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Dettaglio seduta n.122 del 22/01/92 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute", comunico che sono stati distribuiti, prima dell'inizio della seduta odierna, i processi verbali delle adunanze consiliari dell'11, 18 e 25 giugno 1991 e verranno posti in votazione nella prossima seduta consiliare.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 4) all'o.d.g.: "Comunicazioni dei Presidente" comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Sono in congedo i Consiglieri Beltrami, Buzio, Cerchio, Dameri Dardanello, Ferrara, Foco, Montabone e Porcellana.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dibattito sul ruolo del Consiglio regionale - mozione n. 200 presentata dal Gruppo PCI-PDS


PRESIDENTE

In merito al dibattito sul ruolo del Consiglio regionale, di cui al punto 7) all'o.d.g., abbiamo convenuto di iniziare con una brevissima apertura, che mi permetto di fare, non sviluppando una relazione (che non mi competerebbe nemmeno, soprattutto in apertura di dibattito), ma svolgendo alcune considerazioni e riflessioni di carattere più politico che non meramente organizzativo-istituzionale.
Signori Consiglieri, credo che in apertura del dibattito si debbano sottolineare alcune questioni particolarmente importanti. Oggi noi parliamo del ruolo del Consiglio regionale, ma io credo sia importante affrontare la materia dei vari organi della Regione in una riflessione che deve essere fatta all'interno di una tematica complessiva che riguarda le ragioni di un nuovo regionalismo.
Siamo a venti anni di vita delle Regioni. Questi venti anni pesano e dobbiamo essere consapevoli che all'inizio della V legislatura non possiamo più parlare come si esprimevano dieci o quindici anni fa le Regioni nel loro insieme.
Non ci si può più muovere in una logica di mera rivendicazione che dobbiamo anche dirlo, sino ad oggi è stata complessivamente poco produttiva. Non ci si può accontentare di documenti che si accumulano nei cassetti delle Regioni e via via dei vari Ministri delle Regioni.
Ritengo che oggi si imponga la fase della concretezza. Parlare di nuovo regionalismo deve assumere oggi significati e soprattutto comportamenti diversi per le Regioni, per il Governo, per il Parlamento: significa affrontare delle questioni non per parlarne, ma per cercare di risolverle o per percorrere comunque una strada concreta verso la loro definizione.
Dalle difficoltà del sistema centrale e non solo da questo, dobbiamo far emergere che esistono e che sono chiare le ragioni per un nuovo regionalismo. E un tempo oggi indilazionabile per le riforme.
Dobbiamo avere, a mio avviso, chiarezza. Le Regioni sono ad un bivio: vent'anni, è il momento della scelta politica e della consapevolezza di dovere agire almeno su tre fronti.
Un primo fronte è il rapporto con il Parlamento e con il Governo in moltissime sfaccettature nelle quali esso si può sviluppare.
Non desidero entrare nel merito di soluzioni, ma solo dare degli spunti, anche se evidentemente ho opinioni di carattere personale. Parlando da qui e non dai banchi, credo che un rapporto con il Governo e con il Parlamento, al di là di ciò che noi svolgeremo in quest'aula, dovrà essere tenuto in conto nel ruolo di coordinamento della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali e, soprattutto, nel ruolo della Conferenza Stato Regioni. Su questo il Presidente della Giunta, per la sua partecipazione alla Conferenza Stato-Regioni è in questo rapporto con il Parlamento che ci dice permanentemente difficile e per il quale esso si batte, potrà darci tutta una sfaccettatura di esigenze, di rapporti nuovi e di difficoltà che concretamente si incontrano lungo questo percorso.
Il secondo fronte delle riflessioni che noi dobbiamo fare e dei rapporti e delle linee che dobbiamo decidere di avere è quello di una logica di autoriforma interna della Regione. In questo contesto si colloca non solo il tema del rilancio del ruolo del Consiglio regionale, ma anche tutti i temi a carattere istituzionale, politico, organizzativo e amministrativo dei diversi organi della Regione: dell'esecutivo, del Consiglio, del ruolo del Presidente della Giunta e di tutti i momenti della organizzazione.
Il terzo fronte di rapporti è quello con l'articolazione delle autonomie locali. Un rapporto che deve diventare soddisfacente con le Province, i Comuni, le Comunità montane; in questa parola, "soddisfacente" sono riposte grandissime scelte che devono essere fatte e che sono in parte già avvenute in diverse sedi di questo dibattito, definendo il ruolo della Regione verso queste realtà locali. Un ruolo che a tutt'oggi, per una complessità molto seria di tutte queste questioni, non è ancora stato definito.
In definitiva, questi non sono né gli anni'70 del grande lancio regionale e nemmeno gli anni'80. Sul rapporto con Governo e Parlamento dobbiamo comunque essere consapevoli che per il regionalismo questi saranno gli anni di una svolta in una direzione o nell'altra.
Sul primo punto, rapporto con Governo e Parlamento, non desidero illustrare un documento che tutti i Consiglieri conoscono molto bene. Il dibattito, avvenuto come ultima tappa all'Assise di Venezia e che tutti i Consiglieri hanno seguito, ci ha fornito una traccia rispetto alle questioni di rapporto con il Governo centrale.
Ieri questo Consiglio regionale, seppure con una sfaccettatura diversa di posizioni, ha approvato la presentazione del referendum abrogativo di 4 Ministeri. Nel dibattito ci sono state anche delle opposizioni; se fossi intervenuta in questo dibattito, avrei detto che su alcune opposizioni avevo ed ho delle ragioni di consenso. Anch'io nel momento in cui approvavo e firmavo le proposte mi sono posta, per esempio, la questione di un coordinamento delle politiche industriali, assolutamente indispensabile a livello centrale. Anch'io mi sono posta questioni attinenti al livello di avanzamento di civiltà in alcuni settori, che soltanto un Governo centrale può garantire, per esempio nella tematica della sanità. Penso, ad esempio allo sviluppo di logiche inerenti all'educazione sanitaria che non siano modi di governare pezzetti di competenze, ma di dare degli indirizzi al Paese. Questi indirizzi vanno dati.
Il discorso che le Regioni hanno voluto fare, che la Regione Piemonte ha scelto di fare, rappresenta una risposta attiva della Regione ai molti anni di sollecita-zioni, di studi, di convegni, di assise, nei quali si è discusso dell'esigenza di unificare le competenze, di trasferire i poteri di attribuire potestà impositive e di attribuire l'autonomia finanziaria alle Regioni Allora si parte attraverso altre logiche. Questa deve essere questione sulla quale si deve riflettere.
Desidero qui chiarire un fatto importante dal punto di vista generale: le Regioni non si pongono e non si vogliono porre come elemento di indebolimento dell'unità nazionale, che è stato e resta un , valore da tutelare e da rafforzare. Bisogna però dire che un migliore e più forte quadro di autonomia regionale potrà dare una migliore qualità dell'intervento nazionale. Con questo significato, personalmente, ho approvato quei referendum.
Occorre, quindi, garantire nel complesso una più efficiente azione di governo che sappia interpretare le specificità delle diverse Regioni e garantire un coordinamento centrale, non solo nelle materie per le quali ciò è previsto dalla Costituzione, ma anche in una logica di revisione costituzionale, laddove necessaria e più volte in questi, anni auspicata.
Faccio particolare riferimento ed apprezzamento al lavoro della Commissione Affari Costituzionali della Camera, al quale rinvio modalità forme e soprattutto l'approccio che attiene alla modificazione all'inversione delle logiche delle competenze regionali e delle competenze statali.
Il secondo fronte di rapporto e di riflessione profonda della Regione che ho individuato è uno degli aspetti più difficili: il rapporto con i Comuni e le Province. Gli elementi di riflessione riguardano, ad esempio un utilizzo approfondito della legge 142 che è una legge difficile evidentemente deve essere elemento di particolarissima riflessione da parte delle Regioni, perché non è una legge a carattere regionalista, ma è una legge che impone alla Regione di riflettere sul rapporto con Comuni e Province. E' necessario approfondire, quindi, quale tipo di Regione vogliamo nei loro confronti: una Regione che delega - e allora le deleghe vanno date - oppure un Ente di alta gestione - e allora questa va impostata e fatta dalla Regione - il che comporterà per l'esecutivo regionale un alto sforzo di buon governo verso il Consiglio regionale e all'interno stesso della sua maggioranza.
Il rapporto con i Comuni e le Province è un nodo importante per il ruolo e la "popolarità" stessa della Regione verso gli Enti locali, nodo che non è ancora stato definito.
Il terzo fronte è quello dell'autoriforma interna della Regione. Essa riguarda la Giunta regionale, così come il Consiglio, nonch l'atteggiamento - ed è una questione della quale sono profondamente convinta - dei singoli Consiglieri verso la loro funzione. Certo, vi è un problema istituzionale, di procedure, di leggi e regolamenti centrali e regionali vecchi e superati, ma vi è anche un problema relativo alla consapevolezza del proprio ruolo elettivo di membri di un'assemblea elettiva; che reciprocamente dobbiamo aiutare a rivalorizzare. Autoriforma della Regione, di qui potenziamento dei ruoli rispettivi per un'azione, per una Regione complessivamente più forte.
Ho avuto modo di dire in Conferenza dei Capigruppo che questo dibattito di per sé potrebbe anche non avere alcuna importanza se lo limitassimo ad un aspetto del problema. Ha invece un senso se riflettiamo in maniera concreta e per una scelta profonda su cosa la Regione deve essere nel suo insieme, come Giunta e come Consiglio, nei rapporti tra loro, e in tante altre aspettative, nel modo in cui i Consiglieri regionali si pongono di fronte al loro modo di essere e di operare in quest'assemblea elettiva negli spazi che evidentemente ognuno di noi può ricoprire.
Un ruolo, quindi, del Consiglio regionale che dovrà discutere su questioni di interesse generale, sui piani e sulle leggi evitando la quantità delle piccole questioni, che oggi sono una parte ancora troppo ampia dei lavori del Consiglio regionale, che dovrebbero certamente essere guardate dalla Giunta nel suo insieme.
Anche il ruolo delle Commissioni è un punto estremamente delicato; le Commissioni devono essere una sede legislativa vera e non di stanca ratifica di progetti che sovente non sentono come propri. E' un problema anche il numero delle Commissioni (anche qui dobbiamo guardare la realtà in faccia), esigenza che si può soddisfare, ma che graverebbe ancora di più su alcuni piccoli Gruppi. Quindi dobbiamo trovare una dimensione giusta perché se un Consigliere dovesse scegliere di partecipare ai lavori di un numero più vasto di Commissioni, si porrebbero problemi organizzativi che rischiano di diventare di carattere politico.
E' inoltre necessario un rafforzamento dell'esecutivo che si confronta con il Consiglio regionale sui grandi temi e sui criteri della grande progettualità; un esecutivo che, dal rispetto del principio statutario dell'autonomia funzionale del Consiglio regionale, non può che trarre vantaggi nei rapporti politici, istituzionali e operativi.
Altro punto importante è quello degli strumenti; di qui l'esigenza di rivedere lo Statuto ed il Regolamento nelle forme che poi il dibattito porterà ad individuare. Un nuovo rapporto con il Parlamento e il Governo con i Comuni e le Province, lo stesso processo di autoriforma del modo di essere dei diversi organi regionali, sono tutti aspetti che richiedono grandi interventi.
Sono necessari interventi di segno istituzionale e, se questi interventi verranno fatti, dobbiamo essere consapevoli che essi non potranno essere indolori perché le modificazioni necessarie sono profonde se si fanno, si cambiano le regole del gioco; se si cambiano le regole del gioco, si cambiano i rapporti politici, i rapporti istituzionali e i modi di comportamento.
Sono tuttavia convintissima, e spero di riuscire a trasmettere ai miei colleghi del Consiglio regionale l'entusiasmo che ho dentro di me, che sia necessario tentare questa strada complessiva nell'interesse della comunità regionale che ci ha eletti, che è il punto di riferimento che dobbiamo avere, ripeto; in un quadro di unità nazionale.
Ma le istituzioni non cambieranno, i dibattiti saranno tempo perso, la modificazione di leggi e regolamenti sarà inefficace se ognuno di noi non sarà convinto e non si sentirà protagonista di questo livello riformatore.
Il Consiglio regionale sceglierà i suoi percorsi. Sono tuttavia convinta che, quando ci si muove in un incarico che la collettività ci ha dato, sia indispensabile credere in ciò che si fa, battersi per le proprie idee, rispettare il lavoro degli altri, lavorare in un rapporto franco e continuo con la comunità che si rappresenta. Penso che queste siano condizioni indispensabili per un buon Consigliere e per un buon amministratore, quindi per il ruolo del Consiglio e della Giunta, anche nell'applicazione delle competenze e degli strumenti che già oggi abbiamo.
La riforma regionale e il rilancio dei ruoli che in essa esistono devono nascere, in sostanza, dentro di noi, non essere un vago esercizio oratorio cui non si è riusciti a sottrarsi.
Con questo spirito, che mi auguro sia condiviso dai colleghi del Consiglio regionale, apro questo dibattito; un dibattito che ritengo possa essere molto importante. Sono convinta che se crediamo in quello che facciamo e riteniamo di poter dare a quello che facciamo il massimo del nostro contributo di uomini e di donne, riusciremo a incidere sulla realtà sia essa una realtà meramente operativa, sia essa l'altissimo valore della realtà politica nella quale dobbiamo operare.



ROSSA Angelo

Plaudo al Presidente, che ha avviato un dibattito importante.



PRESIDENTE

Ringrazio il Consigliere Rossa. La sua familiarità e il suo affetto aiutano sempre.
Il Gruppo PDS ha presentato una mozione; credo sia opportuno, per l'illustrazione, dare la parola al Capogruppo del PDS, che ringrazio per la sensibilità dimostrata.
La parola al Consigliere Monticelli.



