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Dettaglio seduta n.80 del 08/02/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Informo che hanno chiesto congedo il Presidente Vittorelli, il Presidente della Giunta, Calleri, l'Assessore Visone, i Consiglieri Nesi e Soldano. Alcuni colleghi sono in una sala adiacente, riuniti per la Giunta delle Elezioni, e verranno in aula fra poco.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione del Consigliere Sanlorenzo sulla situazione della Ditta Bemberg


PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Sanlorenzo Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Mi consenta, signor Presidente, di rivolgere una domanda alla Giunta su una questione di vivissima attualità.
I giornali pubblicano oggi la notizia che la Direzione della Bemberg dopo aver comunicato, successivamente alla seduta del Consiglio Regionale che erano stati sospesi i 238 licenziamenti, li ha ieri confermati totalmente, informandone le organizzazioni sindacali.
Siccome per una verifica di tutta la questione era stato deciso un appuntamento, che la Giunta deve fissare, tra il Presidente della Bemberg ing. Costa, e il Presidente della Giunta Regionale Piemontese, dott.
Calleri, vorrei sapere se si è già provveduto a decidere la data dell'incontro.



PRESIDENTE

La Giunta è in condizioni di rispondere a questa interrogazione, di carattere urgente? Ha facoltà di parlare il Vicepresidente Cardinali.



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Devo obiettivamente dire che non sono in grado di rispondere: non so quale data sia stata scelta per l'incontro diretto fra il Presidente Calleri e il Presidente della Bemberg, al quale la Giunta si era impegnata.



SANLORENZO Dino

Però, la Giunta assicura che solleciterà questo incontro, alla luce anche della nuova denuncia?



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Il fatto nuovo denunciato dal Consigliere Sanlorenzo, che io mi premurerò di comunicare al Presidente Calleri, lo indurrà certamente a stringere i tempi per questo incontro.



PRESIDENTE

Chiedono di parlare i Consiglieri Revelli e Lo Turco. Ad evitare infrazioni al regolamento, ricordo che come norma queste interrogazioni possono essere fatte verbalmente all'inizio di seduta soltanto se hanno carattere di particolarissima urgenza, altrimenti si dovrebbe sempre seguire il sistema della presentazione scritta dell'interrogazione.


Argomento: Università

Interrogazione del Consigliere Revelli sulla situazione degli Universitari torinesi (rinvio)


PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Dato il persistere della situazione di disagio all'Università, dove gran numero di studenti ancora non sono riusciti a perfezionare tutte le pratiche di segreteria relative ai corsi e via dicendo, vorrei sapere a che punto è l'azione della Giunta concordata in sede di Consiglio con precisa mozione tempo fa.



PRESIDENTE

E' assente oggi, avendo chiesto congedo, l'Assessore Visone. Non credo che la Giunta sia diversamente in grado di riferire, e pertanto dovremo rinviare la risposta ad altra seduta.


Argomento: Varie

Interrogazione del Consigliere Lo Turco sull'intervento della forza pubblica alla ditta Oreal


PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Lo Turco, sempre che si tratti di interrogazione urgentissima.



PRESIDENTE

LO TURCO Giorgio



PRESIDENTE

E' veramente urgente, signor Presidente. Si riferisce alla vertenza Oreal, di cui già nei giorni scorsi ci eravamo occupati.
Devo denunciare un fatto gravissimo, accaduto questa mattina.
Ventiquattro ore fa scadeva il termine della procedura per i licenziamenti: questa mattina alle 6, senza alcun preavviso, le forze dell'ordine sono entrate in massa (si parla di trecento poliziotti armati, in assetto di guerra) nella fabbrica, che i lavoratori avevano deciso di presidiare in assemblea permanente per la tutela del loro posto di lavoro. I lavoratori non hanno opposto resistenza e sono usciti dallo stabilimento; al normale orario di ripresa del lavoro sono rientrati e presidiano ancora la fabbrica in assemblea permanente.
Il fatto è tanto più grave in quanto le forze di polizia sono intervenute senza un mandato scritto, con l'intento, dichiarato da un vice questore che non ha però rivelato la sua identità, di "restituire la proprietà all'Oreal".
I lavoratori sono in agitazione e le organizzazioni sindacali già stanno assumendo iniziative a livello di zona per una risposta unitaria di tutte le categorie. Chiedo quali iniziative si propone di adottare la Giunta - mi spiace che sia assente proprio oggi l'Assessore al Lavoro perché fatti del genere, lesivi dei diritti dei lavoratori di organizzarsi nella lotta per la tutela del proprio posto di lavoro, non abbiano più a ripetersi.



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Non so proprio che risposta potrei dare, Consigliere Lo Turco. La Giunta prende atto di questa sua denuncia e attraverso gli Assessori competenti verificherà le modalità dei fatti ed i motivi che li hanno determinati. Se la polizia è entrata nello stabilimento come lei ha dichiarato, senza un preciso mandato di alcun genere, mi pare che il suo intervento sia per ciò stesso fuori dalla legalità.
Provvedimenti, però, la Giunta non ne può annunciare in questo momento: può soltanto assicurare che approfondirà la questione e qualora risultino confermati i fatti segnalati adirà alle autorità competenti per evitare che venga ulteriormente aggravato il quadro di tensione che già esiste nel nostro Piemonte.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Passiamo al punto 1 dell'ordine del giorno: "approvazione verbali precedenti sedute".
Prego un Consigliere Segretario di procedere alla lettura dei processi verbali relativi.



GERINI Armando, Segretario

dà lettura dei processi verbali delle adunanze antimeridiane e pomeridiane del 2 e del 3 febbraio 1972



PRESIDENTE

Vi sono osservazioni sui verbali letti? Nessuna? Allora, si intendono approvati senza riserve da tutti i Consiglieri presenti.
Il punto 2 dell'o.d.g. reca: "Comunicazioni del Presidente". Il Presidente non ha comunicazioni da fare.


