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Dettaglio seduta n.81 del 09/02/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri Armella, Beltrami, Berti, Bianchi Bono, Debenedetti, Franzi, Nesi, Oberto e Soldano.
Mi risulta che l'Assessore Visone deve fare alcune comunicazioni a nome della Giunta, ne ha facoltà.
Convegno sulla crisi di settori produttivi in Piemonte.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, vorrei brevemente riferire sull'incontro che ha avuto luogo ieri, presieduto dal Ministro del Lavoro al quale hanno partecipato i parlamentari piemontesi, il Sindaco e l'Assessore al Lavoro del Comune di Torino ed il sottoscritto in rappresentanza della Giunta regionale piemontese.
Nel corso della riunione sono state prospettate le situazioni di crisi in cui versano i settori del tessile e delle fibre, particolarmente quelli delle province di Vercelli e di Novara, e sono state prese in esame le situazioni di alcune aziende per le quali urge un intervento immediato. Si è parlato di cifre e si pensa che con una decina di miliardi si possa già ottenere un certo risultato. E' stato messo l'accento in modo particolare sulla necessità che la Gepi intervenga, poiché è risaputo che quell'ente sostiene che ormai c'é una legge che dovrebbe affrontare il problema senza il suo aiuto. Si è insistito invece sulla possibilità di dirottare alcuni miliardi che erano stati messi a disposizione del Sud, per venire in aiuto del settore tessile in Piemonte. Infine si è toccato l'argomento della 1115 e l'approvazione della Legge 7.
Stamani a mezzogiorno una delegazione, capeggiata dall'ex Ministro Pella e della quale facevano parte i rappresentanti dei parlamentari presenti ieri, doveva avere un incontro con il Presidente del Consiglio e con il Ministro del Bilancio per prospettare la necessità di stornare dei fondi a favore del Piemonte. L'esito dell'incontro non lo conosco ancora domani sarò a Roma per seguire alcune di queste vicende.
Inoltre è scaturita un'altra richiesta, cioè che il Ministro del Lavoro si faccia promotore di un incontro con i parlamentari piemontesi nei prossimi giorni al quale dovrebbero partecipare, oltre che il Ministro del Lavoro, i Ministri del Bilancio, delle Partecipazioni statali e del Tesoro per parte mia non mancherò di sollecitare questo incontro.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Sanlorenzo, ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Secondo le intese di questa mattina nella riunione dei Capigruppo, dir pochissime parole di commento per prendere atto delle dichiarazioni dell'Assessore e nello stesso tempo auspicare che nella riunione di stamani si sia fatto un ulteriore passo avanti rispetto a ciò che i giornali hanno scritto e l'Assessore ci ha detto circa gli approcci di ieri. Intendo anche rivolgere tre domande all'Assessore, poiché da ieri ad oggi la situazione si è aggravata nei confronti di due questioni di cui ci occupiamo da tempo: 1) la Bembeg è passata nella giornata di ieri allo sciopero ad oltranza di tutta la produzione, anche di quella che mai era stata fermata in tutta la storia delle lotte operaie dell'azienda, cioè di quel particolare tipo di produzione che anche nei momenti di maggiore scontro gli operai avevano deciso di far funzionare perché comporta il blocco dell'azienda per un lungo periodo di tempo: a questa decisione sono stati portati dal tipo di risposta che gli industriali hanno dato lunedì pomeriggio; 2) i duemila dipendenti della Rossari e Varzi hanno indetto un'assemblea generale dei lavoratori per questa sera alle ore 21 (è da auspicare che i nostri lavoratori possano terminare in tempo per permettere ai Consiglieri Regionali novaresi di essere presenti), perché oggi pomeriggio c'è la riunione dei rappresentanti dei lavoratori con la Direzione, la quale pare che intenda annunciare la chiusura totale ed immediata di tutti gli stabilimenti.
In relazione al precipitare di due situazioni che interessano quattromila dipendenti di una sola provincia, chiedo all'Assessore di volermi precisare: 1) la data della conferenza del settore chimico che deve essere indetta dalla Giunta; 2) la data dell'incontro con i sindacati tessili sul quale siamo gia d'accordo tutti; 3) la data dell'incontro tra il Presidente della Giunta Regionale e il Presidente della Bemberg, Costa da cui può dipendere la fine di questa situazione, la più esplosiva determinatasi nella fabbrica Bemberg di Gozzano.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Per quanto riguarda la Bemberg, la Giunta ha sollecitato un incontro con il Signor Costa, ma nonostante la nostra buona volontà il Signor Costa non è ancora stato reperibile, comunque l'incontro continua ancora ad essere chiesto ed io mi auguro che, se non per fine settimana, nei primi giorni della prossima possa aver luogo.
C'era l'impegno di tenere la conferenza del settore chimico entro la fine di febbraio, probabilmente entro quella data non sarà possibile, ma ne parlerò con il Presidente e con l'Assessore Petrini e penso che potrà aver luogo entro la prima metà di marzo.
Sulla situazione della Rossari &Varzi non sono entrato nei dettagli perché ieri abbiamo esaminato le situazioni di diverse aziende e sono state prospettate alcune soluzioni, ma ancora vorrei parlarne perché qualcuno potrebbe sentirsi dimenticato.
Per quanto concerne l'incontro con i rappresentanti sindacali del settore tessile, appena arriverà l'Assessore Petrini mi metterò d'accordo con lui perché abbia luogo la prossima settimana.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanze dei Consiglieri Viglione, Revelli, Sanlorenzo e Giovana sulla situazione del cotonificio Wild di Piasco


PRESIDENTE

Prima di passare all'esame delle mozioni esaminiamo alcune interpellanze e interrogazioni per le quali siano presenti l'Assessore che deve rispondere e gli interpellanti e interroganti.
Non so se l'Assessore Visone sia pronto a rispondere alle interpellanze presentate separatamente dal Consigliere Viglione e dai Consiglieri Revelli, Sanlorenzo, Giovana sugli interventi o iniziative a favore dei lavoratori della Wild di Piasco. Si tratta di interpellanze, quindi hanno facoltà di illustrarle, però vorrei prima sentire dall'Assessore se ha qui i documenti necessari per la risposta.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Si.



PRESIDENTE

Allora ha facoltà di parlare il Consigliere Viglione per illustrare la propria interpellanza.



VIGLIONE Aldo

Brevemente signor Presidente, perché questa interpellanza risale ormai a parecchi mesi addietro e quando sono così vecchie.....



PRESIDENTE

Risale al 14 ottobre 1971.



VIGLIONE Aldo

Infatti, o chi si è interessato è morto, o la fabbrica è in ripresa oppure è in fallimento e non si risponde più niente. Ma la storia della Wild continua ancora e può essere utile parlarne perché dal 14 ottobre ad oggi sono passati quattro mesi che però non hanno visto ancora una soluzione ben precisa. Siamo sempre nel campo tessile, il campo più flagellato.
La Wild aveva posto in cassa integrazione un gran numero di lavoratori quasi tutti differenziandoli nell'orario e ad un certo momento vi erano state delle forti iniziative per fare recedere l'azienda da questa decisione. Dopo una serie di interventi, di discussioni, di dibattiti, alla fine vi è stata una soluzione positiva sì, ma del tutto insoddisfacente; se guardiamo il settore tessile dobbiamo dire che una soluzione vi è stata però i lavoratori chiedono la garanzia del posto di lavoro, che non vi siano riduzioni di orari, che non si parli mai più di cassa integrazione visto che vi sono le premesse per una ripresa della Wild.
Queste erano le argomentazioni che noi volevamo portare il 14 ottobre e che oggi, a distanza di quattro mesi, hanno perduto un po' della loro efficacia e della loro attualità.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Due parole, molto brevemente, per integrare quanto ha detto il collega e compagno Viglione.
Il provvedimento preso dalla Direzione della Wild alla vigilia della chiusura per le ferie e successivamente in settembre, aveva colpito particolarmente anche le aziende del novarese. So dell'Assessore, in via formale, che ha aggiornato diverse volte la situazione della Wild; vale ancora oggi la richiesta, a distanza di tanti mesi, dell'intervento del Consiglio Regionale e della Giunta affinché gli accordi vengano rispettati integralmente, perché ancora due settimane fa risultava che la fabbrica di Piasco non rispettava integralmente l'accordo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare l'Assessore Visone.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Signor Presidente, signori Consiglieri, io avevo preparato la risposta a due interpellanze, che avevo pensato di abbinare, già da parecchie settimane, quindi non è colpa del tutto mia se soltanto oggi ne parliamo.
Se i Consiglieri lo ritengono, io potrei dare i dati di come è stata sistemata la vicenda.
Al fine di fare conoscere la situazione di tale industria, secondo quanto ho potuto appurare, dirò che nel maggio 1971 i dipendenti della Wild di Piasco e di Novara, tramite le proprie organizzazioni sindacali hanno avanzato alcune rivendicazioni di carattere normativo ed economico a garanzia del posto di lavoro. A seguito del mancato accoglimento da parte dell'azienda delle richieste formulate dai lavoratori veniva esperito senza esito positivo, un tentativo di conciliazione presso l'Ufficio regionale del lavoro di Torino, avendo la vertenza stessa carattere interprovinciale. Le maestranze, al fine di vedere esaudite le proprie rivendicazioni, iniziavano nel mese di luglio una serie di scioperi articolati che proseguivano, ad eccezione del periodo feriale di agosto anche nei successivi mesi di settembre, ottobre e novembre. Nel contempo la ditta che occupa 558 dipendenti nello stabilimento di Piasco, aveva chiesto per lo stesso, per un numero di operai che si aggirava da un numero di 304 ad un numero di 384 unità, l'intervento della cassa integrazione per mancanza di lavoro, per il periodo 14 giugno 13 novembre 1971 e per un totale di 95.905 ore.
Le trattative in atto da alcuni mesi hanno raggiunto in sede aziendale un accordo firmato il 26 novembre scorso, che interessa lo stabilimento di Nasco e così concepito: 1) mantenere il posto di lavoro a tutto il personale attualmente occupato, anche in presenza di un adeguamento di attrezzature tecnologiche; 2) l'orario di lavoro verrà gradualmente portato dalle 20 ore alle 32 ore alla settimana e ciò entro il dicembre scorso; 3) svuotare l'ottava categoria dal 1° novembre scorso che rimarrà soltanto per i nuovi assunti, per i primi sei mesi, passando gli operai alla settima categoria, mentre quelli della settima passano alla sesta; 3) perequare le paghe con quelle dei dipendenti dello stabilimento con sede a Novara partendo da un minimo di 15 lire a un massimo di 37 lire orarie a datare dal 1° novembre scorso; 4) lasciare il premio di produzione per il 1971 in lire 27 orarie e trasformarlo in misura fissa di lire 60.000 per il '72 liquidandolo in tre parti.
Questo accordo è stato rispettato e infatti l'orario è di 32 ore da dicembre; le categorie più basse pian piano si stanno svuotando per passare alle superiori. La perequazione delle paghe è avvenuta e il premio di produzione, allo scadere della prima rata, verrà, io mi auguro, corrisposto nella misura concordata. Posso assicurare che l'Assessorato non ha mancato il suo interessamento anche nei confronti di questa azienda, contribuendo a portare la situazione agli attuali termini accettati dalle maestranze e dai sindacati.
Per quanto riguarda la richiesta dell'interrogante sulla necessità di indire una conferenza provinciale, nel ricordare che in occasione dell'incontro avvenuto a Cuneo tra le rappresentanze della Giunta Regionale e le forze politiche ed economiche di tali province è stata auspicata una conferenza provinciale sull'occupazione, assicuro che l'Assessorato al Lavoro farà quanto di sua competenza affinché ciò possa avvenire al più presto.



PRESIDENTE

Ha facoltà di replicare il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Mi dichiaro soddisfatto delle comunicazioni dell'Assessore che costantemente segue i problemi del lavoro.
In quanto alla Wild si è trattato di un accordo di transizione sotto la spinta di situazioni assai pericolose ed i lavoratori alla fine hanno ceduto rispetto a prospettive che erano ben più lontane. La questione va quindi seguita attentamente perché il risultato è dato soddisfacente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Mi dichiaro parzialmente soddisfatto perché, pur dando atto all'Assessore del suo intervento che è stato decisivo per raggiungere questo accordo e sbloccare la situazione, non risulta ancora che si sia provveduto allo svuotamento dell'ottava categoria e all'applicazione della settima. Inoltre la questione dell'ammodernamento degli impianti, che era al centro della piattaforma rivendicativa, pare stia passando in second'ordine.
Per quanto concerne invece la conferenza provinciale sulla occupazione sollecito ancora l'Assessore Visone e la Giunta a indirla il più presto possibile perché nuove situazioni già deterioratesi lo scorso anno si stanno affacciando, soprattutto nella zona di Mondovì, rendendo precari centinaia e centinaia di posti di lavoro. L'Amministrazione Provinciale si era dichiarata disponibile ad indire questa conferenza unitamente alla Giunta Regionale.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza dei Consiglieri Bono e Sanlorenzo sulla situazione della ditta Vistarini di Omegna


PRESIDENTE

Prendiamo ora in esame l'interpellanza presentata dai Consiglieri Bono e Sanlorenzo, relativa ad iniziative per impedire le massicce riduzioni di orario in atto alla ditta Vistarini di Omegna.
Ha facoltà di illustrarla il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

L'illustrazione è brevissima. E' una vecchia interpellanza, la questione non è stata risolta, i lavoratori della Vistarini hanno recentemente provveduto a sviluppare forme di lotta cha hanno portato perfino all'occupazione del Comune. Essi fanno parte di quei gruppi di dipendenti di aziende che attendono una risposta ai quesiti posti. Sentiamo se l'Assessore ha delle novità.



PRESIDENTE

Ha facoltà di rispondere l'Assessore Visone.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Signor Presidente, Consigliere Sanlorenzo, io ho preparato una risposta che è un po' la cronistoria della situazione della Vistarini. Se crede gliela leggo. L'unica novità è questa, che ieri la questione della Vistarini è stata una di quelle poste sul tappeto e per la quale il Ministro del Lavoro ha prospettato una soluzione che potrebbe anche essere prossima.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Per le ragioni di economia di tempo che devono governare i nostri lavori di oggi, poiché l'illustrazione di tutta la cronistoria non potrebbe aggiungere molto a ciò che conosciamo, mentre è fondamentale conoscere la iniziativa che si sta conducendo, se l'Assessore Visone è in grado di dirci qualche cosa di interessante su quanto prospettato ieri, ben venga la precisazione, il resto lo sappiamo molto bene.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Il Ministro del Lavoro, parlando della situazione Vistarini ha ricordato come ci sia un industriale interessato all'acquisto dell'azienda ed ha manifestato il parere che se l'operazione è da fare venga fatta garantendo la continuità del lavoro. E' un problema che il Ministro sta seguendo in modo particolare mentre la Regione ne sollecita la soluzione in questo senso.



PRESIDENTE

Potremmo pregare l'Assessore Visone di tenere il Consiglio al corrente degli sviluppi della situazione mediante comunicazioni come quella che ha fatto all'inizio della seduta odierna, in modo che l'argomento possa essere ridiscusso anche in assenza di questa interpellanza.


Argomento:

Sulla procedura delle interrogazioni con risposta scritta


PRESIDENTE

Vorrei però cogliere l'occasione che il Consiglio non è molto numeroso per raccomandare ai signori Consiglieri di fare uso di uno strumento procedurale che è previsto dal regolamento e che non è mai stato utilizzato, cioè l'interrogazione con risposta scritta; questa procedura molto spesso consentirebbe di ottenere tempestivamente informazioni che altrimenti, specialmente in questioni come quelle di cui si occupa l'Assessore Visone che spesso è assente in ragione del suo ufficio, non possono essere trattate o per mancanza dell'interrogante o per mancanza dell'Assessore competente. Viceversa l'interrogazione con risposta scritta consente di avere notizie tempestive che si possono rendere pubbliche esattamente come quelle date qui oralmente, con l'unico svantaggio rispetto all'interrogazione con risposta orale, di non consentire all'interessato di dichiararsi o meno soddisfatto, ma nulla vieta allo stesso, una volta in possesso di tali informazioni, di rivolgere alla Giunta una vera e propria interpellanza per poter manifestare meglio il proprio pensiero e proclamarsi soddisfatto o meno. Intanto, però, per non lasciare marcire le notizie che, come si è visto, molto spesso sono disponibili in mano alla Giunta da diversi mesi per mancanza della coppia che deve dare luogo al dialogo, l'interrogazione con risposta scritta consentirebbe oltre che risparmiare tempo, di far funzionare in modo più snello questa procedura di controllo del Consiglio Regionale sull'azione della Giunta o sulle informazioni in suo possesso.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza dei Consiglieri Besate e Fabbris sull'intervento della Gepi nella ditta Faini


PRESIDENTE

Vediamo per ultima un'interpellanza presentata dai Consiglieri Besate e Fabbris sull'intervento della Gepi nella ditta Faini a garanzia dei livelli di occupazione.
Ha facoltà di illustrarla il Consigliere Besate.



BESATE Piero

Signor Presidente, egregi Consiglieri, la situazione che mi ha portato con il collega Fabbris a presentare questa interpellanza, merita la massima attenzione. La ditta Faini, che ha tre unità produttive a Vercelli, a Fiorenzuola d'Arda in provincia di Piacenza e a Cetraro, nel Mezzogiorno, è una grossa industria di maglierie tra le più grandi in Italia e tra le più pregiate sul mercato internazionale. Nel complesso occupa circa un migliaio di dipendenti. Quella di Vercelli, che è l'unità madre di tutto il gruppo è ad alto livello produttivo e qualitativo. Questa ditta ha cominciato a manifestare gravi difficoltà nel luglio scorso, quando si è avuta la comunicazione- che non avrebbe pagato la gratifica feriale ai propri dipendenti. Da allora il pagamento delle competenze degli operai è andata mano a mano accumulandosi fino a raggiungere, sotto le feste natalizie, un credito per ogni dipendente che si aggirava dalle 200 alle 400.000 lire.
Nel frattempo però alla ditta non erano venuti a mancare né lavoro, né la capacità produttiva, tanto è vero che nelle sue fabbriche si può lavorare se gli operai sono disposti a lavorare senza salario, anche 10/12 ore al giorno, perché l'azienda non riesce a far fronte a tutte le scadenze di consegna tanto è vero che va persino incontro a penalità. E' una ditta a cui non mancano il personale qualificato, la struttura e il macchinario di produzione che è fra i più moderni in quanto, essendo stata sinistrata dalla alluvione del 1968, ebbe dall'IMI, a quel tempo, un miliardo e mezzo di credito; si trova addirittura sovraccarica di commesse, per cui le improvvise difficoltà in cui è venuta a trovarsi non sono imputabili che a cattiva gestione, vuoi amministrativa, vuoi tecnica del gruppo aziendale dirigenziale.
E' a questo punto che si inseriscono l'azione del sindacato, delle maestranze, degli enti locali, modestamente, anche dei due Consiglieri Regionali che hanno firmato l'interpellanza. Avevamo saputo, anche per interessamento del Comune di Vercelli e dello stesso Assessore al Lavoro che la Gepi, con le partecipazioni statali e la presenza della ditta stessa, avevano raggiunto un accordo di massima, mi pare il 20 gennaio, in sede di Ministero delle partecipazioni statali: sarebbe stato concesso un ulteriore prestito dell'IMI, oltre al miliardo e mezzo dato a suo tempo, di 380 milioni al fine di procedere al pagamento delle maestranze e per costituire un fondo per le spettanze future, in modo da non interrompere la continuità produttiva della ditta e da non perdere i rapporti con il mercato di sbocco della produzione. In seguito si sarebbe dovuta avere una partecipazione della Gepi in quota maggioritaria alla rilevazione e alla gestione dell'azienda, con modalità che sarebbero state da definire. La cosa sembrava che dovesse concludersi entro una ventina di giorni l'azienda avrebbe dovuto trasformarsi da ditta privata a partecipazione pubblica, ma poi abbiamo saputo (con giustificatissimo allarme delle maestranze, degli amministratori di Vercelli, dell'intera popolazione) che tutto viene rinviato di settimana in settimana, di giorno in giorno per sopravvenute difficoltà.
A parte il caso della Faini, che è gravissimo, la città di Vercelli si trova in un periodo difficile, numerosissime fabbriche hanno chiuso, e anche la situazione della Chatillon (del gruppo Montedison) è grave. Due o tre giorni fa la Giunta Regionale, ufficialmente rappresentata dall'Assessore Petrini e da un funzionario dell'assessorato alla programmazione, ha partecipato ad una seduta del Consiglio Comunale di Vercelli. In quella assemblea hanno sottolineato la situazione estremamente grave dell'occupazione, con particolare riferimento alla Faini, che per il 90% occupa manodopera femminile. E' facile prevedere che se si procedesse ad un licenziamento anche limitato, l'intera città di Vercelli si ribellerebbe, l'ha solennemente dichiarato lo stesso Consiglio Comunale Sindaco in testa, presenti i lavoratori della Faini. Io chiedo all'Assessore Visone che ci dica come stanno le cose, oggi.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Signor Presidente, signori Consiglieri, il 13 c.m. presso il Ministero delle Partecipazioni statali, alla presenza del Ministro Piccoli, dal Sottosegretario Principe, del direttore generale dott. Lauriti, dei rappresentati della Gepi, dell'industria Faini e del sindacato nazionale, è stato preso un accordo di massima, ancora riservato tra le parti interessate, che si può concepire così: 1) il problema della ditta Donato Faini &Figli deve essere affrontato globalmente per i tre stabilimenti di Vercelli, Fiorenzuola d'Arda e Cetraro 2) per superare le attuali difficoltà si è ritenuto di dover ricorrere al Titolo II della Legge 184 (Gepi) 3) la ditta Faini si è dichiarata disponibile per un intervento maggioritario della Gepi.
I contatti verranno proseguiti studiando le modalità di intervento e le parti si riuniranno nuovamente entro venti giorni (stanno scadendo) per valutare questi accordi preliminari. Si è a conoscenza inoltre che l'IMI in data 17 dicembre, ha deliberato un mutuo di 380 milioni ad integrazione di quello già concesso di un miliardo e mezzo per i danni alluvionali.
Questo mutuo viene concesso per il pagamento delle maestranze, onde poter avere una continuità di lavoro. In questi venti giorni gli uffici ministeriali si adopereranno per ottenere un prefinanziamento su tale mutuo, onde provvedere al pagamento di stipendi e salari arretrati.
Le organizzazioni sindacali, sulla base del citato accordo di massima ritengono possa essere ripresa l'attività produttiva.
Circa la garanzia dei posti di lavoro non possiamo attualmente ragguagliare in modo certo anche perché gli accordi presso il Ministero non parlano di questo. Da quanto ho potuto sapere, non penso si debba intravedere una riduzione di personale perché l'azienda ha bisogno di soddisfare le commesse che riceve (mi risulta anzi che 15/20 giorni fa ha assunto degli operai).
La Giunta Regionale ha seguito finora la vicenda e si è interessata presso gli organi ministeriali, al fine di giungere ad una soluzione, e lo dimostrano gli accordi raggiunti che riteniamo significativi, sempre che vadano in porto. Posso aggiungere che in questi giorni sono stato a Roma per un incontro con il Ministro Piccoli col quale ho avuto modo di rivedere la posizione della ditta Faini, secondo quanto contenuto nell'interpellanza e sollecitarne la favorevole definizione.
Ancora ieri ho parlato della questione della Faini e mi è stato assicurato che dovrebbe sbloccarsi nei prossimi giorni; questa è anche l'impressione del Ministero della Partecipazioni statali.



PRESIDENTE

Ha facoltà di replicare, per dichiararsi o meno soddisfatto, in non oltre cinque minuti, il Consigliere Besate.



BESATE Piero

Prima non ho usufruito del quarto d'ora signor Presidente, me ne deve dare atto.



PRESIDENTE

Per replicare ha diritto a cinque minuti.



