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Dettaglio seduta n.82 del 24/02/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Comunico che ha chiesto congedo per la seduta di questa mattina il Consigliere Oberto, in quanto trattenuto a Parigi per la firma della convenzione per il Frejus.


Argomento:

Documenti - Assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

Comunico inoltre che in data 19 febbraio è pervenuto alla Regione lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il riordinamento del Ministero dell'Interno. In data 21 febbraio questo veniva trasmesso al Presidente del Consiglio e veniva assegnato in data 23 febbraio all'esame delle Commissioni IV e VIII in sede referente.
In data 21 febbraio è pervenuto alla Regione lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il riordinamento del Ministero di Grazia e Giustizia. In data 22 febbraio questo veniva trasmesso alla Presidenza del Consiglio Regionale ed assegnato in data 23 febbraio all'esame della VIII Commissione permanente in sede referente.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Informo che sono pervenuti alla Presidenza i seguenti documenti: da parte del Consigliere Regionale Revelli un telegramma che segnala la grave situazione provocata dalle recenti calamità atmosferiche in numerosi centri del Cebano e dell'alta Val Tanaro e richiede l'intervento della Regione per immediati e seri provvedimenti.
Da parte del Centro per la pianificazione territoriale e lo sviluppo dell'area monregalese una comunicazione relativa all'iniziativa assunta dal Comitato direttivo del Centro in relazione ad una proposta di istituzione del circondario di Mondovì ai sensi dell'art. 70 dello Statuto Regionale.
Da parte del Consiglio di fabbrica dell'assemblea dei lavoratori della Bemberg di Gozzano un telegramma che chiedeva immediata risposta in ordine all'impegno assunto dalla Regione Piemonte con il voto consiliare del 24 gennaio u.s. circa un incontro con la presidenza della Società Bemberg. Di tale telegramma ho dato notizia al Presidente della Giunta pregandolo di fornirmi notizie in merito allo stato della iniziativa.
Da parte del Sindaco di Vercelli, un telegramma con cui si invitava a partecipare ad una riunione sulla situazione del Maglificio Faini di Vercelli, riunione che ha avuto luogo lunedì 21 febbraio presso il Municipio di Vercelli con la partecipazione di parlamentari piemontesi, del Vicepresidente della Giunta Regionale e mia personale.
Da parte del Consiglio di fabbrica della Way Assauto, un ordine del giorno con cui si esprime la piena disapprovazione dei modi con cui si cerca di dare pressione alla crisi di Governo e un altro ordine del giorno in cui si condannano i gravi attentati dinamitardi avvenuti a Milano ad opera di squadre fasciste.
Da parte del Consiglio di fabbrica della Pirelli di Settimo Torinese un documento con cui si condanna l'uso indiscriminato della polizia contro i lavoratori e gli studenti e si chiede a tutte le forze sinceramente democratiche un pronunciamento responsabile e una attenzione decisa di impegni che vadano nella direzione voluta dai lavoratori.
Da parte della rappresentanza sindacale dell'Istituto Autonomo Case Popolari di Torino un documento di protesta contro assunzioni effettuate da tale Ente senza pubblico concorso ed in violazione del vigente contratto di lavoro.
Da parte del personale dei Centri INAPLI (Istituto Nazionale per l'addestramento e perfezionamento lavoratori industria) del Piemonte un documento di adesione allo sciopero con dettagliate indicazioni delle motivazioni dello stesso, prima fra tutte la salvaguardia del posto di lavoro.
Da parte del Sindacato interprovinciale Canali Cavour un documento che sollecita la risoluzione di alcuni problemi relativi al rapporto di lavoro (orario, indennità, alloggio eccetera).
Dalle federazioni nazionali Dipendenti Enti locali della CGIL, CISL e UIL un documento che precisa, a proposito delle vertenze sindacali in atto tra i dipendenti delle Regioni e le Giunte Regionali, la linea nazionale e gli obiettivi generali perseguiti nel settore dalle tre Federazioni.
Dalle Segreterie CGIL, CISL e UIL di Torino, un comunicato in merito alla vertenza aperta con i Comuni e le Banche sulla riforma della rete distributiva e l'apertura di centri di vendita controllati soprattutto in relazione alle preoccupazioni emerse circa i tempi di approvazione delle relative deliberazioni da parte dei nuovi organi tutori.
Da parte della CGIL, CISL, UIL di Torino una memoria presentata dalle predette organizzazioni sindacali in occasione del Convegno delle Amministrazioni comunali della cintura torinese su "Amministrazioni comunali e forze sociali di fronte all'applicazione della nuova Legge sul Commercio" svoltosi a Settimo Torinese il 13 febbraio scorso.
Da parte dell'ACLI TERRA, Alleanza nazionale dei contadini, Unione coltivatori italiani, un documento relativo alle rivendicazioni previdenziali e assistenziali dei contadini in cui si richiede l'adeguamento a livelli paritari dei trattamenti di assistenza e di previdenza dei coltivatori diretti per adeguarli a quelli generalmente praticati per le altre categorie di lavoratori.
Da parte del Comitato Regionale Piemontese della Lega Nazionale cooperative e mutue un documento circa la preparazione dei piani di localizzazione di cui all'art. 3 della Legge sulla casa in cui si richiede tra l'altro, una riunione con l'Ufficio di presidenza per chiarire certi contenuti della Legge circa la competenza a formulare detti programmi ed un'altra promossa, dal Presidente della Giunta o dall'Assessore delegato con i Gruppi consiliari, i Sindacati, le ACLI Casa e le organizzazioni cooperative per discutere appunto di tali programmi.
Da parte della Provincia di Asti un ordine del giorno di quella Giunta provinciale con cui si fanno voti affinché il Parlamento voglia rapidamente proporre una Legge che assegni agli Enti locali i mezzi necessari per fronteggiare le spese derivanti dalla concessione dei benefici a favore dei dipendenti ex combattenti ed assimilati.
Da parte del Comune di Serravalle Sesia un ordine del giorno approvato da quella Giunta Municipale circa la riduzione della produzione e dei quadri delle maestranze della Cartiera Italiana e Sertorio Riunite S.p.A.
Da parte del Comune di Grugliasco, un documento votato al termine dell'Assemblea dei Consiglieri comunali, dei partiti e delle organizzazioni democratiche, del Comitato cittadino antifascista e dei Consigli di fabbrica della zona per esaminare la grave situazione politica determinatasi attraverso l'intensificarsi degli attentati e delle provocazioni neofasciste.
Da parte della Sezione provinciale di Vercelli della Federazione Italiana pesca sportiva, un ordine del giorno che richiede adeguati provvedimenti atti a garantire la cessazione degli inquinamenti delle acque del fiume Sesia e del torrente Strona, ordine del giorno votato dall'Assemblea dei pescatori sportivi di Borgosesia.


Argomento: Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

Esame della mozione di sfiducia presentata dai Consiglieri del gruppo comunista e del PSIUP