MONTICELLI Antonio

Vorrei aprire questo intervento, che formalmente non sarà un'illustrazione della mozione (poi motiverò questa scelta di taglio dell'intervento), con un ringraziamento alla signora Presidente Spagnuolo che con le sue parole e la sua introduzione ha voluto dare un rilievo particolare a questo nostro dibattito. Come ricordava il Presidente, questo dibattito si apre perché il nostro Gruppo, nel giugno dello scorso anno, ha presentato una mozione sui problemi attinenti al ruolo e al funzionamento del Consiglio regionale, ma è del tutto evidente - condivido pienamente questa sottolineatura che il Presidente ha fatto - che-parlare di Consiglio regionale è oggi impossibile se non si parla di riforma istituzionale, di ruolo della Regione, quindi se non si allarga il discorso a questioni ben più ampie.
Avevamo presentato la mozione nel giugno dello scorso anno, anche perché sollecitati da una sensazione che non ci sembrava solo nostra: l'esistenza di un problema, di un malessere che questa nostra assemblea fin dall'inizio della nuova legislatura, ha sentito e cominciato a vivere.
In parte era un lascito dei tempi precedenti, della scorsa legislatura, ma c'era qualche elemento di novità, qualche sensazione nuova di difficoltà e di problemi: ci siamo allora mossi, abbiamo ragionato e cercato di impostare la nostra mozione, che, come i colleghi avranno visto, è un testo molto articolato (qualcuno può addirittura considerarlo troppo pignolo) concreto nelle proposte e nelle indicazioni operative.
Dietro questo testo, dietro questa impostazione c'è un ragionamento che credo sia opportuno esplicitare fino in fondo in questo Consiglio; in questa discussione, e che sarà l'oggetto fondamentale della mia illustrazione.
Non intendo ripercorrere nel dettaglio il testo della mozione perché i colleghi lo conoscono: mi sembra più importante, più utile cercare di esplicitare quello che c'è dietro la mozione.
Per noi la questione principale, quella da cui siamo partiti, riguarda appunto la questione del ruolo della Regione. Voglio essere più chiaro: non il ruolo della Regione in astratto, ma il ruolo della Regione in questo momento, in questa fase, in questi anni e nei prossimi due, massimo tre anni.
Nella relazione alla nostra mozione c'è una frase che vorrei sottolineare, la quale definisce la V legislatura regionale come una legislatura che deve avere un carattere costituente e definisce questo periodo per le Regioni come una fase costituente. Noi siamo convinti che questa caratterizzazione di fase costituente, di legislatura costituente nasca da dati oggettivi, con i quali siamo comunque costretti a fare i conti.
Vado evidentemente per cenni molto rapidi, senza poter motivare tutti i ragionamenti e le affermazioni che faro.
Innanzitutto c'è un mutamento strutturale, culturale e già in parte istituzionale profondo, a livello europeo non solo nazionale, che spinge verso la valorizzazione, a livello di competizione economica dell'espressione politica, dei ruoli istituzionali, dei cosiddetti sistemi regionali.
Questo ha già cominciato a corrispondere a un nuovo ruolo o per, lo meno a un movimento, a un processo che tende al nuovo ruolo delle Regioni nella costruzione dell'unità politica ed economica dell'Europa; se n è avuto un segno solenne, importante e significativo a Strasburgo qualche mese fa (una nostra delegazione ha partecipato ai lavori dell'Assemblea delle Regioni d'Europa), e c'è stato un primo riscontro anche nei nuovi trattati che i Governi d'Europa hanno deciso di attivare per l'immediato processo di costruzione dell'Europa politica.
Nel 1990 è stata approvata la legge n.142; legge che, giustamente io dico, molti hanno definito antiregionalista, ma che costringe le Regioni a fare i conti con un problema non più sopportabile nella sua configurazione attuale, quello di livelli istituzionali che non hanno più rapporti equilibrati fra loro. Nel momento in cui la legge n. 142 esalta giustamente, i ruoli dei Comuni e delle Province, la Regione, stretta sotto il peso del centralismo nazionale, o trova nuovi ruoli o è inevitabilmente destinata a estinguersi.
Inoltre, si è avviato un dibattito politico-istituzionale; il tema del regionalismo è diventato ormai di grande attualità, si è imposto nell'agenda della discussione sulle grandi riforme istituzionali complessive che si dovranno avviare nel nostro Paese nei prossimi tempi.
Questo ha avuto dei primi effetti particolarmente importanti e significativi, quali il testo elaborato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, il documento dell'Assise di Venezia, ecc.
Questi sono i primi pilastri di un progetto di nuovo assetto regionalista dello Stato italiano (che qualcuno definisce già di tipo quasi federale), altri possono accentuare in modo diverso questo problema, ma è comunque una grande riforma quella che si prospetta di fronte a noi: e c'è poi una questione che vorrei sottolineare con particolare forza; anche perché ieri abbiamo votato su questo.
Le Regioni italiane che hanno scelto di proporre i referendum per l'abrogazione di quattro Ministeri hanno compiuto una scelta che pone la questione del regionalismo con tempi ormai definiti. Entro due anni, se la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale non eccepiranno dal punto di vista della legittimità, quei referendum si dovranno fare e questo definisce anche i tempi del processo di riforma regionalista del nostro Stato.
Tutto questo ci fa dire che la fase costituente c'è, indipendentemente dal fatto se ne abbiamo coscienza o meno. Mi permetto di dire che ho l'impressione che, a volte, questa coscienza sia insufficiente a livello della nostra Regione. Ma, come tutti i processi politici profondi, anche questa fase costituente non è affatto scontata dal punto di vista degli esiti. Lo diceva prima il Presidente, non è scontato che la svolta, che comunque ci sarà, sarà una svolta che poi produrrà effetti positivi dal punto di vista di un nuovo ruolo delle Regioni e questo anche per una ragione precisa e specifica: è evidente e chiara la contraddizione fra il massimo di apertura che mai come oggi è stato grande, alto sulla prospettiva di un nuovo regionalismo: mai come oggi si è impostato il tema delle Regioni con uno spettro così ampio di significato istituzionale e complessivo: mai come oggi si è impostato il problema delle Regioni in termini di competenze, di ruolo centrale a livello nazionale ed Europeo: ma, dall'altro lato, siamo al minimo storico di credibilità e di consenso attorno alle Regioni italiane. Mai come oggi le Regioni sono in basso dal punto di vista della credibilità e del consenso.
Per questo ritengo che, se si vuol vincere questa sfida, se si vuol stare nella fase costituente in modo da costruire uno sbocco positivo a questa fase, è decisivo come le Regioni si muoveranno, in questi due-tre anni, quale ruolo incominceranno a prefigurare fin da ora per il futuro e come incominceranno a concretizzare, a dare senso e visibilità a questo ruolo rispetto al resto delle istituzioni e all'opinione pubblica e quali consensi e quali alleanze le Regioni riusciranno a raccogliere nella società regionale, fra le autonomie locali, rispetto a questa prospettiva e questo nuovo ruolo.
Il punto di partenza dal quale oggi ci muoviamo è molto basso. Credo posso sbagliarmi, ma sono purtroppo convinto di questo - che gli enti locali in generale temano di più il centralismo regionale che non il centralismo dei governi nazionali, perché il nostro è un centralismo più vicino, e quindi può essere sentito come più soffocante che non il centralismo regionale. Credo che la società statale oggi giudichi le Regioni poco più che un ente inutile.
Quindi, il problema ce lo giochiamo su un terreno che io chiamo dell'autorevolezza e del prestigio. Se sapremo rapidamente recuperare autorevolezza, prestigio e consenso, se vogliamo che questa fase arrivi a risultati positivi, non possiamo chiudere gli occhi su questo punto, non possiamo fare in modo che si ritenga che la rivendicazione di un nuovo potere delle Regioni sia una rivendicazione di poteri da parte di un ceto politico che si sente debole rispetto a ceti politici più forti nel sistema politico italiano. Non possiamo dare in alcun modo questa impressione.
Corriamo il rischio invece di dare proprio questa impressione e da alcuni è sentita così la questione del nuovo potere delle Regioni.
Allora, come recuperare autorevolezza, prestigio e consenso? Intanto dobbiamo recuperare gli elementi fondamentali dell'impostazione del ruolo delle Regioni che ci sono già nell'attuale Costituzione, che prefigurano le Regioni come organi di legislazione. E questo vuol dire fare leggi vere non leggi che sono in realtà dei regolamenti, non leggi che sono in realtà delle deliberazioni di spesa, ma leggi che indichino elementi generali di organizzazione della società nelle materie sulle quali la Regione pu legiferare. Significa fare programmazione vera ed operativa alla quale s'indirizzano le attività concrete di amministrazione e non una programmazione astratta che non arriva mai a concretizzarsi in atti oppure cosa che prevale oggi - un'attività amministrativa svincolata da qualsiasi criterio di programmazione e progettazione generale.
Significa incominciare a concentrare l'attività amministrativa della Regione - che certo non potrà mai essere eliminata qualsiasi potere abbia sulla cosiddetta alta amministrazione, che è ben diversa dall'am ministrazione che ancora oggi porta avanti in tanti campi la Regione, che è amministrazione minuta, non alta amministrazione. E significa riconquistarsi una capacità, un'incisività politica, un ruolo politico che in parte la Regione ha perso.
Pongo un problema che, secondo me, è un nodo centrale a cui già accennava il Presidente del Consiglio prospettando i due corni del problema: oggi ci giochiamo gran parte di questa questione nel rapporto con gli enti locali sulla questione delineata in modo più forte e più netto dalla legge n. 142 (e non possiamo scordarlo). E' la questione del riparto delle funzioni fra Regione e autonomie locali, e la questione delle deleghe: la legge n. 142 dà delle indicazioni su questo punto che sono più forti della stessa Costituzione. Indica non la possibilità, ma la norma della delega. Ma cosa abbiamo fatto finora su questo punto? Ed è su questo che ci giochiamo nell'immediato il consenso delle autonomie locali e una battaglia regionalista comune che veda noi capofila di questa battaglia.
Questo poi ha un altro risvolto: vuol dire riqualificare il nostro ruolo, riportarci ad un ruolo nostro, specifico ed originale e non far continuare, in una trasformazione progressiva della Regione in un grosso Comune, il processo portato avanti in questi anni. Per questo abbiamo indicato delle priorità che sono politiche, ma che devono tradursi nella vita e nell'attività del Consiglio: la priorità della revisione legislativa, l'intero corpo legislativo della nostra Regione va rivisto sotto questa luce, perché ridefinire il ruolo concreto, affrontare la questione delle deleghe e del riparto di funzioni vuol dire rivedere l'impianto legislativo attuale, oltre che definire nuove leggi. Vuol dire applicare con nuovo spirito, coraggioso ed innovativo, la legge n. 142, e non invece come se ogni volta che ci muoviamo su questo terreno fosse quasi una costrizione dolorosa. Vuol dire necessariamente evidenziare che tutto questo comporta un ruolo centrale del Consiglio, perché se il compito fondamentale che avremo di fronte nei prossimi due-tre anni sarà quello di rivedere l'intero corpo legislativo della Regione, ciò vorrà dire impegnare il Consiglio in un'attività intensissima di tipo legislativo, di indirizzo generale, e questo comporta necessariamente un ruolo nuovo del Consiglio una nuova centralità, non perché sia più importante, ma perché è una delle cose da fare nei prossimi due o tre anni. Questo è il nostro tipo di ragionamento, non il tentativo di tirare la corda in quella che mi sembra una guerriglia avvilente fra Consiglio e Giunta, fra Consiglieri che sono solo Consiglieri e Consiglieri che sono Assessori, guerriglia che coinvolge non soltanto l'opposizione contro la Giunta, ma Consiglieri degli stessi Partiti di maggioranza che siedono in Giunta. Non è su questo terreno che il Consiglio può recuperane il proprio ruolo. Esiste una responsabilità collettiva e di ognuno, non solo dei Consiglieri che non fanno parte della Giunta, ma anche della Giunta stessa. Se la Giunta pensa di recuperare un ruolo all'istituto Regione soprattutto sul terreno dell'amministrazione, è chiaro che la questione scade di livello. Finora cosa abbiamo saputo, fare per avviare questo nuovo ruolo, per proporre un nuovo terreno di confronto fra Giunta e Consiglio ed un nuovo ruolo dei Consiglieri della maggioranza che non sono in Giunta? Altrimenti, diventa un problema di quale delibera la Giunta ha fatto, di quale ruolo ha avuto il Consigliere di una determinata area territoriale rispetto a quella delibera, del perché la questione non è stata affrontata o non si è informato un certo Consigliere di un certo collegio elettorale e via dicendo: questioni che avviliscono il nostro ruolo, a qualsiasi Gruppo si appartenga.
Ricordo, infine, che nella nostra mozione è presente il problema delle Commissioni legislative del Consiglio: è chiaro che fino a che le Commissioni saranno gestite come sono gestite - ci possono essere anche lodevoli eccezioni da questo punto di vista - qualcosa nel meccanismo continuerà a non funzionare. Queste Commissioni, troppo spesso rappresentano un momento di trasmissione di proposte della Giunta con la speranza che vengano mandate al più presto in Consiglio. Ma dov'è il vero ruolo della Commissione? Questo ha a che fare con una concezione generale del ruolo del Consiglio e con una scelta che continuo a giudicare errata quella di riservare alla maggioranza le presidenze delle Commissioni. In quel modo si dette un segno alle Commissioni, si disse che le Commissioni devono funzionare agli ordini della Giunta. Le Commissioni sono invece uno strumento del Consiglio; non sono il braccio operativo della Giunta in Consiglio; si è invertito un meccanismo, si è compiuto un errore istituzionale oltre che politico che va in qualche modo recuperato. Accenno solo alcune delle cose che poi altri colleghi del mio Gruppo approfondiranno. C'è il problema del ruolo politico del nostro Consiglio.
Credo che si dovrebbe studiare il modo di dare più consistenza e dignità ai nostri lavori e quindi l'ipotesi di lavorare per sessioni, l'ipotesi di organizzare delle sessioni attorno a gruppi omogenei di problemi, di fare in modo che quello che si dice in Consiglio possa avere un impatto maggiore all'esterno anche perché organizzato in un certo modo. Non possiamo pensare che soltanto con misure regolamentari, che so aver suscitato ieri le ira di qualche collega, si possano risolvere questi problemi anche se si tratta a mio avviso - di misure necessarie.
Termino il mio intervento, Signor Presidente e colleghi, dicendo quali obiettivi concreti ci poniamo presentando questa mozione: certamente quello di aprire una discussione, una riflessione che oggi credo possiamo svolgere proficuamente; avviare un confronto che abbia necessariamente un contenuto molto generale e io sono il primo a riconoscere questa dimensione generale dei problemi. Insisto su un punto, però, e cioè io credo alle discussioni generali se poi hanno dei punti concreti di approdo, che siano verificabili e che abbiano anche tempi definiti, perché altrimenti sono solo una discussione per sentirci tutti più buoni, ma che non produce risultati. Ci aspettiamo quindi un confronto generale che giunga a dei risultati. Credo che noi potremo ragionevolmente, sulla base della discussione di oggi arrivare a definire alcuni primi orientamenti di un modo nuovo di funzionare del Consiglio e di un ruolo nuovo della Regione: definire scadenze; sedi in cui continuare il confronto e arrivare in tempi politici certi a definire tutta una serie di misure, di atti e di decisioni che consentano di fare un passo avanti per la nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marino.



MARINO Massimo

La discussione di oggi nasce in parte da problematiche più interne al ruolo del Consiglio e in parte da problematiche che riguardano i referendum sui quali ieri ci siamo espressi. Su questi argomenti, in coincidenza con l'assemblea dei Consigli Regionali a Venezia, erano stati presentati numerosi documenti, ordini del giorno e mozioni. Chiedo che questi documenti, che sono attinenti al dibattito di oggi, vengano resi disponibili ai Consiglieri e ai giornalisti. Al momento esiste soltanto uno dei documenti che riguardano questi argomenti. Erano stati presentati un ordine del giorno da me, un altro ordine del giorno dai tre Consiglieri del Gruppo Verde, e ricordo che ce n'erano altri. Chiedo che questi documenti vengano messi a disposizione di chi ne faccia richiesta oppure che ci si dica che dobbiamo provvedere da soli.



PRESIDENTE

Mi dicono dagli uffici che lo stanno facendo.
La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente e colleghi, propongo che in questo dibattito si faccia uno strappo alla regola che prevede un solo intervento per Consigliere. Spiego perché. Ci sono almeno tre Gruppi che sono rappresentati da un solo Consigliere in aula; quindi, immaginando che gli altri Gruppi non solo faranno più interventi, ma avranno la possibilità di cambiare il loro modo di porsi in relazione al dibattito, mi sembra che dovrebbe essere consentito, qualora fosse indispensabile ai Gruppi che hanno un solo Consigliere in aula, un ulteriore brevissimo intervento per poter aggiustare quella che è stata la loro posizione all'interno del dibattito.



PRESIDENTE

Credo che il Consiglio non abbia difficoltà, anche perché questa richiesta va nella logica dell'approfondimento e nel credere a questo dibattito. La ringrazio.
La parola al Consigliere Picchioni.