BESATE Piero

Non è conguagliabile, allora non conguaglio. Dò atto che gli Assessori Visone e Cardinali si sono prodigati e hanno dato il loro contributo, non posso però ritenermi soddisfatto della risposta per il modo in cui vanno le cose: prima di tutto perché coloro che dirigono l'azienda vorrebbero contrapporre la situazione dei lavoratori della unità di Cetraro con quella dei lavoratori di Vercelli e di Fiorenzuola d'Arda, mentre noi sosteniamo la globalità; in secondo luogo perché Faini è un industriale protetto, si è installato, si è ingrandito, sia con la Cassa del Mezzogiorno a Cetraro sia con i soldi dell'alluvione, sia per quanto riguarda le aree industriali; in terzo luogo perché mentre non pagava gli operai buttava il denaro al vento patrocinando il concorso di Miss Italia a Salsomaggiore.
Gli operai sono andati appunto a Salsomaggiore con cartelli che dicevano: "Invece di fare Miss Italia paga la quindicina agli operai che hanno lavorato".
Ci troviamo di fronte a industriali di questo genere, quindi non abbiamo alcuna garanzia che un tipo simile sia ancora in grado di gestire delle aziende, è un irresponsabile, l'abbiamo affermato e lo riaffermiamo.
Quindi, si salvi la Faini, ma via Faini dalla direzione dell'azienda.
Le assicurazioni che la situazione dovrebbe sbloccarsi le prendiamo così come ci vengono date, ma non ci sentiamo di dire né ai sindacati, n ai lavoratori di smettere la loro lotta perché è una cosa che si trascina già da troppo tempo. I lavoratori hanno dato prova di grande senso di responsabilità, è dal mese di luglio che vivono in questa situazione facendo delle agitazioni, ma continuando a lavorare per permettere la continuità della produzione per far fronte alle commesse e mantenere l'attività dell'azienda. Essi hanno dato prova di grande responsabilità cosa che non ha fatto certamente l'industriale che ha preso i quattrini dei lavoratori in prestito a tasso zero, senza ricorrere alle banche e senza pagare gli interessi.
L'impressione che le cose si sblocchino è un'impressione, ma gli operai hanno bisogno di qualcosa di più e tutta la città ha bisogno della sicurezza, sicurezza del pane, del lavoro, dello sviluppo. Per questo io mi permetto di chiedere alla Giunta di compiere un'azione più incisiva, più costruttiva e in direzione della ditta e in direzione del Ministero.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici - Beni ambientali - tutela del paesaggio (poteri cautelari, vincoli - Valutazione impatto ambientale

Situazione edilizia a Bardonecchia


PRESIDENTE

Passiamo ora all'esame del punto 2) all'o.d.g. lettera a) Situazione edilizia a Bardonecchia.
E' stata presentata una mozione che reca la firma dei Consiglieri Nesi Giovana, Berti e Benzi. Mi risulta che pur non avendo messo materialmente la propria firma, avrebbe dato l'adesione alla mozione anche il Consigliere Bianchi.
Ha facoltà di illustrarla il Consigliere Giovana.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi scuso innanzitutto col Presidente e con i colleghi perché ho probabilmente provocato qualche intralcio ai lavori del Consiglio, ma ero impegnato, nella mia qualità di Presidente della Giunta delle Elezioni, nei lavori della Giunta stessa, che si sono protratti un po' a lungo, per cui sono arrivato in aula con un certo ritardo.
Il 1° maggio del 1970, come credo i colleghi ricorderanno, in una piazza del centro storico di Torino, Piazza Vittorio Veneto, si ebbe una tragica sparatoria. Vi furono quattro morti; un fatto di sangue che si svolse su uno sfondo a mezza via fra i noti scenari della Chicago degli anni venti e i westerns di fordiana memoria. L'autore di quella sparatoria che distrusse quattro vite, pare fosse la vittima designata di un regolamento di conti all'interno delle cosche che controllano il mercato delle braccia. L'uomo che compì quel delitto, alcune settimane or sono, è stato condannato a trent'anni di reclusione. Un operatore giudiziario riesumando desueti concetti di origine lombrosiana, disse che a quell'uomo doveva essere riconosciuto un'aggravante alla pena comminatagli in quanto "naturalmente" incline al delitto. Io ritengo sia più giusto, più sensato più adeguato ai criteri di una moderna concezione nella valutazione delle spinte che inducono gli uomini alla criminalità, dire che quell'uomo era al tempo stesso la vittima di un certo meccanismo e lo strumento di quello stesso meccanismo delinquenziale. In ogni modo, quel caso portò, con la sua drammaticità, all'evidenza dell'opinione pubblica il fenomeno dell'intermediazione sul mercato delle braccia. In parecchi organi di stampa si diede gran rilievo a quelle vicende e al venire alla ribalta di questo fenomeno, come se si trattasse di cosa nuova, di un fatto insorto di recente e di cui non si aveva per il passato, che vaga nozione.
Ritengo sia giusto, per una conoscenza complessiva del problema ricordare come in realtà questo fenomeno dati dal 1945. A quest'epoca infatti, nella fase di ricostruzione degli apparati industriali, il grande capitale industriale e immobiliare di Torino, la Fiat in primo luogo, ma poi anche la Michelin, la Ceat ecc., cominciò ad avvalersi in forma continuativa di carovane di imprese di pulizia che agivano all'interno degli stabilimenti, con centri di reclutamento esterni molto bene individuati. Se mi è consentito di riandare ad un ricordo di cronista dei problemi del lavoro degli anni '50, rammenterò che da un'inchiesta mia e di altri colleghi venne allora fuori con nomi, cognomi e sigle, che a non più di 200 metri dal palazzo della Prefettura esisteva una "Compagnia Assuntori Lavoratori" (di cui era, mi sembra dirigente e creatore un ex Prefetto della Repubblica di Salò) la quale svolgeva questa attività di intermediazione sul mercato delle braccia. Noi denunciammo allora, come cronisti, con nomi, cognomi e riferimenti, il mercato che veniva svolto indicammo anche le località, allora zone periferiche ancora verdi del centro torinese, in cui venivano portati, nel loro transito dal Mezzogiorno alla città di Torino, come prima base di residenza, questi poveri diavoli reclutati, presi per fame ed esposti all'avventura delle imprese di appalto di pulizia nelle grandi fabbriche. Le nostre denunce non ottennero effetto alcuno. Non ci fu cenno che l'autorità prefettizia, né quella giudiziaria assumessero tali segnalazioni giornalistiche, nutrite di precisi riferimenti, per iniziare delle procedure contro siffatte attività illegali.
Con lo svilupparsi del fenomeno della speculazione edilizia, l'aspetto del reclutamento illegale di lavoratori e della loro immissione nell'ambito della speculazione edilizia, fu generalizzato e assunse da quel momento le caratteristiche di una tipica organizzazione di sfruttamento di queste forze immigrate. Le grandi imprese edili, con il pretesto delle sotto imprese specializzate, deliberatamente utilizzavano il sistema, introdotto anche in virtù di una Legge molto equivoca, la 1369, peggiorata da una circolare ministeriale del 1961, che offriva loro appigli per avvalersi di codesto tipo di imprese. Il fenomeno si estese quindi su larga scala in ogni campo: ebbe però immediatamente, per motivi ovvi, una sua rilevanza specifica nel settore dell'edilizia e si trasformò quindi in pura intermediazione di manodopera. Il fenomeno del cottimismo crebbe di anno in anno col crescere e l'espandersi della speculazione edilizia e siamo arrivati alle cifre e alle percentuali che oggi ci sono note; noi sappiamo infatti che nella provincia di Torino il fenomeno del cottimismo raccoglie circa l'85% di tutta l'area di manodopera impegnata nella edilizia locale.
Sappiamo altresì che l'Ispettorato del Lavoro, mossosi molto tardi (certamente limitato nelle sue possibilità di intervento dalla carenza di personale e di uomini, ma certamente mossosi molto tardi), dal 1° maggio del 1971 ha denunciato in tutta la provincia 406 imprese edili (tra le quali ne risultano alcune delle maggiori per la forma e l'entità degli affari), per oltre 7000 operai occupati. Malgrado la crisi del settore sappiamo che ancora in questi ultimi mesi, a partire dal novembre dell'anno trascorso ad oggi, si sono avute 6000 assunzioni le quali per la più parte hanno avuto delle tardive e affrettate regolarizzazioni, cioè sono passate in prima istanza attraverso la via illegale dell'intermediazione.
Noi sappiamo d'altro canto - e credo sia un dato sul quale dobbiamo meditare molto seriamente - come proprio la nostra provincia ottenga un triste primato in materia di infortuni del lavoro nel settore dell'edilizia. Nella riunione dell'Ispettorato del Lavoro del 9 dicembre 1971, la situazione nella provincia di Torino, definita la più grave d'Italia dal punto di vista degli infortuni, dava questi risultati: l'incidenza di infortuni mortali è di circa tre volte superiore a quella registrata in ogni altro settore produttivo, di due volte negli infortuni che producono invalidità permanente e di una volta e mezzo per l'invalidità temporanea. Nel 1967, il settore della edilizia della provincia di Torino ha registrato 63 morti sul lavoro, nel 1968 43 morti, nel 1969 42 morti nel 1970 62 morti; nei primi dieci mesi dell'anno c'erano già 33 morti.
Questi dati tragicamente significativi della dimensione che ha assunto nel quadro generale delle inadempienze dei costruttori edili, il problema della sicurezza dei lavoratori di questo settore ed è quindi un primo elemento di fronte al quale noi ci troviamo. Vi è largo fruire da parte della speculazione edilizia di attività illegali per valersi di manodopera le cui condizioni non sono regolarizzate a tutti i fini stabiliti dalla Legge nei contratti nazionali di lavoro. In secondo luogo, proprio perch questa manodopera, essendo tratta da questo tipo di "leva" è, più d'ogni altra, soggetta ad ogni possibile ricatto, e quindi anche abbandonata a s stessa nell'espletamento delle proprie funzioni. Siamo di fronte a una serie di inadempienze rispetto alle norme di carattere infortunistico di prevenzione ecc. di dimensioni macroscopiche.
Ho voluto fare questi richiami per sottolineare come alcuni episodi criminosi si inseriscano in un quadro generale che riguarda il settore dell'edilizia nella provincia di Torino, per ciò che concerne la situazione della manodopera estremamente serio. Dal corso delle vicende di cronaca che risalgono ad un tempo ancora anteriore a quel fatto del 1° maggio 1971 e di quella che abbiamo potuto constatare anche negli ultimissimi giorni, si è sempre riscontrato come ogni qualvolta si è verificato un fatto delittuoso di particolare gravità, e soprattutto di particolare oscurità nell'individuazione dai mandanti e degli esecutori, in modo più o meno chiaro è emerso il nome di un centro della nostra provincia, il nome della cittadina di Bardonecchia.
Voglio citare l'ultimo episodio, che certo sarà presente al ricordo di tutti i colleghi. Alcuni giorni fa si è avuto un omicidio nel vicino centro di Cuorgné. Non si è ancora appurata la natura dei rapporti che l'ucciso aveva con personaggi locali ritenuti legati alla mafia, ma si è appurato che l'omicida aveva (se non vado errato) addirittura dei rapporti di parentela con un tizio il quale ha un'impresa edile, guarda caso, a Bardonecchia. E' ben vero che un giornale molto autorevole di Torino ha pubblicato - spero per una coincidenza casuale, non lo so - subito dopo l'annuncio della presentazione di questa nostra mozione, delle interviste con due autorevoli esponenti della città di Bardonecchia, il maresciallo dei carabinieri e il parroco, i quali asserivano che in quel centro non era mai accaduto nulla di particolare, non accadrebbe alcunché di strano né sul piano della regolarità dello sviluppo edilizio, né tanto meno su quello della turbativa dell'atmosfera civile della città per opera di gruppi i quali potrebbero essere definiti di ispirazione mafiosa. E' per altrettanto vero, e direi maggiormente documentabile, che nel corso di questi anni non soltanto il nome della città di Bardonecchia è venuto alla ribalta in una strana concatenazione di vicende, con una strana continuità di ritorni nella cronaca nera della provincia, per fatti sempre collegati in qualche misura ai problemi dello sviluppo edilizio, ma altresì è stato fatto per ben precisi avvenimenti, collegati all'abnorme sviluppo che il centro stesso ha avuto rispetto alle sue possibilità di un'adeguata espansione sotto il profilo edilizio.
Occorre dire che la città di Bardonecchia, dal 1958 in possesso del piano regolatore e del regolamento edilizio, cioè degli strumenti che avrebbero dovuto consentire di dare allo sviluppo della città un suo equilibrato orientamento, tenendo conto delle particolari esigenze di questo centro che ha, come preminente risorsa, quella di natura turistica il centro di Bardonecchia, dicevo, che possedeva questi strumenti e che presentava una capienza complessiva residenziale attorno alle 7/8000 unità ha visto nel corso di un decennio quintuplicarsi le sue presenze residenziali e addirittura decuplicarsi le presenze collegate ai periodi di maggiore incidenza del flusso turistico. E' visibile, a chiunque si rechi nella città di Bardonecchia, lo sconcio al quale si è arrivati, attraverso le forme più varie di deroghe concesse ai costruttori edilizi, nella fisionomia di quel centro.
Vorrei ricordare che in uno studio in possesso di tutti i colleghi perché ce n'é stato fatto recentemente cortese omaggio, della Provincia di Torino e specificatamente dell'Assessorato al turismo e allo sport, "Linee per un piano di sviluppo ed organizzazione e attività turistiche della provincia", studio preparato dai tecnici dell'IRES ma che se non erro si valeva anche di ricerche fatte da altri tecnici, a pag. 202 si dava indicazione, nel 1971, che l'esigenza dello sviluppo di Bardonecchia non subisse ulteriori stravolgimenti ciò perché già si consideravano esaurite tutte le opportunità di conferire a quel centro le sue caratteristiche utili di zona turistica con verde attrezzato, corrispondenti alle diversificate esigenze di un turismo il quale, proprio per le particolarità naturali della zona, ha una sua variata gamma di esplicazioni. Voglio dire che nello studio presentato dall'Assessorato al turismo della Provincia di Torino, ci si preoccupava delle particolari caratteristiche del turismo della conca di Bardonecchia, che abbraccia dalle attività sportive sciistiche alle forme di turismo che riguardano coloro (in particolare bambini e vecchi) i quali non possono dedicarsi ad attività sportive e che quindi devono usufruire di zone particolari di verde nella città e nei suoi immediati dintorni, per poter beneficiare di questo bene turistico.
Orbene, se si va a controllare che cosa è accaduto del volto di Bardonecchia, non è difficile rendersi conto di come sia stato deturpato. E anche qui, va osservato che quell'autorevole giornale torinese il quale ci riportava l'autorevole opinione del maresciallo dei carabinieri e del parroco locale, ci riferiva altresì l'opinione di un ex sindaco della città di Bardonecchia; anch'egli convinto che a Bardonecchia, dal punto di vista dei fatti connessi ai problemi edilizi, non si siano verificate assolutamente delle irregolarità.
Noi sappiamo invece che nel corso di questi anni sono accadute, proprio a livello delle responsabilità della Giunta e del Consiglio Comunale parecchi fattacci. Sappiamo, ad esempio, che quell'ex Sindaco era a capo di una Giunta caduta in relazione a vicende che riguardavano violazioni di natura edilizia. Sappiamo che vi è stata la sostituzione di un segretario comunale per vicende sempre collegate alla speculazione edilizia. Sappiamo che vi sono state le dimissioni di un membro influente dell'associazione turistica di Bardonecchia per dissenso nei confronti dell'uso o disuso che si andava facendo di questa conca. Sappiamo che per iniziativa di coraggiosi cittadini, o più precisamente di coraggiosi politici anche di parte D.C., ai quali va un riconoscimento perché sono stati e sono sottoposti a minacce in loco, pendono presso la magistratura inchieste riguardanti proprio le irregolarità edilizie verificatesi nella città di Bardonecchia.
Nella città di Bardonecchia sappiamo - e anche qui pare difficile poterlo definire un fatto casuale - che personaggi provenienti dal Mezzogiorno, venuti quassù anni fa, hanno accumulato ricchezze le quali, in ragione delle attività che essi denunciano e che sono ufficialmente riconosciute, non potrebbero essere state accumulate. Si tratta di personaggi il cui nome è venuto più volte alla ribalta della cronaca ed è stato richiamato anche in relazione a quei fatti criminosi accaduti nella Provincia di Torino ed ai quali mi richiamavo prima.
Oggi, poi, non soltanto in fenomeno della saturazione dell'abitato di Bardonecchia ha raggiunto i limiti che tutti possiamo constatare, ma prosegue e minaccia di avere ulteriori aggravi dalla prospettata apertura del traforo autostradale del Frejus. Talché noi sappiamo (ed è facilmente documentabile) che già alcune società immobiliari - e in una di queste è presente, sia pure in posizione minoritaria, la Fiat - stanno conducendo trattative per acquisti di terreni nell'ultima, residua zona verde di cui la città di Bardonecchia fruisce.
Ecco, egregi colleghi, le motivazioni di fondo che hanno mosso alcuni Consiglieri a presentare questa mozione, con la richiesta di una Commissione speciale di indagine della Regione per quanto è inerente specialmente la situazione del mercato delle braccia, con particolare riferimento a Bardonecchia. E noi ci rendiamo conto che nel momento in cui diciamo "con particolare riferimento a Bardonecchia", diamo una indicazione molto limitativa rispetto a un quadro che abbraccia largamente prima di tutto la città di Torino e poi altri settori della provincia. Ma abbiamo voluto cominciare a individuare una zona nella quale è possibile che si portino alla luce alcuni legami, alcuni punti nodali che stanno alla radice dello stesso fenomeno di organizzazione del racket delle braccia. Dobbiamo intervenire, perché è nostro dovere statutario, è nostra competenza primaria essere presenti in ogni problema che riguardi la tutela dei lavoratori. In secondo luogo dobbiamo intervenire perché è nostro dovere essere parte attiva in una situazione che, già compromessa dal punto di vista edilizio, minaccia di essere ulteriormente compromessa da altre speculazioni, e quindi di creare condizioni estremamente difficili per ci che concerne l'organizzazione del territorio ai fini dei compiti programmatori. In terzo luogo, abbiamo anche il dovere statutario di affrontare il problema della tutela delle sedi di turismo; ed è chiaro che nella misura in cui va avanti l'attuale processo, l'attuale andazzo invalso a Bardonecchia, sono compromesse le ragioni essenziali perché Bardonecchia stessa rimanga quella località turistica che in passato abbiamo conosciuto e che certamente non potremo più conoscere, ma di cui dobbiamo salvare le residue possibilità di un equo e giusto uso per i cittadini.
Se dal corso delle indagini della Commissione speciale che noi ci auguriamo il Consiglio vorrà votare, sortiranno altri elementi che esorbitano dalle competenze proprie della Regione, io credo che sarà dovere della Commissione far investire gli organi dello Stato competenti in quelle questioni che potessero emergere dalle documentazioni che ci verranno sottoposte da chi consulteremo.
Grazie ad una serie di denunce, già largamente documentate da parte dei cittadini a cui mi riferivo prima, da parte soprattutto delle organizzazioni sindacali che tennero una conferenza stampa a Bardonecchia in cui il collegio dei costruttori intervenne con sue eccezioni blandamente esposte e da cui il collegio stesso non uscì certo con un certificato onorifico, perché i sindacati furono in grado di documentare molto seriamente quali violazioni erano state apportate alle norme dell'edilizia: grazie a queste documentazioni acquisite, alla disponibilità che alcuni di noi sanno esistere di deposizioni e di materiale atto a confortare quanto io andavo dicendo, è nostro convincimento che la Commissione speciale di indagine, qualora nominata dal Consiglio, potrà non soltanto svolgere un utile lavoro per ciò che riguarda la situazione di Bardonecchia, ma assumere una serie di indicazioni che le porteranno necessariamente ad estendere la propria indagine per una correlazione diretta con altre località e della provincia di Torino e in particolare della provincia di Cuneo (Savigliano è direttamente toccata da questo problema, in rapporto con le imprese operanti a Bardonecchia ).
Ritengo infine debba esprimersi l'augurio che dall'acquisizione di queste deposizioni, di questo materiale, possano uscire ulteriori elementi atti ad aiutare le altre istanze, superiori a quella regionale, a venire a capo dei problemi che attengono ad un'organizzazione di carattere delinquenziale la quale sicuramente agisce all'interno del mercato delle braccia. Una organizzazione che ha la potenza da tutti risaputa per le manifestazioni criminose cui ha dato luogo e che è dovere dei cittadini debellare il più presto possibile.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola ai numerosi Consiglieri che l'hanno richiesta desidero fare presente al Consiglio che nella conferenza dei Presidenti di questa mattina è stato concordato di esaurire nella seduta odierna tutto l'o.d.g. Vorrei quindi rivolgere loro calda preghiera per un autolimitazione nei loro interventi. Hanno il diritto di parlare fino a venti minuti sulle mozioni, ma è evidente che se tutti parlassero venti minuti su tutte le mozioni, non potremmo mantenere l'impegno assunto stamattina.
E' iscritto a parlare il Consigliere Fonio, ne ha facoltà.