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, la seduta odierna contiene un unico punto all'ordine del giorno, in quanto essa è stata richiesta a termini dell'art.
26 dello Statuto dal numero prescritto di Consiglieri. E' quindi una sessione straordinaria del Consiglio, che si svolge secondo le norme previste in detto art. 26, di cui do lettura: "Il Consiglio si riunisce in sessione straordinaria ogni qual volta per oggetti determinati ne facciano richiesta il Presidente della Giunta o un quarto dei Consiglieri in carica. La seduta deve aver luogo entro quindici giorni dalla data in cui la richiesta è pervenuta alla Presidenza del Consiglio". Vi sono poi norme relative ai termini di convocazione e all'applicazione di questi stessi termini.
Questa sessione straordinaria è stata richiesta per esaminare la mozione di sfiducia che è stata presentata con il numero prescritto di firme da quattordici Consiglieri, e precisamente dai tredici Consiglieri del Gruppo del Partito comunista italiano e dal Consigliere del Partito socialista italiano di unità proletaria.
I presentatori della mozione stessa hanno facoltà di illustrarla. Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Signor Presidente, Signori Consiglieri, abbiamo presentato una mozione di sfiducia, a conclusione di una serie di dibattiti che hanno investito importanti questioni regionali, avendo costatato un progressivo scivolamento dell'attuale Giunta su posizioni immobilistiche e conservatrici e l'adozione di un metodo non conforme ai principi statutari e tale da pregiudicare la stessa credibilità della Regione.
Questa nostra mozione si discute in una situazione politica ed economica quale risulta dai precedenti dibattiti del nostro Consiglio Regionale, e in un quadro politico nazionale gravemente deteriorato, in cui hanno assunto forma e contenuti i tentativi di respingere il moto di rinnovamento del Paese proposto con la lotta dai lavoratori. Il Paese com'é noto, sta avvicinandosi alle elezioni politiche anticipate, unica condizione, ormai, per uscire da una situazione di marasma, in cui gravi sono anche le preoccupazioni per la situazione di crisi economica, per superare la quale sarebbe necessario un Governo le cui componenti politiche sappiano avviare concretamente e con senso di responsabilità una politica di programmazione e di riforme sociali. Invece, sempre più grave è la crisi politica aperta dalla Democrazia Cristiana, responsabile principale di questa situazione, incapace ormai di indicare una linea effettivamente in grado di far uscire il Paese dal caos, divisa com'è e tesa essenzialmente a comporre i propri contrasti interni, con il fine, al di là della soluzione dei problemi, di partecipare alla gestione del potere.
Questa situazione di crisi alimenta la sfiducia nelle istituzioni, crea spazio alle manovre fasciste, favorisce i tentativi di involuzione. In questo quadro, la mancata soluzione dei grandi problemi sociali del nostro Paese, del Mezzogiorno d'Italia in particolare, la corruzione e il malcostume dilaganti sono gli elementi primari responsabili dell'ondata di criminalità che investe il Paese ed in particolare il nostro centro. In questa situazione, la Democrazia Cristiana, nel tentativo di risolvere le proprie contraddizioni, si presenta con un Governo monocolore, in cui la presenza di uomini, ormai emarginati dalla vita politica reale del Paese rappresentanti di un mondo conservatore, tutt'al più capaci, com'é successo in Piemonte, di avanzare una provincialistica ed elettoralistica proposta di istituzione di nuova Provincia, confermando così ed estendendo il proprio spostamento a destra. Una decisione, questa, del monocolore fortemente criticata all'interno del Centro-Sinistra e all'interno stesso della Democrazia Cristiana. Sono note le posizioni che a questo proposito hanno assunto il partito socialista italiano, il partito repubblicano italiano e lo stesso contrastante atteggiamento del partito socialista democratico italiano.
Questa decisione democristiana di presentarsi con un monocolore indica la volontà di parte di essa Democrazia Cristiana, certamente della parte dominante, di rendersi disponibile per future soluzioni di Governo di Centro-Destra. Ed è contro questo piano conservatore che è necessario schierare oggi il massimo di unità delle forze di sinistra e democratiche.
Introducendo con questo argomento il nostro intervento sulla mozione di sfiducia, argomento che non è estraneo alle questioni politiche che attengono l'attività e il funzionamento del nostro Consiglio Regionale, noi ci rivolgiamo a tutte le forze politiche di sinistra e democratiche presenti invitandole a considerare tutta la gravità della situazione e la necessità di operare conseguentemente per dare alla Regione Piemonte un esecutivo pronto a sostenere il confronto costruttivo aperto nella fase statutaria per rispondere positivamente alle esigenze, ai problemi presenti nella realtà piemontese. Quello che occorre in questa situazione è cioè una Regione funzionante, attiva, sempre presente, aperta ai contributi partecipativi e alle istanze innovatrici che vengono dalle masse lavoratrici e dalle categorie produttive. Questo occorre in Piemonte, come nella altre Regioni, nel momento in cui, proprio per la crisi che si è aperta a livello di istituzione nazionale, si apre un vuoto, che occorre colmare affrontando i problemi con l'impegno di tutti i suoi componenti.
Noi dal 1° aprile potremo esercitare i poteri trasferiti e delegati, ed è quindi una grossa responsabilità che noi abbiamo, la possibilità cioè di legiferare nel merito delle materie che ci sono delegate dalla Costituzione, conferisce all'azione della Regione e ad ognuno di noi una grande responsabilità: quella di essere, in questa fase di vuoto politico a livello nazionale, l'organismo legislativo capace di affrontare comunque i problemi urgenti e drammatici che incombono sulla nostra Regione, sulla nostra Provincia, che investono tutta la vita economica e sociale del nostro Paese.
Noi affermiamo che pertanto, alla luce di questa esigenza fondamentale occorre siano evitate eventuali crisi di Giunta prolungate qualora le candidature interessassero elementi della Giunta, in particolar modo il Presidente della Giunta, per il che si aprirebbe automaticamente la crisi della Giunta. Occorre evitare che si aprano dei vuoti nei banchi qualora determinati Consiglieri Regionali volessero, intendessero partecipare alla competizione elettorale. Pertanto noi affermiamo che occorre procedere rapidamente alla surroga dei possibili candidati, perché il Consiglio Regionale funzioni con la totalità dei suoi componenti e non abbia a subire delle pause che potremmo pagare duramente, e per i motivi politici che ho prima esposto, e per la esigenza, comunque, di affrontare e risolvere i problemi. Poteri che noi affrontiamo disponendo, come dicevo prima, di poteri, ma in una situazione in cui la possibilità effettiva di operare e di funzionare è compromessa, è resa molto difficile dalla reale situazione delle Regioni dal punto di vista degli organici, del personale, della capacità di funzionare delle Regioni.
Noi affermiamo, quindi, che la Regione, per rispondere pienamente agli impegni che le competono, e per venire incontro con senso di responsabilità alle legittime attese delle popolazioni amministrate, deve proporsi di operare, dal momento in cui potrà esercitare appieno i suoi poteri investendo tutti gli organi del Consiglio. E' noto che la Regione toscana ad esempio, che pur dispone di un organico molto superiore è già meglio inquadrato di quello della Regione Piemonte, rendendosi conto che esso è comunque ancora limitato rispetto ai numerosi, gravi e complessi compiti che stiamo per assumere, ha preso l'iniziativa di proporre al Consiglio Regionale delle leggi in base alle quali tutti gli organi del Consiglio vengono investiti della responsabilità di assolvere i compiti che il trasferimento ci assegna. Da questo punto di vista è importante, nello stato attuale di organizzazione, o di disorganizzazione, funzionale del nostro Consiglio, che si assuma questa esperienza come indicativa di un metodo che noi proponiamo sia assunto dalla Regione Piemonte, perch effettivamente, di fronte alle necessità di intervento che noi abbiamo in rapporto ai problemi della casa, della scuola, della salute, della sanità e via dicendo possa adottarsi un metodo che consenta di decentrare l'assunzione delle iniziative occorrenti e dia effettiva consistenza e possibilità di operare agli organismi, Giunta e Commissioni, del Consiglio oltre che all'Ufficio di presidenza. Questo è un modo di uscire da una situazione che altrimenti diverrebbe probabilmente insostenibile e non consentirebbe di colmare, anche quando si fosse sorretti da buona volontà tutte le gravissime carenze con le quali ci troveremo a dover fare i conti dal 1° aprile in avanti.
Noi affermiamo, quindi, che questa esigenza di essere presenti per colmare il vuoto che si apre a livello nazionale non deve consentire pause nell'attività del nostro Consiglio Regionale. Per quanto riguarda noi Consiglieri del Gruppo comunista, la nostra scelta è già fatta: rimarremo tutti alla Regione, perché sentiamo profondamente l'importanza di dare in questo momento il massimo nostro apporto a questo organismo, di operare al massimo delle nostre capacità per consentire ad esso di affermarsi senza pause, attraverso un'attività continuativa, attraverso il pieno impegno di tutti i suoi componenti. Noi considereremmo pregiudizievole per l'affermarsi dell'istituto. Regionale che la campagna elettorale che sta per aprirsi provocasse interruzioni anche prolungate nell'attività della Regione. Questo è uno dei punti che intendiamo rimarcare: è un modo di operare che ci è imposto dalla situazione nazionale gravemente deteriorata che ci troviamo a dover affrontare.
In questo quadro di esigenza di attività continua, di presenza, di tempestività, la nostra mozione di sfiducia a questa Giunta non è contraddittoria. Noi non chiediamo di aprire vuoti alla Regione Piemonte con il sollecitare una presenza maggiore per colmare i vuoti che si aprono a livello nazionale: noi diciamo semplicemente che è proprio il modo di collocarsi dell'attuale Giunta che è incompatibile con il quadro delle esigenze inderogabili.
I motivi di sfiducia riguardano i contenuti politici e le questioni di metodo della Giunta presieduta dal dott. Calleri. I primi sono venuti chiaramente evidenziandosi nel corso dei vari dibattiti che abbiamo sostenuto su questioni concrete, ma hanno assunto una chiarificazione, un elemento di estrema chiarezza, nell'ultima riunione del Consiglio, quella in cui si sono trattati i temi dell'occupazione, dello sviluppo economico della nostra Regione. Da questo punto di vista, desidero, a nome del Gruppo, manifestare più compiutamente quanto avevo dichiarato a conclusione di quel dibattito.
Per questo desidero premettere alcune considerazioni di merito, che per quanto riguarda la situazione economica del Piemonte, i problemi del suo sviluppo economico-sociale, noi abbiamo più volte affermato, e che sono diventati elemento di dibattito, e, oserei dire, non di contestazione.
Noi abbiamo più volte affermato e denunciato che i caratteri unilaterali e le tendenze dell'economia piemontese si sono accentuati con drammatica progressione in questi ultimi anni, come elementi di precarietà dello sviluppo stesso, di aggravamento degli squilibri, nonché come causa di un processo che porta ad un accrescimento continuo dei costi sociali e umani dell'espansione produttiva. Abbiamo anche sostenuto l'importanza della presenza di decine di migliaia di piccole e medie aziende industriali ed imprese artigiane in un sistema altamente integrato come il nostro, che ha bisogno delle imprese piccole e medie per coprire tutte le articolazioni, gli interstizi di questo sistema integrato, che le maggiori imprese non possono coprire. Presenza importante anche dal punto di vista dell'occupazione, ma con una caratteristica essenziale e specifica nella nostra struttura industriale: lo stato di precarietà e di crisi di autonomia imprenditoriale, dovuta all'obbligatorio stato di collegamento diretto o indiretto, ai piani di sviluppo e alla produzione della grande impresa motrice, che è la Fiat.