PICCHIONI Rolando

Signor Presidente, nel ripensare all'autonomia regionale ed alle sue vicende occorre considerare, a mio avviso, un lungo periodo scandito da una profonda cesura. Il periodo è quello che va dall'emanazione della nostra Carta costituzionale ai giorni nostri ed accompagna l'evoluzione dell'ordinamento repubblicano per quasi nove lustri, all'incirca lo spazio di due generazioni; la cesura è quella che separa la lunga fase d'inattuazione della Costituzione, che si conclude intorno agli anni '70 da quella del suo completamento, che è segnato dalla messa in essere dell'ordinamento regionale. Da quella data ad oggi è passato quasi lo spazio di una generazione, e all'Ingenuo messianismo delle istituzioni che aveva accompagnato il sorgere delle Regioni è seguito quasi un disincanto.
Tant'è che oggi si afferma la tendenza ad una riflessione severa su quello che sono o potrebbero essere le Regioni nel nostro Paese. Si dice, oggi che occorre restituire alle Regioni le funzioni di direzione politica e di alta amministrazione - l'ha ricordato un momento fa il Consigliere Monticelli - che sono loro propriamente congeniali, e si aggiunge che devono essere ulteriormente dilatate le loro competenze legislative.
Sembra di sentir echeggiare, con l'appello ad una nuova fase costituente, l'eco di vecchie canzoni, quando invece occorre partire dal quadro nuovo di una realtà in evoluzione e considerare le sfide che da essa sono poste.
Un primo punto tocca la tendenza verso un'ulteriore dilatazione delle competenze legislative; diceva il compianto ed apprezzato studioso della nostra città, Franco Levi, che la potestà legislativa delle Regioni in Italia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, è ampia per estensione, ma depressa in quanto a profondità e capacità di incidenza.
Guardiamo le leggi prodotte dalle Regioni in questi vent'anni: sono per lo più provvedimenti mirati all'erogazione di benefici, veri e propri atti amministrativi vestiti da legge, privi di quel valore che i Costituenti avevano previsto nel loro disegno, quello di attribuire alla legislazione regionale la disciplina di tutte quelle scelte relative alle funzioni essenziali dello Stato, quali la difesa, la politica estera, la giustizia l'ordine pubblico, etc.
In altre parole, fatte le leggi-quadro, che avrebbero assunto il valore di leggi di riforma strutturale a livello di principi, lo Stato sociale sarebbe rimasto nella competenza delle Regioni con la possibilità di adattare alle singole realtà i principi decisi dal Parlamento.
Ciò non è stato e, paradossalmente, la competenza regionale è rimasta schiacciata da tre elementi. Il primo. L'incertezza sui principi e la mancanza di leggi-quadro: illusorio è stato - dicono alcuni - Il rimedio dall'art. 17 della legge finanziaria, perché ritrovare quei principi nella legislazione dello Stato è un'operazione alquanto complessa, che priva le Regioni di solidi punti di riferimento e pone la legge regionale senza difese possibili nel caso di successive emanazioni di leggi-quadro a contenuto più restrittivo. Esemplare - ricordano - fu il caso della legge quadro sul turismo e dell'esito negativo dei ricorsi delle Regioni alla Corte costituzionale.
Il secondo. La previsione di una potestà statale di indirizzo e coordinamento sconosciuta alla Costituzione, ma desunta dall'art. 5 del testo costituzionale e legittimato dalla Corte, proprio per recuperare a livello di interventi episodici, quindi di tipo esistenziale, la mancanza di limiti certi a livello normativo.
Il terzo. La negazione sul piano pratico di ogni rilevanza della potestà tributaria delle Regioni, con la previsione mistificante dei tributi propri intesi come semplice competenza a variare l'aliquota, mentre è ben noto che, data la stretta corrispondenza tra potestà legislativa e capacità impositiva - ricordiamo, l'art. 23 della Costituzione - anche alle Regioni poteva e doveva essere riconosciuta competenza tributaria nelle materie di competenza legislativa, sempre nell'ambito di nonne generali di coordinamento, ma non di soffocamento o di annullamento della capacità impositiva che pure la Costituzione prevede.
Da ciò l'irrisorio peso dei cosiddetti tributi propri nel bilancio regionale, stimato meno del 10% del totale, e l'assoluta prevalenza della finanza di trasferimento,vera e propria elusione legalizzata dell'autonomia regionale e, al tempo stesso, rottura del circuito di responsabilità politica che fa giudicare un'ammini-strazione ed un governo sul modo in cui fa rendere il prelievo fiscale sul piano dell'accortezza degli investimenti e dell'efficienza dei servizi.
A ciò si aggiunga che tale modello, sostituendo un ceto elettivo a funzionari del Governo centrale decentrati localmente, ma non dando al nuovo ente la signoria sulle entrate e sulla spesa, è valso ad ottun-dere il senso di responsabilità e a giustificare quanti criticano la mancanza di ricaduta a livello di decisione sul territorio regionale del prelievo fiscale destinato a colpire i ceti produttivi locali.
Ne discende l'appiattimento della Regione sulla gestione amministrativa, l'incapacità di una linea politica e di alta amministrazione, il dinamismo mancante, l'ipertrofia burocratica ed amministrativa.
La strada per uscire da questa situazione, che rischia di travolgere la stessa legittimazione dell'istituzione regionale, non sta dunque nel ripercorrere le antiche strade e; soprattutto, nel non ripetere la canzone dell'antico messianesimo, quasi un fideismo tecnocratico nelle formule di competenza giuridica per chi ormai non è più sicuro delle proprie ideologie.
Occorre, a nostro avviso, partire da una serie di problemi concreti: a) in primo luogo i mezzi. A questo proposito occorre rivendicare un'effettiva potestà di imposizione in capo alle Regioni, posto che esse hanno competenza legislativa collegandole - appunto - alle materie loro attribuite dalla Costituzione ed eventualmente, secondo quanto dice l'art.
117 della Costituzione, da altre leggi dello Stato nelle singole materie.
Negli Stati federali - ricordano i costituzionalisti - Svizzera Germania, Stati Uniti e adesso anche Australia, la potestà impositiva degli Stati membri porta ai governi locali circa il 30% del loro fabbisogno creando In tal modo un momento assai rilevante di autonomia politica sull'uso delle risorse locali e consentendo altresì la responsabilizzazione dei governi locali, e quindi delle classi politiche che lo esprimono, verso gli elettori.
Si può pensare così ad un inizio di rapporto nuovo e più serio, quasi un patto di correttezza nell'uso delle risorse di derivazione locale fra elettori ed eletti in termini di trasparenza.
b) In secondo luogo, dopo i mezzi, l'attività. E' chiara che la Regione dovrà dotarsi di una politica e che questa dovrà imperniarsi sulla prevalenza dei grandi progetti infrastrutturali e sociali, costringendo a ripen-sare i rapporti delle Regioni fra di loro, con la conseguenza che non ogni materia oggetto di accordo interregionale diventerà solo di competenza statale (e questa è stata anche una valutazione della Regione lombarda).
Tutto ciò una volta accertata la competenza regionale (vedi la L 142 in riferimento agli enti locali e con gli enti d'istituzione sovrannazionale che operano in materia di competenza regionale) e non essendo quindi necessaria una qualunque interposizione da parte dello Stato, poiché esiste pur sempre un trattato, un atto di competenza statale a legittimare tali rapporti sul piano concreto.
Allo stesso modo, sul piano dell'incidenza sul territorio della potestà legislativa regionale, diventa attuale, nel quadro delle grandi scelte strategiche degli organi costituzionali della Regione (Giunta e Consiglio) tutta una serie di selezioni di interventi d'incentivazione e di indirizzo secondo un rapporto di sussidiarietà rispetto alla società civile, fondata sulle dinamiche delle varianti endogene del territorio. In questi termini ove già siano presenti competenze a livello di erogazione di organi dello Stato in materia indiscutibilmente e strategicamente di appartenenza statale, la sussidiarietà regionale avrà un ulteriore elemento di selezione e di affinamento. Si potrebbe dire, usando una formula semplificatrice, ma non semplicistica, quanto detto agli inizi degli anni'50: "Faccia la società civile fin dove può e la Regione ove questa non può", aggiungendo ancora: "Faccia la Regione quanto può ove lo Stato non sia in grado di provvedere in conformità al livello di sviluppo che la società civile ritiene indispensabile nel proprio territorio regionale".
c) Le condizioni esterne di operatività. Occorre considerare che taluni Ministeri, quelli per intenderci che incidono maggiormente nell'attività esterna in materie di competenze regionali, agricoltura, turismo spettacolo, sanità ed altre ancora, non sono più giustificati. Ieri abbiamo preso un provvedimento formale anche noi, in proposito. Potrebbero bastare per le funzioni pur necessarie di uniformità di talune scelte strategiche dei corrispondenti dipartimenti presso la Presidenza del Consiglio, formati con personale altamente efficiente e specializzato. Aggiungiamo che le Regioni, di fronte all'eventuale perdurante inerzia delle Camere potrebbero farsi portatrici di proposte unitarie di leggi-quadro destinate ad avere profondo contenuto riformatore. Tale decisione, ove producesse effettivamente un completo quadro di riferimento sul piano della legislazione di principio, potrebbe addirittura portare all'abolizione della potestà statale di indirizzo e coordinamento, una volta potenziata ed affermata l'autonomia regionale mediante i limiti ed i punti di riferimento certi della normativa di principio dello Stato.
d) In quarto luogo. í mezzi istituzionali. Essi si possono concentrare su queste linee di intervento: rapporti Giunta e Consiglio, se n'è parlato parecchie volte, ne ha parlato anche adesso il Capogruppo del PDS. Occorre chiudere, a nostro avviso, con la fase del governo assembleare. Il Consiglio deve controllare, la Giunta deve operare. Entrambi verranno giudicati dagli elettori e con essi la classe politica che h esprime nonché la maggioranza che li sottende per i risultati conseguiti. La separazione delle competenze non può essere confusa. Oggi si parla di rafforzamento dell'esecutivo e di determinazione dei circuiti di responsabilità. L'assemblearismo è contro tale tendenza ed oggi trova sempre meno giustificazione plausibIle. I ruoli devono essere distinti e l'efficienza dei rispettivi risultati ne sigilla la rispondenza rispetto all'interesse pubblico e della base popolare.
e) Rapporto Regione ed enti locali. E' nota la vicenda delle deleghe ed occorre rivedere il problema su basi nuove. Esse devono, per quanto possibile, essere correlate a piani, programmi di intervento e non avere carattere definitivo. Anche in questo caso, sono i risultati che giustificano la delega e ne legittimano la permanenza nel tempo. Il tema è tale, dunque, da consentire il passaggio dall'alta riservata alle Regioni e l'attuazione concreta delle scelte affidata agli enti locali, perché solo con tale mezzo e consentito di individuare quali sono le materie di interesse esclusivamente e prevalentemente locale da attribuire a Province Comuni ed altri enti locali, rispetto alle quali la legge n. 142 ci offre determinati spunti di riflessione.
f) Controlli. Occorre ridurre al massimo, ma non eliminandoli del tutto, i controlli preventivi di legittimità, ma aggiungere o sostituire ad essi i controlli sui risultati conseguiti, che valgono a rafforzane i circuiti di responsabilità politica anche in funzione di trasparenza. Sul piano dei controlli fra Stato e Regione Il meccanismo attuale lascia molto insoddisfatti. Leggi incostituzionali, ma spesso importanti, sono passate indenni al vaglio governativo, mentre gli uffici centrali si sono spesso accaniti in bizantinismi formali. Meglio sarebbe consentire l'impugnativa diretta alla Corte costituzionale, in caso di inerzia da parte del Governo entro un temine breve.
Signor Presidente, questi sono alcuni contributi che le sue riflessioni, nonché la mozione del PDS, hanno sollecitato e promosso.
Riflessioni che si aggiungono a quanto ieri e oggi le diverse forze politiche hanno osservato. Il dibattito sul regionalismo, o sul nuovo regionalismo, non è che un'anticipazione su un iceberg istituzionale di cui nessuno di noi, forse, conosce la dimensione e la profondità. E' un dibattito che coinvolge certamente una parte importante della storia della prima Repubblica, che coinvolge anche la "grande incompiuta", come potremmo chiamare oggi la Regione. E' un dibattito che coinvolge una parte dei mali oscuri della società italiana, o della società politica, della sua accidia tanto più tetra quanto meno rassegnata. Ma contro un pessimismo radicale pronto a chiudere il Paese legale ed il Paese reale in un gioco inerte di specchi, dove la mediocrità dell'uno è destinata a riflettersi nella mediocrità dell'altro, dobbiamo usare il sistema politico anche in questa sede per promuoverne uno più efficace, senza interrompere la continuità morale è politica dello Stato, vale a dire facendo, uscire dal mausoleo dove sono state rinchiuse, tane speranze del cittadino Ignoto, e restituendo alle istituzioni l'ultimo volo della loro possibile utopia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Fiumara.



FIUMARA Francesco

Signor Presidente, credo che questo dibattito non sia una giaculatoria ed è per questo che mi permetto amichevolmente di stigmatizzare le numerose assenze nei banchi della Giunta. E' vero, oggi non approviamo delle deliberazioni, ma credo che la Giunta sia la prima ad essere interessata a questo dibattito.
L'introduzione fatta dalla Presidente Spagnuolo ha fornito ulteriori elementi di discussione, e ritengo che la proposta di mozione per il rilancio del ruolo del Consiglio regionale, presentata dai colleghi del PDS, meriti un'approfondita analisi. Questa proposta, al di là dei contenuti rispetto ai quali nutro molte riserve, ha il merito di aprire un dibattito sui temi attuali del regionalismo. Là mozione oggetto di discussione, secondo il mio modo di pensare, rimane ancorata all'interno dell'attuale sistema ed i suggerimenti, seppure lodevoli, sono poca cosa rispetto alla necessità, sempre più urgente, di giungere a mutamenti profondi rispetto al desolante tirare a campare delle Regioni, così come esse sono oggi.
Noi riteniamo che una fase costituente della Regione non debba limitarsi solo al potenziamento del ruolo del Consiglio e ad esaltarne la sua centralità. Crediamo che, parallelamente a questo, si debba pensare di potenziare il ruolo dell'esecutivo: La pratica consociativa ed assembleare lo ricordava prima il collega Picchioni - oggi più che mai è nociva ad un serio e corretto sviluppo delle istituzioni. D'altro canto, a livello comunale la legge n. 142 non fa altro che dare maggiore potere all'esecutivo, definendo in modo chiaro i compiti e le prerogative del Consiglio regionale e della Giunta. Da più parti si sente dire che la Regione si deve spogliare di tutte le attività gestionali che possono essere svolte in ambito locale e questo ragionamento mi pare ovvio. Ma i colleghi si sono mai chiesti cosa rimarrebbe dell'istituzione Regione se si applicassero quelle indicazioni, ferme restando le attuali competenze? Altro che esaltazione del ruolo del Consiglio! A quel punto potremmo riunirci una volta l'anno per approvare gli stipendi ai dipendenti.
E visto che giustamente si richiama la legge n. 142 per quanto attiene la creazione dell'Area Metropolitana, credo siano necessarie alcune considerazioni anche su questo aspetto. Innanzitutto ' dobbiamo prendere coscienza del fatto che, una volta istituita la Città metropolitana, in pratica si svuota la Regione. Secondariamente, a fatica oggi la Regione regge il confronto con la Città di Torino; figuriamoci dopo, quando ci sarà un'istituzione così forte e con vasti poteri strategici e una regione debilitata, ai limiti del collasso! Con questo non dico di essere contrario alla Città Metropolitana: faccio solo delle constatazioni. Ecco perché ho giudicato insufficiente la proposta della mozione n. 200. Già oggi serve dell'altro alle Regioni; è finito il tempo in cui le Regioni si crogiolavano nell'essere parte bassa dello Stato e parte alta delle autonomie locali, operando nella più completa deresponsabilizzazione di fronte ai propri elettori.
In un recente convegno il Vicepresidente del Consiglio, on. Martelli ha dichiarato che sosterrà nella prossima legislatura la riforma istituzionale partendo da un Parlamento delegato alle sole grandi leggi, e liberato dalle scelte minori che debbono essere delegate ai poteri locali con un'autonomia regionale ai limiti del federalismo. E quello che tutto il PSI vuole e su tale proposta mi auguro si possa trovare la convergenza delle altre forze politiche presenti in Parlamento.
In un'intervista, il nostro Presidente Brizio affermava giustamente che il primo obiettivo della Giunta regionale è quello di riconfermare il ruolo del Piemonte come regione d'Europa, aperta sia verso la Padania sia al di là delle Alpi.
E' indiscutibile che molte Regioni italiane abbiano un ruolo da svolgere anche al di sopra e al di fuori dei confini regionali, ma tutto ciò potrebbe restare lettera morta se il Parlamento è il Governo non capissero l'importanza di questi problemi e non adottassero una normativa nuova, più confacente alla situazione attuale.
Il Consiglio regionale del Piemonte ha votato ieri le richieste di referendum abrogativo delle leggi istitutive dei Ministeri dell'Agricoltura e Foreste, della Sanità, dell'Industria e Commercio, del Turismo e Spettacolo. Questa iniziativa è importante e preziosa; tuttavia ritengo che una vera affermazione del regionalismo si avrà solo quando il futuro Parlamento approverà le proposte di modifica di alcuni articoli della nostra Costituzione, già votate dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, presieduta dal socialista on. Labriola.
Sono modifiche che di fatto capovolgono il criterio di attribuzione delle competenze tra lo Stato e le Regioni e sono tali da scardinare le tendenze neocentraliste di alcune forze politiche. In subordine alle proposte della Commissione Affari costituzionali e in via transitoria si potrebbe ragionevolmente pensare di modificare l'art. 116 della Costituzione, attribuendo a tutte le 20 Regioni italiane forme e condizioni particolari di autonomia, secondo Statuti speciali.
Il Consiglio regionale del Piemonte, chiedendo con forza queste riforme, non lavora per distruggere lo Stato unitario, anzi, quest'ultimo rafforzando le Regioni, rafforza se stesso. La prossima legislatura sarà certamente obbligata ad affrontare le riforme istituzionali, e tra queste quella del trasferimento alle Regioni di più ampi poteri, specialmente in campo finanziario. Siamo convinti che una reale autonomia si avrà solo quando ci sarà una reale autonomia finanziaria non solo sulle spese, ma innanzitutto sulle entrate.
Sul tema del regionalismo si potrebbero dire ancora tante cose e sono certo che ci saranno altre occasioni per poter sviluppare altre tematiche.
Torno invece alle proposte operative riguardanti il nostro Consiglio.
Ritengo molto importante definire meglio il ruolo delle Commissioni consiliari permanenti. L'ipotesi di attribuire alle Commissioni permanenti la funzione redigente è una cosa molto innovativa e sicuramente utile ai lavori del nostro Consiglio. Attualmente le Commissioni lavorano spesso in modo anomalo, in quanto sovente ricalcano gli aspetti più squisitamente politici usuali del Consiglio. Bisognerebbe cercare di limitare questi doppioni di discussione prima in Commissione e poi in Consiglio. Dicendo questo credo di interpretare il pensiero dei colleghi Presidenti di Commissione.
Ciò detto, colgo l'occasione per sollevare un problema molto serio relativo all'assetto della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari.
A tutt'oggi mi risulta che un Gruppo politico goda di particolari privilegi. Mi riferisco alla strana situazione del collega Maggiorotti - al momento assente - il quale, anziché confluire in Rifondazione Comunista come ha fatto l'intero suo ex partito, Democrazia Proletaria, perpetua una situazione insostenibile. O Maggiorotti dichiara pubblicamente di non essere confluito con il suo ex partito in Rifondazione Comunista, oppure rinunci coerentemente ai privilegi indebitamente goduti come Gruppo autonomo. Il rilancio del Consiglio passa anche, attraverso questi aspetti che hanno a che fare più con la coerenza che con la politica.
Sempre legati all'immagine deI Consiglio vi sono altri aspetti, e tra questi vi è il rispetto che si deve a chi presiede questa assemblea. Non operiamo per un rilancio del ruolo del Consiglio quando facciamo finta di niente ai giusti richiami della Presidenza, allorquando nei nostri interventi si esce fuori tema o in presenza di vistosi sforamenti del tempo a noi assegnato.
Signor Presidente Spagnuolo, noi sappiamo, per vecchia conoscenza, che lei è molto appassionata al suo lavoro e, al tempo stesso, sensibile alle richieste che le vengono esposte. Or bene, signor Presidente, faccia tutto il possibile per spostare in altro luogo questo consiglio, usi tutta la sua autorevolezza verso le altre autorità per tirarci fuori da questa buca. La Regione che di più contribuì alla creazione dello Stato italiano, la Regione che conserva la sede del primo Parlamento Subalpino e di quello italiano nello storico Palazzo Carignano, non può e non deve rimanere in questo inadeguato luogo. Il governo del Piemonte merita un'altra sede.
Torino, per fortuna, è ricca di palazzi dove non solo entra la storia, ma anche la luce del sole.
Mi piace concludere questo mio intervento con una frase tratta da un bellissimo libro di Leonida Repaci, fattomi omaggio per le feste di fine anno dal collega Majorino.
Nel lontano 1964, Repaci scriveva: "Solo l'istituzione delle Regioni in un regime di democrazia avanzata che risolva i problemi di svecchiamento delle strutture sociali, dell'industrializzazione, degli investimenti massicci può risolvere la nostra, avvilita società regionale dalla terribile impasse in cui si trova".
Era vero allora quando, con sconfinata speranza, si invocavano le istituzioni regionali ed è vero, purtroppo, anche oggi che le Regioni ci sono.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Grosso.