Argomento: Trattamento economico dei Consiglieri

Esame della proposta di legge d'iniziativa dei Consiglieri Fassino Gandolfi, Menozzi, Nesi e Vera circa la "Determinazione delle indennità di funzione di carica e della indennità di trasferta spettanti ai membri del Consiglio Regionale" (rinvio)


PRESIDENTE

Passiamo pertanto al punto terzo: "Esame della proposta di legge d'iniziativa dei consiglieri Fassino, Gandolfi, Menozzi, Nesi e Vera circa la 'Determinazione delle indennità di funzione di carica e della indennità di trasferta spettanti ai membri del Consiglio Regionale' ".
L'argomento non è stato ancora definito, e pertanto questa proposta di legge dovrà subire ancora una battuta di sosta: potrà essere presa in esame domani mattina, nella riunione, già convocata dal Presidente Vittorelli dei Capigruppo e dell'Ufficio di Presidenza; poi dovrà ritornare alla Commissione che è stata investita specificamente dell'argomento, cui compete riferire in merito. Se, prima del termine della seduta di oggi, si paleseranno prospettive di relativa certezza che tutto questo lavoro possa essere compiuto nella giornata di domani, si potrebbe convocare il Consiglio - dato che era già stata prevista un'eventuale convocazione per il 9 febbraio - per domani ad una certa ora, per passare l'esame della proposta di legge. Se queste prospettive, invece, non dovessero esserci, si dovrebbe necessariamente rinviare la questione ad una successiva prossima riunione del Consiglio. Pregherei pertanto, al termine della odierna seduta, il Presidente della Commissione di informarmi in modo che io possa annunciare la convocazione per domani 9 o il rinvio della discussione ad altra seduta.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni - Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame della bozza di osservazioni allo schema di D.P.R. sul riordinamento del Ministero della Sanità


PRESIDENTE

Passiamo al punto quarto dell'ordine del giorno: "Esame della bozza di osservazioni allo schema di D.P.R. sul riordinamento del Ministero della Sanità", di cui è relatore il Consigliere Viglione.
Faccio anzitutto presente che a pag. 9 della relazione vi è un errore non soltanto di copiatura: si parla di 50 divisioni laddove sono invece 49.
Il testo che è stato distribuito deve essere pertanto rettificato in questo senso: 49 divisioni anziché 50.
Ha facoltà di parlare, per illustrare la bozza di osservazioni, il relatore Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo, relatore