Le conclusioni cui siamo pervenuti, viste le conseguenze negative, di carattere spesso patologico, di tale unilateralità, propria dello sviluppo economico in Piemonte, e cioè eccesso di specializzazione della struttura industriale, carattere monoculturale dello sviluppo socio-economico polarizzazione delle risorse non solo in pochi settori produttivi ma anche in ristrette aree territoriali; conseguenti effetti di spoliazione e di degradazione delle rimanenti aree regionali, funzione attiva dell'apparato produttivo del Piemonte nel produrre un distacco crescente tra il Nord e il Sud, fra città e campagna, l'acutizzarsi della congestione di certe aree le conclusioni, dicevo, sono che per modificare tale stato di cose occorre mettere in discussione innanzitutto la collocazione e il ruolo dell'impresa motrice principale, la Fiat, come soggetto fondamentale unilaterale delle grandi scelte. Poiché è chiaro a tutti coloro che non siano collocati nel disegno padronale, che in un meccanismo così fortemente integrato e sostanzialmente modellato e unificato da una sola grande azienda motrice non è possibile correggere niente se non viene chiamata in causa questa forza trainante, se il discorso non comincia proprio dalla testa dell'intero processo.
Di qui, pertanto, l'esigenza, per conquistare obiettivi di piano democraticamente definiti, di operare per costruire strumenti capaci di chiamare in causa, di controllare, l'iniziativa delle grandi imprese motrici. E noi abbiamo indicato, nel dibattito precedente, alcune linee di questo intervento, teso a imbrigliare, a controllare i piani di investimento. Le abbiamo indicate attraverso il controllo, attraverso il credito, proponendo il coordinamento dei vari strumenti di credito pubblico oggi operanti, dalle banche all'IMI, alla Mediobanca, all'IRI, al Credito agrario. Ecco come operare per costruire strumenti che consentano alla Regione di controllare tutti gli investimenti e di dirottarli a favore della piccola e media azienda, attraverso la manovra di tutti gli strumenti di credito attualmente esistenti. Di qui il discorso che va ben al di là di una finanziaria pubblica che operi per intervenire nelle situazioni contingenti: si deve giungere al controllo di tutti gli strumenti pubblici che già operano nel settore del credito per dirigere questo nel senso di ostacolare l'uso del credito che oggi fa la grande azienda motrice. Un controllo attraverso l'assetto del territorio che sia parte del piano di sviluppo economico regionale e che serva agli obiettivi principali che questo si propone, attraverso il controllo delle fonti di energia attraverso il controllo della politica dei trasporti, elementi basilari per impostare una politica di sviluppo economico effettivamente diversa comunque tale da poter incidere sui piani di investimento, di condizionare le scelte che oggi unilateralmente vengono compiute dalle grandi imprese motrici.
Noi abbiamo concluso, nel corso dei vari dibattiti sostenuti qui e altrove, che sulla esigenza di andare quindi ad una trasformazione del meccanismo di sviluppo, ad una crescente diversificazione della struttura industriale, si sono stabiliti importanti concordanze e punti fermi. Il punto fermo principale lo abbiamo chiaramente scritto nello Statuto della Regione, riconoscendo l'esigenza di rispondere alle istanze di giustizia sociale e di rinnovamento poste dalle masse lavoratrici. Abbiamo assunto perciò statutariamente l'impegno di operare per contenuti profondamente innovatori e democratici, facendo perno sulla partecipazione popolare e adottando il metodo e gli strumenti della programmazione, "per suscitare cito testualmente - e valorizzare tutte le energie, utilizzare tutte le risorse e favorire tutti gli apporti nel determinare e soddisfare organicamente i fabbisogni e le esigenze della comunità regionale". Oltre che, abbiamo affermato ancora nello Statuto, "solenne impegno di adottare le misure necessarie per assicurare la funzione sociale della proprietà privata".
Nella realtà di questi quasi due anni ormai di attività della Regione un anno e otto mesi circa -, come si è mantenuto fede a questi impegni? Perché di questo si tratta. Nel momento in cui noi presentiamo questa mozione di sfiducia non ci sono elementi nuovi, al di fuori del quadro nazionale in cui ci collochiamo. La mozione di sfiducia è la conseguenza di tutta una serie di constatazioni, denunce e conclusioni cui siamo pervenuti nel corso dei dibattiti precedenti.
La realtà dimostra questo: la maggioranza politica della Regione si sul piano delle forze politiche, dei contenuti, spostata a destra, con la formazione dell'attuale Giunta e con l' inequivoca collocazione risultante dalle conclusioni del recente dibattito economico sulla situazione del Piemonte, con una scelta di campo che, rinunciando all'esercizio di controlli sui piani di investimento delle grandi imprese, e con l'affermazione di una programmazione concertata, stabilisce di fatto un ruolo subordinato degli organi di direzione politica alle scelte delle forze che detengono il potere economico.
E qui non siamo solo in presenza di diverse posizioni di schieramento il che sarebbe anche comprensibile, in quanto ognuno di noi porta qui le posizioni ideologiche e politiche corrispondenti alla elaborazione del proprio partito. La ragione della nostra sfiducia a questa Giunta è fondamentalmente questa: che tale scelta di campo è contraria ai principi programmatici dello Statuto, e quindi è contraria agli interessi della collettività lavoratrice. Ho letto prima gli articoli dello Statuto. Noi affermiamo, e per questo abbiamo dichiarato la nostra sfiducia, che il modo di collocarsi, questa scelta di campo, è contraria alla scelta, che la Regione aveva fatto elaborando ed approvando il proprio statuto, di obiettivi sociali completamente diversi, per ottenere il raggiungimento dei quali è comunque necessario imbrigliare, ostacolare, controllare i piani della più grande impresa presente nel nostro Piemonte, e che ha, com' noto, importanza in campo nazionale.
Un'altra ragione della nostra sfiducia, non secondaria ma anzi in stretto rapporto con i contenuti, deriva dal metodo di azione scelto da questa Giunta. E' chiaro, come dimostrano anche certe esperienze del nostro Consiglio, che fondare la propria azione sulla massima ricerca di partecipazione, sulla ricerca del massimo consenso, fa emergere quel ruolo che lo Statuto assegna alla Regione, ma fa emergere anche situazioni esigenze, proposte, in ultima analisi fa emergere scelte di politica economica e sociale certamente diverse e contrastanti dalle scelte e dai piani delle grandi forze economiche. Ed è proprio questo che nei fatti non si vuole. E' ben vero che la Regione è ostacolata, ha poteri limitati trova difficoltà notevoli nel suo operare, e sappiamo - l'abbiamo anche detto ripetutamente - che questo fa parte del più generale attacco che le forze conservatrici hanno portato alla classe operaia e agli istituti che devono consentire a questa di avanzare sulla strada della trasformazione sociale del nostro Paese. Ma deve essere chiaro che, comunque, in questa situazione, è quello che la volontà politica dei suoi componenti le consente di essere.
Invece, voi della Giunta vi siete rapidamente arroccati in una chiusa difesa delle vostre prerogative, superbamente convinti di poter provvedere a tutto. In realtà, avete compromesso la situazione, dimostrando una incredibile incapacità anche solo di organizzare ad un livello accettabile la vita funzionale della Regione. La vertenza con il personale di questi ultimi giorni è la più palese dimostrazione di ciò: avete persino negato al personale il diritto di avere delle idee, perché intendevano prospettare una ipotesi di organico, siete persino riusciti a scontentare del personale che pure avete scelto voi.
La realtà è che siete impacciati da ritardi di carattere culturale oltre che politici, che vi rendono incapaci di dare una risposta positiva ai problemi della nostra società. Perché voi in generale siete sollecitati e stimolati da altre esigenze, quelle personali, di correnti, che si alimentano soprattutto con la conquista di posti di potere. Voi non sapete rinunciare ad altri impegni, quando la situazione vorrebbe che tutti, qui lavorassero a tempo pieno.
Certo, potete anche dire che la Regione è intervenuta sui problemi dell'occupazione: abbiamo anche dato atto a qualche Assessore di essersi impegnato, personalmente, a fondo in queste questioni. Ma, a parte il fatto che in generale ciò vi è stato imposto dalla pressione dei lavoratori, che hanno giustamente individuato nella Regione un punto, preciso di riferimento, si tratta per lo più di interventi occasionali, contingenti dettati dalla necessità. La Giunta è mancata sul piano dell'azione politica e delle iniziative capaci di proporre un quadro diverso, in cui fosse possibile rimuovere certi ostacoli. Si tratta, in carenza di poteri, di condizionare le scelte di altri con il peso della iniziativa politica della Regione - che impediscono un ordinato e organico sviluppo. Mentre nessuno può smentire che in gran parte tutto quanto riguarda dibattito e confronto sui contenuti dei temi di riforma è stato dovuto all'iniziativa nostra e delle sinistre unite, occorre aggiungere che la Giunta ha in gran parte eluso gli impegni scaturiti da questi dibattiti. In particolare, sottolineo gli impegni che riguardano la messa in moto degli strumenti per produrre una nuova politica di piano, rifiutando le conferenze di comprensorio proposte ed accettate dall'Assemblea, rifiutando, cioè, nei fatti, al di là delle dichiarazioni, di mettere in movimento, non soltanto a livello di contatto personale ma a livello di forze politiche, sociali e sindacali come scritto nello Statuto, tutte quelle forze che sono necessarie indispensabili, per far emergere un quadro di obiettivi nuovo, diverso, e con questo movimento condizionare le scelte cui ci si è invece soltanto dovuti accordare, salvo in qualche caso il tentativo di porre dei limiti.
Non desidero aggiungere altro sugli impegni che, demandati dal Consiglio alla Giunta sono stati poi da questa elusi, perché nel corso di un altro intervento noi documenteremo queste elusioni, alcune delle quali si configurano come vere e proprie violazioni del Regolamento e dello Statuto. Anche quando avete, in qualche raro caso, cercato di muovervi, non avete compreso quanta maggior forza e peso avrebbero apportato alla Giunta al di là di una questione di prerogative, la cui difesa ad oltranza diventa pertanto, in questo caso, elemento di debolezza, la partecipazione e il contributo dell'Assemblea Regionale. Sono le osservazioni che abbiamo fatto l'altra sera all'Assessore Gandolfi, il quale, venuto ad esporci le iniziative che l'Assessorato assume nel campo dei trasporti, ha tuttavia dovuto ammettere che in un quadro così condizionato e così limitato, la possibilità di escludere, di evitare al limite scelte che altri enti stanno già compiendo (Ferrovie dello Stato, Enti pubblici eccetera), che compromettono in modo irreparabile il futuro disegno programmatorio della Regione, è non il discorso, anche quando è positivo, dell'Assessore, ma è la presa di posizione dell'Assemblea Regionale, è la presa di posizione dell'Assemblea Regionale negli organismi elettivi e assistenziali e sociali presenti nella Regione, nell'area, e che sono interessati alla soluzione di questo problema. Anche in questo caso non avete compreso che occorre andare oltre questa difesa ostinata delle prerogative, che in realtà, poi nasconde malamente il disegno di far avanzare comunque quel disegno, e non l'altro, quello che scaturirebbe sicuramente da un contatto molto più ampio e molto più aperto.
Il giudizio politico che ne emerge è di un immobilismo che di per s assume carattere di conservazione e di involuzione nella misura in cui proprio con l'immobilismo politico priva le masse lavoratrici, gli Enti elettivi, l'economia della Regione della presenza attiva di questo nuovo istituto.
Come giudicare, del resto - ed è cosa di questi ultimi giorni - la delega agli Istituti autonomi case popolari per la formulazione dei programmi di localizzazione in attuazione della Legge per la-casa? E di certe iniziative, non so se delegate, ma comunque sopportate, alle Camere di Commercio per l'attuazione della Legge sulla montagna? Noi diciamo che questo significa abdicare ad una effettiva funzione di dirigenza e privare le forze politiche di un ruolo primario nell'affrontare queste questioni.
E' vero, Assessore Cardinali, lei ha risposto al telegramma che noi le abbiamo inviato dicendo che ha semplicemente applicato la legge. Ma attento, la legge dice che le Regioni si avvalgono degli istituti autonomi per le case popolari e i loro consorzi regionali: avvalersi non vuol dire delegare completamente il compito di formare i piani di localizzazione. Lei mi dirà che tutte queste elaborazioni e formulazioni verranno successivamente alla Regione, per essere da questa approvate....