GROSSO Carlo Federico

No, colleghi Picchioni e Fiumara, su alcuni punti fondamentali ho l'impressione che proprio non siamo d'accordo. Credo che un primo obiettivo debba essere perseguito in quest'aula: fare del Consiglio una vera centralità. Perché? Noi non sfamo un Consiglio comunale! Siamo un'assemblea legislativa. Siamo un Parlamento regionale. Quindi, il primo dato che deve essere sottolineato è che dobbiamo funzionare come assemblea legislativa piemontese. E se vogliamo che la Regione diventi forte, dobbiamo essere consapevoli innanzitutto di questo.
Un'assemblea legislativa deve, innanzitutto, fare le leggi. Leggi di programma, come diceva il mio Capogruppo, non leggi-regolamenti, non leggi o deliberazioni camuffate da leggi, ma grosse leggi. Nel momento in cui l'assemblea è chiamata a funzionare come assemblea legislativa, è chiaro che deve avere un ruolo e i Gruppi che sono rappresentati nell'assemblea devono avere un ruolo preciso. L'assemblea non deve andare a rimorchio della Giunta, ma deve cominciare a ragionare sul modo di far funzionare il Consiglio. Certo, dovremmo modificare, e anche rapidamente, il funzionamento delle Commissioni Mi auguro che i Gruppi facciano pervenire presto alla Commissione regolamento delle proposte precise su questo punto.
Ma il dato di fondo è un altro: le Commissioni devono essere Commissioni di un'assemblea legisla-tiva in cui tutti i Gruppi hanno pari dignità e in cui tutte le proposte, non soltanto quelle della Giunta, ma anche le iniziative dei Gruppi, hanno uguali percorsi.
Quindi, propria per dare dignità al parlamento regionale come parlamento, noi chiediamo sul piano politico - poi lo chiederemo anche sul piano tecnico-regolamentare - che venga data piena dignità alle iniziative dei Gruppi Questo non solo nell'interesse dei Gruppi di opposizione, ma anche dei Gruppi di maggioranza, proprio per distinguere chiaramente il ruolo del governo dal ruolo dell'assemblea.
Secondo punto. Nel momento in cui noi affermiamo la necessità di far funzionare questa assemblea come parlamento, non diciamo evidentemente che vogliamo il consociativismo, perché le opposizioni devono fare l'opposizione fino in fondo. Certo, su certi problemi si potranno trovare convergenze, su grossi temi si potrà anche essere d'accordo, ma il ruolo maggioranza e opposizione deve essere chiaro, preciso e definito.
Chiediamo che in Commissione ed in aula tutti i Consiglieri, il parlamento sia in grado di arrivare sempre fino in fondo a controllare l'attività di gestione e l'attività amministrativa della Giunta. Per l'esperienza di ciò che accade soprattutto in alcune Commissioni, abbiamo l'impressione che su certi punti non ci sia oggi sufficiente chiarezza.
Sono due nodi politici che butto sul tappeto, che credo dovremo affrontare nell'ottica su cui, credo, tutti siamo d'accordo: potenziare il ruolo della Regione.
Terzo punto. Il dibattito di oggi nasce dalla nostra iniziativa specifica di far funzionare il Consiglio nel suo complesso, Giunta e Consiglio. La nostra mozione tocca alcuni punti Questo dibattito particolare viene giustamente inquadrato in un discorso più generale perché ovviamente noi non ci accontentiamo di richieste minimali di questo tipo. Diciamo, e su questo siamo tutti d'accordo, che il miglior funzionamento di un Consiglio regionale o di una Giunta regionale è soltanto un pezzo di una riforma complessiva, ed oggi siamo tutti coscienti che ci troviamo di fronte alla necessità di affrontare in qualche modo questa riforma complessiva dello Stato, perché sappiamo che questo Stato non funziona.
Non so se - ammesso che si riesca a riformare questo Stato - il nuovo Stato funzionerà meglio. E un punto interrogativo. Può anche darsi che funzioni peggio, comunque bisogna tentare una strada nuova, e credo che oggi la strada del regionalismo sia l'unica percorribile.
Perché ho firmato quei referendum? Non credo all'efficacia taumaturgica del referendum, non credo che i grossi problemi di struttura dello Stato possano essere risolti attraverso lo strumento referendario, però sono convinto che, in questo momento storico, se non ci fosse una grossa forza popolare ad agire sui referendum, lo Stato non cambierebbe, perché il "Palazzo" di Roma lo Stato non lo cambia da solo, senza una forte spinta.
In questo senso io, che in passato non ero un referendario convinto, lo sono diventato in questo particolare momento storico. Bisogna dare la spinta dal basso e il referendum è uno dei pochi strumenti che la nostra Costituzione offre al cittadino singolo, a tutti i cittadini, per cercare di scuotere questo Stato.
Ben vengano dunque questi referendum e ben venga anche un referendum sull'abolizione dei Ministeri Certo, se arrivassimo a questo referendum senza che i nostri politici nazionali siano in grado di prospettarci prima un quadro di riforma complessiva della Costituzione in cui l'abolizione di certi Ministeri si giustifica, saremmo sull'orlo del disastro o quanto meno saremmo alla vigilia di grosse difficoltà! Ma le spinte ci vogliono e credo che si possa ancora avere speranza che; quando le spinte ci sono, queste vengano recepite. In questo senso credo che il referendum che la maggioranza di questa assemblea ha votato ieri abbia un grosso significato politico generale positivo. Non soltanto i cittadini, ma anche le Regioni, il sistema delle Regioni vogliono Il cambiamento, il messaggio è questo. Poi, naturalmente, ci vorrà la riforma della Costituzione. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo presentato su questo terreno una proposta di legge costituzionale di iniziativa regionale. Anche questo è un simbolo. Abbiamo recepito ciò che oggi è oggetto di discussione nel Parlamento nazionale, il testo approvato l'11 giugno 1991 dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera affronta un pezzo di riforma. L'abbiamo recepito perché ci sembrava - anche se su alcuni punti non eravamo d'accordo - prova di concretezza muovere da ciò che si sta discutendo a livello romano. Abbiamo poi buttato sul tappeto di questa nostra ulteriore provocazione un altro profilo: l'abolizione del sistema bicamerale con la sostituzione del Senato con una Camera che diventi l'espressione nazionale delle realtà regionali. Lo Stato nazionale potrà muoversi in altre direzioni, comunque dovrà muoversi se vuole affrontare un problema che oggi è diventato estremamente scottante.
A fronte di questi grossi problemi che abbiamo ben presenti, e abbiamo voluto sottolineare come siano a noi ben presenti con il complesso delle nostre iniziative (la proposta di legge costituzionale, di iniziativa popolare, la nostra mozione e la nostra adesione decisa all'iniziativa referendaria), nel quadro di questo discorso generale, oggi dobbiamo affrontare in termini specifici i temi più piccoli, che comunque sono proposti dalla nostra mozione.
Il collega Fiumara ha detto di non essere d'accordo su gran parte delle nostre proposte. Non ho capito bene quali siano le obiezioni specifiche a tali proposte; non le ho sentite; probabilmente per un mio difetto di comprensione. Sono d'accordo che si possano avere atteggiamenti differenziati, ma credo che alcuni dati debbano essere tenuti presenti.
Primo dato. Ci troviamo di fronte ad una realtà che dobbiamo affrontare: l'autonomia funzionale del Consiglio e piccola cosa rispetto alla riforma dello Stato, ma per certi aspetti può essere un modo di cambiare il funzionamento del Consiglio. Vogliamo affrontarlo fino in fondo questo problema, o no? Le forze politiche presenti in questo Consiglio lo vogliono affrontare, o no? La Giunta è disposta ad affrontare a viso aperto questo problema, o no? E' un problema che può toccare certi interessi e certi equilibri. Noi riteniamo sia un problema da affrontare: è uno dei punti che sottolineiamo nella nostra proposta, anche per adeguare il nostro regolamento e il nostro modo di funzionare alla riforma dello Statuto.
Un punto sul quale non abbiamo ragionato nel nostro documento è un profilo che invece sta emergendo, per esempio, a livello di discussioni che si stanno aprendo in seno alla Commissione Regolamento: Il ruolo e la funzione dell'Ufficio di Presidenza, delle sue deliberazioni in rapporto al funzionamento complessivo dell'istituzione Regione.
E emersa una serie di spunti problematici; l'Ufficio di Presidenza - è stato detto da qualcuno oggi - non può nei suoi numeri essere rappresentativo di tutte le forze politiche espresse in questo Consiglio quando le forze politiche erano numericamente circoscritte tutti avevano le loro rappresentanze in seno a quell'organo. E' quindi chiaro che l'Ufficio di Presidenza rappresentava l'espressione di tutti.
Credo che l'Ufficio di Presidenza dovrà essere anche nel futuro tendenzialmente un Ufficio al di sopra delle parti, che dovrà far funzionare in maniera assolutamente oggettiva - indipendentemente dalle posizioni politiche di coloro che hanno la ventura di sedere su quelle sedie in un certo momento storico - ed affrontare in modo obiettivo i problemi di gestione e funzionamento del Consiglio. Credo fermamente in questo; non credo che la funzione dell'Ufficio di Presidenza debba essere o diventare una funzione politica: non avrebbe senso.
Certo, nel momento in cui dovremo affrontare il problema dell'autonomia funzionale del Consiglio, dovremo ragionare in termini molto attenti sulle modalità di funzionamento, con riferimento ai nuovi problemi dell'Ufficio di Presidenza stesso. Ad esempio, in Commissione Regolamento e stato sollevato un altro grosso problema, quello del controllo dell'attività dell'Ufficio di Presidenza e dei rapporti fra Ufficio di Presidenza e Consiglio. Potremmo pensare di attribu-ire alla I Commissione consiliare il compito di verificare concretamente le deliberazioni, anche se, cosa che va sottolineata fin da oggi, l'ordine del giorno analitico delle deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza viene inviato a tutti i Capigruppo, quindi tutti i Gruppi sono preventivamente informati nei dettagli di ciò che l'Ufficio di Presidenza andrà a discutere nella seduta successiva.
Forse occorrerà - e penso che siamo tutti animati dalla volontà di affrontare e discutere il problema - verificare quali ulteriori modi saranno necessari per garantire una piena trasparenza all'attività del Consiglio. Dovremo certamente affrontare, ove dovesse realizzarsi l'autonomia funzionale del Consiglio, una serie di problemi tecnici e giuridici non del tutto marginali, quali l'efficacia esterna di eventuali deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza, ad esempio in materia di personale.
Credo che gli strumenti giuridici per affrontare e risolvere questi problemi ci siano e sia facile trovarli, però bisognerà ragionare su questo terreno. In questo senso penso che per affrontare questo problema, ma anche tutta un'altra serie di problemi che inevitabilmente dobbiamo affrontare non ultimo quello del funzionamento delle Commissioni consiliari; occorrerà aprire una sessione della Commissione Regolamento.
Mi permetto di rivolgere alle forze politiche una sollecitazione perché non è certo il Vicepresidente del Consiglio, delegato a presiedere a nome del Presidente del Consiglio questa Commissione, che può arrogarsi il diritto di arrivare con proposte concrete. Sono le forze politiche che devono cominciare a ragionare e portare in Commissione proposte concrete e precise. Se incominciamo a ragionare sul modo concreto di far funzionare questo Consiglio con una prospettiva precisa, se incominciamo a rafforzare l'immagine, il ruolo ed il peso della Regione, possiamo compiere il primo passo lungo quella strada difficilissima che ci dovrebbe condurre al potenziamento del sistema delle autonomie regionali e delle assemblee elettive regionali.
Chiudo con una vena di pessimismo. Il nostro Presidente più volte ha dimostrato tutta la propria carica ed il proprio entusiasmo. Credo fermamente che occorra potenziare il sistema regionale, ma devo dire che il mio pessimismo su questo terreno è totale. Le Regioni- Io ricordava il collega Picchioni - sono state ostacolate per anni, la nostra Costituzione è rimasta inattuata fino al 1970. Poi, il Governo nazionale ha realizzato una serie di leggi nazionali che ha tarpato le ali al nascente regionalismo. La strada è quindi tutta in salita. Anche se provengo da una posizione di pessimismo, occorre comunque dire, con l'otti-mismo della volontà, che è necessario cercare ancora una volta di rimontare la china: può essere una strada di salvezza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Zacchera.