Signor Presidente, la legge 18 marzo 1968, n. 249, modificata dalla legge 28 ottobre 1970, n. 775, prevede specificamente che il Governo della Repubblica è delegato ad emanare decreti aventi valore di legge ordinaria per la revisione e l'ordinamento dei servizi centrali dei Ministeri.
La legge precisa inoltre i criteri direttivi: il numero delle direzioni generali, degli uffici centrali assimilabili e delle divisioni dev'essere ridotto in conseguenza del trasferimento alle Regioni delle attribuzioni degli organi centrali dello Stato nelle materie indicate all'art. 117 della Costituzione nonché della delega alle Regioni stesse dell'esercizio di altre funzioni amministrative a norma dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione. L'art. 3 impone altresì la corrispondente riduzione degli Uffici periferici per via delle nuove attribuzioni alle Regioni. Cioè questa legge dice specificamente che gli organi dello Stato, dei Ministeri investiti dal piccolo tifone regionale - per adesso è un piccolo tifone regionale - dovrebbero essere ridimensionati in rapporto ai compiti che la Costituzione assegna alle Regioni e che il Governo trasferisce loro ai sensi della Costituzione.
Sulla bozza - perché è un decreto del Presidente della Repubblica avente valore di legge in quanto si aggancia alla Commissione parlamentare per gli affari regionali - concernente il riordinamento del Ministero della Sanità, la Regione stessa è chiamata ad esprimere il suo parere. Diremo poi in che modo è stata chiamata ad esprimere tale parere, perché in questo sta la contraddizione più evidente.
Preliminarmente, il Consiglio non può non rilevare l'allarmante prospettiva in cui si colloca il sorgere dell'istituto regionale, per una scarsa volontà regionalista dei pubblici poteri, per la quasi insormontabile resistenza della grossa democrazia, per la contraddittorietà e la carenza delle leggi delegate e di riordino, per la persistente opera di demolizione del dettato costituzionale, che aveva invece concepito le autonomie come fatto vivo e concreto, ancorato soltanto allo stesso dettato costituzionale e alla libera scelta delle popolazioni interessate.
Ancora una volta (e fino a quando? ) il Consiglio Regionale deve richiamare i termini generali della questione, perché solo collocandola nel più ampio contesto dei rapporti fra Stato e Regione, e volutamente ignorando l'esame particolaristico, si può giungere ad una esatta valutazione del grave problema.
Il decreto delegato per il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di "assistenza sanitaria ed ospedaliera" e dei relativi uffici e personale deve costituire un corpo solo con il riordino del Ministero della Sanità, nel contesto delle norme costituzionali, che all'art. 117 determinano le materie di spettanza della Regione; non un corpo separato, come appare oggi e come viene offerto oggi alle Regioni. Non vi é, e non vi deve essere, una visione frammentaria, ma un quadro regionalista omogeneo, libero da vincoli e controlli, in cui l'unica affermazione statuale siano il potere di indirizzo e coordinamento, gli obblighi internazionali ed il programma.
Ecco la triplice, chiamandola così, dello Stato nei confronti delle Regioni: il coordinamento, gli obblighi internazionali ed il programma.
Dispone, infatti, l'art. 17 lettera a) della legge 16/5/1970 n. 281 che "le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato nelle materie indicate dall'art. 117 della Costituzione saranno trasferite alle Regioni. Nelle stesse materie resta riservata allo Stato la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività delle Regioni che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi del programma economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali".
In conseguenza, il quadro che si presenta oggi al Consiglio Regionale per il parere sul riordinamento del Ministero della Sanità appare gravemente deteriorato dagli inadempimenti costituzionali e dall'impropria ripartizione dell'attribuzione delle competenze - avevamo parlato a questo proposito di una sorta di mezzadria impropria - che si è instaurata a seguito dei decreti delegati. (Proprio ciò che noi temevamo: dicevamo che tutte le attribuzioni dovevano essere date ai sensi della 117, e invece si assiste a quella che noi qui definiamo "impropria ripartizione" ma che dovremmo invece chiamare "abnorme mezzadria"). Inoltre, del parere delle Regioni si è tenuto scarso conto, ed oggi si vorrebbe che le stesse Regioni avallassero questa carenza.
Ma non vuole il Consiglio Regionale ritornare sulla polemica delle competenze che già contraddistinse la prima fase dei pareri sui decreti delegati. Non sarà, però, inutile ricordare quanto affermò il nostro Consiglio nel momento in cui espresse il parere per il decreto delegato sull'assistenza sanitaria ed ospedaliera.
"Visto in questo quadro il riferimento, il decreto delegato evidenzia i suoi limiti, le sue contraddizioni, e ponendosi fuori dai principi dell'invocata riforma sanitaria e dallo spirito della Costituzione degrada la Regione a livello di mero decentramento amministrativo, impedendo di svolgere competenze funzionali in rapporto ai problemi politici ed alle esigenze della programmazione.
Anzitutto, è da determinare con chiarezza il ruolo della Regione nell'interno settore, ruolo che non può essere, ad esempio, quello prospettato dalla legge ospedaliera, secondo la quale la Regione non solo ha visto ridotta la propria potestà legislativa ad una potestà regolamentare, ma si è vista altresì preclusa ogni possibilità di operare delle scelte sulla politica dei servizi ospedalieri. Nel quadro del nostro sistema costituzionale la Regione ha invece una propria potestà legislativa, potestà che non può essere degradata a normazione meramente integrativa e di attuazione della legislazione statale; ha inoltre competenza esclusiva nell'esercizio delle relative funzioni amministrative".
Il parere che il Consiglio deve esprimere in ordine al riordinamento del Ministero della Sanità non può prescindere dalla descritta situazione che, se ha visto accolte dal Governo una serie di rivendicazioni delle Regioni in ordine ai decreti delegati, non ha visto realizzarsi quella autentica autonomia regionale che è alla base del dettato costituzionale.
Nel contesto della disciplina costituzionale relativa all'attribuzione di competenze all'Ente Regione, l'art. 117 è ben chiaro laddove dice che la Regione emana norme legislative per una serie di materie, tra le quali "l'assistenza sanitaria ed ospedaliera" come fatto complessivo e determinante, e così l'art. 118, che assegna alle Regioni le relative funzioni amministrative.
Questo discorso, tra l'altro, corrisponde ad una precisa presa di posizione del Consiglio superiore di Sanità, il quale in un ordine del giorno votato il 12/3/1971 ha affermato il principio che un sistema di assistenza sanitaria rivolto a tutelare l'uomo globalmente dev'essere caratterizzato dall'unificazione, delle competenze relative alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione, ivi comprendendo anche gli interventi tradizionalmente inquadrati nella sanità pubblica, e questa competenza è largamente richiamata dall'art. 6 dello Statuto della Regione Piemonte, approvato con legge 22 maggio 1971 n. 338.