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Aggiunga però che abbiamo anche richiesto le cooperative, i loro consorzi, altrimenti il suo discorso è incompleto.



BERTI Antonio

In effetti, l'Istituto ha costituito una Commissione, di cui fanno parte ovviamente i Sindacati e le cooperative, e questa è una cosa importante; ma noi non possiamo rinunciare. Tra l'altro, chi decide come deve essere formata questa Commissione? Perché di essa fanno parte quei determinati otto Comuni e non altri? Perché in ogni Provincia devono costituirsi, per iniziativa dell'Istituto autonomo case popolari, che è un braccio e non la mente delle Commissioni che elaborano i piani di localizzazione? No, deve essere la Regione in prima persona, attraverso l'Assessore e le forze politiche della Regione, a partecipare all'elaborazione di questo piano. Altrimenti in che modo noi interverremmo? Quando sono già stati elaborati dei piani, che possono essere validi oppure no. Ma noi ci ridurremmo ad un ruolo di recepimento puro e semplice, in questo caso, di quanto altri hanno fatto, anche se questi "altri" sono organismi che comprendono forze sindacali e cooperative. Non ci può essere la rinuncia della Regione a dirigere in prima persona, e dirigere vuol dire costituire queste Commissioni con l'Assessore e i componenti del Consiglio direttamente investiti della formazione di questi piani. Non è questa una rinuncia? Certamente, voi mi obietterete che c'è una questione di urgenza, che occorre rispondere nei termini fissati a queste esigenze e non c'è il personale. Ma di questo dovete accusare voi stessi: voi non siete stati in grado di organizzare la Regione con gli strumenti adatti; noi da molti mesi sollecitiamo a procurare, organizzare gli strumenti per intervenire al momento opportuno senza dover subire ritardi che finiscono poi con il far delegare ad altri compiti che sono nostri. Noi rifiutiamo il ruolo di chi assiste al lavoro di altri quando si tratta di compiti che ci competono: vogliamo lavorare con gli altri, ma intervenendo noi stessi in modo determinante.
E come si giustifica il fatto che l'approvazione degli strumenti urbanistici comunali della Regione portano solo la firma dell'Assessore? Con quali strumenti il Consiglio Regionale controlla e approva gli strumenti urbanistici che ci sono stati trasferiti dallo Stato? Questi sono problemi da cui emerge tutto un quadro di carenze di operatività, di funzionalità di fatto. Ecco l'immobilismo che partendo da grosse questioni politiche finisce con l'evidenziarsi anche in elementi di intervento concreto, laddove la Regione con la propria azione di direzione acquista quella credibilità di cui sentiamo tanto il bisogno: la gente sente il bisogno di iniziative concrete che facciano credere che questo nuovo istituto può effettivamente contribuire a modificare le cose nel nostro Paese.
E come vi giustificate per non avere sentito, unica Regione in Italia il dovere democratico di elaborare i bilanci della Regione? Il vostro arroccamento circa le prerogative della Giunta ha significato addirittura amministrare senza altri apporti e senza informazioni le gestioni speciali che sono state date alle Regioni. E perché non avete costituito organi di informazione permanente, privando il Consiglio e l'opinione pubblica del diritto di conoscenza dei vostri atti? Ecco alcune delle questioni tra le più importanti solennemente scritte nel nostro Statuto che ci fanno esprimere una profonda sfiducia: sono elementi di collocamento politico in un campo che non, è quello delle masse lavoratrici e delle categorie produttive della Regione, è un metodo che esclude con sistema permanente la partecipazione, la ricerca di contributi per cui si ritiene di fare comunque a meno di quell'apporto che può venire dal Consiglio stesso, dalle forze esterne.
Noi siamo per una direzione della Regione di tipo diverso. Abbiamo presentato questa mozione di sfiducia intanto perché l'opinione pubblica ha il diritto di essere informata, mancando altri strumenti di informazione di come la Regione avanza sulla strada dell'applicazione dello Statuto.
Abbiamo presentato questa mozione di sfiducia perché noi comunisti sentiamo il baratro che ci divide dalla concezione, dal modo di operare dell'attuale maggioranza del Consiglio Regionale. L'abbiamo presentata perché tutte le forze politiche si predispongano conseguentemente a trarre tutte le indicazioni dal quadro che ne emerge e sappiano cogliere l'esigenza di pronunciarsi per consentire alla Regione di avere uno strumento esecutivo funzionale presente, attivo, lo ripeto, in grado di affrontare con il contributo prima di tutto del Consiglio, nel concorso delle altre forze esterne, i problemi che ci sono di fronte e che attendono drammaticamente una soluzione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana, ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, quando fu aperta la crisi che prevedeva la formazione dell'attuale Giunta di Centro Sinistra, noi affermammo che quella crisi veniva da lontano e mirava lontano. Era abbastanza semplice, infatti, ricollegare il comportamento dei promotori nazionali e locali della brusca svolta a destra della D.C. in Piemonte ad un disegno di lungo respiro, maturato in base a calcoli di stretta convenienza del gruppo egemone nel partito di maggioranza. Di che cosa si trattava, in buona sostanza? Si trattava di un disegno inteso a spostare l'asse politico del Paese da posizioni moderate di centrismo solo formalmente corretto da una formula di coalizione coi socialisti, a posizioni di più marcata e scoperta intonazione conservatrice. Posizioni che poi ricuperavano, strada facendo, e le esaltavano, vecchie componenti di taglio autoritario e persino clerico-reazionario operanti all'interno ed ai margini della D.C., avvicinando questo partito alle frontiere dietro cui si attestano i settori più retrivi della destra di ispirazione fascistoide quando non dichiaratamente fascista.
Il gruppo prevalente nella D.C., così facendo, si proponeva senza alcun dubbio di parare l'insidia portata alle sue prerogative di potere e alla sua delega di rappresentanza dei maggiori interessi costituiti dall'alta finanza e dall'alto monopolio, da parte di una destra eversiva che la stessa gestione politica della D.C. nel Paese aveva nutrito di risorse per screditare gli istituti democratici, spargere irrazionali fermenti nei ceti meno avvertiti, alimentare latenti desideri di rivincita reazionaria contro la crescita civile e sociale delle masse lavoratrici.
Le risultanze della consultazione amministrativa del 13 giugno segnando un preoccupante riflusso di consensi verso il neofascismo specialmente al Sud, spingevano il gruppo dominante D.C. non già a una profonda revisione della propria condotta che, individuando le cause prime di quel riflusso, in tutte le insolvenza della D.C. stessa verso i fondamentali problemi di struttura della società italiana, inducesse finalmente ad affrontarli secondo le indicazioni provenienti dalle imponenti lotte dei lavoratori, bensì ad un'affannosa ricerca di assorbire l'emorragia di forze sulla destra assumendo in proprio i motivi salienti di quel contropasso conservatore e dando spazio a tutti i rigurgiti, anche di intonazione più anacronistica, che esso si portava appresso. Non soltanto la D.C. era deliberatamente mancata alla prova delle riforme, ma manifestava la sua piena disponibilità ad allearsi con tutto l'arco dello schieramento conservatore protendendosi fino oltre i suoi confini per colludere con il MSI. E questo per non vedere intaccato minimamente il proprio strapotere nella società italiana e per proteggere la propria credibilità di tutrice insostituibile dei maggiori interessi costituiti dal capitalismo italiano. Per far ciò la D.C. non esitava a dar prova di un uso spregiudicato di tutti gli strumenti repressivi dell'apparato statale adoperabili contro le rivendicazioni economiche, sociali, culturali provenienti dal movimento di massa. Non esitava a porgere il proprio braccio ai fautori di una degradante crociata religiosa sul tema del referendum per il divorzio, insensibile ai moniti ed ai richiami che dalle stesse cerchie di una parte non trascurabile del mondo cattolico si levavano a rilevare l'inopportunità e la gravità dell'iniziativa promossa da revenants dell'integralismo clericale appartenenti ad una dimensione poco meno che medioevale del pensiero e delle concezioni dei rapporti in uno Stato non governato dall'Inquisizione di triste memoria.
In questo contesto andava considerata l'operazione di Centro Destra promossa alla Regione Piemonte dai dorotei del Presidente Calleri.
Estromettendo i socialisti dalla maggioranza di Governo della Regione, il Presidente Calleri ed i suoi colleghi si guadagnavano un attestato di antesignani della più vasta operazione nazionale che avrebbe visto la D.C.
fruire dell'apporto fascista per l'elezione del Presidente della Repubblica, che l'avrebbe vista respingere ogni responsabile offerta di trattativa dei laici per evitare la iattura di una prova di forza sul divorzio e quindi scongiurare la spaccatura del Paese in due fronti aspramente contrapposti; e che l'ha vista giungere infine alla soluzione del monocolore governativo per amministrare a proprio agio, forse a proprio uso e consumo, la consultazione elettorale, con un atto di dubbia, molto dubbia costituzionalità, e una compagine ministeriale qualificata dalla presenza di personaggi del più squallido centrismo degli anni '50.
Sarebbe ingeneroso e storicamente scorretto sostenere che il Presidente Calleri, autorevole portabandiera e artefice di quella conversione a destra della D.C. concretatasi nella Giunta oggi in carica, prima di condurre in porto l'operazione, avesse battuto sentieri che non permettevano di antevedere le sue propensioni per l'esito poi ottenuto. Se nella fase di elaborazione dello Statuto egli aveva denotato qualche flessibilità qualche apparente inclinazione se non a sostenere, quanto meno ad accettare contenuti avanzati che dal dibattito delle Commissioni venivano trasfusi nel testo dello Statuto, nella fase successiva il suo arretramento su posizioni di blocco estenuante dell'attività della Regione si è palesato senza possibilità di equivoco.
Il Presidente Calleri, accorto cultore di una prospettiva politica organicamente incompatibile con le funzioni attive di un istituto regionale pronto a recepire le istanze di rinnovamenti dal basso espresse dal moto sociale, non poteva ammettere che la Regione si dislocasse sul terreno di promozione di una più intensa, produttiva e articolata partecipazione democratica.
Il Presidente Calleri, dotato di una spiccata vocazione a padroneggiare, con taglio spesso aristocratico, uomini e cose, secondo gli scopi di una certamente convinta, intima, adesione ad un modello che adombra un microgollismo piuttosto praticone non poteva consentire che nell'ambito del Consiglio, soprattutto all'interno delle Commissioni, nel confronto ravvicinato coi problemi e le esigenze di una società che fa sentire le sue pressioni anche su uomini della D.C. per l'addietro reticenti o comunque pregiudizialmente chiusi a prendere coscienza, si stabilisce una dialettica serrata ma proficua, una dialettica suscettibile di animare ciascuno a compenetrarsi delle responsabilità comuni e quindi di demolire steccati, superarli forse, e comunque ridurre barriere innalzate dalle divergenze di natura ideologica e pertanto favorire confluenze incontri intorno a nodi importanti da risolvere per dare credibilità e slancio all'istituto regionale. Per certi versi asprigno, caparbio fautore di un moderatismo che conosce piuttosto, oserei dire, le lusinghe del potere che non le sollecitazioni dell'impegno democratico, il Presidente della Giunta non poteva recare nelle sue funzioni una visuale del ruolo della Regione permeato di quei sinceri fermenti autonomistici cui può, per certi versi, legittimamente riferirsi il regionalismo qui già celebrato di sturziana memoria, sebbene ora anch'esso abbia subito e vada subendo al vaglio storico opportuni ridimensionamenti.
Una logica di scelta di campo quale quella che lo stesso Presidente e la sua Giunta hanno voluto meritoriamente esplicitare al Consiglio nelle conclusioni del recente dibattito sulla situazione economico-produttiva della Regione, è una logica che urta contro le premesse medesime della tradizione migliore del regionalismo moderato. La quale, come è noto, pur con tutti i suoi limiti, ha costituito nel filone liberale ed in quello cattolico, una tendenza a preservare non in senso banalmente localistico ambiti di autonomia locale contro il centralismo esasperato dello Stato albertino, a incentivare un rapporto dialettico fra centro e periferia dell'organismo statale, difendendo le ragioni di prerogative di movimento del primo contro le soffocanti ingerenze paralizzatrici del secondo.
