; l'ipotesi che vengano realizzate 15 case a 6 piani, quindi con un intervento sulla E/28 che, da come rilevo dall'informazione dell'interrogante, è piuttosto massiccia in termini di volumetria.
La legge regionale n. 70/91 di variante alla 56/77 prevede, all'art.
16, 4' comma, che: "I Comuni dotati di Piano Regolatore approvato in data posteriore all'entrata in vigore del DM 2.4.68 n.1444, ivi inclusi quelli approvati con le procedure di cui all'art. 90, possono adottare varianti al Piano Regolatore vigente aventi ad oggetto progetti di rilievo urbano che richiedono accelerata attuazione, solo nel caso in cui abbiano adottato il progetto preliminare del PRGC a norma dell'art. 15, 3' comma, ed a condizione che dette varianti siano conformi al progetto preliminare".
In tal senso la città di Torino, che ha adottato il PRGC preliminare potrà proporre varianti nello spirito della norma di legge precedentemente citata (le cosiddette anticipazioni) che comunque dovranno essere esaminate dalla Commissione Tecnica Urbanistica istituita con la già citata legge regionale 70/91.
Quindi, se il Comune dovrà proporre delle variati per poter realizzare sicuramente l'Assessorato regionale e la Commissione Tecnica Urbanistica esamineranno questi progetti anche dal punto di vista ambientale, (visto che l'interrogante sottolinea opportunamente le questioni relative all'ambiente e quindi ai vincoli che ci sono su questo alveo fluviale).
Com'è noto, peraltro, le aree fluviali ed a parco sono regolate dalle apposite leggi di settore 431/85 e 1497/39 e l'Assessorato regionale ai beni culturali e ambientali e ai parchi è preposto ad esprimere specifici pareri ed autorizzazioni di competenza circa l'osservanza dei vincoli e delle proposte di intervento sotto il profilo paesistico-ambientale.
Quindi, anche da questo punto di vista, il collega Nerviani darà le proprie valutazioni alle quali dovremo attenerci.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.
CHIEZZI Presidente, colleghe e colleghi, l'interpellanza con la quale ponevo la questione dell'intenzione, da parte del Comune di Torino, di edificare sulle sponde del Po e della Stura diverse centinaia di alloggi non è evidentemente ancora giunta sul tavolo di lavoro dell'Assessore competente.
L'interpellanza si riferisce ad un fatto concreto e verificabile, al di là delle procedure amministrative. Essa cita una proposta, deliberata dalla Giunta comunale di Torino, di edificare mediante un Piano Particolareggiato, in variante al Piano Regolatore, tutto quanto è illustrato nell'interpellanza.
Il Comune di Torino propone di edificare a poche decine di metri dalla Stura e dal fiume Po quattro case a sei piani fuori terra, quindici case a cinque piani fuori terra, undici case a quattro piani fuori terra e tre case a tre piani fuori terra, per una lunghezza complessiva di circa un chilometro. Se l'Assessore ha presente la zona si tratta di un perimetro edificato che dovrebbe avvolgere, fronteggiando il fiume Stura e il fiume Po, tutta la zona di Piazza Sofia.
In riferimento all'area E28, area di edilizia economica popolare esistente, di cui questo insediamento dovrebbe essere un'ulteriore espansione, i problemi sono di due tipi. Il primo problema deriva dal fatto, richiamato anche dall'Assessore, che la città di Torino da un lato si trova in una situazione di emergenza abitativa ormai endemica dall'altro si trova nell'incapacità di costruire le case che potrebbero essere costruite ora, anzi, che potevano essere costruire ieri e l'altro ieri. Questo è un fatto di una gravità eccezionale ed è importante che lo stesso Assessore regionale lo abbia nominato. La Regione non può assistere a questa inerzia del Comune di Torino e se lo fa si rende in qualche modo partecipe di un ritardo che può agevolmente essere denunciato come un grave ritardo e responsabilità politica o grave incapacità di Governo.
Il Comune di Torino non spende i soldi, la Regione non riesce ad assegnare i finanziamenti e gli sfrattati, le famiglie a basso reddito, che non hanno casa, continuano ad aspettare. Di fronte a questa situazione, per quanto riguarda il ruolo del Consiglio regionale, potremmo fare qualche cosa di più che non assistere inerti ad una situazione di fatto senza cercare di modificarla. Il problema della casa è uno dei problema più grandi che possono avere i cittadini: la città di Torino è una città che dispone di ampie aree inutilizzate ed è ben strano che la stessa città non riesca ad individuare i luoghi in cui costruire ad esempio le centinaia di alloggi che è già possibile costruire oggi, ma, direi di più, che non riesca ad individuare i luoghi in cui costruire migliaia di alloggi a servizio dell'area torinese.
Nella città di Torino sono stati indicati come liberi almeno sei milioni di metri quadrati di terreno, ma il Piano regolatore della città di Torino, invece di indicare le grandi aree di trasformazione di proprietà privata abbandonate dalle industrie come aree sulle quali, insieme ai servizi, edificare una certa quantità di case, ha scelto un'altra strada di fronte alla quale la Regione Piemonte nulla ha detto: la strada di consentire l'utilizzo delle aree dismesse dalle localizzazioni industriali in modo speculativo. Ha fatto cioè la scelta politica di riavviare un modo di trasformazione della città, attraverso la liberazione delle rendite urbane, attraverso la liberazione di un meccanismo economico di stampo speculativo che consenta, attraverso la remunerazione che aree centrali possono dare, che sulle stesse si intervenga con interventi di tipo terziario e commerciale o di grande livello. Ha escluso queste aree ex industriali come aree da acquisire da parte del patrimonio pubblico e da assegnare per i vari tipi di edilizia. Questa è una scelta politica di fondo sulla quale è imperniato il progetto preliminare che la città di Torino ha approvato e sulla quale il Consiglio regionale poteva discutere.
L'Assessore Carletto si ricorderà che, su proposta del sottoscritto nelle settimane in cui la città di Torino faticosamente portava a termine la fase del progetto preliminare, avevo proposto che il Consiglio Regionale prendesse posizione su quanto emergeva a livello politico e amministrativo della città di Torino. Era una richiesta non astratta, la richiesta era motivata dal fatto che la Regione Piemonte poteva intervenire a livello di autorevolezza politica sulle scelte della città di Torino, dando altri tipi di indirizzi. Ad esempio utilizzando il vasto patrimonio di aree, ormai abbandonate, per una seria politica delle abitazioni. Viceversa, la città di Torino ha fatto uno sforzo per individuare aree sulle quali costruire case economiche e di edilizia agevolata. Nella direzione di utilizzare, a questo scopo, aree già destinate a servizi ed in particolare già destinate a verde pubblico. Questa è la grossa preoccupazione che sollevo. La città di Torino ha una politica della casa che configge con la politica di costruire una città ricca di servizi, di verde e capace di rispondere adeguatamente al bisogno della casa. Le case, la città di Torino, le andrà a costruire sul bordo dei fiumi, nei parchi, perché il progetto preliminare del Piano regolatore ha previsto che il verde dei prati di Torino e l'acqua dei fiumi, siano capaci di generare cubatura. Sull'erba dei grandi parchi la città di Torino così ha ragionato: "supponiamo che sui prati ci sia della cubatura, dei metri cubi, prendiamo tutti questi metri cubi e li concentriamo un po' in questo parco e un po' in questo altro, così troviamo lo spazio per fare le case". Intanto, la FIAT (per fare un nome) sulle proprie aree, continua a valorizzarle secondo i propri interessi e non quelli della città: il Salone dell'automobile è uno di questi esempi. Un interesse della FIAT portato a termine contro un interesse della città che continua a vedere il Salone dell'automobile penalizzato, a livello internazionale, dall'assenza dei concorrenti stranieri.
Di fronte a questa situazione l'interpellanza solleva solo una caso concreto. La zona di confluenza del fiume Po con la Stura (invito chi non conoscesse quest'area, a fare una visita, invito rivolto anche ai colleghi che vengono da altre province) è una delle aree ambientali più belle di tutta l'area torinese. La confluenza di due grandi fiumi presenta uno specchio d'acqua calmo perché vi è uno sbarramento idraulico, la diga che porta al Canale Cimena, ha di fronte la collina di Superga che, su quel versante, è ancora una collina quasi incontaminata. E' un ambiente e un paesaggio degno di tutela oltre che degno di essere valorizzato come area a verde. In quella zona vi sono degli insediamenti di avifauna rari per una conurbazione , di 1 milione e mezzo di abitanti: c'è l'Airone cinerino, ci sono degli insediamenti sui quali associazioni come la LIPU hanno già organizzato punti in cui è possibile visionare tale fauna senza disturbarla. E' una zona in cui l'intervento pubblico dovrebbe considerare prevalenti gli aspetti relativi allo specchio d'acqua, alla natura della collina prospiciente, all'utilizzo di un ambiente verde superstite che s'insinua fin nell'edificato, ed effettuare rilevanti interventi di valorizzazione ambientale, unendo la natura alle attività "leggere" che una città come Torino può svolgervi all'interno.
Viceversa, il piano particolareggiato della Giunta di Torino - che arriverà sul tavolo di questa Regione senza che noi Consiglieri si possa intervenire in alcun modo - prevede che si possa edificare una cortina di più di un chilometro di case! Mi pare una scelta sulla quale il Consiglio debba pronunciarsi; in tal senso la mia interpellanza è del tutto insufficiente: è una semplice domanda rivolta all'Assessore, che pur dichiarando di non conoscere il problema sembra sensibile al fatto che nella città di Torino, con tutte le aree libere esistenti, si debba rischiare la compromissione ambientale sul bordo di due fiumi.
Chiedo all'Assessore di informarsi, anche in sede prettamente politica come ciascuno di noi può fare al di là di competenze e di firme su atti passati dagli uffici, di verificare con il Comune di Torino la natura della proposta contenuta nel piano particolareggiato. Riterrei anche opportuno che svolgesse una propria considerazione a nome della Giunta in sede di II Commissione consiliare, per giungere a proporre un pronunciamento del Consiglio regionale sul tema.
La Regione Piemonte ha poco peso, tra Consiglieri lo diciamo tante volte. Un modo di contare è intervenire esercitando il proprio ruolo programmazione e pianificazione territoriale - nei confronti del soggetto forte costituito dal Comune di Torino. Una politica regionale che non faccia i conti con Torino e che non sia in grado, con forza, di indicare direttrici di lavoro o di scelte politiche è la politica di una Regione messa in un cantuccio, che non riesce a svolgere alcuna politica, neppure quelle proprie, di livello regionale.
La Regione Piemonte, in Consiglio regionale, deve dare alla Città di Torino precise indicazioni - che il Comune nella sua autonomia potrà accettare o meno. La Regione assuma il proprio ruolo e faccia sentire la propria voce. Specificatamente chiedo che ci si pronunci sulla scelta del Comune di Torino di costruire in riva a Po e Stura un chilometro di case alte da tre a sei piani; scelta che ritengo sbagliata rispetto agli interessi della città. Confido nell'Assessore, ed eventualmente nei colleghi ai quali potrei associarmi in ulteriori iniziative, affinch comprenda l'importanza dell'argomento. La Regione intervenga autorevolmente dando indicazioni alternative a quelle di compromissione ambientale per soddisfare il bisogno di abitazioni.



PORCELLANA FRANCESCO


Argomento: Edilizia e norme tecnico-costruttive - Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Interpellanza n. 939 del Consigliere Chiezzi inerente i problemi della casa


