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Dettaglio seduta n.125 del 28/01/92 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui problemi occupazionali urgenti (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprendiamo il dibattito sui problemi occupazionali urgenti.
La parola al Consigliere Bosio.
BOSIO Signor Presidente, ha ragione l'Assessore Cerchio nel dire che da tempo tutti parlano di segnali, oggi molto ben concretizzati, di una crisi che non era congiunturale, che non era il naturale riassetto per un rilancio delle produzioni déll'intera struttura economica produttiva del Paese, e non solo del nostro.
Occorre però riflettere rispetto al fatto che da tempo molti hanno parlato di questo, ma il parlare, l'individuare, il cogliere anche per caso o non per caso la natura vera di alcuni processi non è servito e non serve né ad influenzarli, né a dirottarli; né a cambiarne disegno, né tanto meno tutt'oggi a trovarne rimedio.
Non vale il riferimento al fatto che ci troviamo di fronte a tendenze di ordine generale che coinvolgono più o meno l'assetto intero del mondo dei grandi Paesi industrializzati e così via, perché credo che in ognuno di questi Paesi risiedessero tante "Cassandre" che prevedevano e vaticinavano inascoltate.
E probabile che esistano questioni di natura ben più profonda e ben più rilevante delle cose che fino ad oggi tutti riusciamo a dire nel nostro piccolo, altri nel loro grande. In questo senso, nei dieci minuti che mi sono riservati, cercherò di avanzare delle proposte.
Credo che su questa questione abbiamo bisogno di avere una discussione collocata su due livelli: quello iniziato oggi con la relazione dell'Assessore e un livello che tenti di dare delle risposte immediate e concrete, per quanto possibile, in tempi certi, alle situazioni e alle condizioni che vanno facendosi sempre più drammatiche per gli uomini e le donne coinvolti nei processi di crisi, per l'ordine qualitativo e quantitativo della natura della crisi, rispetto alla società regionale e razionale. Un livello, dunque, che affronti subito il modo di agire cercando di minimizzare i costi umani dei processi in atto, mettendo in campo tutte le strumentazioni utili di ordine regionale e nazionale cercando di razionalizzare e di rifinalizzare con una svelta coraggiosa di priorità. Tutte queste cose finora non sono avvenute e non le ho sentite nemmeno nell'introduzione dell'Assessore: Bisogna cercare con coraggio di selezionare e puntare risorse applicare la legge in poche, precise, ben selezionate direzioni, avendone definiti gli obietti-vi, cercando di produrre come è stato detto. Partendo da qui, significazioni e volontà precise. La legge 223 è sicuramente da modificare, occorre modificarla anche in tempi rapidi (ma non so se sarà possibile).
Una cosa però deve venire fuori da questo. Una domanda: perché pochi mesi fa fu approvata una legge che oggi ha la necessità di essere profondamente modificata? Il perché non sta in ragioni che non sarebbero vere, di insipienza dei legislatori e così via E' probabile che tutti assieme, qui e a livello nazionale, non si sia colto e non si sappia ancora cogliere la natura vera, le ragioni, i meccanismi che hanno messo in moto una crisi che, di volta in volta, settimana per settimana, doveva risolversi nel giro di pochi giorni, poche stagioni e che invece non solo non sta risolvendosi, ma comincia a presentare conti durissimi, Una fase recessiva che si era avviata da tempo, che inizialmente non aveva colpito se non marginalmente le cifre dell'occupazione globale, ma che oggi, a distanza di un anno, fa sentire duramente il proprio peso e i propri colpi.
Dunque, un livello che consenta di affrontare questo.
Ripeto: il tempo e anche la necessità di affrontare in altro modo questa discussione non mi consentono di andare oltre.
Questo propone, e proporrebbe come già altri colleghi hanno detto un'esigenza: in tempi e in termini abbastanza rapidi, occorrerà fare un passo avanti; far fare un passo avanti a questa discussione significa definire i tempi certi e brevi di una discussione degli intendimenti generali della Giunta con il Consiglio sul piano di sviluppo, sulle ipotesi di sviluppo di questa Regione. Occorre andare rapidamente alla discussione sulla base della bozza del Presidente della Giunta, mi sembra che per molti aspetti sia un po' superata dagli avvenimenti, però, qualunque essa sia occorre fare questo sforzo rapidamente: andare a ridiscutere sul serio interpretazioni e proposte, proposizioni e un'ipotesi minima di iniziativa di azione e di intervento della Regione, del Consiglio e della Giunta.
Dico questo perché comunque si evolva questa crisi, al di là dei dati drammatici che conosciamo, è abbastanza chiaro che i suoi sbocchi in termini di ripresa anticipata o posticipata (quando verrà), non consentiranno più in alcun modo - credo che tutti quelli che sanno guardare le cose possano convenire su questo - di immaginare - soluzioni tipo quelle degli anni '80. Non sarà più possibile pensare a livelli quantitativi di sviluppo di quella natura, di riconcentrazione e di ricapitalizzazione di risorse e così via. Non sarà più possibile per tante ragioni che ora non voglio richiamare, ma che mi riservo di richiamare in altre sedi.
Una ragione la richiamo, perché è un punto generico che andrebbe meglio definito e che riguarda anche aspetti drammatici della crisi di alcuni settori della nostra Regione e del nostro Paese. Anche il mondo industrializzato intero deve cominciare a considerare esaurita la spinta innovativa delle tecnologie microelettroniche, che non vuol dire che è chiusa la parentesi dell'ammodernamento e dell'allargamento dell'informatizzazione e così via, ma vuol dire che la spinta, che prima era tutta interna alla sede e al luogo di produzione delle tecnologie microelettroniche, oggi non può più avvenire li; al massimo (ed è importante. è la novità che non si riesce ancora ad affrontare e che non è stata affrontata né nella nostra Regione né nel nostro Paese) pu alimentarsi e riagganciare un nuovo pezzo dello sviluppo, se riesce ad allargarsi come un sasso gettato nell'acqua ad ampi cerchi e a diffondersi nella struttura produttiva e sociale di un'area, di una Regione, di un Paese con tutto quello che ciò comporta.
Dicevo che, comunque se ne uscirà, bisogna sapere che non si uscirà più con degli pseudomiracoli e con i volumi produttivi che abbiamo conosciuto negli anni '80. A questo proposito, vorrei dire che nel nostro Paese una delle ragioni che ha tenuto a lungo e che ha impedito a molti di vedere che stavamo precipitando in una crisi strutturale, è stato il fatto che la nostra industria. In particolare nella nostra regione ma non solo nella nostra, aveva volumi produttivi così elevati quantitativamente da oscurare l'oggettivo e costante restringersi dei margini di profitto, dei margini di realizzo, dei margini di guadagno.
Ciò sta anche ad indicare che se è vero, come è vero, ciò che ha detto il collega e compagno Marengo, occorre prendere atto da parte di tutti, da parte dei lavoratori, da parte delle imprese, da parte delle istituzioni che uno dei punti essenziali per un nuovo processo di riorganizzazione industriale produttiva è e sta nel superamento del taylorismo ovverosia nel superamento di un'organizzazione stretta del lavoro di un certo tipo.
Occorre però anche prendere atto che questo superamento - e non lo dico certo al compagno Marengo - non può essere quello della via verso il sollevante, in termini di volumi produttivi. Nel decennio degli anni '80 noi siamo stati esattamente secondi e di poco ai volumi produttivi del Giappone. Dunque non è quella, se qualcuno l'avesse per caso in testa e credo siano molti, la strada da intraprendere.
Il secondo livello - e qui vado proprio per estrema sintesi - è che occorre rovesciare i termini. Per estremizzane i concetti, se mi consentite vorrei fare un piccolissimo esempio e paragone, citando un grandissimo, ma sapendo che mai come in questo caso siamo nani sulle spalle dei giganti.
Credo che occorra sul serio ripensare ai concetti di sviluppo produttivo di sviluppo industriale, di mercato, di produttività e così via. Credo che occorra farlo tutti assieme, perché ripeto siamo nani sulle spalle dei giganti. E' necessario fare ciò che a suo tempo fece Einstein, nel momento in cui il mondo scientifico si crogiolava in uno schema interpretativo del mondo che spiegava tutto meno una serie di piccoli dettagli. Einstein invece di tentare una serie di piccole riforme, che riuscissero bene o male a spiegare quelle piccole cose che non funzionavano dentro il quadro generale e - come si dice - ad estendere il noto dominio della ragione su tutto l'universo, fece un'operazione di ribaltamento intero. Ribaltò dalle fondamenta lo schema interpretativo di quelle cosette che non funzionavano riuscendo a spiegare quelle cosette su basi totalmente diverse rispetto al quadro generale dato e riuscendo a spiegare il vecchio, tutto il vecchio più quelle cosette nuove e quei particolari che rifiutavano di farsi spiegare con la logica che giustificava la stragrande maggioranza delle altre. Era e rimane un perfetto esempio (se mi è consentito dirlo) di intervento rivoluzionario diverso da ogni tipo di intervento riformista.
Siamo di fronte ad una situazione di questa natura: tolde passati i veli del grande conflitto tra i due blocchi (i veli di confronto, perch sul piano politico le battaglie sono dure e ardue specie sotto campagna elettorale!), si potrà cominciare a fare uno sforzo per cercare di spiegare diversamente come mai ogni sei, sette od otto anni decine e centinata di migliaia di uomini, donne e loro famiglie, in nome di qualcosa che non si capisce e che si chiama mercato produzione, mercato competitività, ecc., si trovano all'improvviso senza lavoro, senza possibilità di sostentamento con una vita a metà o immediatamente mutata, resa complessa, complicata e drammatica.
Dovremmo cominciare a partire di qui. E quell'apparente piccolo che non si spiega nella logica generale, ma se cercassimo di interpretarlo e risolverlo rovesciando i canoni che conosciamo, forse potremmo affrontare meglio le questioni nuove della produttività, qualità e concorrenza del mercato.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.
MARCHINI Presidente e Consiglieri, il dibattito ha fatto emergere molte questioni di grande significato ed importanza. Resta difficile atteggiarsi su ognuna di esse.
In primo luogo è dovuto, da parte del nostro Gruppo, un riconoscimento non formale all'Assessore Cerchio, perché ha costruito in questi anni, non solo in questa legislatura, la capacità di essere per la Regione una materia rispetto alla quale le competenze e le risorse sono sicuramente inferiori ai risultati che lui stesso è riuscito a conseguire.
Non sono in grado di giudicare quale sia il prodotto finale del lavoro dell'Assessore Cerchio, ma se in tutti i settori fossimo riusciti a costruire un punto di centralità nei conflitti della società piemontese così come siamo riusciti a costruirlo sul piano dei problemi che purtroppo attengono, non tanto all'industria, ma all'occupazione, anzi alla disoccupazione; sicuramente il senso d'essere della nostra istituzione sarebbe diverso da quello attuale. NU pare quindi che l'Assessore abbia fatto molto bene quello che poteva fare e abbia cercato di fare al meglio quello che non poteva fare, e un miglior complimento penso non gli possa venire.
Nel dibattito si sono poi affrontate questioni di natura diversa rispetto la crisi congiunturale e strutturale. Ho l'impressione che il vocabolario diventi anche insufficiente per la questione che abbiamo di fronte; si critica il piano di sviluppo perché inadeguato, ma il muro di Berlino, ormai, rispetto alla caduta dell'impero sovietico, è un fatto di più nessuna impor-tanza perché attiene ai rapporti interni della Germania che la Germania ha totalmente assorbito.
Altre vicende di questo genere avrebbero fatto decadere e vanificare qualunque tipo di prospezione di piano e, da buon liberale, continuo ad immaginare che i piani servano esattamente a quello per cui sono stati pensati, cioè per far funzionare le fotocopiatrici e nient'altro, perché la storia non la guidiamo né da Palazzo Lascaris né da Piazza Castello, quindi un po' di umiltà ci vorrebbe.
E' certo che grandi fenomeni e grandi processi si incominciano ad individuare e dobbiamo avere in primo luogo la capacità di riportare le questioni alla nostra responsabilità e competenza.
Incominciando da Andreotti in poi, mi sembrano del tutto gratuiti alcuni giudizi, soprattutto quando si dice, per esempio, che un'azienda torinese non sta sul mercato (e ancora stamattina è stato detto che la Fiat non sta sul mercato). Quando si decide la realizzazione di un'auto nuova la decisione non attiene che al segmento ed al prezzo; tutto il resto è lasciato alla capacità, ma il vincolo del prezzo è un vincolo di politica aziendale.
Quindi, se i costi che ha un'azienda sono maggiori dei costi che ha la concorrenza, è evidente che, a parità di prezzo, la qualità sarà inferiore quindi la capacità a stare sul mercato si differenzia. Sapere fin dove il sistema Italia penalizzi il sistema produttivo e quanto il sistema produttivo penalizzi il sistema Italia è una questione di grande difficoltà e che non bisognerebbe neanche affrontare.
Siamo l'unico Paese che garantisce ai risparmiatori stranieri il 14 (l'abbiamo già detto in questa sede) acquistando i titoli di Stato, quindi resta difficile capire come possano andare a risorse gli investimenti quando le risorse possono andare benissimo al risparmio parassitario che sostiene le diseconomie del sistema Italia.
Ho quindi difficoltà a capire se siamo in una crisi congiunturale o strutturale. Certo, ho l'impressione che il sistema Italia stia mostrando tutta la propria corda e, per certi versi, la sta mostrando anche Il sistema Piemonte.
Quando parlo del sistema Piemonte mi riferisco non alla proiezione dei sistema Italia sul Piemonte, ma a quello che il Piemonte dovrebbe cercare di fare all'interno delle diseconomie del sistema Piemonte. Se non ci riconduciamo alle nostre responsabilità, tutto diventa poco comprensibile e leggibile.
Più che i dati della Fiat di questi giorni, Più che i fatti della disoccupazione, più che il Sol Levante, più che l'auto gialla, a me ha fatto rabbrividire una cifra comparsa sui giornali: gli aiuti all'URRS sono dati, per il 59°/6 dalla Germania Federale. I tedeschi conquistatori sono generosi, ma i tedeschi imprenditori non lo sono: Se quindi la Germania sostiene le difficoltà dell'ex Unione Sovietica al 59% rispetto al resto del mondo, è evidente che il sistema Germania si sta preparando per il proprio sistema economico ad avere un ruolo sia qualitativo che quantitativo completamente diverso dal passato. A me pare, quindi, che questo dibattito abbia bisogno di maggiore attenzione verso quello che noi facciamo, non verso quello che gli altri non fanno.
In questo nostro Piemonte, né il sistema privato né il sistema pubblico sono all'altezza della situazione: bisogna dirlo con grande franchezza; si deve anche dire che il sistema politico è del tutto succube di quello privato.
Faccio un esempio; un po' di memoria personale, per non dire autobiografica, serve a capire i processi. Correva l'anno 1978, le Giunte erano di sinistra, una sinistra doc, quella del '78; anche l'Assessore al trasporti era un'Assessore doc, come l'acciaio inossidabile. Il sottoscritto spiegò agli ingegneri Isgrò e Villa che l'apertura del nuovo valico del Frejus, a prescindere dalle polemiche sull'autostrada o meno avrebbe comportato per il sistema metropolitano torinese l'esigenza di attrezzarsi in quella direzione.
Da questi miei ragionamenti è nata l'ipotesi SITO. Andando da Isgrò e Villa - e sono passati 14 anni - io immaginavo che, con l'apertura del nuovo valico del Frejus, Torino sarebbe stata investita come unica grande città al confini con la CEE. Non dimentichiamoci che le frontiere con la CEE finiscono ad Ivrea e da un'altra parte arrivano a Ponte S. Luigi, i confini con la CEE non sono tutto il mondo, come sembra sul mappamondo sono una strettoia molto piccola, sono sostanzialmente la provincia di Cuneo, di Torino e un pezzo della Liguria.
Bene, io immaginavo che all'interno di SITO, dopo 10 anni, avremmo visto presente Il meglio dell'imprenditoria e del business internazionale immaginavo che si sarebbe parlato tedesco, francese o inglese, e che gli italiani sarebbero stati in minoranza. Però, dopo 14 anni, ho l'impressione che in SITO si faccia una cosa che in Italia sappiamo fare benissimo, cioè mettere il cemento intorno,, al nulla, perché niente è cambiato nella realtà del sistema di approccio di una grande area produttiva nei confronti del sistema internazionale in conseguenza della nascita di questa società.
Attenzione: non ritengo che questa sia una responsabilità di SITO, ma la registro come una dimostrazione dell'assoluta refrattarietà del sistema produttivo e professionale torinese rispetto alle novità che la storia gli mette davanti.
Altro piccolo esempio. Il sistema agro-alimentare, nella lettera della legge nazionale - non nelle elucubrazioni mie, della collega Vetrino e della collega Spagnuolo fatte a questo proposito, ma nella legge nazionale non è un mercato all'ingrosso; a Torino invece viene interpretato come tale, come un'area in cui trasferire le cose che danno fastidio in centro.
Abbiamo alle nostre spalle la Pianura Padana piemontese, che sicuramente è l'unico pezzo significativo nel sistema agro-alimentare non solo del Piemonte,- ma dell'intero Paese. L'avvio dello spazio agroalimentare significa evidentemente una strategia di collegamento del sistema di conservazione, del sistema di trasporto e del sistema di movimentazione di questo prodotto. A livello della classe dirigente torinese lo si interpreta invece come un'occasione per trasferire il mercato dei Sori, del pesce, ecc..
Questi due esempi stanno ad indicare quale sia la timidezza, per non dire peggio, con la quale la classe dirigente nel complesso si pone rispetto a tali questioni di profonda trasformazione, innova-zione e modernizzazione.
Secondo me, il dibattito avrebbe dovuto rimanere nell'ambito dei problemi dell'occupazione; è diventato invece un dibattito sulla politica o meglio, sulla cultura industriale. Al proposito, devo dire al collega Ferrara che ritengo curioso il fatto che un Gruppo, che esprime l'Assessore, produca dei documenti; se un Gruppo ha degli elementi, ha in primo luogo il dovere di fornire argomenti alla Giunta attraverso il suo Assessore, anziché porsi come soggetto di Consiglio. Ma ognuno si comporta come meglio crede.
Fatta questa riserva, mi ritrovo totalmente in un aggettivo che hanno usato sia il collega Ferrara che il collega Tapparo, e cioè che dobbiamo rendere il nostro Piemonte, in particolare l'Area Metropolitana torinese "appetibile" per gli investitori. I problemi dell'economia moderna sono problemi di investimenti, perché le idee, i ragionamenti, gli schemi li hanno tutti. Gli uffici e gli studi sono pieni delle più belle idee del mondo, però sono necessarie le risorse, e le risorse vanno in posti dove è appetibile andare, non da altre parti.
Il termine preciso usato dal collega Tapparo era "propensione"; qui ritorniamo. Signor Presidente, a porci nuovamente l'interrogativo su quale sia il ruolo della Regione in questa tematica, lasciando la cura dei feriti sul campo di battaglia all'Assessore Cerchio. L'armata Regione non si deve muovere nelle retrovie a curare i feriti; l'armata Regione si deve muovere e inventare gli spazi e le condizioni per cui Il libero mercato realizzi le conseguenze delle opzioni e delle propensioni che siamo riusciti a costruire. E' un discorso che qui facciamo sempre, ma che non produce mai risultati.
Un clamoroso fallimento, che speriamo di recuperare. è quello dell'Area Metropolitana, e questo è un rimprovero puntuale alla Giunta. L'Area Metropolitana è un problema di politica industriale, non è un problema istituzionale. Quando la Giunta ha lasciato prevalere una linea che faceva dell'individuazione dell'Area Metropolitana un problema istituzionale ha dimostrato di non avere presente che il problema del Piemonte è quello di dotarsi di un'area appetibile o caratterizzata da forte propensione all'insediamento di nuovi investitori e alla massimizzazione degli investimenti già esistenti.
Questo è un problema di politica o cultura industriale, non di cultura e politica istituzionale. Poiché questa vicenda ha mostrato la corda dal punto di vista istituzionale - mi riferisco anche al Presidente del Consiglio - ci auguriamo di avere tutti la capacità di recuperarla dal punto di vista dell'organizzazione del sistema Piemonte.
A me sembra quindi che noi dobbiamo recuperare (anche insieme ai colleghi di altri livelli) la centralità della politica non più come operazione di infermieri, ma come operazione di strateghi. La politica si proietta sul futuro, non si proietta sul presente e neanche sull'immediato futuro;, si proietta e produce qualcosa a tempi molto lunghi.
A mio modo di vedere, noi non siamo in grado di intervenire nei processi decisionali dei privati; abbiamo diritto di chiedere loro conto ma nella misura in cui chiediamo di confrontarci su progetti di organizzazione, di armatura di territorio per quanto riguarda trasporti grande viabilità, strutture di ricerca e di formazione professionale a respiro molto lungo.
E' evidente che questo confronto non avviene se continuiamo a parlare di formazione professionale in termini superati; nessuno di noi è in grado di sostenere l'urto e le conseguenze sul piano della popolarità e anche della socialità di un'inversione di tendenza. Siamo la Regione che spende di più in formazione professionale di tutto questo nostro Stato, producendo un tipo di servizio la cui utilità è ancora tutta da dimostrare.
Dico questo perché viviamo anche una congiuntura politica particolare: siamo infatti in campagna elettorale, le vicende torinesi sono sui giornali di oggi e io ho l'impressione - l'ho detto dopo che Zanone con la sua Giunta aveva portata all'approvazione del preliminare - che si sia chiusa una fase che per noi liberali era quella degli arresti domiciliaci. Mi pare che per le maggioranze si sia chiusa un'altra fase, la fase del patto di non aggressione che doveva consentire ai pezzi non realizzati del progetto '85/ '90 di essere perfezionati.
Ho l'impressione che, senza mettere in discussione né Giunte n maggioranze, la classe politica piemontese nel suo complesso abbia il dovere preciso, in questi tre mesi, di ricercare le ragioni e le prospettive di queste maggioranze, il che cosa fare in questa legislatura uscendo dal patto di non aggressione, dai "repetita" e dalle risposte da dare alla gente.
La gente non si aspetta da noi risposte: si aspetta prospettive scenari, opzioni sulle quali lavorare.
In questo senso va interpretato anche il comportamento dei liberali nell'ambito dello scenario torinese. Non si tratta soltanto di rinviare la successione di qualche Assessorato, ma disegnare ferreamente - e lo dice bene Bonsignore - che è finita una fase di questa legislatura; se ne apre un'altra, con le stesse maggioranze, con le stesse persone (ci auguriamo) con le stesse responsabilità, ma con uno scenario completamente diverso.
Il patto di non aggressione non ci deve essere; ci deve essere un patto di programma, un patto di prospettiva sul quale si ripensano e si ridiscutono i futuri della nostra Regione e della nostra città. Ci ripeto, al di fuori dell'obbligo di fare.
Checché ne pensino i singoli Consiglieri, a livello regionale la vicenda del Piano regolatore di Torino ha sicuramente sollevato qualche perplessità. Ne cito solo una.
Se non ci fosse stato questo forte patto di non aggressione che ha coinvolto anche l'opposizione, mi chiedo se si sarebbe lasciato passare così in silenzio il fatto, quanto meno curioso, che il redattore del Piano regolatore di Torino sia anche il progettista della localizzazione del Politecnico.
La questione del Politecnico di Torino, cari amici, è una questione centrale, perché il Politecnico di Torino non è - come ha detto un ingegnere sottose-gretario del mio partito - un problema di metri cubi e metri quadri. Il problema del Politecnico è di garantirsi la funzione che ha sempre avuto nel tempo, non solo quella di cogliere e fare ricerca, ma soprattutto di fare e cogliere ricerca, finalizzandola al modello produttivo piemontese. Quindi questo non è un problema di metri quadri o dimetri cubi, è un problema di funzione, di qualità, di prospettive.
IL patto di non aggressione che ha caratterizzato il nostro lavoro, ci ha portati, a mio modo di vedere, a mortificare molte volte il nostro lavoro politico sull'attribuzione l'un l'altro di responsabilità. La politica non è tanto il giudizio sugli errori, ma è il giudizio sulle prospettive, e mi pare che qui sia emersa in modo molto chiaro la necessità che la classe dirigente piemontese (politica e non) si riappropri di questo valore tipico della nostra Regione, quello di essere una Regione di gente che fa, di produttori, e di costruire intorno a questa riappropriazione di identità la ragion d'essere della politica nei suoi diversi settori.
Con questo non voglio dare suggerimenti a nessuno, ma quando si è inventato l'Assessorato alla politica industriale, si sapeva bene che non esiste l'oggetto politica industriale. Questo però significa aver caricato la Giunta dell'esigenza di ricondurre ad unità e a leggibilità il disegno complessivo dei diversi settori che concorrono a costruire le condizioni di un moderno sistema industriale avanzato.
Non si può certamente dire che si fa politica industriale se si fa la guerra alla discariche e si continua a firmare documenti invitando l'Assessore a non fare discariche, perché se non ci sono discariche evidentemente il sistema produttivo è handicappato, è condizionato.
Tutto quanto facciamo concorre a costruire un habitat e tutti quanti siamo solidamente responsabili. In questa misura, l'Assessorato alla politica industriale aveva il ruolo di richiamare i colleghi responsabili dei diversi settori sul fatto che quanto loro facevano veniva comunque letto in assoluto per quello che produceva, ma soprattutto sulla base di come tutti i settori sapevano concorrere a costruire e a rafforzare la nostra identità di società produttiva.
Finalmente questa mattina, da sinistra, è stato detto che è finito questo boom, questa mongolfiera del terziario. La ricchezza va prodotta: la si può distribuire, gestire, organizzare, moltiplicare, si possono fare i business, si possono fare le società fantasma, si può fare di tutto, ma la ricchezza va prodotta.
Per quanto ne so io, la ricchezza viene prodotta da due soli settori il primario e il sistema produttivo; gli altri sono sistemi, per carità legittimi, apprezzabili, rispettabili che però devono, avere come presupposto o un forte sistema produttivo agricolo o un forte sistema industriale. Noi abbiamo questa responsabilità: cerchiamo di gestirla.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calligaro.
CALLIGARO Signor Presidente, era inevitabile che parlando di disoccupazione si parlasse di recessione industriale. La nostra è una regione industrializzata per eccellenza, con punte di tecnologia avanzata che si misurano con i mercati mondiali.
Poco si è parlato dei caratteri nuovi che ha assunto la recessione industriale; il principale che anche i nostri settori tecnologicamente più avanzati perdono di competitività. Vengono quindi al pettine i nodi di un insufficiente attività di ricerca applicata, viene al pettine il nodo della mancanza di una vera e propria autonomia tecnologica, vengono al pettine scelte miopi per cui l'innovazione è stata prevalentemente di processo, a forte risparmio di manodopera, incentrata poco sul prodotto e sui materiali strategici.
Ne sono investite le piccole e le medie aziende, quelle aziende che in passato sono sempre state il principale fattore di dinamismo, anche nel corso delle crisi. Emerge chiarissima la mancanza di politica industriale.
I Governi succedutisi hanno trasferito senza strategie ingenti risorse.
Inoltre, il confronto riguarda ormai i vari sistemi produttivi nazionali non solo quelli tra imprese.
Da questo fatto, perla prima volta nella storia .dello sviluppo italiano, nasce il rischio di una pesante, lacerante deindustrializzazione.
In sostanza, emergono con forza le cause strutturali della recessione.
Certo, nella produttività abbiamo avuto incrementi rilevanti, secondi ai soli giapponesi, ma - ahimè - difettiamo sul piano della qualità dell'af-fidabilità del prodotto. Le cause sono quelle indicate da Romano Prodi: "La nostra industria è veramente a rischio; tale rischio, come si è visto chiaramente, è nato da un infausto connubio fra un sistema politico del tutto incapace di comprendere le regole della società industriale e un'industria che non ha indirizzato l'accumulazione degli anni '80 verso l'innovazione".
E' difficile non concordare con Romano Prodi. Siamo chiamati quindi a pensare, a sperimentare, a determinare un nuovo tipo di sviluppo industriale, una vera e propria reindustrializzazione, puntando sulla ricerca applicata, sulle nuove produzioni, su quelle a più elevato valore aggiunto, e a guidare questo nuovo processo con politiche industriali di respiro europeo al fine di prefigurare strategie industriali comunitarie.
Bisogna allora fare nuove scelte industriali, sostenerle con l'impiego di nuove, cospicue risorse finanziarie, umane, professionali e imprenditoriali. E le nuove risorse si possono trovare solo con un'equa politica fiscale. Consigliere Marchini, non c'è altra via. E anche tagliando clientele, sprechi, parassitismi, spezzando il connubio politica affari e l'uso discrezionale, dissennato delle risorse pubbliche che sin qui è stato fatto.