ZACCHERA Marco

Come sempre o come spesso succede in quest'aula, gentile Presidente e colleghi, il sottoscritto dirà delle parole forse diverse, rompendo anche un fronte di conformismo che prima del validissimo intervento che mi ha preceduto sembrava aleggiare in aula. Provocatoriamente, infatti dico (anche riprendendo la discussione sulle proposte di 4 referendum) che la cosa più furba da fare sarebbe - forse è una bestemmia - quella di sciogliere le Regioni.
Voglio chiarire cosa significhi, perché penso che alla fine del mio ragionamento forse più di una persona potrà in parte darmi ragione.
Partiamo dalla validità della proposta di mozione che ha il pregio di aver rilanciato con forra la necessità di discutere, e mi sembra che anche questa mattina si stia andando su piani abbastanza concreti; quindi la discussione che forse si preannunciava accademi-ca, non lo sarà. Ritengo però, che questo documento abbia un grosso limite; dopo la relazione introduttiva che focalizza determinate situazioni, ci sono poche risposte concrete su come mutarle.
Personalmente, invece, darò più spazio ad indicare cose piccole, ma concrete, per cercare di migliorare le cose.
Io parto da questo presupposto: il discorso del "regionalismo in salita" fatto prima dal collega è vero, ma come mai improvvisamente negli ultimi mesi è stata aperta la strada del regionalismo, anche sull'onda di determinati risultati elettorali? Non per dare potere alle Regioni, ma per dare più potere a poteri che non hanno niente a che vedere con l'amministrazione regionale, intesa come momento legislativo. Per dare più potere, insomma, a quel sottobosco dei partiti che, a Roma come a Torino considerano - ahimè - la politica in questa Repubblica (che per ora è ancora una Repubblica e non una confederazione) un proprio campo di spartizione di potere.
Se è vero che bisogna potenziare in modo assoluto; drastico, efficiente il potere legislativo della Regione, non capisco perché non sia venuto il momento di dire che, in pari condizione, deve invece diminuire in modo drastico il potere delle Giunte regionali, che di fatto si sono intromesse nella democrazia verso i cittadini come ulteriore passo di rallentamento in qualsivoglia momento in cui si deve discendere dalla legislazione alla sua applicazione.
Non capisco perché, se crediamo nella democrazia e se crediamo che i cittadini debbano essere maggiormente consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, non si debba avere maggiore potere a livello di base soprattutto nell'amministrazione dei Comuni, specialmente quelli grandi dei Consorzi tra Comuni e delle Province. Allora, non c'è, secondo me alcuna necessità di continuare a costruire delle strutture burocratiche spesso ahimè - clientelari, che sono quelle che di fatto si sono instaurate all'interno della Regione.
Consideriamo, colleghi il costo delle Regioni italiane e gli effetti delle Regioni. Questa Regione Piemonte produce per la collettività piemontese in rapporto al proprio costo? Secondo me il rapporto non è di efficienza, ma di insufficienza. Facciamo un altro rapporto: perché mai si è equivocato decentramento con regionalismo? Ieri, sul mio tavolo come sui vostri, c'era il nuovo Regolamento regionale perla professione di estetista. Mi dite perché 20 Regioni d'Italia, 20 Consigli regionali, 20 Commissioni sono intervenute, in 200 interventi, per stabilire una nuova norma per definire la funzione dell'estetista, quando in Lombardia l'hanno fatta 6 mesi fa ed è diversa da quella del Piemonte e sarà diversa da quella della Liguria? Questo è un esempio banale per dire che bastava un regolamento centralizzato perché in tutta Italia la funzione dell'estetista (che secondo me è uguale a Palermo come ad Aosta) fosse semplicemente rifatta.



BRESSO Mercedes

Sarebbe preferibile ci fosse un governo mondiale.



ZACCHERA Marco

Sto semplicemente dicendo che risparmieremmo tempo e strutture se applicassimo meglio le leggi piemontesi, per il Piemonte, su questioni di importanza, leggi che invece non vengono applicate. Il Consiglio regionale deve trovane il tempo per definire la funzione dell'estetista; ma non trova il tempo per discutere dell'Area Metropolitana, del Piano Regolatore di Torino, per quanto di sua competenza, per discutere dei grossi affari che sottostanno a molte leggi regionali. Questa è, secondo me, una tematica estremamente precisa di cui si deve parlare.
Il collega parlava prima di una funzione centrale della Regione. Al di là delle polemiche correnti, qualche mese fa è venuto in visita a Torino il Presidente della Repubblica, ma non è stato ricevuto in questa sala! Si discute di Area Metropolitana, ma non qui. Qual è allora il ruolo della Regione? Secondo me è un ruolo tutto da riscrivere, non sulla base del moltiplicare per 20 i danni e i difetti che ci sono a Roma, ma facendo cose diverse nelle varie Regioni, legate alle rispettive realtà, con autonomia dal punto di vista della spesa, ma anche con la possibilità di controllarla meglio, e il controllo si esercita dal basso a livello di Regione e soprattutto a livello di Comune.
Nel campo del concreto, su questa prima parte ciascuno può pensarla come crede: io denuncio che troppe volte però questo Consiglio non svolge la sua funzione principale di legislazione e di controllo. Di fatto, quando viene approvata dalla maggioranza una legge regionale, bella o brutta che sia, chi esercita le funzioni di applicazione della stessa è la Giunta regionale; noi non controlliamo più niente, se non attraverso meccanismi ormai poco efficienti quali le interrogazioni e le interpellanze.
Chiedo che in questo Consiglio vengano accentrate due funzioni: legislazione e controllo. Come? Presento 8 proposte concrete, cominciando con alcune cose che si possono fare concretamente. Scusatemi se saranno proposte modeste, ma io non ho consulenti, tanto meno ho alle spalle un'esperienza legislativa come quella di altri colleghi.
Primo: tempi certi. Non è giusto, non è corretto che alle interrogazioni e interpellanze per almeno due terzi non si dia risposta.
Non è giusto e non è corretto, perché di solito vengono sollevati dei problemi veri. Certamente non ci deve essere abuso nel numero delle interrogazioni e interpellanze, ma penso anche che entro una certa scadenza (il Regolamento dice 60 giorni), la Giunta debba dire: "Non voglia rispondere, non posso rispondere, per questi motivi non sono in grado di rispondere". E' importante che risponda e non arrivi magari sei o nove mesi dopo (oppure mai), a dare risposte assurde.
Se sulle interrogazioni e interpellanze si può discutere, quello che assolutamente è inaccettabile - e lo denuncio alla Presidenza che penso sia consapevole del problema - è la giacenza delle leggi. Penso che ciascuno di noi, maggioranza o minoranza, abbia avuto occasione di presentare proposte di legge intelligenti, pensate, magari guardate da altre Regioni.
Personalmente, sette mesi fa ne ho presentate alcune ed è un mio diritto sapere perché nessuno mi ha risposto. In Commissione si gioca a ping pong nel senso che si rimanda di settimane o di mesi: la questione poi arriva in Giunta con un proprio Regolamento e si tira per le lunghe.
Chiedo che entro un termine ragionevole tutte le proposte di legge siano respinte, se non vanno bene, e che si dia loro risposta concreta.
Sono convinto che questo lavoro di stimolo da parte delle minoranze possa essere utilmente ripreso dalla Giunta in termini di operatività: si diano però risposte positive o negative a chi propone delle leggi, senza nasconderle.
Terzo aspetto. Quasi tutte le leggi regionali contengono, verso gli ultimi paragrafi, un punto in cui si dice che la Giunta regionale si impegna, ogni anno, ogni due anni o dopo sei mesi, a fornire delle relazioni sulla loro applicazione. Colleghi, quante volte avete, visto queste relazioni? Praticamente mail Ecco n punto di centralità con cui subito, il Consiglio regionale, applicando il Regolamento e le leggi che ci sono; si può mettere in riga, nel senso di operatività e di riacquisto del proprio ruolo.
Arrivino, dunque, le relazioni sull'applicazione delle leggi. Quando arrivano le relazioni, se c'è qualcosa che non va la Giunta potrà dirlo e sarà facilitata a proporre dei provvedimenti legislativi per emendare cambiare, migliorare o per eventualmente chiudere delle leggi. E necessaria la volontà, non ci vuole un grande sforzo. E' una richiesta che faccio formalmente anche alla Presidenza del Consiglio: che richieda periodicamente lo stato di attuazione di tutte le leggi esistenti.
Sul discorso delle Commissioni faccio una proposta volutamente provocatoria. Perché non proviamo per un anno a far dirigere le Commissioni dal soli Consiglieri di minoranza? La maggioranza, che comunque avrebbe la maggioranza all'interno della Commissione, potrebbe svolgere ogni funzione di controllo, di indirizzo, di votazione. Forse, così facendo, daremmo alla Commissione la possibilità non di essere l'alter ego del Consiglio, ma sicuramente responsabilizzeremmo le forze politiche, anche quelle di opposizione, nel lavoro di preparazione delle leggi. In effetti, la produttività delle Commissioni mi sembra veramente bassa. Di fatto, troppe volte si sospende l'esame di qualche proposta di legge in attesa che un altro Gruppo, la Giunta o chi per essa, porti delle altre normative, e quasi mai da parte della Commissione c'è un richiamo a rispettare i tempi per l'esame della normativa.
Propongo la rotazione delle Presidenze delle Commissioni e che di massima siano assegnate a forze non prettamente di maggioranza, anche per svincolarle e per farle diventare elemento moltiplicatore di impegno e di sollecitazione nei confronti del Consiglio. Ripeto, essere Presidente della Commissione non è una posizione di potere, ma di stimolo.
Vengo ora a proposte estremamente pratiche per la gestione del Consiglio. Sarei favorevole ad una riduzione dei tempi degli interventi in aula. Personalmente intervengo molto spesso, ma penso raramente di sforare i tempi, mentre alcuni colleghi parlano per lunghezze di tempo seminfinite e quasi mai sono richiamati dopo un certo tempo all'ordine dalla Presidenza.
Propongo che venga rivisto il Regolamento con la riduzione drastica della durata degli interventi, perché, salvo casi particolarissimi, in un quarto d'ora si può dire tutto quello che si vuole; questo, secondo me sarebbe già un incentivo all'operazione.
Inoltre, colleghi, vi è un discorso tutto nostro, di critica personale prima ancora che di altri. Non si può lavorare in questa maniera. Sto cronometrando le ultime riunioni di Consiglio regionale: iniziano media mente con un'ora e un quarto di ritardo. Al pomeriggio, tanto si sa che si comincia in ritardo, perdiamo un'altra ora, e ad una certa ora della serata molti se ne vanno e si corre dietro al numero legale.
Colleghi, diamoci una regolata: qui ci vuole più impegno da parte di tutti noi; mi metto io in prima fila. Se alle 9.30 è l'orario stabilito alle 9.40 si deve cominciare: nei giorni di seduta perdiamo un paio d'ore in tempi di attesa, che oltretutto danno fastidio a chi è qui che aspetta.
Queste sono le cose che non funzionano.
Per esempio, diamo una chiave di lettura molto pratica. Ci avviamo alla campagna elettorale: già ieri si vedeva nei corridoi che l'attenzione è fuori da quest'aula. Chiedo che, da adesso alla fine della campagna elettorale, periodo post-elettorale compreso, si vada avanti regolarmente con le riunioni di Consiglio e si cominci anche a pensare se non conviene riunirlo due giorni alla settimana. 0 produciamo più leggi, o facciamo più sedute. Se esaminiamo l'elenco delle norme licenziate nell'anno 1991 vediamo che non abbiamo lavorato in termini di quantità oltre che di qualità in modo efficiente. Per cui ritengo che tutti dobbiamo fare un'autocritica ed essere maggiormente responsabilizzati.
In questo senso, vogliate accogliere un'osservazione personalissima su alcuni Consiglieri, non molti. Ci sono dei Consiglieri che non vengono mai qualcun altro viene, firma e scappa. Questo non è corretto non solo nei confronti dei nostri elettori, ma anche nei confronti degli altri colleghi.
Quindi, un richiamo privato e personale va fatto ad alcuni colleghi o colleghe di questo consesso, perché non li abbiamo quasi mai visti in questo Consiglio regionale. Se non possono fare i Consiglieri si dimettano se hanno dei motivi impellenti per essere assenti hanno tutte le di questo mondo, ma non questa deve essere una prassi, altrimenti non è giusto recuperare lo stipendio.
Giacche ho parlato di soldi, vorrei sottolineare un ulteriore punto concreto: penso che si possa risparmiare moltissimo nella gestione del Consiglio regionale, razionalizzando meglio determinate cose. Ad esempio, i Consiglieri regionali da un ruolo passivo devono diventare un ruolo attivo.
Che cosa serve ritrovare sulla propria scrivania chili di carta stampata ogni settimana? Se ci fosse semplicemente una comunicazione di ciò che è disponibile, il Consigliere regionale potrebbe benissimo chiedere la documentazione che gli serve e, se è parte attiva, doverosamente potrebbe andarsela a cercare. Non sempre è necessario dargli una, due, tre copie di tutte le cose. Noi, nel nostro famoso "libretto degli sprechi, abbiamo sottolineato il milione di fotocopie alla settimana stampate nella Regione Piemonte. Possiamo ridurre in modo drastico il lavoro degli uffici, dicendo ai Consiglieri che, se sono interessati, tutto è a disposizione e nell'ambito del "Palazzo", il Consigliere se lo andrà a prendere. Se è impegnato, manderà un commesso o ne troverà una copia in aula, ma è inutile averlo sul tavolo, al Gruppo consiliare o in Commissione. Alla fine abbiamo costi di centinaia di milioni non soltanto per la stampa, ma anche per il tempo che ci vuole per stampare. Per esempio, si possono usare i fax. Un Consigliere regionale che, come me, abita fuori Torino, riceve gli espressi. Quanti milioni costiamo ogni anno in spese postali per comunicazioni che, tra l'altro, sono già note, perché sappiamo benissimo che la Commissio-ne è convocata per il tal giorno? Capisco che la norma dice che la convocazione deve avvenire a mezzo posta, ma se, ad esempio, le notificazioni fossero fatte al Gruppo consiliare - visto che adesso abbiamo aumentato anche il numero dei dipendenti - ci sarebbe già un risparmio notevole. Anche questo può essere fatto per far funzionare meglio tutta la struttura del Consiglio.
Rapporti con la stampa. Questo è un discorso importante: possiamo lavorare, urlare, litigare, fare qualsiasi cosa, tanto fuori di qui non se ne sa quasi nulla. Dobbiamo chiederci se non siamo interessanti (e allora questo è il motivo per il quale non se ne parla), se quello che produciamo non è utile alla collettività oppure se il Consiglio regionale non riesce ad avere dei rapporti funzionali con il mondo della carta stampata.
Quindi, quando si parla di ufficio stampa bisogna intendersi. Colleghi non trovereste giusto che venga fatto una specie di video di ogni riunione di Consiglio regionale, della durata di 10 minuti e passato al circuito di tutte le TV locali del Piemonte? Non per parlare soltanto di questo Partito o di quell'altro, ma per fare un riassunto della rivista "Notizie della Regione Piemonte". Quel testo potrebbe essere letto da uno speaker con uno sfondo interessante; se si parla di un parco si può trasmettere lo sfondo del parco e non necessariamente di questa sala, quindi una comunicazione settimanale ai piemontesi di che cosa ha fatto il Consiglio regionale.
Nessun cittadino va a fare le domande per il "buono casa." se nessuno gli dice che qui dentro si è discusso anche di quello, oppure passa attraverso filtri che non sono necessari.
Quindi, un miglior rapporto, tramite l'Ufficio stampa, con la stampa intesa nel suo genere, è un altro aspetto per far funzionare meglio il Consiglio ed anche per stimolare i Consiglieri ad intervenire, a proporre a far sapere quello che si fa.
Senza voler fare della dietrologia, ricordo che il mio Partito nel 1976 presentò una riforma della Costituzione con tutti gli articoli riscritti molte di quelle cose oggi sono richieste da tutti. Non gio-chiamo alle anticipazioni.
Concludendo; dico soltanto che se vogliamo funzionare meglio ci vuole maggiore impegno da parte nostra, perché non possiamo assolutamente criticare il prossimo se prima non lavoriamo noi. In secondo luogo dobbiamo chiedere degli snellimenti burocratici totali, quindi anche sotto forma di regolamento penso sia molto meglio avere del tempo e delle strutture per esercitare il controllo e non per una conoscenza in termini di quantità che poi nessuno legge. Se uno legge il "Sole 24 Ore" non gli serve nulla leggere la relazione - ne cito una a caso - "dell'Europa al Consiglio", perché sono tutti articoli del "Sole 24 0re" del mese precedente. Questa cosa è necessaria? Benissimo, venga fatto un numero ridotto di copie: chi ne ha bisogno, va a leggerlo. Sta alla coscienza di ciascuno di voi dire quante volte avete o meno sfogliato la quantità enorme di stampati che ci arriva tutti i giorni sulla scrivania.
Queste erano le cose che volevo dire, con la riserva di riprendere la parola anche in termini politici, ma oggi usciremmo fuori tema. Dobbiamo stare prettamente su questioni concrete per cercare, con buona volontà e tutti insieme, di dare un maggiore sprint a questo Consiglio regionale, che altrimenti perde la sua funzione legislativa e di controllo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gallarini.