La scelta di campo enunciata dal Presidente Calleri al termine del dibattito che ricordavo poc'anzi, prima ancora di caratterizzarsi sul piano degli indirizzi economico-produttivi come scelta di omogeneizzazione del ruolo della Regione ai fini di profitto di predominio dei grandi gruppi della finanza e dell'industria piemontese. Si è caratterizzata nel costante sforzo di restringere, in nome di un legalitarismo di facciata, i compiti dell'istituto regionale a mansioni di esercizio di asfittiche facoltà amministrative. Il che, si badi bene, non ci stupisce, e lo riteniamo, per la parte che ci compete, in perfetta coerenza con la necessità dettata dalle "realtà di campo" delle forze le quali hanno tutte da temere da un'autonomia regionale propugnata nei suoi contenuti più sostanziosi aderenti allo Statuto che ci siamo dati: quelli di un'ampia facoltà di intervento per modificare le storture e sanare gli squilibri economici sociali e produttivi, causati da un meccanismo di sviluppo di cui queste stesse forze sono beneficiarie e irrinunciabilmente tributarie.
E' agendo in quest'ottica che la Giunta presieduta dal dr. Calleri ha permanentemente cercato di mortificare l'attività consiliare insistentemente ricercato il pretesto dilatorio sulle questioni di fondo evaso incombenze e impegni pubblicamente assunti. E' in questo intendimento, a nostro avviso, che il Presidente della Giunta ha compiuto violazioni che attengono alle norme stesse dello Statuto e concentrato un duro attacco, talora perfino umiliando platealmente alcuni suoi più diretti collaboratori (l'impegno dei quali non ha mai mancato di avere da parte nostra, quando si è esplicato,un doveroso riconoscimento), cercando di vincolarli a una linea di inerzia; un duro attacco, dietro contro ogni spiraglio di volontà promozionale partente dall'interno stesso della sua maggioranza, contro ogni desiderio innovatore o quantomeno di attivizzazione anche efficientistica se si vuole, profilatosi nell'ambito della maggioranza.
Di fronte alla vastità e alla gravità dei problemi della Regione acuiti da una congiuntura estremamente seria, che ha esasperato le crisi strutturali preesistenti, la Giunta si è piegata a compiere - lo ricordava prima il collega Berti - qualche singolo intervento sotto il pungolo dell'insistenza dei lavoratori che la investivano dei loro drammatici problemi. Ma essa non ha mai anticipato interventi anche settoriali, come segno della propria autonoma volontà politica; né tanto meno ha situato questi interventi in un quadro di prima ricerca di una coerente politica programmatoria.
Di fronte - e faccio solo un esempio - all'arbitrio delle scelte di insediamento produttivo della Fiat, il Presidente e la Giunta o hanno disinvoltamente offerto il proprio avallo senza neppure passare al vaglio dell'opinione del Consiglio; oppure (si veda il caso di Crescentino) hanno tentato, per quanto in loro potere, di svolgere un'azione chiaramente indirizzata ad accettare, a detrimento della collettività, le soluzioni del monopolio Agnelli, accogliendo come buone tutte le tesi che in merito alle conseguenze di quell'insediamento venivano portate dalla Fiat e cercando anche, per l'intervento in prima persona del Presidente della Giunta, di impedire alla Commissione di allargare la sua ricognizione alle forze sociali interessate al problema.
Di fronte all'esigenza di dotare la Regione di strumenti efficienti e democratici del lavoro interno e di operatività esterna, la Giunta ha optato da un lato per l'inerzia, dall'altro per la tecnica surrettizia di proporre leggi, regolamenti, deliberazioni la cui patente antidemocraticità, quasi sempre marcata da esorbitanti pretese presidenzialistiche, è comprovata dal fatto che nessuno di questi provvedimenti, nel suo testo originario, ha mai incontrato l'approvazione delle Commissioni, tutti sono usciti dal loro esame completamente mutati o addirittura stracciati, verificando una confluenza di opinioni unanimi dei commissari di ogni parte politica nel rigettarli o nel modificarli profondamente.
Infine, di fronte alla premura di concordare comuni linee di condotta su ciascun aspetto vitale del ruolo e delle possibilità di sviluppo della Regione che ha contraddistinto quasi tutti i capi delle Giunte Regionali del Paese nel creare occasioni di incontro, di pronunciamento verso le resistenze e i sabotaggi posti in atto dal potere centrale, di fronte a questa ricerca il Presidente della Giunta ha ostentato indifferenza, talora estraneità, talora sufficienza, ponendo il Piemonte nella condizione di essere quasi sempre assente da tali occasioni di incontro e di coordinamento.
Non dubitiamo, e del resto l'abbiamo più volte rimarcato, che un elemento non accessorio di questa scarsa produttività del Presidente e di riflesso della Giunta, provenga dall'eccesso di incarichi esterni al Consiglio di cui, diciamo, soffre il dr. Calleri. Noi abbiamo sempre reputato cattivo costume la sommatoria di incarichi pubblici e di cariche elettive; tanto più quando i primi lasciano adito, per la loro natura, a sospetti e mormorazioni e comunque a rilievi d'ordine morale se appunto accoppiati ai secondi, specie poi se questi ultimi sono di primaria importanza. Ma non ne facciamo una questione moralistica; e, prima ancora di farne una questione di costume, che pure ha una sua importanza non secondaria, ne abbiamo fatto e ne facciamo una questione di produttività politica. In modo particolare quando il cumulo degli impegni esterni al Consiglio è tale da nuocere visibilmente a qualsiasi seria applicazione alle responsabilità che essa richiede, a un Presidente di Giunta in primo luogo. Ebbene, questo aspetto, per quanto incomba sul Consiglio dalla sua nascita, non ha mai indotto il Presidente ad un gesto di consapevolezza semmai egli ha avuto il cattivo estro di uscire in una requisitoria contro il Ministro della P.I. per il suo disinteresse verso l'Università di Torino in crisi (disinteresse da noi denunciato a tutte lettere), dimenticandosi proprio in quell'occasione di essere scaduto, se non vado errato, da membro del Consiglio di Amministrazione di quell'istituzione per scarsa presenza alle sue sedute.
La scelta di campo della Giunta del dr. Calleri si colloca dunque, per ragioni politiche operative e di costume, in un ambito non soltanto locale che contrasta elementi di necessità di vita, di evoluzione e di adempimento dei suoi compiti da parte dell'Istituto Regionale. E' una Giunta che si trascina alla giornata, in ragione di un preciso obiettivo, comune a tutte le posizioni della destra militante, che è l'obiettivo di spegnere in germe l'organismo regionale, di farne una sede subalterna di ratifica delle decisioni privatistiche sul piano economico. E' una Giunta che riassume in sé e rappresenta, quasi fisicamente, i fattori negativi di una direzione politica protesa a non rinnovare alcunché, a rassicurare col proprio operato gli epigoni interessati del vecchio sistema centralistico, a strizzare l'occhio alle più tardigrade retroguardie della borghesia spendendo per esse a profusione la moneta battuta nelle zecche dei luoghi comuni e nell'avversione al movimento operaio.
Non a caso questa Giunta fu presentata al Consiglio col biglietto da visita di un discorso del collega Oberto che rimarrà memorabile per le stantie e talora indefinibili dal punto di vista politico, argomentazioni da cui era intessuto. E non a caso lo stesso collega Oberto si fece dovere di ripresentarla al momento del dibattito sui problemi economici della Regione, rinnovando i fasti di un pensiero politico che taluno ha giustamente definito "a destra della ragione".
Il nostro voto di sfiducia alla Giunta in carica discende dalle considerazioni che ho sommariamente svolto e che certo si potrebbero più largamente sviluppare se si volessero ricapitolare nel dettaglio le carenze e le insolvenze del Governo Regionale.
Ma prima di chiudere, per dovere di franchezza e di chiarezza politica voglio rivolgere in prima istanza ai compagni socialisti e agli amici della sinistra D.C., che non individuo soltanto in una parte di questa sinistra un appello affinché essi sentano, come noi sentiamo, che negare senza ambiguità ogni appoggio ed ogni indulgente sospensione di giudizio alla Giunta di Centro Sinistra non è una meschina rivalsa di parte, né un gioco astuto per rastrellare in questa fase elettorale simpatie e consensi dove si ha percezione del significato e della portata delle scelte che questa Giunta impersona. Negare ad essa la fiducia, auspicarne la caduta corrisponde al duplice imperativo di colpire in essa una componente addirittura pionieristica della svolta decisamente a destra compiuta dai reggitori della D.C. sul piano nazionale e di creare le condizioni per un dialogo nuovo e per una nuova operatività tra le forze che intendono far camminare la Regione a misura delle attese e delle esigenze popolari.
Votare la sfiducia a questa Giunta significa, a nostro avviso, per chiunque voglia essere fedele ai suoi presupposti ideali e pratici di lotta a vantaggio della classe lavoratrice e della Democrazia, dissociarsi disgiungersi da un supporto di rilevante consistenza al processo involutivo avviato dalla D.C. dorotea in concomitanza con le spinte regressive del padronato italiano. Nella coerenza di un rifiuto di compromessi degradanti noi siamo certi che ciascuno, con la propria identità, può non soltanto rafforzare quanto di peculiare rivendica per cimentarsi nella competizione politica stando dalla parte delle speranze e delle esigenze dei lavoratori ma può disporre quanto noi crediamo indispensabile a quella unità senza la quale né qui, né tanto meno nel Paese si sconfiggono i disegni degli avversari, palesi e occulti, del progresso e del rinnovamento democratico.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho l'onore di esporre la posizione generale del nostro partito in ordine alla mozione di sfiducia presentata dal gruppo comunista e dallo PSIUP, lasciando al collega Simonelli di prendere la parola successivamente per la parte più specifica che riguarda alcuni problemi della nostra Regione.
Se dovessimo sintetizzare la nostra posizione, dovremmo semplicemente riprendere il testo stenografico del discorso che io feci il 29 luglio dell'anno scorso per annunciare il voto contrario del gruppo socialista all'attuale Giunta. Dicevamo allora che la D.C. locale, con l'aiuto dei socialdemocratici e dei repubblicani, si poneva palesemente al di fuori del quadro nazionale di Centro Sinistra, postulava un rovesciamento delle alleanze, introduceva un elemento di grave pericolosità nella situazione generale del Paese. Ed analizzando le ragioni dei deterioramenti del quadro politico nazionale, ne ravvisavamo alcuni segni di particolare rilievo: innanzi tutto alcuni avvenimenti del mondo cattolico: la crisi delle ACLI il nuovo atteggiamento delle conferenze episcopali italiane, la guerra dichiarata agli innovatori da una parte della gerarchia ecclesiastica; in secondo luogo l'opposizione ormai scoperta delle forze economiche più conservatrici al processo di unificazione sindacale ed in particolare l'attacco alla UIL in quanto componente più esposta del processo stesso; in terzo luogo la strumentalizzazione della violenza come alibi della repressione; in quarto luogo l'utilizzazione della difficile situazione economica, come mezzo per attuare in modo indolore, per il capitalismo italiano, quel processo di ristrutturazione industriale che è reso necessario dal nuovo modello di espansione delle grandi "holdings" internazionali.
Terminando il discorso del 29 luglio, noi ponevamo alla D.C. una precisa alternativa: o la collaborazione con i socialisti, scontando il prezzo di perdite elettorali che il nostro partito aveva già avuto, o nell'intento di riguadagnare la fiducia di alcuni settori sociali rimettere in gioco le forze dell'estrema destra, scontando la collaborazione futura con i fascisti.