Questi processi non possono essere lasciati alla spontaneità: gli errori delle imprese sono stati tanti e gravi e mi pare che abbia ragione almeno in questo, il collega Marchini: sulle macerie dell'industria non c'è né terziario né quaternario che tengano. E' decisivo che la ristrutturazione non sia selvaggia, ma che su di essa si eserciti un controllo sociale, che sia governata. Già la precedente fase, che doveva sanare spontaneamente tutti i mali, si è svolta selvaggiamente (vi ricordate, anche voi in qualche modo ne siete stati i sostenitori). Di fatto, quella fase di ristrutturazione selvaggia ha preparato tempi peggiori, come oggi si può ben vedere.
Il Piemonte è particolarmente esposto alla crisi di deindustializzazione: bisogna fronteggiare gli elementi di crisi predisporre elementi di trasformazione indispensabili, valutare lucidamente i pericoli facendo leva sulle possibilità di uscirne: senza fare del catastrofismo, ma anche senza sottovalutare la gravità della situazione. La Regione deve coordinare gli strumenti esistenti, deve crearne di nuovi deve convogliare sull'obiettivo reindustrializzazione tutte le risorse possibili ottimizzando il loro impiego. Bisogna rivendicare allo Stato un nuovo ruolo delle Regioni: nuove competenze, nuove responsabilità, maggiori mezzi. Ma bisogna anche mettere in campo una grande progettualità, una capacità di scegliere e di programmare.
Innanzitutto. Signor Presidente della Giunta è necessaria una revisione culturale: non si può affrontare una vicenda come questa utilizzando il vecchio piano di sviluppo socio-economico. Bisogna superare la verbosa polemica sul carattere della crisi: congiunturale o strutturale.
C'è un intreccio, prendiamone atto. I dati strutturali preesistevano e a questi si è aggiunta una fase congiunturale particolarmente sfavorevole e di carattere internazionale. Non si può allora restare fermi al piano socio economico regionale che prevedeva un andamento produttivo ed economico roseo. La Regione è chiamata a fare qualche cosa di più: aggiornare i vecchi strumenti, crearne di nuovi, coordinarli tra di loro, spendere di più nel campo delle attività a sostegno delle imprese e nel campo della lotta alla disoccupazione.
La FIAT in un anno ha perso il 7% dell'intero mercato. L'Olivetti dimezza l'occupazione nel Canavese e non è più l'Olivetti di cui parlavamo solo pochi mesi fa, e fra qualche mese non sarà più l'Olivetti di cui stiamo parlando oggi. Prendiamo a scatola chiusa il piano aziendale o lo sottoponiamo ad una rigorosa verifica? Cosa hanno da proporre il Governo nazionale e la Regione Piemonte? Da queste risposte dipende il futuro dell'informatica privata italiana.
Mi pare fuor di dubbio che occorra un programma per l'informatica possibilmente di respiro comuni tarlo: non intendiamo continuare a trasferire risorse all'Olivetti senza strategie. Le nuove risorse devono essere mirate a precise strategie, non si può fare una politica di puro sostegno ma, ironia della sorte, quando le politiche industriali si potevano fare, non si sono fatte. Oggi si dice alt! Non è possibile; la Comunità Europea non è d'accordo.
Allora noi sosteniamo i vari fattori di sviluppo, la ricerca applicata l'innovazione, la domanda pubblica programmata. Ma anche qui ironia della sorte, la legge n. 46 finora ha operato solo in un modo distorto; se n'è accorto persino l'Assessore Cerchio. La ricerca applicata all'innovazione è servita soprattutto ai grandi gruppi industriali, i piccoli sono stati letteralmente dimenticati. Oggi che ci si accorge che l'uso è stato distorto, bisogna anche accorgersi che la legge n. 46 non ha più fondi.
Quando c'erano i fondi questi non servivano ai piccoli, oggi i fondi in generale non ci sono più. Così anche per la legge sulla riforma della cassa integrazione; la mobilità che quando si poteva fare non si è fatta. Oggi la situazione economica non la rende praticabile, la mobilità equivale al licenziamento, arriviamo sempre terribilmente in ritardo.
E allora vi sono precise responsabilità: le strategie industriali delle grandi imprese, per tanti versi sbagliate - questi ultimi anni lo hanno dimostrato - l'assenza assoluta di politiche industriali degne di questo nome in base alle quali trasferire anche ingenti risorse alle imprese. Oggi siamo alle prese con la cassa integrazione strutturale, lavoratori messi in mobilità. Il che equivale al licenziamento, pensionamenti anticipati sprechiamo notevole parte del patrimonio umano e professionale. E ad essere interessati non sono soltanto gli operai generici, quelli qualificati quelli specializzati, ma anche gli impiegati tecnici. All'Olivetti persino i dirigenti.
L'ultimo rapporto IRES mette il dito sulla piaga: sono particolarmente colpiti tutti i settori dell'esportazione, siamo in piena recessione industriale. In una situazione di stagnazione economica, si aggiungono politiche di delocalizzazione del decentramento industriale. E necessario prendere atto che c'è un uso distorto anche della legge De Vito, dei programmi straordinari per il mezzogiorno, che non sono aggiuntivi alle attività produttive del nord, ma sostitutivi: vengono decentrate attività che ora qui si svolgono e anche attività di ricerca applicata: c'è, ripeto un uso distorto dei programmi straordinari per il mezzogiorno. Non ne trarrebbe vantaggio l'intero paese da un processo di drastica deindustrializzazione del Piemonte? Poi avremo sacche considerevoli di disoccupati strutturali, ma anche giovani scarsamente secolarizzati che troveranno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Corrono il rischio di andare ad ingrossare le file degli disoccupati. La scolarizzazione dopo le medie inferiore è del 43% nel nostro paese, in Germania e in Olanda è dell'85%.
Noi non possiamo sentire una sorta di rassegna stampa, dobbiamo sentire altra in questa sede: che cosa intende fare la Regione Piemonte, di quali strumenti dispone, quali strumenti nuovi è disposta a determinare, come usa gli strumenti esistenti. Mi soffermo brevemente su questo argomento e concludo il mio intervento. Il programma di deindustrializzazione n. 2052 della Comunità Europea è a difesa e sostegno dell'occupazione per il riassorbimento della disoccupazione, per il rafforzamento del tessuto dell'impresa minore, per il rispetto della tutela dell'ambiente, per un nuovo assetto del - territorio. Cinquecento miliardi di lire, primo biennio, quando la Regione nel suo complesso dispone di centocinquanta duecento miliardi di lire di risorse libere. Grossa occasione quindi di risorse per lo Stato, la Regione, gli Enti locali, i privati.
I precedenti sono disastrosi, diciamocelo francamente. Perle aree di crisi tessili (Regolamento n. 219) invece non siamo neppure riusciti a spendere tutti i soldi; provvidenza cieca per il taglio delle capacità produttive in siderurgia, abbiamo aperto qualche trattoria nel Verbano Cusio-Ossola, altro che reindustrializzazione. Il tutto perché manca un ruolo programmatorio della Regione. Ci si affida al caso all'improvvisazione, il taglio è prevalentemente infrastrutturale, gli interventi sono disorganici, si va avanti distribuendo a pioggia le risorse, qualche manciata ai Comuni, agli albergatori, secondo la discrezionalità e la clientelarità.
A me pare che da parte del partito di maggioran-za si sia detto: "I progetti per l'impresa a me e il turismo e le discariche a te, Partito Socialista". Si è lottizzato persino il regolamento 2052 perla reindustrializzazione economica. Mi pare sia particolarmente clientelare il capitolo "offerta turistica", anche questo a pioggia. Nel decidere di attuare un intervento organico, di riqualificare la struttura alberghiera per raggiungere standard di ricettività a livello europeo, non si è scelta un'area particolarmente colpita da crisi. Sono tutti interventi disorganici: creazione di centri di servizi alle imprese e agevolazioni al credito; mentre i privati concorrono per 270 miliardi di lire, la Comunità Europea e lo Stato concorrono con 41 miliardi di lire, 310 in totale.
Quindi, il flusso di risorse destinate alle imprese è marginale.
Chiediamo di rivedere ed aggiornare il programma operativo, di riorientare i progetti, di adattarli alla nuova situazione economico produttiva, di intervenire presso il Comitato di sorveglianza anche per far aderire il programma operativo alla nuova situazione che si è determinata.
Vogliamo che le risorse siano mirate alle aree maggiormente colpite da crisi con progetti concentrati, consistenti e qualificati che abbiano effetti trainanti, che agisco anche sul capitale di rischio e soprattutto animino le imprese minori. Per la seconda tranche di attuazione del programma chiediamo meno improvvisazione, meno discrezionalità, meno atteggiamento clientelare da parte della maggioranza, ma vera e propria programmazione in modo tale da spendere secondo criteri di efficienza e di efficacia.
Un'ultima osservazione riguarda la piccola e media impresa. C'è una legge nazionale, la n. 317, 1500 miliardi in tre anni. 500 miliardi all'anno non sono tanti, sono decisamente pochi e l'artigianato è quasi escluso, è appena sfiorato. In questa fase, più che agire sull'offerta di lavoro da parte delle imprese, sulla domanda di lavoro da parte dell'impresa e sull'offerta di lavoro da parte dei giovani e dei meno giovani, dobbiamo puntare rigorosamente sull'incremento della domanda di posti di lavoro da parte dell'impresa. Dobbiamo creare attività imprenditoriali, dobbiamo rafforzare e qualificare la rete delle imprese minori e produrre ricchezza. Chi ha creato ricchezza e posti di lavoro anche durante la crisi; se non l'artigianato e la piccola media impresa? Che cosa possiamo pensare per i prossimi anni? Che superata la crisi decine di migliaia di lavoratori si riversino negli stabilimenti Fiat e Olivetti? Questo nessuno di noi lo pensa. Se è così, se è il piccolo che crea occupazione, una politica a sostegno dell'occupazione non può non sostenere adeguatamente in modo moderno l'impresa minore e l'artigianato.
Abbiamo una legge quadro del 1985, siamo nel 1992 e non è mai stata finanziata; assegna tutte le competenze alle Regioni dalla ricerca alle esportazioni. Peccato che non abbia nemmeno una lira, peccato che le Regioni nel loro insieme non protestino, non chiedano risorse adeguate.
Penso che un'efficace politica di ripresa stentata dell'occupazione non possa che passare attraverso una politica che affermi pari dignità delle imprese. Perché alle grandi imprese tutto è dovuto e alle piccole tutto è negato? Una politica a sostegno dell'occupazione non può essere efficace se non si stabilisce in termini concreti la pari dignità delle imprese e il diritto al lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picchioni.
PICCHIONI Abbiamo ascoltato stamane la puntuale e puntigliosa relazione dell'Assessore Cerchio, che ringraziamo per essere costantemente presente non qui dove barricate non ci sono, ma laddove la piazza esige anche una presenza che non sia né di maniera né retorica. Lo ringraziamo per la testimonianza dell'ente Regione laddove i processi di lavoro entrano nel vivo delle carni e non solamente nelle felpate atmosfere dei centri studi.
E' chiaro che in un'occasione di questo genere ci sia il gioco alla chiamata di correità. Con chi ce la prendiamo oggi? Ce la prendiamo con il più vicino, con il più lontano, con la situazione nazionale ed internazionale, ce la prendiamo con l'avversario di corrente o l'avversario di partito? E' chiaro che in questo sport, nel quale noi italiani eccelliamo per antico costume, c'è sempre qualche vittima sul campo. E' stato detto adesso in un'impeccabile relazione del collega Calligaro: la situazione è estremamente grave, a tinte forti. Per cui ancora una volta, dopo pochi mesi di distanza da quando la prima cassa integrazione della FIAT faceva presumere che tutto fosse un fatto congiunturale o per lo meno ciclico e non strutturale, è stato detto adesso ed è stato ripetuto stamattina come la crisi sia una recessione che tocca tutto il Piemonte. Abbiamo sentita in quesiti giorni, dalle varie tavole rotonde, come il rappresentante della FIAT abbia detto che 145 mila miliardi, che dovranno essere investiti dall'azienda torinese nei prossimi anni, non possono penalizzare la situazione torinese, anzi si prevede che per Torino ci sia un investimento aggiuntivo di 20-25 mila miliardi, cioè più o meno dal 50% al 60%.
Non so se tutto ciò è vero. Mi auguro che l'azienda torinese, non solamente per vincoli di storia, possa realizzare questo cospicuo investimento nell'area della sua nascita: però il problema rimane gravissimo.
Marco Rivetti pochi giorni fa disse che era finita l'epoca del tessile non solamente perché essa riesce ad accompagnare la nascita del primo industrialesimo nelle società ad economia agricola, ma perché l'unità di prodotto che a Settimo e a Torino costa 100, non solo costa 2,17 lire in Cina o 24 lire in Tunisia, ma costa lire 67 nei sobborghi di New York.
Questo è un problema strutturale per cui non ci sono congiunture che tengano: il costo del lavoro grava in maniera ossessiva e l'imprenditoriale mondo certamente ha ragione su questo problema, per il quale le varie trattative a livello ministeriale non hanno sortito alcun risultato.
In questo rimpallo tra pubblico e privato, signor Presidente, tra "Ministri felloni" e industriali dall'incontaminata innocenza, in questo rimpallo In cui i grandi processi di accumulazione In se stessa finanziaria non hanno portato alcunché, se non all'accumulazione, ci dobbiamo domandare dal nostro angolo visuale qual è la progettualità e la strategia della classe dirigente privata piemontese. Vorrei sapere quali sono state le proposte che questa classe dirigente, certamente illuminata, certamente europea, certamente abilissima a frequentare tutti i tavoli verdi dell'alta finanza, quella a rischio e non a rischio, ha presentato al Presidente e all'Assessore Vetrino. Su questo noi possiamo cominciare a dirci alcune cose e a chiamare tutti a quel senso di responsabilità o perlomeno di autodisciplina, o perlomeno di autocontenimento, che non è solamente un autocontenimento di ordine politico o programmatico ma di autocontenimento psicologico, perché queste cose le conosciamo tutti e perché su queste cose varrà non solamente la "nobilitate" della classe politica, ma anche della classe imprenditoriale.
Dobbiamo parlare poi anche di casa nostra ma anche qui dobbiamo essere molto chiari, perché se la politica energetica non viene portata avanti in determi-nate situazioni territoriali della provincia di Torino essenzialmente per delle preoccupazioni di carattere ambientalistico, non lamentiamoci polche una azienda come la Ferrero debba chiudere i battenti.
Il discorso delle compatibilità, che è certamente un discorso possibile, anzi necessario, deve essere portato avanti tenendo presente quali sono tutte le "punte" del cappello che tante volte non coincidono e per le quali certamente vale il grande senso di mediazione della Giunta. Un organismo politico non deve fare delle spadaccinate o delle magniloquenze dal balcone: deve trovare sempre il punto di equilibrio possibile In tutte le circostanze e con tutti i soggetti sociali politico-istituzionali agenti in tali circostanze. Caro Assessore Cerchio, questa mattina è stata data da qualcuno una lettura riduttiva di quello che tu fai, di quello che tu hai detto. Mi pare che di fronte ad un politica strategica della Giunta, che da tanti è stata lamentata per la sua latitanza, venga anche censurata la tua politica cosiddetta "infermieristica": "non sparate sulla Croce Rossa" per si spara lo stesso. Per cui la politica occupazionale, che poi secondo alcuni diventa politica assistenziale, non è risolta attraverso l'Agenzia dell'occupazione che noci serve, attraverso il CILO che è inutile attraverso tutta quella "minuteria." che il collega Cerchio ha messo in campo; ma anche se le proposte risultano più zoppe di quanto si prevedeva all'inizio, quante programmazioni sono rimaste sogno nel cassetto, amico Calligaro, e quanti piani, purtroppo - non voglio fare una rivendicazione di chi aveva ragione e chi aveva torto - sono rimasti dei piani inutili o delle carte vergate in pulito e basta! Ebbene, se tutte queste cose succedono, e succedono perché non la provvidenza, ma la previdenza del collega non è riuscita a metterle a regime, invece voglio testimoniare che comunque nel piccolo, nel quotidiano, nella minuteria di ogni giorno bisogna cercare sempre di fare qualche cosa per superare una situazione che tante volte è al di sopra di noi, e giustamente Bosio diceva: "Noi non siamo nient'altro che nani sulle spalle dei giganti".
Ma "nani sulle spalle dei giganti" è una frase di Bernardo di Chartres del 1200 circa. Significava unicamente che noi ci: poniamo sulle circostanze, sui fatti, sulla storia per vedere intorno; non perché la possiamo dominare, ma perché la possiamo osservare, perché la possiamo certamente individuare nella sua chiave di lettura possibile.
Il mio amico Marchini converrà con me - me lo auguro - che il bipolarismo è finito, non solamente perché è caduto il muro di Berlino perché c'è stato il grande collasso di un impero e di tutto il sistema che lo sorreggeva e lo surrogava. Ma il bipolarismo è finito quando Bush va a domandare i soldi al Giappone. E forse qui si potrà già cogliere un senso di quella "translatio imperii", di quel passaggio delle egemonie di uno Stato all'altro che probabilmente, forse perché le due potenze erano così speculari, porterà a far sì che certe nostre coordinate culturali e politiche vengano a cadere.
Voglio ancora ricordare al collega Marchini, che è un saggio lettore della storia patria, che si registrano anche oggi i corsi e i ricorsi della storia: la "belle époque" nacque con la vittoria di Sedan e finì con la prima guerra mondiale: 45 anni circa. La nostra "belle époque", nata nel 1945, finisce nel 1990. Non voglio dire che la storia trovi questi parallelismi forzati. Però ci sono dei rimandi o dei rinvii nella storia che ci portano a ritenere che certe parentesi si chiudono, o si aprono nel momento più inopinato.
Oggi forse viviamo la fine di un ciclo. Ed è forse anche la fine dello Stato sociale che denuncia oggi le sue carenze, i suoi limiti, la sua inanità nei confronti di una situazione che si può affrontare solo con l'equità della diseguaglianza per dirla con Myrdal.
E' molto difficile cercare di conciliare l'uguaglianza dei principi o delle idee con la disuguaglianza dei fatti.
Faccio ancora un'osservazione, Consigliere Macchini e colleghi comunisti. Perché solo il Piemonte? Perché? Ma il costo del denaro non è uguale dappertutto, nelle Marche, nel Veneto, nella Lombardia, ecc.? Ma allora c'è una nostra tara ereditaria. E nata nel 1975, è nata prima? Perché mentre lo spostamento va verso occidente, qui nel nostro Paese c'è una inversione che va verso oriente? Allora cosa manca a questa Regione? Manca di infrastrutture, manca semplicemente di una sua strategia. E' tarata forse da quei condizionamenti; politici, ideologici, che ne hanno Impedito il decollo dieci, quindici anni fa, ed oggi noi ne paghiamo un attardamento storico rispetto ad altre Regioni d'Italia. Qualcuno ha detto: "sgonfiamo la mongolfiera del terziario", però le infrastrutture non sono forse un veicolo per portare avanti delle alternative possibili? Andiamo a vedere solamente i nostri paesi, non vediamo forse che c'è già uno stacco nella qualità della vita rispetto alle Regioni confinanti? Allora il problema diventa complesso. Ho sempre apprezzato i Ministri i Deputati, che scrivono sull'assistenzialismo, sul problema del trasversalismo, anche se queste lettere di Natale con tante buone intenzioni mi lasciano sempre un po' dubbioso per la loro strumentalità.
Tante volte in un paese di furbi come il nostro, anche l'astuzia pu rivelarsi stupida.
Riguardo la formazione professionale, Assessore Cerchio, è stato detto tante volte che dobbiamo fare un salto di qualità, non so se riusciremo a fare grandi scuole, ma certamente la vocazione; non solamente tecnicista del Piemonte, potrà portare ad un salto di qualità.
Quando in Commissione abbiamo parlato del Politecnico di Torino abbiamo capito che il sistema produttivo piemontese non voleva significare "un mattone in più", ma una politica che, attraverso i grandi centri di ricerca, i grandi campus e i piani tecnologici, poteva arrivare a dare le leggibilità possibile delle istanze e delle vocazioni del territorio: Non so per quale ragione o sollecitazione, per quale input, ci siamo subito ripiegati nel "tran tran" quotidiano di "mota non quietare e quieta non movere".
Signor Presidente, abbiamo avuto una discussione in sede di Commissione, la 2052, come è stata prospettata, per certi aspetti non mi convince e non convince la seconda tranche di 300 miliardi che dovrebbe venire nel 1992/1993. Abbiamo bisogno non solamente del ricorso Infermieristico dell'Assessore Cerchio, abbiamo bisogno di avere una politica strategica da parte dell'Assessorato all'industria. Se questa politica viene ostacolata da una certa sovrapposizione di competenze (come se l'Assessorato fosse una specie di centauro, mezzo uomo e mezzo cavallo) signor Presidente, bisogna risolvere il problema.
Non sono convinto inoltre che una Giunta non possa avere oggi un piano efficiente, razionale e moderno sul turismo; penso possa e debba avere al più presto un piano sui trasporti e sulle infrastrutture, debba quindi avere complessivamente una progettualità che tocchi tutti i settori ancora inesplorati nei confronti dei quali si deve dimostrare un'intelligenza politica e progettuale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Monticelli.
MONTICELLI La ringrazio, Presidente. Vorrei svolgere alcune brevi considerazioni sul dibattito che ha toccato questioni che vanno anche al di là della materia che è estremamente importante tenere all'oggetto, cioè la questione della crisi economica-occupazionale che travaglia la Regione Piemonte.
Da alcuni interventi, e in particolare dall'intervento del collega Picchioni, sono state toccate corde anche sensibili di tipo politico che credo sia inevitabile stuzzicare ulteriormente, non per strumentalismo o gusto di polemica, ma perché si tratta di questioni che hanno a che fare con i contenuti, con il problema del "cosa fare di fronte aduna situazione così grave per la nostra Regione".
Il collega Picchioni è partito da quella che definisco, forse impropriamente e me ne scuso, una difesa d'ufficio dell'Assessore Cerchio per giungere poi, con dotte citazioni letterarie e alcune suggestive citazioni storiche, a dimostrarci che siamo tutti nani di fronte alla grandiosità e complessità dei problemi con i quali ci misuriamo. Infine, ha chiuso con una netta e secca sottolineatura delle carenze presenti nell'esecutivo regionale, in particolare riguardanti Assessori di partiti diversi dal suo. Così ho colto questo intervento.
D'altra parte, la discussione ha avuto interventi significativi - non di occasione - di colleghi come Ferrara e Marchini che, pur con toni diversi, hanno posto problemi di questa natura. Il problema lo definisco così, per toccare anche il merito. Oggi non possiamo più galleggiare sulla quotidianità di piccoli atti di governo di fronte aduna crisi che ha questa dimensione e portata di prospettiva. Non è più consentito. Non ci giustifica una politica di questo tipo, se vogliamo esistere come istituzione, come classe Politica di fronte a problemi di questa natura.
Quindi, occorre pensare ad una fase nuova. Il Consigliere Marchini poneva direttamente sul piano politico questo problema, facendo riferimento a quello che lui ha chiamato il "patto di non aggressione fra le forze del pentapartito" che sarebbe, secondo lui ché se ne intende più di me evidentemente, all'origine della formazione delle Giunte di pentapartito in quest'ultima legislatura: la Regione, il Comune e la Provincia.
Egli ha detto che non è più sufficiente sopravvivere con il patto di non aggressione. Io la metto in un altro modo, colleghi: non è più sufficiente sopravvivere con una politica di galleggiamento sui problemi che hanno questa natura, dato tipico caratterizzante della cultura politica democristiana.
Non riesco a disgiungere questi elementi, non riesco ad interpretare diversamente il modo insistente, quasi orgoglioso con il quale il Presidente Brizio ha più volte sostenuto che tutto va bene in Piemonte contro l'evidenza. Credo che questo non sia un difetto personale del nostro Presidente della Giunta regionale, ma un difetto di cultura politica che tocca profondamente la Democrazia Cristiana.
La Democrazia Cristiana sa governare così, sa leggere i processi così mentre oggi leggere i processi e governare richiede una cultura politica ed un atteggiamento radicalmente diversi, che deve essere un atteggiamento di attacco e non di galleggiamento, di ricerca del rigore e non di ricerca della mediazione, di scelta del difficile e non di pacificazione sul livello più basso e più facile del rapporto e dell'iniziativa politica. In caso contrario, non abbiamo alcuna giustificazione rispetto ad una società regionale che ci chiede qualcosa oggi.
Sono d'accordo con Marchini: il Piemonte non ci chiede semplicemente un migliore governo quotidiano, ci chiede una prospettiva. Ma se la prospettiva non vuol essere fatta soltanto di parole, di piani o di programmi astratti, deve comportare scelte, indicazioni rigorose di priorità e una capacità di coordinamento e di governo ben superiore a quella attuale.
Il problema non è soltanto determinato dal fatto che ci sono alcune deleghe mal ripartite (1o sapevamo da mesi) fra la Vice Presidente Vetrino e l'Assessore Cerchio; c'è qualcosa di più profondo nel meccanismo che non funziona. Posso anche sbagliarmi, può essere magari una polemica dettata da un interesse politico perché siamo in prossimità di elezioni" ma io vedo un difetto profondo, che è un difetto della DC, colleghi dello scudo crociato, non riesco a leggere la realtà che stiamo vivendo nella Regione Piemonte in modo diverso. Mi chiedo, quindi, se le parole che colleghi come Marchini, Ferrara e altri della maggioranza hanno espresso hanno un senso e se possono avere un qualche significato politico.
Noi stiamo vivendo una fase stranissima, in cui i liberali non sono più (come diceva Marchini) agli arresti domiciliari o si apprestano a uscire dagli arresti domiciliari (perché mi pare ci sia ancora qualcosina che non funziona per aprire la porta), e abbiamo letto tutti che dopo le elezioni questa Giunta regionale cambierà in alcuni suoi assetti importanti e significativi. Colleghi, stiamo qui ad aspettare quel momento? Di qui ad allora, cosa facciamo? Cosa facciamo di fronte all'urgenza di questi problemi? Questa Giunta esiste ancora? E' una Giunta che ha ancora una piena operatività, ha una maggioranza vera? Non stiamo vivendo o ci apprestiamo a vivere due o tre mesi di crisi latente della Giunta, ma già in qualche modo annunciata? E, sentendo gli interventi di oggi, non stiamo vivendo anche una crisi più profonda ancora, una crisi del collante politico-culturale stesso di questa maggioranza? .
Nelle prossime settimane dovremo affrontare una questione di non secondaria importanza: l'aggiornamento del piano di sviluppo, a cui si dovrebbe collegare un elenco rigoroso, essenziale, di poche priorità - è stato detto dalla maggiorana qualche tempo fa - e, sulla base di questo dopo le elezioni (non ci aspettavamo altro), proporre ai cittadini piemontesi qualche aumento delle tasse regionali, comporre un pacchetto discreto di risorse e di finanze regionali e impegnarsi con un sprint finale fino a fine legislatura.
Ma i presupposti, i punti di partenza di quest'operazione, del tutto straordinaria se questa maggioranza riuscisse a farla, dovrebbero essere posti prima delle elezioni. Colleghi, se vogliamo essere civili, credo che il ragionamento del piano di sviluppo dovremo discuterlo prima delle elezioni. L'impostazione di revisione del bilancio che ha attualmente la nostra Regione, che è un bilancio della miseria, della sopravvivenza dell'ordinaria amministrazione, dovremo forse incominciare a discuterla prima delle elezioni. E allora questa maggioranza e questa Giunta come pensano di arrivare in modo civile a questi appuntamenti? Oggi abbiamo assistito a un dibattito durante il quale per tutta la mattina sui banchi della Giunta erano seduti in due o in tre, non c'era nemmeno il Vice Presidente Vetrino che è titolare della delega alla politica industriale. Va bene che adesso abbiamo scoperto che la politica industriale non esiste, ce l'ha spiegato il Consigliere Picchioni, il quale ha anche sostenuto che, se pure esistesse, comunque non è stata fatta, se ho capito bene il senso delle sue parole. Ma questo cosa vuol dire? Che il PRI è già uscito da questa maggioranza, da questa Giunta? Queste cose le verremo a sapere dopo le elezioni o ce le direte prima? A un chiarimento politico di fondo; che è un presupposto per poter affrontare questi problemi, riusciremo ad arrivare in qualche modo prima delle elezioni? O tutto, per carità di patria vostra, da vostra patria di Gruppi di maggioranza, sarà rinviato alla seconda fase? Termino. Presidente, reiterando una richiesta fatta questa mattina dal collega Marengo nel suo intervento e che il nostro Gruppo ha già fatto più volte in Consiglio. Chiedo formalmente che entro due, tre settimane al massimo ci sia una sessione speciale del Consiglio dedicata alla discussione dell'aggiornamento del piano di sviluppo. La Giunta, bontà sua ha preparato un documento preliminare, e tale è perché non siamo ancora alla definizione del documento formale di aggiornamento del piano di sviluppo, ma è una prima traccia di discussione. Credo che tutti i Gruppi dovranno prepararsi a quell'appuntamento per arrivare a un dibattito impegnativo.
Lamento il fatto che noi, troppo spesso, discutiamo non si capisce bene per cosa. Vogliamo dare un senso a questa discussione di oggi? Il senso, io credo, è quello di dire che rapidamente dobbiamo elaborare i progetti essenziali su cui il governo piemontese: nei prossimi anni definirà una prospettiva di sviluppo per la nostra regione: dobbiamo assumerci queste responsabilità.
Sollecitiamo questa discussione e chiediamo alla Giunta di arrivare a questa discussione con le idee più chiare e magari con una solidarietà interna maggiore di quella dimostrata oggi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rabellino.