FONIO Mario

Signor Presidente, colleghi, posto che con gli artt. 4 è 5 dello Statuto alla nostra Regione sia fissato il compito di realizzare le condizioni atte a rendere effettivo il diritto al lavoro, di tutelare il diritto dei lavoratori e di difendere l'ambiente naturale per assicurare alla collettività e ai singoli condizioni che ne favoriscano lo sviluppo civile e ne salvaguardino la salute, non può che essere giudicata coerente ed opportuna la mozione che è stata presentata dalla maggioranza dei gruppi, sul grave problema del racket nell'edilizia che viene ad inserirsi per molti aspetti, nei compiti della Regione che ho appena ricordati.
E' in questa ottica ben precisa, con tutta la sensibilità per i problemi sociali e umani che è alla base di ogni nostra visione ed impostazione politica, che riteniamo giustificata e fondata la proposta di una Commissione consiliare che svolga tutte le indagini necessarie, onde cercare di mettere a nudo un problema, che è serio ed importante, in termini oggettivi e di interesse pubblico, al di là di ogni impostazione scandalistica che in qualche occasione, da parte di altri, può anche avere assunto.
Abbiamo detto molte volte che in attesa di ogni definitivo concreto potere, dobbiamo considerare l'attività della Regione soprattutto in rapporto a una visione della stessa come fatto di pressione per un nuovo assetto della società, come momento organizzativo di pressione politica.
Non c'é migliore occasione quindi, per dimostrare in concreto che in tal senso vogliamo operare, dando contemporaneamente concreta applicazione anche alle norme di cui agli artt. 19 e 20 dello Statuto. Infatti, questa dell'indagine sul racket, è certo una delle migliori occasioni per dimostrarci coerenti con lo spirito informatore dello Statuto e per dimostrare la buona volontà di utilizzare ogni strumento che in esso avevamo previsto. E stiamo parlando di un problema che oltre a parlare della tutela dei diritti dei lavoratori, delle loro condizioni di vita e di salute, coinvolge questioni di speculazione edilizia, di conservazione dell'ambiente naturale del paesaggio, di turismo, di sanità e di altro ancora, come ha ampiamente illustrato il collega Giovana.
Io aggiungerei che questo è anche il momento più opportuno per l'entrata in azione della Regione: dopo che l'eco di grosse (e qualche volta anche meritorie, Giovana), inchieste giornalistiche si è spenta, dopo che sono ormai superati il clamore e l'onda emotiva suscitati da eccezionali fatti di sangue, come la strage di Piazza Vittorio Veneto già descritta con efficaci pennellate dal collega Giovana, con l'approssimarsi della ripresa primaverile dell'attività edilizia, è bene che nessuno possa pensare che l'indignazione dell'opinione pubblica non è stata accolta, che nel silenzio tutto può tornare come prima e che pur con la presenza dell'Ente Regione in Piemonte, nulla viene tentato in ordine a uno dei più spinosi problemi che riguarda una notevole massa dei più umili lavoratori.
Questo è il punto. Non si tratta tanto di discutere solo del civile ed evoluto Piemonte nel quale può essersi insinuata una certa dose della mafia meridionale che crea tutto un sottobosco di crimini, quanto piuttosto di andare alla radice del male, per renderci conto che c'è una massa di persone che è passata da un contesto sociale prettamente contadino e che dopo estenuanti percorsi verso la ricerca di un posto di lavoro e di una vita più evoluta, finisce invece nelle mani di moderni negrieri per essere sottoposta ad uno sfruttamento che rappresenta il più anacronistico esempio di tutti i diritti conquistati dai lavoratori. Le origini di questi movimenti, carovane per le pulizie provocate dalle grandi aziende ecc., le ha già illustrate il presentatore della mozione; certo è che le condizioni di vita in cui vengono posti questi lavoratori, materialmente ospitati in locali malsani, moralmente ricattati, fino a far perdere loro il senso dei diritti di lavoratori e di cittadini, costituisce un grave atto di accusa per la nostra società, per una società che non è certo quella che noi in quest'aula abbiamo sempre detto di volere realizzare.
La mozione si fa carico particolarmente della situazione a Bardonecchia in Valle Susa che sono di particolari dimensioni e gravità quali emergono dalle denunce dei sindacati ed in rapporto all'occasione che ancora si offre in quella zona con il preventivato traforo del Frejus per un ulteriore dilagare del racket delle braccia. Questo ha caratterizzato lo sviluppo caotico del settore edilizio delle grandi aree metropolitane del nostro paese, da Roma a Milano, da Napoli a Torino e poi si è esteso alle località turistiche interessate dalle grandi vie di comunicazione. E' una grossa piaga che va sempre più estendendosi perché, senza voler fare di ogni erba un fascio, la concorrenza sui prestiti creata dalla manodopera irregolare e dall'evasione degli oneri fiscali rende sempre più difficili le resistenze anche di quelle poche imprese sane e serie. E' un problema che andrebbe forse visto anche dall'angolo visuale dell'edilizia pubblica indirettamente attraverso i prezzi sui quali ruotano oggi le aste. Del racket fino a ieri si sono occupati quasi esclusivamente i giornali, ma quasi nessuno dei tutori dell'ordine; certo è una caratteristica delle cose della mafia quella di rendersi quasi impalpabili e di difficile accertamento. Però nel caso di Bardonecchia e della Valle Susa, sia per l'indagine spinta avanti inesorabilmente da tutta un'onda di sangue versato, sia per la coraggiosa e meticolosa azione dei sindacati, esistono presupposti concreti per muovere un'indagine regionale.
Il promemoria presentato da CISL, CGIL, UIL il 13 dicembre '71 indica chiaramente il posto e l'ora dove avvengono i reclutamenti, dà persino il curriculum dei personaggi più che indiziati che hanno addentellati con il mercato delle braccia e con i più clamorosi fatti di cronaca nera.
Giustamente gli stessi sindacati mettono nella massima evidenza che dopo il 1° maggio, data della strage di Piazza Vittorio, gli organi ispettivi in provincia di Torino hanno denunciato 406 imprese ed intermediari per 7000 operai occupati e migliaia di assunzioni che rappresentavano nella maggioranza tardive ed affrettate regolarizzazioni di situazioni illegali.
Bisogna aggiungere che è stata già accertata anche la esistenza di 14 cottimisti che sfruttano numerosi operai, gran parte dei quali sprovvisti di libretti di lavoro. Non per niente il nuovo stadio più moderno e aggiornato della mafia tradizionale viene indicato in quello dell'edilizia e delle aree fabbricabili.
L'indagine della Regione ha troppi motivi per essere fatta anche in rapporto al disordine dello sviluppo economico, per evitare il quale sempre diciamo di voler concentrare i nostri sforzi, ma sarà già grande cosa se degli inermi immigrati che sembrano ogni giorno di più adagiarsi ad essere semplici oggetti in balia di leggi spietate, attraverso il nostro intervento potranno cominciare a convincersi di essere cittadini come gli altri e a guardare con diversa fiducia il loro avvenire nella terra piemontese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto, ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, signori Consiglieri, le parole del Consigliere Giovana e quelle del Consigliere Fonio mi hanno fatto riflettere sull'enormità di questo fenomeno del cottimismo che starebbe dilagando nella nostra regione. Si è parlato, con questo termine anglosassone, di uno sfruttamento di manodopera che viene dal Sud e sono state indicate cifre percentuali, nei confronti dei regolari, che veramente destano profonda impressione. Ho sentito parlare dal Consigliere Giovana di un 85% di addetti al settore dell'edilizia che sarebbero sfruttati in questa maniera.
A me pare che un tema così vasto e grave come quello enunciato o implica che in 25 anni di legislazione la Repubblica Italiana non ha fatto assolutamente nulla e ha permesso che soltanto il Consiglio Regionale del Piemonte si accorgesse e denunciasse una certa situazione, o che le cose vanno leggermente ridimensionate. E per ridimensionarle mi pare sia subito opportuno dire che ci sono gli strumenti legislativi e che quindi se il fenomeno si manifesta è non ingiusto, ma illegale perché esiste, da lungo tempo operante, una legge contro la intermediazione della manodopera, atta proprio ad evitare che alcuni sfruttino il lavoro di altri.
Se poi scendiamo nel settore dell'edilizia, può darsi che si siano verificate delle situazioni illegali, però veramente preoccupante per un cittadino normale, per un Consigliere Regionale, è l'accertare che in un paese libero e democratico si permetta che l'85% di una certa potenzialità di lavoro possa vivere in una situazione di illegalità.
Sulle cifre tutto è possibile dire, si possono fare tutti i ragionamenti che si vogliono, però io vorrei, proprio per il rispetto che mi pare sia dovuto a coloro che operano nel mondo della giustizia, a coloro a cui lo Stato domanda, nell'interesse dei cittadini o dei lavoratori, la tutela dei loro diritti, ridimensionare le cose con delle cifre. Nel 1969 l'INAIL in sede nazionale ha percepito dal settore della edilizia 40 miliardi siccome c'é un rapporto del 10% tra forze di lavoro in sede nazionale e in sede regionale, è presumibile che ci siano quattro miliardi versati dalle imprese a favore dei lavoratori impegnati nella Regione Piemonte. Se poi raffrontiamo questi con i dati che il Ministero del Bilancio ha dato circa il reddito globale del settore dell'edilizia raffrontandoli col 50% dell'incidenza di manodopera, vediamo che non ci siamo assolutamente con questo 85%. Le percentuali di gente che lavora e che non è assistita dalle forme previdenziali che la legge ha stabilito si riducono e in occasione di una conferenza indetta da un pretore di Torino da un sindacalista e da un collega non della mia componente politica si ebbe la possibilità di confutare queste cifre enormemente azzardate.
Il fenomeno del cottimismo esiste? Certo che esiste, ma esiste anche la legge per poterlo reprimere. E questa era stata la domanda fatta in occasione dell'incontro con i sindacati, incontro perché ha dato inizio ad uno scambio di idee fra la nostra componente politica e le organizzazioni riunite, si chiese se ci voleva una legislazione più energica, più pregnante, più precisa sull'intermediazione della manodopera, o se le deficienze fossero dovute all'Ispettorato del Lavoro come numero di addetti, o al tipo particolare di attività che costoro svolgono, o ad una lentezza della magistratura, o alla connivenza eventuale degli organi giudicanti e degli organi inquirenti con altre forze di lavoro, o a particolari organizzazioni che in questo modo vogliono creare le loro fortune. Per la verità non c'é stata una risposta precisa, il che vuol dire che la legge sull'intermediazione della manodopera può colpire se viene applicata a tutti i fenomeni che sono stati evidenziati oggi.
Che noi si compia un'indagine per vedere di quale gravità è il fenomeno e perché continui nonostante le leggi dello Stato lo vietino, nonostante che ci siano gli istituti per poterlo controbattere, è giusto, è una cosa che ci compete, però dobbiamo vedere l'esatta portata del fenomeno. Le organizzazioni sindacali che riscontrano queste situazioni hanno la possibilità di denunciare alla Pretura di Torino che è sollecita nell'occuparsene. Abbiamo anche visto come le cifre si sono ridimensionate: si è potuto accertare che gran parte degli irregolari erano iscritti su un libro di lavoro mentre lavoravano presso un altro datore di lavoro e si è notato anche che a costoro veniva tolto dai loro diritti in tema di previdenza, di contratto di lavoro, di limiti contrattuali. E' pacifico che ogni legge è difficile da applicare, esistono sempre delle frange che escono fuori e che costituiscono l'illegalità. Non mi pare però che sia serio affrontare il problema in un tono così scandalistico, portando cifre al di fuori di ogni realtà, facilmente confrontabili con altre mai smentite di fronte a quella tecnica di ragionamento che è l'unica consentita partendo dai dati contributivi, controllando il reddito totale del settore dell'edilizia.
Quanto poi alla situazione particolare di Bardonecchia e sul sistema di speculazione edilizia, il discorso va fatto chiaramente, una volta per tutte. Cosa intendiamo per speculazione? Intendiamo lo sfruttamento di uno strumento giuridicamente valido per attuare un certo tipo di realizzazione economica? E allora a Bardonecchia questo si sarà verificato. Oppure la speculazione è qualsiasi volta un imprenditore esercita un certo tipo di attività, che in ogni caso è speculazione perché determina un certo profitto? Perché se questo è speculazione allora si ritorna al famoso vecchio discorso che è un po' il "leit motiv" dei miei interventi, bisogna decidere se siamo da una parte o da un'altra, se siamo per un sistema economico o per un altro.
A Bardonecchia, se non vado errato e se la mia indagine è stata abbastanza precisa, esisteva un piano regolatore approvato, un piano vecchio, forse non più adeguato alla realtà (il commissario prefettizio ha incaricato in questo periodo un professionista di redigerne un altro tenendo presente la situazione attuale) la questione era stata in sede locale ed era stata uno dei motivi portati avanti dalle parti contendentesi il governo di quel comune. Ma se ci sono state delle evasioni alle norme costituenti il piano regolatore, esiste la legge, esistono i tribunali esistono i pretori, esistono i procedimenti penali; la vecchia Legge del 1942 negli artt. 41 e 42 stabilisce pene precise per gli inadempienti alle regole fondamentali stabiliti dai piani regolatori e dal regolamento edilizio. Mi pare che a questo proposito la procura della Repubblica di Torino e la pretura di Susa stanno procedendo ad un'indagine. Noi potremo portare nuovi elementi, ma non vi è carenza di strumenti per la tutela del cittadino, nell'interesse superiore della collettività.
Facciamola pure l'indagine, ma non cerchiamo di alterare i dati del problema del cottimismo che portati in questa maniera non sono assolutamente validi, il fenomeno del cottimismo da un punto di vista tecnico è possibile attraverso la forma del sub-appalto, anzi è sempre più richiesto dal nuovo tipo di organizzazione delle piccole e medie imprese che hanno bisogno di squadre di operai specializzati per un certo tipo di lavoro. E proprio per salvare le piccole e medie imprese oggi, nel settore edilizio specialmente, è opportuno ed è necessario che si formino delle imprese di lavoratori specializzati i quali siano in ordine con i contributi sociali, ma che possono supplire a certe carenze per la rapidità con cui è necessario compiere determinati lavori. L'imprenditore non pu mantenere, per un intero anno, determinati specialisti.
Quindi, sono pienamente d'accordo con quelle che potranno essere le risultanze di un'indagine, ma sono assolutamente contrario alle motivazioni che portano a queste risultanze. Come Consiglio Regionale dobbiamo concedere tutto ciò che avviene, ma non perché il fenomeno ha assunto la gravità qui denunciata, perché sarebbe pazzesco che una società civile libera e democratica, permettesse il diffondersi di un cancro di tali proporzioni; il cancro esiste, ma è molto più limitato. Gli strumenti per combatterlo esistono, noi possiamo soltanto collaborare e, ove riscontriamo lacune per volontà di uomini, o per mancanza di mezzi dobbiamo intervenire direttamente oppure sollecitare che a questo intervento si addivenga.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, desidero riprendere un passo della mozione in discussione e dell'intervento dei Consiglieri che mi hanno preceduto. La stampa, i sindacati, tutti coloro che dell'argomento si sono occupati, hanno incentrato la loro attenzione su Bardonecchia, mentre questa rappresenta soltanto l'aspetto forse più appariscente della vergognosa vicenda che in realtà si ripropone, in termini del tutto identici, in quasi tutti i centri della Valle di Susa e più precisamente in quelli in cui si è verificato uno sviluppo turistico di qualche rilievo negli ultimi dieci o quindici anni.
Il rallentato ritmo dell'edilizia nelle città più popolate, che ha potuto essere più o meno difficoltosamente fronteggiato dalle imprese migliori e più organizzate, ha indotto le imprese più compromesse, quelle più avventurose, quelle cioè meno rispettose degli obblighi verso i dipendenti, quelle meno capaci di opere qualitativamente apprezzabili quelle finanziariamente instabili e più spericolate sotto il profilo fiscale, a guardare con molto interesse a zone turistiche che presentavano bassi costi del terreno, amministrazioni comunali piuttosto permissive e possibilità quindi di lavoro a basso onere complessivo. Inoltre queste imprese si accorsero ben presto che oltre questi vantaggi, si aggiungeva la possibilità di poter vendere a cifre veramente sbalorditive. Oggi infatti a Bardonecchia, gli alloggi costano da 200.000 a 220.000 lire al mq. e ad ottime condizioni di pagamento hanno potuto vendere opere di nessun valore architettonico, tanto che i progetti sono sempre stati affidati a sotto occupati e a professionisti di piccolo cabotaggio. Opere di nessun valore costruttivo, tanto che le finizioni esterne ed interne della maggior parte dei fabbricati costruiti in queste zone turistiche, sono destinate ad essere ripristinate dopo breve tempo; opere di facile e rapida costruzione normalmente dalla primavera all'autunno le case vengono progettate approvate, costruite, vendute, consegnate e pagate.
Questa promettente e remunerativa situazione provocò il moltiplicarsi dei cantieri ed una crescente richiesta di manodopera. A questo punto comincia a comparire la mafia, cominciano a circolare nella valle le prime automobili targate Palermo. Arriva tra gli altri, un tale, un cottimista un certo Rocco Lo Presti. E' un cottimista, ma presto cresce e cresce molto. Arrestato assieme ad un suo compare, un certo Re, a Ginevra, per furto aggravato, trascorre un paio d'anni in carcere; uscito dal carcere ritorna a Bardonecchia, riprende la sua attività, continua a crescere spende, si dice, quattro milioni e mezzo per i pranzi di nozze sue e di sua sorella al Riky Hotel, il migliore di Bardonecchia, è implicato in due omicidi per cui finiscono in galera suo cognato e suo cugino; le due vittime sono un tale Baduanno, bruciato vivo a Nichelino, un altro bruciato a Salbertrand.
Il signor Lo Presti, ha oggi una posizione di tutto rispetto, pare che controlli qualcosa come venticinque cantieri, quattro come appaltatore, una dozzina attraverso l'impresa Gasparetto, gli altri come fornitore di manodopera o di materiali. Tutti, a Bardonecchia, hanno il sacrosanto terrore di pronunciare il suo home. Il Lo Presti inoltre, oggi possiede a Bardonecchia anche un negozio di abbigliamento ed una gioielleria che è stata recentemente visitata dai ladri: bottino, venti milioni. Naturalmente la gioielleria era assicurata. I ladri sono proprio i soliti ignoti? Oltre al Lo Presti, vi sono altri personaggi. Si è scritto dei fratelli Gambino quali capi di un controracket, ma pare che non sia una cosa seria.
Inoltre, nei cantieri che non sono controllati dal Lo Presti, spunta fuori con una certa assiduità, il nome di Trinchero, mediatore nella cessione dei terreni e nell'ottenimento delle licenze edilizie. Infine, uno dei bracci destri del Lo Presti, tale Romano Brino, impresario fallito, già implicato in casi di truffa, commercio di valori bollati rubati, traffico d'armi e di cui si è parlato nel caso dell'omicidio Faure la scorsa estate a Oulx.
Di fronte a questa situazione, qual'é il comportamento delle autorità? Dobbiamo riconoscere che la magistratura, la guardia di finanza, i carabinieri hanno dimostrato quanto meno della buona volontà, sono state effettuate perquisizioni nei cantieri, sono state fermate ed interrogate molte persone, ma ci si è trovati di fronte ad un muro. L'omertà è completa, anche in casi molto gravi come l'omicidio Faure non è stato possibile romperla. Quando gli inquirenti hanno avuto notizie, queste sono state sempre di terza mano per cui il lavoro per risalire alle origini è stato sfibrante e improduttivo, dato che nessuno si è mai sentito di sottoscrivere quanto confidenzialmente aveva comunicato. La guardia di finanza ha cercato di rompere l'omertà, procedendo a delle verifiche tributarie e si è trovata di fronte ad una situazione veramente strana: nessuna delle imprese implicate nel giro del Lo Presti ha la sede amministrativa nella zona. L'impresa Gasparetto è a Moncalieri, le quattro imprese di cui il Lo Presti è ufficialmente titolare hanno sede a Torino ed a Genova e questo rappresenta un'ulteriore prova dell'efficienza dell'organizzazione.
Nella mozione si parla della parte svolta dalla trimurti sindacale CGIL, CISL, UIL, la quale ha scoperto, dalla lettura dei giornali dell'esistenza di uno sfruttamento operaio nei cantieri di Bardonecchia dopo che ciò avveniva già da dieci anni. Ha fatto un comizio, a cui nessuno ha assistito, se non turisti o iscritti portati da Torino e vi ha assistito anche il Lo Presti il quale passando e ripassando con la sua Alfa Romeo contava e cercava di individuare le persone che assistevano al comizio stesso. Hanno presentato un libro bianco, consistente in una raccolta delle notizie pubblicate dai giornali sull'argomento. Poi, visto che nulla succedeva, sono spariti. Ma qual'é stato il motivo per cui, malgrado il rumore fatto, non è successo niente, tutto è caduto nel vuoto, non si sono avuti arresti o denunce ed il Lo Presti è ritornato ad essere un umile cottimista della scagliola che ha fatto strada col suo duro lavoro.
Con tutta la cautela che denunce di tal genere che coinvolgono grosse responsabilità richiedono, noi sentiamo il dovere di denunciare il comportamento quanto meno equivoco di alcuni degli amministratori locali il motivo è evidente: l'incriminazione del Lo Presti vorrebbe dire un'inchiesta sul loro operato, sulle licenze concesse, sulle deroghe al regolamento, sui passaggi di proprietà, sulla consistenza finanziaria di ciascuno di essi e questi sono altrettanti motivi di omertà.
Un appoggio indiretto poi, il Lo Presti e la sua organizzazione lo ricevono dalla popolazione locale e dalla stessa manodopera da lui impiegata. Per quanto riguarda la prima, la popolazione locale, il discorso sarebbe molto lungo, già i suoi molteplici aspetti che investono la sfiducia generalizzata nella giustizia e nell'autorità dello Stato l'abitudine ormai fatta ad un personaggio ed al suo stile di vita, la preoccupazione che il troppo rumore possa portare in termini brevi ad un rallentamento del turismo ed in termini lunghi all'arrestarsi dell'attività edilizia su cui direttamente e indirettamente tutti vivono; per quanto riguarda la seconda ragione, la solidarietà involontaria di cui il Lo Presti beneficia da parte degli stessi operai da lui occupati, c'è una domanda, facile facile, che questa gente si pone e che a me personalmente ha posto qualche giorno fa un gruppo di questi lavoratori, appartenenti al mio partito. La domanda è questa: voi vorreste che noi denunciassimo il Lo Presti e che dicessimo come dalla Calabria, dalla Sicilia, dalle Puglie siamo arrivati qui e dicessimo che lavoriamo senza libretti e che il nostro padrone non è in regola, come ci sfrutta, perché prende per un'ora del nostro lavoro il doppio di quello che dà a ciascuno di noi, dicessimo che lavoriamo senza le protezioni previste dalla legge, che facciamo 12 ore al giorno invece di otto, che lavoriamo anche alla domenica; ma le autorità lo Stato, il Governo, cosa ci offrono di meglio? A casa, a Gioiosa Jonica a Reggio, a Tropea abbiamo moglie e figli, ma non abbiamo lavoro e se l'abbiamo è come questo, con la differenza che qui guadagniamo 5/6000 lire alla giornata e lì ce ne danno 1500/2000. Tutto il lavoro che facciamo lo facciamo in questi cinque mesi che stiamo qui e con i soldi che guadagniamo dobbiamo vivere tutto l'anno, noi e le nostre famiglie. Sapete che cosa ci abbiamo guadagnato da tutto il baccano che è stato fatto? Ora lavoriamo otto ore al giorno invece di 12, non lavoriamo al sabato e alla domenica ma il Lo Presti ci dà di meno.
Colleghi, io a questi lavoratori non ho saputo cosa rispondere. L'unica risposta che sono riuscito a dare è che secondo me il Lo Presti dovrebbe essere inviato, senza troppe storie, a respirare un po' dell'aria di Linosa ed infine che avrei sostenuto anch'io, in Consiglio Regionale, la necessità che la Regione promuova, su tutto il territorio di propria competenza un'inchiesta sulla speculazione edilizia nei centri turistici. Ma veramente non ho avuto l'impressione che questa risposta soddisfacesse molto i miei interlocutori.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Conti, ne ha facoltà.



CONTI Domenico

Io vorrei esprimere l'adesione del gruppo della D.C. alla mozione e soprattutto alla costituzione della Commissione d'indagine.
Condividiamo le ragioni esposte anche da altri colleghi, ma a noi preme sottolineare alcune cose: prima di tutto non è vero che non esistono notizie tali da determinare la costituzione di questa Commissione, quando si parla di 406 imprese denunciate, con 7000 dipendenti, questo è un dato che ha tutto il suo peso; quando si parla di situazione edilizia caotica di Bardonecchia e di centri della Valle di Susa è un dato di fatto che tutti possono constatare. Quindi ci sembra che le notizie a disposizione sono più che sufficienti per determinare la costituzione di una Commissione di indagine la quale, sono anch'io d'accordo che non debba iniziare la sua attività sotto il segno di un'azione scandalistica, il che sarebbe negativo sotto molti aspetti e potrebbe sollevare delle attese che non so se possono rientrare nei compiti di questa Commissione che evidentemente non ha compiti di magistratura, esistono altri organismi ai quali competono determinati interventi. A questa Commissione il compito, semmai, di mantenere i collegamenti attivi per svolgere quell'azione di collegamento che in questo genere di cose è indispensabile.
Mi sembra anche che i dati ormai in possesso del Consiglio Regionale possano prefigurare la minaccia di vanificare completamente l'attuazione del dettato statutario della Regione Piemonte e segnatamente ciò che si riferisce alla tutela delle condizioni di lavoro, dei diritti dei lavoratori e tutto ciò che attiene alla programmazione. Quindi proprio la Regione, nello sviluppo della sua attività, di tutela e di programmazione deve necessariamente prendere contatto per fare il punto della situazione vedere a fondo quali ne sono le cause e prospettarne i rimedi affinché non venga scompaginato il disegno programmatorio degli interventi che verranno stabiliti. Mi sembra quindi più che legittima, sotto questo aspetto l'attuazione della Commissione.
Per ciò che riguarda la sua composizione faccio una proposta mia personale: a mio parere dovrebbero esserci, oltre ai rappresentati dei vari gruppi, nella proporzione che si vorrà, anche delle competenze che nascono dall'appartenere a questa o a quell'altra Commissione, quindi penso che Commissioni interessate finiscono per esserlo tutte perché il fenomeno del dissesto edilizio urbanistico, connesso con i problemi critici del lavoro le investe un po' tutte.
Per ultimo vorrei ancora sottolineare questo aspetto: occorre intervenire (anche se non è ciò che viene dichiarato all'esterno, ma è una preoccupazione che dobbiamo avere) affinché si scongiuri l'eventualità del gravissimo pericolo determinato dall'instaurarsi di un clima generalizzato di corruzione, di sfruttamento, di minaccia, di ricatto e di paura che finirebbe per coinvolgere, a tutti i livelli, gli aspetti fondamentali della vita civile ed economica.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Io mi associo alla denuncia di fatti di estrema gravità quali quelli esposti dal Consigliere Giovana, inerenti ai rapporti e alle condizioni di lavoro della manodopera del settore edile. Sono, questi fatti, una realtà forse difficilmente rilevabile da parte di chi la osserva con l'ottica di un'imprenditoria arretrata, che bada più alla rendita di speculazione che al profitto, cioè con l'ottica con la quale pareva volerla guardare il collega Consigliere Rossotto. Invece è una realtà facilmente rilevabile da parte dei lavoratori soggetti a quelle condizioni di lavoro, da parte della organizzazione dei lavoratori che difende i loro interessi. Si tratta di uno sfruttamento esercitato sulla forza-lavoro che si trova sul mercato come la più debole, quella che non ha una propria qualifica, quella di più recente immigrazione, che ha dovuto abbandonare l'attività agricola, e che immettendosi ora in una struttura industriale, non ha, come primo punto di appoggio, che il settore edilizio.
Io credo sia necessario intervenire con immediatezza. Non si tratta di formulare un giudizio di carattere morale nei confronti del settore produttivo, ma di una constatazione che nasce dalle condizioni strutturali in cui il settore sta operando, e credo che i casi limite manifestatisi a Bardonecchia chiedano un immediato intervento della Regione.
La Commissione di indagine può costituire il primo elemento di questo intervento e deve avere lo scopo, a parer nostro, di accertare gli illeciti commessi, come si sono potuti commettere, e chi li ha commessi. Nella formazione di questa Commissione di indagine deve esserci però qualcosa che abbia un significato di più lunga portata e penso debba esprimere la volontà della Regione di intervenire con atti capaci non solo di eliminare i fatti di più manifesta degenerazione, ma capaci di modificare le deficienze strutturali della base produttiva del settore, che si presenta con un basso impiego del capitale fisso, che si sostiene essenzialmente sul lavoro manuale e sullo sfruttamento della forza-lavoro, e che organicamente, è portata all'abuso dei metodi di lavoro che massicciamente consentono questo sfruttamento. Il cottimo è lo strumento naturale di questa condizione di sfruttamento. Secondo me non si tratta di fare la percentuale (più o meno giusta) della presenza di tale metodo nel settore come voleva fare il Consigliere Rossotto, sarebbero d'altra parte misurazioni molto difficili da valutare, proprio perché le degenerazioni rispetto agli impegni legislativi sociali sono fortemente mascherati dall'arretratezza del settore da non consentire un quadro della situazione reale. Credo invece che si tratti di partire prendendo atto che un sistema produttivo di questa natura (con le caratteristiche a cui facevo riferimento prima) usa largamente metodi di lavoro che le lotte dei lavoratori da tempo negli altri settori sono riusciti ad eliminare.
Il problema che pongo è di un intervento radicale che va al di là anche delle possibilità della Regione. Questa però, intervenendo con una Commissione di indagine deve farsi artefice di una azione politica capace di rivendicare le riforme è le ristrutturazioni necessarie nel settore edilizio, nonché nel campo della qualificazione professionale, della tutela dei diritti dei lavoratori, capaci di modificare sostanzialmente lo stesso mercato della forza-lavoro, di stimolare il rinnovamento del settore produttivo.
Ed ancora, anche la politica turistica è uno dei compiti della Regione: per difendere l'ambiente, per dare la possibilità di un uso del tempo libero qualificato. In questo senso una politica di piano, alla quale faceva già riferimento il Consigliere Conti, deve intanto, con carattere di immediatezza, impedire il permanere della possibilità di uno sviluppo spontaneo e speculativo quale è oggi radicato non solo nella città, ma anche nei centri di sviluppo turistico (anche in zone di notevole valore naturale). E' necessario eliminare la possibilità che strumenti di carattere urbanistico siano piegati all'uso e al servizio della speculazione, come certamente è avvenuto per il piano regolatore di Bardonecchia che ha permesso le speculazioni che ci sono state.
Noi diamo quindi la nostra adesione alla Commissione di indagine vista con l'ottica che ho detto: in una più vasta prospettiva di intervento politico e di qualificazione dell'azione della Regione nel settore produttivo edilizio.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa.
Ha facoltà di parlare, per esprimere il parere della Giunta, il Vicepresidente Cardinali.



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Non starò a leggere ai colleghi la massa di elementi raccolti dal collega Visone per quel che riguarda l'intermediazione della manodopera. E' una documentazione interessante, ma già in parte ripresa dagli interventi e che andrà nel coacervo di quelle iniziative che la Commissione si accinge a mettere in atto.
Tutti abbiamo assistito al fenomeno di cui si è parlato e che in linea di massima considero anch'io un fenomeno dei tempi grassi, probabilmente destinato a degenerare in aspetti diversi da quelli che ha. Chi opera nel settore, soprattutto chi vi ha operato nell'epoca del "boom" edilizio, sa che cosa abbia significato la presenza dei cottimisti nell'ambito delle imprese; i cottimisti arrivavano in cantiere con una vecchia "topolino" sgangherata, dopo sei mesi la cambiavano con una quasi di lusso e dopo altrettanto tempo, con altrettanta rapidità, sparivano dalla circolazione perché o falliti o costretti a ritornare a casa loro. In tutto questo si è inserita la caccia alla manodopera giunta al richiamo del "boom" edilizio per incanalarla immediatamente su questa strada; ci sono state certamente delle punte, che sussistono tuttora e che rappresentano una piaga alla quale occorre porre rimedio.
Ma direi che la cosa ha un altro aspetto per quel che riguarda la Commissione che dobbiamo varare quest'oggi, quello di colleganza con l'ordine che deve essere posto nell'ambito del rapporto che l'imprenditoria edile è chiamata a svolgere nell'attuazione dei vari programmi abitativi.
Non a caso noi partiamo, come punto di riferimento, dalla città di Bardonecchia, perché come qualcuno mette in evidenza si tratta di uno di quei centri dove c'è la ricerca della cosiddetta seconda casa e dove il campo operativo ha ancora delle vaste possibilità di apertura.
Il comune di Bardonecchia era stato uno dei primi ad essere compreso nel primo elenco dei comuni tenuti ad effettuare un piano regolatore. Quel piano regolatore fu approvato nel '68, ma è evidente che soltanto oggi si provvede ad adeguarlo agli standard della legge e a quelli del decreto dell'aprile '68. E' chiaro che c'é stata in questa attuazione la corsa a un insieme di interventi in grandissima parte speculativi, di cui molti Consiglieri hanno parlato. Io che ho avuto occasione di andare recentemente a Bardonecchia ad una conferenza indetta dai sindacati sull'argomento specifico della casa, mi sono reso conto che il fenomeno tipico della speculazione è rappresentato oggi dalla mansarda nel tipo di standard edilizia, essa rappresenta la scappatoia per aumentare almeno di un piano l'altezza stabilita dal piano regolatore.
Direi quindi che c'è necessità di ordine. L'aspetto del problema forse non ha in questo momento la massiccia pericolosità che è stata segnalata ma sussiste. Abbiamo sentito dal collega Curci parlare di organizzazione su due aspetti: quello della manodopera e quello dell'ordine da mettere in tutto, ordine al quale potremo contribuire cercando di sollecitare una legislazione diversa, al limite facendone una nostra per quel che riguarda i contratti e le gare di appalto, intervenendo almeno dove siano direttamente responsabili. Dobbiamo affrontare il problema in termini moderni e concreti.
Chiariti questi due aspetti dell'indagine conoscitiva, la Giunta si dichiara concorde che la costituzione della commissione anche nella forma in cui è proposta, vale a dire che sia espressa dal Consiglio ma che lavori in collaborazione con la Giunta. Io credo che in questo ambito si potranno integrare le rispettive competenze, al fine di avere subito gli elementi sui quali operare e fare proposte. Oggi lo vediamo in questo particolare settore geografico, ma dovrebbe essere esteso, almeno concettualmente. Io sono convinto che se noi ponessimo attenzione su molte delle situazioni esistenti in parecchi comuni della Regione, dovremmo con estrema facilità acquisire alle patrie galere parecchi amministratori, spesse volte in buona fede. Sono venuti da me alcuni sindaci (taccio naturalmente nomi e qualifica politica) a sottopormi dei casi che erano loro in parte - e lo riconoscevano - sfuggiti di mano; il consiglio che ho potuto dare loro è stato che non si può andare alla ricerca di sanatorie e quindi di raccogliere qualche indumento personale, metterlo in una valigetta e attendere pazientemente di essere acquisito alle carceri.
C'è un problema di ordine quindi e in questo spirito o in questo ambito la Giunta fa propria la proposta della mozione.