GALLARINI Pier Luigi

Ritengo doveroso da parte mia apportare un contributo come Consigliere regionale, in rappresentanza del Partito socialdemocratico.
Penso sia quanto mai interessante che il Consiglio regionale dibatta intorno alle questioni di fondo del particolare momento che stiamo vivendo.
Nei miei pochi anni di nomina, in una prima fase sono stato eletto membro dell'Ufficio di Presidenza e successivamente membro della Giunta: è stata sicuramente una fortuna. Molte volte ognuno di noi, per limiti umani che dobbiamo avere l'umiltà di riconoscere, tendiamo a vedere le cose dall'angolo di visuale dal quale siamo messi come osservatori. Quanto più l'angolo di visuale tende verso i trecentosessanta gradi e verso una visione completa senza zone d'ombra tanto più ci è consentita una visione la più obiettiva possibile o, quanto meno, la meno parziale possibile.
Ho apprezzato molto gli spunti degli interventi precedenti, da quello del Presidente del Consiglio a quello del Consigliere Grosso e, senza voler differenziare citando alcuni colleghi e tralasciandone altri, l'ultimo intervento del Consigliere Zacchera concernente la questione dell'informazione. Condivido l'impostazione del collega Zacchera relativamente ad un notiziario televisivo che informi - e sotto certi aspetti educhi - l'opinione pubblica regionale sui lavori svolti in quest'aula.
Condivido l'analisi del Consigliere Grosso. Le Regioni sono nate nel 1970, dopo che per anni se ne era impedita la nascita; successivamente, in vent'anni di esistenza si è compresso il più possibile il loro spazio vitale, là dove per vitale s'intende un alto respiro di nobiltà, politica.
Nel corso di vent'anni il potere centrale ha espropriato alle Regioni alcune competenze,, cito i due esempi più eclatanti e significativi: il Ministero per le aree urbane e il Ministero dell'ambiente.
E' ovvio che, espropriando l'istituzione-Regione da competenze di peso specifico politico così elevato, si è finito con l'appiattire la sua operatività in molti settori, lasciandole solo la minuteria.
Quale senso ha che le Regioni spendano buona parte del loro tempo di lavoro su deliberazioni di distribuzione ai Comuni, alle Province, "sui 50 milioni in conto capitale..., sui 100 milioni in conto interesse..." nello stesso tempo la Cassa Depositi e Prestiti impedisce o comprime le potenzialità di assunzione di mutui da parte degli enti locali? E un doppione, è un passaggio di minuteria che appiattisce il ruolo politico delle Regioni, appesantendone le bardature burocratiche con la risultanza che il Comune guarda alla Regione come all'ente che non dà risposta ad una certa domanda di contributo. Sarebbe molto più semplice elevare la capacità dei titolari dell'assunzione del mutuo da 50 a 150/200 milioni. Il problema sarebbe così risolto, eliminando personale e sprechi di tempo nelle Commissioni. Le Commissioni, infatti, spesso non riescono a mandare avanti le leggi e ad avere il ruolo, invocato soprattutto dal Consigliere Grosso di ridare potere legislativo all'assemblea, potere molte volte compresso dalle pur legittime esigenze dell'esecutivo. Penso che i due ruoli non abbiano vasi comunicanti l'uno rispetto all'altro: il Consiglio non pu aumentare e alzare Il proprio profilo a scapito dell'esecutivo o viceversa.
Se vogliamo rilanciare il ruolo della Regione nel suo complesso, dobbiamo rilanciare di pari passo le sintonizzazioni di lunghezza d'onda del potere legislativo, per quanto riguarda il Consiglio, e del potere esecutivo per quanto riguarda la Giunta. La Regione si può qualificare legiferando in modo più qualitativo, ma anche attraverso risposte dell'esecutivo tempestive ed efficaci e in grado di colpire nel segno le varie esigenze.
Sono le due ,corna di un unico problema e solo attraverso il concorrere di questi due elementi si può arrivare ad una risultante comune. Spesso accade che queste due componenti contrastino, andando l'una in una direzione e l'altra in un'altra, convinte - direi con ragionamento molto superficiale - che solo prevaricandosi a vicenda possono aumentare e rivalutare il proprio ruolo. Alla fine, in realtà, le due forze corrono il rischio di elidersi e come risultante complessiva vi è l'appiattimento.
Risultante complessiva spesso debolissima: ma la debolezza di uscita della Regione come proposta rispetto all'opinione pubblica e come autorevolezza di istituzione rende debole sia il ruolo del Consiglio sia quello della Giunta. Penso quindi che sia interesse di entrambi i soggetti concorrere ad elevare il proprio livello: molte volte elevando quello dell'altro si contribuisce ad elevare il proprio.
Partendo dall'esperienza che ognuno ha vissuto nel palazzo-Regione, a prescindere dalla via e dal numero civico (sempre di palazzo-Regione si tratta), è chiaro che sono necessarie alcune modificazioni dal punto di vista pratico.
Nella modestia delle nostre competenze ci stiamo adoperando, anche se molte volte Giunta e Consi-glio formano compartimenti stagni. Mi limiterò a citare il settore del controllo di gestione, istituito, come Giunta in questi ultimi tempi. Questo nuovo servizio, da qualche anno sulla carta ma concreto solo dall'inizio del 1992, partito forse con passi Incerti incertezza dovuta a tutta una serie di fattori - può costituire un "trait d'union" fra Giunta e Consiglio: probabilmente, su questa scia, potrà trarne benefici e miglioramenti tutta una serie di rapporti.
In questo senso, si risponde alla richiesta del Consigliere Zacchera ma che ognuno di noi ha fatto in varie occasioni, e cioè di poter avere un flash istantaneo del grado di produttività e di utilizzo della legge "x" nel momento "y".
Il controllo di gestione che abbiamo voluto come Giunta si attuerà non attraverso consulenze paracadutate dall'esterno, con soluzioni preconfezionate non calzanti con la realtà piemontese, ma con una costruzione interna alla Regione, con funzionari sia della Giunta che del Consiglio. Infatti, se- alla determinazione e costruzione del controllo di gestione concorreranno - per ovvie ragioni - il Settore bilancio e il Settore finanza, ovviamente questi dovranno collaborare con il loro Capo Settore, ma dovranno anche colloquiare con il Consiglio regionale, con il progetto-Arianna e con il funzionario della Commissione. Questo significa andare verso l'abbattimento di barriere (che molte volte resistono per ragioni incomprensibili), analizzando il problema dall'ottica forse presuntuosa delle poche pennellate da me tracciate.
Questa può essere una grossa occasione di costruzione comune nell'interesse della Regione, scomponendo esecutivo e legislativo nell'interesse dei due settori.
Come Giunta, io e la collega Bergoglio da mesi stiamo affrontando questo discorso; finora si è fatto qualcosa, un po' a spizzichi e a bocconi, relativamente alla questione dell'informatizzazione dell'ente.
Come tutti ricorderanno, una parte dei proventi del bollo automobilistico di spettanza regionale del 1991 è stata devoluta all'informatizzazione. Dal punto di vista politico è stato un passo importante, sul quale dovremo costruire Il successivo discorso dell'esigenza di affrontare il problema del dialogo con gli altri Enti locali: Comuni, UU.SS.SS.LL., Province.
Il Consigliere Zacchera, citava il fax: la comunicazione, oggi, non pu più essere basata sui piccioni viaggiatori. Occorre essere in grado premendo un pulsante, di dialogare con il Comune "A", con il Comune "B": con la Provincia "C", con l'U.S.S.L. "D". Questo è quanto dobbiamo essere in grado di fare, e in questo senso stiamo iniziando a lavorare come Giunta, lavoro che vogliamo fare con il Consiglio. Non ha senso che vi siano due compartimenti stagni: due cervelli, due macchine e i relativi pulsanti raddoppiati In parallelo. E questo un terreno su cui possiamo e dobbiamo costruire unità di intenti e di autorevolezza politico istituzionale nel suo complesso.
Siamo in un momento molto particolare. Negli interventi precedenti - mi pare fosse il Consigliere Monticelli - si è detto che l'istituzione-Regione non è mai stata di così basso profilo. Personalmente, non condivido affermazioni del genere: non è la Regione, intesa come istituzione, ad avere profilo così basso, ma è la considerazione della Regione nei confronti del centralismo romano che non ha mai avuto momenti di così basso profilo. Il Presidente Brizio, tornato ieri da Roma dove si era recato per discutere della questione sanitaria, mi diceva che sta nascendo sempre di più la "lega" delle Regioni. Al di là delle leghe delle Alpi, del Nord etc., sta nascendo la lega delle Regioni. Ha senso che nasca un leghismo trasversale solo perché il livello centrale non dà ascolto agli Enti locali? L'istituzione-Regione non dovrebbe essere una delle braccia operative dell'istituzione centrale? Se così non è, significa che sta venendo meno qualcosa di profondo.
Certo, Consigliere Rivolta, non intendo assolutamente sminuire l'espressione autonoma della comunità regionale, ma mi domando quale sia il senso di un conflitto istituzionale di competenza fra Stato e Regione, ad esempio nel momento in cui si dice che occorrono 97 mila miliardi per la sanità e ne arrivano soltanto 80 mila. Questi fatti portano ad un leghismo regionale che sicuramente non avrà caratteristiche di eversivismo nei rispetti del partitismo, così come altri fenomeni di tipo leghista, ma rappresentano comunque un qualcosa al quale occorre metter mano in fretta e in modo incisivo.
Il Consigliere Fiumara sosteneva che molto probabilmente la prossima legislatura dovrà portare il regionalismo ai limiti del federalismo: togliamo anche quei limiti e andiamo verso soluzioni che diano risposte non di tipo elettoralistico al fenomeno delle leghe, ma rispondenti alle esigenze e alle domande della cittadinanza.
Negli ultimi anni abbiamo assistito all'esasperazione del regionalismo esasperazione pienamente motivata e giustificata, ma dobbiamo Impedire che diventi esasperazione regionalistica sulla falsariga di quanto sta accadendo fuori dei nostri confini. In U.R.S.S, il fenomeno è stato dello stesso tipo, così come in Jugoslavia, dove ha avuto le caratterizzazioni che tutti conosciamo.
Occorre dare risposte che vadano nel segno di un'autonomia regionale molto spinta, ma che consentano di rimanere nella cornice di una democrazia equilibrata che permetta di dare risposte ai problemi senza dar luogo a esasperazioni.
Come istituzione, al di là del fatto che siamo Regione Piemonte, si deve essere ascoltati dal livello centrale; le forze politiche, per quanto poco si stiano preoccupando dei fenomeni In atto, se vogliono impiantare risposte serie, profonde e radicali ai problemi oggi sul tappeto, devono caratterizzarsi con una connotazione che passi anche attraverso una differenzia-zione di tipo regionalista che abbia un'unica matrice ideologica ed un unico riferimento, ma che consenta di far calzare le politiche locali a quelle che sono le esigenze locali delle varie Regioni.
Mi limito a queste considerazioni, rimandando l'intervento più politico di Gruppo al Capogruppo Goglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, i liberali avvertono l'importanza di queste; appuntamento e sentono la responsabilità primaria, come liberali - di dare la loro interpretazione.
Si tratta della questione, troppo spesso sminuita, delle istituzioni e delle regole del gioco. Se Gorbaciov è caduto, è caduto su questa contraddizione; se ha vinto la cultura liberale - si dice liberal democratica, ma è pur sempre liberale nei suoi elementi - è perché il sistema liberale dello Stato e delle istituzioni ha costruito e realizzato un sistema per cui le istituzioni non si identificano con la questione, ma sono la sede in cui la stessa si sviluppa, nella concorrenza delle intelligenze e degli interessi in campo.
Noto che c'è poca attenzione a questo passaggio, ma questa è la questione centrale. Quando, invece, le istituzioni vengono modellate sulla questione, le stesse crollano nel momento in cui la questione crolla.
Occorre quindi avere la capacità di riaffermare, ripensare e riaggiornare gli elementi portanti della cultura europea, che ha portato ad immaginare uno Stato e delle istituzioni che lasciano liberi i cittadini, le organizzazioni sociali e la società di far crescere i valori, garantisce loro il confronto e la conclusione essendo, nello stesso tempo, estranei a questo processo.
In questo senso, dicendo in primo luogo che ho apprezzato molto l'intervento del Presidente del Consiglio, lamento solo una cosa: che non sia introdotto nel Regolamento Il fatto che le sedute del Consiglio sono presiedute, e viene data comunica della seduta, dal Presidente o da uno dei Vicepresidenti, perché mi sembra che sia riduttivo - lo dico, è una perdita per tutti - congelare la passione politica di ognuno di noi all'interno di un ruolo.
Io riconosco alla collega una grande passione politica e gli scontri che noi abbiamo nascono da due temperamenti forti con una grande passione politica. La politica comporta il contrasto, la lotta, la tensione, che però è mediata dal rispetto e dalla stima reciproca. Non sono salotti questi, sono sedi di confronti e di lotta in cui giocano anche i fatti caratteriali, ma a mio modo di vedere bisogna trovare il modo di consentire al Presidente Spagnuolo, quando lo ritenga, di fare il Consigliere riprendendo tutta la sua voglia di fare politica, così come questo dovrà essere consentito a Marchini quando farà il Presidente del Consiglio. In questo modo, forse, faremmo cadere - parlo per il presente e per il passato alcuni elementi di tensione, perché se il Presidente Viglione avesse potuto svolgere un maggiore ruolo di proposta politica e di protagonismo politico, probabilmente non avremmo avviato alcuni meccanismi.
Ho richiamato questa essenzialità e questo perdurare del valore del sistema europeo occidentale di governo perché, a mio modo di vedere, è l'elemento al quale ci dobbiamo rifare anche nel dare un giudizio sul documento degli amici del PDS, che è apprezzabile, un po' patetico, ma non accettabile perché viziato da una serie di reminiscenze. Apprezzabile perché c'è lo sforzo di un Gruppo di trovare un proprio ruolo: paradossalmente però, e qui è patetico, una forza politica che non riesce più a raccogliere intorno al suo leader, ai cancelli di Mirafiori, decine di migliaia di persone, ma soltanto sparuti gruppi, forse deve porsi più il problema della rappresentanza di quei bisogni che non i problemi delle istituzioni; posto che le istituzioni hanno dimostrato, nella cultura occidentale europea, di avere ormai un consolidamento, mentre probabilmente le istituzioni non sono più capaci sufficientemente di farsi carico dei problemi della società civile. Sarà finito il comunismo, ma non sono finite le arretratezze culturali economiche e sociali che hanno giustificato i voti a questo partito.
In questo senso mi sembra un po' patetico, perché mi commuove il tentativo di un gruppo che cerca di darsi una nuova identità in un passaggio difficile ma noi abbiamo bisogno di una grande forte sinistra che abbia la capacità di interpretare anche i processi, ma soprattutto le questioni di larga parte della nostra società che è ogni giorno più emarginata. Ma questo consideriamolo un inciso.
Il nostro Presidente ci ha richiamato al fatto che la questione del Consiglio è la questione della Regione, e allora comincerei da questo. La Regione nasce, amici.
nel '46 da una Costituente vecchia, superata, reazionaria, liberale. E' così, amici! Chi ha scritto la Costituzione era un complesso di revenants era la classe politica giolittiana, che dopo essere stata in esilio dorato o difficile, a seconda dei casi - è uscita dal freezer ed ha disegnato una Costituzione troppo liberale, troppo sul modello dello Stato liberale della fine '800 e non sufficientemente aperta alle questioni nuove. Una Costituzione troppo liberale rispetto ad una società che aveva altri bisogni; quindi il tradimento e la non attuazione della Costituzione nasce dal fatto che quella Costituzione, avanzata dal punto di vista formale, era arretrata rispetto al momento storico in cui si collocava. Ma non basta amici, è nata vecchia, inadeguata e sospettosa rispetto al nostri processi perché la classe politica giolittiana governava un paese che aveva 50 anni di vita. Quindi è evidente come quella cultura fosse fortemente diffidente nei confronti degli scenari non nazionali, sia all'interno perch evidentemente temeva la disgregazione interna, sia verso l'esterno perch evidentemente non aveva ancora trovato il suo "ubi consistam" rispetto alle grandi scelte internazionali.
Quello che ci viene rimproverato nelle alleanze internazionali, in relazione alla prima guerra mondiale e rispetto alla politica in Africa, è la difficoltà avuta dal nostro Paese di collocarsi nello scenario internazionale e contestualmente di collocarsi in relazione alle proprie diversità, alle proprie storie, alle proprie culture. Quindi è chiaro che questa classe politica, questa cultura politica, che aveva il problema di garantire la continuità interna e internazionale di un paese che aveva 50 anni di vita, oltretutto condizionata all'interno da un forte elemento di difficoltà rappresentata dall'ostilità istituzionale e politica della Chiesa - non possiamo non ricordarlo - fosse una cultura in qualche misura un po' sparagnina, poco aperta alle forti innovazioni ed al forti stimoli.
Quindi non riconosco nella Carta costituzionale l'atto di nascita della Regione che dobbiamo costruire: lo dobbiamo rifiutare. I liberali illuminati come Einaudi hanno dichiarato nella Commissione alla Costituente che la funzione legislativa che ci veniva data non era una funzione legislativa e che le competenze non erano competenze. Ha fatto un esempio per tutti, che era un crimine avere dato allo Stato centrale l'istruzione secondaria superiore. Una classe politica superata, per certi versi se non reazionaria quanto meno nostalgica, non a favore certamente del fascismo ma di un antico stato che aveva fatto egregiamente l'unità d'Italia e un paese moderno, ma che era costretta all'interno del suo tempo e della sua cultura, è passata attraverso due fatti storici che non dobbiamo dimenticare e che noi abbiamo cercato "tartufescamente" di ignorare addirittura immaginando nella logica tipica degli italiani che pensano che quando qualcuno ci guadagna noi comunque a casa qualcosa portiamo. Non è sempre così.