PRESIDENTE

RABELLINO



PRESIDENTE

Anche la Lega Nord vuole portare un contributo a questo bellissimo esercizio di oratoria, un esercizio collettivo che abbiamo di nuovo messo in scena oggi. In pratica, abbiamo discusso circa 4 ore senza arrivare ad una conclusione concreta e non abbiamo sentito proporre alcun progetto da parte della Giunta. Sì, c'è questa crisi, ma lo sapevamo già; non era necessario discutere 4 ore per dirci queste cose, comunque partecipiamo anche noi.
Prendiamo atto dell'esistenza di una certa crisi occupazionale che sta raggiungendo livelli drammatici, ma riteniamo che questo sia soltanto il primo passo. Pensiamo infatti che nei prossimi due, tre anni ne vedremo delle belle sotto il profilo occupazionale. Questa situazione non è altro che la logica conseguenza di un certo tipo di gestione politica sicuramente a livello nazionale; la Regione non può fare più di tanto, ne prendiamo atto; ma 40 anni di gestione di un certo tipo, che ha favorito in continuo lo spostamento delle attivata produttive in altre regioni (quelle meridionali), non ha fatto altro che impoverire, sotto il profilo produttivo e di conseguenza occupazionale, le regioni settentrionali, in particolare il Piemonte, il quale ha ancora una situazione produttiva del tutto particolare, monoculturale, cioè di monocultura industriale qual è quella della FIAT.
Peraltro, mi stupisce che il PDS contesti questo tipo di politica e prenda atto di questa situazione di crisi, anche perché il Partito comunista in questi 40 anni è stato il prime complice di questa operazione.
Era sicuramente contento ed entusiasta e lo abbiamo sentito per anni euforico per lo spostamento dei finanziamenti verso il Sud, affinché il Sud poveretto e depresso - potesse essere industrializzato, senza capire che in realtà questi finanziamenti non andavano a favore della gente del Sud ma a favore di certi clan o gruppi di potere industriale.
Questa è la realtà che ha portato a far sì che il Nord, tutto il Nord in particolare il Piemonte, oggi sia la vera zona depressa dello Stato italiano; questa è la realtà in cui la situazione occupazionale non è altro che la logica conseguenza di questa situazione.
E' chiaro, a questo punto, che si deve cambiare tendenza. A questo proposito non abbiamo capito cosa questa classe politica - non mi limito i dire la Regione, perché essa ha sicuramente delle competenze limitate In questo campo - abbia intenzione di fare per invertire tale tendenza.
Non abbiamo sentito alcuna proposta in tal senso, ma il tragico è che non ne sentiamo nemmeno a livello nazionale. Stiamo assistendo alla semplice presa d'atto di una situazione di crisi, sicuramente anche di crisi a livello mondiale, ma resta il fatto che il Piemonte sta sicuramente vivendo una crisi superiore rispetto a quella di altri paesi europei o del resto del mondo.
La Lega Nord sta lavorando e vuole portare un contributo; sicuramente la nostra presenza nella prossima legislatura a Roma andrà in una certa direzione, e questo mi pare lo abbiano capito un po' tutte le forze politiche. La Lega Nord sta lavorando su un progetto che permetta una decongestione delle aree urbane per affrontare, non solo il problema del rilancio industriale; ma anche il problema sociale creato da tale congestione. Il nostro progetto permetterà di rilanciare il sistema produttivo, rilanciandolo possibilmente non solo nelle aree urbane, ma diffondendolo sul territorio.
In Piemonte, inevitabilmente, dovremo affrontare due problemi importantissimi. Prima di tutto, quello della diversificazione della produzione, perché non possiamo continuare a pensare che si possa andare avanti con la Fiat e l'indotto Fiat; dovremo cercare, come in altre regioni,delle produzioni alternative, e soprattutto, a fianco di queste produzioni, dovremo far sì che le aziende o l'indotto (diciamo che attualmente è l'indotto Fiat) si attrezzino con proprie reti commerciali.
Infatti, una delle maggiori difficoltà per la diversificazione della produzione è sicuramente la mancanza totale da parte dell'indotto dell'auto di una rete commerciale ben precisa. Per anni gli imprenditori piemontesi i piccoli e medi industriali, hanno trovato comodo il fatto di dover andare in corso Marconi e fare una certa offerta, al limite abbassandola di 5 lire, per poter entrare sullo stesso mercato.
Come si può agire per arrivare ad un rilancio industriale, ad un rilancio della produzione a livello piemontese? Riteniamo che, nella situazione in cui ci troviamo, vi sia una sola strada; quella della defiscalizzazione per le aziende in crisi. Dovremo prevedere un abbattimento dei contributi sociali, perché prima di tutto bisognerà far si che le nostre aziende rientrino, siano di nuovo competitive, che il costo del lavoro sia di nuovo competitivo. Sarà quindi necessaria una defiscalizzazione dei contributi sociali e, proprio con l'obiettivo di decongestionare le aree urbane; le aziende, le attività produttive che si insedieranno all'esterno dell'area urbana dovranno avere una defiscalizzazione sia a livello societario che a livello individuale.
Inoltre dovremo prevedere dei finanziamenti, non tanto ai singoli perché attenzione, noi come Lega siamo contrarissimi ai finanziamenti, in quanto sono comunque una fonte di clientela a qualsiasi livello - ma agli Enti locali (Comuni, Province e Comunità montane), affinché intervengano sulle infrastrutture intese come viabilità o servizi alle aziende.
Su questi punti pensiamo si debba intervenire urgentemente; la politica della denuncia della situazione di difficoltà fine a se stessa non porta ad alcun risultato.
La nostra preoccupazione è che questa classe politica, a tutti i livelli, da quello regionale a quello nazionale, impegnata forse su altri fronti e preoccupata della propria sorta, non sia oggi all'altezza di affrontare la situazione e abbia grosse difficoltà a recepire e a proporre qualcosa di veramente positivo e di alternativo alla crisi in atto.