Ma i risultati, si ripete, sono assai deludenti. Il Governo non ha risolto, o quanto meno ha eluso, il problema di fondo di ciò che costituisce l'essenza dell'autonomia regionale, vale a dire, sulla scorta del dettato costituzionale, il trasferimento dell'intera materia alla Regione. Sarà sufficiente osservare l'interpretazione restrittiva data alla locuzione. "assistenza sanitaria ed ospedaliera" per aver completo questo quadro sconfortante. Ad esempio, nell'art. 6 del decreto delegato di trasferimento delle funzioni amministrative in tema di assistenza sanitaria ed ospedaliera, è detto che restano ferme le competenze degli organi statali in una quantità di materie tutte legate al moderno concetto della Sanità.
Si consideri, al riguardo, quanto concerne la profilassi delle malattie infettive, le cliniche universitarie e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, le case di cura private, l'igiene del suolo dell'ambiente, l'inquinamento, gli aspetti sanitari della prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro, la ricerca scientifica, la preparazione ed il commercio dei medicinali, ed altri settori ancora, tutti legati e consequenziali ad una medicina preventiva, curativa, riabilitativa.
Ci si chiede come possano distinguersi ed essere corpo separato l'ambiente e l'igiene della malattia, il farmaco dalla cura, la ricerca dalla preparazione scientifica, il personale qualificato dalla strumentazione. Ma questo è il problema che il Governo non pare voler minimamente affrontare alla luce dell'art. 117 della Costituzione, dal momento che per qualche materia riservata allo Stato di cui all'art. 6 del Decreto delegato delega alle Regioni le relative funzioni come fatto di "concessione" e non come momento istituzionale.
D'altronde, non si può nemmeno sottacere una serie di contraddizioni del decreto delegato di trasferimento delle funzioni amministrative in materia di Assistenza sanitaria ed ospedaliera quali si rilevano, ad esempio, all'art. 1 lettera C) e all'art. 6 n. 8: nell'art. 1 lettera C) si trasferisce alla Regione "la tutela sanitaria nei luoghi di lavoro e la tutela delle attività sportive" all'art. 6 n. 8 si affermano le competenze statali in ordine "agli aspetti sanitari della prevenzione degli infortuni sul lavoro e all'igiene del lavoro". In proposito, sarà inutile ricordare che la tutela sanitaria è il complesso dei presidi sanitari nei luoghi di lavoro, che assorbe quindi ampiamente anche la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro. Ed altre ancora, che in questa sede è superfluo ricordare.
Il Consiglio Regionale si rende ben conto che le osservazioni svolte riflettono procedure passate e che il giudizio oggi richiesto attiene al riordinamento del Ministero della Sanità.
Ma, prima di questo esame, non sarà nemmeno inutile ricordare che il decreto delegato per il trasferimento delle funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera porta la data del 14/1/1972 pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale del 19/1/'72 mentre la bozza del decreto del Presidente della Repubblica concernente il riordinamento del Ministero della Sanità venne inviata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai primi del dicembre 1971.
In altre parole, il parere richiesto appare una mera "etichetta" stante un orientamento già assunto da tempo e posto che il riordino del Ministero della Sanità era deciso, nella sua strategia, ben prima del decreto delegato di trasferimento. Sarà sufficiente ricordare che il parere del Consiglio Regionale, espresso nella tornata del 15 ottobre 1971 pervenne alla Presidenza del Consiglio entro la fine di quel mese per comprendere come la burocrazia avesse già predisposto la bozza del riordino.
Lo sbocco conseguente non poteva essere che l'organico faraonico del Ministero della Sanità, che viene ora sottoposto al parere del Consiglio Regionale: 6 Direzioni generali 49 Divisioni un numero imprecisato di Sezioni, da determinarsi successivamente con decreto numerosi servizi ispettivi centro studi per la programmazione uffici sanitari di porti, aeroporti e frontiere uffici veterinari di confine, porti e aeroporti Istituto Superiore di Sanità Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie Ufficio medico legale.
Questo è il quadro allarmante della vanificazione del dettato costituzionale per le autonomie ed il decentramento, quadro che, alla luce dell'organico riprodotto, conferma il dubbio che, in effetti, la riforma regionale debba ancora essere una conquista e non una realtà.
La Giunta Regionale, nelle sue osservazioni, ha voluto evitare ogni accenno di carattere politico-costituzionale, per addentrarsi puramente nei fatti tecnici del riordinamento. Il lavoro svolto dalla Giunta Regionale è sotto questo aspetto apprezzabile; tutta la Commissione ha dato atto del lavoro compiuto, un lavoro diligente, che corrisponde, direi, a certi temi che sono stati proposti, ma non corrisponde al tema di fondo, che è quello del carattere politico-costituzionale che noi poniamo nel trasferimento dell'intera materia alle Regioni; ma il Consiglio ritiene di ribadire le questioni preliminari di carattere politico-costituzionale che sole possono consentire un corretto rapporto fra lo Stato e le Regioni. Il Consigliere ritiene inoltre di acquisire le osservazioni della Giunta come documentazione alla relazione. In sostanza, la Giunta Regionale propone la riduzione da 6 a 3 delle Direzioni generali, una notevole concentrazione delle Divisioni, attribuendo compiti e materie in modo più organico ed efficiente; elimina inoltre l'ipotesi dell'intervento del Commissario di Governo - era anche questa una ipotesi allarmante: si chiedeva, nel decreto, che fosse dato al Ministero il potere di intervenire sulle Regioni a mezzo del Commissario di Governo, mentre le Regioni sono libere, sono un governo, praticamente sono ancorate soltanto alla Costituzione, alla legge non al Commissario di Governo - a richiesta del Ministero, in quanto il rapporto dev'essere diretto. Lo stesso numero di Divisioni del progetto di riordino ne risulta grandemente diminuito.
Ma, si ripete, il valore del richiesto parere è essenzialmente di carattere politico-costituzionale, più che tecnico: se esista, cioè, la volontà da parte del Governo centrale di consentire il "decollo" della Regione, oppure quella di frenarne la capacità di espansione democratica di autonomia e decentramento, di effettiva espressione di governo popolare.
Solo a queste condizioni può far seguito un'impostazione tecnica che si innesti nel nuovo processo di attuazione delle norme costituzionali.
La bozza di decreto per il riordinamento del Ministero della Sanità si allontana da questo quadro politico, ed il giudizio, di conseguenza, non può che essere negativo.