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 939 del Consigliere Chiezzi.
Risponde l'Assessore Carletto.
CARLETTO, Assessore regionale L'interpellanza del collega Chiezzi, alla quale non ho preparato risposta scritta, ha carattere molto generale in ordine ai problema della casa, che vengono richiamati in più punti. L'interrogazione precedente ha sollevato alcuni aspetti, sicuramente non gli unici, che attengono, per esempio, alla questione delle risorse che la Regione Piemonte mette a disposizione degli enti attuatori. Risorse insufficienti rispetto agli obiettivi da raggiungere, soprattutto nelle grandi realtà urbane, dove è assolutamente necessario realizzare un riequilibrio urbanistico attraverso la realizzazione di edilizia in locazione agevolata e in proprietà sovvenzionata. Risorse che, seppure insufficienti, talvolta non riusciamo a spendere nei tempi e nei modi che vorremmo perché non è facile (soprattutto in realtà paradossalmente a più forte tensione abitativa) avere da parte dei comuni l'attenzione che un problema di questo tipo richiede.
Il problema - collega Chiezzi - è legato anche a politiche del passato da ricordare in questo Consiglio regionale, che hanno consentito che la città di Torino scaricasse le proprie tensioni abitative sui Comuni della prima e della seconda cintura metropolitana. Attualmente, in tempi di autonomie e campanilismi, vi sono Sindaci che giustamente sollecitano Torino a risolvere i propri problemi. Sindaci di Nichelino, di Orbassano di Grugliasco, di Collegno, di Venaria, di Moncalieri, verso cui nei decenni passati abbiamo scaricato le tensioni abitative torinesi conseguenti a scelte urbanistiche non coerenti, compiute dal Comune.
Il primo investimento della FIAT in C.so Peschiera è stato attuato in un periodo storico preciso degli enti locali torinesi e piemontesi, non è stato autorizzato dall'attuale tipo di quadro politico. Le valutazioni rispetto al futuro ci devono far guardare al passato per evitare errori commessi un po' da tutti: Torino che non risolvendo i propri problemi ha consentito alcune speculazioni alla grande azienda FIAT, dirottando sui Comuni della prima cintura le proprie tensioni abitative. Basta dare un'occhiata all'incremento demografico di questi Comuni: nel giro di 10/15 anni questi Comuni, attraverso operazioni urbanistiche assai pesanti sono passati da 10/15.000 a 50/60.000 abitanti.
Il problema della casa indubbiamente è complesso; vi sono poi aspetti più semplici, più minuti: la grondaia che perde acqua, il tetto che va riparato, etc. Quasi sempre, soprattutto in alcuni istituti della nostra Regione, queste cose vengono fatte male ed in ritardo. Quindi io, collega Chiezzi, non ho una risposta scritta a questa interpellanza; do semplicemente una risposta politica che spero lei condivida.
Siamo in una fase di grande novità dal punto di vista dell'edilizia residenziale pubblica; ci sono, ripeto, delle novità dal punto di vista istituzionale, perché dobbiamo cercare di definire i soggetti che si debbono occupare seriamente del problema della casa. C'è l'esigenza di riorganizzare gli Istituti Autonomi Case Popolari per quanto riguarda la sovvenzionata e c'è un disegno di legge della Giunta che spero - il Presidente della II Commissione mi sta ascoltando e lo ringrazio - potrà essere messo all'o.d.g. della II Commissione quanto prima, perché se non riformiamogli IACP non creiamo le condizioni affinché i medesimi possano svolgere meglio il loro mestiere.
Da questo punto di vista, abbiamo l'esigenza di capire che il consorzio tra gli istituti, che in quel disegno di legge ha un'ipotesi di riorganizzazione - condivisa o no, ne parleremo - non può continuare ad esistere solo sulla carta, così come avviene oggi e come è avvenuto negli ultimi anni. Bisogna comprendere che una politica seria della casa la si può affrontare non con il singolo Comune, ma in una visione consortile dei problemi della casa, soprattutto nell'area torinese. Dobbiamo allora capire se questo CIT ha un ruolo di programmazione e se glielo vogliamo dare (io sono tra quelli che sostengono che bisogna darglielo); è però necessario che i soggetti consorziati, cioè i Comuni, siano d'accordo, perché io non ho strumenti per imporre questo.
Con questo voglio dire che siamo in una stagione di novità dal punto di vista istituzionale, novità che vanno verificate e approfondite; e siamo in una stagione di novità anche dal punto di vista legislativo nazionale.
La legge Botta-Ferrarmi incide fortemente sulla politica della casa; è una legge che considero positiva, ancorché da approfondire. Le Regioni, nel mese di maggio, si riuniranno a Perugia in quanto la legge presenta tutta una serie di novità.
Ad esempio, il discorso dei piani integrati è di grandissimo rilievo e io lo condivido totalmente per la filosofia che ha alle spalle, per gli obiettivi che si pone; inoltre c'è la novità delle cooperative a proprietà indivisa che possono trasformarsi a proprietà divisa, nonché una serie di novità che consentiranno un raccordo ed un'intesa tra pubblico e privato indubbiamente di grande interesse. Questa legge è davvero interessante e occorre capirne i riflessi per le novità urbanistiche che ha in sé, perch la legge Botta-Ferrarini consente di introdurre delle varianti di destinazione senza che ci siano i provvedimenti urbanistici; quindi vi sono grosse novità anche dal punto di vista urbanistico.
Come il collega Chiezzi sa, vi sono delle novità in ordine alla cessione del patrimonio di ERPS nel nostro Paese, una cessione che era partita con la legge n. 513, che poi doveva riprendere con la Finanziaria e che adesso si è fermata perché gli estimi catastali ai quali la Finanziaria fa riferimento per poter vendere gli alloggi sono stati messi in discussione da una sentenza del TAR Lazio sulla quale sicuramente l'interrogante è informato. C'è dunque l'esigenza di fare un po' di riflessioni in un panorama molto difficile e complesso, al quale la Regione sta guardando con interesse e con attenzione.
Probabilmente nel mese di giugno, quando avremo fatto chiarezza su una serie di questioni, varrà la pena -1a lascio come riflessione al Presidente del Consiglio - di fare un dibattito in aula per individuare un percorso alla luce sia delle nuove normative nazionali (e mi auguro regionali, se inizierà il lavoro in II Commissione sul nostro disegno di legge), sia delle nuove situazioni istituzionali e finanziarie e sia alla luce di una serie di esigenze che la Regione ha.
Il Consigliere Chiezzi ha ragione quando ci chiede di avere maggiore autorevolezza. Io sono tra quelli che sostengono che la Città di Torino molto spesso, tenta di considerarsi "area franca" nella Regione Piemonte questo è un atteggiamento - è una valutazione del tutto personale inaccettabile. E' giusto che Torino eserciti il peso di capitale, ed è giusto che rappresenti, dal punto di vista del peso economico, sociale abitativo il peso che ha; non è però assolutamente accettabile che la Regione debba seguire, come spesso avviene, con provvedimenti conseguenti scelte che non possono essere solo della Città ma che devono coinvolgere anche la Regione. Spesso siamo costretti a subire, a ratificare, a mettere timbro e firma su scelte che la Città compie e che hanno rilievo non comunale, ma sovracomunale e spesso regionale.
Sono dunque totalmente d'accordo con il collega Chiezzi; tuttavia, da questo punto di vista, per quanto riguarda il Piano regolatore, dobbiamo rispettare le funzioni e le competenze istituzionali. La Regione entrerà comunque nel Piano regolatore, anche prima che il Comune approvi il piano definitivo, attraverso il piano territoriale che dovremo realizzare sul territorio della Provincia metropolitana, secondo un'indicazione votata all'unanimità dal Consiglio comunale.
Su questo stiamo lavorando con il collega Nerviani e interverremo attraverso l'esame delle anticipazioni. Le anticipazioni dovranno essere valutate dalla Regione, la quale darà sicuramente il suo giudizio di merito, sia dal punto di vista delle scelte urbanistiche sia dal punto di vista delle scelte abitative.
Recentemente in questo settore c'è stato un periodo di vacanza dovuto al fatto che l'Assessore Mercurio ha rimesso la delega; il Sindaco ovviamente, non può farsi carico di un settore di questa delicatezza e decidere nel giro di pochi giorni, non conoscendo la materia. Ho avuto con lui una serie di incontri, e ho detto che sono pronto a proporre alla Giunta e al Consiglio regionale anche interventi di surroga qualora la Città non dovesse fare (ma spero che non sia così) la sua parte nel consentire alla Regione di far decollare i finanziamenti di sovvenzionata e di agevolata; ripeto, sono anche pronto a intervenire con un provvedimento di surroga.
Quindi concordo sul fatto che la Regione debba esercitare il suo ruolo ma credo che lo debba fare - e ho terminato - con un po' di prudenza; deve farlo con attenzione e rispetto istituzionale, così come stiamo cercando di fare - l'interrogazione attiene anche a questa problematica - rispetto all'Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Torino. Su tale questione, nell'ultimo anno abbiamo esercitato una serie di momenti di controllo e di verifica; abbiamo raccolto e stiamo raccogliendo ancora degli elementi di valutazione.
Ritengo che l'Istituto Autonomo Case Popolari di Torino, seppure con le difficoltà che ha, debba dare, su alcune questioni, segnali di maggiore forza e di maggiore capacità di governo delle situazioni, che vanno dalla situazione finanziaria alla situazione della gestione dei vari quartieri agli interventi di manutenzione, ad una serie di altre questioni; anche su questo, appena sarò in condizione di farlo, riferirò al Consiglio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi che invito ad attenersi ai tempi previsti dal Regolamento.
CHIEZZI Signor Presidente, mi atterrò scrupolosamente ai tempi assegnati.
Innanzitutto rilevo che sul problema della casa finora siamo stati in grado di affrontarlo in termini molto stringati anche attraverso lo strumento dell'interpellanza (strumento del tutto inadeguato, così come previsto oggi dal regolamento) perché permette di intervenire solo a chi ha presentato un'interpellanza; sarebbe quindi più opportuno trovare una sede più ampia di discussione che però stentiamo tutti insieme a individuare. Le deliberazioni costituiscono anch'esse dei momenti di discussione nei quali scambiarci le opinioni, però sono interventi limitati, quindi a un certo punto, Presidente, dico "ben vengano anche le interpellanze", perché è un momento, bene o male, di confronto pur se limitato alle voci di coloro che hanno presentato l'interpellanza.
Per quanto riguarda il problema della casa che l'interpellanza toccava da un punto di vista generale al quale l'Assessore ha risposto in parte vorrei replicare facendo delle osservazioni su due punti di strategia sollevati dall'Assessore. Penso che la strategia in questo settore sia decisiva e importante. E' inevitabile parlando della strategia di oggi fare riferimento alla storia di questo problema. Vorrei riprendere due fatti sui quali l'Assessore è intervenuto forse in modo un po' difensivo. Penso che in questa situazione nessuno debba difendersi, dobbiamo cercare obiettivamente, dal proprio punto di vista, di analizzare come si sono svolti i fatti e confrontarci liberamente su cosa fare domani.
Sulla osservazione che il Comune di Torino ha sempre fatto quel che ha creduto e che nel passato, non l'ha detto l'Assessore, ma lo dico io al posto suo, durante le Giunte di sinistra, ha scaricato delle tensioni abitative sull'esterno, quale riflessione posso svolgere? La situazione di Torino in quegli anni, fine anni'70 primi anni'80, era una situazione nella quale la disponibilità di aree private all'interno di Torino non esisteva. La smobilitazione dell'apparato industriale nasce nel 1980. Ricordo all'Assessore Carletto che quando fui Assessore al Comune di Torino ed elaborai il secondo programma pluriennale di attuazione (eravamo all'inizio del 1980) la FIAT mi chiese un ampliamento del Lingotto di 40.000 metri quadrati. Badate bene, un ampliamento della fabbrica del Lingotto! Nell'ottobre del 1980 ha iniziato la dismissione del Lingotto ed è iniziata in Torino una smobilitazione di aree senza precedenti. Questa era la situazione, però la tensione è stata scaricata all'esterno e questo è un elemento di sofferenza delle politiche, delle Giunte di sinistra.
L'indirizzo era quello di spostare finanziamenti e abitazioni all'esterno di Torino, ma di portare insieme a quello i servizi: qualcosa è stato fatto, qualcos'altro no, tant'è vero che già allora i Comuni si dolevano di questo. Questa critica è giusta e va accettata.
Per quanto riguarda l'altra critica portata dall'Assessore relativamente all'intervento in Borgo San Paolo, invito l'Assessore e tutti i Consiglieri a un confronto di merito su questa vicenda. A mio parere non è stata assolutamente speculativa, anzi è stato un intervento analizziamolo pure in qualunque sede - a mio parere esemplare e forse irripetibile, irripetibile dal punto di vista degli interessi pubblici che sono stati conseguiti in un rapporto con la FIAT allora. Cito solo un dato: in quell'area di Borgo San Paolo, in seguito ad una convenzione che è stata stipulata tra il Comune e la FIAT, l'80% delle aree di proprietà della FIAT è stato trasferito gratuitamente all'ente pubblico e solo il 20% dell'area è stato utilizzato per l'edificazione. Un rapporto di questo genere vorrei sottoscriverlo domani su tutte le aree di trasformazione! Se i 6 milioni di metri quadrati di aree industriali abbandonate venissero cedute all'80 all'ente pubblico avremmo 4.800.000 metri quadrati, il che vuol dire che edificando a un metro cubo su un metro quadro e quindi lasciando moltissime aree per i servizi a disposizione delle aree vicine, costruiremmo 48.000 stanze. Assessore Carletto, ne faceste di accordi del genere con la FIAT come la Giunta di sinistra allora fece a Borgo San Paolo! Siamo stati capaci di fare quell'accordo - a parte l'adagio "gli asu d'Cavour s' laudu da lur" - anche perché c'erano delle leggi che comprimevano la possibilità da parte dei privati di acquisire come credevano le rendite. Eravamo aiutati da questo fatto, ma non bisogna Assessore Carletto, per una mera polemica politica di schieramento non analizzare quell'esperienza per cosa è stato. Lì non c'è stata speculazione. Può non essere stato tutto merito soggettivo, potevamo essere aiutati oltre che dalla volontà politica soggettiva anche al fatto che l'ente pubblico era più forte perché le leggi operavano ancora e oggi non operano più, però di accordi di quel genere ne farei ancora tanti.
Per quanto riguarda poi gli aspetti minuti sollevati nell'interpellanza, devo dire che sono intervenuto a sostegno di una lettera di protesta del SUNIA, che è un organismo molto attivo.
CARLETTO, Assessore regionale Là ho incontrati ancora ieri su una serie di problemi.
CHIEZZI Il SUNIA solleva presso tutte le forze politiche con continuità il tema dello stato disastroso in cui versa l'edilizia pubblica per quanto riguarda sia le assegnazioni che le manutenzioni. Invito l'Assessore sulla base di quanto ha scritto il SUNIA ad effettuare la massima vigilanza. C'è un'inchiesta della Magistratura che mi pare, a quanto mi risulta leggendo i giornali, parta proprio da queste denunce che il SUNIA ha fatto dapprima alle forze politiche (a tutti noi) e poi non trovando risposte, come dice nella sua lettera, al Magistrato, per cercare di far luce. Mi sembra che la Magistratura stia intervenendo secondo le proprie competenze per capire come funzionano gli IACP. Dato che la Regione ha una funzione di vigilanza su tutto questo, invito l'Assessore a sviluppare tutte le azioni che la Regione può svolgere nei suoi poteri per portare lo IACP a un'amministrazione corretta sia per quanto riguarda le assegnazioni sia per quanto riguardagli appalti.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza n. 964 del Consigliere Chiezzi inerente la speculazione immobiliare e i licenziamenti da parte della ditta Mandelli di Collegno