Nei sette mesi che separano la rottura della Giunta di Centro Sinistra del Piemonte dalla rottura del Governo nazionale, i fatti che avevamo previsti si sono puntualmente verificati. Nel luglio del 1971 i socialisti vengono esclusi dal Governo Regionale del Piemonte, nel settembre successivo la D.C., contravvenendo ad un preciso accordo fra tutti i partiti dell'arco costituzionale, incluso fin dalla prima costituzione della Corte, cioè nel '55 e che da oltre sedici anni non era stato mai messo in dubbio, non accettava la candidatura socialista alla Corte costituzionale della figura di uno dei maggiori rappresentanti del socialismo europeo. Alla fine del '71 il Presidente della Repubblica viene eletto con uno schieramento di voti che comprende quelli determinanti del MSI. Nel mese scorso la D.C. respinge ogni tentativo per giungere ad un compromesso sul divorzio attraverso la proposta di Legge Carrettoni o la proposta di Legge Ballardini, mostrando chiaramente di voler arrivare ad uno scontro frontale.
La rottura della coalizione di Governo e la creazione di una compagine di Governo sulla quale ogni giudizio credo sia superfluo, chiude in modo assolutamente coerente un disegno di politica generale. Questo disegno ha una stretta rispondenza nel mondo del lavoro e nella società civile.
Nel mondo del lavoro profonde e gravi inquietudini emergono ogni giorno sulla reale situazione economica del nostro Paese. Su questa situazione e su quella particolare della nostra Regione abbiamo già avuto modo attraverso il dibattito che opportunamente si è svolto in questo Consiglio assai di recente - di precisare il pensiero del nostro partito, che desidero in questa sede peraltro riassumere: la crisi economica esiste essa è il prodotto di alcuni fattori che riguardano non soltanto l'Italia ma tutto il mondo capitalistico (e che investono peraltro una parte del mondo socialista). Il primo di questi fattori è certamente dovuto alla politica estera ed alla politica economica interna ed estera del più importante Paese a struttura capitalistica, gli Stati Uniti d'America, è una conseguenza della politica estera e della politica interna di quel Paese. Il secondo di questi fattori è la necessita per il capitalismo internazionale di modificare profondamente le sue strutture, per razionalizzarle: il processo di integrazione europea in atto è un processo di natura chiaramente liberista e come tale non può che comportare rivolgimenti anche profondi in tutta la struttura industriale, commerciale e finanziaria dei paesi, europei. La struttura industriale italiana è toccata anch'essa ovviamente da questo rivolgimento e più profondamente di quella tedesca e di quella francese per l'arretratezza congenita del nostro Paese anche nell'ambito del sistema capitalistico europeo. Problema di fondo è vedere chi deve pagare il prezzo di questa razionalizzazione: le lotte in corso non sono altro che l'inevitabile scontro frontale tra i datori di lavoro che vogliono far ricadere sui lavoratori tutto il prezzo della ristrutturazione industriale e finanziaria e i lavoratori stessi che si oppongono giustamente a questo tipo di ristrutturazione.
Il terzo di questi fattori è la condizione umana nella fabbrica: la concorrenza internazionale, il tentativo di mantenere inalterati i profitti, inducono i datori di lavoro ad aumentare la produttività, a stringere i tempi, ad effettuare licenziamenti, in una parola a sfruttare di più il lavoro umano. A questa pretesa si oppongono i lavoratori i quali non accettano che la conduzione di un sistema, dalla direzione del quale essi siano stati e sono assolutamente esclusi, comporti, per decisione di terzi, un sempre maggiore sfruttamento delle loro capacità, e di conseguenza l'impossibilità di migliorare la loro situazione generale. Da questo nasce il fallimento della politica dei redditi, (lo dico per i colleghi repubblicani) anche in quei Paesi come la Gran Bretagna nei quali la politica dei redditi era stata accettata dagli stessi sindacati; e lo vediamo in questi giorni per lo sciopero dei minatori.
Il quarto fattore è lo scontro tra la grande impresa e gli Enti pubblici: Stato, Regioni, Enti locali, per la pretesa della grande impresa di far pagare agli Enti pubblici stessi il prezzo degli insediamenti il cui reddito finale va globalmente agli azionisti della grande impresa e non agli Enti pubblici.
Nella stessa società civile si assiste ad uno scollamento progressivo del prestigio anche morale degli organi istituzionali. E' questo uno degli aspetti più gravi della situazione italiana che ci riporta indietro negli anni e pone gravi interrogativi sulla capacità di tutti noi di far fronte ai nostri doveri. Si sta insinuando nei cittadini una sottile sfiducia nel Parlamento, nel Governo, negli organismi statuali, nelle istituzioni civili sulle quali si regge la struttura democratica del nostro ordinamento: nella magistratura, nella scuola, nell'ordinamento ospedaliero, in quello amministrativo e fiscale, nelle stesse forze armate. Si va diffondendo in varie parti del Paese la convinzione che tutto l'ordinamento sia minato dalla disonestà personale dei responsabili a tutti i livelli, dalla facilità della non osservanza delle Leggi, dalla generalità delle esazioni fiscali, dalla ricchezza come meta suprema e dell'arrangiarsi come sola possibilità di sussistenza.
In questo quadro vengono meno i valori ideali, si attutiscono anche quelle regole di comportamento che hanno fatto parte tradizionalmente del bagaglio di ciascuno di noi.
Se questo è il quadro della situazione italiana - che ha poi delle straordinarie affinità con il panorama europeo - non inutile è la ricerca delle responsabilità e su questo piano la tentazione di rifiutarle tutte è facile, ma proprio per questo da respingere e non sarà certo il nostro partito a considerarsi immune da questa, per porsi come giudice distaccato o come demiurgo erogatore di soluzioni risolutive. Ci sono state certamente delle colpe che siamo pronti ad assumerci in prima persona e a risponderne di fronte al nostro giudice naturale, che è la classe lavoratrice, come risponderemo nella campagna elettorale. Ma, detto questo, dobbiamo affermare con serena coscienza che i veri responsabili di questa situazione sono coloro i quali, di fronte alle esigenze che noi ponevamo di profonde riforme legislative e di comportamenti nuovi, hanno costantemente risposto con attendismo o scetticismo, la paura del nuovo, la volontà di conservare il timore di dispiacere ai potenti. Certo, l'ordine pubblico va mantenuto la delinquenza va stroncata, ma l'ordine pubblico e la delinquenza non si stroncano dotando le divisioni dei carabinieri, dei carri armati che non servono certamente per catturare i rapinatori delle banche; si stroncano migliorando il personale della polizia, utilizzandolo per i suoi scopi istituzionali, soprattutto separando definitivamente e chiaramente le norme del codice penale che riguardano i reati di pensiero e di natura politica da quelli comuni eliminando i primi e se volete anche inasprendo i secondi.
La diffusione e la ripresa dei reati comuni che è stata qui giustamente ripresa, che viene continuamente rilevata e stigmatizzata dalla stampa nazionale e torinese, in realtà non la si combatte soltanto attraverso una maggiore vigilanza ed efficienza degli strumenti repressivi, ma soprattutto combattendo il male alla radice, cioè eliminando attraverso un'efficace politica di riforme ed interventi sociali le cause della delinquenza: piena occupazione, strumenti scolastici moderni, una maggiore giustizia distributiva, la diffusione di una scala di valori diversa e più consona ai bisogni di una collettività sono obiettivi imprescindibili per favorire la diminuzione delle tensioni sociali e di quei fenomeni di emarginazione che portano ad una ribellione violenta e irrazionale contro la società.
Non a caso i vecchi socialisti che si ispiravano alla scuola positiva del diritto penale, a cominciare da Ferri, affermavano che col reo commetteva reato l'intera società. Da ciò nasceva l'esigenza di prevenire i reati attraverso profonde modificazioni sociali.
Certo l'amministrazione statuale non funziona, i servizi pubblici statuali sono diventati ormai uno dei mezzi più idonei a far perdere ai cittadini la fiducia verso lo Stato. Ma chi è responsabile se in questi vent'anni non è stato possibile fare quella riforma burocratica per la quale esiste perfino un apposito Ministero, la cui utilità è semplicemente misteriosa? Certo la situazione della scuola è arrivata ad un punto limite di tollerabilità ma chi ha impedito la riforma dell'ordinamento scolastico chi ha fatto in modo che anche recentemente la riforma dell'ordinamento scolastico superiore, dell'Università, andasse avanti faticosamente al Senato e venisse poi bloccata? Certo la situazione- di Torino sta esplodendo, ma chi non ha avuto la forza politica di costringere la grande industria motrice, la Fiat, a trasferire sul serio nel Sud un intero suo stabilimento e a non fare qui una concentrazione congestionante di duecentomila persone? Certo ci troviamo di fronte ai baraccati che occupano la sala del Consiglio Comunale di Torino, ma chi si è opposto fino all'ultimo alla riforma sulla casa e l'ha dilaniata facendone una Legge per molti versi inutile? Di fronte a questa situazione la D.C. propone al Paese soluzioni di destra, con la minaccia che queste soluzioni potrebbero anche essere di estrema destra. Dobbiamo dire che affrontiamo questa situazione con preoccupazione profonda da un lato, ma anche con grande serenità. I tentativi della D.C. di proporre soluzioni di destra non sono nuovi nella storia anche recente del nostro Paese ed in questo dopoguerra essi cominciarono (nel 1947) con la fine del Governo tripartito (é un periodo della nostra storia che io consegno all'attenzione di tutti i colleghi molto interessante) e con la costituzione anche allora del monocolore.
Ci sono delle singolari somiglianze nella situazione attuale con quella di allora: la sinistra italiana diede nel 1948 la risposta del Fronte popolare che non fu un errore, come tanti sostengono, ma la conseguenza logica delle condizioni politiche generali di quel momento. Il Fronte popolare, non l'unità, ma il Fronte popolare in quanto tale sarebbe un errore oggi, per quanto vivo possa essere nei nostri militanti il desiderio, vorrei dire la passione, di fare muro contro muro. Ma noi abbiamo ancora fiducia che il mondo cattolico dentro e fuori dalla D.C., e senza distinzioni di correnti nell'ambito della D.C., (i ripensamenti all'ultimo momento e i giuramenti fatti il giorno dopo non ci convincono li riteniamo anzi un ulteriore elemento di discredito verso le istituzioni repubblicane, nelle quali ci riconosciamo), dicevo che noi abbiamo una profonda fiducia che le forze cattoliche sappiano riprendersi dal senso di terrore che provano in questo momento verso una crescita fascista. La storia lontana e recente ci insegna che l'estrema destra non si batte spostandosi a destra; la storia lontana e recente ci insegna che con le forze reazionarie fasciste non si discute, le si combatte con tutti i mezzi che la legalità repubblicana ci consente. La storia ci insegna che la destra italiana, e non parlo della destra storica liberale che pose in un'ottica liberale i problemi della fondazione e dell'organizzazione politico-amministrativa dello Stato italiano a suo tempo e si distinse nei suoi uomini migliori per l'onestà dei costumi, ma parlo della destra attuale, di quella "becera", di quella di ispirazione fascistica e piccolo borghese che per tanti aspetti ha condizionato tutta la politica della D.C.
nel secondo dopoguerra e si distingue tuttora per il suo ritardo ed il suo provincialismo culturale. Nel momento in cui il Presidente degli Stati Uniti d'America si reca nella Cina popolare nell'intento di modificare i termini della politica asiatica e della politica mondiale, come è possibile che la D.C. tema di pagare un prezzo al rinnovamento del Paese e con questa sua mancanza di coraggio e di iniziativa dimostri il logorio di una linea politica che ogni giorno di più dimostra di non essere all'altezza dei grandi compiti che l'attendono, che attendono il mondo cattolico e di saper esercitare soltanto un'egemonia attraverso il potere per il potere e la strumentalizzazione delle forze più conservatrici dalla quale essa stessa diventa strumentalizzata.
Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito sulla mozione di sfiducia si inserisce in questo quadro generale e per questo mi sono voluto riservare un discorso su questo argomento, soprattutto alla vigilia di importanti elezioni politiche. La D.C. del Piemonte ha fatto alcuni mesi prima quello che la D.C. nazionale ha fatto in questi giorni. Il problema torna ad essere quindi di contenuti, ma anche di schieramenti, di scelte di campo e la nostra risposta perciò è scontata; essa, come ha detto il Presidente del nostro partito non può che essere un fermo, intransigente e risoluto no.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Vera, ne ha facoltà.