PRESIDENTE

Il testo della mozione è stato distribuito ai Consiglieri, esso contiene la proposta di costituire, in base alle norme dettate dagli artt.
19 e 20 dello Statuto della Regione, una Commissione speciale di indagine rappresentativa di tutti i gruppi consigliari.
L'art. 8 del Regolamento relativo alle Commissioni, che si riferisce alle Commissioni speciali, statuisce che "le Commissioni speciali o di inchiesta previste dall'art. 19 dello Statuto (richiamato nella mozione) sono composte e funzionano secondo le medesime modalità previste dal Regolamento per le Commissioni permanenti".
L'art. 2 comma secondo, del Regolamento delle Commissioni, relativo alla composizione delle stesse, stabilisce che "il Presidente del Consiglio, sentita la conferenza dei presidenti, determina il numero dei loro componenti e la ripartizione dei seggi per le singole forze politiche." Pregherei quindi il Consigliere Conti di concordare con il proprio gruppo, il quale è rappresentato alla conferenza, dei presidenti, le proposte che ritiene più adeguate circa il numero dei componenti la Commissione, tenendo conto della sua richiesta circa la rappresentatività della Commissione e la possibilità che colleghi che fanno parte di altre Commissioni interessate all'argomento vi siano inclusi.
Se la mozione fosse approvata dal Consiglio, alla prima riunione della conferenza dei presidenti io porterei l'argomento della composizione della Commissione in modo da stabilire il numero; i vari gruppi mi comunicheranno, prima della seduta successiva del Consiglio, i nomi dei loro rappresentanti, al fine di poterne annunciare la composizione alla prima seduta del Consiglio dopo questa e consentire in tal modo alla Commissione medesima di insediarsi immediatamente eleggendo i suoi organi e stabilendo il programma dei propri lavori.
Se non vi sono richieste di parola per dichiarazioni di voto o per osservazioni, porrei in votazione il documento. Non ve ne sono, quindi pongo in votazione la mozione presentata dai Consiglieri Giovana ed altri relativa alla situazione edilizia e contenente la proposta di formare una Commissione speciale di indagine. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano. E' approvata all'unanimità.


Argomento:

Libertà di stampa


PRESIDENTE

Il punto 2) lettera b) si riferisce alla libertà di stampa, a proposito della quale è stata presentata una mozione a firma dei Consiglieri Sanlorenzo, Giovana e Minucci.
Ha facoltà di illustrarla il Consigliere Giovana.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la ragione contingente che ha spinto i colleghi Sanlorenzo, Minucci ed il sottoscritto a presentare questa mozione sulla libertà di stampa, come è detto nel testo della mozione stessa, prende le mosse dalla particolare situazione venutasi a creare in un quotidiano torinese di lunga tradizione, la "Gazzetta del Popolo", di cui è stata annunciata da parecchio tempo la possibile chiusura, date le sue difficoltà di carattere economico.
E' evidente che nel proporre al Consiglio di affrontare la situazione del quotidiano torinese, abbiamo in primo luogo presente l'esigenza di salvaguardare il posto di lavoro per circa 300 dipendenti adibiti ai vari servizi del quotidiano stesso. In secondo luogo, senza che ci sia un ordine di priorità nelle scelte che sottoponiamo al Consiglio, è nostra preoccupazione richiamare l'attenzione di questo consesso sul fatto che la chiusura della "Gazzetta del Popolo" lascerebbe la Regione Piemonte fornita di una sola voce di informazione quotidiana.
Noi ci siamo fatti carico, proprio come Consiglieri della opposizione di sinistra, rispetto ad un giornale che non ha mai dimostrato e non dimostra indulgenza nei confronti delle idee e delle proposte che noi portiamo avanti secondo le linee delle nostre parti politiche, ci siamo fatti carico dicevo, della situazione di questo giornale in ragione di quello che riteniamo un problema fondamentale, cioè l'esistenza di una reale e concreta libertà di stampa come momento essenziale della formazione, dell'informazione, della dialettica, del dibattito, del confronto politico nella vita culturale e democratica del Paese.
Noi pensiamo, nonostante che così spesso si accusino i partiti della sinistra marxista di essere contrari all'espressione di una pluralità di manifestazioni della stampa quotidiana, che la esistenza di voci discordi che si confrontano nell'ambito della produzione pubblicistica, sia elemento fondamentale non soltanto per il consolidamento delle libertà democratiche ma per lo sviluppo dell'educazione politica del Paese, per la maturazione politica della coscienza dei cittadini. Ecco perché, nel momento in cui affrontiamo il problema della sopravvivenza di questa voce, a noi avversa dal punto di vista politico, dal quadro della realtà torinese e piemontese siamo naturalmente portati a risalire al tema più ampio della liberta di stampa, così come del resto è stato fatto, responsabilmente, dalle organizzazioni sindacali e da quelle di categoria dei lavoratori del settore della stampa quotidiana e periodica.
Noi riteniamo che il problema sia fondamentale perché se nella Regione vi fosse la presenza di una sola voce, un carattere monocorde dell'informazione quotidiana, avremmo perduto tutti quanti una grossa battaglia di libertà. Dal punto di vista generale, nel 1861 (spero di non spargere il panico tra i colleghi presenti se mi permetto di fare un richiamo al lontano 1861, assicurandoli che non citerò tutte le vicende successive fino ai giorni nostri della stampa italiana) l'Italia aveva il 74,7% di analfabeti su 100 abitanti e registrava, fuori dalla tiratura dei periodici culturali e di divulgazione, e fu poi così per tutto il decennio post-unitario, una media di 400/500.000 copie di diffusione di giornali. Se andiamo al 1875, secondo le rilevazioni fatte da un serio storico che ha pubblicato recentemente un notevole volume sulla materia, il Castronovo vediamo che esisteva in Italia un giornale periodico o quotidiano ogni 24.075 abitanti. Vale a dire venivamo, nella graduatoria della diffusione dei quotidiani o periodici in campo europeo, subito dopo la Francia e il Belgio. Nel 1939, le veline del Minculpop tradotto in termini di stampa che si chiamavano giornali, erano 66 per ciò che concerneva la traduzione quotidiana, con una diffusione di 4.600.000 copie. Nel 1946, l'Italia aveva 136 quotidiani, nel 1971 sono ancora presenti 78 testate. Nel frattempo, è quasi ovvio che richiami alla memoria dei colleghi il divario di crescita che vi è stato nella popolazione: siamo passati da poco più di 40 milioni di abitanti degli anni '30 ai 55 milioni attuali. Se si fa un rapporto tra la situazione esistente nel decennio post-unitario e quella attuale si vede come si sia avuto un costante calo delle possibilità di informazione quotidiana. Oggi siamo ad una vendita complessiva di quotidiani per poco più di 7.000.000 di copie. L'indice di diffusione è di 13,2 copie ogni 100 abitanti ed èe la più bassa d'Europa, assieme a quelli della Spagna, del Portogallo, della Turchia e dell'Albania.
Da che cosa deriva questo progressivo decremento della presenza di stampa quotidiana, e quindi dell'informazione, della formazione di opinioni nell'Italia? Deriva, a nostro avviso, dal fatto che non è mai esistita un'effettiva libertà di stampa. Ora meno che mai perché quei centri di potere economico i quali hanno sempre mantenuto nelle loro mani il controllo delle grandi fonti di informazione, tendono a concentrare ogni giorno di più questa egemonia sull'opinione pubblica, e quindi a concentrare le testate a far morire tutto quanto non gli interessa o li disturba nel campo dell'editoria, soprattutto quotidiana.
Attraverso quale sistema - e qui entra in gioco una grave responsabilità della classe dirigente politica italiana nel corso di questi anni - si giunge a determinare la morte di tutta una serie di testate che nella diversità delle loro opinioni politiche avevano pure una tradizione e hanno certamente sempre avuto una funzione nel quadro del dibattito politico e della generale formazione del Paese? Noi crediamo, in primo luogo, che il punto centrale attraverso cui si opera per uccidere una serie infinita di giornali, sia il modo in cui avviene la distribuzione della pubblicità. Abbiamo dei dati (non sono ufficiali, ma non hanno trovato finora una confutazione attendibile) attraverso i quali apprendiamo che la spesa pubblicitaria complessiva è stata calcolata in 240 miliardi per il '70 e in poco meno per il 1971. Su questa cifra c'è intanto - e questo è un aspetto rilevantissimo - il drenaggio imponente effettuato dalla televisione che si aggira attorno ai 70 miliardi. I settimanali, che tirano complessivamente circa 15 milioni di copie alla settimana, (la tiratura più alta di tutti i paesi europei) rastrellano un'altra parte estremamente ingente della disponibilità pubblicitaria. La distribuzione di quanto rimane fuori dal rastrellamento operato dalla televisione e da quello operato dai settimanali a grande tiratura (i rotocalchi, i quali hanno sempre un bassissimo livello culturale e direi-anche un poco attendibile livello informativo) è sequestrato da quei giornali che per la loro dipendenza da centri di potere economico privato e quindi per l'influenza che i loro legami esercitano sulla classe dirigente politica, sono in grado di ottenere un'assegnazione privilegiata di inserzioni pubblicitarie.
Infatti, quando è venuto di fronte alla opinione pubblica, per merito in primo luogo dei lavoratori dei giornali stessi, il problema della libertà di stampa da concepirsi non solo come salvaguardia della diversificazione e della molteplicità delle testate ma come un nuovo ruolo dei lavoratori dei quotidiani e dei periodici nelle decisioni da prendere sull'impostazione e sulla conduzione dei fogli, abbiamo sentito alcune voci scandalizzate di grandi quotidiani, notoriamente fruenti di quei privilegi a cui accennavo prima, dichiarare che la libertà di stampa è di chi fa il giornale migliore in un regime (dicono loro) di libera concorrenza, di libera scelta da parte dei cittadini. Questo tipo di giornale ha una maggiore vendita, acquisisce un maggiore gettito pubblicitario e pertanto ha una sensibilità, un diritto di vita che per altri non esiste.
La risposta a questo modo di porre il problema non vorrei darla, con parole mie; desidero attingerla ai concetti espressi da un giornalista su l'autorevole rivista D.C. "Politica" nel suo numero del 14.11.71. Il collega (mi permetto chiamarlo collega, essendo ancora io iscritto all'albo dei giornalisti) Renzo Battaglia, rilevando il carattere ambiguo, equivoco mistificatorio del tipo di tesi portate avanti dai giornali privilegiati che si erano fatti portavoce di questa supposta facoltà della libera concorrenza, dice che bisogna premettere al riguardo di questa loro sollevazione, come alla base di tale stupore che ha colto l'opinione pubblica in tanto frastuono (cioè il frastuono sollevato da giornali tipo "La Stampa", il "Il Resto del Carlino", il "Corriere della Sera", il " Messaggero") ci sia di fatto equivoco fondamentale. L'opinione pubblica cioè, nella sua maggioranza, sinceramente ritiene che in Italia la libertà di stampa effettivamente esista, che esista possibilità di competizione ideologica e politica nel settore delle informazioni e che, come è giusto in questa competizione, trionfino i migliori, quelli che offrono al consumo il prodotto appetibile al maggior numero di palati. E' dunque ai maestri della standardizzazione dei palati che bisogna rivolgere l'attenzione e verificare se hanno le carte in regola a giustificazione del loro successo.
Ebbene, dice il collega Battaglia, da un esame obiettivo le carte in regola non le hanno. Proprio adesso, il clamore da essi sollevato sulle proposte avanzate dai giornalisti che chiedono una ridistribuzione delle carte su più equi criteri, è il più chiaro sintomo della precaria difendibilità di un tipo di gioco da essi imposto con l'acquiescenza tacita o brutalmente espressa di uomini politici di governo, Ministro Preti, come sempre, in prima linea. Anche il più ingenuo dei lettori sa che i giornali, a parte ogni altra differenziazione si dividono in poveri e ricchi, giornali che hanno grandi mezzi a disposizione, giornali che vivono di briciole. I grandi mezzi non piovono dal cielo, non arrivano attraverso le vie misteriose del Signore, hanno diretta rispondenza in persone fisiche, in gruppi di persone comunemente detti proprietari o padroni: proprietari dei giornali, anche proprietari dei giornali, ma soprattutto proprietari di industrie che con la stampa non hanno niente da spartire, tessili e cotonieri, fabbricanti di automobili, petrolieri, bancari che proprio attraverso la ricchezza dei mezzi a disposizione possono imporre sul mercato anche il prodotto giornalistico portandolo al massimo della diffusione, con l'impiego di una mastodontica organizzazione amministrativa redazionale distributiva, diretta ad invadere ogni spazio e stroncare ogni concorrenza.
Mi sono permesso di fare questa lunga citazione dell'articolo di Battaglia perché ritrovo, ripeto, nelle motivazioni di un collega o di un giornale che non appartengono al mio campo politico, motivazioni che credo dovrebbero essere da tutti quanti acquisiti per la loro giustezza e la loro pertinenza, perché focalizzano il problema della libertà di stampa, non già come un'astratta possibilità competitiva nella quale i migliori vincono, ma come un problema che ha precise radici nella realtà della situazione strutturale del Paese e delle scelte che la classe politica ha fatto in ordine agli interni dei gruppi di potere egemoni sul piano economico finanziario e produttivo.
E' per queste ragioni che io credo il Consiglio regionale debba farsi carico (immagino ogni collega e ogni parte politica, fedele a principi di libertà, non possano non farsene carico) dell'impegno di un intervento affinché la voce del quotidiano "La Gazzetta del Popolo" non venga spenta affinché non venga a mancare il lavoro a 300 lavoratori e nel contempo ci si ponga di fronte al problema della libertà di stampa avendo presente che il quadro al quale dobbiamo rivolgersi è costituito dai segni che il collega Battaglia così perspicuamente nel suo articolo illustrava.
Per tali motivi noi crediamo il Consiglio regionale piemontese, se vuole essere fedele e conseguente allo spirito e alla lettera di norme che ha inserito nel suo Statuto, non possa non accogliere la sollecitazione venutagli dal comitato di coordinamento tra i sindacati provinciali della CGIL, CISL e UIL e dall'Associazione Stampa Subalpina per la difesa della libertà di stampa in Piemonte e per un intervento affinché in sede legislativa si dia attuazione ad una legge la quale consenta di garantire attraverso un diverso meccanismo di distribuzione della pubblicità attraverso provvedimenti all'uopo assunti, la sopravvivenza dei giornali esistenti e possibilmente la nascita e la vita di altri che vorrebbero esistere. Credo che in questo senso noi abbiamo il dovere, come Consiglieri di una Regione la quale ha così tanto dedicato nella parte introduttiva del suo Statuto alle affermazioni di vincolo ai problemi della libertà, non soltanto di esprimere una generica solidarietà ai lavoratori della "Gazzetta del Popolo" e degli altri quotidiani, ma di intervenire per quanto possibile affinché si giunga ad una soluzione positiva dell'intera questione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Conti, ne ha facoltà.



CONTI Domenico

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la drammatica situazione della "Gazzetta del Popolo", la proposta recante provvidenze di legge per la stampa, grazie all'azione vigorosa delle organizzazioni sindacali unitamente all'Associazione Stampa Subalpina, ci hanno proposto il tema della difesa della "Gazzetta del Popolo" e della tutela della libertà di stampa e d'informazione.
Per quello che richiede la tutela della libertà di stampa e d'informazione vorrei anch'io sottolineare qualche questione di principio.
Intanto l'informazione è estremamente importante perché costituisce il quadro di riferimento per le scelte fondamentali di vita, per le scelte politiche, economiche, professionali, residenziali e così via. Inoltre ancora più importante, l'informazione - è già stato accennato - va veramente concepita come l'inizio della formazione, cioè come principio di modo di essere, quindi attinge alle profondità stesse dell'individuo e delle sue facoltà di consapevolezza, di valutazione, di determinazione rispetto a sé stesso, rispetto alla vita in genere. Di qui deriva la necessità del conseguimento di un sistema che garantisca un'informazione obiettiva - e va da sé - completa, tempestiva, efficace, cioè che svolga effettivamente il suo ruolo.
Naturalmente, per conseguire un sistema informativo improntato a questi principi, è necessario realizzare il pluralismo dell'informazione non soltanto per ragioni dialettiche, di confronto fra posizioni contrapposte affinché chi legge possa già fare la sua scelta, ma anche e prima di tutto per una presa interpretativa della realtà. Anche se non ci sono intenzioni di manipolazione riguardo al tipo di informazione che si fornisce, è evidente che ogni informazione risente del limite, del punto di vista che si è assunto, per quanto obiettivo voglia essere e non è possibile esaurire una completezza d'informazione se le fonti della stessa sono poche, è necessario quindi il pluralismo di queste fonti.
In questi giorni, leggendo un libro sui mezzi di comunicazione sociale o dei mass media, ho visto riportati alcuni pareri, anche stranieri, circa l'efficacia del sistema informativo soprattutto dovuto ai quotidiani; per esempio è riportato un giudizio di Peter Nichols del Times del 6.10.1968 il quale dice che in Italia non viene concesso di leggere i fatti se non sono già stati spiegati prima, di conseguenza le opinioni spiccano, spesso, più delle notizie ed entrambe sono espresse più con colore e vivacità che con rigorosa esattezza. Il medesimo libro riporta un parere (che tra l'altro viene da sorgente D.C.), di Guido Gonella, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti il quale, giudicando la situazione dell'editoria giornalistica italiana, afferma che i giornali o sono imprese industriali che curano altre produzioni, o sono organi di partito, o sono gestioni di enti pubblici. Quindi, se si prescinde da poche aziende che hanno lunga vita e tradizioni di indipendenza, l'editoria giornalistica è in parte strumentalizzata a fini politici ed economici che non sono sempre i più idonei a garantire la libertà del giornalista e la sanità dei bilanci aziendali. Comunque sono alcune citazioni tanto per confermare - se ce ne fosse il bisogno - la necessità di garantire un sistema pluralistico d'informazione.
Si tratta quindi di rimuovere ancora le strutture che oggi impediscono una omogenea diffusione della stampa sul territorio e fra i gruppi sociali così come affermato dal documento preliminare della programmazione economica.
Io ritengo che anche la Regione debba intervenire, essendo l'informazione un elemento fondamentale per la vita della comunità regionale e per l'attività stessa di programmazione e di pianificazione.
Mi permetto quindi, in linea ipotetica, di proporre alla azione del Consiglio e della Giunta, delle iniziative che ritengo utili. Per esempio bisognerebbe considerare l'informazione in genere e la stampa in particolare, nel quadro della programmazione regionale. Finora non s'è parlato, se non a livello di commissione, del carattere fondamentale che l'informazione ha, se ne deve parlare invece sia per l'attività di programmazione, sia per l'attività legislativa e amministrativa della Regione stessa e anche, al suo interno, per il funzionamento burocratico ed il collegamento con tutti gli altri Enti locali. Bisogna quindi considerare l'informazione in genere non come capitoletto a sé, ma nel quadro di riferimento della programmazione regionale.
Occorrerebbe stabilire anche la linea d'azione da far valere presso il Governo ed il Parlamento a proposito della proposta di legge presentata dal Governo, e denominata "provvidenze per la stampa" (sulla quale poi ritornerò).
Ancora: studiare una gradualità di iniziative concrete per la promozione di nuove attività editoriali, intese a tutelare la libertà di stampa, d'informazione e un'omogenea ed efficace distribuzione di quest'ultima.
Infine, bisognerebbe produrre degli interventi specifici per risolvere le minacce incombenti sulla "Gazzetta del Popolo". Per quel che riguarda le modifiche relative alla proposta di legge che ho menzionato, dovrei fare un'osservazione e dare delle indicazioni. Innanzi tutto, riferendomi all'art. 1 della legge, lo stanziamento annuale previsto in sei miliardi è assolutamente inadeguato. Da stime fatte anche dalle forze sindacali e dagli stessi giornalisti, questo contributo dovrebbe invece aggiungersi sui 20/25 miliardi. Occorrerebbe modificare il meccanismo di distribuzione che attualmente, così come prevede la legge, è di quattro miliardi per la fiscalizzazione degli oneri sociali e di due miliardi per le spese postali telefoniche, ecc; questo per consentire la Costituzione di nuovi giornali ammettendoli alla ripartizione degli stanziamenti; naturalmente a certe condizioni, quale potrebbe essere per esempio: cinque giornalisti che siano sul mercato da almeno un anno.
Occorrerebbe ancora, sempre per quel che riguarda la riforma del meccanismo di distribuzione, che il plafon fosse portato a 20/22 miliardi e così ripartito; la metà carta gratuita a tutti i quotidiani fino a sei pagine e fino a un massimo di 200.000 copie giornaliere, il restante potrebbe essere suddiviso per metà, in parti uguali fra tutti i quotidiani e per l'altra metà in proporzione da stabilire se diretta o inversa (sembrerebbe più logico adottare la posizione inversa) rispetto al numero dei giornalisti professionisti indicato. Questa potrebbe essere una proposta, nel tentativo di migliorare la legge.
Vi sono poi altri punti sui quali non mi soffermo, come ad esempio gli artt. 3, 9, 10, 14, 16, 17, 18 che offrirebbero materia di proposte da farsi al Governo, al Parlamento per la modifica della legge. Comunque occorrerebbe rivedere il meccanismo pubblicitario (visto che nel nostro sistema di pubblicità e informazione sono strettamente correlate) per esempio per quanto riguarda la pubblicità delle aziende di Stato e degli enti pubblici (c'é l'art. 7 della legge che ne parla); per la costituzione di un fondo nazionale e per la redistribuzione di quanto si dovrà ricavare da un prelievo o versamento sulla pubblicità (redistribuzione soprattutto a favore delle piccole e medie editorie). Infine si potrebbero prevedere anche delle agevolazioni creditizie.
Come Regione, credo che si debba affrontare il problema (come del resto è indicato nel documento preliminare per la programmazione) dell'eventualità' della costituzione di un centro tecnico regionale di stampa che favorisca il sorgere di nuove iniziative. Per esempio il primo avvio potrebbe essere preso, nella direzione della costituzione di questo centro, con dei collegamenti con l'Ilte, vedendo e determinando quante possibilità e disponibilità vi sarebbero. Questo darebbe modo certamente al sorgere di nuove iniziative, di cooperative di giornalisti che sarebbero facilitati nell'uso di un mezzo-tecnico predisposto dalla Regione o comunque da un ente predisposto dalla Regione, da studiarsi.
Per il risanamento della "Gazzetta del Popolo" credo che siamo impegnati, se non vogliamo fare soltanto delle parole per quel che riguarda la libertà di stampa e d'informazione, ad agire. E' il primo punto su cui si potrà constatare la nostra effettiva buona volontà a camminare in questa direzione. Il risanamento della "Gazzetta del Popolo" ci condurrebbe ad impedire la concentrazione delle testate e a difendere il livello di occupazione. Ci sono, se ben ricordo, 300 dipendenti con varie qualifiche personali estremamente preziose perché poi, tra l'altro, le scuole di formazione per il giornalismo sono assai scarse e qualora vi fosse la concentrazione delle testate avremmo disoccupazione e spreco di operatori di persone qualificate per settori di estrema importanza e soprattutto per lo sviluppo dell'avvenire. Non solo, ma la difesa della "Gazzetta del Popolo" stabilirebbe un primo punto fermo di affermazione di volontà di agire nel senso della tutela della libertà di stampa e dell'informazione da cui si potrebbe partire per concorrere alla soluzione dei problemi.
Per quel che riguarda il risanamento della "Gazzetta del Popolo" anche qui faccio delle ipotesi, presento delle indicazioni da discutersi, (mi mancano gli elementi) idee da sottoporre all'attenzione del Consiglio. Si potrebbe sollecitare l'intervento pubblicitario particolare della Sipra affinché la "Gazzetta del Popolo" rientri nella catena dei giornali che sono direttamente finanziati da quella società. Tra l'altro questa operazione è già stata fatta; mi pare che "Il Mattino" di Napoli goda di contributi sui tre miliardi all'anno per centomila copie, mentre la "Gazzetta del Popolo", che stampa quotidianamente centomila copie, riceve dalla pubblicità soltanto 700 milioni. Oppure si potrebbe sollecitare l'intervento diretto delle partecipazioni statali, così come è avvenuto, se non vado errato, per "Il Giorno" di Milano.
Sono proposte, se non vengono accettate non è che io mi adonti, per vorrei vedere qualche altra soluzione al posto, per salvare la "Gazzetta del Popolo".
Concludo affermando che in ogni caso non si tratta di agire contro certe fonti di informazione per favorirne altre esistenti o possibili, guai a noi se concepissimo così il tema, qui c'é bisogno di sviluppo, non di contesa; né si tratta di compromettere la qualità dell'informazione a vantaggio della quantità (mi pare di avere portato un modesto contributo a favore del pluralismo delle fonti di informazione) si tratta invece di assicurare un sistema che contribuisce effettivamente alla libertà di stampa e alla informazione e ad una sua giusta ed omogenea distribuzione (questo è un altro problema su cui non mi soffermo) affinché lo sviluppo dell'informazione sia ad un tempo conduzione, promozione, conseguenza di uno sviluppo umano e civile esteso a tutti i cittadini e ai gruppi che attraverso questi mezzi di informazione crescono e si esprimono.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, se ci fosse tempo per una trattazione discorsiva di questo tema, visto anche che ci troviamo fra pochi intimi, vorrei seguire l'esempio di Giovana, e partire da citazioni storiche potrei risalire alla fine del '700, il periodo delle grandi rivoluzioni, però non cercherei le citazioni più adatte nella Francia di Robespierre, come suggerisce il collega Bianchi, quanto piuttosto nell'America dei pionieri,quella descritta da Tocqueville che si addentravano nell'interno del paese avendo come tutto bagaglio una scure una bibbia e un giornale.



GIOVANA Mario

E le pistole!



ZANONE Valerio

Questo Tocqueville non lo dice, aveva fiducia nella democrazia e quindi non prevedeva l'uso delle pistole, ma solo del giornale.
La citazione che si potrebbe richiamare sarebbe allora quella assai nota di Jefferson che diceva "qualora stesse a me decidere se dovessimo avere un governo senza giornali o dei giornali senza il Governo, non esiterei un momento a preferire questa ultima cosa".