PRESIDENTE

E' aperta la discussione sulle osservazioni che ha illustrato il relatore Viglione in merito allo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il riordinamento del Ministero della Sanità.
Qualcuno chiede di parlare? Il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Mi associo alle osservazioni fatte dal relatore Viglione, che sono, del resto, il frutto del lavoro collegiale della Commissione, ma vorrei aggiungere alcune considerazioni, poiché la discussione su questo parere ci fornisce l'occasione di una ulteriore conferma dei ritardi che si oppongono al pieno funzionamento legislativo della Regione.
Un primo punto è stato già sottolineato da Viglione: è il contrasto e la singolarità del fatto che il provvedimento di riordino del Ministero sia stato formulato prima ancora che fosse definito il decreto delegato con il quale si trasferiscono alle Regioni determinati compiti. Contrasto che porta ad una serie di considerazioni.
Le Regioni avevano a suo tempo formulato, dando il richiesto parere sul decreto di riordino, osservazioni precedute da una premessa con la quale si specificava qual è il tipo di politica sanitaria che le Regioni vogliono svolgere. In un documento approvato in proposito dal nostro Consiglio Regionale questo è espresso in modo, direi, molto chiaro; vi si indicavano conseguentemente anche gli strumenti e tutte le competenze che dovevano essere trasferiti alla Regione. Ad esso ha poi fatto seguito il decreto pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale", di trasferimento dei compiti alla Regione.
In questo decreto delegato noi rileviamo, al punto C) dell'art. 1 questa affermazione: "E' competenza della Regione la tutela sanitaria sui luoghi di lavoro e la tutela sanitaria delle attività sportive". Noi consideriamo questa affermazione come un risultato positivo dell'azione che le Regioni hanno condotto, ottenendo un pronunciamento in questo senso della Commissione interparlamentare per le Regioni, che ha determinato una modifica della primitiva proposta governativa di decreto delegato in cui era esclusa la potestà della Regione sulla tutela dei luoghi di lavoro proclamata invece da noi solennemente nel nostro Statuto.
Dobbiamo però immediatamente cogliere alcune contraddizioni di merito che in questo stesso atteggiamento si riscontrano. Al punto 8 dell'art. 6 laddove si precisano le competenze che rimangono allo Stato, si legge per esempio - e colgo solo uno degli aspetti della politica sanitaria, quello a nostro giudizio più importante - che rimangono allo Stato le competenze attinenti agli aspetti sanitari della prevenzione degli infortuni sul lavoro e dell'igiene del lavoro. A questo proposito è sorta in Commissione una prima discussione: c'é contrasto o no fra il punto C) dell'art. 1, che afferma la competenza della Regione nella tutela sanitaria sui luoghi di lavoro, e il punto 8 dell'art. 6, in cui si parla di competenza dello Stato sugli aspetti sanitari della prevenzione degli infortuni? Sono due aspetti separati? Noi diciamo che non lo sono, in quanto, proprio per quello che abbiamo scritto esprimendo le prime osservazioni sul primo decreto delegato, e rifacendoci anche ad una dichiarazione del Consiglio di Sanità del 1970, quando si parla di tutela sanitaria si comprendono tutti gli interventi che globalmente devono garantire la salute del cittadino ovunque egli si trovi. Pertanto, quando si parla di trasferire alla competenza delle Regioni la tutela sanitaria sui luoghi di lavoro si intende, evidentemente, trasferire alle Regioni tutto il complesso di interventi che attengono alla condizione di salute dell'individuo, in questo caso sul luogo di lavoro.
Questa contraddizione costituisce un'ulteriore dimostrazione della confusione, o della volontà, di chi ha elaborato questi documenti. Noi chiediamo decisamente che il punto 8 dell'art. 6 sia assorbito in toto dal punto C) dell'art. 1, perché quando si parla di tutela sanitaria si deve intendere tutto il complesso degli interventi; altrimenti, vien fatto di pensare che mentre da una parte si dichiara, come è fatto nella relazione introduttiva del provvedimento, di voler trasferire integralmente alle Regioni tutti gli aspetti della tutela sanitaria, dall'altra si cerca di mantenere in vita il carrozzone dell'Inail per gli interventi in caso di infortuni; e comunque, volendo prescindere da definizioni di questo tipo si costituisce una dicotomia fra l'intervento in caso di incidente sul lavoro e quello per la sicurezza nel luogo di lavoro, che a nostro giudizio comprende tutti i provvedimenti antinfortunistici che devono presiedere alla tutela della salute.
Ho voluto fare qui questa considerazione per mettere in evidenza una volta ancora la volontà politica del Governo, o comunque di quegli enti burocratici che di fatto elaborano questi documenti, di confondere le acque. Il che ci consente di giungere ad una conclusione: mentre da una parte si annuncia il trasferimento integrale alle Regioni delle competenze statali, lo Stato si trattiene competenze residue in materie che dovrebbero essere interamente passate alle Regioni.
Passiamo agli articoli successivi, laddove si parla dell'indirizzo e coordinamento da parte dello Stato. Dico subito a questo proposito come alcuni emendamenti elaborati dalla Giunta, per altri versi interessanti, si prestino ad alcune osservazioni, che riprenderò più avanti affinché risulti chiaro perché noi preferiamo non intervenire nel merito analitico degli articoli ma fissare la volontà della Regione unicamente in un documento di cui si evidenzino gli elementi di critica, gli elementi di carattere negativo.
Partiamo ancora da quanto dicevo all'inizio. Rilevato come fatto positivo che alla Regione vengano trasferite le competenze di tutela della salute, ed altre di non minore interesse, troviamo poi subito di fronte l'ostacolo dell'art. 4 di questo decreto delegato, secondo il quale "fino a quando non sarà provveduto al riordinamento con legge dello Stato degli enti ed istituti pubblici a carattere nazionale o pluriregionale operanti nelle materie di cui agli articoli 1 e 2 del presente decreto, resteranno ferme le attribuzioni degli organi dello Stato in ordine agli enti medesimi". Il che vuol dire, in parole povere, che tutte queste materie di cui si annuncia il trasferimento alle Regioni ci verranno in effetti trasferite solo nel momento in cui ci sarà la legge dello Stato, cioè probabilmente la legge-quadro, la legge-cornice. Se questo articolo fosse seguito da un altro che stabilisse una scadenza, in cui cioè si dicesse che lo Stato emanerà la legge-cornice entro tre mesi, potremmo trovare logico che in questa fase transitoria rimangano intatti e funzionanti gli enti che attualmente provvedono ai compiti di prevenzione ecc. ecc. Ma qui non è fissata scadenza, ed è lecito supporre (le vicende politiche sono ben note) che la legge dello Stato avrà scadenze purtroppo molto lontane. Nel frattempo gli enti (Enpi, Inadel ecc. ecc.) continueranno ad esercitare i compiti che fino ad oggi sono stati loro assegnati nel campo della prevenzione. Questo, in termini espliciti, ancora, a che cosa equivale? Equivale a dar respiro ad un'azione che già è in atto, per cui questi enti a carattere nazionale già stanno procedendo ad una riorganizzazione al loro interno, con assunzione di migliaia di medici, di operatoti sanitari, ecc.
ecc. che renderà certamente molto più difficile eliminare questi strumenti nel momento in cui la Regione avrà la potestà legislativa, per esempio nel quadro ed una legge di riforma che precisi gli elementi di una riforma sanitaria fondata su quei presupposti che sono ormai acquisiti dalla gran parte degli operatori sanitari e delle forze politiche. (E' abbastanza noto quello che viene detto a proposito di riforma sanitaria e del fatto che addirittura le mutue debbono scomparire e tutto il settore deve far capo alle unità sanitarie locali.
Ecco alcuni elementi di contraddizione palesi e di prospettive di tempi lunghi che noi respingiamo e che ci consentono di dare (nella risposta, in modo più sfumato, lo dice anche il documento della Giunta) che a tutt'oggi vengono ancora negate alla Regione tutta una serie di competenze. E questo è un fatto molto grave in sé: perché dimostra il permanere in qualcuno della volontà di impedire che la Regione assuma la pienezza delle sue potestà ma anche proprio perché nel frattempo interviene il provvedimento di riordino del Ministero, al quale, si badi, non si riorganizza, non si riordina in base al pieno trasferimento di tutte le potestà legislative ed amministrative alla Regione, ma in base alle competenze residue che ad esso rimangono. Per cui noi vediamo un provvedimento di riordino in cui è previsto ancora un organico di ampiezza spropositata così, ad esempio, per il campo della prevenzione della salute, della tutela sui luoghi di lavoro di cui il decreto delegato dà competenza alle Regioni: il Ministero si organizza nel frattempo in modo elefantiaco, per non cedere del tutto le sue posizioni alle Regioni.
Se noi proseguissimo nell'esame delle osservazioni potremmo, credo giungere ad una serie di altre considerazioni, che ci porterebbero alle conclusioni cui è pervenuta la Commissione con la relazione del Consigliere Viglione.
Ma preferisco, molto brevemente, riprendere ancora le osservazioni della Giunta. Sono osservazioni diligenti, che dimostrano l'impegno di chi le ha elaborate, ma che si prestano, secondo me, secondo noi, ad alcuni rilievi, sul merito e sul metodo.
1) Noi non riteniamo di doverci sostituire al legislatore nazionale.
C'e un provvedimento di riordino che è di competenza del Parlamento su proposta del Governo: a noi tocca indicare in esso gli elementi di carattere negativo, i limiti, le carenze, e darne segnalazione al Governo al Parlamento, al Ministero: saranno poi questi organismi che, tenendo oppure no conto della volontà politica espressa dalle singole Regioni legifereranno, riorganizzeranno nel merito. Se invece noi ci addentriamo nell'analisi punto per punto del provvedimento di riordino, intanto svolgiamo una funzione che a nostro avviso non ci compete - sarebbe per errato interpretare queste mie dichiarazioni come una rinuncia da parte nostra, perché per quanto ci riguarda non rinunciamo mai ad esporre le nostre linee di intervento - e poi corriamo il rischio di tralasciare parecchie cose: rischio che, secondo me, si evidenzia nell'esame, piuttosto affrettato, del resto, che personalmente ho fatto di questo documento.
2) Questo elaborato della Giunta, a mio giudizio, ha assunto come parametro il decreto effettivamente delegato. Ponendosi nella logica di un decreto che noi, è chiaro, giudichiamo insufficiente, prospetta delle proposte di riorganizzazione del Ministero che evidentemente possono attagliarsi a questo decreto ma che sono difformi e la Giunta stessa nella relazione lo dice, dal parere espresso precedentemente. Noi diciamo che avendo precedentemente espresso un parere sul primo decreto delegato, ed avendo unanimemente enunciato le linee su cui vogliamo muoverci e rivendicato le giuste competenze per muoverci in quel senso, non possiamo non assumere, ritornando sulla questione, anche per quanto riguarda il riordino del Ministero, il precedente documento. Altrimenti rischiamo di dar corda a certe rivendicazioni negative. Difatti, all'art. 1 si riscontra che, mentre nel primo comma si dice giustamente che "lo Stato esercita a mezzo del Ministero le funzioni e l'attività ad esso spettanti", cioè le attività residue, che queste competenze svolge attraverso l'attività del Ministero, si aggiunge poi che "il Ministero stesso- e il decreto addirittura diceva 'attraverso il Commissario di Governo' - interviene anche per far rispettare dalle Regioni questa materia." Se pensiamo che in base a questo decreto delegato lo Stato trattiene per sé competenze che noi diciamo che sono della Regione, appare chiaro che attraverso questo sistema lo Stato, tramite il Ministero, interviene nell'attività delle Regioni stesse; e la cosa è assolutamente inaccettabile, perché noi in tema di indirizzo e coordinamento abbiamo chiaramente sostenuto che questo è compito del Governo attraverso provvedimenti collegiali o la legge. Quindi noi respingiamo questo punto in rapporto alla prima indicazione che abbiamo dato; mentre potremmo accettarlo se ci ponessimo nella logica del secondo decreto. Lo rifiutiamo perché è contrario ai principi precedentemente espressi.
Rileviamo ancora - sono soltanto alcune osservazioni che ho voluto cogliere leggendo questo documento - alcune questioni che secondo me sono molto importanti. La Giunta, mentre giustamente propone che si riassuma in un'unica divisione una serie di divisioni (ne era prevista veramente una apposita per la Direzione generale per la medicina preventiva, compito che è della Regione - allo Stato tocca solo una funzione di coordinamento -, e qui invece sì ristrutturava per intervenire settorialmente in ogni campo della prevenzione e mantenendo gli istituti all'uopo costituiti ed oggi funzionanti), mantiene poi invariato il punto f), e cioè: "La Direzione generale nazionale provvede a curare le iniziative per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento degli interventi per la protezione della maternità e dell'infanzia e per l'espletamento dei servizi di medicina scolastica, del lavoro e dello sport". Noi diciamo invece: no questa competenza non ce l'ha lo Stato, proprio per gli intendimenti che abbiamo espresso, di tutt'altro ordine.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Vuol precisare a quale punto si riferisce? Perché ce ne sono due.