PRESIDENTE

Ringrazio il Consigliere Ribellino; non ho altri iscritti a parlare ascoltiamo quindi la replica dell'Assessore Cerchio e poi del Vicepresidente Vetrino.
CERCHIO, Assessore regionale Colleghi Consiglieri, come emerso dalla comunicazione iniziale e dal dibattito che ne è seguito, è evidente che la crisi economica ha origini assai complesse e non vi è dubbio che ne usciremo soltanto se verranno impostati rigorosi programmi di risanamento e di nuovi investimenti.
E non ci soddisfa certo il fatto che la crisi, in questo caso, sia una crisi economica e che non abbia, come succede a poche centinaia di chilometri di distanza da noi, altra valenza politica e istituzionale di libertà o di negazione delle libertà o dei diritti umani.
In Italia vi è una crisi economica collegata evidentemente ad un discorso mondiale, con tutta la sua specificità, il forte deficit pubblico e le difficoltà ad affrontare manovre e correttivi efficaci. Vi sono dei compiti nazionali all'interno di un quadro internazionale che deve essere tenuto in conto, ma vi sono anche dei compiti regionali che, seppur scarsi non devono essere considerati degli alibi per non affrontare fino in fondo il discorso di questo percorso difficile ed in salita. Esistono alcuni settori trainanti che in questi anni hanno fatto forte il sistema Piemonte il quale, a sua volta, ha reso forte il sistema Italia. Mi riferisco al settore dell'auto e al suo indotto, al settore metalmeccanico all'informatica, al tessile e al chimico. Questi settori, a differenza di quanto è capitato negli anni '80 - pur in termini altrettanto difficili e drammatici - negli anni del processo di ristrutturazione, oggi corrono rischi maggiori e preoccupanti, quali quello della recessione, in quanto sono strettamente legati all'andamento dei mercati internazionali.
Abbiamo inoltre un'altra peculiarità in negativo, ed è quella - non è una colpa, ma è una constatazione che dobbiamo fare - che storicamente culturalmente e strutturalmente la stragrande maggioranza dei gruppi industriali italiani è nata, cresciuta e si è localizzata, creando quindi investimenti e occupazione, in particolare in Piemonte. E chiaro che in una situazione e, in una stagione di grande debolezza, non solo congiunturale ma strutturale, questo pesa di più in una Regione fortemente industriale e industrializzata come la nostra e pesa ancor di più che non in Regioni quali la Lombardia, la quale, pur avendo grandi caratteristiche di analogia con noi per momenti di debolezza, è favorita, ad esempio, dal fatto che lì esiste un terziario molto forte.
Qui esiste invece un settore del metalmeccanico che vede il 42% dei suoi occupati presenti nel settore occupazionale in Piemonte e certamente più del 50-55% in termine di fatturato di questo settore, ecco quindi i titoli sui quali dobbiamo muoverci. Ci siamo mossi sapendo che, mentre negli anni '80 dopo il processo di ristrutturazione, il settore terziario pur con tante contraddizioni, aveva rappresentato un ammortizzatore al problema dei processi di ristrutturazione, oggi questo ammortizzatore non ha più possibilità, perché anche il terziario sta vivendo momenti difficili di ristrutturazione: non può più essere, non può più svolgere questo ruolo di ammortizzatore sociale.
Devo dire che stamane, almeno i primi interventi, hanno evidenziato un rischio, perché il punto all'ordine del giorno era "segnalazione e indicazione dei principali momenti contingenti di difficoltà occupazionale". Non potevo, se non altro per battuta, al termine dire che questo era un ragionamento anche sugli strumenti nuovi a livello nazionale che dobbiamo attivare a livello regionale in sintonia con l'aggiornamento degli strumenti nazionali (la legge n. 223 innanzitutto, ma anche altre).
Ciò sapendo di correre il rischio di parlare delle tante grandi o piccole situazioni occupazionali e quindi delle vertenze e dover in qualche modo trarre alcuni spunti e titoli legati ad una situazione che vede orizzontalmente la collegialità della Giunta per altre competenze. E'un problema di sviluppo e di rilancio non solo di tamponamento occupazionale o almeno di mantenimento del livello occupazionale, che passa attraverso un progetto globale, e certamente attraverso il piano regionale di sviluppo che è il volano sul quale si innescano alcune politiche. Se parli solo di livelli occupazionali di vertenze, corri il rischio di essere considerato riduttivo; se parli di cose che in qualche misura hanno il loro funzionale collegamento, rischi di essere criticato perché fai la sovra dimensione di grandi problemi e delle grandi filosofie.
Un vecchio filosofo dell'antichità diceva: "Il giusto sta nel mezzo" non dimenticando fumo e l'altro e cercando di fare certo il paramedico o l'infermiere. Questo servirà certamente per stoppane tutte quelle situazioni che quotidianamente i singoli Consiglieri regionali della maggioranza e dell'opposizione realizzano attraverso decine di interrogazioni sulla piccola e grande azienda alla quale devi dare una risposta: al tempo stesso servirà a creare una condizione di ragionamento dei limiti delle scarse titolarità che, come abbiamo detto; ci sono in tema di politica industriale o di politica attiva del lavoro, rispetto alle quali la Regione deve dare un ragionamento il più possibile organico.
Cari colleghi - lo diceva il collega Bosio stamane nel suo intervento delle crisi tanti soggetti parlano, ma pochi hanno in realtà - interpreto a grandi linee, a braccio come mi è uso - le reali terapie sicure e i mezzi adeguati. E una verità vera, con il rafforzativo; si tratta certo di selezionare le direzioni avendo definito alcuni obiettivi che è possibile realizzare, cercando di premiare le cose che ci uniscono piuttosto che le cose che ci dividono. Ma buona parte delle osservazioni presentate stamane e anche oggi pomeriggio sono state espresse con forzature e con chiaro scuro, per scimmiottare alcuni momenti estetici soprattutto nell'intervento del mio carissimo amico Calligaro, che a volte sono la conseguenza della collocazione, fisiologica nel ruolo di opposizione. Ma non è sempre stato così - vero, collega Ferrara!? - perché anche dalla maggioranza sono venute alcune considerazioni.
Buona parte delle osservazioni, al di là della calibratura, del gioco degli alti e bassi, del chiaroscuro della voce, dell'emotività legata forse ad un 5 aprile, non si sono distinte da un'analisi sostanzialmente comune sulla necessità di razionalizzare l'impegno e le proposte. Peraltro tali osservazioni non si discostano da quelle che, pur con l'imbecillità di questo Assessore regionale, vengono dette da anni dal sottoscritto, la legge n. 46 nazionale non è cosa buona: e cioè che questa imbecillità fa si che da alcuni anni questo Assessore dica questa cosa e le osservazioni non si sono scostate dalle proposte che pur tuttavia sono state realizzate. Il collega Bosio ha vaticinato, ma devo dire che ha vaticinato in modo attivo rispetto al R 2052.
Apriamo e chiudiamo un discorso che in questa settimana abbiamo trattato intensamente. Alcuni hanno criticato questo strumento: avvisiamo che questo strumento è per la prima volta applicato con tutta la sperimentazione, la provvisorietà e la novità da parte della Regione. E' uno strumento che in qualche misura, en maniera intelligente, ha messo insieme per la prima volta sforzi del privato e del pubblico per attivare alcune ricadute di investimenti. E' certo che Il privato - il collega Pecchioni lo ha detto - non ha fatto dei progetti ancorché stimolanti, ma non possiamo essere noi degli imprenditori. Questo è un dato di fatto.
Certamente dovremo aiutare a stimolare condizioni - sul piano dell'informazione e dell'opportunità - di attenzione, ma - ripeto - non siamo certo degli imprenditori. Vorrei dirlo soprattutto al collega Chiezzi, che con molta intelligenza ha cercato di ritrovare come altri un uso sempre più proprio (e che non potrà non essere migliorato nel biennio '92/93), dell'applicazione dei programma operativo del regolamento comunitario. Qui non si tratta di creare semplicemente condizioni di rilancio industriale: Il Regolamento Comunitario n. 2052 è uno strumento che globalmente crea condizioni di rianimazione economica, quindi è destinato - con unica discriminante la validità dei progetti - a creare condizioni che vanno al di là del problema dell'insediamento industriale fino ad arrivare aduna rianimazione sociale che può toccare altri settori.
Si tratta certamente di usare questi strumenti nel modo più opportuno e l'esperienza di questa prima applicazione non potrà che essere utile per gestire il piano operativo del prossimo biennio.
La Regione ha usato lo strumento del fondo per l'occupazione.
Polemizzo en misura cortese, ma serrata - non è da oggi che lo faccio con il Capogruppo del Partito Repubblicano, il quale continua a confondere forse per una non conoscenza dei livelli istituzionali, l'agenzia per l'impiego, i. CILO, la Commissione regionale per l'impiego, e quant'altre cose. Devo dire che sono cose del tutto differenti. L'agenzia per l'impiego è una cosa inventata e certamente voluta da un Ministro di qualche legislatura precedente, che magari dà cento venti milioni al direttore sessanta a trenta esperti e qualcos'altro a quaranta impiegate, nipoti cugini di qualche Ministro o di qualche sindacalista di area di maggioranza o di opposizione. Può darsi che sia così, ma è certo che una cosa è creare il massimo di attenzione su alcuni strumenti di politica attiva del lavoro nei confronti delle fasce più deboli del mercato del lavoro, che in un momento di difficoltà qual è quello che viviamo oggi rischiano di essere espulsi dal ciclo produttivo e di mai rientrarvi (perché sono giovani che non riescono ad agganciane questo rapporto), per cui il CILO che è uno sportello "intelligente", con tutte le difficoltà di essere applicato, per aiutare queste fasce più deboli nella società: tutt'altra cosa evidentemente è l'Agenzia dell'impiego. Cerchiamo di capire in realtà queste osservazioni. La crisi indicata è una crisi indubbiamente profonda che non può essere fronteggiata da uno o due Assessorati, forse non pu nemmeno essere fronteggiata, e secondo le considerazioni che qui sono state fatte sia dalla maggioranza che dall'opposizione, non può essere fronteggiata nemmeno dalla globalità della Giunta: vi sono però livelli diversi di copartecipazione.
Stiamo elaborando e riflettendo, con tutta la provvisorietà a cui fa riferimento l'ultimo intervento del collega Monticelli (e non so se la Giunta esiste, esisterà e per quanto). E certo che questo Assessore all'interno della Giunta, sta elaborando non so se per Il prossimo Assessore al lavoro, al servizi per l'industria, alla formazione professionale, una serie di progetti che stamattina ho indicato per titoli e che nel mese di febbraio verranno presentati come risposta sostanziale di un confronto partecipato con tutte le forze sociali. Stiamo elaborando e riflettendo per creare strumenti di raccordo, di pensiero comune, di supporto tecnico ed economico, sapendo evidentemente che la difficoltà, la complessità dell'economia rende molte volte ingovernabile l'attuale potenzialità creditizia. Quindi, come Giunta regionale, riteniamo che occorra ragionare sui temi a livello di sviluppo, di produttività dei processi e che occorra ricostituire dimensioni di governabilità. Nel dibattito qualcuno ha affermato alcuni concetti che non possono non essere ripresi; quando qualcuno dice che sul mercato bisogna starci se si affronta il problema della qualità, dice una verità. Voglio pero dire a tutti voi e a me stesso che non è un problema dell'industria, ma è un problema di tutti: è il problema della qualità dei prodotti, della qualità dei sistemi economici, è il problema della necessità di rispondere agli strumenti di governo, e nelle nostre titolarità ci stiamo muovendo non da oggi.
Alcuni strumenti di legge che ho citato, e che aggiorneremo nell'edizione di febbraio, vanno nella direzione di dare delle risposte nei limiti delle nostre capacità, su tutti questi livelli.
Al collega Calligaro voglio dire che abbiamo creato una sinergia tra il Governo e la Regione; non è che non abbiamo un nostro giudizio sul piano dell'Olivetti e che non l'abbiamo confrontato e detto. Lo stiamo dicendo cm le osservazioni che, in sintesi, questa mattina ho indicato.
Se la crisi sia strutturale - riprendo un concetto volutamente introduttivo di un altro ragionamento - o congiunturale, è un dibattito che da tempo lasciamo, almeno io lascio, a coloro che vogliono dilettarsi in modo astratto. La crisi industriale è reale e sulla crisi, cm le nostre forze, stiamo cercando di avere il massimo di titolarità nel rapporto con il Governo.
Gli strumenti li ho indicati questa mattina. Poniamo attenzione nel momento In cui stiamo lavorando, non perché questa sia la soluzione, ma per mettere intorno ad un tavolo tutte le parti sociali, economiche, operative e produttive della Regione, dai sindacati al mondo degli imprenditori, dal sistema bancario al sistema degli artigiani. Tutto questo per la creazione della proposta avanzata in questi mesi di costituire odi dare vita aduna sorta di Consiglio regionale dell'Economia e del Lavoro. Tutto questo vuole essere una risposta affinché ciascuno di noi non sia titolato a dire il contrario dell'altro senza confrontarsi e creare delle sintesi operative su questo versante.
Questo strumento comunitario importante ha individuato in Piemonte le aree a declino industriale nella Provincia di Torino e nell'Alto Novarese.
L'applicazione del regolamento comunitario 2052 e di altri argomenti più ridotti, che stiamo utilizzando sia sul versante produttivo sia sul versante della formazione professionale, mi pare siano cose che debbano essere fatte soprattutto sugli indirizzi che abbiamo cercato di dare l'aree industriali e recupero dei siti industriali degradati, innovazione tecnologica), sapendo che questi non sono certamente sussidi alle osterie come qualcuno ha detto.
Si dovrà migliorare, e certo l'esperienza di questa prima applicazione non potrà che essere utile. Un'ultima brevissima considerazione sulla centralità del ruolo politico che in qualche modo, richiamando quanto diceva Marchini, non è solo la centralità dell'Assessore regionale al lavoro che si arrabatta fra le singole quotidianeità e le vertenze giorno per giorno nelle emergenze sollecitate e cm la necessità di seguire i grandi ragionamenti, ma la centralità della politica che mi auguro non sia solo attivata - senza offesa, anzi con tutta l'importanza del paramedico in questa situazione - da strateghi, come qualcuno ha cercato di indicare.
Una considerazione non la posso non fare per tutto ciò che qui è stato detto - e in particolare dai colleghi Picchioni e Marchini - sul ruolo della formazione professionale. Anche stamattina è stato introdotto l'argomento nella realtà piemontese stiamo passando - ed è giusto che sia così dalla cultura della quantità alla cultura della qualità. E' una seria proposta di qualità totale - non per scimmiottare un termine che va di moda che va intimamente connessa con alcune sfide che, pure in mezzo a tante difficoltà, in quest'anno abbiamo cercato di fare, cercando l'opportunità di unire la delega del lavoro alla delega della formazione professionale.
Abbiamo attivato una serie di sperimentazioni e stiamo andando fuori dalle convenzioni tradizionali; gli amici che seguono più direttamente, pur con tante difficoltà, la formazione professionale sanno che questa è la strada sulla quale ci siamo indirizzati, sanno che la formazione professionale vede annualmente circa mille corsi con ventimila allievi tuttavia questa non è la soluzione, anche perché tradizionalmente cm rivolta alla prima qualifica.
Oggi un terzo della formazione professionale è ribaltata sul secondo livello; stiamo quindi cambiando l'assetto del sistema formativo, cercando di non rivoluzionare ciò che è consolidato, perché creerebbe anche problemi, ma di entrare nella dimensione di una società che cambia, che è cambiata e che cambierà soprattutto nei prossimi tempi.
Sempre più sperimentazione, sempre più flessibilità di fronte ad una situazione che negli anni scorsi abbiamo trovato rigidamente consolidata sulla formazione professionale, specie di fronte a modelli organizzativi culturali, tecnologici e professionali nuovi che questa società in rapida trasformazione pone. Lo facciamo ed utilizziamo strumenti comunitari anche nuovi, utilizzando il Fondo Sociale Europeo e quant'altro sul livello della formazione professionale.
Non posso non condividere una preoccupazione che stamane il collega Tapparo ci ha posto con evidenza riprendendo anche un concetto che avevo espresso nella mia comunicazione. La preoccupazio-ne è che attraverso la mobilità si possono disperdere le professionalità qualificate. Come affrontare questo problema? Si tratta di sollecitare, anche in questo caso il lavoro autonomo di soggetti portatori di professionalità, così come si tratta di attrezzare tutta la normativa esistente, dal fondo straordinario ad altri strumenti di legge che, come ho annunciato stamane, presenteremo nell'aggiornamento con le nuove indicazioni che la legge n. 223 comunque pone.
Il collega Bosio dice che non può essere colpa dei parlamentari che non potevano essere attenti ad una sollecitazione. Ieri le tre organizzazioni sindacali nazionali si sono ritrovate, dopo aver per anni sostenuto la necessità che la legge n. 223 fosse approvata, per porre momenti di modificazione, e non può non essere così di fronte al discorso che abbiamo fatto tutti oggi. Quella logica nasceva in un periodo in cui la situazione del sistema delle imprese vedeva gli investimenti, quindi una ricchezza un'occupazione. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, dal secondo semestre del '90 a tutto il '91 e a questo inizio 92, la situazione è drasticamente cambiata, per cui questa legge che aveva e doveva avere una sua ricaduta positiva, rischia di diventare un boomerang negativo.
Sono queste le strade sulle quali dobbiamo muoverci.
Vorrei smorzare alcune polemiche che velatamente sembrano essere intercorse su questo banco della Giunta e tra i rappresentanti della maggioranza, fermo restando tutte le cose che da sempre dico al Capogruppo repubblicano, al quale certamente non fa torto la chiarezza delle valutazioni e al quale dico che sbaglia quando dice queste cose. E' pur vero, peraltro, che occorre muovere tutti gli interventi strutturali in settori tipicamente di competenza regionale.
E' chiaro che la collega Vetrino non potrà non attivare, nella collegialità della Giunta, tutta l'attenzione al discorso dell'artigianato proprio per quel rapporto che l'artigianato e il sistema delle piccole e medie imprese hanno nel tessuto connettivo della nostra Regione, sapendo che il pubblico e il privato su questo piano hanno degli sbilanciamenti finanziari non indifferenti. Basti pensare al bilancio della FIAT (tanto per fare un riferimento) e al bilancio della Regione (tanto per dare alcune note). Sono però consapevole che i nostri interventi - che qualcuno, magari perché si avvicina una data, continua a definire neutri, inconsistenti e magari clientelari - hanno consentito la realizzazione di attività produttive che hanno anche moltiplicato interventi di ricaduta.
Si pensi a tutta la normativa sulla cooperazione, sulle cooperative di produzione e lavoro che proprio in questi ultimi anni hanno avuto un effetto non indifferente con centinaia di occupati che hanno visto, sul piano dell'imprenditoria giovanile, autonoma, creare nuovi posti di lavoro.
Si pensi alla legge n. 53 "Fondo sullo straordinario per l'occupazione" che, pure in mezzo alla critica che qualcuno anche della maggioranza fa, ha permesso a molte centinaia di fasce debole del mercato del lavoro (cassaintegrati strutturali, disoccupati speciali, soggetti portatori di handicap e giovani a rischio) di inserirsi nel mercato del lavoro. Questa è certamente una risposta che non potrà non avere nuove attenzioni nel rifinanziamento, nei correttivi e nelle proposizioni nuove che, come ho annunciato, entro il prossimo mese saranno alla discussione delle Commissioni e dell'assemblea.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Bianca Vetrino.
VETRINO, Assessore regionale Signor Presidente, in calce a questo lungo dibattito e d'accordo con il Presidente della Giunta regionale e l'Assessore Cerchio, credo di dover fare alcune osservazioni per dovere di completezza e di competenza.
Il dibattito è partito con un titolo specifico che doveva essere riferito agli aspetti occupazionali urgenti. Da più parti si è detto che inevitabilmente il dibattito aveva assunto un'altra connotazione e si inseriva più nell'ambito relativo alla situazione economica e alla politica industriale deI Piemonte che non strettamente riferito ai problemi occupazionali urgenti.
Giustamente si è parlato di piano regionale di sviluppo e del suo aggiornamento. E' dunque a quella sede che noi pensavamo di dovere rinviare questo dibattito più ampio rispetto ai problemi del Piemonte. Credo che ci saranno, nei prossimi giorni o nei prossimi mesi, le condizioni in Consiglio per poter sviluppare finalmente un dibattito attorno al piano regionale di sviluppo. Al di la di tutte le cose che ha detto il collega Cerchio, che sono tutte condivisibili e tutte importanti rispetto alle istanze che ci sono, ai provvedimenti che la Giunta ha in mente per poter calmierare questa crisi congiunturale, non vi è dubbio che l'area metropolitana o il centro agroalimentare di Torino o un adeguamento della struttura universitaria o un elettrodotto o un sistema di formazione professionale attengano a progetti che si inquadrano in un riesame della situazione politica e in provvedimenti per verificare quanto la Regione possa far constare il suo essere, la sua validità di ente programmatore sul territorio.
Le Regioni - è stato detto qui - non hanno questa potenza, questa competenza industriale. L'altro giorno abbiamo chiesto con un provvedimento di avere questa competenza del Ministero dell'Industria. Personalmente condivido molto le osservazioni che ha fatto il Ministro Bodrato rispetto alla presa di posizione di eliminazione del Ministero dell'Industria. Credo che questo debba essere oggetto di dibattito al nostro interno, pero non vi è dubbio che oggi la politica industriale è avocata dal Governo centrale e le nostre competenze sono delle competenze surrogatorie, rosicchiate in questi anni rispetto alla politica industriale. Abbiamo recentemente avuto la legge 317 che, nel bene e nel male, è comunque una legge con un taglio nuovo. Quando dico nel male considero che questa legge, per essere operativa; ha bisogno di 22 decreti ministeriali; quindi mi rendo conto di come sarà difficile distribuire questi 1500 miliardi sul territorio nazionale e anche sul territorio regionale. Questa è però ancora una competenza statale e anche questa legge non concede nulla alla Regione se non il ruolo di passacarte e di passasoldi in questa stessa legge, che pure ripeto - è una legge con un taglio nuovo, un taglio europeo, una legge che ben si colloca come strumento di politica industriale e che va soprattutto a cogliere le esigenze di quel tessuto di piccole e medie imprese delle quali qui si è parlato.
Ciononostante, credo che si possa dire che il governo regionale del Piemonte, pure in un ambito di competenze ridottissime, sta realizzando da qualche anno a questa parte una specifica politica per la promozione e il rilancio dell'innovazione. Credo che per il Piemonte una delle politiche debba essere proprio quella dell'innovazione tecnologica. Innovazione tecnologica che va vista quale fattore strategico della competitività del tessuto industriale, con particolare riferimento alla piccola e media impresa. Fra l'altro, a questo proposito, noi siamo assolutamente coerenti con delle indicazioni che ci provengono dalla Comunità Economica Europea che ha scelto, come campo di interesse specifico del rilancio economico e della comunità, il tessuto della piccola e media impresa.
In questi anni abbiamo privilegiato iniziative essenzialmente volte alla creazione di servizi reali alle imprese. Credo che sia questo il campo nel quale la Regione si può cimentare, ma non solo. Può farlo pure nell'erogazione mirata di crediti agevolati alle imprese (settore dove peraltro opera una legge che possiamo dire abbastanza consolidata, la legge n. 56 per l'innovazione tecnologica, che recentemente è stata estesa al campo della qualità). La nostra politica è soprattutto volta all'individuazione e alla creazione di infrastrutture e di servizi necessari allo sviluppo.
Vorrei annoverare, raccontandole, alcune tra le più importanti iniziative intraprese dal governo regionale, perché ho l'impressione che alcuni dei Consiglieri che hanno preso la parola non abbiano mai letto il piano regionale di sviluppo che, seppure approvatone) corso della legislatura passata. è tuttavia ancora l'unico strumento valido di programmazione, cui noi facciamo riferimento in tutti i nostri atti di programma-zione e ne siamo obbligati evidentemente in quanto è il piano del gennaio 1990. Tutti i progetti che io elencherò sono individuati nel piano regionale di sviluppo e sono in corso. 149 progetti elencati sono ricondotti alle quattro aree di intervento che discendevano dai quattro obiettivi e sono tutti in corso. Certo non è così facile vederli perfezionati nel corso di una legislatura, alcuni di questi probabilmente avranno bisogno anche di altre legislature. Penso a un progetto come SITO che è cominciato nel 1981/ 1982 e ancora oggi non è perfezionato e non sarà perfezionato negli anni a venire, però questo è un progetto che se voi considerate il piano di sviluppo lo ritrovate.
Ma per annoverare le più importanti iniziative intraprese dal governo regionale nel settore più specifico dell'innovazione tecnologica, che è il campo nel quale la Regione ha voluto segnare la sua presenza sullo scenario della politica industriale, vorrei ricordare: la costituzione della società RTP, finalizzata allo sviluppo dei servizi telematici ad alto valore aggiunto: la costituzione di un consorzio per il supercalcolo che ha consentito di mettere a disposizione del sistema, della ricerca piemontese pubblica e delle imprese un servizio di grande capacità di calcolo, grazie anche al concorso finanziario del Ministero e dell'Università della Ricerca Scientifica.
Ricordo, inoltre, la costituzione della società BIC (Business Innovation Centre) per fornire consulenza, servizi e supporto finanziario per la nascita di nuove imprenditorialità e la crescita delle piccole imprese; la creazione del primo parco tecnologico piemontese sul lago Maggiore che si sta perfezionando proprio in questi giorni; l'istituzione di un'Agenzia per l'innovazione: per la promozione, lo sviluppo ed il coordinamento delle iniziative finalizzate allo sviluppo dell'innovazione tecnologica.
Qualcuno questa mattina ha chiesto giustamente notizie di questa Agenzia. Posso dire - è una notizia che mi ha passato il Presidente questa mattina, perché risale ad una decisione presa ieri - che non soltanto la Fiat ed altre società hanno aderito a questa Agenzia, ma che anche il Comitato Esecutivo dell'Istituto Bancario San Paolo ieri ha deliberato la sua adesione. Quindi, come ha detto il Presidente in occasione della presentazione del disegno di legge, quando avremo un numero di soci, di partner sufficientemente adeguati a costituire l'Agenzia, la costituiremo.
Fin quando non avremo l'Agenzia, non avremo la possibilità di far partire l'innovazione. Tuttavia, questo è uno strumento previsto che nei prossimi mesi potrà cominciare a dare i propri frutti.
A ciò si aggiunga - è ancora a livello progettuale, ma fin quando non si progetta non si possono evidentemente avere i programmi - la creazione della società Tecnorete, di cui la stampa ha recentemente dato notizia che, appoggiandosi al sistema universitario e di ricerca scientifica regionale, porterà alla creazione di una rete regionale di parchi tecnologici, il cui elemento qualificante sarà costituito dal parco tecnologico di Torino - l'Euro Torino - che sorgerà su un'area di un milione di metri quadrati.
Se questo è il panorama delle iniziative attivate e dei progetti del Governo regionale, va tuttavia detto che, a prescindere dagli interventi di matrice pubblica, il Piemonte - lo hanno detto anche l'Assessore Cerchio e i Consiglieri che sono intervenuti - costituisce già di per sé un substrato importante rispetto ai progetti di innovazione. Certo, bisogna continuare a creare quelle premesse perché questo avvenga e ritengo che i progetti elencati possano effettivamente rispondere a quest'esigenza.
Qualcuno ha parlato anche della banca appalti. Ricordo benissimo il dibattito, che accompagnò questo progetto che, tra l'altro, nasceva in un momento molto particolare. Era il 1983 ed era un'esigenza, quella, se mi consente Consigliere Chiezzi, di tipo morale. Oggi è diventata un'esigenza non solo di tipo morale, ma di tipo economico profondo, perché credo alle cose che lei ha detto.
A questo riguardo c'è un progetto straordinario che si chiama "Informatica. Piemonte", che comprende non soltanto la banca appalti, ma anche un'altra serie di p E' un progetto di 50 miliardi rispetto al quale abbiamo chiesto un finanziamento al Ministero del Bilancio e stiamo aspettando una risposta da parte del Ministro Pomicino, il quale ci ha assicurato che il nostro progetto verrà tenuto in particolare priorità E' evidente che tutto questo riconduce all'esigenza di un progetto globale ed organico più grande di intervenuti.
Tutti si sono cimentati giustamente, anche con molta capacità e cultura, ad individuare le cause della crisi e le possibili terapie. La stessa stampa, per alcuni giorni, ci ha sottoposto le osservazioni molto puntuali ed importanti di coloro che detengono a livello culturale la "leadership" della Regione.
Rispetto a queste osservazioni, devo dire che c'è stata molta fantasia nella diagnosi o nella denuncia, ma certo assai meno nella terapia. In questo scenario molto difficile cercheremo quindi di collocare (Presidente questo è il nostro quotidiano interesse) una svolta ed un rilancio del Piemonte.
Credo che il progetto globale ed organico di interventi mirati su cui collocare l'aggiornamento del piano di sviluppo, ma, se mi consentite anche il bilancio di previsione del 1992, sarà la sfida che questa maggioranza si è data. Non dimentichiamo che la maggioranza ha votato il bilancio de 1992 con a monte un documento delle forze politiche che riconduceva Il voto del bilancio ad una verifica nel corso dell'anno, per considerare insieme quali potessero essere per la Regione Piemonte i progetti di intervento prioritario nei settori che saranno individuati e che sono quelli che in parte i Consiglieri hanno voluto individuare.
E' a questo appuntamento che la Giunta si sta preparando in questi mesi, predisponendo un progetto rispetto al quale l'aggiornamento del piano di sviluppo ed il dibattito che faremo nei prossimi mesi potrebbe essere essenziale ed importante, perché la Giunta non ha la ricetta intasca per tutte le soluzioni, ma conta molto sul dibattito consiliare.
Proprio perla competenza che ho nell'ambito di questa Giunta, spero che l'aggiornamento sul piano di sviluppo - lo dico anche al Presidente del Consiglio -, possa avvenire in tempi brevi, tenendo conto che il documento della Giunta è all'attenzione del Consiglio da parecchi mesi e che in quella situazione si determinano le condizioni per individuare, se possibile, qualche terapia per risolvere la crisi congiunturale e strutturale del Piemonte.