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interpellanza n. 964 del Consigliere Chiezzi cui rispondono gli Assessori Carletto e Cerchio.
La parola all'Assessore Cerchio.
CERCHIO, Assessore regionale La Mandelli Giovanni Fonderie Acciaierie S.p.A, di Collegno produce fusioni, valvolame, stampi, in acciaio e in acciaio legato. Destina circa il 25% della produzione all'esportazione. Causa la situazione economica negativa, la produzione è dimezzata rispetto ad un anno fa.
L'azienda occupa, ad oggi, 226 dipendenti, di cui 170 operai e 56 impiegati. Negli ultimi dodici mesi vi è stata una diminuzione di 40 addetti per pensionamenti e dimissioni. In questi mesi l'azienda sta fruendo della CIG ordinaria a rotazione per alcuni giorni alla settimana che coinvolge mediamente 15 impiegati e 25 operai, con punte, per alcune settimane fino a 20 impiegati e 80 operai; il periodo di fruizione terminerà alla fine del 1992.
Non ha, ad oggi, avviato alcuna iniziativa e pratica, né iniziata trattativa con le organizzazioni sindacali per mettere i lavoratori in mobilità - per rispondere ad alcune preoccupazioni in termini di diminuzioni strutturali di organico -, ma l'azienda sta utilizzando la cassa integrazione ordinaria per adeguare, in modo flessibile, la manodopera alla produzione attuale.
L'azienda ha inoltre manifestato, in questi ultimi mesi, l'intenzione potenziale di trasferire l'unità produttiva di Collegno a Cafasse, dove esiste un nuovo stabilimento, o comunque aree di espansione di proprietà della stessa Mandelli.
L'azienda motiva il trasferimento con l'esigenza di razionalizzare uno stabilimento ormai per buona parte obsoleto, quello localizzato nell'area territoriale di Collegno, cresciuto negli anni secondo le esigenze produttive che si sono succedute o collocate in un'area, quella centrale di Collegno ormai per buona parte congestionata. Inoltre, secondo le intenzioni dell'azienda Mandelli, lo stabilimento di Cafasse che ha una lavorazione diversa e si colloca in fase successiva nella verticalizzazione del processo produttivo aziendale, dispone di una ampia area in grado di consentire l'insediamento di un altro stabilimento.
A questo proposito vi è da osservare che il Comune di Collegno ha deliberato un Piano Regolatore, inoltrato al CUR. che muta la destinazione d'uso da industriale a residenziale, indicando anche la cubatura edificabile per superficie, di quelle aree del centro cittadino lasciate libere da industrie che trasferiscono altrove la propria attività.
Il Piano Regolatore riconosce un "premio" di cubatura per superficie alle imprese che si trasferiscono nell'area industriale sita in località Savonera. Il CUR. a questo proposito, ha determinato delle osservazioni sostenendo l'opportunità di incentivare le rilocalizzazioni a prescindere dal luogo di destinazione.
L'Assessorato al Lavoro e Servizi per l'Industria ha coordinato nei mesi scorsi una serie d'incontri con le parti sociali e con la città di Collegno per conoscere gli indirizzi in merito alla questione.
La Mandelli, in questi incontri, ha ribadito l'esigenza di poter fruire delle condizioni più favorevoli circa la valorizzazione dell'area centrale di Collegno, anche se la rilocalizzazione potrebbe non avvenire in zona Savonera - quindi fuori dall'area centrale di Collegno - ma a Cafasse. La riunificazione dei due stabilimenti, quello attualmente localizzato a Collegno e quello esistente a Cafasse, in un'unica area, a detta dell'azienda, potrà consentire, con una riduzione dei costi, lo stabilirsi di condizioni favorevoli per il mantenimento della continuità produttiva dell'azienda stessa.
Le organizzazioni sindacali hanno ribadito l'importanza del mantenimento dei livelli occupazionali, anche con lo spostamento eventuale dello stabilimento di Collegno a Cafasse. La questione quindi assume rilevanti aspetti, che attengono a problemi di tipo urbanistico sui quali interverrà più specificatamente il collega Carletto, ma non appare, almeno per ora, avere ripercussioni sui livelli occupazionali; la rilocalizzazione non prevede il ricorso a provvedimenti traumatici circa i posti di lavoro avendo (azienda Mandelli dichiarato di essere in grado, agendo sul turn over e con l'utilizzo della cassa integrazione, di adeguare la forza lavoro alle esigenze del processo produttivo quale verrà a configurarsi nella ipotesi della nuova sede di Cafasse, se questo dovrà marciare.
I lavoratori, in questa seconda ipotesi, avranno evidentemente il disagio di raggiungere la nuova sede di lavoro, che è localizzata ad alcune decine di chilometri dall'attuale localizzazione di Collegno, ma certamente non in termini stravolgenti.
Su questo problema, in questi mesi, si stanno trattando gli aspetti occupazionali di garanzia di provvedimenti non traumatici per quanto riguarda la competenza diretta dell'Assessorato al Lavoro.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Carletto.
CARLETTO, Assessore regionale Il collega Cerchio ha fornito tutti gli elementi per quanto attiene la trattativa tra azienda, Regione e sindacati. Personalmente fornisco alcuni elementi dal punto di vista urbanistico, che mi sembra possano integrare il ragionamento.
Il Comune di Collegno ha individuato alcune aree, con una superficie ragguardevole pari complessivamente a circa 300 mila metri quadrati occupate da industrie da localizzare, in quanto site in ambiti non più compatibili con gli indirizzi della variante generale di PRGC incentivandone il trasferimento con un premio di cubatura.
L'impostazione è stata condivisa ed accettata dal CUR. in quanto le aree interessate sono ubicate nel settore sud-est del territorio comunale congestionato, e a sua volta congestionante la struttura urbana posta lungo il corso Francia.
Inoltre il CUR ha ritenuto di consentire la localizzazione di una nuova zona industriale lungo la tangenziale limitatamente ad una superficie di circa il 50% di quella proposta dal progetto di PRGC.
Tale limitazione si è resa necessaria perché l'area individuata sebbene di superficie non eccezionale, occupa un sito che può determinare una precisa opzione su tutto il comprensorio racchiuso tra la tangenziale stessa e il fiume Dora. Pertanto dovrebbe essere supportata da specifici approfondimenti in ambito sovracomunale a scala metropolitana, ed è una delle questioni che ci auguriamo di poter risolvere con il lavoro che stiamo svolgendo.
Se questa è una zona di riequilibrio produttivo solo per Collegno, così come il CUR l'ha interpretata, è troppo grande e basta il 50%. Se è una zona che, invece, può diventare un polo di riequilibrio produttivo per tutta l'area metropolitana, non solo quella individuata dal Piano Regolatore di Collegno, ma molto più ampia dovrà essere, essendoci le condizioni per poterla attuare molto più ampia tra la tangenziale e il fiume Dora.
In attesa di studi più ampi, e questo lo facciamo come politica urbanistica - lo abbiamo fatto per altri Comuni, quali Orbassano attueremo una politica di salvaguardia, di freno prudente per avere tutta una serie di elementi di pianificazione territoriale sui quali fare le nostre scelte. Questo l'ho voluto sottolineare per dire che questa è la politica che stiamo seguendo. Ho avuto occasione di dire in Consiglio, a proposito del territorio della futura città metropolitana, che stiamo facendo un po' i poliziotti per frenare gli sviluppi non coerenti o eccessivi proprio per consentire poi di avere le condizioni per un riequilibrio, dal punto di vista urbanistico, più coerente e quindi non compromettere le situazioni.
E' inoltre stata riscontrata una ulteriore incongruenza dovuta al fatto che le aree individuate non risultano sufficienti a consentire l'immediata rilocalizzazione delle aziende eventualmente interessate. Quindi, non c'è neanche il ragionamento matematico di dire: "Mi serve quell'area perché è un'area pari a quella sarebbe viene dismessa"; no perché questo non sarebbe neanche sufficiente, quindi se le aziende volessero ricollocarsi tutte li non ci starebbero.
Queste problematiche hanno determinato precise osservazioni da parte del CUR. che richiamo sinteticamente: 1) il CUR ha detto: "E' ragionevole incentivare l'allontanamento delle attività individuate dal PRGC a prescindere dalle aree di rilocalizzazione all'interno del territorio comunale od anche in altri Comuni" 2) "E' opportuno, in attesa delle verifiche a scala metropolitana ridurre al 50% la nuova area industriale lungo la tangenziale, vincolandola alla trasformazione nell'ambito di un PIP al fine di razionalizzare l'esistente e consentire una buona percentuale di ampliamento sia a favore delle imprese operanti in sito e sia per quelle che sono eventualmente interessate alla rilocalizzazione immediata. Pertanto il voto del CUR è il risultato di un'analisi e di una discussione che ha tenuto in conto l'insieme dei problemi complessi avanzati Ball Amministrazione comunale di Collegno, con la variante generale al PRGC non si è certo limitato ad affrontare casi particolari, anche peraltro nella fattispecie della ditta Mandelli non risultano essere stati trattati dal progetto di variante al PRGC in modo eccezionale o diverso da tutte le altre imprese", cioè a dire: il piano regolatore e il CUR hanno trattato questo caso come hanno trattato la generalità dei casi e quindi non c'è stato né da parte del piano regolatore comunale, quindi dal Comune, né da parte della Regione, quindi dal CUR. nessuna intenzione di trattare in modo particolare la situazione Mandelli, ma le soluzioni sono state individuate e valgono per tutte le imprese operanti nel Comune, puntualmente individuate dall'Amministrazione ed accomunate da un'unica normativa.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.
CHIEZZI Grazie Presidente. Colleghe e colleghi, dalle risposte rese dagli Assessori si capisce che la ditta Mandelli ha dei problemi di carattere produttivo che purtroppo interessano la vita dei lavoratori di questa ditta e che per affrontare questi problemi di carattere produttivo la ditta sta ragionando sulle opportunità che scelte urbanistiche del Comune di Collegno le offrono per rilocalizzare le proprie attività guadagnando dalla dismissione delle aree in funzione di una valorizzazione delle stesse consentita dal piano regolatore.
Siamo di fronte a un già noto problema relativo alla influenza sulle attività industriali della acquisizione delle rendite dei terreni. Siamo di fronte al solito tema che in Italia, soprattutto in certe contingenze, le attività industriali non si sorreggono in forza della propria capacità produttiva, ma vengono aiutate consentendo la valorizzazione dei terreni abbandonati da queste attività e trasformati speculativamente in terreni ad altra destinazione. Il premio di cubatura non è altro che questo, sarà più o meno grande, più o meno temperato, ma la logica è questa. Di fronte a questa logica, vi esprimo la mia perplessità: a me non pare, e la storia dice così, che si sia mai salvata un'azienda consentendo a questa azienda di effettuare una piccola o grande operazione di speculazione immobiliare sull'area di insediamento. Non è così, ci sono degli esempi clamorosi e tanto per fare sempre gli esempi di casa propria e non volere fare polemiche a casa d'altri, io vi cito l'esempio della Tonolli. La Tonolli un'azienda di corso Francia, negli anni in cui governavo insieme ad altri aveva posto un problema di questo genere. Era un'azienda in difficoltà sembrava quasi che consentendo, attraverso una convenzione, di valorizzare in qualche modo l'area di insediamento e facilitare così uno spostamento la Tonolli si sarebbe salvata. La conseguenza di questa pressione è stata che la Tonolli ha avuto valorizzata la propria area attraverso una convenzione e dopo due anni ha chiuso i battenti in altro loco, intascando evidentemente quello che ha potuto.
Questo modo di far rientrare all'interno delle logiche produttive aziendali le rendite parassitarie è un modo vecchio e che non risolve i problemi. Quindi, non sono d'accordo che se la Mandelli è in crisi sul mercato, questo venga risolto dai premi di cubatura. E' una storia questa! Oltretutto, perché si parla di rendite parassitarie? Perché questo modo di trasferire ricchezza a casa dell'azienda è un trasferimento che nuoce alla collettività perché la collettività dovrebbe determinare la destinazione dell'area su cui è ubicata l'azienda in funzione dei bisogni arretrati di quella parte di territorio. Se queste aziende in Comune di Collegno sono site nel centro conurbato probabilmente ci sono dei fabbisogni di servizi arretrati che dovrebbero essere risolti da uno spostamento aziendale. Non si risanano le aziende con le speculazioni immobiliari.
Da questo punto di vista c'è un altro elemento, mi rivolgo soprattutto all'Assessore Carletto: quando si spostano le aziende esiste la legge urbanistica n. 56, che è ancora vigente a tutt'oggi. La legge all'art. 53 dice che ci sono modalità secondo le quali le aziende si dovrebbero spostare. E' l'articolo sulla convenzione quadro per la rilocalizzazione delle aree industriali. E' un articolo che è stato pensato in epoche diverse, con leggi più cogenti nei confronti dei privati e più dinamiche nei confronti dell'attività di governo pubblico, però sono leggi vigenti che indicavano una strada. La strada, che è ancora valida oggi e che a mio parere il Comune di Collegno contraddice e il CUR contraddice con il suo parere, è quella che la definizione del valore delle aree dismesse dalle industrie deve essere indipendente dalle destinazioni d'uso successive.
Questo comma è contenuto nella nostra legge. Il Comune di Collegno ed il CUR. viceversa, approvano una normativa urbanistica che assegna un valore alle aree industriali dismesse in funzione dell'utilizzazione successiva. Non voglio portare unicamente dei fatti formali, perché è di sostanza che si tratta, ma la decisione del Comune di Collegno ed il parere del CUR contraddicono un disposto di legge. Infatti, non è consentito ad un'industria che si rilocalizza, di farlo secondo parametri che individuano un aumento del valore del terreno lasciato libero da quell'industria. Così almeno, dice la legge; se non è attuale, la si cambi. Non pongo il problema in termini stringenti e amministrativi, ma in termini prettamente politici e cioè che - a mio parere - le industrie non si salvano in questo modo; la strada per salvare la nostra economia è tutt'altra e deve rimanere all'interno del mercato e delle situazioni produttive. Questi possono essere interventi speculativi che fanno spostare un po' di capitale in qualche immobile, magari sito (oggi lo si può fare) anche all'estero, ma non aiutano le aziende a sopravvivere né i lavoratori a mantenere il posto di lavoro.
Esprimo, quindi, tutta la mia perplessità su queste scelte urbanistiche ed invito l'Assessore Carletto (sempre se è possibile ed anche per coinvolgere tutti i colleghi) a tornare in Commissione su questo tema.
Invito, inoltre, l'Assessore Cerchio a tenere d'occhio questa situazione produttiva e, nel rapporto con il Sindacato, se ritiene, sollevare i temi che ho proposto nella mia interpellanza, perché non sarebbe la prima volta che il Sindacato sostiene una trasformazione speculativa delle aree pensando di difendere gli interessi dei lavoratori. Chieda al Sindacato quante volte questo è successo e non ha ottenuto i risultati promessi.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Opere idrauliche ed acquedotti

Interpellanza n. 1006 del Consigliere Chiezzi inerente la richiesta di sospensione sfratti edilizia pubblica - Quartiere di Via Artom


PRESIDENTE

Passiamo all'interpellanza n. 1006 del Consigliere Chiezzi, cui risponde l'Assessore Carletto.
CARLETTO, Assessore regionale Questa è un'interpellanza urgentissima relativa allo sgombero di alloggi di ERPS occupati abusivamente.
Nonostante l'incremento del patrimonio di alloggi di edilizia pubblica tra non molto saranno disponibili n. 304 alloggi in corso di costruzione in Torino Zona E/27 - rimane a Torino e nei comuni dell'area metropolitana la forte richiesta di alloggi popolari e ciò sia perché è cambiata la domanda (giovani coppie, famiglie che si scindono) sia perché manca in Torino l'offerta di case ad equo canone.
Gli alloggi di edilizia pubblica di nuova costruzione o recuperati non vengono, ormai, da oltre dieci anni posti a concorso, ma assegnati direttamente dal Comune di Torino agli sfrattati. Dal 1980 non si fa un bando e, come sappiamo, allo scopo di disciplinare anche questa forma di assegnazione è stata approvata dal Consiglio regionale la legge 22.07.1991 n. 32 per consentire di assegnare fino al 100% degli alloggi agli sfrattati.
Legge questa, che ha anche lo scopo di evitare le occupazioni abusive di alloggi dal momento che il cittadino, colpito da atti giudiziari od amministrativi comportanti il rilascio di abitazioni private, è a conoscenza che la sua posizione soggettiva ha una tutela nell'assegnazione con riserva di alloggi popolari.
Se ciò è vero non può trovare giustificazione, oggi, il fenomeno di occupazioni abusive di alloggi popolari.
Ove poi l'oggetto dell'interrogazione del Consigliere Chiezzi è lo sgombero di alloggi popolari occupati abusivamente, ma di recente, devesi purtroppo, dire che delle conseguenze di tali occupazioni si sta interessando direttamente la Procura della Repubblica presso la Pretura di Torino.
La stessa, infatti, con lettera circolare.del 22 maggio 1991 inviata all'Assessore per la Casa al Comune di Torino, al Presidente del CIT, al Presidente dello IACP, ai Sindaci del circondario nonché al Questore, al Comandante il Gruppo dei Carabinieri ed al Comandante il Corpo di Polizia Municipale, così si esprime: "L'occupazione degli alloggi di proprietà comunale o dell'Istituto Autonomo per le Case Popolari integra il delitto di cui all'art. 633 C.p., sia nel caso in cui l'alloggio sia in attesa di assegnazione sia nel caso in cui vi sia già un legittimo assegnatario.
Il reato di occupazione è reato permanente, che va interrotto dalla Polizia giudiziaria, che deve, anche di propria iniziativa, impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (art. 55 C.p.p.). Non appena quindi, vi sia notizia di una occupazione, gli amministratori comunali o dell'Istituto o del Consorzio provvederanno a denunziare il fatto alla Polizia giudiziaria (Vigili Urbani, Polizia di Stato, Carabinieri) e questa procederà allo sgombero. E' evidente che tanto più tempestivo sarà lo sgombero, tanto meno sorgeranno problemi derivanti dall'avvenuto abusivo insediamento. E' appena il caso di notare che lo sgombero verrà effettuato con le modalità rese necessarie dal comportamento degli occupanti, che potrebbero rendere necessaria la forzatura di porte (ad esempio avendo sostituito le serrature)".
Questo è il cuore della circolare.
Ove, invece, l'interpellanza del Consigliere Chiezzi riguarda casi di occupazioni abusive di alloggi avvenute negli anni passati, si fa presente che è all'esame di questo Assessorato la proposta di un disegno di legge di rimessione nei termini, previsti da precedenti Leggi Regionali (L.
28.11.1986 n. 54 e L. 21.4.1989 n. 25) delle domande di sanatoria da parte degli occupanti abusivi. Tuttavia non va taciuto, da un lato, che l'effetto delle sanatorie ha comportato nel tempo altre occupazioni (e quindi non ha dato soluzione definitiva al problema) e, dall'altro, che una recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme della Legge Regionale Siciliana volte a sanare occupazioni abusive di alloggi popolari nel territorio regionale.
In particolare, la sentenza della Corte Costituzionale (n. 16 del 24.1.1992) tra l'altro così motiva l'illegittimità conclamata: omissis "Pur dandosi atto che la Regione è stata indotta a procedere a tale sanatoria dalla difficoltà di fronteggiare emergenze di ordine pubblico derivanti da operazioni di sgombero coattivo degli occupanti senza titolo dagli alloggi da consegnare ai legittimi assegnatari, non si può rilevare che una normativa consolidante situazioni di fatto costituitesi illegalmente a danno di assegnatari già individuati in pubbliche graduatorie, è di per sé causa di ben più gravi e durature tensioni sociali, oltre che esempio di diseducazione civile, dimostrandosi ai cittadini rispettosi delle leggi che essi, anziché tutelati, sono spogliati delle loro spettanze a favore di chi, anche se spinto dall'impulso di soddisfare l'esigenza fondamentale dell'abitazione ha violato la legge. Si tocca qui uno dei principi costitutivi dell'ordine giuridico, il divieto di farsi ragione da sé con lesione del diritto altrui. Ogni norma che sopravvenga ad omologare fatti conseguiti alla violazione del neminem leadere si pone fuori del quadro dei valori su cui è costruito lo Stato di diritto".
In definitiva, quindi, la Regione, che non è destinataria della sopraccitata circolare, non ha titolo per interferire su disposizioni date dal Procuratore della Repubblica alle forze dell'ordine. Essa può al più invitare il Comune di Torino a risolvere i casi sociali, nel rispetto della legalità, con il ricorso alle assegnazioni con riserva per prevenire le occupazioni abusive e con interventi di assistenza sociale nei casi più bisognosi. E il Comune, questo, lo fa abitualmente.
Premesso quanto sopra, a giudizio dello scrivente, non sembra possano esservi iniziative della Regione per frenare gli interventi della forza pubblica, dal momento che il Procuratore della Repubblica ha impartito disposizioni precise per il ripristino di una legalità infranta da occupazioni abusive di alloggi che costituiscono reato permanente.
Quanto al secondo punto dell'interpellanza, si assicura che la Regione interesserà l'Amministrazione comunale invitandola ad intervenire con il servizio di assistenza sociale allo scopo di alleviare i problemi dei nuclei familiari nei quali sono presenti figli in tenera età, donne in procinto di parto o componenti affetti da gravi malattie o anziani.
Quanto al terzo punto dell'interpellanza, si rappresenta che questa Amministrazione da alcuni anni ha intensificato l'azione di vigilanza sullo IACP di Torino il quale, in materia di occupazioni abusive di alloggi non può discriminare i propri comportamenti, ma attenersi alle istruzioni impartite con la circolare sopraindicata.
Quanto al quarto punto dell'interpellanza, non sembra sia possibile sovvertire le situazioni di fatto e di diritto conseguenti ad occupazioni abusive di alloggi, trasformando in azione delittuosa quella delle forze dell'ordine che agiscono per il ripristino della legalità, in quanto le occupazioni abusive di alloggi costituiscono reato permanente "che va interrotto dalla Polizia Giudiziaria anche di propria iniziativa".