BERTI Antonio

All'art. 5, Il compito di presiedere all'espletamento dei servizi di medicina scolastica e del lavoro non può attenere ad una Direzione generale nazionale: attiene chiaramente all'azione legislativa della Regione.
Diciamo addirittura che dovrà essere compito dell'unità sanitaria locale lo Stato ha le sue competenze, la Regione ne ha altre. Chi decide, a questo punto, è la Corte Costituzionale: la Corte dei Conti, anzi, che interviene per vedere se le iniziative della Regione in questi campi sono legittime oppure meno. Non occorre pertanto alcuna Direzione generale che provveda a dire che cosa dobbiamo fare nel campo della medicina del lavoro e nel campo della medicina scolastica. Questo è giusto, lo sottolineo ancora, se ci si pone nella logica del decreto governativo; è sbagliato, e lo rifiutiamo, se ci collochiamo, come noi vogliamo fare, nella logica della prima risposta che abbiamo dato.
C'é poi un'altra questione, su cui il nostro punto di vista può non essere da tutti condiviso. La Giunta ritiene, sempre all'art. 5, di precisare, al punto 8, che "La Divisione generale ecc. ecc. provvede ad amministrare il fondo nazionale ospedaliero e ad elaborare il programma nazionale dell'edilizia ospedaliera coordinandolo con le iniziative regionali in materia e provvedendo alle direttive di istruzione in materia tecnico-ospedaliera".
Secondo me, da questo punto di vista si oppongono almeno due motivi di diniego: 1) che noi andiamo verso l'elaborazione di piani sanitari, e non ospedalieri, checché dica l'art. 33, mi sembra, della Legge 132, e questa è una decisione politica che la Regione deve assumere. Del resto, abbiamo discusso fino alla noia di questa questione, ed eravamo anche giunti credo, alla conclusione che di piano sanitario occorra parlare e non di piano ospedaliero. Le cose non sono in contrasto, occorre ampliare, e la cosa è possibile in rapporto proprio alle competenze che alla Regione vengano trasferite con questo decreto delegato.
Ma noi non possiamo neanche accettare che, avendo la legge conferito alla Regione il compito di elaborare il piano sanitario, debba poi esserci un organismo nazionale che elabora un piano nazionale. Qui c'é un problema di coordinamento dei piani settoriali, cioè dei piani regionali, allo Stato compete soltanto amministrare il Fondo nazionale e destinare le quote regione per regione. Poi la Regione è autonoma nell'elaborare nell'impostare, nel concludere il proprio piano. Secondo me, su questa questione non c'è possibilità di equivoco. Accettare questo vorrebbe dire rinunciare ad una facoltà estremamente importante, cioè di dare alla elaborazione dei piani regionali quelle caratteristiche che effettivamente corrispondono alla peculiarità delle singole Regioni e dei luoghi di produzione ecc. ecc. Questo è un altro dei punti importanti, credo il più importante, che si rileva da questo documento, che la Giunta ritiene di poter accettare mentre noi diciamo che è da respingere.
Sottolineo ancora alcune questioni (molte altre il documento della Giunta, elaborato, riconosciamo peraltro, con molta cura, già le ha risolte). Per esempio, all'art. 6, sempre quella famosa Direzione generale per la Medicina preventiva, curativa e riabilitativa, prevede tre sezioni: per la protezione della maternità e dell'infanzia, per la medicina scolastica, per la medicina del lavoro e dello sport. Cosa vuol dire? Ritorno alle osservazioni di prima: abbiamo qui una seconda divisione oltre quella che ho citato precedentemente, che deve intervenire in questi campi.
Altro punto: "Enti sanitari sottoposti alla vigilanza del Ministero" Quali sono questi enti? Si intende parlare dell'Enpi e degli altri?



ARMELLA Angelo, Assessore alla saluta

Il decreto delegato li esclude



BERTI Antonio

Il fatto è che noi siamo contrari a mantenere in vita questi enti, non in quanto comunisti, in quanto Regione; e quindi non è possibile accettare che lo Stato mantenga queste competenze.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Qui c'è la "Gazzetta Ufficiale"



BERTI Antonio

Eh, lo so. Ma noi esprimiamo qui una posizione politica. Se poi il Governo ci imporrà le sue decisioni subiremo, ma non possiamo aprioristicamente accettare e non ribadire coerentemente posizioni che avevamo già espresso a suo tempo.
La Direzione generale per la prevenzione avrà competenza per conto del Ministero sugli enti ospedalieri, il Fondo nazionale ospedaliero, altri istituti pubblici di ricovero e cura, trasfusione di sangue umano, case di cura private. Al limite, si può mantenere una direzione dal punto di vista tecnico (non dal punto di vista programmatorio, perché sarebbe inconcepibile) delle case di cura private; ma non si può assolutamente accettare che lo Stato mantenga competenze, per esempio, sugli enti ospedalieri, che devono sparire con la riforma sanitaria e l'entrata in funzione delle unità sanitarie locali.
Ecco perché, pur dando atto del lavoro svolto dalla Giunta, abbiamo ritenuto di collocarci, nel rispondere al documento del Governo sostanzialmente su un piano politico di rilievo delle carenze, delle contraddizioni esistenti, persistendo nel rivendicare le piene competenze della Regione, assumendo, come documento base, il documento del Consiglio Regionale sul primo decreto delegato.