PRESIDENTE

Considero concluso il dibattito su questo punto. Ho ascoltato i vari interventi e, per quanto riguarda l'aggiornamento sul piano di sviluppo credo che la Conferenza dei Capigruppo, insieme al Presidente della Giunta ed agli Assessori interessati, dovrà fare il punto della situazione per procedere ad un momento importante ed approfondito in aula su quella che rappresenta una delle questioni centrali della progettualità della Giunta regionale.


Argomento: Università - Diritto allo studio - Assistenza scolastica

Esame progetto di legge n. 59: "Diritto allo studio universitario"


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del progetto di legge n. 59 sul diritto allo studio universitario, di cui al punto 8) all'o.d.g.
La parola al relatore, Consigliere Leo.
LEO, relatore Mi pare che già questa serie di richieste di intervento sottolinei il fatto che si tratta di una legge importante. Il Presidente del Consiglio il Presidente della Giunta, l'Assessore Fulcheri e i colleghi sanno molto bene che il decreto legge che l'assemblea si avvia a discutere è il risultato di un concorso di volontà che ha visto impegnato l'esecutivo nella formulazione della proposta. A questo proposito, desidero ringraziare l'Assessore Fulcheri per aver portato il più presto possibile nella nostra Commissione questo provvedimento e per averlo sostenuto in ogni modo; anche se non è consueto, vorrei ringraziare la Dott.ssa Felice, la quale ha svolto un lavoro egregio di attenzione, di intelligenza, di partecipazione e prego l'Assessore di trasmetterle questi complimenti.
Abbiamo visto l'Università, nelle sue varie componenti, impegnata nella richiesta forte di un'inversione di rotta nella gestione della materia abbiamo visto i colleghi della IV Commissione impegnati per rendere la normativa il più possibile aderente ai bisogni dell'utenza. Spero che gli interventi non smentiscano quello che dico, ma finora - faccio testo rispetto a quello che è avvenuto in Commissione - hanno lavorato tutti, in particolare i colleghi della minoranza, cercando di migliorare al massimo le proposte arrivate in Commissione e svolgendo un lavoro eccellente; non lo dico in quest'aula, lo dico dappertutto. Tutto ciò è stato probabilmente il senso di una presenza e .di un'attenzione particolare verso questa legge, della cui importanza e necessità ci siamo resi conto.
La precedente legge regionale era nata con l'obiettivo di sostituire nella gestione delle opere universitarie, il Comune di Torino che, in Piemonte, era, all'epoca, runica città con sede di corsi universitari.
Le difficoltà connesse con questo tipo di scelta sono sotto gli occhi di tutti e non è questa la sede per individuare "responsabilità", anche perché, ad un'analisi attenta, non esistono "responso bici" nel senso "tecnico" del termine.
In questi 11 anni sono cambiate molte cose sia dal punto di vista normativo che da quello più squisitamente organizzativo dell'Università in Piemonte. Il nuovo scenario dei corsi universitari presenta oggi una realtà articolata e complessa e risulta impensabile che se ne possa continuare la gestione dei servizi con i vincoli, le normative e le procedure che sono richiesti ad un'amministrazione qual è quella del Comune di Torino.
Parallelamente all'esame della proposta in Commissione, si è venuta sviluppando la legge quadro statale sul DSU che è poi diventata la legge 2 dicembre 1991 n. 390, che all'ari. 25 fa obbligo alle Regioni di dotarsi entro due anni dall'entrata in vigore, di appositi organismi di gestione in questo senso la Regione Piemonte impiega un mese, non due anni nell'appro-vare la legge conforme e quindi è la prima Regione a provvedere in merito.
Ma se questa è stata una pura coincidenza temporale, le motivazioni di fondo, che hanno sotteso alla stesura della normativa, sono date dell'evoluzione che prima veniva ricordata della realtà universitaria piemontese.
L'approvazione del piano quadriennale e la proposta di quello triennale, con le conseguenti gemmazioni che hanno dato luogo all'ateneo tripolare ed ai corsi del Piemonte sud occidentale, le scuole dirette a fini speciali (già attivate e funzionanti in altri centri della Regione) l'imminente entrata in funzione dei corsi di primo livello, in applicazione della legge 341/90, e la prossima definizione della proposta di piano triennale hanno contribuito in maniera determinante a prevedere l'istituzione di un organismo di gestione dei servizi per il diritto allo studio universitario.
L'immediatezza della decisione di un organismo "ad hoc"è sicuramente la risposta che serve ad un'utenza così particolarmente sensibile, attenta e partecipe quale quella universitaria.
Di recente, nel corso della comunicazione sulla situazione universitaria esposta dall'Assessore Fulcheri e nel dibattito dell'aula abbiamo sentito più volte che la Regione, sia come istituzione che come società, ha un forte bisogno dell'Università, ma è dimostrato, e ci è stato confermato nell'audizione con i Rettori degli atenei piemontesi - che hanno definito questa legge la migliore possibile oggi realizzabile - che anche l'Università ha altrettanto bisogno della Regione, come livello istituzionale capace, di sollecitazione e di visione generale.
Soprattutto ha bisogno della Regione quella parte del mondo universitario che, per dirlo con uno slogan, è "l'anello debole del sistema", e cioè gli studenti con scarsi mezzi a disposizione.
Il ruolo politico della Regione nell'appronta-mento dei servizi è determinante e, in molti casi, può voler dire la possibilità di conseguire la laurea da parte di studenti "capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi", secondo la dizione usata nella Costituzione. Questo è il ruolo che la Regione intende esercitare e il DDL. che l'assemblea si accinge a discutere, vuole esserne lo strumento. Passando all'esame analitico dei diversi articoli: a) Titolo I Principi generali (art. 1 - 4).
Il DSU è l'oggetto della legge (art. 1). L'ari. 2 illustra le finalità della legge che sono quelle di favorire l'accesso agli studi universitari facilitare la frequenza degli studenti ai corsi di livello universitario e post-universitario e consentire la prosecuzione degli studi agli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi. L'art. 3 individua i destinatari della legge. L'art. 4 prevede l'istituzione sul territorio della Regione di un Ente regionale per il DSU dotato di autonomia funzionale; organizzativa e di personalità giuridica di diritto pubblico.
Questo argomento è stato un po' oggetto del contendere in Commissione.
Pur non considerando meno interessanti altre proposte, noi riteniamo che al momento questa sia la proposta con prospettive future e sicure possibilità l'abbiamo detto in Commissione - mi riferisco in particolare al collega Rossa - e abbiamo allegato anche un ordine del giorno. A noi sembra che questa sia la soluzione più attuale.
b) Titolo II Servizi del DSU (art. 5 - 14).
I servizi del DSU sono: assegno di studio (art. 6), borse di studio (art. 7), interventi di supporto economico per attività a tempo parziale (art. 8), servizio di ristorazione (art 9), servizi abitativi (art. 10) servizio editoriale e librario (art. 11), servizio di assistenza sanitaria (art. 12), prestiti d'onore (art 13), interventi a favore degli studenti portatori di handicap.
Una certa attenzione è rivolta agli interventi di supporto economico per attività a tempo parziale: diversi colleghi, in particolare il collega Tapparo, avevano sollecitato questa attenzione.
Il servizio di ristorazione non è più solo il servizio di mensa - mense che vogliamo controllate dagli studenti con una capacità di verifica e di controllo per una qualità di cibo davvero decorosa - ma nel contempo deve prevede anche forme alternative (paninoteche, convenzioni, rapporti con cooperative, eco.).
Servizi abitativi: anche qui si evidenzia l'importanza di costruire nuovi collegi universitari con la possibilità di convenzioni, di rapporti di un'articolazione di risposte ai bisogni.
Per quanto riguarda il servizio di assistenza sanitaria; se non erro ho visto alcuni emendamenti in materia proposti dai Consiglieri Maggiorotti e Chiezzi.
Prestiti d'onore: sono una novità interessante, sulla quale l'Assessorato all'istruzione ha già promosso preventivamente un convegno di riflessione e sul quale dovremo lavorare.
c) Titolo III Utilizzazione dei servizi (art. 15 - 18). I servizi vengono assegnati in base ai combinati criteri del merito e della continuità scolastica con privilegio nel riguardi dei soggetti in disagiate condizioni economiche; previa presentazione di un'autocertificazione attestante le proprie condizioni economiche e quelle del nucleo familiare di appartenenza (art 15 - 16). Sono previste sanzioni (art. 17) per chi presenti dichiarazioni non veritiere.
d) Titolo N Composizione e compiti degli organi dell'Ente (art. 19 27).
Questa è una questione davvero di grande importanza. Il Consiglio d'amministrazione è nominato dalla Giunta regionale ed è composto da 6 rappresentanti dell'Università, di cui 3 eletti dalla componente studentesca, e da 6 rappresentanti della Regione, di cui uno con funzioni di Presidente (art 20).
Questo è molto importante per due ragioni: principalmente perché dà al mondo universitario un riconoscimento che era escluso dalla precedente di sposizione; in secondo luogo perché - colleghi di vari partiti, in particolare dei Gruppo repubblicano, hanno sollecitato questo - dà importanza alla presenza della Regione, una presenza che sicuramente (ne abbiamo parlato a lungo nel nostro Gruppo) avrà l'impegno di nominare persone altamente qualificate in questo Ente, con l'attenzione che siano persone qualificate e legate al mondo universitario.
E altresì un Consiglio di amministrazione abbastanza agile, non troppo numeroso. Questo, poiché eravamo preoccupati - e i colleghi Foco, Bortolin e altri l'avevano fatto presente - che un consiglio troppo numeroso potesse essere pletorico, raccoglie le nostre esigenze.
Le competenze del Consiglio d'amministrazione sono elencate dall'art.
21 ed ti successivo art 22 ne stabilisce il funzionamento. In caso di carenza di funzionamento o di gravi e ripetute violazioni di disposizioni normative, di prescrizioni programmatiche da parte del Consiglio d'amministrazione è prevista la nomina di un Commissario ad acta e, se dopo 3 mesi permangono le condizioni che ne hanno determinato la nomina, è previsto lo scioglimento dello stesso Consiglio d'amministrazione (art.
23). L'art. 24 individua i compiti del Presidente, la composizione ed i compiti del Collegio dei Revisori dei Conti sono regolamentati dall'art.
25. L'art. 27 infine prevede la nomi-na e le funzioni del Direttore dell'Ente. Questo è un ruolo particolarmente delicato, sul quale abbiano ragionato in Commissione per quanto riguarda l'im-portanza, le funzioni, le possibilità di retribuzione, ecc, e) Titolo V Interventi della Regione (art. 28 - 31).
Il Consiglio regionale approva ogni anno entro il mese di aprile il programma degli interventi per il DSU e la Giunta regionale presenta al Consiglio ogni anno una relazione dalla quale risulti la verifica dei risultati conseguiti nell'attuazione del programma dell'anno precedente, le proposte per i necessari aggiustamenti, ecc. (art. 28). Le attribuzioni della Giunta regionale sono elencate all'art, 29. La Giunta regionale controlla fattività dell'Ente (art. 30) ed esercita la vigilanza sull'amministrazione dello stesso (art. 31), f) Titolo VI Mezzi attuativi (art. 32 - 37).
In questo titolo sono contenutigli articoli che disciplinano le entrate dell'Ente (art. 32), le tasse (art. 33), i finanziamenti (art. 34), il bilancio e le norme contabili (art. 35), i beni (art. 36) ed infine lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale dipendente dell'Ente (art. 37).
In particolare, la questione della disciplina delle entrate dell'Ente è molto importante e oserei dire determinante, altrimenti rischieremmo di fare una buona legge, ma svuotata di possibilità operative.
Per quanto riguarda lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale dipendente dell'Ente, abbiamo prestato attenzione alla possibilità di recuperare il personale più motivato e qualificato per questo lavoro.
g) Titolo VII Norme finali (art. 38 - 41).
Art. 38: dotazione di personale. L'ari. 39 prevede interventi di edilizia abitativa; coree sappiamo, questa è una questione delicatissima e importantissima. Purtroppo il Piemonte, per una serie di ritardi. è una delle ultime Regioni in quanto a possibilità di edilizia abitativa; noi pensiamo che si debba fare un grande sforzo. In tal senso, abbiamo interloquito con la Giunta regionale, anche perché non dimentichiamo le vicende del passato, per esempio l'annosa vicenda di Villa Guatino, di cui non si chiede tout court una restituzione, ma quanto meno una compensazione in termini di strutture abitative a vantaggio di studenti universitari il nostro lavoro, quindi, non si conclude con questa legge, ma prevede un rapporto proficuo con la Giunta per dare a tutto questo il massimo di attuazione. L'art. 40 prevede lo scioglimento dell'Opera Universitaria dell'ISEF, quindi anche l'ISEF - sono qui presenti alcuni rappresentanti rientrerà nell'unica famiglia del diritto allo studio universitario: L'art.
41 abroga la legge regionale 17/12/ 1980, n. 84.
Voglio fare una considerazione finale "politica" (fra virgolette).
Questa none una legge qualsiasi e non ha avuto un'attenzione qualsiasi.
Voglio ricordare con gratitudine che, quando è sembrato vi fosse qualche "empasse", vi è anche stato un vertice della maggioranza, al quale Capigruppo autorevoli, il Consigliere Macchini; il Consigliere Ferrara, il Consigliere Goglio, il collega Rossa che ho citato prima, e in particolare non lo dico per orgoglio di partito - il mio Capogruppo, on. Picchioni hanno prestato tutta l'attenzione necessaria perché questa problematica avesse attuazione immediata, avesse attenzione da parte della Giunta e del Consiglio.
Il fatto stesso che oggi vi siano tante richieste di intervento e vi sia questa partecipazione, dimostra che la Regione è consapevole del compito a cui si accinge, e questa consapevolezza sicuramente dovrà proseguire anche nel momento delicatissimo dell'attuazione e della messa in pratica.
Infine, anche se mi rendo conto che può suonare un po' retorico e autoretorico, voglio ringraziare quegli studenti che nell'80 erano qui a manifestare (non ci sono più gli stessi ovviamente, ma hanno memoria storica); che già allora chiedevano queste cose. In quegli anni abbiamo lavorato e abbiamo proseguito successivamente anche con l'Assessore Nerviani, al quale devo dare atto di aver avviato proficuamente già allora questo lavoro che oggi va a temine. Per coerenza, devo aggiungere che io stesso e l'Assessore Angeleri (il quale ha svolto un egregio lavoro al Comune di Torino), pur avendo la delega non abbiamo combattuto per mantenerla, ma abbiamo ragionato nell'ottica di un servizio migliore.
Infine, ultimi ma davvero primi in questo, ringrazio gli studenti che in questi anni hanno continuato positivamente a lavorare, a costruire cooperative, a impegnarsi, a manifestare, a sostenere una legge che andasse incontro ai loro desideri ma soprattutto alle loro esigenze.
Credo che per un'assemblea elettiva - oggi ancora più attenta del solito al dibattito e io ne sono particolarmente felice - che voglia essere lo specchio, che voglia interpretare i bisogni, i sentimenti, i desideri positivi e reali della gente, l'attenzione degli studenti sia una cosa lusinghiera e non da poco.
Grazie, signor Presidente, grazie a tutti.