BIANCHI Adriano

Ci stiamo arrivando!



ZANONE Valerio

Ci stiamo arrivando, è vero.



GIOVANA Mario

Non abbiamo più il Governo e abbiamo pochi giornali.



ZANONE Valerio

Certo il giornale è un mezzo indispensabile di informazione; è il più antico e, tutto sommato, rimane ancora il più libero non perché nella stampa ci sia un'effettiva garanzia di obiettività, (credo che nessun giornale sia veramente obiettivo) ma perché c'è una pluralità di fonti.
Quindi mi sembra corretto ed abbastanza ovvio connettere il problema della libertà di stampa al pluralismo delle fonti; ciò che garantisce la libertà di stampa non è l'obiettività dei giornali che non è mai esistita, ma è il pluralismo delle fonti di informazione. Da questo punto di vista la situazione - come è stato ricordato dal collega Giovana - è preoccupante perché in Italia (ma non solo in Italia, il fenomeno è molto più generale) si sta producendo il fenomeno della concentrazione delle testate che porta alla sparizione di tutte le iniziative editoriali più deboli. Noi abbiamo oggi meno della metà dei quotidiani che si stampavano nel '45, la situazione della Regione Piemontese è particolarmente grave (credo che allora uscissero a Torino una dozzina di quotidiani di cui oggi ne sopravvivono quattro, di cui uno sportivo e un altro che è l'edizione serale di un quotidiano del mattino) e abbiamo anche una scarsa diffusione un indice fra i più bassi d'Europa.
Non mi soffermerò su questo, sia per la brevità dei nostri lavori, sia perché sulla crisi della editoria giornalistica esiste tutta un'editoria giornalistica. Il collega Giovana forse si scandalizzerà se gli ricordo che un importante contributo a questa letteratura è stato per esempio finanziato qualche anno fa dalla Fondazione Agnelli, la quale ha proprio dedicato un ampio volume di inchiesta alla crisi delle testate.



GIOVANA Mario

E' stato il collega Del Boca a fare quel servizio.



ZANONE Valerio

E' stato il collega Del Boca. Ora, se noi ammettiamo che l'informazione è in qualche modo un servizio pubblico, come si è già detto in quest'aula quando si è parlato della riforma della Radio e della Televisione, dobbiamo ammettere che c'é un interesse pubblico, e quindi dobbiamo ammettere la legittimità di agevolazioni pubbliche, purché si propongano il fine di promuovere la libertà giornalistica e non quella di controllarla, rischio da tenere sempre in debito conto.
Condivido le critiche che il collega Conti ha fatto al recente disegno di Legge della presidenza del Consiglio, anche se confesso di non conoscerne il testo perché le bozze sono più d'una e credo di non avere ricevuto l'ultima edizione. Mi pare in sostanza però, che se le cifre sono quelle che si prevedevano, si tratta di un ventaglio di interventi a pioggia, molto ridotti, che ha un onere complessivo di qualche miliardo e che probabilmente, ridistribuito largamente, farebbe comodo a tutti i giornali, ma non salverebbe nessuno di quelli che oggi sono in pericolo.
E' vero ciò che diceva Giovana, c'é un fenomeno particolare in Italia cioè alla crisi dell'editoria in Italia fa riscontro invece una forte diffusione dei periodici. Intanto bisogna tenere presente che i periodici sono preferiti dagli inserzionisti, questo lo ricordava Giovana nei dati statistici che ci ha letto, anche per ragioni di carattere economico e tecnico; per esempio per i rotocalchi è possibile fare una stima del lettore medio, cosa che per il quotidiano è molto più difficile e quindi tutta una certa classe di inserzionisti ha interesse a dirigersi alle inserzioni dei periodici e non a quelle dei quotidiani. Poi i periodici hanno la caratteristica che nessun giornale in Italia ha, cioè hanno una diffusione nazionale. Questo spiega la particolare fortuna di certi periodici dal punto di vista della pubblicità: resta da spiegare la fortuna dal punto di vista dei lettori. E qui non sarei d'accordo con la tesi adombrata da Giovana e cioè questa fortuna dipenda dal fatto che i rotocalchi, a differenza dei quotidiani, dedicano maggiore spazio ai divorzi dei cantanti, ai matrimoni delle principesse, a fatti di cronaca divulgativa; c'è anche da tenere conto della struttura economica di queste imprese. Nel campo dell'editoria periodica c'é quello che non c' nell'editoria quotidiana, cioè ci sono i veri imprenditori i quali....



GIOVANA Mario

Per me era a monte.



ZANONE Valerio

"A monte", benissimo. Ora "a monte" ci sono questi imprenditori che fanno della loro impresa editoriale la ragione sostanziale del loro operare economico, mentre gli editori di quotidiani sono in gran parte degli editori di secondo grado, che hanno il loro interesse principale non nel settore della stampa ma in altre attività economiche o extraeconomiche perché vi è oggi, fra quei 74/75 giornali che sopravvivono nel paese, un discreto numero di testate che sono proprietà di enti pubblici, di gruppi confessionali e di partiti politici. Fra l'altro si tocca qui un punto della nostra Costituzione, uno dei tanti che è rimasto inattuato; non si è mai data norma al principio costituzionale che attribuisce al legislatore la facoltà di stabilire che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. E credo che nel documento finale, se ve ne sarà uno votato da questo Consiglio, sarebbe opportuno mettere un richiamo all'attuazione di questo principio costituzionale: vi è una facoltà (non è un obbligo) lasciata al legislatore perché siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
D'altra parte il problema di cui stiamo discutendo cioè la "Gazzetta del Popolo", ha chiare implicazioni con questo tema di attuazione costituzionale.
Ora, per risanare l'editoria dei giornali, quale può essere la ricetta? Non credo che la troveremo qui in questa sede, certo bisognerebbe risalire a ciò che diceva un grande giornalista italiano, Luigi Einaudi: "I giornali devono fondare la loro fortuna sul servizio che rendono ai lettori e il servizio che devono rendere al pubblico è quello delle notizie vere, degli avvisi utili e delle discussioni indipendenti".



VIGLIONE Aldo

Cose che sapevamo anche noi!



ZANONE Valerio

Non ne dubito. Ho citato la frase di Luigi Einaudi non per fare sfoggio di erudizione, cosa che farebbe torto al collega Viglione e agli altri colleghi del Consiglio, ma perché il problema degli "avvisi utili" è toccato in una mozione tra quelle qui presentate: il problema della pubblicità e di una politica che indirizzi, controlli e determini la distribuzione delle inserzioni pubblicitarie secondo sistemi che, se vogliono avere una certa efficacia, devono essere più o meno quelli dell'assegnazione forzosa degli spazi destinati alle inserzioni, secondo una specie di concezione mutualistica per cui i giornali forti verrebbero di fatto a sorreggere i bilanci dei giornali deboli.
Questa tesi, che ha avuto molta notorietà per merito del Ministro del Lavoro qualche mese fa, è molto pericolosa e non mi sento di condividerla perché in questo modo si toglierebbe un richiamo alla pubblicità sulla stampa e si toglierebbe ai giornali un incentivo per cercare di essere migliori e di ottenere quindi un mercato di pubblicità effettivo e non sorretto da interventi di qualche ennesimo ente statale. Naturalmente dal punto di vista economico la cosa può anche essere di secondario interesse (io leggerei volentieri un giornale dove non ci fosse nessuna inserzione non sarebbe un grande sacrificio), ma bisogna tener conto del collegamento einaudiano, cioè che se mancano gli avvisi utili manca anche la fonte per le discussioni indipendenti. Questo è un rischio che credo vada tenuto in considerazione.
Quanto alla questione della "Gazzetta" concediamoci anche qui una citazione. Aveva ragione Silone quando diceva "ogni volta che muore un giornale è una parte della nostra libertà che muore". Però quello della "Gazzetta" è un problema tipico. Non possiamo nasconderci una ovvia verità: non è soltanto un problema di pluralismo dell'informazione, ma è anche un problema connesso al finanziamento dei partiti politici, vista la proprietà del giornale. Quindi la questione è di vedere se noi come Regione vogliamo per esempio sbrigarci della cosa reclamando per la "Gazzetta" ciò che è stato fatto per altre testate di proprietà politica e cioè l'assegnazione di un contratto di favore da parte della Sipra, il che a mio avviso, come ho gia avuto occasione di dire quando si è discusso della riforma radiotelevisiva, è un grosso esempio di malcostume nazionale.
Cosa può fare la Regione? Dovremmo tenere presente la concretezza del pluralismo. Se pensiamo che il pluralismo debba essere quello fra i giornali di livello nazionale, questo pluralismo può essere garantito attraverso il miglioramento della distribuzione dei giornali, i giornali attualmente non hanno nessun interesse economico a diffondersi al di fuori della Regione in cui si stampano; ma certo è che una competitività rispetto al quotidiano maggiore che si stampa a Torino, dal punto di vista dei quotidiani a livello nazionale può essere perseguito soltanto attraverso una più ampia diffusione di altri giornali di livello nazionale. Il problema che forse più adeguatamente la Regione potrebbe affrontare è quello di promuovere una editoria, anche quotidiana, di carattere regionale. Questa è una vera mancanza dell'editoria giornalistica piemontese, noi non abbiamo - mentre vi è in Lombardia, in Emilia, in altre Regioni - una rete diffusa di quotidiani provinciali e regionali per i quali forse c'é anche un grosso spazio economico.
Non sono quindi d'accordo sul testo della mozione presentata dal gruppo comunista, ho meno perplessità sull'interpellanza Conti-Garabello, la quale mi pare faccia riferimento alle disposizioni per l'editoria che erano a suo tempo previste- dal programma quinquennale. Vedo tra parentesi, che i firmatari hanno proposto che i finanziamenti e le agevolazioni siano estesi, oltre che alle forze culturali, sindacali e politiche, anche a quelle religiose che il laico ministro del piano aveva dimenticato di inserire a suo tempo nel documento.
Noi dobbiamo attendere dalla Giunta di sapere che cosa essa ritiene di poter fare, per vedere se è possibile giungere alla rielaborazione dei documenti qui presentati in un unico documento.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Sanlorenzo, ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Lo svolgersi degli interventi ha messo in luce che il tema che abbiamo di fronte è ad un tempo particolare e generale; l'aspetto particolare ci è stato sottoposto da una delegazione di lavoratori della "Gazzetta del Popolo" che sono stati ricevuti dal vice Presidente Oberto e dal sottoscritto e ci hanno posto, come tutti i lavoratori che sono venuti in questi ultimi mesi alla Regione, il proprio problema e quello generale.
Oggi siamo chiamati ad esprimerci sull'una e sull'altra cosa e accetto l'impostazione data dal Consigliere Conti alla questione, nel senso che faremo cosa utile se alla conclusione del dibattito sapremo indicare soluzioni di carattere generale.
In Piemonte la questione si presenta in termini concreti se la chiamiamo per nome e cognome, se non giriamo attorno, se non facciamo diventare generale un discorso particolare; salvo poi smarrirsi con citazioni di secoli fa, senza chiamare le cose per nome. Perché la "Gazzetta del Popolo" è in pericolo in Piemonte? Perché il giornale di proprietà della Fiat, anzi la Fiat, attraverso "La Stampa" tende all'assorbimento del quotidiano "Gazzetta del Popolo" mediante l'indebolimento economico della testata, attraverso una politica di investimenti cospicui che ha in atto dedicando ogni giorno due e a volte quattro pagine alla provincia di Novara, attraverso l'acquisto al dettaglio e all'ingrosso dei corrispondenti del giornale concorrente e attraverso manovre sulla pubblicità.
La vicenda ci interessa a causa dell'occupazione, perché oggi alla "Gazzetta del Popolo" lavorano 300 persone e la chiusura del giornale non permette una facile collocazione di 300 giornalisti.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Chi ha detto che sono 300 giornalisti?



SANLORENZO Dino

Giornalisti e dipendenti. Io credevo che lei pensasse che qualcuno di questi potesse trovare un altro mestiere, magari quello della inchiesta sui clinici, ma.....



CALLERI Edoardo, :Presidente della Giunta Regionale

Avevo qualche preoccupazione, credevo che si fosse dilatato il giornale.



SANLORENZO Dino

Ho capito. Il problema quindi è intanto occupazionale, ma c'è anche quello della concentrazione, del bavaglio (che si accompagna sempre alla concentrazione) e occorre capire cosa c'è dietro anche sul piano politico perché non è soltanto un fatto quantitativo. Per esempio in Italia un grande petroliere italiano che non distrugge le testate, le compera e poi le fa parlare tutte con la stessa voce; a un giornalista che si è prestato per un po' a fare questa politica (un democratico, una persona seria, un buon giornalista) ha dato l'incarico di sfondare nell'elettorato di sinistra dell'Emilia. Siccome questa persona voleva fare solo il giornalista, ha portato una modifica alla linea della vecchia politica del giornale ed al conseguente aumento della diffusione del giornale. Ebbene dalla sera alla mattina è stata sbattuta fuori, anche se ha fatto aumentare la tiratura. Adesso scrive giornalini, novellette sui giornali che lo ospitano, si chiama Enzo Biagi.
Né deve sfuggirsi il fatto che tutti e due i grandi quotidiani torinesi che si dicono indipendenti sono passati sotto tutti i padroni, hanno cambiato linea 50 volte, tutte le bandiere sono state le loro, per cui non ci commuove la storia dei 150 anni perché ricordiamo la "Gazzetta del Popolo" quando scriveva certe cose, mentre Viglione sparava da qualche altra parte e Giovana era in villeggiatura in montagna.



VIGLIONE Aldo

Abbiamo anche preso prigioniero il direttore!