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.
CHIEZZI Signor Presidente, colleghe e colleghi Consiglieri, l'interpellanza è stata scritta il 20 febbraio u.s. quando, con parecchi gradi sotto lo zero nei giardini del quartiere di Via Artom, vivevano sotto una tenda alcune famiglie, con donne e bambini in tenera età. Non voglio mettere in alcun modo in discussione il perseguimento del reato di occupazione abusiva e il ripristino della legalità, onde questo reato non produca ulteriori conseguenze: non si tratta di questo. Il problema che sollevava l'interpellanza era che esiste un principio di umanità che va sempre osservato. E' disumano mantenere, a diversi gradi sotto zero, per diversi giorni e notti, delle famiglie in una situazione di questo tipo. L'ultimo capoverso, quello di verificare se esistono le condizioni per una denuncia alla Magistratura, deriva dall'opinione che, di fronte a situazioni di questo genere, non si possa tacere e che debba pure essere individuata la responsabilità dell'ente pubblico che, venuto a conoscenza sia pure di un reato di occupazione abusiva, lascia bambini, donne incinte, sotto una tenda all'addiaccio per dei giorni. Dico che questo è perseguibile o comunque che non è accettabile, è un atto di disumanità non consentito. Al limite si consegnino, dette famiglie, in un luogo chiuso e coperto, ma un tetto deve essere dato loro. Ho assistito, quella notte in Via Artom, ad una situazione di fronte alla quale mi sono posto un problema: il Comune di Torino non può lasciare i cittadini in quella situazione.
Se hanno sbagliato paghino il proprio errore ma non possono essere lasciati in questo stato. Se no diventiamo forti con i deboli mentre invece l'atteggiamento di umanità deve essere sempre, in ultima analisi l'atteggiamento che predispone l'ente pubblico nei confronti di queste famiglie, anche se sono famiglie che hanno sbagliato e tanto più se sono famiglie in miseria che hanno sbagliato e senza un tetto. Quella sera, se fosse stato presente il Sindaco o qualche altro collega, era presente il collega Borghezio della Lega Nord, si sarebbe resa conto di una situazione intollerabile: è povera gente, è gente che lavora, che si trova dal mattino alla sera senza sapere dove andare a dormire. Ci chiedevano: "Dove dormiamo questa sera?" L'interpellanza non tocca assolutamente il tema dell'abusivismo, che va controllato e represso, ma si chiedeva che la Regione e l'Assessore invitassero il Comune di Torino a far fronte a quelle che continuo ritenere responsabilità proprie. Non consentire quindi a famiglie, di dormire con i bambini piccoli sotto una tenda.


Argomento: Comunita' montane

Interpellanza n. 974 dei Consiglieri Vaglio, Bodrero e Rabellino inerente la circolare Assessore Garino n. 31/92


PRESIDENTE

In merito all'interpellanza n. 974 risponde l'Assessore Garino.



PRESIDENTE

GARINO, Assessore regionale



PRESIDENTE

I Consiglieri interpellanti hanno perfettamente ragione a rilevare che le Comunità Montane non rientrano nelle competenze specifiche dell'Assessore all'ambiente.
Ma, se i Consiglieri avessero letto la risoluzione approvata dalla VI Commissione della Camera, si sarebbero potuti rendere conto da soli che tale documento, piuttosto che riguardare le Comunità Montane, fa esplicito e prevalente riferimento agli investimenti dei piccoli comuni montani nello specifico campo della preservazione ambientale, ed in particolare all'uso e a1 risanamento della risorsa acqua, nonché allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Infatti, come noto, l'art. 12 del Decreto Legge n. 66 del 1989 convertito nella Legge n. 144/89 sulla finanza locale, individua per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (e quindi in prevalenza montani) la possibilità di usufruire di mutui ventennali a totale carico dello Stato. Tali mutui devono essere finalizzati alla costruzione ampliamento o ristrutturazione di impianti di depurazione, acquedotti fognature e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Ora, la citata risoluzione della VI Commissione della Camera impegnava il Governo ad elevare l'importo di questi finanziamenti, in allora fissato nella misura di 100 milioni annui per ente, a 200 milioni, allo scopo (cito testualmente dalla risoluzione) "di non provocare una riduzione della capacità di investimento delle amministrazioni interessate e di dare altresì, risposta ai più urgenti problemi di preservazione ambientale".
L'importanza di questa risoluzione è evidente per chiunque conosca da vicino i reali problemi dei piccoli comuni nell'affrontare le ingenti spese perla costruzione delle necessarie opere acquedottistiche e fognarie o per lo smaltimento rifiuti.
Sono, infatti, numerose le richieste avanzate presso l'Assessorato all'ambiente da parte di piccoli comuni, per ottenere un finanziamento regionale che permetta loro di riparare la condotta dell'acquedotto, di collegare una frazione lontana, di captare una nuova sorgente, di dotarsi finalmente di una rete fognaria o di un impianto di depurazione.
Purtroppo, nonostante la priorità accordata dalla Giunta alle domande dei piccoli comuni, sono numerose le richieste di aiuto che restano senza adeguata riposta, a causa delle note ristrettezze del bilancio regionale.
Non deve quindi stupire che io abbia ritenuto opportuno avvisare dell'avvenuta approvazione di questa risoluzione alcuni amministratori (sindaci o consiglieri comunali), che sapevo interessati all'eventualità di poter finalmente ottenere, per altra via, un finanziamento per lavori sull'acquedotto o sulla fognatura, in quanto, nel recente passato, mi erano state segnalate le esigenze del loro Comune.
Ed è motivo di soddisfazione constatare che la risoluzione citata ha dato i suoi frutti. Infatti, la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato in data 20 gennaio 1992 il provvedimento che autorizza per il 1992 la Cassa Depositi e Prestiti a concedere ai comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti assicurando un minimo di lire 150 milioni annui ad ogni ente, fino ad un importo complessivo di lire 900 miliardi, mutui ventennali per la costruzione, l'ampliamento o la ristrutturazione di acquedotti, fognature impianti di depurazione delle acque, di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, incluso l'acquisto di mezzi speciali per il trasporto dei rifiuti stessi. L'onere di ammortamento è a totale carico dello Stato.
Sottolineo che il Piemonte, per l'elevato numero di piccoli comuni, è ampiamente privilegiato dal provvedimento citato. Dal momento che la nostra Regione ha 1086 Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, il provvedimento citato porterà nelle casse comunali piemontesi e per opere di carattere ambientale, una somma aggiuntiva per l'anno 1992 di ben 54 miliardi e 300 milioni.
Ritengo che i piccoli comuni, ed in particolare quelli di montagna meritino senz'altro l'attenzione di tutti gli amministratori regionali e anche l'invio di poche decine di lettere a carico del bilancio regionale a rappresentanti di Comuni con necessità di finanziamento.
Ritengo, altresì, che rientri nei compiti istituzionali dell'Assessorato all'ambiente l'informazione sulle possibilità di finanziamenti, regionali o statali, di opere ambientali, anche perché vi è stretta, indispensabile, ormai, interrelazione tra i provvedimenti di finanziamento dei vari livelli amministrativi.
Mi permetto di approfittare dell'occasione per invitare i Consiglieri regionali a riflettere sulle esigenze che la nuova realtà pone e che è utile in ogni sede ribadire ai rappresentanti dei Comuni.
Credo che i problemi ambientali delle piccole comunità possano e debbano essere affrontate in questo modo: 1) abbandonando la visione municipalistica e frammentata ancora presente 2) cercando le soluzioni in progetti consortili 3) prevedendo il finanziamento delle opere ambientali necessarie attraverso: a) l'utilizzo congiunto delle risorse comunali messe a disposizione dallo Stato con il provvedimento oggetto della presente discussione b) un equilibrato ritorno finanziario tariffario c) una richiesta di intervento regionale.
Le semplici e reiterate richieste di sovvenzione non possono, e presumibilmente non potranno se non in minima parte, essere accolte dalla Regione, stante la drastica riduzione delle risorse.
Convinto che questa fosse l'unica soluzione e raccogliendo le istanze degli amministratori locali, avevo sottoposto all'on. Borgoglio, membro della Commissione finanze e tesoro, l'esigenza di farsi promotore di un'azione tendente a far sì che i fondi fossero opportunamente aumentati.
Per questo, ricevuta la positiva notizia dell'approvazione della risoluzione, informai gli amministratori locali i cui Comuni ricordavo avessero interesse.
Capisco e condivido la volontà di denunciare e porre rimedio agli eventuali sprechi dell'amministrazione, però non credo che il segnalare ad alcuni amministratori comunali l'eventualità che il loro ente possa usufruire di un finanziamento statale per la realizzazione di una fognatura, e quindi permettere loro un'oculata possibile programmazione degli interventi, costituisca uno spreco o che non rientri nelle competenze di un Assessore all'ambiente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vaglio.
VAGLIO Ringrazio l'Assessore per la rapidità di risposta alla nostra interrogazione.
L'allarme suscitato dalla circolare è stato simile a quello suscitato dal caso, molto grave e che poca attinenza ha con quello in discussione che ha portato alle dimissioni la Giunta della Regione Sicilia: caso non dico analogo, ma che poteva ricordare quello in questione.
Ringrazio l'Assessore Garino per le precise risposte a precise domande.
Avevamo richiesto quali fossero i destinatari del provvedimento e quali cariche istituzionali rivestissero, l'entità dell'invio e l'ammontare della spesa; l'Assessore ha risposto che si trattava di alcuni Sindaci e Consiglieri comunali, e l'invio è stato di poche decine di lettere presumo quindi che la spesa sia stata di poche decine di migliaia di lire.
Ritengo, al di là delle buone intenzioni dell'Assessore, che avrebbe potuto configurare qualcosa di più dell'allarme della Lega Nord in Consiglio regionale e la comparsa improvvisa sulla circolare assessorile con il nome dell'on. Borgoglio in periodo dichiaratamente preelettorale.
Pur non volendo esagerare - non mi sembra né il caso né il momento opportuno - prego l'Assessore di credere che qualora la circolare fosse stata relativa alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'autorizzazione alla Cassa Depositi e Prestiti ad accendere mutui ai nostri Comuni, noi, come Lega nord, avremmo non solo approvato ma plaudito a questa sua iniziativa. E' il caso di ricordare ai nostri colleghi dei piccoli Comuni, e in particolare ai Comuni montani, che l'iniziativa di un candidato alla rielezione in Parlamento, ancor oggi, nonostante le sue assicurazioni e chiarimenti, è fatto che ci allarma non come fenomeno di malcostume (essendo l'entità dell'invio di lettere limitato a poche decine) ma come momento non propriamente attinente alla veste di Assessore e non attinente alla dignità di un Assessorato di questo nostro Parlamento subalpino.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti del suolo - smaltimento rifiuti

Interrogazione n. 924 dei Consiglieri Stagliano, Segre e Miglio, inerente il progetto della Panambiente di Milano per lo stoccaggio rifiuti del Comune di Costanzana Vercellese


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione n. 924 dei Consiglieri Staglianò, Segre e Miglio.
Risponde l'Assessore Garino.
GARINO, Assessore regionale In risposta all'interrogazione n. 924 dei colleghi Staglianò, Miglio e Segre, nessun progetto risulta al momento (2/4/92) presentato presso gli uffici dell'Assessorato all'ambiente da parte della ditta Panambiente s.r.l, di Milano per l'ubicazione di un impianto di smaltimento di rifiuti tossico nocivi (discarica di tipo 2 C) nel comune di Costanzana in provincia di Vercelli.
La Giunta non ritiene opportuno esprimere valutazioni preliminari a proposito di qualsiasi impianto per lo smaltimento dei rifiuti se non dopo un approfondito esame dei progetti presentati.
Pertanto la Giunta potrà assumere un proprio orientamento soltanto al termine della prevista istruttoria tecnica (se sarà presentato il progetto) ed acquisite le risultanze tecniche dell'apposita Conferenza che deve esaminare i progetti presentati, come previsto dalla normativa vigente.