(Applausi dal pubblico)



PRESIDENTE

Faccio presente che questo lungo applauso ci gratifica, ma invito il pubblico ad astenersi prossimamente dall'esprimere il proprio pensiero.
Ha chiesto la parola il Consigliere Foco. Ne ha facoltà.
FOCO A me pare non senza significato e importanza il fatto che nell'arco di un brevissimo tempo questo Consiglio regionale abbia dedicato la sua attenzione e il suo impegno per discutere i problemi dell'Università. Nel primo caso, cercando di affrontare i problemi dell'Università in Piemonte nella sua complessità; nel caso specifico di oggi, cercando di affrontare in partico-lare il problema del diritto allo studio universitario.
Non vorrei nel mio intervento fare confusione tra i due momenti, nel senso che l'altra volta, mentre discutevamo dei problemi complessivi abbiamo rischiato di prestare maggiore attenzione al problema del diritto allo studio; non vorrei quindi che questa volta, parlando del diritto allo studio, rivolgessimo la nostra attenzione solo ed esclusivamente ai problemi complessivi.
In questa sede ritengo però necessario ribadire e risottolineare la richiesta - e quindi l'impegno che come Gruppo del PDS avevamo assunto in sede di IV Commissione - di procedere non solo alla votazione della legge sul diritto allo studio, ma anche, alla fine di questo dibattito, di quel benedetto ordine del giorno sul problema dell'Università in Piemonte.
Effettivamente, i due problemi sono molto interconnessi tra di loro; quindi chiederei alla Presidenza l'impegno che, alla fine di questo dibattito, si voti anche l'altro documento perché rappresenta il completamento del discorso precedente e il riconoscimento del lavoro fatto in IV Commissione.
Concordo sul fatto che ci troviamo di fronte ad un provvedimento estremamente importante: non tanto per il fatto che in Commissione abbiamo lavorato mesi attorno a questo testo sapendo che avevamo ereditato già un ampio lavoro fatto precedentemente nella IV Legislatura. L'intervento che noi abbiamo ritenuto di dover fare come Gruppo del PDS, proprio per sottolineare la rilevanza di questo provvedimento, riguarda il fatto che non ci accontentiamo di un lavoro di emendamenti o di un lavoro di cesello per migliorare la proposta di legge da parte della Giunta, ma abbiamo ritenuto di dover presentare - anche se abbiamo ritardato l'avvio dei lavori in Commissione - una nostra precisa proposta di legge, che non aveva solo una differenza di concezione (sulla quale noi continuiamo ad esserne profondamente convinti anche se la legge quadro nazionale non è andata su quella falsa riga) ma per il ruolo e la funzione del decentramento amministrativo, per quanto riguarda il discorso al diritto allo studio.
Infatti, il senso della nostra proposta era di creare un'azienda speciale che trovasse nell'ente locale un referente, indipendentemente da una situazione gestionale precedente sulla quale anche noi esprimiamo un giudizio negativo. Non sette, otto Assessorati non coordinati tra di loro che lavorano su un unico problema, ma una azienda speciale che lavora su questo problema e quindi riesce ad essere un , interlocutore credibile. In questo modo gli studenti possono trovare, nella loro sede universitaria, un interlocutore, non solo per un aspetto di rivendicazione, con cui è possibile affrontare i loro problemi avendo più risorse spendibili, nella realtà locale, per il diritto allo studio universitario. Così non è stato alla fine di questo provvedimento e noi "obtor to collo", abbiamo accettato il ragionamento, sapendo pero che non si prefigura un unico ente regionale come se l'unica Università a Torino sia un dato istituzionale nei secoli dei secoli presente -, ma che anche un'idea diversa sulla legge prevede la possibilità di una creazione di altri enti laddove sorgano altre Università. Questo è già un elemento che avvicina di più. Quindi non una volontà ostruzionistica o di volere rallentare il procedimento legislativo di questa legge, ma la volontà di voler partecipare a questo importante processo legislativo. Se siamo fortunati anche questa legge durerà circa undici anni. Siamo quindi consapevoli che è bene che tutte le forze politiche, in modo particolare in Commissione ed anche in quest'aula, si esprimano, possano esprimersi, confrontarsi ed arrivare così ad una conclusione comune.
Mi fa molto piacere aver visto nella proposta della legge il discorso "Testo unificato dei progetti di n 59 e n. 157". Chi avesse la pazienza - e non voglio fare un richiamo a fini filologici della lingua vedrà che la proposta di legge n. 59 è entrata in Commissione in un modo e ne è uscita mota ed arricchita, soprattutto sull'aspetto del decentramento e su alcuni nodi fondamentali.
Il discorso del part-time era presente nella nostra proposta di legge e non era presente nella n.59: sappiamo che questo è un nodo estremamente importante richiesto dal mondo studentesco, anche perché sta a significare che è necessario un profondo legame tra l'Università, quindi il mondo dello studio e della ricerca; e il mondo del lavoro e dello sviluppo.
Non vorrei collegarmi al discorso precedente, ma anche l'altra volta quando abbiamo parlato di Università e di formazione professionale, eravamo in coda ad un discorso sullo sviluppo economico della nostra regione quindi il problema del lavoro è un problema molto presente nel discorso degli studi universitari e nel discorso della ricerca. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il problema degli studenti stranieri: il testo, che è alla nostra attenzione, accoglie la nostra precedente proposta di legge e ne arricchisce e permette piena cittadinanza a tutti gli studenti, senza differenza di provenienza da regioni italiane o da altri paesi non solo comunitari, ma anche extracomunitari. Ritengo che, per un mondo che vuole guardare avanti, i confini delle nostre regioni o della nostra patria siano molto limitativi e vincolanti.
Un altro elemento estremamente importante riguarda l'aspetto sanitario.
Alcuni nodi importan-ti sono stati affrontati e risolti; sicuramente è sempre possibile migliorare qualche cosa, avendo però di fronte a noi un testo di legge che segna un elemento importante.
Più che parlare di diritto allo studio direi che si debba parlare di diritto allo studiar bene, del dare a tutti gli studenti la possibilità di studiare bene nella loro Università. Diventa così estremamente importante il collegamento di un testo legislativo con le risorse messe a disposizione. Non voglio dilungarmi troppo, sapendo che la collega Bortolin approfondirà in modo specifico questo aspetto, però permettetemi di richiamarlo, altrimenti ogni volta in quest'aula continuiamo a sfornare progetti di legge che rischiano di essere velleitari, di creare aspettative e speranze e poi, quando ci troviamo a parlare del vil denaro, non siamo in grado di reggere quest'aspetto di progettualità complessiva.
Voglio collegare strettamente questi due problemi, perché la volontà politica di voler risolvere un problema la si scopre anche nella capacità di saper fare le scelte prioritarie e trovare i fondi necessari per poter fare quegli interventi. L'emendamento da noi sollecitato in Commissione chiede un congruo innalzamento dell'attuale quota dei 15 miliardi.
L'abbiamo criticato tutte le volte che avevamo davanti la deliberazione per approvare, in base alla vecchia legge, le borse di studio, in quanto sostenevamo che erano risorse lesinate.
Abbiamo l'occasione ora di esprimere anche politicamente questa volontà, anche perché a questo è legato un altro punto richiamato con forza nell'ordine del giorno: il ruolo e la funzione che la Regione, e in modo particolare l'esecutivo (ma noi diciamo anche il Consiglio) vuole giocare sul tema e sul problema dell'Università.
Dobbiamo avere la capacità complessiva. Assessore, di non accettare supinamente e passivamente le scelte degli altri; dobbiamo essere capaci di essere un interlocutore credibile nei confronti del mondo universitario nel suo complesso, sia esso il mondo accademico della ricerca o quello studentesco. Essere credibili significa avere una capacità progettuale complessiva, significa leggere la realtà regionale con una visione n campanilistica, né torinocentrica, ma nell'ottica di uno sviluppo complessivo, guardando all'appuntamento europeo, ma anche al di là dei nostri confini europei.
Per essere credibili su questo terreno, per essere degli interlocutori che hanno peso, bisogna anche avere il coraggio e la forza di stanziare risorse per poter realizzare le cose che si dicono. Quindi, si tratta di un discorso di progettualità che, come in altre occasioni abbiamo sostenuto manca complessivamente a questa amministrazione e a questo esecutivo, e lo vediamo confermato nel momento in cui le risorse da destinare al diritto allo studio sono risorse purtroppo uguali alla situazione precedente e che quindi non possiamo accettare.
Mi rendo conto di aver ampiamente superato il tempo a mia disposizione per questo intervento; vi ringrazio per l'attenzione.



PORCELLANA FRANCESCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rabellino.
RABELLINO Colgo l'occasione per presentare anche alcuni emendamenti che il nostro Gruppo propone su questo progetto di legge.
Diciamo subito che siamo favorevolissimi al disegno di legge, anche se dobbiamo riscontrare alcune anomalie, tant'è vero che questi emendamenti tendono a risolvere e a riportare questo progetto di legge in una logica che dovrebbe essere della Giunta, non tanto delle opposizioni, visto che è la Giunta che governa la Regione Piemonte. Nello stilare il progetto di legge, in alcuni punti, si è dimenticato il fatto che è la Regione Piemonte che lo presenta.
Riteniamo importantissimo e giusto che non vi siano discriminazioni e differenze fra gli studenti, da qualunque parte essi provengano, ma nel momento in cui la Regione Piemonte eroga dei contributi, proprio perché si tratta della Regione Piemonte, questi contributi dovrebbero essere prioritariamente destinati agli studenti residenti nella Regione. Piemonte.
Qui veniamo subito agli emendamenti, anche perché sono questi i quattro punti che ci lasciano perplessi; per il resto siamo d'accordo.
Parliamo dell'art. 6, cioè parliamo di "Assegni di studio e borse di studio".
FULCHERI, Assessore regionale Non ci saranno più gli assegni di studio.
RABELLINO Resta comunque il fatto che gli assegni di studio e le borse di studio vengono assegnate in base alle dichiarazioni dei redditi che le famiglie devono presen-tare. La nostra domanda è questa: per la maggiore parte o la totalità degli studenti extracomunitari, quali saranno le dichiarazioni dei redditi presentate? Innanzitutto mi chiedo se esistano delle dichiarazioni dei redditi nei Paesi extracomunitari Già questo ci fa capire che molto facilmente la quasi totalità delle borse di studio sarà assegnata a cittadini provenienti da zone fuori dalla Regione Piemonte.
Riteniamo che sia una disfunzione, perché è la Regione Piemonte che eroga questi contributi; se fosse lo Stato Italiano ad erogarli, potremmo essere d'accordo, ma qui siamo alla Regione Piemonte. Sosteniamo difatti che gli assegni e le borse di studio debbano essere riservate per il 70% a studenti residenti nella Regione Piemonte. In questo modo risolveremmo un primo aspetto.
Passiamo poi all'art.10, che prevede contributi per il servizio abitativo. Anche in questo caso i contributi sono assegnati a qualsiasi studente, previa presentazione della dichiarazione dei redditi, e ritorniamo nuovamente al discorso accennato prima. Chi saranno gli assegnatari di questi servizi abitativi? Da come si mettono le cose suppongo che per il 90% saranno assegnati a cittadini che arriveranno dal di fuori della Regione Piemonte. Prendiamo atto che chi arriva dal di fuori della Regione Piemonte ha maggiori difficoltà, pero permettetemi che almeno per quel 10%: che si presuppone sia della Regione Piemonte, sia previsto un abbattimento della retta del 50%, per cui proponiamo che la retta dei cittadini residenti nella Regione Piemonte sia ridotta del 50%.
Art. 13: prestiti d'onore. Il fatto che il prestito d'onore venga concesso a chiunque mi pare un po' eccessivo. Qui siamo tassativi: questi prestiti devono essere assegnati esclusivamente agli studenti residenti nella Regione Piemonte, perché sicuramente ci sono anche altre difficoltà per il recupero di questi prestiti. Senza una regolamentazione in questo senso, immagino sarà veramente difficile un recupero di questi crediti. Ed ecco il terzo punto (il Consigliere Bodrero presenterà più in dettaglio il quarto punto). Quando parliamo di servizio editoriale librario, forse la Regione Piemonte si è dimenticata di avere una legge regionale che promuoveva e tutelava le culture minoritarie. Molto probabilmente se n è dimenticata, perché qui non viene citato assolutamente nulla in tal senso.
Con questo emendamento invitiamo quindi la Regione Piemonte a soffermarsi ulteriormente sulla tutela della cultura locale, regionale; ecc. Per cui presenteremo questo emendamento al momento opportuno.
Per il resto noi siamo favorevolissimi. Questa è una legge che era sicuramente necessaria ed era sentita da parte della classe studentesca in Piemonte, soprattutto dalla future generazioni che si avvicineranno all'Università. Chiediamo che l'Assessore si esprima su queste nostre proposte e gli chiediamo di fare attenzione a come e a chi vengono erogati questi fondi. Non stiamo parlando di noccioline,ma di alcune decine di miliardi: Penso che la Regione Piemonte, prima di erogare alcune decine di miliardi in modo avventato - perché è così che si può definire - dovrebbe rifletterci un animino.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.
CHIEZZI Signor Presidente, colleghe e colleghi, la relazione del collega Leo è stata conclusa da un appassionato applauso di numerosissimi giovani, che si sono però dileguati pochi minuti dopo il termine dell'intervento del collega Leo. Erano qui da molto tempo. Hanno applaudito con calore. Vedere dei giovani partecipare all'attività politica e consentire con una proposta politica cm tanto entusiasmo crea da un lato un piacere insperato dall'altro qualche perplessità.
Mi sono chiesto: "Saranno i rappresentanti di tutte le componenti politiche e sociali dell'Università che applaudono a questo disegno di legge, sul quale ho qualche perplessità?". E mi ripromettevo, fossero rimasti presenti, di esporre, a questi giovani così entusiasti e sicuri di sé, un punto di vista un po' diverso rispetto a quello probabilmente da loro condiviso. Lo avrei fatto tanto più volentieri se avessi potuto rivolgermi a giovani non tutti amici di Leo, come pensavo fossero, a giovani di diversa provenienza - adesso ho invece la sensazione che forse erano tutti amici di Leo, ma - mi rivolgo lo stesso a loro anche se non ci sono (ha tanti amici, Leo). In ogni caso, fossero tutti amici di Leo o fossero solo in parte amici di Leo e fossero presenti, direi loro di nutrire qualche perplessità o comunque di tenere viva nella loro mente molta attenzione alla legge che stiamo approvando, perché non sono così sicuro, come loro, che questa legge sia risolutrice dei problemi del diritto allo studio.
Cercherò, in pochissimi minuti, di dire alcune cose a questo proposito.
Questa legge attua una legge quadro nazionale che in tre articoli (3 7, 25) assegna alle Regioni il compito di erogazione di interventi per il diritto allo studio, assegna alle Regioni il compito di legiferare in questa materia e poi, nell'art. 25, indica anche una strada per le Regioni quella della costituzione per ogni Università di un apposito organismo di gestione. Bene, è una scelta della legge nazionale affidare a un unico ente il diritto allo studio, ma non ritengo, cari giovani che non siete più presenti, che sia l'unica scelta che sarebbe stata possibile per erogare in modo efficiente ed efficace il diritto allo studio e la considero neppure la più democratica.
I Comuni, che sono erogatori di servizi sotto un costante controllo democratico, vengono, da questa legge nazionale cui si accoda acriticamente l'intervento legislativo regionale, nuovamente esautorati dall'erogazione di un servizio che ritengo connaturato e coerente con il modo di essere di un'istituzione. Si dirà che vengono esautorati perché i Comuni hanno dato cattiva prova di sé nell'erogazione dei servizi di diritto allo studio e su questo non ci sono dubbi che sia una affermazione vera e condivisibile. Non hanno funzionato perché al Comuni sono state assegnate competenze in materia di diritto allo studio che sono state suddivise in vari Assessorati. Non hanno funzionato perché i vari Assessorati dei Comuni sono stati gestiti dai responsabili politici, gli Assessori, ma forse non solo da loro, a comparti stagni, a volte in concorrenza l'uno con l'altro, a volte addirittura in antagonismo l'uno con l'altro. Un fatto di malgoverno un fatto di responsabilità precisa ed individuabile.non un fatto intrinseco all'incapacità del Comune, in quanto istituzione, di erogare quel servizio.
Una legge statale avrebbe potuto scegliere un'altra strada: quella di non escludere pregiudizialmente - aggiungerei forse ideologicamente - i Comuni come soggetti capaci di erogare il diritto allo studio. E ben strano che Comuni come Vercelli, Alessandria, Novara, dopo aver versato miliardi per avere l'Università, vengano ritenuti incapaci di gestire il diritto allo studio, di organizzare le mense, di erogare le borse di studio.
Avrei quindi proposto ai giovani - magari il collega Leo può riferire loro gentilmente - .
LEO ...Posso dire una cosa? Sono programmate da tutto il movimento studentesco assemblee nelle Università. Nelle consultazioni noi abbiamo sentito tutti gli studenti.