PRESIDENTE

Qualcun altro chiede di parlare sull'argomento? Nessuno? La Giunta ha qualcosa da dire? Ha facoltà di parlare l'Assessore Armella.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Tutti ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad un complesso di problemi di estrema importanza ed anche alla obiettiva difficoltà di coordinare le osservazioni a questo decreto delegato sul riordinamento del Ministero della Sanità con le osservazioni fatte dal Consiglio al decreto delegato sul trasferimento dei poteri amministrativi trasmessi a norma del ben noto art. 17 della legge del '70.
In effetti, si è posto il problema, in quella fase in cui il decreto delegato sul trasferimento dei poteri tardava ad avere la sua emanazione definitiva (dopo una lunga e contrastata e travagliata elaborazione da parte del Ministero e del Consiglio dei Ministri, e poi, se ci si consente ancora, del Ministero), se per fare un lavoro che fosse corrispondente alle esigenze di una osservazione logica, e per trovare un aggancio obiettivo si dovesse attendere l'emanazione di questo decreto. Abbiamo preferito attendere l'emanazione del decreto, per quanto le sue linee essenziali già ci fossero state preannunciate, e negli incontri avvenuti anche a livello ministeriale si è ripetutamente fatta presente allo stesso Ministro l'estrema difficoltà di parlare di un trasferimento di funzioni quando questo trasferimento non era stato ancora formulato in modo definitivo.
Quando il Consiglio fu chiamato ad esaminare il decreto delegato di trasferimento dei poteri, questo decreto era incompleto, perché gli ultimi articoli non erano stati ancora interamente formulati: mancava, intanto, la parte, credo importantissima, riguardante gli stanziamenti da sopprimere e quelli da ridurre, per cui non bastava una generica affermazione per renderci in effetti conto di quelli che potevano e dovevano essere i compiti specifici, al di là di affermazioni di principio, ossia che si potevano limitare a delle affermazioni di principio se non si concretizzano negli importi degli stanziamenti trasferiti alla Regione. Rimaneva poi da chiarire la parte, non meno importante, del personale, ed è in effetti estremamente difficile esaminare un problema di trasferimento di funzioni e di riordinamento per conto del Ministero della Sanità quando non siano espressi in termini concreti i contingenti di personale dell'Amministrazione periferica del Ministero della Sanità e degli uffici non trasferiti ma che in parte, in quanto a personale, dovevano essere trasferiti alla Regione per tener conto di un quadro d'insieme attraverso il quale si potessero esprimere dei giudizi.
Questo ha dato a tutti cognizione delle difficoltà obiettive in cui questo lavoro poteva essere svolto. E io non devo che ringraziare per la loro diligenza gli uffici - diciamo così, per quanto tutti noi come persone fisiche formiamo questi uffici che si sono sobbarcati un lavoro certamente difficoltoso.
Non appena avuto il decreto delegato - com'è ben noto emesso il 14 gennaio, non nel mese di dicembre, come hanno pubblicato i giornali -, ci siamo affrettati a procurarcene il testo per poter subito fare i necessari confronti.



VIGLIONE Aldo

E' stato pubblicato il 19.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Ma è stato firmato il 14.