I decreti delegati del '76 sono stati l'atto di premorte della Regione e noi ci siamo preoccupati di avere la loro attuazione puntuale. Immediata rigorosa a favore degli Enti locali. E li si è costruita la lobby dell'organizzazione delle Province, dell'organizzazione dei Comuni che evidentemente sono in contestazione con il sistema delle Regioni per avere poteri e risorse dallo Stato. Questo è l'atto di nascita del contenzioso con gli Enti locali.
La legge n.142 è il secondo atto di premorte delle Regioni, perch sostanzialmente mentre assicura qualcosa a qualcuno, mette a noi l'onere di garantire qualcosa a qualcuno, niente dà a noi e niente a noi garantisce.
Quindi a me pare che non solo la Costituzione sia inadeguata, ma superata superata da un fatto rivoluzionario. Qualcuno si chiede perché si debbano fare le riforme istituzionali, perché si dice che si cambia la Costituzione quando viene meno il patto sociale che aveva sostanzialmente determinato quelle regole del gioco. Bene, non il patto sociale, ma il patto storico che all'interno della Costituzione rispetto alle questioni che attengono alla Regione è saltato a Maastricht, dove la CEE, da zona di libero scambio in cui gli Stati non dovevano fare altro che garantire la libera concorrenza all'interno del loro .territorio, ha deciso di trasformarsi in un'organizzazione di tipo politico.
Quindi noi stiamo andando verso l'Europa come entità politica ed a me pare che il contributo che possiamo dare a questo discorso è di immaginare che il momento costituzionale debba incontrarsi sicuramente sulle Regioni.
Non so se sia nato uno strappo tra la società civile e la sua carta, la Costituzione, in ordine al Parlamento, in ordine al Governo, non so se è solo un problema di efficienza che si può risolvere con la legislazione ordinaria oppure se vada rivisto il patto sociale che è la Costituzione, ma sicuramente il patto che attiene all'organizzazione delle grandi aree rispetto all'Europa va ripensato, perché c'è un fatto rivoluzionario, il superamento degli Stati come entità politiche In relazione ai poteri che dovranno trasferire all'entità politica nuova che è l'unione europea. Tutto questo mi porta quindi a suggerire, pur sottoscrivendo quanto hanno detto i colleghi, di provare a fare una parte originale, come Piemonte.
Sono molto lieto che il Consigliere Fiumara oggi abbia parlato da piemontese. Vedi, Fiumara, a mio parere il più bel complimento che si pu fare al Piemonte è quello di registrare che su questi tavoli, in veste di protagonista, c'è un cittadino, non nativo della nostra terra, che ha fatto il Sindaco della seconda città della nostra Provincia.
Ebbene, a me pare che il Piemonte, proprio perché la sua classe politica e la sua cultura sono state protagoniste delle vicende che hanno portato a questa Costituzione, per parte maggioritaria se non esclusiva debba avere la capacità di immaginare il problema del ruolo delle Regioni non in termini di rammendo - come diceva giustamente il Presidente - e di rivendicazione. No, si rivendica qualcosa quando si ritiene che sia nostro.
Questa sembra la discussione sua chi competa il pallone, ma non è più questo lo scenario. Non possiamo immaginare la nuova Regione in relazione alle frustrazioni, alle delusioni, alle mancate aspettative di un modello superato dalla nuova organizzazione internazionale che avrà l'Europa.
A me pare quindi che noi dovremmo avere la capacità di dare un contributo originale a questo disegno e di porre la questione della revisione costitu-zionale, non perché non è attuata la nostra Costituzione non perché non sono rispettate alcune scadenze, ma perché la riteniamo comunque da ripensare. Se sarà adeguata o meno lo sarà in seguito al nostro ripensamento, in relazione allo scenario nuovo che abbiamo di fronte: una struttura politica sovrannazionale che l'Unione Europea sta costruendo.
Per farla breve, suggerirei l'ipotesi di affidare all'Università degli Studi di Torino l'analisi delle diverse articolazioni che esistono in Europa per area vasta. Per Europa delle Regioni s'intende l'Europa delle aree vaste, magari sovrannazionali: si potrebbe quindi immaginare di affidare all'Università uno studio comparato su come i diversi, modelli di organizzazione per area vasta, (Dipartimenti. Land o Cantoni) nei diversi sistemi statali sembrano più funzionali, non alle esigenze di quelle Regioni, ma ad uno scenario nuovo in cui le aree vaste, quindi le Regioni concepite in senso europeo, saranno funzionali al disegno nuovo di superamento dello Stato nazionale e di realizzazione di sistema europeo.
Quindi, io sono per puntare fortemente sulla proposta e sulla scommessa più che sulla rivendicazione e la contestazione.
Certamente la proposta non può prescindere dalle esperienze che abbiamo fatto ed anche dalle delusioni che abbiamo sofferto, ma deve saperle inglobare all'interno di un disegno che abbia come punto di riferimento non il nostro rapporto con lo Stato italiano, ma il nostro ruolo nell'Europa in cui lo Stato italiano avrà una funzione diversa. Su questo, evidentemente ognuno di noi può al massimo balbettare, ed Einaudi ci insegna che per deliberare bisogna conoscere. Queste sono questioni scientifiche, non sono questioni d'opinione; chissà perché su tutto si dice che ci vuole il tecnico, l'esperto, su tutto (anche per cambiare i rubinetti), invece guarda caso, per parlare di questioni politiche basta essere stati eletti.
Non mi sembra così semplice: una questione del genere dovrebbe produrre a livello piemontese un forte sforzo culturale con cui si immagina un contributo non soltanto al nostro Paese ma alla comunità internazionale su come le aree vaste devono concorrere alla formazione dello Stato europeo e come queste aree vaste debbano essere organizzate in termini istituzionali le due cose sono diverse.
In primo luogo bisogna riconoscere se ha ancora senso parlare di area vasta, se queste aree devono essere istituzionalizzate o meno.
Paradossalmente, si potrebbe immaginare che riducendo di gran lunga il ruolo degli stati nazionali, potrebbe non esserci più bisogno del livello di coordinamento degli Enti locali (che potrebbe essere l'unico ruolo che rimane agli stati nazionali); quindi, paradossalmente, le aree vaste potrebbero non più essere aree istituzionalizzando, ma al massimo aree da affidare a soggetti di programmazione. Lascio questa enunciazione molto semplice, il cui sviluppo evidentemente va fatto in altra sede. Questo per quanto attiene alle Regioni.
Per quanto attiene al nostro interno, la questione mi pare non complessa, richiede un approccio onesto (non un approccio molto intelligente) e delle conseguenze oneste. La centralità del Consiglio è duplice: non è solo quella legislativa, è anche quella politica, sapendo che la centralità politica del Consiglio significa che in questa sede la Giunta si forma sulla base di una maggioranza parlamentare: quindi incominciano ad individuarsi due soggetti, la Giunta e la maggioranza parlamentare, di cui, guarda caso, da un po' di tempo si dimentica l'esistenza.
Ciò comporta tutta la serie dei meccanismi che attengono al gioco maggioranza-opposizione. Qui si continua, in modo molto subdolo all'interno di una cultura (richiamo qui gli elementi secondo me non apprezzabili del documento degli amici del PDS), ad essere viziati delle reminiscenze di tipo assemblearistico e in qualche misura di sospetto verso il Governo.
Questo attiene, consentiterni, ad una cultura parlamentare vecchia perché è vero che i Parlamenti sono nati contro il Governo (questo ce lo dobbiamo ricordare) ma dobbiamo anche dimenticarlo. I Parlamenti sono nati come associazioni dei grandi contribuenti nei confronti del soggetto che gestiva le risorse, il quale ricavava il proprio potere non dalla volontà di quei soggetti, ma da un altro tipo di legittimatore, in particolare quello divino. Il Governo nasce qui dentro, perché è espressione della stessa sede dalla quale promana il legislativo. Bisogna quindi fare attenzione a questa contrapposizione, dove si immagina che tutti noi siamo il contro-governo. Non è così: questa è soprattutto la sede di confronto politico dell'opposizione con la maggioranza e con il Governo. Non chiamateci a solidarietà "tutti insieme contro la Giunta"; qui c'è soprattutto la funzione dell'opposizione che, in primo luogo, si qualifica come elemento di controllo: l'opposizione, non il Parlamento. Il Parlamento è la sede, e tutti sono liberi di farlo, ma la funzione precipua di controllo è dell'opposizione, la quale deve contestualmente nella società civile costruire le ragioni della scommessa e della pretesa di sostituirsi come maggioranza. Queste non sono parole, sono questioni centrali che vanno affrontate fino in fondo.
Quello che invece attiene a noi tutti, con pari dignità, è di esercitare ciascuno il nostro ruolo: mentre nel ruolo politico verso la Giunta abbiamo ruoli diversi - noi di sostegno, voi di opposizione - è chiaro che quando non esiste la maggioranza, la Giunta cade, mentre non si può immaginare che l'opposizione sostenga la maggioranza: sono questioni diverse. I ruoli della maggioranza e dell'opposizione rispetto alla Giunta sono diversi; funzione del Consiglio istituzione è garantire il gioco dell'opposizione nel confronti della maggioranza e della Giunta.
La vera questione centrale, invece, è quella legislativa. Devo per dire che alcuni elementi del documento comunista non sono coerenti con questo approccio. legislativo compete a tutti non esiste un "favor" a favore della maggioranza o dell0opposizione; esiste probabilmente l'esigenza di immaginare un percorso accelerato per provvedimenti della Giunta che, in termini funzionali più che di legislazione in , senso stretto, abbiano bisogno di tempi accelerati Ma tanto vale riconoscerlo e disio, perché altrimenti, non dicendolo, si fa sì che di fatto la Giunta sia privilegiata rispetto al Consiglio nel suo complesso, non soltanto nei confronti dell'opposizione.
Se vogliamo fondare veramente il nostro ruolo in quello legislativo, ne deriva che la questione, che ci consente di affrontare tutte le questioni che ne sono corollario, è la questione delle Commissioni: se le Commissioni debbano essere solo referenti o, per esempio, legislative. Ma soprattutto quello che c'è dietro, se vogliamo che la funzione legislativa sia propria del Consiglio e non di fatto riservata alla Giunta.
A questo proposito, il Presidente ha usato un termine giusto: le Commissioni sono sedi di ratifica. I funzionari in Commissione devono essere un complesso di operatori in grado di fare esattamente quello che fanno i funzionari regionali nei confronti dell'Assessore. A questo punto l'Assessore non ha più bisogno dei suoi esperti, perché l'esperto deve essere neutro, in funzione dell'attività legislativa. Quindi, l'esperto deve essere in condizione di assistere sia l'Assessore sia il Consigliere.
Questo - aveva ragione il collega Gallarini - significa la riapertura dei circuiti di informazione e di professionalizzazione del nostro personale. I funzionari delle Commissioni (so bene di non essere frainteso perché i funzionari sanno di avere la mia stima) sono diventati dei verbalizzanti e dei segretari. Il sistema delle intelligenze che devono supportare i Consiglieri e il Consiglio nell'attività legislativa non esiste. Non è che non esista in termini potenziali, non esiste nella sua utilizzazione pratica. E' difficile chiudere una materia come questa in un documento.
Prendiamo atto tutti che è aperta una fase di grande interesse. Penso che dovremmo darci una scadenza precisa, in cui ci sia un Consiglio regionale che definisce l'organizzazione del sistema delle Commissioni per la prossima tornata dei trenta mesi. Quella sarà l'occasione in cui approfondire queste - questioni, cioè la funzione vera delle Commissioni il loro numero. Ma attenzione: il loro numero non è funzionale alle questioni politiche, ma alle questioni oggettive. Noi abbiamo sempre coniugato le Commissioni in ordine alle esigenze politiche (non voglio dire in termini di bassa cucina rispetto alle esigenze del sistema dei Gruppi come qualche volta si è detto), ma di nuovo immaginando che fossero i problemi a orientare l'istituzione. Questo è stato l'errore. Non si possono comprimere delle professionalità e delle ricchezze, perché si immagina in termini politici che un certo settore abbia per un certo periodo un'importanza minore. Non è così. Il sistema della cultura dei funzionari regionali deve essere politicamente, oltre che culturalmente, attento ai problemi, anche se non sono oggetto di attività legislativa da parte della Regione. Altrimenti, quando il problema arriva sul tappeto, noi avremo perso le ricchezze, le professionalità che devono assisterci.
Quindi, il problema delle Commissioni ha come numero, per dirla tutta il problema finale, la conseguenza dell'immaginare che il Consiglio regionale sia un complesso di intelligenze (parlo dal punto di vista strutturale, evidentemente non istituzionale) capace di governare con pari dignità con il sistema di funzionari della Giunta, i grandi processi, le grandi questioni i grandi fenomeni. Quando abbiamo individuato tutto questo, le Commissioni come fatto politico, legislativo in senso politico fatto cioè dai Consiglieri, diventa una questione di grandissima semplicità dal punto di vista dell'obiettivo finale della centralità del Consiglio regionale.
A me sembra che un lavoro utile potrebbe essere quello di darci alcune scadenze precise rispetto a questo e concluderei, anche se avrei parecchie cose da dire non delegando a qualcuno, come è scritto nel documento del PDS (perché incaricare qualcuno significa, evidentemente deresponsabilizzarsi). Qualunque Commissione per sua natura è una sommatoria, non è mai un'originalità, non è mai una specificità. Invece la politica è il confronto delle specificità e poi semmai la loro mediazione una proposta non deve nascere come risultato di un sentire generale, per cui si dice: l'impressione generale è questa. No. Devono venire le proposte specifiche dei singoli Gruppi. La Commissione è la sede in cui si ritiene di dare la funzione istruttoria, non decisionale che invece è del Consiglio. Bisogna, come ha detto giustamente il PDS, rilanciare la capacità dei Gruppi di muoversi su queste questioni a tutto campo in senso organico.
Signor Presidente, se noi immaginassimo di incominciare a segnare la differenza del Piemonte sulla questione regionalistica, che è il muoversi rispetto a uno scenario che si sta costruendo a livello internazionale.
Immaginando che la revisione costituzionale non è la somma delle lamentazioni perché la somma delle lamentazioni non porta alla revisione costituzionale, ma alla modifica dei comportamenti del Governo e del Parlamento; se noi immaginassimo che le cose che non vanno sono solo conseguenze di inadempienze del Parlamento e del Governo, non apriremmo una questione costituzionale. La questione costituzionale la poniamo se immaginiamo che sia avvenuto un fatto rivoluzionario che giustifica un ruolo diverso delle Regioni. A me sembra di averlo indicato. Questo mi sembrerebbe un contributo non di secondaria importanza.
La seconda questione riguarda le Commissioni, come questione centrale da porci e da calendarizzare immediatamente nel suo complesso di problemi.
Proprio per la responsabilità che una forza politica come la mia ha su questo, devo dire che per un momento accantonerei il problema dei rapporti con gli Enti locali, ponendo invece il problema dei rapporti con i cittadini. Non ho nessuna voglia di fare Il gestore. Questo mestiere mi piace, lo sanno tutti, magari ne farò anche un altro, ma quello che mi piace è questo. E' certo che un'istituzione non può non avere il rapporto con il cittadino. Quindi, le Regioni per crescere in termini politici e istituzionali, così come chiedono il voto ai cittadini alla fine devono prestare il servizio diretto ai cittadini. Si tratterà, in un sistema organico europeo, nazionale e regionale di sapere quali somme, quali servizi e quali prestazioni vadano forniti direttamente ai cittadini.
Noi ci lamentiamo molto del fatto che la stampa non ci dà spazio.
Perché non ci dà spazio? Perché noi immaginiamo che le questioni che trattiamo siano importanti, e lo sono, ma solo per una minoranza di lettori, cioè i destinatari dei nostri provvedimenti. E non sono i cittadini i destinatari dei nostri provvedimenti, ma gli Enti locali, le organizzazioni sociali. Poiché un giornale vende una merce che deve essere interessante per Al suo ultimo destinatario, se non ci occupiamo di questioni che riguardano i cittadini (quindi gli 800 mila compratori dei giornali), è evidente che la stampa riduce lo spazio in funzione di quello che immagina sia il target dell'interesse alla lettura della notizia.
Non sono partigiano dico però che dovremmo avere il coraggio di dire che se si ritiene che lo scenario verso il quale andiamo è uno scenario in culla Regione è un Ente di coordinamento e programmazione che ha come terminale ultimo gli Enti locali, lo si dica. Ma forse sarebbe inimmaginabile che noi fossimo eletti di secondo grado e non di primo.
Se il nostro destinatario è l'Ente locale, ci sembrerebbe giusto essere eletti dagli Enti locali, se siamo eletti dai cittadini, dobbiamo trovare il modo di recuperare il nostro rapporto diretto con i cittadini.
Soffro molto, avendo investito molto in questa mia passione, per il difficile e angoscioso rapporto che abbiamo con gli Enti locali. Mi rendo conto pero che, nel momento in cui è partita la manovra subdola dello Stato, che ha costruito una tenaglia con cui ha trovato semplicissimo scaricare su di noi le proprie inefficienze ed inadempienze, è scattata l'altra parte della tenaglia con la quale è evidente che gli Enti locali in un sistema dialettico fisiologico, quindi insuperabile perché porta ad attribuire agli altri le colpe e a noi stessi i meriti, saranno sempre visti in termini di competizione nei confronti della Regione.
Mai nessun Comune riconoscerà che il proprio risultato è soprattutto la conseguenza del lavoro della Regione; sarà invece portato a massi-mizzare il proprio ruolo ed a ridurre quello della Regione, ma questo è fisiologico. E poiché tutto ciò attiene alla nostra testa (e da Socrate in poi la testa degli uomini non è cambiata), i documenti sono gli stessi, non facciamoci illusioni su questo.
Spero di avere adempiuto al mio dovere in modo non disonorevole alla cultura di cui sono depositario insieme al collega Fulcheri.