SANLORENZO Dino

Appunto. Quindi, uno di questi giornali è indipendente da tutto salvo che dalla politica della Fiat e dalle politiche della Fiat (perché adesso sono due che si riflettono nelle pagine del giornale); l'altro è indipendente da tutto salvo che dalla politica D.C. e dalle politiche della D.C.: uno è il giornale della Fiat, l'altro è il giornale della D.C.
Malgrado questo noi crediamo che sia giusto battersi per la difesa della "Gazzetta del Popolo" perché in Piemonte, come qualcuno ha ricordato, nel 1945, dopo la liberazione, c'erano le seguenti testate quotidiane: "Stampa", "Stampa Sera", "Gazzetta del Popolo", "Gazzetta Sera", "Unità" "Sempre Avanti", "Mondo Nuovo", "GL", "Opinione", "Popolo Nuovo", "Giornale di Torino", "Tuttosport"; oggi vi sono "La stampa", "Stampa Sera" "Tuttosport", "Gazzetta del Popolo". Si, ci sono anche i quotidiani dei partiti (dirò qualcosa dopo) ma sostanzialmente sono quelli. Se scomparisse la "Gazzetta del Popolo" si andrebbe verso l'immagine del giornale della Fiat, con l'alternativa di un bel giornale sportivo, uno potrebbe scegliere, o legge il giornale della Fiat, oppure legge lo sport, potrebbe scegliere fra Juventus e Agnelli.
Le cifre che hanno riportato i compagni Giovana ed altri devono farci capire che in discussione c'è non solo la libertà dell'informazione; quando in un Paese come il nostro, su sei milioni di copie vendute facendo riferimento ai 35 milioni di elettori si ha un rapporto di circa uno a sei per cui c'è un elettore superiore ai 21 anni ogni sei che legge un quotidiano, e ricordando che in Italia ci sono più macchine che giornali caro Zanone, allora si ha l'immagine di un Paese in cui tutto va bene per la Fiat perché aumentano le macchine, diminuiscono i giornali e la proporzione in qualche modo viene mantenuta. Ma questa prospettiva non mi pare che possa essere accettata dalla democrazia italiana.
E' vero, dal 1939 ad oggi in Italia gli lettori di quotidiani non sono aumentati di una copia, anche se gli abitanti sono aumentati di, undici milioni. Basta questa cifra, credo, a porre il problema nella sua drammaticità. Si legge poco e abbiamo la sensazione che si tenda sempre di più a pubblicare ciò che decidono i padroni. Zanone, fa l'elenco completo non dirmi che in Italia i giornali sono degli enti di Stato, confessionali e dei partiti, ci sono anche quelli, ma la quantità dice che sono i giornali dei padroni, poi ci sono anche i giornali finanziati dall'industria di Stato, quelli dei partiti e quelli confessionali.
Zanone non l'ha ricordato, ma Einaudi diceva che in regime di libera concorrenza il mercato è dominato da chi compra; ma in regime di monopolio il mercato è dominato da chi vende. Si tratta di stabilire se in Italia siamo in regime di libera concorrenza per quanto riguarda i giornali, o in regime di monopolio. A nostro parere siamo già in regime di monopolio e vi tendiamo sempre di più. Ricordiamoci che non può esserci libera concorrenza tra un giornale che ha da 33 a 40 cronisti per fare la pagina di una grande città e i giornali dei partiti che ne hanno tre o quattro per fare tutto.
Non c'è libera concorrenza tra un giornale e l'altro quando vi sono i giornali che hanno a disposizione le autoradio per stare addosso alle notizie e altri che hanno due linee telefoniche che se funzionano tutte e due assieme è già troppo perché non c'é più gente che può scrivere; quando vi è chi può pagare stipendi di 300/400.000 lire facilmente e chi pu pagare stipendi di 150/160/170.000 lire. Non c'è libera concorrenza in questa situazione, siamo in regime di monopolio.
Di qui il problema della proprietà, dei finanziamenti e della pubblicità; perché tutto questo è collegato a chi controlla la pubblicità.
Zanone dice leviamo un grido di condanna sul malcostume della Sipra; ci mancherebbe altro che noi fossimo quelli che dicono che alla Sipra tutto va bene, no, va male, ma questa proposta porta a far sì che la Sipra deve essere distrutta (come dice anche Scalfari e io non capisco perché) o porta a dire che bisogna riformare la Sipra? Perché, la Sipra che cos'è? La Sipra è l'unico strumento della pubblicità italiana che sia controllato dallo Stato, 70 1/2 Iri, 30% Rai, l'unica cosa su cui si può lavorare per un controllo pubblico sui sovvenzionamenti, sui fondi, sulla pubblicità; se distruggiamo quello che cosa rimane? Rimane la libertà di mercato nella situazione che ho illustrato prima, per cui davvero fanno i giornali quelli che hanno i soldi, si appropriano di tutta la pubblicità e la gestiscono come vogliono. Capisco perfettamente i discorsi di Casalegno e degli altri su "La Stampa", ma loro portano avanti una politica che noi non possiamo accettare, noi dobbiamo batterci per la riforma della pubblicità e chiedere che la Sipra sia una cosa diversa, avendo ben presenti tutti i miliardi che amministra (e sono una parte cospicua). Le altre due grandi agenzie che controllano la pubblicità sono invece agenzie private i cui proprietari sono la famiglia Caracciolo e Monti, il petroliere, quello che ha fatto lo scherzo a Enzo Biagi, sono sempre le stesse persone che hanno in mano i giornali e che controllano la pubblicità; uno controlla "Stampa", "Stampa Sera", "Il Giorno", "La Nazione", "Il Resto del Carlino", "24 Ore", il "Giornale d'Italia", l'altra controlla l'altra fetta, dopo di che c'è la Sipra, ci sono altre agenzie di pubblicità, perché le discriminazioni ci sono, Bianchi; lo so che la proposta che tu avanzi non è molto diversa dalla nostra, ma è diversa per il fatto che a te pare difficile ammettere che ci siano state discriminazioni in questi anni nella concessione della pubblicità, invece ci sono state. Conti ha citato il fatto del "Mattino" il quale ha una tiratura e una vendita non so se inferiore o dello stesso tipo della "Gazzetta del Popolo", ma riceve una quantità di soldi, tre volte tanti, perché la "Gazzetta del Popolo" non scherza come deficit, 700/800 milioni all'anno. Non è che ci sia una gestione sana da una parte e sbagliata dall'altra, però non c'è giustizia, figuratevi l'Unità, che è un giornale quotidiano di partito, con una delle più alte tirature d'Italia eppure ha la minore incidenza percentuale dei suoi bilanci. La grande pubblicità dell'Unità sapete qual'é, sono quei tre miliardi all'anno che i lavoratori tirano fuori a mille lire ciascuno e i diffusori che alla domenica mattina vanno a vendere il giornale nelle case. Questa è la nostra agenzia di pubblicità. Ma tutto questo non scambiamolo con un equilibrato modo di governare, chiamiamolo per quello che è, una società dominata dai monopoli che hanno il potere economico e politico, che tendono a condizionare e ad avere nelle mani il controllo della libertà di stampa e coloro che sopravvivono a tutto questo sopravvivono a questo sistema.
Così stando le cose occorre un controllo, pubblico che elimini le discriminazioni, la riforma della Sipra, la riforma generale del sistema pubblicitario (non è il caso di diffonderci molto sulle cose dette dal Consigliere Conti).
Ciò che ci hanno detto i lavoratori della "Gazzetta del Popolo" e ci che ci chiederà il convegno della stampa che si terrà sabato a Torino, ecco il valore della nostra discussione di stasera e la sua incidenza, il suo collegamento, è una presa di posizione politica di carattere generale. La proposta che Donat-Cattin ha avanzato e che noi consideriamo un episodio positivo, non una soluzione di tutti i problemi, ma un episodio interessante (e a dimostrare che è interessante è la calca che si è scatenata attorno a quelli che si sentivano minacciati nel loro potere di condizionare tutto il sistema pubblicitario e quindi tutto il sistema della proprietà dei giornali) si può inserire in un discorso di riforma più generale che abbia contenuti illustrati nella mozione.
Se si vogliono aggiungere ancora altre specificazioni, io concordo con la proposta avanzata da più parti circa la necessità di privilegiare le cooperative di giornalisti, di andare verso un'editoria regionale, di arrivare a costituzioni di aziende tipografiche pubbliche, di promuovere una lotta al processo di concentrazione perché in quanto tale negativo (pi che mai in una situazione come quella italiana), di rivedere l'assegnazione della carta, di programmare sgravi fiscali, di organizzare sezioni statali di distribuzione, tutti problemi inerenti al tema generale della riforma di cui possiamo far cenno anche nella mozione, se vogliamo renderla più completa, ma il significato politico generale del discorso che dobbiamo fare, della posizione che dobbiamo prendere, mi pare debba essere quello dei problemi essenziali di scelta che la Regione Piemonte deve compiere di fronte al fenomeno della "Gazzetta del Popolo" inquadrato nel sistema generale della libertà di stampa così com'é oggi in Italia.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Colleghi, già il Consigliere Conti si è diffuso su aspetti tecnici e costruttivi rispetto al problema che ci è sottoposto, io mi limiterò a brevi considerazioni di carattere più generale benché voglia subito, per non cadere in equivoco, sottolineare come il nostro intervento a sostegno della pluralità delle informazioni, a sostegno specifico della sopravvivenza della testata della "Gazzetta del Popolo" è una esplicitazione nella realtà regionale, non meno ferma nel momento in cui facciamo delle considerazioni di carattere generale.
Ritengo che la libertà è sempre delicata, fragile ed insidiata e che delicatissima è fra tutte la libertà di stampa, come è emerso chiaramente dal contrasto tra le tesi qui esposte che in parte si sono reciprocamente confutate e in parte si sono bene integrate. E' stato offlato così un quadro più completo della realtà e di come una società democratica articolata possa realizzare una delle libertà fondamentali che è quella delle fonti di informazione e dell'accesso all'informazione non solo come utenti e consumatori, ma come partecipanti all'atto di comunicazione dell'informazione e delle idee. E' delicatissima, fra tutte, la libertà di stampa perché è legata, per esigenze tecniche e di sviluppo economico connesso allo sviluppo culturale, a processi e a condizionamenti economici che esistono in tutti i paesi e in tutti i regimi del mondo. Essi ne fanno dipendere, in un certo modo, la sussistenza, dalla vitalità e dall'efficienza di imprese e di organizzazioni soggette a situazioni di mercato, a pressioni economiche, a pressioni sindacali, a pressioni concorrenziali. E ciò quando si sa che la concorrenzialità economica risponde a regole e a leggi che non sono le stesse della concorrenzialità sul piano della validità culturale, della efficienza e dell'onestà informativa. Questa difficoltà di fare coincidere le leggi della pluralità delle fonti di informazione, del confronto delle idee e le leggi della concorrenza economica, è una conseguenza delle difficoltà di un sistema pur democratico di difendere e tutelare una libertà che costantemente è insidiata, pregiudicata, quasi al limite della propria perdita, ma che sempre si riprende, si riconquista e si ricupera se si è impegnata la volontà dei cittadini e delle forze politiche, se vi è una presa di coscienza tempestiva.
E' sotto i nostri occhi l'esperienza di come la statalizzazione preponderante o totale dell'economia e quindi il controllo di tutti gli strumenti economici, la coincidenza del potere politico e di quello economico se totalizzante, distrugge le basi per l'esistenza di un'opinione pubblica, non solo della libertà di stampa; sopprime di fatto una opinione pubblica che sia capace di esercitare un ruolo critico e di difendere la posizione di una stampa libera, o libera nella misura in cui è storicamente concepibile ed attuabile, perché tra una libertà insufficiente, monca, che tende a perfezionarsi e a realizzarsi e una situazione che una libertà di fatto sopprime, noi dobbiamo saper fare realisticamente le nostre scelte.
Il voler mettere le mani su certe fonti economiche, sulla pubblicità può avere allarmato l'opinione pubblica, perché vi ha visto più che la preoccupazione di ridistribuzione e di difesa del pluralismo, la preoccupazione di accentuare un controllo di tipo monopolistico e quindi un condizionamento che fa coincidere il potere politico, col potere economico.
Ed è la tentazione che sicuramente prova tanto più chi ha in mano le leve principali del potere politico. Io dico quindi vada indietro questa tentazione da chi ha le responsabilità politiche. Concentrati tutti i poteri nello Stato, vien meno ogni dialettica, alla quale si sovrappone la natura repressiva di un potere unico, assommato nello Stato. Il problema della libertà di stampa può essere posto e dibattuto soltanto dove insidiata, parziale o pericolante, questa libertà però esiste.
Grande importanza ha, ai fini della difesa di questa libertà, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, perciò è valido questo dibattito (al quale io dò un contributo sicuramente insufficiente). L'opinione pubblica deve rendersi conto della straordinaria importanza degli avvenimenti che si svolgono sotto lo sguardo dei distratti e che, come ha ben detto Silone, (io lo considero un maestro che ciascuno di noi dovrebbe seguire e meditare, anche se può disturbare proprio perché inquieta) la morte di un giornale è un po' la perdita e la morte della libertà.
Grande importanza ha, ai fini di questa difesa, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dell'opinione pubblica regionale nel nostro caso per il fatto specifico, che qui si realizza. Importante è la presa di coscienza di tutte le espressioni democratiche delle comunità locali, le quali possono vedere e toccare in concreto qui il problema e non solo essere sfiorate dal dibattito che oggi si svolge sul "Times", su "Le Monde", su questi grandi organi che, pur avendo alle spalle gruppi economici che li hanno sostenuti, hanno una grande tradizione di impegno di sforzo, di obiettività, di correttezza e di ampiezza di informazione.
Il problema della libertà di stampa è quindi indicativo ed emblematico rispetto a tutte le altre libertà civili. Certo questa libertà non si difende soltanto salvaguardando le distinzioni tra società e Stato, tra sfera pubblica e sfera privata, magari col fatto molto valido sul piano della dialettica democratica, che centinaia di migliaia di persone distribuiscono o si impegnano a diffondere un certo giornale. La stessa presenza, esistenza di questo giornale sostenuto dal fideismo, dalla forza e dalla convinzione di tanta gente è un condizionamento anche rispetto alla natura, alla sostanza, al contenuto di altri giornali e sta diventando anche un pochino un discorso reciproco perché col passare del tempo vivendo a lungo in democrazia per forza se ne assorbono le leggi e le condizioni e si finisce di esserne paladini.
Trovano però, queste libertà, la loro realizzazione, la loro garanzia più piena ed autentica se si assicura una crescente possibilità di accesso al momento informativo e soprattutto il processo di partecipazione ad una comunicazione non sottoposta alle manipolazioni che trasformano il cittadino da soggetto, pur condizionato come è un cittadino da una stampa doviziosamente munita di strumenti e di mezzi suggestivi, a mero oggetto.
Ecco perché dovrà applicarsi l'attenzione, l'impegno, l'intelligenza delle forze culturali, delle forze politiche e anche degli organizzatori, dei tecnici sul piano dell'attività editoriale per dare un contenuto, una sostanza di tutela, di iniziativa, di provvidenze che garantiscano ogni giorno, ogni momento, la possibilità di reggere e d'operare in questa concorrenza che è nello stesso momento economica, di natura civile e culturale.
Quando nella mozione - che ho adattato non andando a ricercare le differenze, ma tutti i punti di contatto - si fa riferimento alla possibilità di cooperative di giornalisti, di lavoratori dell'editoria e così via, si vuole dare un'indicazione esemplificativa. Lo so benissimo che si può essere scettici di fronte a certe esperienze, ma la società civile la società politica deve provvedere a strumenti, ad istituti che consentono l'accesso all'attività giornalistica, all'attività di diffusione delle informazioni, di testimonianza quotidiana, anche ai gruppi che non siano socialmente e culturalmente sorti. Per questo credo che, quando una convinzione religiosa sia sinceramente sentita, essa sia una delle più nobili ragioni di impegno perché le possa essere assicurato accesso a questa attività.
Su questo argomento quindi non si possono giocare partite fra gruppi di pressione al di sopra delle teste dei cittadini, magari prendendo a pretesto il caso specifico della "Gazzetta del Popolo" che ci preoccupa.
Non si può approfittare dell'esigenza di garantire la pluralità delle testate, che è uno degli elementi importanti ai fini che ci interessano per creare condizioni in cui la pluralità formale non ha per corrispettivo quella sostanziale, dialettica, di confronto di idee, delle posizioni delle realtà culturali e civili che ci sono nel Paese.
Dubito quindi che semplicistici e non meditati interventi, atti ad introdurre strumenti autoritativi od interventi strettamente politici e quindi indirettamente punitivi, possano essere efficaci: non si salverebbero le testate in difficoltà, che devono essere salvate fornendole degli strumenti, che consentano ad esse di riconquistare adeguatamente il proprio pubblico, e si porterebbero contributi ad altre soluzioni.
Ed infine mi sia consentito un altro richiamo che faccio con discrezione per la sua delicatezza. Parlando di questi argomenti non posso tacere la protesta più accorata per la violazione dei diritti umani e delle regole che riguardano i rapporti internazionali e civili che ha caratterizzato il triste episodio della carcerazione di Valerio Ochetto. Mi astengo da considerazioni sul quadro politico e sul significato che questo episodio rende evidente e conferma, non mancheranno altre sedi e momenti per farlo in maniera più organica e non sospetta. Qui mi basta rilevare lo sgomento che deriva dalla freddezza, dalla rozzezza, dall'inutilità e incomprensibilità persino, di un comportamento sovranamente insensibile ad ogni ragione, secondo le inscrutabili leggi del terrorismo politico elevato a sistema di Governo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, non pensate che io vi legga tutto questo, se fossi stato il primo sarei stato così cattivo che vi avrei puniti con questo mio intervento massiccio, ma siccome sono l'ultimo e sono le nove mi rendo conto che è meglio riassumere l'intervento.
Vorrei essere concreto, se riesco, in pochi minuti. Sono perfettamente d'accordo con Giovana, Bianchi, Zanone e gli altri dell'importanza della stampa, della necessità di un confronto fra le testate e della situazione del potere economico che comporta oggi l'investimento di somme enormi nella stampa non perché d'informazione, ma perché legata ad interessi che debbono essere portati avanti. Più di altri, noi in provincia ci rendiamo conto delle difficoltà che oggi affrontano non soltanto i quotidiani, ma anche i settimanali locali, di partito, religiosi, di associazione; il settimanale di Cuneo, ad esempio, comporta una spesa di dodici milioni l'anno. Sembra incredibile che un settimanale, sia pure con una tiratura di 12.000 copie comporti 12/13 milioni di spesa all'anno. Sappiamo perfettamente, che la parte economica è decisiva nel ruolo del mantenimento e che non basta dire come dice "La Stampa": "noi sappiamo fare un bel giornale, se avete delle idee provate anche voi". E' un discorso falso sotto tutti gli aspetti: perché prevede un'organizzazione, perché prevede un investimento di miliardi. Può anche essere, al limite, un investimento passivo che poi riproduce, attraverso una formazione di opinioni, un investimento attivo in altri settori, ma non parlo di tutto questo perché sono cose già dette da Conti, da Giovana e dagli altri che mi hanno preceduto.
Però un discorso io vorrei affrontarlo sul piano pratico e concreto. Le testate sono ridotte a 78 e stanno diminuendo ancora, queste 78 testate appartengono praticamente a quattro o cinque gruppi, dai Crespi di Milano al Lauro di Napoli , al Monti (che ormai spazia da Firenze a Bologna e a Roma) al gruppo di Torino, tolti gli altri giornali di partito che hanno una minore incidenza sull'informazione. Anche in Francia c'è stata non soltanto la chiusura di un noto quotidiano l'altro giorno, ma sono in difficoltà altri giornali.
Veniamo però alla discussione, oltre che generale, particolare.
L'annoso problema è stato posto dai 320/330 giornalisti e lavoratori della "Gazzetta del Popolo" che hanno chiesto un intervento per risolverlo. Si sa che la "Gazzetta del Popolo" ha quattro o cinque miliardi di debito, il Presidente della Giunta avrà notizie più precise a riguardo, visto che anni fa il suo istituto se ne era occupato a fondo. Se si riforma tutto quanto dobbiamo iniziare dalla RAI che è il primo oggetto dell'informazione legato strettamente alle testate di informazione, la RAI parla a 15/20 milioni di persone, quindi è la prima a dover essere riformata, questo lo sappiamo e lo sanno anche i lavoratori della "Gazzetta del Popolo". Oggi però si tratta, oltre che portare avanti questo discorso generale, di fare il discorso particolare della "Gazzetta del Popolo". Che cosa faranno le forze politiche, quelle che sono inserite negli organismi finanziari pubblici, per salvare la "Gazzetta del Popolo"? Questo è il discorso vero perché aspettare la riforma della Sipra, aspettare che la pubblicità scenda per sanare questo passivo è un sogno molto lontano. Noi vorremmo conoscere il parere del Presidente e avremmo anche voluto sentire quello delle forze politiche al riguardo. Se per esempio gli organi finanziari pubblici di Torino prendessero delle iniziative in quella direzione, che cosa direbbero le forze politiche? Questa è una risposta che si deve dare affrontando il discorso generale, perché ad un certo momento, quando si chiede chi sborsa i cinque o sei miliardi per salvare dal disastro la "Gazzetta del Popolo" per mantenere la testata a confronto con altre in Piemonte e in Italia cominciano le divergenze. Se c'e una riforma, deve esserci per tutti e allora si riproduce la situazione giapponese dove vi sono dei quotidiani che tirano sette milioni di copie, o quella americana dove si confrontano.
6/7/9/12/100 testate magari nello stesso Stato, ma qui si parla di due soli giornali di cui uno sta per chiudersi e l'altro risulterà definitivamente vittorioso. Che cosa fanno le forze politiche? Alla fine si adageranno dicendo che Agnelli ha fatto bene a prendere il pacchetto con tutto quello che c'è dentro e quello che c'é fuori? No, evidentemente le forze politiche su questo non sono d'accordo, le forze politiche diranno che fa bene l'organismo finanziario pubblico ad intervenire per vedere di salvare fin quando sarà possibile la Sipra e gli altri organismi di Stato provvederanno ad una sostituzione, ma bisogna dirlo altrimenti si fa una discussione di grande interesse cogliendo l'occasione della situazione della "Gazzetta del Popolo".
Noi riteniamo che a questo punto il Consiglio Regionale debba assumere una decisione unitaria. Noi pensiamo che le due mozioni possano marciare separate, ma crediamo si possa trovare un accordo che evidentemente creerebbe ben altra spinta.
Conosciamo le opinioni di Donat-Cattin, ha fatto nascere una polemica terribile rispetto alla divisione dei proventi pubblicitari fra gli altri giornali, ma bisogna intanto che con una legge particolare, come succede in altri Stati, si rompa il primo cordone ombelicale che è quello delle catene dei giornali, altrimenti fra cinque anni ci saranno forse una o due catene che avranno le 78, o le 70, o le 65 testate, avranno tutti i settimanali avranno tutto quanto. In America vi è la legge anti-trust non vediamo perché in Italia non vi debba essere una legge contro le catene dei giornali. Cominciamo a fare questo primo passo, perché delle soluzioni bisognerà pur trovarne, dovremo pur dire come la Regione può intervenire per la difesa immediata della "Gazzetta del Popolo".
Noi prendiamo la Sipra come avallo definitivo alla nostra tesi, ma non è così. La Sipra è un organismo che può essere di conforto, di aiuto, pu avere un determinato potere perché è legata alla RAI e quindi è legata alla pubblicità radiofonica, ma l'indirizzo della pubblicità non nasce soltanto dalla Sipra e quindi non si deve dire che poiché è quella che domina tutto la si deve distruggere. Noi dobbiamo dire che siamo solidali con i lavoratori della "Gazzetta del Popolo" e chiediamo che dalla discussione generale si passi alla discussione particolare e si assumano precise responsabilità; non basta affermare che si vuole salvare la testata e poi quando si tratta di assumere delle responsabilità sul piano finanziario, si comincia a non essere più d'accordo, a parlare di malcostume, si comincia a dire che noi interveniamo soltanto per una testata e non per altre. Bisogna assumere delle responsabilità affinché i lavoratori della "Gazzetta del Popolo" non abbiano l'impressione che si è colta l'occasione per fare questa discussione che però si colloca nel quadro generale e si finisce per dire che quando ci sarà la riforma salveremo la "Gazzetta del Popolo". La "Gazzetta del Popolo" deve essere salvata subito, in attesa che la riforma porti dei benefici a quel giornale e faccia in modo che possa vivere da solo.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, Signori Consiglieri, non so se il Consigliere Viglione potrà essere contento del fatto che questa è una delle poche volte in cui obiettivamente mi devo dichiarare d'accordo con l'impostazione che egli ha dato al problema. Anche a me, per la verità, non è sfuggito il particolare non certo irrilevante che si volesse prendere spunto dalla "Gazzetta del Popolo" per impostare un discorso di carattere più generale e siccome io ritengo che non sia possibile intervenire in un periodo di tempo molto breve quale può essere consentito in questa sede perché comporterebbe un complesso di valutazioni decisamente più ampio, rimarrò sul tema della "Gazzetta del Popolo" in primo luogo per dire che rilevando come questa sia di proprietà della D.C. e appartenendo io, come credo vi sia noto, allo stesso partito, ho l'impressione che noi non stiamo rendendo esattamente un servizio al giornale discutendo con tanta facilità di una eventuale chiusura, quasi a dire che la "Gazzetta del Popolo" si trova in uno stato di fallimento e quindi mettere relativamente in allarme tutti coloro che per caso avessero con quel giornale qualche credito da esigere. Credo quindi che sia un modo incauto quanto meno, rispetto al quale devo dichiarare il mio totale distacco.
Intanto non è affatto vero che la "Gazzetta del Popolo" stia per chiudere, e non è a nessuno ignoto che di agitazioni analoghe il personale della "Gazzetta del Popolo" è aduso ormai da certamente più di un lustro.
Non potrei dire che abbia il personale la colpa ogni tanto di impennarsi perché non potrei nemmeno dire che vi sia nella gestione amministrativa della medesima "Gazzetta del Popolo" un'esatta puntualità, tuttavia è da cinque anni che con un certo ritardo, ma con interventi adeguati, la proprietà interviene a sanare il deficit e a sostenere il disavanzo del giornale.
Ecco perché io credo che dobbiamo preoccuparci che la testata resti aperta, dobbiamo preoccuparci della pluralità dei centri di informazione ma non vedo come si possa collegare il problema della "Gazzetta del Popolo", che è specifico, ad uno di carattere così generale rispetto al quale dovremmo avere anche qualche dato in più; non basta avere qualche dato approssimativo, probabilmente frettolosamente reperito in qualche articolo di giornale.
Io credo che convenga, in definitiva anche dire che non è possibile fare un raffronto tra quanto trae dalla pubblicità il "Mattino di Napoli" e quanto ne trae la "Gazzetta del Popolo" per la semplicissima ragione che intanto non è affatto vero che sia uguale il numero delle copie non solo stampate, ma soprattutto vendute e anche perché sono diseguali le posizioni della "Gazzetta del Popolo" e del "Mattino di Napoli" rispetto agli altri quotidiani delle città in cui essi escono. Il "Mattino" è il primo giornale di Napoli. La "Gazzetta del Popolo" non è ahimè, il primo giornale di Torino. Ne deriva come conseguenza che tutti coloro che si rivolgono alle società di pubblicità per fare delle inserzioni, ivi compresi coloro che si trovano nella triste condizione di dover fare un necrologio, si rivolgono a Napoli prevalentemente al "Mattino" e a Torino prevalentemente a "La Stampa". Ora, non ho l'impressione che coloro che fanno dei necrologi e coloro che fanno delle inserzioni di carattere pubblicitario particolare vogliano con questo esprimere un determinato indirizzo politico semplicemente fanno il rapido calcolo di qual'è la diffusione di un giornale e qual'é la diffusione di un altro e in base a quella fanno le scelte." Quindi non possiamo parlare di discriminazione se coloro che si rivolgono alla "Gazzetta del Popolo" per l'inserzione, o attraverso la società pubblicitaria che le fa per conto della "Gazzetta del Popolo" ed assicura un quid forfetario annuo, sono molto inferiori a coloro che si rivolgono ad altri giornali per lo stesso scopo. Non vi è alcuna discriminazione da parte della Sipra e di altre società pubblicitarie, vi sono semplicemente dei clienti che si rivolgono alla testata di un giornale piuttosto che ad un'altra. Anzi, credo che in generale la differenza stessa delle tariffe per le inserzioni stia a dimostrare come, nonostante la maggiore convenienza rispetto alle parole stampate nelle inserzioni convenienza resa possibile dalle tariffe più basse che fanno i giornali secondo testate, la clientela si rivolge per la pubblicità alle testate che hanno la prima posizione in un determinato territorio.
Ecco perché l'impostare la questione così come è stata impostata mi sembra superficiale e non coglie il reale problema dell'acquisizione di pubblicità alle testate giornalistiche. E' indubbiamente un argomento delicato che va approfondito, rispetto al quale bisogna tener conto della destinazione della pubblicità. Io non voglio discuterne perché bisognerebbe avere tutti i dati che riguardano le altre testate giornalistiche, mi limiterei a dire che delle due principali testate milanesi, il "Corriere della Sera" e il "Giorno", né l'una né l'altra sofferenti per quanto riguarda gli enti che li finanziano, non vi è dubbio che vi è una differenza che è considerata, tra l'uno e l'altro, di circa il doppio di pubblicità acquisita. Ho qualche difficoltà a supporre che, data la proprietà del "Giorno", la stessa abbia delle difficoltà o che possano essere esercitate nei suoi confronti delle discriminazioni da parte della società di raccolta di pubblicità.
Io ritengo che il quesito vada visto in termini molto più precisi e con una, ben maggiore approssimazione di quella che non sia presente nella mozione che si è inteso discutere.



SANLORENZO Dino

Quindi lei è completamente contrario all'impostazione che ha dato Giorgio Vecchiato, direttore della "Gazzetta del Popolo", il quale dice esattamente il contrario di ciò che dice lei.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non credo che possa dire il contrario.



SANLORENZO Dino

Posso citarle le parole esatte, dice assolutamente il contrario di ci che dice lei.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Sentiamo, può anche darsi che Vecchiato abbia detto una sciocchezza.



SANLORENZO Dino

"Senza un adeguato apporto della pubblicità un giornale non vive giornali che vendono milioni di copie sono morti in America e in Gran Bretagna perché la pubblicità era insufficiente. In Italia la pubblicità è assorbita in gran parte dalla TV. Per la parte rimanente gli inserzionisti seguono il ben noto ed iniquo sistema del capozona, mettendo in condizioni di quasi monopolio una testata per ciascuna regione e lasciando le briciole alla concorrenza, anche quando essere i numeri due significa avere una forte massa di lettori. La conseguenza è che fra i giornali italiani il rapporto vendita-pubblicità, è enormemente scompensato. Se un quotidiano capo-zona vende, poniamo, tre volte di più del suo concorrente diretto, il rapporto di pubblicità non è di tre a uno, ma di dieci, di quindici a uno".
Come vede è esattamente il contrario.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Allora sono esattamente contrario a ciò che dice Giorgio Vecchiato gradirei davvero che Giorgio Vecchiato riuscisse a dimostrare queste cose con delle cifre alla mano, non con dei termini generici, perché è troppo facile fare le polemiche in questo modo. Io vorrei dei dati precisi e credo che sarebbe opportuno averli proprio ai fini di un'esatta impostazione dei problema. Questa è la ragione per cui ritengo che sulla questione della "Gazzetta del Popolo", a parte la discussione di carattere più generale occorra una valutazione più attenta; credo che una mozione che è scissa dal Consiglio Regionale con una impostazione di questo genere non recherebbe un servizio ma potrebbe avere dei contraccolpi estremamente negativi.
Per quanto riguarda l'invito nella Giunta di evitare che la "Gazzetta del Popolo" possa chiudere le pubblicazioni, credo sia del tutto superfluo perché, almeno per quanto personalmente mi riguarda, da lunghi anni ho condotto una battaglia in questa direzione, battaglia che non ritengo sia stata priva di risultati.
E' chiaro che ciò che è stato fatto in passato, e se necessario anche di più, in questa direzione è sicuramente da me fatto.
Colgo qui l'occasione tuttavia, collega Viglione, per sgombrare una volta per tutte il terreno da quelle voci che sono corse e che potrebbero riprendere, relative all'interesse di istituti bancari all'acquisizione della "Gazzetta del Popolo". Sono voci prive di qualsiasi fondamento, non fosse che per il particolare che la legge bancaria vieta drasticamente l'acquisizione di partecipazioni di questo genere e conseguentemente non credo sarebbe possibile da parte di qualunque istituto bancario soprattutto di interesse regionale, potersi interessare di acquisti di questo tipo. Quindi le notizie che a suo tempo sono sorte e che mi pare il collega Viglione abbia qui ripreso, sono destituite di qualsiasi fondamento e pertanto le devo respingere per la parte che mi può riguardare.
A conclusione pregherei di voler vedere il problema in questi termini al di là della discussione di carattere generale, rispetto alla quale pu darsi benissimo che il confronto delle nostre opinioni ci porti a divergere, come può darsi che su talune cose ci possa trovare concordi, ma nella fattispecie riterrei di richiamare l'attenzione di tutto il Consiglio Regionale sulla opportunità o meno che un o.d.g. di questo genere, che contiene una notizia in un certo modo abbastanza stressante, possa uscire da questo Consiglio.



PRESIDENTE

Prima di concludere la discussione desidero comunicare che, con il consenso degli interpellanti, si può considerare discussa anche l'interpellanza presentata il 24.1.72 dai Consiglieri Conti e Garabello sullo stesso argomento.
Vi sono due documenti proposti per la conclusione di questo dibattito quello sul quale si è aperta la discussione, che è stato presentato dai Consiglieri Sanlorenzo, Giovana e Minucci e uno che è stato presentato nel corso della seduta dai Consiglieri Bianchi, Garabello e Conti.



SANLORENZO Dino

C'é un terzo documento unitario.



PRESIDENTE

Si possono allora considerare ritirati i due documenti precedenti.
C'é allora un unico documento ormai che è sottoscritto dai Consiglieri....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Io ho chiesto se si ritenga opportuno assumere una posizione di fronte alla quale dicendo "parrebbe precludere alla sua chiusura"....



PRESIDENTE

Sentiamo prima com'é questo documento e poi potremo giungere alle nostre determinazioni.
Il documento porta le firme dei Consiglieri Bianchi, Garabello Giovana, Sanlorenzo e Viglione. Ne dò lettura.



BIANCHI Adriano

Il documento porta tutte le firme dei presidenti presentatori, più l'adesione degli- altri presidenti che non hanno potuto firmare perché non erano presenti.



PRESIDENTE

Manca allora quella di Minucci che non essendo presente non lo pu sottoscrivere. Eccone il testo: "Il Consiglio della Regione Piemonte, di fronte alla grave crisi del quotidiano torinese "Gazzetta del Popolo" che parrebbe preludere alla sua chiusura, rilevando in questa eventualità un ulteriore segno della minaccia che incombe sulla pluralità delle fonti di pubblica informazione per effetto di un crescente processo di concentrazione delle testate sottolineando altresì come l'eventuale chiusura del quotidiano torinese aprirebbe gravi prospettive per la occupazione di un consistente numero di lavoratori e ridurrebbe inoltre l'ambito dell'informazione giornalistica quotidiana della Regione ad una sola testata locale constatando come la crisi del quotidiano "Gazzetta del Popolo" vada considerata nel più vasto quadro di una situazione delle fonti di informazione pubblica condizionata da una serie di fattori tecnici ed economici, tra i quali si segnala, per la sua incidenza, il sistema di distribuzione dei contratti pubblicitari accogliendo la sollecitazione espressamente rivoltagli dal Comitato di coordinamento tra sindacati provinciali, CGIL, CISL, UIL e Associazione Stampa Subalpina per la difesa della libertà di stampa in Piemonte, esprime il proprio voto perché, utilizzando anche esperienze, studi e proposte che si vanno formulando nei paesi democratici interessati e preoccupati dello stesso fenomeno di crisi, vengano sollecitamente approntate, in un quadro di riforma, provvidenze economiche ed amministrative, strumenti legislativi atti a tutelare in concreto la sopravvivenza di testate come la "Gazzetta del Popolo" che hanno un ruolo efficace da svolgere, a garanzia della pluralità delle fonti informative, impedendo forme di discriminazione nella distribuzione della pubblicità, favorendo in particolare cooperative di giornalisti e lavoratori ed ogni iniziativa autonoma espressa da forze culturali impegna la Giunta Regionale a svolgere ogni opportuna iniziativa atta a favorire la continuità di pubblicazione del quotidiano "Gazzetta del Popolo" e ad avviare l'adozione di misure che permettano una reale convivenza di più testate nella Regione" Desidera illustrarlo? Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Più che illustrare la mozione, che dopo il dibattito non ha più bisogno di illustrazione, riterrei che le indicazioni fornite nella sua replica dal Presidente della Giunta potrebbero opportunamente suggerire alcune modifiche, non alla sostanza della mozione in tutta la sua parte centrale e conclusiva, ma nella sua parte di esordio, perché effettivamente l'accreditare in un documento che potrebbe essere ampiamente pubblicizzato in tutta Italia, in modo crudo, diretto, una imminenza, una prospettiva di chiusura del giornale, mi sembra che non sia producente rispetto al risultato che vogliamo ottenere.
Approfitto quindi del fatto che mi è stata data la parola per proporre ai colleghi che hanno sottoscritto la mozione, confermando il mantenimento integrale del testo in tutte le sue parti che hanno una sostanza politica di modificare la parte iniziale.



PRESIDENTE

Vorrebbe suggerire un testo di questo genere: "Il Consiglio della Regione Piemonte, di fronte alla grave crisi che investe una gran parte della stampa quotidiana italiana ed in particolare il quotidiano torinese "Gazzetta del Popolo", rilevando ecc."?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Chi ci autorizza a parlare di "grave crisi"?



PRESIDENTE

La crisi che esiste nella stampa italiana. Comunque il Consigliere Bianchi può suggerire ciò che ritiene più opportuno, la mia era una semplice interruzione e mi scuso di averla fatta.



BIANCHI Adriano

Se parliamo della crisi della stampa italiana e facciamo allusione a quella della "Gazzetta del Popolo" non possiamo poi dire che non è in crisi, se ne parliamo in qualche modo, così come si è parlato della crisi di grandi quotidiani, di grandi giornali del mondo, senza che questi subissero una flessione, anzi, è stato un incentivo, un richiamare la opinione pubblica sull'opportunità di salvare i giornali ai quali magari molta gente era affezionata e che non è che stessero morendo per propria insufficienza interna.
O la mozione salta e se ne fanno delle altre, o questa mozione pu essere modificata nel senso suggerito testé dal Presidente del Consiglio.
Proseguendo però nella logica della sua correzione, se no resta sospeso il periodo, perché se ci fermiamo alla "Gazzetta del Popolo" e togliamo "che parrebbe preludere alla sua chiusura" e poi riprendiamo con "rilevando in questa eventualità" dobbiamo adattare anche questo secondo periodo. Tutto il resto mi sembra che possa andare.



PRESIDENTE

Volete qualche minuto di sospensione?



BIANCHI Adriano

Sarebbe opportuno.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa per alcuni minuti.