PRESIDENTE

Gli interpellanti si dichiarano soddisfatti.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti del suolo - smaltimento rifiuti

Interpellanza n. 726 dei Consiglieri Rivolta, Bresso e Monticelli, inerente la discarica in loc. Cascina Barricalla nel Comune di Collegno


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interpellanza n. 726 dei Consiglieri Rivalta, Bresso e Monticelli.
La parola al Consigliere Rivalta per l'illustrazione.
RIVALTA La nostra interpellanza urgente risale al 2/8/1991; sono passati ben nove mesi! Credo si stia quindi parlando di situazioni ormai compromesse vale la pena, comunque, ricordarle. Si tratta dell'impianto di smaltimento di rifiuti industriali localizzato in passato alla Cascina Barricalla, che ha sollevato ripetutamente molte contestazioni. Il 21 maggio 1991 il Ministero ha espresso giudizio positivo all'ampliamento dell'impianto, di 2.da categoria, conseguente al parere formulato nel settembre 1990 dalla Commissione per la valutazione di impatto ambientale ed è conseguente ad un iter molto complicato, complesso e anche lungo, in cui, in date varie (a partire dal primo marzo 1990, poi 28 marzo, 10 maggio, 18 maggio, 7 giugno 20 giugno), la Regione Piemonte intervenne (il 2 aprile, il 4 aprile, il 25 luglio 1990) in posizione interlocutoria con il Ministero. Tutto ciò mostra che la questione non era di semplice approccio o comunque non compiutamente definita nella fase istruttoria dagli stessi proponenti.
Il parere del Ministero ha due facce. Una, tranquillizzante, nel senso che si sostiene che, in ragione delle soluzioni ingegneristiche introdotte il lotto già autorizzato non dà luogo ad alcuna perplessità circa la tenuta idraulica; inoltre, anche per l'intervento futuro, richiama le stesse soluzioni ingegneristiche che in qualche modo si rifanno alla prima esperienza.
E' mia convinzione che, in questi casi, l'esperienza non sia esauriente quando è limitata a pochi anni. Tutti i teli protettivi sono sottoposti a quei fenomeni di deterioramento che si manifestano solo nel tempo; le impermeabilizzazioni in generale (non mi riferisco in modo specifico a questa, che non conosco) dopo 10-15 anni entrano in crisi, quindi sotto questo profilo l'esperienza di pochi anni non può essere assolutamente tranquillizzante.
Il richiamo alle soluzioni ingegneristiche come elemento tranquillizzante e la riproposta delle medesime mettono in evidenza l'altra faccia della medaglia, quella non tranquillizzante, che peraltro il Ministero riconosce quando dice che il sito proposto è caratterizzato dalla presenza di una falda separata dalla discarica da terreni di non adeguata impermeabilità. Sostanzialmente, c'è una fiducia - o dico assolutamente non motivata - nei confronti delle soluzioni ingegneristiche; una verifica potrà essere effettuata soltanto negli anni futuri, ma oggi non è possibile dare un giudizio di assoluta positività, stante il limite dell'esperienza considerando anche il fatto ché si riconosce che quella scelta, da un punto di vista geologico, era sbagliata, come molto si disse nel passato.
Sorprende quindi questa riconferma della discarica, che avviene attraverso l'autorizzazione di ampliamento per una capacità finale di 595 mila metri cubi. In sostanza il Ministro ci dice che sarebbe stato meglio evitare quella localizzazione, ci fa intendere che sarebbe meglio non ampliare e poi dà un parere favorevole. Difatti, la Commissione che ha valutato l'impatto ambientale dichiara che "l'assoluta peculiarità del caso in ispecie, con particolare riguardo alla previa esistenza in loco di una discarica già autorizzata e in corso di utilizzazione, e l'attuale grave situazione di emergenza per la quale non esistono nell'ambito della Regione alternative praticabili a tempi brevi per lo smaltimento controllato di rifiuti tossici e nocivi...": questa è la valutazione che essa fa e che è alla base dell'autorizzazione.
Da questo pronunciamento-dichiarazione della Commissione emergono due questioni. Innanzitutto, si favorisce, a livello di Commissione - ma io dico a livello di Regione - la concentrazione di ulteriori impianti di questo stesso tipo su quei territori dove gli impianti sono già stati realizzati. Questa è infatti la, politica che porta avanti la Regione, la quale procede nel confermare i siti che sono già stati soggetti di insediamenti, di impianti non graditi perché comportano oggettivamente dei rischi, anche se non immediati, e che sono comunque interventi di degrado sul territorio, in molti casi necessari, ma che vanno localizzati bene.
E' come dire che quando un scelta è stata compiuta, questa è una dannazione per quella parte del territorio: è un peccato originale che permarrà per il resto delle nostre operazioni temporali. La politica della Regione va nella seguente direzione: dove già c'è il degrado, si continua a concentrare interventi che in qualche misura accentuano il degrado di quella parte del territorio, e io considero questo un elemento estremamente negativo.
C'è l'esigenza che questo.tipo di intervento sia ben distribuito sul territorio, facendo delle preventive ed oculate scelte sull'insediamento di questi impianti. Ove si continui ad operare alla concentrazione e al mantenimento di un processo di concentrazione laddove si è già iniziato, si renderà difficile qualsiasi scelta in località nuove.
Ritengo che la Regione debba invece introdurre una politica di distribuzione e garantire alle comunità che, quando ricevono un impianto di questo tipo, lo ricevano per tempi determinati e successivamente quella comunità venga liberata da questo tipo di incombenza. Questa è una maniera seria e responsabile di far capire a tutti che si devono assumere le proprie responsabilità all'interno di una politica di giusta, corretta ed equa distribuzione.
Al parere positivo, il Ministero aggiunge - in base alle osservazioni pervenute dalla Regione Piemonte, dal Comune di Torino e dalla Circoscrizione n. 5 del Comune di Torino - delle condizioni. Ciò dimostra un atteggiamento di cautela, ma sotto questo profilo, la cautela mette di nuovo in evidenza l'inopportunità della scelta. "I soggetti pubblici competenti devono provvedere ad accertare che non siano attivi pozzi destinati all'uso idropotabile in quella zona, nonché all'adozione di misure idonee a vietare prelievi per tale uso dalla falda interessata a valle della discarica; devono adottare, a seguito delle prime risultanze dell'attività di sorveglianza, e non oltre un anno dall'entrata in 'esercizio di nuovi lotti della discarica, i provvedimenti che si rendessero necessari per l'arretramento a distanza di sicurezza degli usi del suolo connessi all'alimentazione umana, all'orticoltura, alla cerealicoltura, alla produzione di foraggio e attività zootecniche".
Tenete presente che proprio alla periferia di Torino si sta diffondendo, in maniera disordinata ma positiva, lo sviluppo di orti urbani e quindi c'è, per esempio, una zona con adiacenti insediamenti popolari che aspira ad avere orti urbani che invece è sottoposta ad un giudizio negativo verso l'insediamento degli stessi, anzi correndo il rischio ove ci siano che debbano essere dismessi e abbandonati.
Si prevede infatti una possibilità di emergenza addirittura da parte del Ministero: è un atteggiamento di cautela che mostra però anche come questo insediamento fosse in quella località del tutto inopportuno.
Non richiamo qui il fatto, che era implicito nel mio discorso, ma che è oggettivamente misurabile e documentabile, che questo insediamento si trova in un contesto urbano.
Noi avevamo chiesto che la Giunta intervenisse per riprendere un'approfondita istruttoria di questa situazione. Pensiamo però che la Giunta sia invece intervenuta per cercare di convincere che l'ampliamento si poteva fare; c'erano tutte le ragioni nel passato sulla storia della Barricalla per una approfondita istruttoria. Le conclusioni del Ministero approvando questo ampliamento, indicano come l'esigenza di cautela forte ci fosse e il sito fosse sbagliato. Invece la Regione questa istruttoria approfondita non l'ha condotta e ha operato perché il parere fosse favorevole e non ha cercato neanche soluzioni alternative quali il declassamento di questo impianto di smaltimento. Si è voluto tener conto degli impegni economici finanziari assunti a suo tempo dagli imprenditori? A parte il fatto che questo tipo di attività ricompensa largamente in brevissimo tempo i soldi impegnati, ma anche se si fosse voluto tener conto degli impegni finanziari si poteva farlo almeno declassando il ruolo di questa discarica.
Vogliamo capire come la Giunta si è mossa. Certo che la fine di tutta la questione è che l'ampliamento è stato autorizzato, probabilmente è già stato attuato o è in corso di attuazione. I ritardi nella risposta a questa interpellanza rendono probabilmente vana la possibilità oggi di prendere una posizione oculata attorno a questa questione.
Concludo dicendo che la nostra interpellanza ha un carattere anche generale, perché risottolinea una posizione passiva della Regione nella pianificazione, nella scelta di localizzazione degli impianti di smaltimento rifiuti. Sono gli operatori che propongono alla Regione dove fare gli impianti e di rimessa la Regione si esprime, compirà anche delle valutazioni, ma non svolge una funzione attiva nel determinare, in una prospettiva non occasionale, non di breve termine, i siti dove gli impianti devono essere costruiti facendo ruotare l'incombenza di questi impianti fra i vari Comuni.



PRESIDENTE

Consigliere Rivalta, le rammento i tempi.
RIVALTA Ho aspettato nove mesi!



PRESIDENTE

Ero certa che mi avrebbe risposto così.
RIVALTA Insomma! Proprio per mancanza di questa funzione attiva della Regione che noi denunciamo da due anni, almeno nei confronti dell'Assessore Garino, deriva quella ulteriore compromissione dei siti già compromessi. Questo vale in tutti i campi ambientali che la Regione affronta: dove questi sono già stati compromessi, dove sono già stati socialmente urtati; da interventi di insediamento di impianti non accettati dalla popolazione si continua a concentrare le ulteriori soluzioni di esigenza di questi impianti. E' una politica, quella regionale, che fa acqua. Fa acqua perché non impone con una politica pianificata le scelte più corrette, fa acqua perché fa piovere dove già piove e in questo modo deresponsabilizza una parte delle comunità e penalizza le altre che sono state per loro dannazione nel tempo passato scelte come sede di questi impianti.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Garino.
GARINO, Assessore regionale L'ampliamento dell'impianto di II cat. per lo smaltimento di rifiuti industriali speciali tossici e nocivi di tipo C mediante interramento controllato localizzato in Comune di Collegno, località Cascina Barricalla si riferisce all'im-pianto in attuale esercizio autorizzato j dalla Provincia in data 25/2/1988 (legge precedente).
L'impianto sorge su uno dei siti specificatamente individuati dal Piano dei siti approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 623-11250 in data 28/12/1983.
Infatti con deliberazione n. 413 del 3/5/ 1985 la Giunta regionale ai sensi dell'art. 31 del DPR 915/82 autorizzò in via provvisoria la società Barricalla ad attivare una discarica di II cat. tipo C nell'ambito di uno dei siti (il n. 268) individuato nel Piano dei siti.
La Provincia di Torino con deliberazione n.144-10689/150 autorizzò in via definitiva, ai sensi dell'art. 2 della L.R. 9/88, il primo lotto dell'impianto.
La domanda di ampliamento, ex art. 3 bis della L. 441/87, è stata proposta congiuntamente alla domanda di pronuncia di compatibilità ambientale in ottemperanza alla normativa di cui all'art. 6 della L.
349/86, come attuato dal DPCM 377/88 del 27/12/88 e all'art. 8 della L.
475/88.
Precedentemente, in data 21/11/1989, aveva fatto pubblicare sui quotidiani "Corriere della Sera" e "La Stampa" l'avviso pubblico relativo alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale al Ministero dell'Ambiente, ai sensi dell'art. 5, comma 1, del già citato DPCM n.
377/88.
La Regione Piemonte ha provveduto a pubblicare sul Bollettino Ufficiale regionale n. 49 del 6112/1989 la notizia dell'avvenuto deposito del progetto in oggetto, stabilendone la messa a disposizione al pubblico per i trenta giorni previsti presso l'ufficio di deposito, attivato con deliberazione della Giunta regionale n. 62-29519 del 20/6/1989.
A seguito dell'istruttoria espletata in sede di Conferenza ex art. 3 bis della citata L. 441/87 e degli approfondimenti espletati dal gruppo interassessorile costituito per la valutazione di impatto ambientale, la Giunta regionale espresse il proprio articolato parere con deliberazione n.
4-35395 in data 15/2/1990 in tempo utile perché il Ministero potesse esprimersi in 90 giorni prescritti dal citato art. 6 della L. 349.
Il pre-citato parere evidenziò, anche sulla base delle relazioni formulate dalla Commissione tecnico scientifica nominata a seguito dell'o.d.g. del Consiglio regionale del 30/6/1988 per il controllo sull'esercizio dell'impianto esistente, a supporto dell'attività istituzionale della Provincia, una serie di situazioni che dovevano essere ulteriormente approfondite da parte del Ministero.
La Regione ha fornito tutta la documentazione a disposizione comprensiva di quella pervenuta dagli Enti locali e da tutti i soggetti interessati sia allatto della trasmissione della deliberazione, sia durante l'audizione della Commissione interministeriale nella quale venne illustrato il parere della Giunta regionale, sia nel corso del sopralluogo effettuato presso l'impianto, sia a seguito di richiesta di chiarimenti in ordine a situazioni locali ed alle prescrizioni del piano di organizzazione dei servizi di smaltimento rifiuti.
Pertanto sia nell'espressione del parere, sia nel corso degli incontri è stata rigorosamente illustrata la situazione ambientale, le preoccupazioni avanzate dagli Enti Locali, i problemi derivanti dalla collocazione dell'impianto, l'attività risultante dalla conduzione in atto la vicinanza degli abitati, la revoca operata dal Consiglio Regionale (deliberazione del 28.2.89) della deroga generalizzata, che assisteva 'i siti interessati nel Piano dei siti, l'esigenza in caso di giudizio favorevole, di introdurre, formalmente, un rigoroso codice di accettazione nonché di prevedere mirati monitoraggi. E' anche tenendo conto del parere della Regione, e delle documentazioni trasmesse che il Ministero ha richiesto numerose integrazioni alla Società Barricalla.
I lunghi tempi della procedura ministeriale che riguardano pressoch tutte le situazioni dei progetti sottoposti a VIA, sono allungati anche dai tempi del concerto con il Ministero dei Beni Ambientali. Va peraltro considerato che il Ministero, a differenza della Regione, può richiedere integrazioni e quindi anche sospendere il giudizio per l'acquisizione dei nuovi atti, come ha fatto nel caso concreto con nota del 28/ 3/1990, nella quale ha espressamente richiesto alla Regione di sospendere l'approvazione ex art. 3 bis della citata L. 441 fino all'espressione del parere da parte del Ministero.
Peraltro gli approfondimenti di situazioni complesse, quali sono quelle relative alle opere soggette a valutazione di impatto ambientale rappresentano una garanzia per il giudizio finale, circondata come nella fattispecie da numerose cautele che lo stesso Consigliere Rivalta prima citava.
Risulta a questo Assessorato che la Commissione VIA ministeriale, per approfondire il problema, abbia tenuto una decina di sedute circa, oltre agli approfondimenti fatti singolarmente dai diversi esperti.
La completezza della documentazione prodotta dalla Regione, la segnalazione fatta dalla stessa Giunta delle diverse problematiche, sia sotto il profilo tecnico che giuridico che sociale, le ulteriori indagini disposte dalla Commissione hanno consentito una acquisizione approfondita e articolata da parte degli esperti ministeriali, che dovrebbe fugare ogni preoccupazione sul giudizio finale.
Peraltro l'autorizzazione che la Giunta regionale ha predisposto è circondata da una serie di cautele che partendo dalle prescrizioni ministeriali la rendono ancor più stringente e garantista.
Tali prescrizioni illustrate agli Enti locali interessati in una apposita seduta che il sottoscritto ha convocato tenutasi il 9.9.1991 prevedono fra l'altro in attuazione del decreto di pronuncia di compatibilità ambientale, specifici mirati monitoraggi e una Commissione interdisciplinare che segua da vicino le risultanze del monitoraggio e l'attività dell'impianto, i cui membri sono designati dagli Enti locali interessati, dalla Regione e dallo stesso Ministero all'Ambiente.
Detta Commissione prevederà, in partico-lare, un idrogeologo, un chimico analista, un tossicologo, un ingegnere chimico, un biologo ed un esperto in patologia vegetale.
Tra le 57 prescrizioni impartite cito solo due ulteriori esempi: quelle relative al codice di accettazione dei rifiuti, molto più restrittivo di quanto previsto dal decreto ministeriale e analogo a quello attivato per gli impianti d'emergenza quelle relative al monitoraggio atmosferico con la previsione di 3 stazioni di rilevamento: una stazione rispondente al sistema regionale di rilevamento della qualità dell'aria, integrata nella rete della Provincia di Torino; le altre due costituite da analizzatori-registratori continui di idrocarburi metanici e non metanici per la determinazione delle sostanze organiche, con caratteristiche decisamente innovative e capacità analitica complessa.
Sono state pertanto adottate tutte le misure idonee a garantire un'attività che, peraltro, è già in atto e che assicurerà ulteriormente la stessa sicurezza della discarica esistente.
Alcune affermazioni fatte dal Consigliere Rivalta nel corso della sua illustrazione sono vere; ha ragione nel dire che sono mesi che l'interpellanza è stata presentata; sono altresì molti mesi che aspetto che mi si dia la parola per rispondere, perché è all'o.d.g. delle risposte da mesi.
Escludo in modo più totale, almeno per quanto riguarda la parte di tempo che mi ha visto Assessore all'ambiente, che ci siano state forzature da parte dell'Assessorato per un giudizio favorevole e di pronuncia di valutazione ambientale; ciò non è assolutamente avvenuto. Gli incontri a livello di funzionari sono stati semplicemente di chiarificazione.
Per quanto riguarda il fatto che gli operatori scelgono i siti, e che quindi occorrono funzioni attive della Regione, sono convinto che questo è proprio il caso in cui ciò non si può dire. Il sito fu individuato dalla Giunta, di cui peraltro faceva parte l'Assessore Rivalta nel 1985 e non fu scelto dai privati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bresso.
BRESSO La risposta dell'Assessore Garino è stata puntuale sul piano della cronistoria della vicenda, ma come spesso gli capita non puntuale sul merito di una serie di questioni che l'interpellanza sollevava, in generale, per quanto riguarda le autorizzazioni per discariche e, in maniera particolare per quanto riguarda gli impianti più complessi e comunque più pericolosi e sgradevoli, al di là della possibilità di controlli.
Rilevo come, in particolare nel caso della Società Barricalla, la situazione sia oggettivamente difficile, tant'è vero che per poter localizzare in quell'area era stata necessaria la famosa leggina di deroga poi revocata - su iniziativa anche del nostro Gruppo nella scorsa legislatura - dal Consiglio regionale proprio per evitare situazioni di questo tipo.
Quindi, è una situazione di deroga alle norme generali sulle localizzazioni degli impianti; è una situazione a particolare rischio sia per i problemi legati all'esistenza della falda, sia per i problemi legati alla maggiore densità di popolazione di quell'area rispetto ad altre situazioni.
L'Assessore non ha risposto alla questione centrale che chiediamo: definire con chiarezza i tempi in cui gli impianti verranno chiusi e cioè definire il tempo massimo in cui ci sarà l'autorizzazione. Naturalmente la questione non può essere sempre definita in termini temporali, anzi non va definita in tal senso, ma in termini di dimensione massima accettata dell'impianto.
Per questo motivo l'autorizzazione non deve essere legata solo alle caratteristiche dell'impianto, alla valutazione d'impatto ambientale, ma anche ad un criterio di tempo massimo, per cui si chieda alla collettività come diceva il collega Rivalta, di svolgere questo sacrificio. Naturalmente fatto salvo che ci devono essere tutte le garanzie di sicurezza di cui si è parlato; in particolare, questo vale per un caso per cui addirittura si è derogato alle norme generali che devono essere rispettate. Peraltro questo vale anche perla situazione di Torrazzo Piemonte per cui pure l'Assessore si era impegnato a definire queste dimensioni massime accettabili.
In questa situazione dichiaro la nostra non soddisfazione, in particolare per la continua accettazione del principio generale ma per la sua non traduzione nella realtà, che potrebbe tranquillizzare gli abitanti di un'area se sapessero che, con tutti i controlli e i monitoraggi necessari, questa situazione sarà transitoria e non definitiva.
Naturalmente una tale situazione crea un accumulo di problemi, perché le dimensioni di queste discariche, inevitabilmente, creano problemi.
Richiamo il fatto che non riusciamo ad avere una risposta precisa su questa questione che, a nostro avviso, è la questione centrale per gli impianti di smaltimento rifiuti e in particolare per gli impianti a rischio oggettivamente elevato. Ci proponiamo di presentare non solo una mozione generale sulla questione degli aspetti di localizzazione, ma se la II Commissione continuerà a rifiutarsi di mettere in discussione, malgrado un invito esplicito dell'aula a farlo, ci proponiamo anche di richiamare in aula la nostra legge sulla istituzione dell'agenzia dei rifiuti e sulle misure di organizzazione della partita rifiuti. Continuiamo infatti a ritenere che questa partita non sia governata se non dal punto di vista burocratico della verifica della conformità di questi impianti alle prescrizioni di legge e della disponibilità di tutte le loro autorizzazioni.
Ci pare che continui questa gestione burocratica che non affronta i reali problemi e continui anche il rifiuto da parte dell'Assessorato, pur sollecitato a più riprese dalla Commissione, ad accettare un confronto sulla nostra proposta che attualmente è l'unica che tenta di definire delle norme generali di organizzazione di questa questione e degli strumenti per affrontarli in maniera programmata e non casuale come continua ad essere affrontata dall'Assessorato e dall'Assessore.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Garino.
GARINO, Assessore regionale Per quanto riguarda la transitorietà mi pare di dovere dire che nella deliberazione che è stata assunta dalla Giunta l'impresa è autorizzata all'esercizio dell'impianto ai sensi dell'art. 4 comma 6 della legge del 1988 sino al 31/ 1/1997. Quindi, c'è la data di scadenza.