PRESIDENTE

Ringrazio il Consigliere Marchini - lo dico anche personalmente - per le note iniziali del proprio intervento che mi hanno riguardato; credo di aver colto appieno lo spirito col quale le ha formulate.
Ha chiesto la parola il Consigliere Segre. Ne ha facoltà.



SEGRE Anna

Vorrei iniziare il mio Intervento, l'ultimo della mattinata che avrà probabilmente minor attenzione da parte dei Consiglieri, con un invito: che le novità che abbiamo inaugurato ieri alla ripresa dei lavori del Consiglio non fossero novità solo formali. Vorrei soprattutto che il dibattito odierno, che fino ad ora è stato estremamente interessante ed ha visto l'attenzione alterna dei Consiglieri e dei componenti della Giunta (in alcuni momenti la Giunta e stata totalmente assente. In altri invece abbiamo avuto la sua attenzione, compresa quella del Presidente che per adesso non vedo), per il tono degli interventi, si concluda con l'approvazione di un documento che non ricerchi unanimismi (che probabilmente non ci sono), ma costituisca un passo avanti verso qualcosa verso cui tutti forse vogliamo andare.
Se passassimo la giornata a parlarci addosso (passatemi il termine) forse sprecheremmo una giornata, anche se è senz'altro utile sapere cosa ne pensano di questi argomenti i colleghi di tutti i Gruppi. Tra l'altro occorre esprimersi anche sui vari documenti presentati perché, come ha ricordato il Consigliere Marino all'inizio della mattinata, vari documenti sulla questione del regionalismo, che rappresenta ormai il problema di oggi insieme a quello del Consiglio erano giacenti da mesi.
Parto quindi dal problema del regionalismo perché da tempo, ormai da sempre; è una delle argomentazioni fondanti il pensiero e la politica Verde che ne è succeduta. Per questo motivo mi ero anche permessa di mandare a tutti i Consiglieri una lettera di motivazioni sul perché i Verdi aderivano alla proposta di firme sui referendum, motivazioni che anche qui voglio riprendere.
Le nostre considerazioni partono dal fatto che in questi anni stiamo assistendo ormai dappertutto alla crisi degli Stati e all'ingresso nella storia di nuovi soggetti (le nazionalità e le Regioni), che reclamano modelli istituzionali di autogoverno diversi da quelli che ci sono stati fino ad ora. La crisi dello Stato italiano è sotto gli occhi di tutti ed ha origini vicine e lontane. Ha origini lontane nell'affossamento della grande idea federalista, quella di Cattaneo, che invece ha lasciato lo spazio ad una struttura centralista ed omologatrice, che ha seppellito un mondo ricco di nazionalità e modelli di società estremamente diversificate. Ha anche origini vicine perché, alle sempre maggiori richieste di riconoscimento di diritti all'autodeterminazione di identità, lo Stato ha saputo rispondere con ipotesi neocentraliste espropriando sempre più le Regioni dai miseri spazi di autonomia, soprattutto finanziaria, che la Costituzione aveva loro lasciato.
I Verdi sono quindi favorevoli ad una trasformazione dello Stato in senso federalista. Federalismo vuol dire che sono le Regioni che formano lo Stato e decidono quali poteri eventualmente delegare ad un organismo statale e federale, per esempio la difesa, la moneta e alcuni altri, per gestire direttamente dall'agricoltura alla pubblica Istruzione, dandosi delle leggi-quadro nelle varie materie.
Riteniamo che il modello federale al quale i Verdi si ispirano debba scaturire da un grande dibattito fra le forze culturali, sociali e politiche. Un appuntamento culturale a cui i Verdi sono estremamente preparati, perché sono nati e cresciuti come forza politica da un coordinamento di gruppi locali. Ricordo, per chi non lo sapesse, perché non si guarda mai l'organizzazione degli altri partiti politici, che tra Verdi non esiste una segreteria politica né un unico segretario politico a livello nazionale che possa decidere per tutti. Di qui derivano alcune delle difficoltà dei Verdi. Ogni Regione può decidere autonomamente e, a volte, quando c'è un confronto nazionale, emergono delle difficoltà ma sono problemi derivanti dall'organizzazione federalista che ci siamo dati e in cui tutti crediamo fermamente.
Il principio di uno Stato federale si fonda notoriamente su una divisione dei poteri tale che il governo generale e i,governi regionali siano ciascuno in una sfera determinata coordinati e, nello stesso tempo indipendenti.
Il decentramento organico dello Stato va reclamato, ma si deve fondare soprattutto sul principio base del federalismo: il principio di sussidiarietà. Secondo il principio di sussidiarietà, le competenze devono sempre essere affidate al più basso livello decisionale; nel caso di organizzazione dello Stato ciò significa che questa deve essere fatta in modo che i poteri dell'Ente locale di livello superiore e dello Stato inizino laddove termina il potere dell'Ente locale di livello inferiore.
In secondo luogo, il decentramento organico dello Stato deve basarsi su una ripartizione dei poteri tra i livelli degli Enti locali tale da assicurare che le decisioni vengano assunte da organismi aventi giurisdizione su un territorio corrispondente alle dimensioni del problema.
Tutto questo vuol dire applicare il principio di sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà, com'è noto, è il principio base del federalismo. In realtà, basandoci anche su questo principio, non esistono le cosiddette competenze esclusive che, in quanto tali, appartengono ad un solo livello, ma la regola del federalismo vuole che esistano anche le cosiddette competenze concorrenti, cioè quelle competenze su cui concorrono le decisioni di uno Stato centrale e quelle degli Stati federali, secondo il modello a cui ci ispiriamo.
In questo senso e per questi motivi noi ci ispiriamo a questo modello di Stato federalista; di nostro contributo politico mira anche a raggiungere un risultato di questo genere. E' per questo che, per esempio i Verdi hanno sostenuto ed appoggiato la proposta di legge Labriola della Commissione Affari Costituzionali della Camera, proprio perché arrivava ad una nuova formulazione di competenze legislative delle Regioni rispetto a quelle dello Stato.
Un altro passaggio fondamentale, secondo noi, per liberare le Regioni dall'influenza dello Stato, per avere quindi maggiore autonomia legislativa, potrebbe essere, in riferimento a un potere tutto romano e centralizzato di cui per ora nessuno ha parlato, l'abolizione del potere di veto che il Governo ha su qualsiasi legge regionale attraverso il Commissario di Governo. Anche questo sarebbe un passaggio fondamentale per liberarsi di un pezzo importante di mancata autonomia legislativa delle Regioni, le cui leggi devono comunque essere vistate dal Commissario di Governo.
Passando ad argomenti più specifici, portando il discorso dalle Regioni ai Consigli, vorrei evidenziare come potrebbe essere importante istituzionalizzare il coordinamento diretto fra i vari Consigli regionali questo potrebbe ovviare a molte duplicazioni, come quelle cui ha fatto riferimento il Consigliere Zacchera nel suo intervento parlando delle ripetizioni nelle varie Regioni.
Penso che l'istituzionalizzazione di un coordinamento diretto tra i Consigli regionali potrebbe essere una buona iniziativa, che tra l'altro, è già partita con il convegno di ottobre a Venezia che, secondo me,' dovrebbe diventare un appuntamento annuale.
Per quanto concerne à riferimento alla Costituzione, e quindi al famoso art. 117 che, ci riguarda direttamente perché stabilisce le materie sulle quali le Regioni possono emanare norme legislative, un'altra possibile proposta è quella di abrogazione della cosiddetta norma compromissoria presente nella legge 62 del 1953, che colloca la potestà legislativa delle Regioni nei limiti dei principi fondamentali della Costituzione; oltre che delle leggi che espressamente li stabiliscono, lasciando praticamente allo Stato la possibilità di legiferare su materie di esclusiva competenza regionale. Penso che in una revisione legislativa o in una riforma istituzionale anche questo punto dovrebbe essere trattato.
Prima di fare questa annotazione sulla norma compromissoria, stavo parlando dell'istituzionalizzazione di un coordinamento diretto tra i Consigli regionali; scendendo ancora di scala, proporrei delle riunioni periodiche tra le diverse, Commissioni omologhe delle varie Regioni.
Sovente sui tavoli delle diverse Regioni ci sono provvedimenti analoghi magari negli stessi momenti che adesso sono nazionali e che poi ci troveremo a smaltire a livello regionale (ad esempio, quello dell'Area Metropolitana). Probabilmente un confronto aperto tra le diverse Commissioni potrebbe dare dei buoni risultati, come pensare seriamente a quello a cui pensiamo dall'inizio di questa legislatura, cioè ad un'organizzazione diversa dei lavori mensili del Consiglio. Proporrei una sessione legislatura di tre giorni nella settimana e un'organizzazione del rapporto Giunta-Consiglio per quanto riguarda le interrogazioni e interpellanze sullo schema della "question time".
Altro problema, che già altri Consiglieri hanno toccato, è quello di prevedere una relazione periodica sulla efficacia delle leggi. Per questo ci possono essere vari metodi e diverse sono le competenze nel capire a chi spetta questo compito. Penso spetti ai Consiglieri ", come sono quelli dell'opposizione; e anche a qualcuno della maggioranza che non ha responsabilità di Assessorato, i quali potrebbero svolgere meglio il loro lavoro. Nel corso dell'anno poniamo in essere una serie di interventi legislativi che in genere dimentichiamo, ma che andiamo a riprendere: quando qualcosa non funziona. Sarebbe invece utile un documento periodico sull'efficacia delle leggi e sull'efficacia finanziaria.
L'ultimo argomento è relativo all'efficacia delle spese. Questo dovrebbe essere un documento che il Consiglio regionale, che vuole darsi degli strumenti nuovi, dovrebbe prevedere.
D'altronde abbiamo appena approvato nella revisione della legge n. 56 anche perché lo dicono le leggi nn. 9 e 10 sul risparmio energetico l'obbligatorietà per i Comuni che superano una certa dimensione di fornire insieme al Piano Regolatore, un bilancio energetico.
Non è certo questo lo strumento della Regione - e l'avevo già detto in un intervento simile l'anno scorso in occasione del dibattito sul bilancio ma credo che le impostazioni di bilancio solo in termini numerici e finanziari non bastino più Pensiamo siano necessari per gli Enti locali, ma anche per le imprese private, dei bilanci ambientali, che prevedano quindi anche fuso e il consumo delle risorse. Questo è normale in altri Stati e per esempio, in Francia queste cose avvengono già normalmente.



PRESIDENTE

Ho preso nota anche delle sue proposte. Ringrazio il Presidente della Giunta per l'attenzione dedicata al dibattito di questa mattina. D'altro canto, la Giunta e i suoi Assessorati sono i veri protagonisti di queste ipotesi di rilancio regionale che noi questa mattina insieme stiamo delineando.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.40)



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