PRESIDENTE

CHIEZZI



PRESIDENTE

Benissimo. Certo, in queste assemblee vorrei dire che un'alternativa di fondo era possibile ed era quella di attuare un decentramento istituzionale e di individuare nei Comuni sedi di attività universitarie le strutture centralizzate di responsabilità politica e amministrativa nell'erogazione del diritto allo studio, gli enti cui appoggiare questo servizio, i centri erogatori di questo servizio.
Ho svolto questa osservazione intanto per affermare che di fronte a leggi dello Stato, le Regioni possono anche evitare di applicarle in modo acritico, se lo ritengono. Voglio affermare la necessità e l'opportunità che le Regioni non accettino supinamente tutte le leggi che lo Stato emana ma che possano anche dare una lettura critica di queste leggi e, se è il caso, chiederne la modifica.
In altre parole questa alternativa, che avrei preferito di gran lunga cerca non di smantellare punti fondamentali della Costituzione, ma di attuare quei punti fondamentali della Costituzione inattuati da 40 anni di malgoverno.
Questa è la linea alternativa. La legge dello Stato, invece, tende a chiudere i compiti fondamentali delle istituzioni ed a far contare sempre meno i Comuni e le istituzioni democratiche nella vita di tutti i giorni dei cittadini. Lo ritengo un pericolo, questo, e lo dico ai giovani. La legge dello Stato e la legge della Regione Piemonte, dato che l'istituzione Comune non ha funzionato, decidono di inventare la nascita di un Ente.
Questo Ente - cari giovani - seguirà le regole dei Consigli di amministrazione: c'è un po' di ideologia "azionaria" e di "mercato" che sta pervadendo la legislazione nazionale e regionale.
Non credo nei benefici di queste strutture amministrative di stampo privato. Non penso che, di per sé, i Consigli di amministrazione siano adatti a fare qualsiasi cosa; non penso siano in grado, ad esempio, di erogare il diritto allo studio. I Consigli di amministrazione di un ente sono, intanto, al riparo da pubblici dibattiti: le istituzioni, invece possiamo criticarle, sono anche state governate male, ma quando decidono una casa lo fanno pubblicamente; tutti possono sentire ragioni e torti delle varie parti che si confrontano. In esse c'è democrazia, c'è possibilità di ascolto; mentre nei Consigli di amministrazione non c'è n democrazia né possibilità di ascolto.
Inoltre, i Consigli d'amministrazione, quelli previsti dal Codice Civile, nati non proprio per regolare queste materie, ma per investire i capitali con delle azioni, per rischiare i capitali in attività economiche da cui trarre profitto, funzionano secondo il numero di azioni possedute da ciascun socio; nei Consigli d'amministrazione le azioni non si pesano, si contano solo e non è detto che siano portatrici di grandi idee.
Le azioni si contano; chi più ne ha comanda e comanda secondo le regole della maggioranza: Allora, riportare all'interno del diritto allo studio le regole dei Consigli d'amministrazione, in cui le azioni sono sostituite da forze numeriche in capo ai Partiti che nomineranno per conto della Regione Piemonte i propri rappresentanti, non mi sembra una novità cui applaudire con questo fragore.
Pensare che, per parte regionale, questo ente non sarà altro che un ente lottizzato tra i grandi Partiti che delegheranno e nomineranno alcuni propri rappresentanti che, nel chiuso di una stanza, al riparo da dibattiti pubblici, decideranno come applicare l'erogazione del diritto allo studio non mi entusiasma. Ha entusiasmato i giovani che sono venuti oggi in aula ma vorrei mettere loro una pulce nell'orecchio: chissà se è proprio vero che questo sia il modo giusto per rendere trasparente l'erogazione, per renderla efficiente.
E solo così che si può fare? Creare un ente, un Consiglio d'amministrazione e nominare un Presidente e un Vicepresidente, o magari due, così le cose si compensano, nominare un Direttore o magari un Vicedirettore o due Vicedirettori e il Collegio dei Revisori dei Conti? Queste strutture tipiche delle Società per Azioni, sono l'ultima ancora di salvezza offribile ai giovani e ai cittadini per consentire loro di disporre di servizi efficienti? Rispondo di no, o comunque cerco di lavorare in altra direzione, quella che contrasta lo smantellamento di principi fondamentali di questo Stato democratico, in nome del malgoverno che nelle istituzioni è stato fatto in tutti questi anni. Cerco di smantellare il malgoverno, non le istituzioni.
Inoltre; a questo ente, con la nostra legge si assegnano delle funzioni che si sovrappongono alle funzioni di altre istituzioni. Infatti, se leggete sta la legge nazionale - pasticciata - sia la legge regionale vedrete che su certe materie, ad esempio la didattica, interverrà la Regione Piemonte, l'Ente per il diritto allo studio e, a ragione l'Università.
Un altro difetto che vedo è che si creano degli Enti che possono fare tutti la medesima cosa. Il verbo può, nella legge che stiamo discutendo compare diverse volte, molti organismi possono fare, ma possono anche non fare, scaricandosi le responsabilità. La critica che svolgo è che ci mettiamo in una condizione in cui diversi soggetti possono fare una cosa con il rischio che la facciano tutti insieme, scoordinati e calpestandosi i piedi o che non la faccia nessuno; salvo poi dire che la responsabilità era dell'altro soggetto.
Altro elemento di perplessità riguarda i beni che sono trasferiti. Mi sembra un po' superficiale e semplicistico l'articolo con il quale, di punto in bianco, si trasferiscono i beni dal Comune di Torino a questo ente.
Sappiamo quali sono questi beni? E poi, un bene immobile è generatore di spese e responsabilità: come verranno regolate queste cose? Ci saranno oneri per la Regione Piemonte, perché trasferire un bene non è solo trasferire una ricchezza a volte è anche trasferire dei debiti e degli oneri.
Concludo dicendo che su uno di questi temi ho proposto un ordine del giorno; è il tema delle abitazioni, degli alloggi e delle residenze per studenti. La regione Piemonte è uno dei fanalini di coda d'Italia e senz'altro d'Europa; il rapporto posti letto-numero di studenti è uno dei più bassi d'Italia. Nell'ordine del giorno propongo, per cercare, al di là delle parole, di fare quelle piccole cose concrete che possono migliorare la situazione, che si faccia sin d'ora qualcosa.
La settimana scorsa abbiamo approvato una ripartizione di 305 miliardi nell'ambito del programma di edilizia residenziale pubblica. La legge 390 che stiamo attuando prevede in modo specifico che le Regioni attuino nell'ambito del programma che abbiamo appena deliberato, dei piani a favore degli alloggi per studenti universitari.
L'ordine del giorno invita quindi la Giunta regionale a destinare nell'ambito del programma appena approvato dal Consiglio regionale, una quota dei finanziamenti ad alloggi per studenti. Nell'ordine del giorno si indica l'obiettivo di utilizzare risorse che consentano la costruzione di ulteriori 400 posti letto: 400 posti letto è il numero dei posti letto oggi disponibili, da parte dell'ente pubblico, per la popolazione piemontese, a fronte di 6000 studenti che studiano nella nostra regione e provengono da altre regioni.
Si tratta quindi di raddoppiare il numero. In questo modo la Regione Piemonte giungerà non a livello delle altre Regioni, se raddoppiamo il,numero giungerà ad avere la metà dei posti letto della Toscana. Sarebbe comunque un primo passo. Chiedo la cortesia di tutti ad esaminare questo ordine del giorno. Queste erano le perplessità di carattere generale che volevo esporre.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Tapparo; ne ha facoltà.
TAPPARO Questo disegno di-legge, che dopo un lungo lavoro in Commissione sta con tutta probabilità per tradursi in una legge della Regione Piemonte, ha un po' il carattere dei contratti di lavoro. L'aspetto prevalente di questi ultimi è dato dalla capacità di gestione dei soggetti che interagiscono nel contratto; anche questa legge si dovrà misurare sulla capacità dei soggetti chiamati in causa per renderla adeguata alle finalità alte che sono state declamate e che ovviamente sono anche nel corpo portante dell'idea che ha espresso la proposta.
Poche ore fa abbiamo dibattuto in modo ritengo serrato, anche se a volte non in modo esaustivo ed efficace, sulla situazione economica della nostra regione e abbiamo individuato con molta chiarezza che l'elemento innovazione (tecnologica, organizzativa, gestionale, culturale) è strategico e fondamentale per dare una svolta reale alle esigenze del nostro sistema economico. Il Piemonte, tra l'altro, è una delle regioni in cui la caduta del tasso demografico è più elevata, quindi questi elementi pongono con grande centralità il ruolo del nostro capitale umano per affrontare questi appuntamenti.
L'investimento in studio, in formazione e in istruzione ad ogni livello diventa quindi strategico fondamentale, essenziale; lo si deve misurare nella priorità che la Regione darà a questo tipo di investimento, per evitare che si tratti di un semplice "bla bla" nella scala delle priorità, nelle risorse che vengono assegnate a queste funzioni.
La selezione delle potenzialità intellettuali umane della nostra regione, per la caduta del tasso di crescita demografica, diventa importante. Dobbiamo accrescere la selezione nella nostra base giovanile per l'accesso allo studio a livello universitario; dobbiamo anche favorire un elemento di giustizia sociale: dobbiamo sostanzialmente dare spazi al merito, tenendo però conto che questo non sempre può esprimersi con grande facilità nell'ambito di disuguaglianze sociali fortemente radicate che condizionano molto i percorsi scolastici.
Nell'ubriacatura neoliberista c'e il rischio che l'elemento di giustizia sociale, che con il diritto allo studio viene sotteso, venga poi sminuito da altre politiche che le Università, magari il Governo centrale tendono a forzare sul livello universitario. Quindi non dobbiamo dare con una mano il diritto allo studio e con l'altra togliere attraverso tassazioni particolari a livello universitario, concorso a spese e così via.
Abbiamo un esempio di questa "ciucca" neoliberista nel forte movimento che si è sviluppato a Torino sul problema degli asili nido e delle scuole materne, dove si è rigorosi per concorrere in parte corposa alla spese; non si è però altrettanto rigorosi nel concorrere alle spese del Teatro Regio o di altri Enti, dove c'è una domanda diretta e individuale dell'utente, che vorrebbe in qualche modo trovare un elemento di parità rispetto alle diverse risposte.
Io credo sia un elemento valido e non condivido quanto il Consigliere Rabellino ha detto sui cittadini stranieri e anche su quelli italiani. La regione Piemonte non è una camera corporativa; noi succhiamo energia elettrica da altre regioni, e in una interconnessione ormai a dimensione europea non ha più senso andare a speculare sul fatto che un ligure viene a studiare nella nostra regione. Al contrario, lo straniero che viene a studiare nella nostra regione è una risorsa che dobbiamo valorizzare perché porta da questa regione cultura e preparazione tecnica che potranno avere un peso nell'attività che lo stesso svolgerà nel suo paese, specie se è del Terzo Mondo. Si tratta quindi di una risorsa da valorizzare, e non da far scappare, considerandola come un intralcio e un peso. E dunque una legge che va misurata sulla gestione; verificheremo dopo se effettivamente fa funzionare la baracca o se invece si inceppa.
Quanto diceva il Consigliere Chiezzi fa riflettere, e deve far riflettere: si gioca sulla gestione e non sulla spedizione in un pacco postale del testo di questa legge.
Ritengo che all'interno di questa proposta ci siano elementi in grado di far accrescere la funzionalità e l'efficacia dello strumento del diritto allo studio; sono dunque meno pessimista del Consigliere Chiezzi, il quale fa il suo mestiere di oppositore ed è giusto che lo faccia in questo modo.
Io e il collega Rossa (credo che lo dirà nel suo intervento) pensavamo che questo Ente potesse già articolarsi sul territorio così come si sta configurando, con lo strumento della gemmazione e la struttura universitaria piemontese. Forse è prematuro, ma ci sono tutte le condizioni per questo passaggio: partiamo in questo modo, anche per non mettere troppa carne al fuoco, e attuiamo una fase di sperimentazione in questo senso.
Credo vi siano alcuni elementi importanti, che però non vanno mitizzati. Il prestito d'onore - ripeto - può essere una bomba a orologeria. Intanto può essere un elemento di ingiustizia sociale, perch può accedere al prestito d'onore colui che comunque ha alle spalle, sia che trovi presto o tardi un lavoro, qualcuno che gliele copre. Secondariamente in una situazione complessa come la nostra, dove chi esce dal Politecnico non ha più la certezza di trovare immediatamente un lavoro, dove chi esce da Economia e Commercio "parcheggia" in modo sempre più lungo, il prestito d'onore può essere una bomba a orologeria; bomba che il Ministro Ruberti ha scaricato alle Regioni, perché è di carico e di competenza nostra.
Abbiamo sentito le banche sul prestito d'onore: le banche faranno il loro mestiere e presteranno quattrini, ma vorranno avere delle garanzie precise che qualcuno, se lo studente non restituisce i soldi dopo un certo numero di anni, risponda di queste cose.
Quindi ci troviamo dinnanzi a uno strumento suggestivo, nuovo veramente complesso, ed è paradossale che il Parlamento, nel decantare l'approvazione sul diritto allo studio e anche il prestito d'onore, abbia tenuto un po' celato il fatto che avrebbe pagato (non so se si può dire) Pantalone o comunque la Regione.
Per quanto riguarda il part-time, forse va spiegato ai colleghi che non sono molto addetti ai lavori che, per alcuni funzioni interne all'Università, si prevede l'utilizzo di studenti che possano trarre da questo apporto utile all'Università anche delle condizioni di giovamento.
Anche qui, ovviamente, il part-time lo utilizzerà il ragazzo che ha bisogno, mentre il ragazzo che non ne ha bisogno, non andrà a perdere tempo facendo il part-time.
Anche questo è un elemento che va visto e pensato, evidentemente: i tempi di laurea sono anche misurabili in termini di reddito:più uno parcheggia all'Università, più lungo è il tempo di ingresso dei redditi.
Sui servizi abitativi, sono d'accordo, collega Chiezzi, sulla tua provocazione. Non possiamo pensare oggi di rincorrere faticosamente e lentamente quello che abbiamo fatto nel decennio passato per dare un numero di posti letto che non ci ponga al livello di una piccola regione: attualmente siamo forse al di sotto delle piccole regioni che hanno le Università. Ritenevo più utile (un po' come nel caso del finanziamento pubblico al partiti) offrire molti servizi reali agli studenti che ne hanno bisogno e che quindi ne usufruiscono perché lavorano, studiano, ricercano ecc.: quelli che stanno a casa a dormire o a giocare a tennis o a biliardo evidentemente non ne finiscono. E un po' la vecchia storia: era meglio offrire servizi reali ai partiti anziché fargli arrivare l'assegno direttamente a casa.
Ho l'impressione che questa legge possa favorire, sul piano quantitativo, degli aspetti positivi per quanto riguarda il diritto allo studio; ho maggiori dubbi sul piano qualitativo: il discorso è più complesso.
Occorre quindi verificare se la Regione intenda o meno giocare con questa legge una partita che consideri il diritto allo studio come uno strumento di politica del lavoro e della formazione del nostro capitale umano. Assessore, coloro che andranno nel Consiglio d'amministrazione di questo nuovo Ente, che rappresentano il Consiglio regionale, dovranno avere da parte sua indirizzi e indicazioni che ovviamente scaturiranno dal dibattito generale e che trovano anche nel piano di sviluppo le grandi direttrici; questi rappresentanti non possono certo essere delle persone designate dalla segreteria di un partito e che poi noi "crociamo" qui un giorno e non ne sappiamo più nulla. Questo Ente deve diventare lo strumento di una politica attiva che la Regione vuol fare sul nostro capitale umano.
Un altro passaggio è il tema delle risorse. Al di là dello spunto iniziale, evidentemente bisogna capire dove finisce, nella graduatoria delle priorità, il diritto allo studio, perché se finisce in coda o a metà tutto questo è finzione e propaganda; se invece finisce in testa, vuol dire che c'è un segno di coerenza che onora l'elaborazione legislativa di questo Consiglio e la rende credibile.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Goglio: ne ha facoltà.
GOGLIO Presidente e colleghi, la legge che siamo chia-mati ad approvare ha visto il nostro Gruppo particolarmente sensibile. Da subito abbiano dato all'Assessore e al Presidente della Commissione Leo il massimo appoggio poiché vediamo in questi strumenti un incentivo ai giovani di ampliare 1 loro interessi culturali, partecipando attraverso la specializzazione scolastica a livelli qualificati alla crescita della società.
Voi sapete quante volte abbia espresso il convincimento che la soluzione di molti problemi sodali ed economici del Piemonte particolarmente gravi in questo momento (come ha sottolineato la relazione dell'Assessore Cerchio e il dibattito che si è aperto), possa venire da leve di laureati in discipline che coincidano con le vocazioni dell'industria e delle attività della nostra Regione, ed anche - mi preme ricordarlo ancora una volta - con le dinamiche del mercato del lavoro e delle intelligenze, che comincerà a funzionare tra non molto a livello europeo.
Molti indicatori, a cominciare dall'IRES che è il nostro più autorevole osservatore scientifico, dicono che la società industriale ha bisogno di tecnici capaci e che il fabbisogno sarà crescente nel prossimo futuro. La società tecnologica, le aree sempre più ampie dell'informatizzazione chiedono a tutti i livelli specialisti. Lo stesso terziario assorbe personale tecnico. In poche parole: la strada del lavoro si fa sempre più disagevole per chi è povero di strumenti di conoscenza.
Ben vengano dunque tutti gli incentivi possibili ai giovani avviati agli studi universitari. La legge che stiamo discutendo ne prevede parecchi; e la riappropriazione da parte della Regione della gestione degli strumenti medesimi trova il consenso del Gruppo socialdemocratico.
Alla Regione più che ad altri Enti spetta infatti il compito di gestire la politica della scuola, perché essa è l'osservatorio più privilegiato a percepire gli umori e a valutare le domande che provengono dalla società piemontese.
La legge incentiva, promuove, agevola il diritto allo studio degli studenti. Ma mi domando: in quali strutture questi giovani possono trovare agevolato il loro diritto allo studio? Ho sfogliato con attenzione a suo tempo ed ancora nell'imminenza di questo dibattito la relazione ampia ed esauriente dell'Assessore Fulcheri sullo stato attuale delle strutture universitarie in Piemonte e non mi pare di poterne trarre conclusioni consolanti. Leggo ad esempio che il Piemonte si trova all'ultimo posto tra le Regioni del centro-nord in quota di disponibilità posti letto in rapporto al numero di studenti iscritti: 404 posti letto per 78 mila studenti.
L'Emilia Romagna, a fronte di eguale numero di iscritti, dispone di 2.723 posti letto: il Veneto di 1.791, la Toscana di 1.703. La Lombardia con poco meno del doppio di studenti, dispone di 3.640 posti letto, nove volte tanto di quanti ne ha il Piemonte.
Se passiamo al vaglio delle strutture universitarie, non resta che piangere. Abbiamo tutti sott'occhio la polemica di qualche mese fa rilevata dai quotidiani sull'obsoleta, cadente struttura di Palazzo Nuovo, definita senza mezzi termini, la peggiore d'Italia. Il Politecnico a sua volta lamenta carenza di spazi, ma a questo proposito non voglio riaprire il capitolo sul suo decentramento o raddoppio in sede. Le biblioteche universitarie che sono, anzi dovrebbero essere, uno degli strumenti principali di lavoro e di studio, versano in condizioni di inagibilità.
Discutiamo e parliamo del terzo polo universitario e del decentramento degli insegnamenti, ma le questioni di campanilismo sembrano ancora prevalere su quelle di un coordinato e ragionato programma di lauree che rispondano effettivamente alle vocazioni della nostra società.
Ciò che mi rende più perplesso, e lo dico con profondo accoramento, è la mancanza di una strategia complessiva dei bisogni reali. Manca cioè una programmazione delle effettive esigenze, per cui diventa del tutto casuale l'autoregolamentazione delle iscrizioni a medicina, mentre sovrabbondano le iscrizioni ad altri corsi che poi laureano giovani ai quali il mercato non offre adeguate chances occupazionali.
Ho sostenuto, sempre in questa sede, che l'attuazione della riforma universitaria non può prescindere da un'attenta valutazione da parte della Regione degli indirizzi più omogenei al mercato piemontese: ciò per non mortificare le attese dei giovani e non sottrarre risorse attive a quei settori produttivi che le cercano.
Sono convinto che su questo terreno dovremmo trovarci uniti, perch queste sono battaglie non di una maggioranza o di una minoranza, ma di tutti. Altri-menti colleghi,come già ho rilevato altre volte, finiremo per subire le derisioni degli altri, le decisioni cioè che ci verranno imposte dall'esterno.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenir e il Consigliere Bosio. Ne ha facoltà.
BOSIO Signor Presidente, bisogna ammettere che il lavoro compiuto in Commissione attorno alla legge per il diritto allo studio è stato lungo e approfondito, dove i contributi sono stati ampi e numerosi, e quel che importa, globalmente accolti come contributi da tutti. Non nego dunque che l'impegno per arrivare a questo voto e a questa discussione sia stato forte e corrispondente anche alla natura e all'importanza del problema, dei bisogni e delle aspettative. Quello che però mi premeva richiamare era che noi, come Gruppo, abbiamo dato il contributo che eravamo in grado di dare suggerendo le cose che ritenevamo giuste e utili per questa legge, per i suoi significati e valori più alti. Non tocca dunque a me esprimere il giudizio globale come Gruppo. Qualcuno si meraviglierà di questa posizione comunque non esprimerò un voto favorevole a questa legge: è presumibile che si potrà considerare ciò una specie di posizione formale di opposizione cioè una posizione priva di autonomia sostanziale che prescinde dalle cose che sono già state fatte e che potrebbe essere considerata priva di coraggio.
Vorrei chiarire che il possibile coraggio, di questi tempi, è una cosa non più molto cara sul mercato, ed è esattamente il tentativo di ragionare con un accento ed un atteggiamento fortemente critico. Ciò cogliendo il senso non del lavoro fatto, non delle cose scritte in quella legge, non degli obiettivi che tutti quelli che sedevano a quel tavolo (dall'Assessore, ai Consiglieri, al Presidente della Commissione) avevano nella mente, ma osservando la realtà delle cose così come sono, le difficoltà e gli ostacoli veri a realizzare ciò che noi sottintendiamo aver cercato di mettere in questa legge e che, in realtà, rispetto a quegli obiettivi, non funzionerà. Il pregio di questa legge, come della legge nazionale sul diritto allo studio, nasce più dallo sfascio pluridecennale esistente nell'Università e nel rapporto diretto con centinaia di studenti universitari che non dai meriti, dallo sforzo, dalla capacità progettuale dall'intensità e dal valore con cui il Parlamento, il Governo e noi con questa legge affrontiamo quello sfascio, quelle questioni alle radici e poniamo e proponiamo qualche cosa che guardi sul serio al futuro.
Questa è una legge che rattoppa situazioni di sfascio insostenibili.
Per alcuni aspetti capisco anche gli applausi, perché c'è una situazione insostenibile (siamo tutti di questi posti e abbastanza esperti per sapere). Chiunque di noi abbia qualche figlio che va all'Università - mio figlio più che grandi cinema non frequenta, così evita di non seguire niente, attendere invano decine di docenti universitari che non vanno, o si presentano per tre minuti e poi vanno a guadagnare l'altra pagnotta da un'altra parte - sa che gli studenti cercano invano laboratori e biblioteche che non trovano, rincorrono alle cinque del mattino e fanno la posta, davanti casa, al docente che dovrebbe assegnargli il titolo della tesi: questa è l'Università italiana. Dunque un rattoppo va bene, ma il punto vero è che noi non abbiamo più bisogno di rattoppi.
Abbiamo discusso questa mattina della situazione economico-sociale del Piemonte. E stato molto più garantito con un grande spirito di pianificazione, collega Marchini, il diritto allo stadio che il diritto allo studio. Quindi, la pianificazione e la programmazione vengono attuate ma solo quando ci sono in ballo grandi interessi di un certo tipo. Quando non ci sono, quando si ha a che fare con masse ingenti di popolo tra cui c'è il popolo vero, gli studenti un po' più privilegiati, a cosa serve programmare? Non serve più a nulla, serve una selezione un po' animalesca che si esercita tra chi ha un potere in casa propria, attraverso il ceto e il censo sociale, e chi non ce l'ha e gli inseguimenti di un'aula e di un laboratorio, di un docente.
Certo, non per tutte le cose corrisponde questa descrizione, ma conosciamo come funziona l'Università e come ha funzionato in questi decenni, come funziona a Torino e da altre parti: conosciamo i nodi gravissimi dell'abbandono pluridecennale dell'Università italiana.
Le questioni delle quali adesso si comincia a discutere, seppure in modo non chiaro e non affrontate alla radice, riguardano l'autonomia, le risorse, il reale principio costituzionale del diritto allo studio l'accesso vero ai corsi universitari, le sedi e le tasse. Si tratta di questioni che si stanno ponendo, per l'ennesima volta, in modo tipicamente barbaro e all'italiana, come, in questi ultimi tempi, sta succedendo all'Università "La Sapienza" di Roma e da altre parti.
Il punto discriminante e che non funziona, non riguarda questa legge che tra l'altro è anche ben fatta. Lo abbiamo detto, è il punto che riguarda il rapporto tra azienda ed enti. Badate, non è una, questione di campanile o di titolarità varia, ma è una questione che non funziona, invia di principio e invia politica, già nella legge nazionale del diritto allo studio, cioè nell'unilateralità e nell'imposizione. Infatti, in apparenza si danno dei poteri alla Regione, ma in effetti s'impongono: si impone alla Regione un unica via, cioè la via degli enti, tra l'altro estremamente contestata. Ci sono Regioni - dove l'organizzazione e la struttura sono migliori di quelle del Piemonte, anche se non perfette - che contestano duramente questa indicazione unilaterale: la loro struttura è più funzionale. I dati presentati dal collega Goglio indicano infatti che in alcune Regioni il diritto allo studio è stato, nel limiti del possibile molto più garantito e dove le aziende, i Comuni e le Università realizzate in diverse città non sono simulacri, come rischiano invece di nascere le Università di Novara, Vercelli e Alessandria in un bailamme d'interessi che poco hanno a che fare con il vero significato e il valore del processo formativo al livello più alto.
Dunque anche in questa legge ci sono questioni che per noi sono di principio e di sostanza politica e che non ci consentono di approvarla, ma c'è soprattutto il problema più generale - e concludo - che richiamavo prima. E' vero che si fa quello che si può, ma non credo che possiamo continuamente accettare e perseguire indifferentemente la logica del rattoppo dell'urgenza e dell'emergenza.