Argomento: Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

Richiesta di iscrizione all'o.d.g. dell'ordine del giorno presentato dal Gruppo Lega Nord relativo all'attentato alla sede di Torino della Lega Nord e dell'ordine del giorno presentato dal Gruppo MSI relativo alla nomina dei rappresentanti del Consiglio regionale del Piemonte per l'elezione del Presidente della Repubblica


PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Rabellino. Ne ha facoltà.
RABELLINO Sarò brevissimo. Abbiamo depositato questa mattina un ordine del giorno che chiediamo venga iscritto all'o.d.g. per essere poi discusso nel pomeriggio, eventualmente al termine dell'esame del progetto di legge sulle Comunità montane. E' un ordine del giorno di condanna in seguito all'attentato che la nostra sede di Torino ha subito nei giorni scorsi.
Credo che tutti i Consiglieri siano a conoscenza dell'accaduto. E' un atto che noi riteniamo gravissimo e che merita attenzione da parte di tutte le forze politiche.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Zacchera. Ne ha facoltà.
ZACCHERA Noi abbiamo presentato un ordine del giorno sulla nomina dei tre rappresentanti della nostra Regione per la prossima elezione del Presidente della Repubblica. Chiediamo anche noi che sia messo in votazione oggi.
Questo ci sembra un argomento, che nel caso raccolga l'adesione sulla discussione, venga discusso oggi perché la prossima volta non avrebbe più senso.



PRESIDENTE

Sulla richiesta di Rabellino ritengo che l'argomento per le sue caratteristiche possa essere iscritto all'o.d.g., se il Consiglio acconsente. Per quanto riguarda invece l'ordine del giorno presentato dal Gruppo MSI dobbiamo ancora fare una riunione dei Capigruppo per affrontare l'argomento per cui lo esamineremo, se la richiesta permane, quando affronteremo questo punto.
Se non vi sono obiezioni, propongo di iscrivere all'o.d.g. l'ordine del giorno presentato dal Consigliere Ribellino.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'iscrizione è approvata con 41 voti favorevoli e 1 astensione.


Argomento:

Richiesta di iscrizione all'o.d.g. dell'ordine del giorno presentato dal Gruppo Lega Nord relativo all'attentato alla sede di Torino della Lega Nord e dell'ordine del giorno presentato dal Gruppo MSI relativo alla nomina dei rappresentanti del Consiglio regionale del Piemonte per l'elezione del Presidente della Repubblica

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 5) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Calligaro, Dameri Majorino.


Argomento: Comunita' montane

Esame progetto di legge n. 183: "Ordinamento delle Comunità montane" (seguito)


PRESIDENTE

Passiamo pertanto al punto 7) all'o.d.g. che prevede l'esame del progetto di legge n.133.
Ha chiesto la parola il Consigliere Vaglio; ne ha facoltà.



PRESIDENTE

VAGLIO



PRESIDENTE

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, finalmente è arrivato il momento di discutere il progetto di legge sul riordino delle Comunità montane a un anno dalla presentazione, così come avrebbe voluto l'Assessore Nerviani.
Nelle intenzioni della Giunta il decreto dovrebbe risolvere lo spinoso problema di definire competenze e delimitare le zone omogenee montane ovvero, più prosaicamente, di stabilire quali saranno le nuove comunità e quali Comuni vi faranno parte.
Noi riteniamo che in questo caso specifico il governo regionale non abbia però tenuto conto delle esperienze che la comunità piemontese ha vissuto in due anni di vigenza della Legge n. 142. In particolare, la volontà del Governo centrale di omologare le diverse realtà amministrative italiane e, per contro, la realtà amministrativa territoriale del Piemonte stridente con la norma nazionale, dissimile allo standard delle altre regioni italiane, ma molto simile alle altre realtà europee alpine.
Come in altre occasioni, l'applicazione testuale della Legge n.142 anche in questo caso, ha dato lo spunto per dei dibattiti che sono stati e sono tuttora molto aspri. Se già i progetti di realizzazione dell'area metropolitana avevano evidenziato l'inconciliabilità delle realtà montane e delle piccole comunità con una vasta unità amministrativa metropolitana oggi la proposta di riordino delle comunità montane mette drammaticamente in luce l'incompatibilità tra il modello piemontese e l'impianto legislativo nazionale. La Legge n.142, infatti, come aveva sottolineato molto opportunamente il relatore Rossa, non ammette la formazione di nuovi enti con popolazione inferiore ai 5000 abitanti. Sancisce quindi l'inefficienza operativa di enti di minore consistenza e, da questa premessa, i tentativi di aggregazione ai vari livelli. Ma, quali sarebbero le conseguenze di un'applicazione becera della legge n.142 sulla realtà amministrativa piemontese? Questa mattina l'Assessore Garino, per altri motivi, ha richiamato quello che vorrei sottolineare in questo momento: la realtà della distribuzione residenziale in Piemonte. 11209 Comuni del Piemonte hanno una popolazione media di 2380 abitanti, contro i 4400 della media nazionale ed i 6100 della media delle regioni centro-meridionali. Il 30% dei Comuni piemontesi ha popolazione inferiore a 500 abitanti; la media nazionale è del 9%, che scende al 3,9% al centro-sud. Notate quanto è stridente il contrasto fra il 30% dei Comuni piemontesi al di sotto dei 500 abitanti con il 4% scarso del centro-sud. E' evidente che la distribuzione residenziale sul nostro territorio risulta anomala rispetto al quadro complessivo italiano. Questa è una dimostrazione che il Piemonte è una regione montana, la distribuzione residenziale, e quindi le unità amministrative sono adeguate ad una particolare situazione orografica: Per contro, è la dimostrazione di come il nostro modello non può essere compreso negli schemi riformatori della Legge n. 142.
Se la classe politica piemontese fosse attenta alla realtà che l'ha espressa, cioè al proprio elettorato, invece di dar corso alle imposizioni del Parlamento romano, dovrebbe denunciare delle norme, come quelle contenute nella Legge n. 142, che snaturano il nostro patrimonio socio culturale. Ma così non è. La Legge per il riordino delle Comunità si adegua completamente a dei criteri di omologazione che - mi si consenta il termine sono del tutto coloniali. Nel nome di una presunta efficienza ed economicità di enti di grandi dimensioni, si impone la tendenza a cancellare strutture amministrative le cui origini si perdono nel Medio Evo. Si assumono come standard i grandi centri agricoli della pianura meridionale invece di rifarsi alle più vicine esperienze europee della zona alpina, dove municipalità ancora più polverizzate di quelle piemontesi raggiungono livelli di efficienza nella gestione dei servizi che non trovano uguale in nessun ente italiano.
Per onorare questo principio, i Comuni come Avigliana, Stresa, Ceva e Cumiana non dovranno più far parte di Comunità montane perché il criterio di geografia umana viene fatto prevalere sulla geografia fisica. Sebbene i territori di questi Comuni siano prevalentemente montani, l'incremento dei residenti nelle ristrette fasce di pianura rende irrisoria la percentuale dei residenti residuali nella parte montana e fa scattare un meccanismo perverso.
Svuotare le Comunità dei centri economici di riferimento equivale a destinare all'estinzione una cultura in ritirata. Le riserve indiane non sono esattamente il modello a cui la montagna piemontese guarda come esempio di perpetuazione del proprio patrimonio civile e cultura-le. Non è quindi riducendo il territorio montano che si difende la "montanità".
Queste le motivazioni di massima per l'assoluta contrarietà del mio Gruppo della Lega Nord al progetto di legge della Giunta che in questo caso dimostra di essere braccio operativo di una volontà romana dichiarata di distruggere il concetto alpino di "montanità" perché esempio pericoloso di come, per secoli, le nostre popolazioni hanno saputo amministrarsi con ampia autonomia.
Comunque molte perplessità sorgono anche dall'iter legislativo di questa legge. In Commissione sono emerse tendenze che possiamo riassumere in questo modo: l'Assessore Nerviani si è dimostrato fautore di un'applicazione intransigente dei criteri espressi dalla Legge n. 142, al capo nono (gli artt. 11 e 28 in particolare); parte della maggioranza e dell'opposizione hanno concordato, invece, al mantenimento dello status quo, per lo meno fino alle prossime amministrative. Su tutto, la mancata definizione delle competenze specifiche da attribuire a questo che dovrebbe essere un nuovo ente locale. Quest'ultimo, probabilmente, è il bandolo della matassa che nessuno può o vuole afferrare per dipanare un intrico. Si ripropone il tema che ha caratterizzato il dibattito sull'area metropolitana e cioè: dato un contenitore di cui non si conosce né forma n capacità né materiale di fabbricazione, dovremmo definirne il contenuto. In quel caso, nelle Comunità montane tutto si impantanò - anche se sta per ripartire - in una sommatoria di equivoci: ogni singola municipalità accetterebbe o rifiuterebbe di essere compresa nell'area metropolitana, a condizione ... (con ampio spettro di condizioni dichiarate o sottintese).
L'intoppo consiste nel fatto che questo governo regionale non definì né ha ancora definita, sul discorso delle Comunità montane, come nel caso specifico dell'area metropolitana, alcuna condizione. Quindi, ogni Comune pretende giustamente di essere ricompreso nella Comunità in cui è stato fino ad oggi; ogni Comunità pretende di continuare ad esistere, ma il disegno di legge non definisce con precisione le competenze del nuovo ente.
Esisterebbe un'intesa non dichiarata (e il condizionale è d'obbligo) di rinviare il problema montagna ad un nuovo testo. Se così fosse, il disegno di legge n.133 andrà in porto in quest'aula senza modificare alcunché, ma soprattutto senza rispondere alle aspettative di chi ha veramente a cuore il futuro della montagna.
Era un parere diffuso che i colleghi si scambiavano in Commissione ed anche su questi banchi, che la principale preoccupazione degli amministratori dei Comuni montani fosse, in fondo, il mantenimento delle attuali strutture e dei conseguenti incarichi. Da ciò discenderebbe il presente approccio al problema ed un'indolore risoluzione di lasciare le cose così come stanno. Viceversa, abbiamo tutti recepito che nelle aree montane gli intendimenti degli amministratori e delle popolazioni residenti sono altri.
Unanimemente, il Piemonte invoca un urgente riordino delle Amministrazioni nei bacilli di crisi e tra questi prioritariamente nelle vallate alpine. La promessa di poche deleghe sottratte alle Province e l'assegnazione di fondi appena sufficienti a mantenere personale e strutture significa voler ignorare ostinatamente la risoluzione dei problemi.
Riteniamo che le Comunità montane debbano trovare una dignitosa collocazione come ente locale, ovvero rispondere direttamente alla Regione senza province intermediarie, carrozzoni vuoti che giustificano con difficoltà la propria sopravvivenza, e vedersi attribuite competenze programmatorie e gestionali supportate da adeguate risorse economiche.
Quindi, la Comunità, come giusta dimensione per la programmazione del territorio e la gestione dei servizi comuni, per promuovere e valorizzare effettivamente le zone montane e non come cornice a mere dichiarazioni di principio, così come espresse dalla legge n. 142.
A questo punto, ci sentiamo di porre una domanda retorica: 'Questo Consiglio ha effettivamente intenzione di attribuire alle Comunità compiti fino ad oggi, gestiti con poca o nessuna, efficienza da Province e Comuni "contenitore"? Le prime troppo distanti dalla realtà montana, i secondi talvolta, limitati dall'ombra dei campanili. Le nostre realtà amministrative montane sono difficilmente pilotabili con pressioni di natura clientelare ed in vista di uno sfruttamento senza contropartite delle risorse alpine è bene rimuovere, secondo alcuni, tutti i possibili ostacoli.
Questa, come tutte le riforme sostanziali dell'autonomia locale, è destinata a rimanere nel novero delle buone intenzioni, perché se fosse attuata potrebbe incrinare equilibri stantii, ma consolidati, che devono essere mantenuti nel supremo interesse di sopravvivenza, di una dittatura partitocratica e con buona pace della vocazione regionalista sbandierata da tutte le formazioni politiche tradizionali alla vigilia del 5 aprile.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Zacchera.