VERA Fernando

Signor Presidente, signori Consiglieri, se la mozione di sfiducia presentata dai 14 colleghi è formalmente ineccepibile da un punto di vista statutario, essendo presentata da un quarto dei componenti il Consiglio, da un punto di vista sostanziale è difficile coglierne il senso in quanto si tratta di una serie di accuse generiche (molte di difficile dimostrazioni altre dimostrabili) ci troviamo di fronte, in pratica, ad un articolo della "Unità" trasformato in mozione di sfiducia. Non si riesce a cogliere il senso, il significato, la funzione di una discussione di questo tipo, a meno che si consideri, che come ricordava prima il collega Nesi, siamo alla vigilia di importanti elezioni politiche e questo dibattito rappresenta indubbiamente un utile strumento pre-campagna elettorale.
Queste ragioni: la genericità, il fatto di non presentare un'alternativa politica concretamente realizzabile, ci paiono sufficienti per confermare il nostro voto negativo del resto prevedibile nei confronti della mozione di sfiducia.



MINUCCI Adalberto

E' sempre prevedibile il vostro voto! Non siete pieni di sorprese in questo campo!



VERA Fernando

Guardando però la cosa non soltanto dal lato negativo, ma anche positivo, il nostro voto, proprio attraverso la ripulsa della mozione di sfiducia, e una conferma della nostra fiducia nella Giunta che abbiamo costituita 7/8 mesi fa. Tutti sanno che al momento della costituzione della Giunta attualmente in carica e nel travaglio che l'ha preceduta il PSDI si era pronunciato per la ricostruzione della maggioranza di Centro Sinistra ed aveva operato in questo senso. Fallito, frustrato questo tentativo avevamo aderito ad una soluzione che consentiva di dare alla Regione un Governo formato nell'ambito dei partiti di Centro Sinistra, con una maggioranza democratica ed un programma democratico e riformista (che era il programma della precedente Giunta di Centro Sinistra). Purtroppo non si sono modificate le condizioni politiche che ci hanno imposto, allora quella scelta e non vediamo che esistano oggi delle condizioni per la ricostituzione di un Centro Sinistra organico, mentre dobbiamo constatare che il quadro sociale ed economico del Paese si è gravemente e ulteriormente deteriorato; ci troviamo di fronte ad una situazione economica di cui abbiamo ogni giorno gli esempi davanti al palazzo della Prefettura dove teniamo le riunioni del Consiglio Regionale, con strutture sociali importantissime, quali ad esempio la scuola (come ricordava precedentemente anche il collega Nesi), in fase di avanzata disintegrazione, in un clima di violenza che si rinnova ogni giorno e di cui i giornali ci riportano nuovi episodi. E' una situazione di ordine pubblico che giustamente preoccupa i cittadini tutti e maggiormente preoccupa coloro che hanno la responsabilità delle conduzione della cosa pubblica; vi sono problemi di ordine pubblico che possono trovare, sì, una soluzione contingente nell'aumento degli effettivi delle forze di polizia addette alla sicurezza dei cittadini, ma che hanno bisogno di una soluzione a monte dei problemi della struttura sociale, senza la quale non basta il raddoppio delle forze di ordine pubblico per assicurare un declinare delle forze della delinquenza, ogni giorno più proterve.
Più in generale ci troviamo di fronte ad un clima di sfiducia nello Stato e nell'ordine democratico, clima che ha delle obbiettive giustificazioni, altrimenti siamo convinti che si può arrivare ad un tracollo delle istituzioni democratiche che porterebbero il nostro Paese ad autoescludersi dall'Europa democratica e socialista che, sia pure faticosamente, nasce oggi e alla nostra emarginazione tra i Paesi di arretrato sviluppo economico, sociale e culturale.
In questo quadro riteniamo sia nostro dovere mantenere alla Regione Piemonte un Governo nato su delle premesse democratiche, su un programma che permette di concretamente operare soprattutto nel momento in cui la carenza di strumenti di potere che ha obiettivamente impedito fino, ad oggi alla Giunta Regionale di operare al cento per cento con il 1° aprile 1972 viene ad essere eliminata.
Per queste ragioni il gruppo socialista democratico dichiara il suo voto negativo alla mozione di sfiducia, voto che ha anche il significato di riconferma della fiducia alla Giunta in carica. Nel contempo però il gruppo socialdemocratico riafferma come obiettivo e come prospettiva la politica di Centro Sinistra nel suo significato autentico di autonomia, di democrazia, di rinnovamento delle strutture del Paese che gli diede al suo inizio, ai suoi prodromi, il leader del nostro partito Giuseppe Saragat. In questo quadro di politica di Centro Sinistra noi auspichiamo che possa muoversi anche la Regione Piemonte e perché ciò possa avvenire opereremo con tutti i nostri sforzi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Carazzoni, ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, essendo nostra intenzione quella di svolgere un breve intervento, noi tenteremo di esporre, con la maggior chiarezza possibile, le poche ed essenziali argomentazioni che riteniamo di dover presentare per definire la posizione del MSI in questo dibattito. E diremo subito, per entrare nel vivo del discorso, che noi consideriamo pretestuosa ed immotivata la mozione del partito comunista e del PSIUP, anche se questa considerazione (ecco un altro immediato chiarimento) non ci impedisce di dichiarare la nostra completa sfiducia nei confronti della maggioranza e non ci trattiene dal ribadire la nostra convinta opposizione alla Giunta Calleri.
Abbiamo detto di considerare pretestuosa ed immotivata la mozione delle sinistre e vediamo dunque di darne la dimostrazione convincente. La consideriamo pretestuosa perché cerca di eludere il problema di fondo, che non è tanto quello di denunciare l'immobilismo o l'inefficienza della formula politica che regge l'Istituto Regionale, quanto, al contrario dovrebbe essere quella di denunciare l'immobilismo e l'inefficienza dell'Istituto Regionale stesso. E' del tutto ridicolo infatti che le sinistre tentino di imputare ad una Giunta a loro non gradita la "crisi permanente" (così hanno scritto nella mozione) di questo Istituto Regionale; la verità è un'altra e va detta senza mezzi termini, la verità è che al di là della formula politica, qualunque essa sia, di Centro Sinistra, di Sinistra o di Centro, in crisi permanente è la Regione. Badate colleghi Consiglieri, non tanto o non soltanto questa nostra Regione, cioè la Regione Piemonte, ma la Regione in sé considerata, vale a dire l'ordinamento regionale. Ordinamento che, a quasi due anni dalla sua attuazione, imposta dal partito comunista (questo non va dimenticato) e subita dai partiti del Centro Sinistra, presenta un bilancio squallido fallimentare, esattamente come il MSI aveva previsto e denunciato per tempo. Le Regioni sono state fatte in fretta e sono state fatte male questo noi abbiamo sempre sostenuto e questo insieme a noi oggi convengono e consentono gli osservatori politici più obiettivi. La mancanza di indispensabili leggi quadro o leggi cornice, capaci di delimitare con chiarezza il potere statuale ed il potere regionale, è stata una delle nostre critiche di fondo; vi è qualcuno oggigiorno, alla luce della sconfortante esperienza sin qui maturata, che osi affermare che quella nostra denuncia era faziosa, che non era fondata? E non è forse vero che proprio come da noi anticipato, con alto senso di responsabilità se ci è consentito dirlo, questa incertezza, meglio, questa confusione tra il potere statuale ed il potere regionale ad altro non è servita, nel corso di questi due anni, che a portare ad un clima di conflittualità permanente lo Stato e la Regione? Non l'abbiamo visto nella sconcertante vicenda degli Statuti Regionali, vicenda che poté essere superata solo in forza di un pateracchio politico? Vi ricordate le 53 osservazioni di incostituzionalità sollevate dalla Commissione parlamentare allo Statuto di questa nostra Regione e poi lasciate cadere non perché fossero infondate, ma solo perch se fossero state mantenute avrebbero segnato, sin dall'inizio, la morte del regionalismo? E non l'abbiamo visto anche nella vicenda degli schemi dei decreti delegati per il trasferimento delle funzioni statali, là dove le Regioni, quasi fossero un ordinamento giuridico sovrano, hanno tenuto a porsi sullo stesso piano dello Stato? E infine, non l'abbiamo visto ancora nella vicenda degli schemi per il riordinamento dei Ministeri che sono stati respinti in blocco dalle Regioni? A che cosa è dunque servita sinora questa profonda riforma di struttura voluta, diciamolo ancora una volta, dalle sinistre? A che cosa è servita se non ad instaurare un pericoloso e temuto braccio di ferro con lo Stato? Quali sono state le realizzazioni concrete che sino a questo momento le Regioni possono vantare. Come hanno corrisposto, in due anni, alle attese e alle speranze del cittadino? Ma vi rendete conto, colleghi Consiglieri, che il buon senso comune ha già fatto giustizia di tante vuote illusioni? Ed ecco allora che se di sfiducia si deve parlare, questa sfiducia ha da venire espressa non tanto verso questa o quella formula politica, non tanto verso questa o quella maggioranza, non tanto verso questa o quella Giunta; quando, all'opposto ha da venire espressa verso l'Istituto Regionale in sé considerato.
Ecco perché noi abbiamo voluto definire pretestuosa la mozione del PCI e del PSIUP: è un pretesto, cioè, per mascherare con falsi attacchi il sostanziale fallimento di una riforma - quella Regionale - per la quale lo stesso PCI e lo stesso PSIUP si sono impegnati e battuti e di cui adesso condividono, senza attenuante alcuna, le pesanti responsabilità.
Ma, dicevamo, la mozione non è solo pretestuosa, è nel caso nostro e nel caso particolare piemontese anche immotivata per la pretesa di attaccare la Giunta Calleri attribuendole una caratterizzazione politica che non può avere, che non ha, che proprio noi del MSI direttamente interessati, come subito vedremo, le contestiamo e le neghiamo. Si afferma nella mozione che questa e una Giunta "di fatto apertamente orientata a destra", che "gestisce il potere con tutti i fenomeni caratteristici della destra", che "ha realizzato una svolta destra"; e si conclude invocando "un'iniziativa che liquidi il centro destra". A questo punto noi abbiamo il diritto-dovere di proclamare a tutta voce che queste affermazioni altro non sono se non una prova della grossolana impostazione propagandistica delle sinistre per cui, tanto per fare un esempio, chi non è comunista diventa automaticamente fascista. Ma quale svolta a destra? Quale centro destra? Sia chiaro che in quest'aula e fuori da quest'aula la destra la rappresentiamo noi del MSI.