(La seduta sospesa alle ore 21,15, riprende alle ore 21,30)



PRESIDENTE

Sono state concordate alcune modifiche nella parte iniziale della mozione presentata dai Consiglieri Bianchi ed altri. Dò lettura delle modifiche perché riguardano solo i primi due capoversi e mezzo, il resto è come prima e quindi non ne ridarò lettura.
La parte modificata è questa: "Il Consiglio della Regione Piemonte, rilevando l'esistenza di una minaccia che incombe sulla pluralità delle fonti di pubblica informazione per effetto di un crescente processo di concentrazione delle testate che potrebbe coinvolgere la "Gazzetta del Popolo" e aprirebbe gravi prospettive per l'occupazione di un consistente numero di lavoratori e ridurrebbe inoltre l'ambito della informazione giornalistica quotidiana della Regione ad una sola testata locale constatando come la posizione del quotidiano "Gazzetta del Popolo" vada considerata in un più vasto quadro ecc." Tutto il resto è come prima.
Vi sono altre osservazioni su questa mozione? L'opinione della Giunta?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Sono d'accordo.



PRESIDENTE

Pongo in votazione la mozione della quale ho dato lettura, con la parte modificata. E' approvata all'unanimità.


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Istituzione di una commissione di inchiesta sulle attività, sulle strutture e sui finanziamenti del movimento neo-fascista


PRESIDENTE

Vi è ora l'ultimo punto all'o.d.g.: è stata presentata ieri sera una mozione a firma dei Consiglieri Sanlorenzo, Berti, Furia ed altri sulla minaccia fascista.
Ha facoltà di illustrarla il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Poche parole, sia per l'ora tarda, sia perché no, dovrebbe essere necessario spendere molte parole in questo Consiglio Regionale per sottolineare l'opportunità che quella mozione sia approvata da tutte le forze democratiche antifasciste.
Come lei signor Presidente saprà, viene a parlare a Torino domenica il gen. De Lorenzo, un nome che è divenuto tutto un programma, un nome che ci riporta al 1964 quando in Italia vi fu un tentativo, portato molto avanti che poteva sfociare anche in un colpo di Stato e che ci riporta anche ad alcun tempo dopo, quando il Paese scoprì l'esistenza di uno Stato, nello Stato che si chiamava SIFAR il quale aveva una sua polizia privata, suoi organi, suoi poteri, possibilità di prevedere e di organizzare campi di concentramento nelle isole, possibilità di schedare migliaia e migliaia di cittadini (e io mi onoro di essere fra questi schedati), possibilità di agire al di fuori di ogni controllo democratico del Parlamento e di poter operare quindi come un corpo separato dallo Stato, come le inchieste parlamentari hanno poi confermato. Un nome che ci ricorda che si tratta di un personaggio e di una storia forse da scrivere ancora in tutte le sue parti, come è ancora da scrivere quella sulle bombe di Milano, ma che per quanto e già stato scritto ed appurato, accertato dalle commissioni parlamentari, rappresenta un programma eversivo che se fallito nel 1964 non per questo ha cessato di essere perseguito e continua ad essere incombente nella situazione politica del Paese. Un personaggio quindi che non conta tanto per ciò che lui rappresenta, giacché solo un ascaro o una marionetta è, in ogni caso, di operazioni ben più grandi che stanno dietro di lui, ma è una questione che ci richiama ad altri episodi, ad un quadro politico e ad una minaccia che non può sfuggirci.
Proprio in questi giorni il più grande settimanale culturale e politico italiano, che si chiama "Rinascita", ha pubblicato un dossier da cui emergono 54 episodi constatati, verificati, descritti di violenze, di aggressioni, di bastonature fasciste. Io non voglio certo qui ricordare i 54 episodi, non voglio che i colleghi possano privarsi del piacere di leggere il documento che "Rinascita" pubblica con testimonianze e con tutto ciò che questo rappresenta. Voglio solo ricordare i tre elementi che il giornale ricorda essere comuni a tutti questi episodi citati: il primo, è il fatto che da questi episodi emerge il tentativo di una sovversione reazionaria e il trovare una base di massa a questa sovversione nella realtà della disgregazione meridionale. Questo è un elemento comune. Da qui la spiegazione del fatto che questi episodi sono più numerosi, al di sotto di Roma, di quanto negli ultimi tempi siano stati frequenti nel nord.
Il secondo elemento è dato dal fatto che questa sovversione trova sistematicamente ogni sorta di copertura oggettiva nell'apparato repressivo dello Stato; con questo non si vuol dire che tutto l'apparato dello Stato è coinvolto, ma c'é una componente che appare in tutti i 54 casi citati.
Il terzo elemento è l'impressionante chiarezza dei collegamenti fra padronato agrario e squadrismo fascista, i legami diretti fra fascisti siciliani e fascisti greci, l'inquietante ricorrenza di alcuni nomi di fascisti siciliani nelle vicende connesse con le bombe di Roma e di Milano e con i moti di Reggio, la straordinaria disponibilità per l'organizzazione del nuovo fascismo di armi e di esplosivi.
Questi sono gli elementi che emergono dai 54 episodi. E non voglio citare altro, se non un manifesto e una lettera che fanno parte delle documentazioni allegate ai 54 fatti, perché mi pare che questi dovrebbero essere sempre scolpiti nella nostra memoria a ricordarci che il nostro Paese è fatto di queste assemblee, di una democrazia zoppa, piena di mali ma che se noi dovessimo in qualche momento dimenticarci che agiscono forze che scrivono cose del genere e che fanno le cose che scrivono, davvero noi conseguiremmo, con le nostre mani, ad affossare il sistema democratico.
Leggerò una lettera pervenuta al segretario di una sezione comunista già consegnata alla magistratura e firmata "squadre d'azione Mussolini" che dice testualmente, fra l'altro: "Il tribunale rivoluzionario fascista delle squadre d'azione Mussolini riunito in seduta straordinaria, emette la sentenza di condanna alla pena capitale, con mezzi ancora da stabilirsi, ma adatti al frangente in cui verranno usati, contro il Segretario politico della sezione del PCI di Via Tigré 00199 Roma.
Il tribunale rivoluzionario fascista, sempre ligio alle leggi della repubblica di Salò, ne comunica la sentenza al condannato scusandosi per gli errori di battuta del segretario del tribunale SAM, più uso ad adoperare il mitra ed il tritolo che la macchina da scrivere.
La sentenza verrà eseguita dopo aver ben terrorizzato il condannato, il quale dovrà stare molto attento in determinate ore della sera".
Finisce naturalmente con "saluti nazifascisti eia eia allà".
Questo documento è stato depositato dove di dovere e viene al termine di tutta una serie di episodi successi nel rione....



CARAZZONI Nino

Ma come fai a dire queste cose!



SANLORENZO Dino

Silenzio, tu stai solo zitto qui dentro, tu qui hai solo il diritto di tacere e di prendere la parola se il Presidente te la dà, perché voi siete tollerati in quest'aula.



CURCI Domenico

Noi tolleriamo voi!



SANLORENZO Dino

Siete tollerati! Il secondo documento è un manifesto apparso sui muri intitolato "Botte meritate". La tipografia è "Arti grafiche Corbao" di Trapani; il manifesto è stato affisso in tutta la Sicilia, a firma del Fronte della gioventù e fra le altre cose c'é scritto: "Le sacrosante botte prese dai rampolli dei più noti esponenti del lerciume rosso siciliano sono l'affermazione più categorica della volontà di lotta che anima la gioventù nazionale italiana, lotta ai ladri, ai servi di Mosca e di Pechino, ai parassiti rossi che prosperano soltanto là dove riescono a portare odio, violenza, sopraffazione".
Questo manifesto, che potrebbe anche fare solo ridere, si riferisce ai fatti di cui sono stati vittime due giovani comunisti, i fratelli Cipolla in un certo giorno del mese di novembre, a Palermo, aggrediti da dieci ragazzotti delle squadracce fasciste che sono stati individuati, arrestati e oggi sono accusati di tentato omicidio. Quindi cito fatti non opinabili su cui la magistratura è già intervenuta.
Io allora pongo all'assemblea un quesito, cioè se non dobbiamo accogliere l'invito che l'Assessore Cardinali, Vice Presidente della Giunta, ci faceva quando rispondendo a un'interrogazione che ho presentato su un fatto avvenuto a Bardonecchia, invitava l'assemblea a dedicare una seduta intera a discutere non più solo l'emanazione di o.d.g., ma a prendere le misure che potevamo prendere. Noi abbiamo accolto quella proposta, ora abbiamo l'opportunità di esaminarla dignitosamente, come si conviene nel momento politico che viviamo.
Nella mozione noi facciamo due proposte: la prima è di indire un'assemblea degli eletti del popolo, di tutti i partiti democratici e antifascisti evidentemente; proponiamo la data del 26 febbraio perché è una data a breve scadenza, collegata anche alla questione De Lorenzo, ma non solo a questa; proponiamo che la Giunta verso la quale stiamo per presentare una mozione di sfiducia, la Giunta però, perché non è una questione politica questa.....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Il momento dovrebbe consigliarvi di non proporla.



SANLORENZO Dino

No, non è una questione partitica e non è una questione squisitamente solo politica, a meno che uno voglia trattare l'antifascismo soltanto in funzione elettorale. No, qui c'è qualche cosa che in ogni caso deve unirci al di sopra delle divergenze politiche e alla contingenza della battaglia politica. Quindi proponiamo che anche questa Giunta, (a cui non diamo un grammo di fiducia, tuttavia su questa questione assolva la sua funzione antifascista e democratica) e la presidenza del Consiglio siano promotrici di una grande assemblea degli eletti del popolo nella quale fare un pronunciamento di carattere antifascista che risponderebbe alle indicazioni fatte dal Vice Presidente della Giunta Cardinali in questa sede.
Naturalmente vi dovrebbero partecipare i Consigli comunali, i deputati, i Consigli Regionali, gli eletti del popolo in sostanza, della Regione Piemonte.
La seconda proposta è quella di una commissione d'inchiesta permanente come è stato fatto altrove e con dei risultati notevoli. La Regione Lombarda ha promosso un'iniziativa del genere, ha raccolto documenti importanti che hanno fornito al magistrato onesto, coraggioso, serio di assumersi le sue responsabilità (se vogliamo che il fronte della magistratura non diventi un fronte unito contro la democrazia dobbiamo anche fornire gli elementi su cui questo fronte possa agire per la salvezza dello Stato) e di avviare quell'inchiesta che in Lombardia sta ottenendo risultati sconvolgenti dal punto di vista della documentazione e dei fatti.
Anche in Emilia, con una funzione diligente del nostro partito, documenti sono venuti alla luce, la magistratura è stata messa in grado di lavorare e di avere un materiale ricco in mano per giudicare, operare, intervenire.
La Regione Piemonte può fare la stessa cosa. Sono quindi due proposte serie, presentate in modo che evitano qualsiasi sospetto di interessi di parte giacché i promotori che proponiamo sono un'altra cosa che non il partito comunista. Noi auspichiamo che tutte le forze antifasciste, anche in un momento così duro di scontro politico, trovino l'accordo sulla proposta che facciamo, con un pronunciamento unitario che sarebbe salutare intanto in questi giorni positivamente dai giovani, dagli antifascisti dai lavoratori e sarebbe un modo di intervenire rispetto al comizio di De Lorenzo positivo, democratico, intelligente ed unitario. Sarebbe certamente salutata positivamente la decisione di indire questa assemblea.
Io mi auguro che le due proposte che avanzo, anche a nome del collega Giovana che si è unito a me in questa mozione, vengano approvate all'unanimità.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, siamo alle solite, alle solite "becerate"....



(Dai banchi dell'opposizione viene richiesta la ripetizione della parola "becerate")



CARAZZONI Nino

Voi che siete apportatori di cultura dovreste capire!



CURCI Domenico

Il mio partito signor Presidente, che da 25 anni ha i suoi rappresentanti nel Parlamento, negli Enti locali, anche in questo Consiglio Regionale, piaccia o non piaccia ai comunisti (per la verità, di rappresentanti nel Parlamento e in questo Consiglio ne ha pochi, ne avrà parecchi di più nel prossimo Parlamento e nel prossimo Consiglio Regionale), ha indetto nell'ambito del suo diritto-dovere di propaganda una manifestazione pubblica per domenica prossima che, considerata l'inclemenza del tempo, si svolgerà in un teatro cittadino; e subito i comunisti, col solito codazzo degli utili idioti che riescono sempre a trovare in altri partiti, in prima linea i comunistelli di sacrestia della sinistra D.C., si sono dati un gran da fare....



(Voci di protesta dai banchi dell'opposizione)



CURCI Domenico

Se considerate un oltraggio la parola "comunistelli".....



PRESIDENTE

L'uditorio probabilmente non la lascerà arrivare alla fine, quindi esponga le sue idee con chiarezza, con moderazione e soprattutto con rispetto delle altrui opinioni.



CURCI Domenico

Benissimo Signor Presidente, io accetto il richiamo, ma le faccio rispettosamente osservare che io pensavo che la licenza di offendere in questo Consiglio fosse concessa a tutti e non a una parte soltanto, come è avvenuto tante altre volte.
Dicevo che i comunisti si sono dati un gran da fare per menare la grancassa; non hanno osato questa volta, visto il clamoroso insuccesso della volta precedente, il 14 novembre, organizzare la solita grandiosa manifestazione antifascista, hanno organizzato invece una manifestazioncella in tono molto minore, tanto per non perdere la faccia.
Hanno pensato......



CURCI Domenico

LO TURCO Giorgio



CURCI Domenico

Tu la faccia l'hai già persa!



CURCI Domenico

.....(e qui sta il marchingegno) di sfruttare la tribuna del Consiglio Regionale. Per la verità, dobbiamo riconoscere che non hanno sbagliato i loro calcoli: "il gioco molto facilmente riesce (essi hanno pensato) risparmiamo un bel mucchio di quattrini, evitiamo un'altra bella figura qualcuno (e qui dovrei dire un aggettivo non molto riverente, quindi lo risparmio) qualcuno che firma le nostre mozioni li troviamo sempre e il gioco è fatto. Non solo, ma questa volta chiederemo una bella commissione d'inchiesta", che ripete magari la ridicola inchiesta già svolta da un'analoga commissione in Lombardia, contestata persino da un esponente socialdemocratico mi pare, di cui non ricordo il nome.
Comunque, noi abbiamo poco da dire, fate quello che volete accomodatevi, fate la vostra bella commissione d'inchiesta, convocate la vostra grandiosa assemblea. Continuate, finora tutto quello che avete fatto ci ha favoriti perché non vi siete resi conto, nella vostra... (puntini puntini puntini, frase irriverente signor Presidente) che la moneta dell'antifascismo, dopo 27 anni, non ha più corso, è una moneta falsa, essa non paga più.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, non è che la moneta dell'antifascismo sia falsa e dopo 27 anni non valga più.....



CURCI Domenico

Non paga più.



VIGLIONE Aldo

O non paga più; è inutile ricordare a voi, tanto da quell'orecchio non sentirete mai, che per colpa dell'ideologia fascista e nazista in Europa furono gasati otto milioni di ebrei, il nostro Paese venne distrutto l'Unione Sovietica, la Francia, l'Inghilterra, gli Usa ebbero 50 milioni di morti e furono soppresse per lunghissimi periodi le libertà civili. Notte e nebbia scese sull'Europa, si pensò persino di distruggere intere nazioni come la Polonia e la Jugoslavia, trasportando le popolazioni che non erano state uccise in altre zone a lavorare come schiavi per quelli che avevano coltivato queste ideologie. Questi sono fatti che ci legano, ma non è soltanto per il ricordo di noi combattenti che quel periodo abbiamo vissuto, ma proprio per fare trincee, barriera, affinché non succedano mai più. Voi avete il virus, il germe di quella ideologia, di quella strategia che ha rappresentato le cose terribili, tremende che ogni giorno voi potete, traendo un libro da qualsiasi libreria, o biblioteca, guardare.
Ricordate gli occhi di quei bambini di Varsavia, ricordate quel bambino col berrettino che esce con le mani così, egli rappresenta visivamente la notte e la nebbia dell'ideologia; ricordate quel bambino in mezzo alle SS, lo ricordate quello? Non potete ignorare queste cose, come potete ancora parlare in questo modo, come potete ancora offrire questa ideologia rappresentata da cose tremende, ormai storicamente documentate dal diario di Anna Frank, dai racconti di quelli che sono vissuti in campi di concentramento, dagli italiani che sono stati a Buchenwald, a Mathausen Oswicim! Basta aprire un libro per essere oppressi dall'orrore di cose che non hanno fine neanche nell'abisso.
Oggi vorreste dire che quelle sono sciocchezze, che l'antifascismo è morto; l'antifascismo è in tutti noi come un fatto centrale della nostra vita, noi vogliamo salvare gli istituti democratici ad ogni costo, a costo della nostra vita, dovrete passare sui nostri cadaveri per fare un passo avanti. L'abbiamo fatto nel '43/44/45, badate che il popolo è disposto a farlo anche oggi, non fatevi illusioni. In queste cose non vi è derisione né irrisione, né ridancianeria, queste sono cose che ci uniscono.
L'inchiesta della Lombardia non è una cosa sciocca, è una cosa seria sfociata quando il procuratore generale di Milano Bianchi d'Espinosa ha iniziato un'azione decisa sulla legge Scelba ed ha già raccolto una montagna di prove sulla ricostituzione del fascismo. Gli istituti democratici vanno al di là delle nostre vite, si tramandano e si tramanderanno ai nostri figli che vogliamo difendere. E' per questo che abbiamo sottoscritto la mozione.
Non dite sempre le solite sciocchezze come quella che i comunisti trovano la sinistra D.C.; tra l'altro chi ha firmato la mozione è Vittorio Beltrami che con la sinistra D.C. non ha a che fare.
Voi avete un popolo contro di voi, avete il mondo contro di voi, è inutile che veniate a parlare in questo modo, queste sono cose tremendamente serie che ci legano al di là delle differenze di partito siamo disposti a rinunciare a ogni differenza di partito, siamo disposti ad un dialogo comune per salvare le istituzioni che voi insidiate e le insidiate con i metodi peggiori, approfittando di un momento di crisi economica non per risolverla ma per demolire il Paese.
E' per questo che noi abbiamo sottoscritto la mozione e chiediamo che si proceda alla convocazione di questa assemblea perché è il Piemonte degli eroi della guerra di Liberazione, il Piemonte di Dante Di Nanni e di tutti gli altri martiri che lo vuole, che lo pretende. Se vi sono oggi gli eletti del popolo è perché c'é chi ha dato la vita perché ritornasse il sistema democratico in Italia. Non fatevi illusioni, non lo cancellerete, siamo la settima nazione del mondo, non sarete voi a cancellarla dalla faccia della terra. Voi approfittate di una crisi economica che non è soltanto nostra ma investe l'Europa (i motivi li potremo esaminare diversamente) voi volete mettere il vostro punteruolo non per aiutare a risolverla in modo che sia salvata l'occupazione, ma soltanto perché si rompa l'istituzione democratica. E' sufficiente pensare che cosa hanno voluto dire i campi di concentramento, che cosa ha voluto dire Boves incendiata, Marzabotto e tante altre cose per dire che voi dovreste letteralmente sparire.



CURCI Domenico

Ti piacerebbe!



CARAZZONI Nino

Allora perché vi fa paura uno che viene a parlare a Torino.



VIGLIONE Aldo

Non fatevi illusioni, il popolo italiano ha ritrovato la democrazia non la butterete certamente giù perché faremo fronte unico e siamo pronti l'abbiamo sempre dimostrato, a dare un contributo per questo, ma non cancellerete, lo ripetiamo, dalla faccia del mondo la settima potenza economica, non siamo la Grecia, abbiamo ritrovato delle istituzioni che hanno forze popolari salde come pilastri, quindi non avverrà mai perché le forze popolari resisteranno. E' per questo che abbiamo sottoscritto la mozione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello, ne fa facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, sono spiacente che sia assente l'altro comunistello di sacrestia, amico Beltrami, che ieri ha firmato con me questa mozione al di là (lo diciamo chiaramente) delle formule organizzative che la mozione propone, ritenendo soprattutto di fare un atto di protesta morale ancora prima che politico, verso una manifestazione indetta dal MSI e che può essere considerata da noi altro che come un'offesa nei confronti della nostra città e della nostra regione. Direi prima di tutto a livello morale perché di De Lorenzo ha parlato prima Sanlorenzo (c'é un'assonanza puramente casuale) in relazione ad un episodio particolare di cui è stato protagonista questo allora notevole esponente delle forze armate italiane, che a me pare come è parso all'amico Beltrami (dopo una firma rapida, che in un certo senso ci mette un pochino in difficoltà, ma non certamente nella sostanza della nostra adesione) un supremo esempio di trasformismo che verrebbe presentato alla nostra cittadinanza.
Difatti un uomo che poco tempo prima di diventare deputato al Parlamento, vestendo la divisa dell'esercito italiano portava il nastrino della guerra di Liberazione.....



GIOVANA Mario

Che aveva giurato alla Repubblica.