PRESIDENTE

ZACCHERA



PRESIDENTE

L'argomento di oggi è estremamente interessante, direi allettante, e si presta a considerazioni di una certa rilevanza. Possiamo partire, per esaminare questo progetto di legge, dalle due versioni che ciascuno di voi ha sotto gli occhi. Il disegno di legge presentato dalla Giunta regionale in data 15/5/91 è il disegno di legge approvato in Commissione poche settimane fa. Differenze sostanziali, da un punto all'altro del lungo iter che, durante tutto l'anno, hanno accompagnato la sorte futura dell'ordinamento delle Comunità montane perché diversi sono stati gli orientamenti da parte della Giunta che è partita con delle chiare idee di fondo, cioè per una aggregazione delle Comunità montane, riduzione del numero di esse mantenimento stretto del parametro dei 5000 abitanti come struttura di partenza. Quindi, accorpamento ove necessario e applicazione alla legge n. 142 dando dei contenuti ad un contenitore, che continuo a considerare piuttosto vuoto. Questa idea di partenza si è infine sgretolata perché, ora nelle Comunità montane vediamo applicati quelli che sono i concetti negativi della partitocrazia Difatti, perché siamo andati a questo sgretolamento di situazioni? Perché sono iniziate tutta una serie di stillicidi di proteste da parte di numerose Comunità montane che rischiavano di scomparire, di Comuni che volevano stare da una parte anziché dall'altra e così via. Alla fine, siccome in questo mondo non si vuole mai scontentare nessuno, si è cercato di accontentare quasi tutti ripristinando di fatto lo status quo precedente Questo però porta ad un discorso: o era sbagliata la posizione di partenza o è sbagliata questa.
Forse la realtà sta nel mezzo e cioè che non era tanto sbagliata la posizione di prima o quella dopo, quanto i suoi contenuti.
In definitiva, nella legge, la parte più carente è la mancanza di attribuzioni specifiche di spazi chiari e netti alla Comunità montana.
Qualcuno prima diceva: "le Province non hanno abbastanza ruoli, i Comuni hanno troppo poco, abbiamo uno stillicidio di Comuni piccoli"; io aggiungo: "le Province non hanno un proprio ruolo" perché non glielo si vuole dare, ma se la Regione ritiene di limitare il proprio ruolo alla stesura di questo disegno di legge n. 133, abdica quelli che sono i suoi ruoli perché non dà alcun contenuto specifico e concreto alle Comunità montane. Facciamo degli esempi, così ci intendiamo: gli artt. 23 e 24 della proposta di legge oggi in discussione. Andiamo da una parte a non dire nulla, dei contenuti della Comunità montana, dall'altra arriviamo a dire addirittura, all'art. 24, che la Comunità montana deve avere l'ufficio di statistica. Ecco, secondo me, la mancanza di profondità del ragionamento.
Da una parte si va a guardare una particolarità minimale del funzionamento della Comunità montana - può interessare all'Ufficio statistica, ma ci sono cose molto più importanti di quello - dall'altra non si dice dove finiscono le competenze della Comunità montana, per esempio come vengono ripartiti i fondi dei frontalieri per le zone di confine e così via.
Un altro punto, sul quale abbiamo presentato degli emendamenti riguarda il segretario della Comunità montana. Non ho capito se si vuole creare la lobby dei segretari delle Comunità montane, ma penso che, nella logica di risparmiare dei fondi, ove un segretario di Comunità montana non sia utilizzabile a tempo pieno, il coordinare il lavoro di questi segretari magari con segretari di comuni già del territorio della Comunità montana sia una logica forma di risparmio. Queste risorse possono essere riutilizzate. Quindi, gli intendimenti peraltro apprezzabili dell'Assessore Nerviani, si perdono lungo la strada con un provvedimento estremamente debole, ma, all'interno del quale, ci sono pesanti contraddizioni.
Mi limito a considerare la zona di Novara, perché è quella che conosco di persona; non mi sento di esprimere giudizi specifici sulle situazioni di Torino, Cuneo e Vercelli, ma posso sicuramente affermare che quello che si realizza in provincia di Novara è veramente curioso. Non condivido il fatto che Stresa non venga inserita nella Comunità montana del Cusio-Montarone.
Il Consiglio comunale di Stresa richiede all'unanimità di essere inserito la Comunità montana vuole inserirlo; si tratta di un Comune che, per la stragrande maggioranza, ha un territorio montano. Nelle prealpi la quota non è altissima, male caratteristiche fisiche del Comune sono prettamente montane.
Nel territorio di Stresa si trova la vetta del Montarone, quindi unisce tutti i comuni adiacenti; con la riforma che stiamo facendo Stresa viene tolta dalla Comunità montana. Così abbi amo due pezzi di Comunità montana ciascuno per conto proprio. Questa è una forzatura che non condivido.
Abbiamo presentato un emendamento spe-cifico e credo, in questo senso ci sia un cambiamento rispetto alla stesura.
Voglio segnalare altre pressioni non valide, per esempio la Comunità montana Val d'Orsola - lo dico per i non novaresi - la Comunità montana di fondo valle. Il potere politico legato alla gestione della Comunità montana di fondo valle - Val d'Orsola - è diventato tale che, in base a situazioni cristallizzate di potere dei partiti, all'interno della gestione della Comunità montana stessa, non cambia assolutamente nulla. Il cambiare qualche cosa significa cambiare gli equilibri di potere e quindi, tutti i discorsi di razionalizzazione di un Comune di testata ad una valle, che sarebbero più logicamente collegati ai Comuni di quella vallata, vengono dimenticati. Alla fine, resta poco e si arriva ad una conclusione in cui si propone questo parziale riempimento degli scomparti vuoti della legge n.142, ma con pochissimi contenuti. Una volta tanto penso, in buona fede che non si possa dire che stiamo facendo "un provvedimento legislativo di spessore", perché di fatto approviamo quello che c'era prima. Per quanto riguarda la gran parte delle situazioni territoriali, facendo marcia indietro rispetto a quello che si voleva fare prima, non si definisce chiaramente ed assolutamente nulla.
Mi aspetto, prima di dire che sono contrario alla normativa, che oggi in sede di dibattito e di replica, l'Assessore ci spieghi bene quali siano i contenuti che vuole dare e, soprattutto, come possano funzionare le Comunità montane con queste carte istituzionali. Prendendo atto che non sono stati risolti i problemi per stabilire quali siano i confini e le competenze delle Comunità montane ed i Comuni cui fanno parte; da questo punto di vista mi limito a dire: "una grossa, una chiara occasione perduta".