MINUCCI Adalberto

E' una questione di concorrenza!



CARAZZONI Nino

Noi e noi soltanto ci qualifichiamo destra: la destra nazionale, la destra politica, la destra sociale.....
Voce da sinistra. Destra fascista!



CARAZZONI Nino

Destra fascista lo dite voi, noi diciamo destra nazionale; lo diciamo con legittimo orgoglio e vi sfidiamo, Consiglieri comunisti, a citarci un caso, uno soltanto in cui, apertamente o sotto banco, da questa destra del MSI sia partito un voto in sostegno o a suffragio della Giunta Calleri così da giustificarne la qualifica di Giunta di centro destra.
E' una precisazione che tenevamo a fare questa, una precisazione inequivoca che vedevamo rivolgere a questa assemblea ma che ancor più volevamo indirizzare all'opinione pubblica esterna, perché con la Giunta Calleri noi non vogliamo essere confusi e della Giunta Calleri non vogliamo condividere alcuna responsabilità. La si definisce come meglio credere chiamatela Giunta presidenziale, chiamatela Giunta di centro, chiamatela Giunta allo sbando magari, per usare una parola oggi di moda, ma non chiamatela di centro destra, perché la Giunta di centro destra non c' perché la destra non c'é e non ci vuole essere.
Qui siamo in presenza di una Giunta che è nata sotto lo choc dei risultati elettorali del 13.6.71, ma che di quei risultati, tra l'altro presto destinati ad avere conferme clamorose, non ha capito la lezione di fondo; tanto è vero che si è a noi presentata con una dichiarazione programmatica che oggi torna comodo al partito comunista fingere di dimenticare, ma che diceva testualmente: "i tre partiti D.C., PSDI, PRI ribadendo l'esigenza di assoluta chiarezza alla quale intendono ispirare la propria azione ad ogni livello di responsabilità politica, riaffermano l'autonomia della maggioranza politicamente e numericamente delimitata nell'ambito del centro sinistra, nonché la validità di contenuti programmatici sottoscritti al momento della formazione della precedente Giunta alla quale, come tutti ricordiamo, partecipava, il PSI". Che poi il PSI abbia ritenuto di votare contro quel programma che aveva in precedenza approvato, così come il PLI per altro verso abbia ritenuto di approvare un programma che aveva precedentemente bocciato, queste sono questioni che riguardano solo la coerenza e del partito socialista e del partito liberale, non certo noi. Altro che svolta a destra, altro che Giunta di Centro Destra! Siamo nella medesima situazione del Governo Andreotti che per tranquillità dell'elettorato va a riesumare i Pella e gli Scalfaro, ma che, al tempo stesso, si propone di salvaguardare il quadro politico, cioè di assicurare continuità post-elettorale al Centro Sinistra, allorquando i Pella e gli Scalfaro verranno rimessi sotto naftalina e Donat-Cattin, che si pensa abbia finalmente completato allora la lettura di Monsignor Della Casa, tornerà ad imperversare liberamente.
Ma, si dice, questa Giunta ha pure l'appoggio dei voti liberali e tanto basta, nel caso specifico, a parlare di una Giunta di fatto orientata a destra. Nossignore, a nostro avviso non basta proprio, non soltanto perch il partito liberale tutto ormai si può definire tranne che un partito di destra, per sua stessa dichiarata e confermata affermazione, ma anche perché le coperture del PLI ormai sono sempre disponibili per qualsiasi Giunta come per qualsiasi Governo e si veda anche qui il caso del Ministero Andreotti dove pur ci stanno i Donat-Cattin e il Ripamonti! Tutto purch nel PLI possa sopravvivere una qualunque speranza o illusione di contare ancora qualcosa.
Dobbiamo allora ripetere: altro che svolta a destra, altro che centro destra; e possiamo convenire, alla luce di queste considerazioni, che la mozione delle sinistre non è solo pretestuosa, ma è anche immotivata. E' diciamolo apertamente, soltanto un'iniziativa demagogica, una delle tante iniziative demagogiche che abbiamo visto assumere dal PCI da quando si è aperto ad esso il palcoscenico regionale; un'iniziativa, - lo ha confessato apertamente Giovana - che mira magari a mettere in imbarazzo i socialisti che punta a creare delle difficoltà alle sinistre D.C., ma un'iniziativa che non può essere presa in seria considerazione proprio per queste sue strumentali e in fondo precise caratteristiche. Questo è il giudizio che noi ne diamo sul piano politico.
Sul piano tecnico (è una precisazione che dobbiamo pur fare) non potendo, per Regolamento, presentare una nostra mozione e non volendo d'altra parte votare su una mozione del PCI e del PSIUP, noi anticipiamo che il gruppo del MSI non parteciperà alle votazioni, pur ribadendo la propria sfiducia alla maggioranza, pur riconfermando la propria opposizione radicata, inequivoca, intransigente alla Giunta Calleri che ne è l'espressione.



PRESIDENTE

Non vi sono altri iscritti a parlare per la seduta di questa mattina.
Chiede la parola il Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Io sarò brevissimo signor Presidente. Le dichiarazioni che sento il dovere di fare sono immediatamente conseguenti alla posizione che con il collega Conti abbiamo preso al momento della costituzione della Giunta e poiché di questa Giunta si parla è giusto che anche noi diciamo la nostra.
Rispetto alla mozione che i comunisti e il collega Giovana hanno presentato, dobbiamo dire che indubbiamente nel testo vi sono degli elementi che consentirebbero un approfondimento del dibattito nell'interesse generale della nostra Regione. E del resto anche l'intervento che a suo tempo sulla situazione economica fece Conti, è una conferma che quando si entra nel merito dei problemi noi un contributo cerchiamo modestamente di darlo. Dobbiamo dire però con altrettanta franchezza che non ci pare, indipendentemente dalla volontà dei presentatori della mozione, che questo sia il momento più adatto per un dibattito di questa natura.
Al momento della costituzione della Giunta la nostra posizione fu chiara, dichiarammo di votare la Giunta per disciplina di partito dichiarammo la nostra fedeltà alla linea, mai smentita, del partito nei confronti del Centro Sinistra organico, dichiarammo la nostra disponibilità per facilitare la ripresa di un dialogo che si era interrotto, auspicato da tutte le parti interessate abbiamo confermato, con le decisioni prese questa nostra disponibilità.
Dobbiamo registrare però, con altrettanta franchezza che in questo periodo vi è stata una sostanziale mancanza di iniziativa da ogni parte per la ripresa del dialogo e per il ritorno al centro sinistra organico.
Riteniamo quindi che uno spostamento del dibattito al di là dell'aula del Consiglio Regionale, in un momento nazionale di questa importanza, tutti lo vogliano: ma vi sono vari aspetti che debbono essere considerati anche da parte della D.C. per non rompere il quadro politico in cui si è mossa in questi anni. Noi avremmo voluto, anche in sede nazionale, che la preservazione del quadro politico trovasse diverse soluzioni allo stato di crisi, pur nei confronti di nuove elezioni, però abbiamo fiducia e dichiariamo il mantenimento del nostro impegno per una seria ripresa del discorso in questo quadro politico per il dopo-elezioni.
Con queste osservazioni, sia quelle di natura pregiudiziale sia quelle relative alla posizione che abbiamo cercato di mantenere, è evidente che la nostra dichiarazione non può essere che quella che ci adeguiamo disciplinatamente, coerentemente con le decisioni del nostro partito.



PRESIDENTE

Non vi sono altre richieste di parola per questa mattina.
Il Consiglio è riconvocato per oggi pomeriggio alle ore 16 per la prosecuzione dell'esame dell'o.d.g.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



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