GARABELLO Enzo

.... che dopo aver portato questo nastrino e probabilmente anche a seguito di questo, ha potuto coprire le massime cariche nell'organizzazione della difesa del nostro Paese, dal comando dei Carabinieri alla posizione di capo di Stato Maggiore dell'esercito - quindi ponendo quattro stellette unico generale in Italia in quel periodo - che dopo aver "servito" (lo devo mettere fra virgolette a questo punto) la Repubblica a questi livelli nel deporre la divisa si propone come candidato al Parlamento per conto di una forza certamente molto patetica ma che per definizione è contro la Repubblica, cioè il partito monarchico, pronto però, dopo pochi mesi ad abbandonare il partito monarchico e gli elettori che lo avevano mandato abbagliati soprattutto dal suo passato militare e magari un po' dal monocolo che continua a sfoggiare anche oggi passa al MSI, quest'uomo veramente chiude una parabola e non può non essere tacciato di supremo trasformismo.
La nostra adesione ha anche il significato di protesta morale oltre che politica. In questo Consiglio vi sono esponenti di vari partiti, comprese le massime autorità dell'assemblea, che hanno dato un contributo attivo e personale e molti di noi, chi più chi meno, ha dato il proprio contributo alla Resistenza. Noi riteniamo che oggi i valori della Resistenza non siano morti, ma debbano essere presentati nella giusta luce ai giovani e che la nostra attività politica debba avere un atteggiamento pedagogico nei confronti della gioventù per indicare i valori fondamentali su cui la nostra Repubblica è basata. Su questo sono convinto che non ci possano essere divisioni fra le forze che partendo da origini precedenti, partendo da ideologie diverse hanno trovato però il momento per unirsi per il riscatto del Paese.
Noi queste cose le diciamo non per fare della demagogia, ma perché ci crediamo, e gli accenti molto accorati del collega Viglione credo debbano essere accolti da tutti noi che proprio per il fatto di essere stati eletti dal popolo per una formula diversa da quella che si è chiusa con la Resistenza abbiamo delle responsabilità, anche quella di ricordare al popolo italiano il periodo fascista affinché abbia timore di queste forme di neofascismo sulle quali io non mi soffermo.
Quindi al di là delle formule organizzative che la mozione propone, noi dobbiamo ritenere un pronunciamento di carattere generale, unitario delle forze democratiche antifasciste di questo Consiglio e saremmo ben lieti che dal Consiglio stesso, superando eventuali difformità negli aspetti pratici della questione, salisse un monito e una dichiarazione solenne di questi principi. Noi pensiamo che soltanto assumendo così le responsabilità nei confronti dei nostri elettori, delle nostre popolazioni, dei nostri giovani se consentite - e non ditemi che questa è demagogia, perché si richiama a valori veramente fondamentali - possa nascere un pronunciamento unitario.
So che il nostro Capogruppo ha in animo di presentare un documento ed io mi auguro che sarà accolto da tutti. Con la nostra partecipazione, la mia e di Beltrami (credo di poter parlare anche per lui, al di là del "comunistello" o meno che non mi tocca, è una cosa talmente vecchia e abusata che ce la siamo lasciata dietro le spalle) invitiamo tutti quanti i colleghi dei gruppi che si richiamano all'antifascismo ad un pronunciamento solenne ed unitario.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi, sulla scia dell'intervento del collega Garabello non posso non confermare la nostra piena, totale convinta adesione per il contenuto, la sostanza morale, ed ogni forma di condanna nei confronti del fascismo, di ogni sua reincarnazione e di ogni suggestione che possa percorrere il Paese, prospettando possibilità di affermazione di forze totalitarie di destra.
Dissento invece, con tutta tranquillità e serenità, credo non sospetta da certi aspetti tattici e anche strumentali che non è possibile non ravvisare in certi momenti e in certi atteggiamenti che hanno per riferimento delle situazioni che non neghiamo e di fronte alle quali non siamo certo noi a desolidarizzare. Intendo dire che è estremamente pericoloso, ingenuo, oppure strumentale ed utile ad altri fini, ma non a quello di una vera azione antifascista di sostanza, prendercela con il fascismo storico dimenticando che non si ripetono mai due volte nella storia certi movimenti. Potrebbe costituire veramente un inganno della storia quello di correre a difendere le frontiere civili del Paese in una certa direzione per poi ritrovarci il fascismo in casa con altre forme e divise proveniente da altre frontiere sguarnite. Certo è facile, istintiva l'avversione per tutto ciò che riguarda il fascismo storico, ma badiamo bene che in questo momento rischiamo di dare rilievo e importanza ad un comizio trascurabile di un personaggio screditato, sgonfiato discutendone in un Consiglio Regionale quasi forse sotto l'incubo e il timore - e non lo è - di un discorso del vecchio ed almeno, politicamente stanco, gen. De Lorenzo. Non commettiamo errori di questo genere perché diamo vigore o spazio politico a chi non lo ha. Esprimiamo le nostre condanne nel modo più vibrato, ma anche nel modo più proporzionato, non diamo l'impressione che il fascismo è tornato ad essere protagonista della vita politica italiana perché non lo è, sarebbe una grande mistificazione questa, il fascismo non è e non tornerà ad essere un protagonista della vita politica italiana; è una lotta che avviene fra fantasmi di un passato di diverso segno. Il popolo italiano è andato molto più avanti. Facciamo allora un discorso che sia più aggiornato perché veramente si rischia di suscitare, di convalidare presso i più ingenui, presso coloro che sono culturalmente meno provveduti l'idea che il fascismo tradizionale storico, le cosiddette legioni o centurie fasciste siano alle porte. Il fascismo invero si insinua in infiniti modi, in infinite forme nella vita di un Paese. Noi sappiamo che non basta dirci fascisti per esserlo e non basta dirsi antifascisti per non essere fascisti. E' pieno il Paese oggi di antifascisti che danno del fascista al prossimo senza accorgersi di esserlo loro stessi. Questi atteggiamenti sono pericolosi e bisogna anche denunciarli. Ma cos'hanno di diverso dalle squadre fasciste (questo dovremmo avere il coraggio morale di dirlo) perché fascisticamente si comporta ad esempio il movimento cosiddetto studentesco con le sue caratteristiche milanesi, che è fascista integrale nei metodi, nei sistemi, nelle forme organizzative, nella passionalità, nell'assenza di ogni riconoscibile idealità sociale? Queste cose dobbiamo avere bene presenti se non vogliamo incorrere in un colossale equivoco storico, dando l'impressione che le forze espresse dai valori della Resistenza sono improvvisamente tremebonde di fronte all'apparire di qualche sparuta pattuglia neofascista. Perché è questo che fa ringalluzzire e fa assumere dei toni di sfida a questa gente. L'hanno sempre detto: bastano tre fascisti in piazza per mettere lo scompiglio, per farli scappare tutti. Non è vero e se volessimo divertirci a rievocare degli episodi vedremmo come si invertivano queste parti, come fossero i fascisti carichi di ardimento quando avevano dietro di sé tutto un apparato dello Stato, un apparato poliziesco, una potente macchina di guerra europea che non era quella italiana, ma non lo erano altrettanto dopo (singolarmente possiamo riconoscere il coraggio fisico di qualcuno). Non accreditiamo l'idea che siamo in procinto di scappare perché qualche fascista, o presunto tale, scende in piazza. Per respingere le suggestioni di fascismo bisogna ascoltare una interruzione che ha fatto qui Berti tempo addietro che poteva valere o no in quella circostanza, ma che vale in generale per respingere suggestioni fasciste, per respingere i moti di stanchezza che fanno dire a molta gente: io non sono fascista. Non li abbiamo sentiti dire in treno o altrove: "io non sono fascista, ma una scossa ci vuole alle forze democratiche, poi torneremo a votare per i democratici". Insomma bisogna respingere queste suggestioni tutti insieme, questo appello va alle forze democratiche, va al mio partito. Occorre operare con senso unitario con senso di responsabilità perché il Paese possa progredire nell'ordine nella pace sociale che non vuol dire mortificazione delle aspirazioni dei lavoratori, vuol dire ragione e opportuna progressività nel proporre pretese e richieste; vuol dire valutazione razionale delle risorse che esistono e delle spinte che il nostro Paese può sopportare. Tutta questa è un'azione antifascista molto più concreta e positiva che non quella di gridare "al lupo, al lupo" perché (e concludo su questo argomento, non vorrei accentuare troppo il mio intervento) a furia di gridare "al lupo, al lupo" qualcuno non ci crederà più e il lupo potrebbe, in vesti diverse e meno riconoscibile, presentarsi e trovarci impreparati.
Certo la democrazia italiana, ha detto bene Viglione, con tutte le sue carenze, con tutte le sue insufficienze, con tutto lo spazio che lascia alle ironie più o meno opportune di certa grande stampa internazionale, è molto più consolidata, è molto più radicata e molto più forte di quanto non appaia dalle insufficienze di forze politiche, da lentezze delle istituzioni, da momenti di smarrimento che in una fase di grande crescenza il nostro Paese può aver avuto.
Non ci sono veramente le condizioni obiettive, tenuto conto dei rapporti internazionali, dell'apertura europea, della fase di sviluppo del Paese, della coscienza democratica che si è diffusa nel mondo del lavoro nel mondo della tecnica, nel mondo della scuola, perché si possa accreditare un ruolo determinante ad un movimento fascista, ma non ci sono neanche le condizioni perché, in nome di una lotta contro un fascismo risorgente, si possano stabilire delle linee di tipo frontista che non hanno assolutamente spazio nel nostro Paese in questo momento. Occorre un nuovo equilibrio, un equilibrio democratico nel quale il ruolo dell'opposizione, il ruolo della maggioranza possano effettivamente essere integrati l'uno all'altro utilmente ai fini del bene della nazione, senza possibilità di alimentare l'opinione che la democrazia italiana ha esaurito le sue possibilità operative e che deve essere ribaltata e sostituita da un nuovo movimento totalitario. Può darsi benissimo che in questa o in un'altra elezione ci sia qualche sbandata dell'elettorato, ne abbiamo già avute in altri momenti di crisi del Paese. Abbiamo avuto l'ondata qualunquista, ed altre, ma è veramente motivo di rammarico che se ne possa ipotizzare una a favore di un movimento condannato, superato, senza proposta mondiale, europeo, senza una seria fase culturale. Non c'é nulla che lo giustifichi, è una coda della storia, è una fase di retroguardia che sarà sicuramente superata. Ma, detto questo, diciamo anche che qualora il fascismo dovesse apparire concretamente come una minaccia alle istituzioni democratiche, alle conquiste di libertà che il nostro Paese ha compiuto, ci sarebbe da parte nostra una decisione estrema, che farebbe tacere molte differenze per difendere ciò che è essenziale, ciò che è fondamentale, ci su cui abbiamo fondato la nostra vita, la nostra speranza per l'avvenire il tipo di avvenire che abbiamo sognato per i nostri figli, che è poi l'avvenire migliore anche per i loro figli, dei figli di chi sogna dei ritorni così innaturali, dei ritorni che noi respingiamo dal profondo del nostro sentimento.
Mi permetto di concludere, per non riprendere la parola, leggendo l'o.d.g. che vorrei presentare: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, attento alle suggestioni che percorrono il Paese intese ad accreditare uno spazio ed un ruolo attivo e determinante per movimenti e forme d'ispirazione autoritaria e neofascista mentre riafferma la volontà delle forme politiche che lo compongono, di operare con impegno rinnovato per il rafforzamento delle istituzioni democratiche e repubblicane, alimentate dai valori della Resistenza che ha sanzionato nell'animo della grande maggioranza degli italiani la definitiva condanna del fascismo, rivolge un appello ai cittadini perché isolino e respingano con una ferma condanna morale e politica ogni iniziativa di carattere o sostanza neo-fascista.
Esprime la propria fiducia nella volontà e capacità delle forme democratiche di garantire il pieno adempimento delle funzioni costituzionali e statuali a tutela di tutte le libertà, quale strumento e via essenziale per durature conquiste civili e sociali quali la Costituzione Italiana ha indicato."



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Vera, ne ha facoltà.



VERA Fernando

Io non credo che si possa contestare al partito cui ho l'onore di appartenere tradizione e vocazione antifascista, non credo che lo si possa contestare per il suo passato, per la sostanza ideologica, per gli uomini che lo compongono, a cominciare dal suo più importante leader politico.
Mi pare che la contestazione che hanno voluto invece attuare i promotori dell'o.d.g., quando i gruppi che sono stati invitati a firmare l'o.d.g. stesso non hanno incluso il gruppo del PSDI forse perché il PSDI non si limita a combattere......



SANLORENZO Dino

Solo perché non c'eri.



VERA Fernando

No c'ero, ero qua seduto, ho visto anche l'o.d.g., ma nessuno mi ha invitato a firmarlo. Forse, dicevo, perché il PSDI non si limita a combattere i totalitarismi di destra, ma si oppone secondo lo spirito e la carta dell'internazionale socialista a tutti i totalitarismi, da qualsiasi parte, da qualsiasi punto cardinale, da qualsiasi paese e di qualsiasi colore essi siano.
Se fossi stato invitato, a nome del mio gruppo, a firmare l'o.d.g.
avrei fatto delle osservazioni più o meno analoghe a quelle fatte dal collega Bianchi. Il nostro gruppo condivide la preoccupazione, lo sdegno per una rinascita nel nostro Paese del fascismo e ritiene che siano strumentalmente inadeguate o sbagliate molte delle iniziative per combattere questa rinascita fascista che vengono proposte.
Io ritengo che sarebbe opportuno che gli organi elettivi (Consigli Provinciali, Comunali, Regionali, Parlamento) facessero meno o.d.g. e più fatti per contenere l'aumento dei voti del MSI. Basterebbe, a mio parere che si tenesse conto che molti dei voti che nelle recenti elezioni di giugno scorso in Sicilia e in altre regioni italiane sono andati al MSI non sono voti fascisti, sono voti di cittadini che ingenuamente, in buona fede, facendo un'erronea valutazione politica hanno ritenuto....



SANLORENZO Dino

Anche nel 1922!



VERA Fernando

.... hanno ritenuto di trovare nel MSI uno strumento adeguato. Proprio nel '22 si è dimostrato che il partito fascista non era lo strumento che permetteva di ovviare a certi mali del Paese, se mai li aggravava. Queste sono le ragioni che hanno spinto molti elettori nel giugno scorso a votare per il MSI. E non vorrei che attraverso strumenti sbagliati, ritenendo in buona fede di combattere con questi strumenti il fascismo, si arrivasse alle prossime elezioni ad aumentare ancora questi voti.
Noi abbiamo visto il gen. De Lorenzo (personalità, a parte il grado politicamente abbastanza sbiadita, basta leggere dichiarazioni, articoli documenti che da lui derivano) grazie a una pubblicità che se fosse valutata su un piano pubblicitario non so quanti non dico milioni, ma miliardi gli sarebbe costata, è riuscito a farsi eleggere deputato; non vorrei che con questi sistemi portassimo nel nostro prossimo Parlamento molti De Lorenzo come lui politicamente sbiaditi, ma in forza del numero strumento di un'azione volta a stroncare la democrazia italiana.
Ritengo quindi che il primo impegno (e mi pare sia adombrato nell'o.d.g. proposto dal collega Bianchi) che deve prendere un organo democratico ed elettivo come il Consiglio Regionale non è tanto quello di organizzare delle manifestazioni o di creare dei comitati permanenti, ma è quello di operare concretamente per rimuovere le cause che traviano molti cittadini verso una forza totalitaria, a cominciare dalla disgregazione del senso dello Stato, dal mancato rispetto della legge, dalla mancata realizzazione di quelle riforme sociali di cui si parla ma che, per l'immobilismo della vita politica italiana, poi non si realizzano, a cominciare anche dalla repressione di quella violenza che non viene condannata ma tollerata perché non si ammanta di panni neri, ma di panni variopinti che possono essere anche quelli del fedayn di qualche movimento studentesco, tipo il Capanna ed il ideologo personale che abbiamo visto ieri sul giornale.
Queste mi pare sono le cose che la democrazia italiana deve fare per restituire fiducia ad un elettorato che è malgrado tutto, un elettorato democratico. Ritengo che non si debba sopravvalutare, come spesso facciamo ma neppure sottovalutare; il pericolo di una rinascita fascista, penso per che si debba sopravvalutare perché sono persuaso, come è persuaso anche il mio partito, che la democrazia italiana nata dalla Resistenza ha delle radici profonde nel popolo italiano e che occorrano dei gravissimi avvenimenti perché queste radici vengano troncate. E se noi partiti democratici sapremo rinnovare il nostro impegno per rimuovere le cause di crisi, di malattia della democrazia italiana, delle istituzioni democratiche, delle strutture sociali del nostro Paese, sono certo che il MSI tornerà in breve tempo ad essere quel movimento sorpassato che è stato fino a un anno fa o due, legato a delle forme politiche storicamente e culturalmente morte.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'o.d.g. che è stato letto poco fa dal collega Bianchi termina con un riferimento alla Costituzione ed io partirò da un riferimento alla Costituzione.
Noi siamo cittadini di una Repubblica la cui Costituzione riconosce il diritto di concorrere a determinare la politica del Paese attraverso i partiti, con metodo democratico; dobbiamo attenerci a questa indicazione essenziale della Costituzione repubblicana. La Costituzione non prescrive che i partiti per essere legittimati nella loro attività perseguano finalità democratiche, purché rispettino il metodo della democrazia. Nel riconoscere questo principio si attua una scelta sostanziale nel senso che si riconosce il diritto di parola, di espressione, di organizzazione anche agli avversari della democrazia.



SANLORENZO Dino

Non al MSI.



ZANONE Valerio

Ne parlerò fra poco. Credo che questa sia la superiorità di fondo della democrazia sulle dottrine e sui regimi non democratici, su tutti i regimi totalitari in generale e sui fascismi in particolare. Certamente vi è oggi una serie di fenomeni che manifestano la presenza, l'attività di organizzazioni di carattere eversivo e forse paramilitare, le quali non sono costituzionali, non sono legali e devono essere represse attraverso l'intervento del Governo e della Legge. Non discriminerei se la violenza di cui queste organizzazioni, più o meno clandestine, sono portatrici, sia una violenza di destra o di sinistra, per il semplice fatto che la violenza non è né di destra né di sinistra, è neutrale; e anche per un fatto storico che molto facilmente la violenza di sinistra trapassa nella violenza di destra. Gli storici dei fascismi, da Woolf a Nolte e a Defelice hanno dimostrato in quante occasioni il radicalismo dell'estrema sinistra sia trapassato nel radicalismo dell'estrema destra.
Ora, dobbiamo chiederci se le manifestazioni sul tipo di quella che avrà luogo domenica, siano ammesse o no nell'ordinamento di questa democrazia di cui siamo cittadini. Io condivido, da un punto di vista contenutistico, le osservazioni fatte dai colleghi Viglione, Garabello Bianchi, vale a dire considero queste manifestazioni, quanto alla sostanza e al tono dei loro discorsi, francamente squallide e ripugnanti.



CURCI Domenico

Vieni, e vedrai quanta gente c'è!



ZANONE Valerio

Non ci vengo perché mi ripugnano ed essendo un libero cittadino posso assentarmi dalle manifestazioni che ritengo ripugnanti. Però penso anche che esse debbano qualificarsi e condannarsi da sole. Perché - per venire alla obiezione che faceva poco fa il collega Sanlorenzo - in questa reminiscenza del fascismo che vi è oggi in Italia, il fascismo storico (quello vietato dalla Costituzione) è nettamente secondario; oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno che sarà più o meno filologicamente corretto definire neofascismo, comunque di fronte ad una tendenza reazionaria di estrema destra che ha radici vecchie, ma ha anche caratteristiche di novità. E il pericolo sta nelle caratteristiche di novità, in questa tendenza reazionaria che è oggi in atto nel Paese. Le radici vecchie sono quelle degli anni che precedettero il '22, cioè il malessere dei ceti medi; in fondo i fascismi si formano in genere per un accentuato malessere dei ceti medi e non credo si possa tacere la responsabilità che un certo tipo di gestione del potere governativo e della politica italiana nel suo complesso ha nei confronti di questo malessere.
Se ci fosse qui il collega Gandolfi potrebbe ricordarci ciò che giustamente ha sostenuto un parlamentare del suo partito: mentre le grandi democrazie sono capaci di fare le riforme senza spaventare i ceti medi, noi abbiamo una democrazia che ha spaventato i ceti medi ma non è capace di fare le riforme.
Il problema sostanziale quindi non è tanto quello di richiamarci ad una solidarietà antifascista di tipo generico, ma è quella di promuovere una solidarietà democratica effettiva. Ciò che porterà voti al MSI, se ci saranno le elezioni, non saranno le esibizioni di questi generali di tipo sudamericano o di altri personaggi del genere; se fosse solo questo, il fenomeno potrebbe lasciarci tranquillamente noncuranti; sarà piuttosto l'assenza di una gestione democratica capace di affrontare le scadenze di questo ultimo anno di legislatura, il referendum contro il divorzio, la crisi industriale e occupazionale, i rinnovi dei contratti di lavoro; per cui ci si trova di fronte ad una situazione politica in cui non vi è più una possibilità di coalizione in grado di gestire l'ultimo anno della legislatura e si fa quindi l'ipotesi della insorgenza del pericolo neofascista. Se pericolo, a mio avviso, non sta quindi nella forza dell'on.
Almirante, sta nella debolezza nostra, nella debolezza delle forze democratiche. E mi chiedo, di fronte ad una mozione come questa, se si faranno le elezioni anticipate, cosa vogliamo fare? Tutte le volte che il MSI organizzerà un comizio al Cinema Lux noi dedicheremo a questo comizio un dibattito nel nostro Consiglio Regionale? Questa - e concordo con quanto diceva Bianchi poco fa - sarebbe una eccessiva attenzione verso un fenomeno che (così come l'estremismo di sinistra secondo un noto detto è una malattia infantile), è una senile di determinate frange della nostra opinione pubblica e del nostro elettorato.
Commetteremmo quindi un grave errore se ci occupassimo eccessivamente di questo fenomeno e non procedessimo invece a rimuoverne le cause. E' su queste che il Consiglio Regionale può operare.
In questo senso e con queste motivazioni, noi aderiamo pienamente all'o.d.g. che è stato presentato dal collega Bianchi.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Vi sono due documenti presentati: la mozione illustrata dal Consigliere Sanlorenzo e quella illustrata dal Consigliere Bianchi.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Proporrei una breve interruzione affinché sia possibile concordare un documento unitario.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa.



(La seduta sospesa alle ore 22,35, riprende alle ore 23,30)



PRESIDENTE

La seduta è ripresa. Dato che il testo è ancora manoscritto, vorrei pregare il Consigliere Bianchi di darne lettura.



BIANCHI Adriano

"Il Consiglio Regionale del Piemonte, di fronte alla multiforme attività eversiva di carattere fascista e al tentativo di accreditare l'esistenza nel Paese di uno spazio e di un ruolo per movimenti e forze di ispirazione autoritaria e neofascista, mentre riafferma la volontà delle forze antifasciste che lo compongono di operare con impegno rinnovato per il rafforzamento delle istituzioni democratiche repubblicane, alimentate dai valori della Resistenza che ha consacrato nell'animo degli italiani la definitiva condanna del fascismo rivolge un appello ai cittadini perché isolino e respingano con una ferma condanna morale e politica ogni iniziativa di carattere o sostanza neofascista esprime la propria certezza che la volontà e la capacità delle forze democratiche sapranno garantire il pieno adempimento delle funzioni costituzionali e statuali, a tutela di tutte le libertà, quale strumento e via essenziale per le conquiste civili e sociali sancite dalla Costituzione. F.to Bianchi, Nesi, Furia, Zanone e Vera".



PRESIDENTE

Vi sono dichiarazioni di voto? Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

E' evidente che il testo letto dal collega Bianchi è il testo unitario e quindi prevede anche la nostra firma. Il nostro gruppo si riserva soltanto di presentare, in una prossima seduta, una proposta specifica operativa che tenda a dare a questo pronunciamento del Consiglio Regionale un significato più pregnante di quello che è stato il succo del dibattito che abbiamo svolto in questa seduta.



PRESIDENTE

Nessun altro chiede di parlare? I Consiglieri hanno sentito la lettura del testo fatta ora dal collega Bianchi, non vi sono dichiarazioni di voto, quindi pongo in votazione il progetto di mozione che è stato letto dal Consigliere Bianchi. E' approvato.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni - Asili nido

Ordine del giorno sugli adempimenti di legge relativi alle leggi della Repubblica sugli asili-nido


PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare la Consigliera Fabbris.



FABBRIS Pierina

Prima di chiudere i lavori della seduta vorrei rivolgere una preghiera: ieri sera, nella fretta un po' di tutti, a conclusione della discussione sul punto relativo agli adempimenti di legge e all'attuazione della legge sugli asili nido, io ho fatto una richiesta che poi si è persa. Oggi pomeriggio invece abbiamo concordato un o.d.g. che io proporrei di mettere in votazione perché dovrebbe apparire a conclusione di quella discussione un documento unitario. Penso che dal punto di vista formale non vi siano delle difficoltà. Vorrei proporre che ne venisse data lettura.



PRESIDENTE

La Giunta lo conosce? E' d'accordo? Ci sono obiezioni che venga messo in votazione ora? Allora ne dò lettura: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, preso atto degli orientamenti emersi nel dibattito sugli adempimenti della Regione in attuazione della Legge 2001 per l'approvazione del piano degli asili nido, che attribuisce alla Regione e agli enti locali pieni poteri in materia constatato che il decreto delegato per la beneficenza pubblica non prevede un trasferimento alle Regioni delle funzioni esercitate dagli enti nazionali che svolgono attività nel campo assistenziale invita il Governo: 1) a predisporre tempestivamente la tanto auspicata legge quadro sull'assistenza e beneficenza che: a) consenta alle Regioni, in rapporto di solidarietà nazionale, di realizzare una decentrata efficiente, qualificata rete di prestazioni b) provveda a trasferire i compiti, le funzioni e i mezzi finanziari relativi all'ONMI ed a quegli altri enti assistenziali nazionali nella salvaguardia dei diritti acquisiti dal personale 2) nell'attesa della riforma globale dell'assistenza di cui al punto 1), ad intensificare l'azione di vigilanza sugli enti di assistenza all'infanzia, utilizzando e responsabilizzando gli organi di controllo locale".
Qualcuno chiede di parlare? Se non vi sono richieste di parola e non vi sono obiezioni a che venga messo ai voti, lo pongo in votazione. E' approvato.


Argomento: Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

Mozione di sfiducia alla Giunta


PRESIDENTE

Prima di chiudere la seduta debbo dare lettura di una richiesta che mi è giunta da 14 Consiglieri Regionali, di convocare il Consiglio in sessione straordinaria. Alla richiesta è allegata una mozione di sfiducia nei confronti della Giunta. Il documento è sottoscritto dai tredici Consiglieri comunisti e dal Consigliere Giovana ed è così concepita: dal luglio 1971 una giunta DC-PSDI-PRI, priva di una maggioranza dichiarata, ma di fatto apertamente orientata a destra, condanna alla crisi permanente ed all'immobilismo la Regione Piemonte.
Mentre si approssima il trasferimento delle funzioni e del personale statali alle Regioni, mentre in altre Regioni, come l'Emilia Romagna governate da maggioranze di sinistra, si passa dalla fase costituente alla concreta definizione di programmi di attività rinnovatori, in Piemonte si manifestano tutti i fenomeni degenerativi caratteristici delle gestioni della destra conservatrice: scelte di campo economiche subordinate alle direttive dei gruppi economici dominanti in Piemonte, arrembaggio al controllo dei centri di potere delle banche pubbliche, cumulo nelle cariche, nullismo nei confronti di una politica concreta di programmazione rinvio nella messa in cantiere degli strumenti regionali di intervento per una politica di piano, mentre si aggravano le conseguenze della crisi e l'attacco all'occupazione. Tutto ciò è accompagnato da un esasperato tentativo di creare in Piemonte una Regione Presidenziale, dove persino la Giunta Regionale sia ridotta a un simulacro di organo esecutivo, dove tutto sia ridotto alle scelte o del gruppo di potere che controlla la D.C.
Piemontese, o alle scelte personali del Presidente della Giunta ed ai suoi accordi privati con il sottobosco della socialdemocrazia.
La situazione minaccia anche il funzionamento del Consiglio Regionale i cui organi hanno sinora dovuto combattere una continua battaglia per poter malgrado tutto continuare ad operare.
In una situazione caratterizzata dalla pressoché totale mancanza di iniziativa della maggioranza (l'80% dei punti all'o.d.g. del Consiglio sono stati proposti o imposti dal gruppo comunista o dalle sinistre) la presenza dell'esecutivo si è fatta sentire pressoché unicamente attraverso il tentativo di bloccare l'attività dell'assemblea e delle Commissioni con rinvii, pretesi e procedure assurde, violando il Regolamento e lo Statuto anche in norme essenziali ed elementari come la pubblicità degli atti, con i ritardi, prima nella messa in opera dei Comitati di Controllo, poi cercando d'imporre un regolamento antiautonomistico e non operando per mettere a disposizione il personale necessario. L'autonomia funzionale contabile del Consiglio è di fatto impedita: a due anni dalla sua costituzione la Regione non ha mai potuto discutere un bilancio preventivo mentre si sono già spesi oltre due miliardi per l'acquisto della sede. Nei fatti si afferma un metodo che tende ad esautorare il Consiglio delle sue funzioni: scelte di politica economica, in accordo con i gruppi monopolistici, impegni di vario genere, e persino le dimissioni del Presidente e della Giunta vengono sistematicamente pubblicizzati e decisi fuori delle sedi e degli organi previsti dallo Statuto.
Gli stessi partiti che fanno parte della maggioranza con la D.C. e, a volte, gli stessi Assessori democristiani vengono messi di fronte al fatto compiuto.
Il persistere di una tale situazione può mettere in discussione i fondamenti stessi sui quali, si è dato vita alla Regione Piemonte oltre che rappresentare un aperto sostegno a tutte le manovre in atto in campo nazionale per imporre una svolta a destra. Se, malgrado la svolta a destra del luglio 1970, si è potuto imporre il funzionamento del Consiglio modificare radicalmente le poche leggi presentate dalla Giunta, impedire l'approvazione del suo regolamento dei Comitati di Controllo, e impegnare qualche singolo assessorato nei gravi e drammatici problemi inerenti alla crisi industriale questo è stato reso possibile in primo luogo, dalla presenza, della lotta, della mobilitazione dei lavoratori cui si è accompagnata una costante iniziativa del gruppo comunista e della sinistra del Consiglio.
Ma la gravità dei problemi che la Regione Piemonte deve affrontare a breve scadenza non può più consentire a nessuna forza politica democratica del Consiglio di accettare la permanenza al Governo della Regione di una maggioranza che finisce per costituirne il principale ostacolo a qualsiasi disegno democratico di costruzione dell'Istituto Regionale. E' tempo per tutte le forze democratiche e di sinistra di assumere la responsabilità di una iniziativa che liquidi il centro-destra e operi per una svolta democratica. E' necessario che tutte le forze della sinistra e democratiche traggano tutte le conseguenze nei confronti di una Giunta la cui linea viene decisa fuori dal confronto democratico dell'assemblea e obbedisce alla logica dei centri di potere che vogliono la subordinazione della Regione stessa alle loro scelte. E' possibile con la caduta della Giunta Calleri, riaprire su basi nuove il confronto costruttivo aperto con lo Stato Regionale per un programma e per una nuova maggioranza di svolta democratica che risponda alle esigenze ed ai problemi della realtà piemontese.
In relazione a quanto sopra i gruppi consiliari del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, in applicazione all'art. 33 dello Statuto, invitano i Consiglieri Regionali a votare la sfiducia alla Giunta in carica e a tale scopo presentano la seguente mozione: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, dopo ampia discussione sull'attività della Giunta esprime su di essa la propria sfiducia".
La mozione porta il numero di firme regolamentare.
Il Presidente della Giunta dice che sarebbe disposto a discutere adesso. Il Consiglio ci sta? Comunque il guaio è che non è iscritto all'o.d.g., come mi ha fatto rilevare prima scherzando il Presidente della Giunta, il Consiglio sarà quindi convocato entro i termini previsti dall'art. 26 dello Statuto.
Avendo esaurito l'o.d.g. e non essendo previsti altri punti di discussione, il Consiglio sarà convocato a domicilio con accluso l'o.d.g.
della seduta in cui sarà convocato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 23,45)



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