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Buzio.
BUZIO Esaminandone l'articolato, il disegno di legge della Giunta regionale dal titolo "Ordinamento delle Comunità montane" può considerarsi attuativo della legge n.142 solamente per quanto riguarda la delimitazione delle zone omogenee montane, a norma dell'art. 28 della stessa legge. La restante parte dell'articolato in larga parte è ripresa dalla legge n.142, ed anche in questo caso solo minimamente per quanto riguarda la delimitazione perch la messa a regime sarà nel 1995, salvo alcuni accorpamenti.
Nella relazione del Consigliere Rossa, anticipata nell'intervento della seduta scorsa, si era detto che per quanto riguarda la delimitazione dei territori, "emerge la volontà del legisla-tore nazionale di una razionalizzazione in senso restrittivo". Non sono d'accordo su quest'interpretazione della volontà del legislatore, interpretazione quanto meno discutibile e non coerente, in generale, con le attuali considerazioni in termini di territorio montano.
Non c'è dubbio che l'art. 28 ridisegna la dimensione fisica e l'ambito geografico delle Comunità montane, prescrivendo una popolazione di norma non inferiore ai 5.000 abitanti, escludendo i Comuni sopra i 40.000 abitanti, e quelle parzialmente montane nelle quali la popolazione montana sia inferiore al 15% del totale della popolazione.
Da una valutazione letterale della normativa sembrerebbe che il legislatore avesse voluto privilegiare, sul piano dell'"ingegneria istituzionale", un modello organizzativo il più possibile omogeneo attraverso il coinvolgimento dei Comuni di piccola e media densità abitativa.
Tuttavia, anche il secondo comma dell'art. 28 non sfugge a qualche incongruenza. Da un lato si escludono determinati Comuni dall'appartenenza alle Comunità montane, dall'altro si specifica che "detta esclusione non priva i rispettivi territori montani di benefici ..." oppure che possano essere degni di "interventi speciali perla montagna stabiliti da CEE, Stato e Regione.
Del resto, se le Comunità montane vengono costituite proprio al fine di promuovere la valorizzazione delle zone montane, riconoscere ai Comuni benefici finanziari diretti a tal fine per poi escluderli dall'esercizio delle necessarie funzioni, appare un'evidente incongruenza. Questo è quanto, di fatto, succede.
Le Comunità montane hanno qualcosa in meno: i fondi elargiti rispettano il criterio quantitativo della popolazione montana, e vengono esclusi dalle assemblee i Comuni non inclusi.
Ma la relazione introduttiva del Consigliere Rossa è incompleta.
Infatti, il legislatore regionale - ed occorre precisarlo diversamente il legislatore parrebbe un mero esecutore, sic et simpliciter della norma - ha del potere discrezionale e può prevedere l'inclusione o l'esclusione di Comuni montani in rapporto all'equilibrio o meno che può determinarsi con l'omogeneità geografica e il sistema socio-economico territoriale.
L'omogeneità geografica - intendendo quella che si valuta attraverso le cartine geografiche - e identità socio-economica. Il legislatore ha lasciato trasparire che si vorrebbe passare dalla rappresentazione statica del Comune montano, quale appariva nella vecchissima e da superare definizione di territorio montano - legge n.1102/71- ad un concetto dinamico, più in sintonia con le funzioni, attribuite da diverse fonti normative, esercitate in forma associata. Questo è elemento di cui tener conto: le Comunità montane sono divenute "ente locale che esercita in forma associata".
Quindi, il criterio di omogeneità, il rifacimento alla geografia l'aspetto socio-economico sono elementi fondamentali, sui quali il legislatore invita le Comunità montane a riflettere. Se il legislatore avesse adottato un concetto strettamente razionalizzante in senso restrittivo, sarebbe andato contro tutta una serie di zonizzazioni sul territorio, le UU.SS.SS.LL., i Distretti, etc., che hanno invece altra valenza.
D'altra parte, non è casuale che nel disegno di legge, per quanto riguarda la futura zonizzazione socio-sanitaria, si tenga conto del fatto che possono sopravvivere aziende di servizi sanitari per zone con popolazione inferiore ai 120.000 abitanti, quando potrebbero coincidere con le Comunità montane.
Quindi, i territori montani potrebbero esercitare anche determinati servizi, se si tiene conto di quest'omogeneità; certamente, una concezione restrittiva impedirebbe questa possibilità. Quest'idea di territorio montano va evidentemente ripresa, ma su questo torneremo in sede di discussione dell'emendamento.
Nella proposta avanzata dalla Giunta regionale, per conto mio, non si approfondisce il tema delle funzioni e, soprattutto, non viene affrontato il tema spinoso delle deleghe, rinviando probabilmente ad altra normativa.
La L.R. n. 16 del 1989 è assolutamente disattesa; la legge n. 142 non annulla la legge regionale.
Noi da sempre sosteniamo che la Regione è momento di programmazione e legislazione e non momento di amministrazione attiva; in realtà la Regione è un momento di amministrazione attiva ed è sempre più scarsamente momento di legislazione e programmazione. Ma come dice la Costituzione e com'è nella concezione di uno Stato che si attua attraverso l'esaltazione della autonomie locali, l'amministrazione attiva viene.esercitata attraverso Comuni, Province e Comunità montane; relativamente alle deleghe nulla viene detto nel d.d.l.
Vi sono poi gli aspetti finanziari. Non si può parlare di Comunità montane trascurando l'elemento fondamentale, quello finanziario. Non si pu non tener conto di quanto contenuto nella legge finanziaria del 1992 paradossalmente - o forse non troppo visto che si era in vigilia elettorale si è invertito un criterio che tutto sommato aveva una sua logica privilegiando per la prima volta, e soprattutto, le spese correnti e quindi le spese di funzionamento, e diminuendo quelle a fronte dei piani di sviluppo presentati dalle Comunità montane. In sostanza, con la legge finanziaria alle Regioni vengono dati 151 miliardi per spese di funzionamento e 80 miliardi per i piani di sviluppo.
Si tratta per conto mio di una concezione sbagliata, pur sanando determinate situazioni delle Comunità montane del mezzogiorno che hanno allargato a dismisura i propri organici. Ma non ha senso prevedere che le Comunità montane possano ampliare le proprie piante organiche, le proprie spese di funzionamento generale con una riduzione sostanziale dei loro piani di sviluppo. Si ha il paradosso della possibilità teorica di aumenti di finanziamenti per organizzarsi, ma per fare cosa? I .piani di sviluppo sono in un cassetto, dove vi rimarranno. Infatti non si dà la possibilità agli organici di funzionare. Il concetto va ribaltato completamente: ridurre le spese correnti, quelle che creano il deficit pubblico nazionale e privilegiare le spese di investimento. D'altra parte credo che la Regione non possa continuare a redigere leggi sulla carta senza prevederne i finanziamenti.
Il nostro Gruppo ha presentato a suo tempo degli emendamenti al bilancio'91, recuperando 2 miliardi da una parte ed un altro per interventi agrituristici nell'economia montana e anche quest'anno abbiamo voluto inserire una norma finanziaria che non sia generica, ma una precisa assunzione di responsabilità.
Perché il Veneto o la Lombardia oltre ai finanziamenti statali prevedono fondi regionali dell'ordine dei 5/6 miliardi nonché leggi speciali e il Piemonte non prevede nulla? In sede di assestamento di bilancio vedremo cosa la Regione deciderà, ma non è possibile che a bilancio vi siano 1 miliardo e 280 milioni per spese di funzionamento e non vi sia nulla per il finanziamento dei piani di sviluppo (a parte il finanziamento statale di sei miliardi).
In sostanza, oltre ai 6 miliardi provenienti dallo Stato per i piani di sviluppo, occorre a mio parere che la Regione persegua l'obiettivo prioritario di finanziare i piani di sviluppo regionali e quelli che si determinano attraverso i piani annuali.
Noi abbiamo proposto un emendamento che va in questo senso. Con la legge attuale la Regione si impegnerebbe (ma non è detto in che misura) a finanziare il personale tecnico forestale, e ciò potrebbe rientrare nel discorso della spesa corrente e dei progetti speciali; tuttavia, dicendo che la Regione finanzierà o cofinanzierà questi progetti speciali, non si esplicita quando, come e dove.
Per dare gambe agli Enti locali, bisogna prevedere con coerenza gli strumenti per permettere loro di operare, quindi deleghe e risorse finanziarie.
Per quanto riguarda l'iter procedurale del confronto e del dibattito ne ha già parlato prima il Consigliere Zacchera - a mio parere questo testo aveva un po' la velleità di voler essere un testo unico che cancellasse tutte le leggi regionali esistenti. In realtà, se si legge con attenzione si rinvia ad un'altra legge, con il risultato che ci si è appiattiti sull'attuazione della legge n.142 e non si è fatto un passo avanti per quanto riguarda il disegno più generale delle Comunità montane. E' stata addirittura soppressa la legge n. 23 del 1990, legge concordata con l'UNCEM e i Comuni montani che qualche cosa esprimeva a questo proposito, e la si è sintetizzata e condensata in un unico articolo. Si tratta probabilmente di una brillante operazione sintetica, ma non so fino a che punto sia valido l'aver soppresso tutte le leggi regionali precedenti.
Bisogna dire che sono state recepite molte delle osservazioni dell'UNCEM, non tanto le idee e la filosofia generale, quanto la normativa di dettaglio tecnico. Le Comunità montane sono rimaste molto insoddisfatte da questo approccio e da questo confronto; le delimitazioni le hanno trovate per larga parte insoddisfatte. Soprattutto il discorso delle deleghe e delle risorse di cui parlavo prima è rimasto lettera morta, spero che nelle casse delle Comunità montane siano finalmente arrivati i 2 miliardi relativi al 1991, che fino a quindici giorni fa non c'erano.
In sostanza è mancata una risposta generale alle questioni della montagna e alle aspettative delle stesse Comunità; quindi, tutto è rinviato al 1995 anche per quanto riguarda le delimitazioni territoriali. C'è un momento di verifica che potrebbe essere tenuto in considerazione, ovvero quando la Giunta regionale dovrà proporre al Consiglio la definizione delle fasce altimetriche; questo potrebbe essere un momento di revisione generale e di verifica, prima ancora che venga formulata una legge organica sulla montagna, magari sulla falsariga della proposta di legge nazionale.
La concezione della montagna - e non voglio fare retorica - è ancora su un piano di marginalità; si fa un discorso al di sotto del mero assistenzialismo: non si individuano fondi né si definiscono obiettivi strategici, pur essendo questa una Regione montana (come diceva prima il collega Vaglio) con più di 500 Comuni montani e con ben 45 Comunità montane. Non c'è quindi una valorizzazione del territorio montano stimolando in loco le iniziative che devono essere il volano sia pubblico che privato affinché le risorse della montagna - come abbiamo sempre detto non siano spogliate, come lo sono state per decine di anni, ma abbiano una ricaduta in termini economici sulla montagna stessa.
Mi sento di affermare che la proposta del legislatore nazionale, volta a favorire un decentramento reale di funzioni e risorse, sia stata malamente sfruttata dalla Regione, forse gelosa del proprio esclusivo e quindi di una concezione centralistica che noi denunciamo a livello centrale, ma che è pari pari applicata anche a livello regionale.
Quindi, in conclusione: controllo centrale, senza lasciarsi sfuggire di mano ogni possibilità di intervento; amministrazione attiva, assunta impropriamente dalla Giunta regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.
CHIEZZI Il disegno di legge regionale sull'ordinamento delle Comunità montane corrisponde ad un momento di attuazione della legge n.142. La legge n.142 a giudizio di taluni, è apparsa come la grande legge di riforma del sistema delle autonomie locali; gli atti conseguenti all'applicazione di questa legge, che hanno visto o non hanno visto la luce in questi ultimi mesi, a mio parere dimostrano sempre di più come la stessa sia portatrice di una riforma di carta e non di sostanza.
La L. n. 142 è una pianta che mi pare proprio "mal in arnese". Sembra una pianta per lo più seccaginosa, con molti rami quasi secchi; tuttavia vi sono dei rami in buono stato vegetativo, ad esempio il ramo che ha portato i Consigli comunali e provinciali e porterà le Comunità montane a deliberare gli Statuti. Quella degli Statuti è grande ed ottima cosa, ma forse hanno più un aspetto ornamentale che non di sostanza e di linfa che alimenta questa pianta della riforma istituzionale.
Quindi, una riflessione sugli esiti della legge n. 142 a me pare utile.
La L. n. 142, propagandata come la grande riforma attesa dalle autonomie forse non funziona ed è "mal in arnese" perché deriva da una stagione politica finita; forse la legge n. 142, se non è stata un frutto esplicito di un rapporto parlamentare di concertazione e di consociazione tra forze politiche, poco ci manca.
La legge n. 142 è stata contrastata in Parlamento dall'allora Partito Comunista Italiano solo per quanto riguardava aspetti, se vogliamo marginali, rispetto agli artifici istituzionali che inventava. Il Gruppo comunista votò allora contro questa legge, se ben ricordo, unicamente perché non era accompagnata da un'analoga riforma dell'assetto della finanza locale. Per questo motivo parlo di clima di consociazione che ha partorito questa legge; mi sembra di verificare che, nei fatti corrispondeva ad un riformismo debole e molto fiacco e, per taluni versi anche disseccato. La legge n. 142 qualche buona intenzione l'aveva e l'ha raggiunta: gli Statuti. Per altri versi però è stata una legge che più che riformista chiamerei controriformista.
Cito per tutti l'esempio dell'esautoramento dei Consigli comunali da ogni attività di discussione sulle scelte compiute dalle amministrazioni locali. E' una cosa di cui molti si sono accorti in ritardo. La legge ha dato un potere ben maggiore del passato alle Giunte comunali e ha svuotato i Consigli comunali dei poteri di indirizzo e di scelta concreta sulle attività amministrative.
Accanto a questo tale legge ha sviluppato un riformismo confuso. Valga per tutti la vicenda dell'area metropolitana: è un ramo a mio avviso seccaginoso, perché è un'idea di riforma delle istituzioni inattuale rispetto alla realtà italiana, nel tempo e nello spazio. Nel tempo perch proposte di aree metropolitane sono state fatte in altri momenti a livello europeo e i risultati di quelle proposte sono già stati esauriti nelle realtà in cui forse avevano un senso anni addietro; nello spazio perché la realtà italiana è una realtà territorialmente variegata per quanto riguarda le conurbazioni e la situazione piemontese ha delle peculiarità che mal dispongono 1a Regione Piemonte a individuare tra i Comuni, le Province e la Regione, un altro livello istituzionale da confinare all'interno di una linea tracciata sulla carta.
Riformismo confuso questo della legge n. 142, perché invece di semplificare e organizzare i livelli istituzionali esistenti ha aggiunto a questi altri livelli istituzionali senza riflettere sulle conseguenze di queste invenzioni e di questi nuovi artifici.
Questa legge attua gli articoli che la Legge n. 142 dedica alle comunità montane. Si è parlato di "grande fatto nuovo; con questa legge le comunità montane diventano degli enti locali". Bella scoperta! E' questa la leva che consentirà alla montana di reagire al degrado, allo spopolamento all'economia che viene sempre più a mancare? Deriva dal fatto che le comunità montane precedenti erano solo enti di diritto pubblico e non enti locali? Vedete che continuiamo a vendere parole al posto di fatti e di comportamenti di riforma concreti! Proponiamo ai cittadini e alle istituzioni di costruire nuovi enti quando basterebbe avere forti capacità di governo degli enti esistenti, di coordinamento degli stessi, di ruolo della Regione, delle Province, dei Comuni singoli o associati. Invece si è inventato che con questa legge finalmente la montagna disporrà di comunità montane che sono enti locali! Assessore, ho anche qualche dubbio che sia proprio così come si dice: che un ente locale chiamato comunità montana che nasce dal seno di un ente locale, il Comune, eletto dalla popolazione sia anch'esso effettivamente un ente locale. Non so se i Comuni che sono enti locali che derivano sicuramente il proprio potere da un'investitura diretta della popolazione a mezzo di elezioni possano generare al proprio interno, e quindi con limiti di rappresentanza fortissimi, qualcosa che si chiama anch'esso ente locale.
Io ho dei dubbi, perché la rappresentanza è limitata e perché il potere è derivato. Se la comunità montana è generata dai Comuni, è possibile che abbia lo stesso status di questi? E' possibile che i poteri che pu esercitare siano equivalenti come forza e autorità a quelli esercitati dai Comuni? Penso di no. La comunità montana ha un rapporto di dipendenza dal Comune che soffoca là democrazia, se la rapportiamo al rapporto che c'è tra i Consigli comunali e la popolazione che li elegge. Lì c'è un rapporto di democrazia diretta rappresentata percentualmente secondo il volere della gente.
In secondo livello, in seconda classe, queste rappresentanze presenti nei Consigli comunali vengono gravemente limitate perché il sistema di rappresentanza premierà i due o tre partiti più forti, quindi non saranno rappresentati nei Consigli di comunità montana pezzi di società che sono viceversa rappresentati nei Comuni.
Quindi anche per questo verso la riforma della legge n.142 che afferma e fa solo questo - che le comunità montane sono enti locali lascia aperti molti varchi. L'affermazione che le comunità montane siano enti locali non ha peraltro dei riferimenti nella L. n.142 in articoli importanti dove si parla degli enti locali. Ci sono articoli nei quali le comunità montane non vengono neppure citate, tanto che sembrerebbe quasi che la legge fosse stata costruita senza pensare alle comunità montane come enti locali, ma che poi qualcuno abbia pensato che questo non era giusto, che per rafforzare le comunità montane occorresse prevedere anche questo e allora si è aggiunto da qualche parte: "sono enti locali". Infatti nella L. n.142 l'art. 3 e l'art. 51 che si diffondono minuziosamente su cosa sono gli enti locali e parla dei rapporti tra questi e la Regione, dei compiti e delle funzioni, nominano sempre Comuni e Province.
La comunità montana non è mai nominata! Leggendo quei due articoli sembrerebbe che la comunità montana non è un ente locale, dopodiché si dice che lo è, ma lo si dice generandola da un ente locale. E un ente locale, a mio parere, non può che generare qualcosa di meno di un ente locale, perch altrimenti sarebbe eletto direttamente dalla popolazione A me pare che la forza e l'autorità siano ben diverse e che i poteri in capo alle comunità montane rischiano di diventare poteri cartacei anch'essi. Il Consiglio comunale è un Consiglio eletto direttamente dai cittadini, ha una forza di prima classe, lì sta il potere e la rappresentanza del volere della popolazione: già la Giunta comunale e il Sindaco sono di seconda classe, se vogliamo, perché esprimono già una parte. Da questo Consiglio di prima classe deriviamo il Consiglio delle comunità montane che diventa di seconda classe e da questo Consiglio di seconda classe eleggiamo Giunta e Presidente, che sono di terza classe, perché sono un ulteriore restringimento della realtà popolare.
Bene, Assessore, noi a questo organismo, chiamiamolo come vogliamo facciamo assumere più poteri che ai Comuni? Ho dei dubbi, anche se lo scriviamo, che questo sia possibile. Ho dei dubbi che un organismo governato da eletti di terza classe sia capace di imporre agli eletti di prima classe, ai Consiglieri comunali, delle scelte urbanistiche che questi non condividono. La legge prevede questo.
Ho il dubbio che sia un altro pasticcio, perché i poteri sul territorio dovrebbero essere svolti da un ente locale e basta, invece noi abbiamo già il Comune e adesso aggiungiamo la comunità montana, poi c'è la Provincia che fa il piano territoriale, poi c'è la Regione che fa un altro piano, il tutto mischiato con piani ufficiali e ufficiosi integrati di attuazione, di area, paesistici, in una grande confusione che io ritengo sia figlia di una stagione politica a livello nazionale finita. La stagione del riformismo basato su equilibri tra le forze politiche morti e sepolti e che hanno generato leggi come questa: grandi pasticci, inconcludenti e seccaginosi! Generano piante seccaginose, si sta disseccando tutto! Da questo punto di vista non so se il documento che presenta la maggioranza sia il massimo di bene consentito da questa legge, forse no. Le critiche di merito che sono giunte rivelano che si poteva fare di più e meglio. Quello che mi premeva dire è che ritengo che lavoriamo all'interno di un quadro che va rotto. Ritengo che la stagione degli equilibri politici che conducevano a mezze riforme, vada chiusa, e che in tutti i luoghi, alle Regioni e al Parlamento, si distingua, in modo più netto e ragionevole, la responsabilità della maggioranza da quella dell'opposizione. In questo modo penso che riforme vere si possano attuare e lavorerò, insieme al gruppo politico a cui mi riferisco, per riforme che attuino la Costituzione e non che la smantellino, che evitino le involuzioni autoritarie e creino una democrazia forte e rispettosa dei poteri popolari.
Infine, Assessore, mi pare che, nell'ambito di una rottura di accordi consociativi, espliciti o impliciti, si debba porre un'altro ragionamento: il destino della montagna piemontese dove si decide? Suggerisco un campo di lavoro: a mio parere il destino della montagna piemontese si decide a Torino. Se c'è un organismo che decide il futuro di Exilles è la città di Torino con la sua politica.
Le Comunità montane viste come ritagli geografici eretti sulle curve di livello, sono uno strumento incapace di raggiungere quel risultato. Una politica della montagna si sorregge se la politica della pianura va in montagna.
Che senso hanno le Comunità così pasticciate, con poteri così dubbi? Il senso sarebbe quello di avere una Regione, una Provincia, dei Comuni associati che svolgano tutti quanti delle scelte a favore della montagna.
Ritagliare la montagna da sola forse è un po' come abbandonarla.



PRESIDENTE

L'esame del progetto di legge n. 133 proseguirà nella sessione pomeridiana.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,45)



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