Questo è un Paese che si regge da qualche decennio esclusivamente sulla logica dell'emergenza: dai terremoti ai campionati del mondo, dalle Colombiadi all'emergenza universitaria e alla crisi strutturale delle industrie.
Capisco che c'è e ci deve essere nella politica e nella società una richiesta forte di concretezza e di risposta concreta volta per volta sul momento, ma vorrei fare una citazione. Saint-Exupèry, aviatore, ma anche pensatore e grande scrittore, che magari molti potranno considerare uno con la testa fra le nuvole perché viaggiava in aereo, disse: "Sì, va bene, è giusto che si facciano tante piccole cose, ma bisogna pure che qualcuno una volta o l'altra cominci a pensare alla cattedrale". Se non si pensa anche alla cattedrale è inutile che ogni volta ripresentiamo i piccoli conti della logica del rattoppo, incapaci di risolvere i problemi.
Questo è il giudizio non tanto nel merito stretto della legge presentata e non tanto per farci i complimenti - di cui non abbiamo bisogno e se vogliamo ce li possiamo fare in separata sede - ma proprio per cercare di affrontare sul serio o tentare di contribuire ad una svolta radicale o ad un'inversione di tendenza radicale sul diritto allo studio. E' una questione che va assunta esattamente per quella che è, ovverosia un dettato costituzionale del nostro Paese, un bisogno ed un'esigenza primaria del nostro Paese, non solo dal punto di vista economico e produttivo, ma dal punto di vista della crescita del Paese intero.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio.
MIGLIO Credo che le riflessioni, da portare avanti sulla proposta di legge presentata in aula, non possano essere slegate da un discorso più complessivo sulla politica universitaria così come è stata condotta, e continua ad essere condotta, in questi ultimi anni in Italia. E' una politica universitaria che ha intrapreso diverse strade, tutte allo stesso modo squalificanti rispetto alla concezione e all'affermazione del diritto allo studio concepito ed affermato all'interno della stessa Costituzione.
E' una politica universitaria che, in questi ultimi anni, si è connotata soprattutto per l'aumento delle tasse, per l'introduzione di esami preliminari di selezione all'accesso all'Università, per l'introduzione del numero chiuso e per l'inaccessibilità alle Università di altre Regioni.
Si tratta quindi di un processo di ristrutturazione che ha portato sempre più alla logica dello studio visto secondo gli interessi di privatizzazio-ne, interessi di una struttura produttiva che vede l'Università non tanto come un luogo di crescita culturale complessiva il cui beneficio ricade nella società nel suo insieme, quanto come un luogo di produzione di soggetti da introdurre in un mercato di lavoro ben determinato.
La stessa legge Ruberti, con l'approccio dato e con i risultati ottenuti, ha permesso - come ha richiamato il Consigliere Bosio - ai Consigli d'amministrazione (come nel caso di Roma), di aumentare le iscrizioni fino ad 850 mila lire, con un aumento che arriva a toccare il 50 100%. Allo stesso modo, da quello che si può verificare anche a Torino, si prevedono aumenti simili che vanno dal 40 al 60% a seconda che si tratti di Università umanistiche o di tipo scientifico.
La controparte rispetto a queste linee e tendenze è quella di un permanere della carenza delle strutture, nel senso che l'offerta della struttura universitaria nel suo insieme non corrisponde alla maggiore richiesta che viene fatta agli studenti in termini di contributi economici da versare alle Università stesse. E così ci troviamo ancora con laboratori scarsi, spesso del tutto inesistenti e comunque sotto dimensionati rispetto a, quello che è stato l'aumento della popolazione universitaria. Ci troviamo con servizi fatiscenti; con biblioteche che non sono in grado di rispondere alle richieste che necessariamente si producono attraverso l'attività didattica. Ci troviamo con aule te come spazi e come numero. Ci troviamo con un rapporto inefficiente rispetto al numero di docenti e al numero di studenti: da qui gli affollamenti nei corsi, l'impossibilità di svolgere laboratori di ricerca seri e concreti che diano dei risultati in termini positivi. Ci troviamo, per tutta questa serie di motivazioni, ad avere prodotto un Università che non è più un luogo di ricerca, di sviluppo della cultura nel suo insieme, ma sempre più un luogo, così come viene chiamato dagli studenti stessi, di "esamificio", nel senso di un mero luogo dove si producono, man mano, degli studenti, ma non si crea una dialettizzazione fra i diversi campi del sapere; fra i diversi gradi delle esperienze conseguite.
All'intero di questo quadro, c'è da chiedersi come questa legge sul diritto allo studio possa incidere e andare a cogliere quello che dovrebbe essere il vero obiettivo, così come peraltro viene citato dallo stesso art.
34 della Costituzione, secondo il quale "i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi".
La Repubblica, e in secondo luogo le Regioni, dopo l'emanazione del decreto presidenziale del 1977, n. 616, devono appunto garantire questo diritto rimuovendo tutti gli ostacoli che possono venire a crearsi e che impediscono a uno studente di poter conseguire il massimo degli studi consentiti.
Come ho richiamato precedentemente, la politica universitaria condotta a livello statale, e in subordine anche dalle stesse Università dopo l'approccio perverso, secondo il nostro punto di vista, dell'autonomia universitaria, si è tradotta non in uno sviluppo autonomo dei programmi dello sviluppo della cultura scientifica, ma piuttosto in controreazioni di tipo economico per creare una selezione degli studenti rispetto all'accesso nell'Università e in secondo ordine per una differenziazione fra le stesse Università, fra quelle, come banalmente forse viene definito, di categoria privilegiata e di subordine: tutto questo a nostro modo divedere contrasta con l'affermazione piena del diritto allo studio.
Come collocare questa legge in questo insieme di sviluppi delle politiche universitarie? Ci sembra proprio un tentativo di recuperare una situazione difficilmente sanabile, se non andando ad Identificare una programmazione seria in contrapposizione a quanto è stato fatto fino a questo momento. La legge non affronta seriamente questo problema. Si limita, nella sostanza, a recepire quanto già stabilito dalla legge quadro nazionale approvata nel dicembre 1991; ne riprende il filo fino a trascrivere per alcune parti le stesse tracce degli articolati di questa legge quadro e, allo stesso modo, non risolve un altro problema che, a nostro avviso, è fondamentale, quello di poter attuare i principi, peraltro sotto alcuni aspetti anche validi di questa legge regionale, con il necessario apporto economico. Anche qui mi pare che esista un parallelo fra quanto viene fatto a livello nazionale e la scelta assunta dalla Regione.
Se si guarda quanto è stato dedicato nei bilanci dello Stato al problema del diritto allo studio, si scopre che nel 1986 451 miliardi venivano spesi per questo specifico settore di intervento; guarda caso, con l'approvazione di questa legge, si passa a soli 50 miliardi per il 1991 e ancora meno per il 1992, ossia 25 miliardi.
La Regione, al suo pari, quasi seguendo le orme dello Stato, ha fatto un'ipotesi iniziale che prevedeva 19 miliardi; l'esame da parte della I Commissione ha poi ridotto la cifra a 15 miliardi.
Mi sembra appunto che le strategie a livello nazionale e a livello regionale non si modifichino di molto; quindi ci chiediamo come possa essere concretizzato quel principio del diritto allo studio quando così poche risorse vengono dedicate a questo settore di intervento. Risorse che poi, se si guarda meglio la legge, sono anche frammentate in una serie di interventi (basta vedere l'art. 5), alcuni dei quali risultano poco comprensibili, e peraltro si sovrappongono a quelli che dovrebbero essere di , altre strutture. Faccio un unico esempio, quello dell'assistenza sanitaria, che a nostro modo di vedere dovrebbe essere di competenza dell'USSL; non è chiaro quale rapporto strano si verrebbe a creare fra gli enti e le UU.SS.SS.LL. stesse rispetto alla conduzione di interventi in questo settore, anche se sono coscienti del fatto che l'assistenza sanitaria è introdotta in questa legge perché già prevista dalla legge quadro nazionale. Allo stesso modo non è chiaro il perché si è fatta la scelta di introdurre fra gli interventi anche quelli rivolti all'editoria e ai librai, cito testualmente, le cui finalità e i cui obiettivi, la cui concretezza dell'intervento non ci risulta a tuttora chiara.
Per abbreviare i tempi, mi sembra inutile continuare questo discorso che comunque riprenderemo In occasione di alcuni emendamenti ed eventualmente nella riflessione finale prima del voto sul disegno di legge.
Esprimiamo una sostanziale insoddisfazio-ne e un disagio, perché ci troviamo di fronte ad una legge che ripropone alcuni buoni principi, ma rischia di essere svuotata nella sua concretezza proprio per il fatto di essere sopportata da un'esiguità di fondi messi a disposizione. Tali fondi possono essere frammentati In diversi interventi senza dare un reale contributo agli studenti e non cogliendo quello che per noi rimane l'obiettivo fondamentale: garantire un accesso agli studenti indipendentemente da ogni discorso di selezione in base al merito e alla propria capacità di tipo economico. In questo modo, forse, il problema non viene risolto e ben altra doveva essere la strada.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Maggiorotti.
MAGGIOROTTI Devo dire che in conclusione di seduta del Consiglio diventa difficile parlare ad un'aula che è sostanzialmente disattenta, ma non mi scandalizzo più di tanto. In realtà queste occasioni sono più rituali che altro, anche perché poi in fondo la legge sembra abbia avuto il consenso quasi unanime di tutte le forze politiche. L'esprimersi in maniera difforme è certo cosa doverosa, ma in questa sede non serve più di tanto a far cambiare le cose.
Tuttavia mi preme ricordare il fatto che siamo a più di due anni di distanza dai mesi in cui il movimento degli studenti, tra le altre cose chiedeva che si approvasse una legge sugli ordinamenti didattici universitari e che non si discutesse in sede legislativa nella Commissione camerale. Questo perché la discussione nel chiuso della Commissione avrebbe impedito una più pubblica affermazione da parte delle diverse forze politiche, delle ragioni della loro eventuale opposizione alla legge nazionale sugli ordinamenti didattici universitari. Ci si ritrova ora in una situazione di ripresa del movimento, situazione in cui si contestano quegli aspetti che sembravano più gravi e che certamente lo sono.
Il problema è questo: la legge nazionale, quella sugli ordinamenti didattici universitari - e parlo di questo perché è il quadro generale di riferimento - tratta della scelta di collocare l'Università nell'ambito della privatizzazione. Si potrà determinare così una situazione a macchia di leopardo, che tenderà ad accentuare le diseguaglianze e consentirà e favorirà lo stabilirsi di legami tra finanziamenti privati, mirati ed erogati ad Università e Facoltà, e attività di questi ultimi.
Ma a quali Università, a quali Facoltà e Dipartimenti si rivolge? A quelle prevalentemente di tipo tecnico e scientifico, ma forse anche umanistico, perché di prestigio, che si rivelino facilmente "addo mesticabili" agli obiettivi ed agli interessi del privato. La conseguenza potrà essere quella per cui altre Università di seconda categoria vengano lasciate in situazioni di abbandono e crisi, soprattutto al Sud, ma non solo al Sud. Questo accadrà anche perché nella legge sull'autonomia universitaria sta prevalendo una chiara linea di privatizzazione e autonoma gestione dei finanziamenti privati da parte dei "baroni della cattedra" cosa che rappresenta un arretramento rispetto a quanto era stato affermato dalla legge 382/80 che riusciva ad immettere elementi di discontinuità rispetto al passato, agli assetti predominanti, introducendo - ad esempio i dipartimenti ed il controllo democratico per i ricercatori ed il personale tecnico-amministrativo.
Questa nuova legge restituisce poteri ai Consigli di Facoltà, al Senato accademico e confinagli studenti in un parlamentino che non so quanto possa essere oggetto di plauso e "partecipazione" da parte degli studenti stessi.
D'altra parte il movimento degli studenti non approvò, e non approva tuttora, questa soluzione, perché ne viene riconosciuta l'ininfluenza su tutto ciò che conta a livello decisionale.
Questo breve riferimento al quadro nazionale serve per far comprendere come questa legge regionale sia una legge tardiva, ameno che si compiano scelte fondamentalmente diverse rispetto alla logica com-plessiva, cosa che non mi sembra faccia la proposta di legge che stiamo discutendo. Essa doveva aspettare che i quadri generali si disegnassero e che la stessa legge nazionale sul diritto allo studio universitario venisse approvata. E' dunque una legge tardiva che, con pochi strumenti, si pone dei fini che non saranno attuabili; è una legge che, date le poche risorse esistenti, non potrà essere che di tipo assistenzialistico e non potrà certo essere utilizzata come strumento per lo sviluppo dell'Università, nel senso dello sviluppo della risorsa principale dell'Università, che è la risorsa studente.
E' una legge che non entra nel merito del perché e del come si deve studiare; ci si può domandare se è necessario che sia così. Occorre dire che in Commissione si è tentato, con poca chiarezza sugli obiettivi, di definire la politica dell'Università a livello regionale. Ci si è confrontati con i rettori e si è capito che è interesse prevalente tra i responsabili delle Università avere problemi il meno possibile rispetto a questioni che sembrano secondarie ed a questioni sociali.
Si dice che sono importanti, e i rettori hanno denunciato l'inefficienza sulla quale tutti eravamo d'accordo del Comune di Torino nel gestire i servizi per il diritto allo studio. Poi, però, sembrava chiaro che di questa questione loro non volessero e non dovessero farsene carico perché altri erano gli interessi; di queste questioni doveva essere la Regione ad occuparsene. Non si è rivelata nessuna disponibilità reale a programmare in maniera coerente lo sviluppo dell'Università con le risposte che in campo sociale occorre dare agli studenti.
I programmi di sviluppo delle Università non dovranno essere di nostra competenza, se non rituale. E' quindi parsa evidente la pretesa di autonomia, non finalizzarla al raggiungimento di alcun obiettivo condiviso.
E' quindi una maniera molto autocratica per considerare l'autonomia, senza concedere nulla alla programmazione regionale.
La legge che stiamo discutendo, a mio parere, mira ad una redistribuzione di quei poteri di decisione sull'uso di risorse, peraltro poche, da dividere secondo criteri che in realtà non sono assolutamente chiari, per cui non è chiaro quanto verrà destinato a ciascun capitolo di intervento.
Il problema è questo: è chiaro che se questa legge ha un merito, questo è soltanto quello di far sì che venga identificata una controparte ed una responsabilità precisa. E' pero uno scatolone vuoto che temo resterà tale.
Ritengo che gli studenti, il movimento, siano maturi e consapevoli del fatto che non sarà certo questa legge ad aumentare il numero delle residenze, a migliorare la qualità dei servizi, delle biblioteche, dei supporti alla didattica, delle attività di monitoraggio, a migliorare la quantità e la qualità dei servizi di ristorazione o la possibilità di fruire dei servizi da parte di studenti-lavoratori.
Non è certo questa legge che riuscirà a razionalizzare e rendere operative, più ampie ed accoglienti le sedi universitarie. Non ci sarà, per esiguità dei fondi, un sostanziale aumento del numero delle borse di studio.
Chiedo, e questo è un problema che mi interessa specificamente (rispetto al quale mi sembra che le risposte siano state insoddisfacenti) quali provvidenze vi siano per gli studenti con disabilità: nella legge si riporta la dizione utilizzata nella legge nazionale e non si è voluto scendere più a fondo. E' chiaro che le competenze sono specifiche non tanto di questo ente, quanto di altro: questo ente, però, dovrebbe essere una struttura con funzioni di promozionalità, non tanto di mera gestione quindi dovrebbe farsi carico dei problemi di diritto allo studio di persone con gravi disabilità.
Cito il problema dell'eliminazione delle barriere architettoniche, la necessità di dotare gli studenti di ausili anche informatici per la comunicazione, di servizi per l'interpretariato per non vedenti e audiolesi. MI dannando chi potrebbe essere di "competenza" per garantire tutto questo. Non vorrei che questo problema venisse affrontato, come sempre, marginalmente, ledendo il diritto allo studio di parecchi cittadini..
Si è parlato dell'inutilità dell'articolo sull'assistenza sanitaria; lo ero d'accordo che dovesse essere evitata quella dizione, ma, visto che c'è che è stata voluta (anche perché la legge nazionale la ripropone), ritenevo fosse importante che si citassero due questioni rispetto alle quali si fa poco. Sono i controlli sulla nocività ambientale, sull'eliminazione dei fattori di rischio.
La sollecitazione che andrebbe fatta è quella di controllare la nocività, non solo delle aule ma anche dei laboratori, in particolare nelle Facoltà scientifiche (Medicina), dove non c'è alcuna possibilità diversificare il rischio che gli studenti corrono nell'uso incontrollato di attrezzature anche sofisticate. Una particolare attenzione andrebbe inoltre rivolta al controllo dell'igie-ne ambientale nelle mense e della genuinità dei cibi.
Tutto ciò può sembrare secondario, ma non lo è, e pensavo che citarlo in una legge - e lo ripongo con un emendamento - potesse essere importante.
I problemi gestionali saranno pesanti e ci faran-no camminare in salita. Sono consapevole del fatto che sarà ben difficile far partire questo che mi sembra un carrozzone spinto a mano dai passeggeri, mentre il guidatore tutt'al più se ne sta comodamente a guidare. In termini concreti mi domando che fine faranno 170 dipendenti dell'ex Opera Universitaria, a quali funzioni verranno adibiti, se ci sarà per loro una riqualificazione professionale e chi subentrerà nelle attività di gestione materiale, nella manutenzione delle attuali strutture.
Ci si lamentava dell'inefficienza del Comune che utilizzava diversi Assessorati (economato, provveditorato e altro) per gestire, e malamente queste attività, ma mi domando chi potrà subentrare e con quale efficienza nella gestione già così catastrofica del Comune di Torino.
La legge è sempre un atto dovuto e risponde ad un bisogno concreto e reale; tuttavia mi sembra che verrà malamente soddisfatto. Penso che la strada sarà in salita e che non ci si possa fare molte illusioni rispetto al futuro, perché non credo che miglioreranno di molto la qualità e la quantità dei servizi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bodrero.
BODRERO Qualcuno aveva sollevato obiezioni circa il fatto di dare un vantaggio al residenti, come il Capogruppo Ribellino suggeriva.
Preciso che si tratta di quattrini della Regione: penso che essere generosi sia una cosa bellissima, pero sarebbe bene esserlo di tasca propria. Molta gente e generosa sulla pelle degli altri: questo, se vogliamo, è poco cristiano, perché si finisce per odiare il prossimo (cioè il più vicino) e amare il più lontano, ma a parte ciò non è detto che sia sempre un vantaggio.
Si è detto che la gente che viene a studiare qui porta un vantaggio per il Piemonte. E vero, vengono studenti da fuori, ma noi abbiamo un difetto gravissimo per ciò che riguarda l'ingresso in certi impieghi. Esiste infatti il famoso esame scritto segreto, e pare che questo segreto sia inviolabile, superiore a tutti i segreti di Stato.
Però poi, guarda caso, quello che era il primo della classe viene bocciato allo scritto, mentre un altro, che ha sempre avuto 5, 6 e magari qualche 4, supera la prova. Qualcuno sarebbe anche disposto, a sue spese, a pubblicare i due testi per verificare la correttezza delle prove, ma pare che questa sia una cosa difficilissima.
Succede allora che i poveri piemontesi residenti finiscano quasi sempre per essere emarginati e che gli impieghi vengano acquisiti da gente che proviene da altre regioni, e non è detto che da ciò nasca la migliore classe dirigente d'Europa e del mondo.
Per quanto riguarda gli extracomunitari, cito l'esempio di Pol-Pot (ma ce ne sarebbero a migliaia). Pol-Pot ha frequentato le migliori Università di Francia, ma poi è stato macellaio del suo popolo. Purtroppo - e pare che la malattia non sia ancora finita in Italia - allora si insegnava che per fare una bella rivoluzione e per realizzare un enorme progresso bisognava macellare un sacco di gente. Era la teoria di Stalin, di Hitler e di altri.
Attenzione dunque: l'Università non è sempre positiva, dipende dalle persone. Ecco perché lo non mi scaglio contro la legge; la legge è fatta dagli uomini e può essere più o meno ben fatta: una buona attuazione dipenderà da quelli che la mettono in pratica. Sulla questione privato statale, io penso sia bene che ci sia concorrenza. Fino all'altro ieri, ad esempio, significava l'Università sovietica e i tecnici che forniva; adesso siamo a conoscenza di una sessantina di altre Chernobyl che stanno per esplodere. Ciò significa che questi famosi tecnici non erano I migliori che non era vero che l'Università sovietica fornisse i migliori adesso, per esempio, non si dice neanche troppo male dell'Università giapponese. Con questo voglio dire che ci vuole molto buon senso in queste cose. Aveva ragione quel signore che diceva che oggi l'Università è un'anarchia completa; che bisogna "beccare" il professore all'ingresso con il lazo come fanno i "gauchos", quindi tutto è relativo. Questo per precisare sulle obiezioni fatte al Capogruppo Rabellino.
L'anarchia è dovuta a quelle leggi permissive secondo le quali l'assassino non viene neanche piantonato e scappa, e a tutte le leggi tipo il Nuovo Codice di Procedura Penale, la legge Gozzini, ecc. Ecco perché il contesto è malato: ma la colpa di chi è? Chi ha proposto queste leggi? Se andiamo a verificare, vediamo che sono proprio quegli elementi che fino a ieri si ritenevano rivoluzionari alla maniera di Pol-Pot. Su questo punto penso di essere stato abbastanza chiaro.
Tornando al tema della discussione, suggerisco di evitare la burocratizzazione: spero che questo non sarà un nuovo carrozzone.
Una volta c'era il Collego Carlo Alberto che dava delle borse di studio agli studenti meritevoli; personalmente (non lo dico per vanità) ne ho vinta una nell'immediato dopoguerra, forse per caso, per pura combinazione ma certamente non per il criterio di applicare le imposte in maniera inversamente proporzionale al merito e al profitto può essere un'Ipotesi valida. Qualcuno dice di non voler pagare le imposte; a parte il fatto che tutti più o meno le pagano (chi le paga),chi non studia dovrebbe pagare imposte enormi. Io suggerisco di far pagare pochissimo a coloro che studiano: ecco la discriminazione giusta. Bisogna sempre distinguere, non basta dire "vogliamo pagare poco, vogliamo tutto gratis (tram, ecc)".
La questione che mi sta più a cuore, e che è altrettanto importante, è quella contenuta nella legge Nerviani. Questa legge è tutt'altro che perfetta, sia chiaro, perché parla di patrimonio linguistico. Come ho già detto, noi abbiamo una lingua riconosciuta dal Consiglio d'Europa. Il piemontese, come ho già dimostrato e posso dimostrare molto più ampiamente in separata sede senza far perdere tempo ai colleghi, è fondato sulle lingue d'oc e d'oil. E' il francese antico, quindi molto più minoritario che il valdostano; ecc; subito dopo i sud-tirolesi vengono i piemontesi però purtroppo questo non è stato mai valorizzato: Abbiamo la legge Nerviani, applichiamola in questo caso. Qui si parla di "particolare attenzione riservata - come dice la legge - alle pubblicazioni relative alla promozione delle culture, delle lingue regionali e parlate locali". Abbiate pazienza, l'economia è una cosa importantissima, necessaria, ma non sufficiente; non ci sono solo i quattrini, non c è solo il mangiare e bere - sono necessari altrimenti il sacco vuoto non sta In piedi - c'è anche la cultura, lo spirito.
Visto che parliamo di Università, parliamo dei quattrini ma anche d'altro. Questa lingua è stata tutto un imbroglio dei Savoia, i quali, non potendo diventare Re di Francia, hanno imposto il toscano alle popolazioni meno toscane della penisola. Quindi parlare di Stato nazionale è completamente sbagliato.
L'Italia non è uno stato nazionale, che si sappia: è uno Stato plurinazionale. Le vere nazioni sono le noni storiche, quelle che si sono formate attraverso secoli e millenni; lo Stato italiano ha solo 150 anni si è formato attraverso tutti gli imbrogli di Cavour, ecc., quindi non pu essere considerato una vera nazione. La storia bisogna leggerla, studiarla e non è quella che ci insegnano. E' capitato in Russia; Gorbadov, ad un certo momento, ha deciso di sopprimere l'esame di storia, affermando che per 70 e più anni a scuola era stata fatta propaganda e non storia. Lo stesso discorso vale per la storia come si insegna in Italia: la storia vera è molto diversa.
Lo Stato Italiano è stato fatto contro la volontà della grande maggioranza d'Italia; purtroppo c'è e ce lo teniamo, però non è una ragione per farne una divinità, un feticcio. In Italia abbiamo l'esempio classico del Piemonte; gli Stati, le nazioni sono fondate sulla lingua e se il piemontese è lingua d'oc e d'oil, non fa parte della nazione italiana.
Quindi, ripeto, esiste uno Stato italiano plurinazionale; queste cose per saperle, bisogna leggerle. Chi non legge o legge solo, ad esempio, i resoconti delle ditte, delle aziende che hanno dei grossi profitti (cosa apprezzabilissima e necessaria) non saprà mai queste cose. Ma non esistono solo queste cose; ci sono i grandi guadagni dei grandi managers (ci sono anche loro, sono necessari, specialmente se sono privati, non carrozzoni) però c'è anche una cultura che è completamente distaccata dall'interesse materiale. Penso che il Consiglio regionale del Piemonte abbia il diritto di avere e di privilegiare questa cultura.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Attivita" delegate alle USSL (vigilanza, formazione)

Rinvio in Commissione del progetto di legge n. 205: "Norme relative al trasferimento delle funzioni socio-assistenziali già esercitate dalle Province"


PRESIDENTE

Propongo di votare il ritorno in Commissione del progetto di legge n.
205.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano. Il rinvio è approvato all'unanimità dei 30 Consiglieri presenti.
Comunico che domani alle ore 12 è convocata la Conferenza dei Capigruppo.
Informo di aver fatto pervenire il te sto del dibattito sul ruolo del Consiglio svoltosi in data 22 gennaio unitamente ad una bozza di documento, evidentemente aperto ad ogni forma di esame e discussione. Devo inoltre comunicare che giovedì non si riunirà la I Commissione; venerdì alle ore 10 vi sarà invece la Commissione Nomine.
Troverete tutte queste comunicazioni nelle vostre caselle.


Argomento:

Rinvio in Commissione del progetto di legge n. 205: "Norme relative al trasferimento delle funzioni socio-assistenziali già esercitate dalle Province"

Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19.30)



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