VIGLIONE Aldo

Noi l'abbiamo ricevuto il 21 o il 22.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Il 19 stesso disponevamo già di una compia del decreto, con le firme addirittura autentiche dei vari Ministri che l'avevano sottoscritto.
Giunti a questo punto, la Giunta non può non aderire alle osservazioni di merito fatte dalla Commissione nel quadro generale delle competenze della Regione e delle delimitazioni che il decreto attualmente in esame pone ancora in luce.
In realtà, le preoccupazioni di operare in questo campo diventano sempre più evidenti, Basta considerare questo: alcune delimitazioni derivano ormai dalla stessa norma di legge. Rammostravo la "Gazzetta Ufficiale" perché indubbiamente - ormai questa è legge dello Stato - queste limitazioni ce le pone, quantunque cercheremo - ma non è molto facile riuscirvi - di superarle.
Certo, svolgere un'attività ordinata programmatoria e d'insieme è molto difficile laddove si constata che alla competenza regionale mancano alcuni grossi settori, come il settore degli infortuni sul lavoro (perché la tutela sanitaria dell'ambiente di lavoro, con le successive precisazioni dell'art. 6 e soprattutto dell'art. 13, risultano tuttora affidati al Ministero), come la vigilanza, dico anche solo la vigilanza, non l'assunzione diretta, sulle mutue, quegli organismi che oggi danno assistenza al 92 per cento della popolazione in Piemonte.
Il Consiglio vedrà presto, attraverso alcuni provvedimenti concreti come sia difficile operare nel senso di un indirizzo programmatorio laddove non si possa direttamente intervenire su tutto un complesso di attività concreta che svolgono le mutue. Se poi si considera che sono trasferiti alla Regione poteri amministrativi da parte dello Stato ma tuttora esercitati dagli Enti locali, per cui ci si limita ad una vigilanza, come in tutto il settore psichiatrico e di igiene mentale, e che tutta l'assistenza ai non abbienti è ancora effettuata da parte dei Comuni, si ha il quadro completo delle difficoltà obiettive di una valutazione d'insieme.
Oltre a questo, dobbiamo considerare che, sotto altro profilo, il personale che ci viene trasferito da parte dello Stato è estremamente scarso. Chi ha posto la sua attenzione ad decreto delegato di trasferimento dei poteri avrà certamente rilevato come in sede di emanazione si siano finalmente riempite le ultime pagine e si sia indicato il personale trasferito alla Regione nella misura di: 115 medici in tutta Italia, cioè per tutte le province d'Italia, il che significa sì e no, un medico per provincia, 116 veterinari, 4 chimici, 1 farmacista 3 ingegneri di sanità e 120 amministrativi. Con un personale direttivo di questa entità, 359 persone in tutta Italia, è chiarissimo che solo per le funzioni di vigilanza e di controllo, sia pure al livello indubbiamente insufficiente mantenuto finora da parte degli organi dello Stato, quanto sta per piombare addosso alla Regione è compito di grandissimo impegno e di estrema difficoltà. Quanto al restante personale, negli organici del personale delle carriere di concetto abbiamo 77 ragionieri (neppure uno per provincia), 104 segretari tecnici, 138 assistenti sanitarie (poco più di una e una piccola frazione per provincia). Con un quadro di necessità come quelle del Piemonte, regione in parte altamente industrializzata ed in parte collinare e montagnosa, c'é da immaginare in quale situazione di difficoltà noi ci troveremo anche soltanto per affrontare quei compiti che dallo Stato ci sono stati trasferiti.
Riaffermate queste posizioni di principio, e aderendo all'esame puntuale, fatto dalla Commissione - e fatto con urgenza, non con frettolosità ma certamente con urgenza, e quindi sotto questo aspetto anche particolarmente encomiabile, perché si è sorbita un lavoro che ha impegnato certamente più giorni da parte degli Uffici della Giunta -, la Giunta vuol far rilevare che queste osservazioni, fatte articolo per articolo, con un articolato che è certamente molto puntuale, molto esigente, quasi addirittura pignolo, vuol mettere anche il Ministero in condizioni non soltanto di valutare delle posizioni di ordine generale ma di scendere anche proprio nel merito, trovandosi di fronte anche lo stesso articolato già fatto, che riduce in termini possibili quello che dovrebbero essere le esigenze delle Regioni espresse attraverso un riordinamento del Ministero.
E' stato rilevato, e con nostra soddisfazione, come si sia appuntata l'attenzione su quelle funzioni di indirizzo e di coordinamento, affinch il modo in cui le funzioni sono esercitate, o dovranno essere esercitate investa la collegialità del Governo e non l'attività del singolo Ministero in quanto il Ministero abbia soltanto la possibilità funzionale di promuovere e di svolgere le iniziative necessarie affinché questa attività venga espletata ma investa l'attività collegiale del Governo quanto alle decisioni, e certamente non possa scendere ad un livello di commissario di governo, che sarebbe un mezzo certamente mortificante di un'attività regionale. Non si può non aderire a queste osservazioni.
Per quanto riguarda le precise sottolineature fatte dai due Consiglieri che sono intervenuti, il Consigliere Viglione ed il Consigliere Berti faccio semplicemente osservare che a proposito dell'art. 5 lettera f) a me pare chiaro - ma non ne faccio una questione di grande importanza, che all'art. 5 lettera f) si vogliono indicare funzioni di indirizzo di coordinamento, tal che la dizione è questa: "Appurare le iniziative per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento degli interventi per la protezione della maternità e dell'infanzia"; quindi, sono iniziative non rivolte alle Regioni ma che si rivolgono ad una attività interna del Ministero, affinché attraverso questo ufficio - la Direzione generale per la medicina preventiva, curativa e riabilitativa - si provveda all'esercizio di quella funzione di indirizzo e di coordinamento che è certamente fuori discussione, appartiene allo Stato; per cui non mi sembrerebbe che la lettera f) dell'art. 5 sia tale da non far ritenere opportuna una modifica, per quanto, dal momento che abbiamo fatto l'articolato, potremmo eventualmente esaminare una proposta in termini più precisi; mi pare invece più accoglibile, almeno per quanto mi riguarda l'osservazione fatta relativamente alla lettera i). In effetti, qui è sfuggito un aspetto che doveva indubbiamente essere considerato con maggiore attenzione.
Si dice alla lettera i): "Fra i compiti della Direzione generale è amministrare il Fondo nazionale ospedaliero". Non credo che si possa quindi dire che il Fondo nazionale ospedaliero non esisterà più: quando ci sarà una legge di riforma questo fondo confluirà certamente nel Fondo sanitario nazionale. Secondo la legislazione vigente, il Fondo nazionale ospedaliero esiste, e proprio perché esiste va regolamentato, attribuendo alle Regioni quello che attualmente le Regioni per legge ancora non hanno, perché non l'hanno in forza della legge 132. Indubbiamente, non si tratta solo di decidere dell'amministrazione del Fondo nazionale ospedaliero, ma piuttosto di affermare il principio della ripartizione del Fondo nazionale ospedaliero tra le Regioni. E' noto che si sono già fatte alcune osservazioni sulla procedura seguita per le attrezzature sanitarie che poi sono sfociate in un provvedimento non completamente contrastato dalle Regioni e che ha visto una ripartizione fra Regioni rimanendo ferma l'amministrazione da parte del Ministero. Questa dizione usata all'alt. 8 dell'altra colonna, cioè "ad amministrare il Fondo nazionale ospedaliero e ad elaborare il programma nazionale dell'edilizia ospedaliera coordinando con iniziative regionali in materia e provvedendo alle relative istruzioni in materia tecnico-ospedaliera" dovrebbe essere modificata nel senso, se la proposta incontra il favore o il conforto del Consiglio, di amministrare il Fondo nazionale ospedaliero con ripartizione fra le Regioni cui lo stesso debba essere destinato (ci si potrebbe rapidamente accordare per la formulazione più idonea).
Non mi pare siano state fatte altre osservazioni quanto al testo che è stato predisposto. A questo punto, pertanto, non mi resta che ringraziare la Commissione per la cura posta in questo lavoro ed augurare che la prossima discussione sulla Sanità si possa concretare su una quantità, che effettivamente sta preparandosi, di provvedimenti concreti che non saranno di facile definizione e quindi richiederanno tutto il nostro impegno, tutta la nostra dedizione.



PRESIDENTE

La discussione generale è esaurita.
Chiederei al relatore Viglione ed alla Commissione se ritengono di accogliere in aggiunta le proposte che sono state formulate dall'Assessore a nome della Giunta, così completando lo schema delle osservazioni il cui testo scritto è stato distribuito ai colleghi Consiglieri. Ha facoltà di parlare il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

La Commissione ha già detto chiaramente che, pur apprezzando il documento della Giunta, accetta soltanto di allegarlo alla relazione, come documentazione, perché non ritiene di poter ammettere la ripartizione delle competenze fra Stato e Regione nel modo in cui è avvenuta e sta avvenendo.
Il documento della Giunta può valere come documentazione; la relazione invece, costituisce l'atto politico, direi, di ripulsa anche del modo con il quale si è proceduto da parte governativa. Ribadisco che è per lo meno singolare che, mentre noi ci affannavamo a preparare le nostre osservazioni, la bozza di riordino del Ministero - riordino che non sarebbe possibile nemmeno adesso, dato che soltanto da dieci giorni sono noti i decreti delegati, e quindi non capisco proprio come una commissione ministeriale o interministeriale o del Consiglio dei Ministri o del Ministero della Sanità potesse prevedere l'impalcatura residua del Ministero della Sanità - fosse pronta fin dall'ottobre scorso.
Ringrazio l'Assessore Armella per le sue osservazioni, sempre penetranti ed interessanti, il Consigliere Berti, che ha dato un effettivo aiuto, e il Presidente Beltrami, sempre assiduo alle nostre riunioni ed instancabile nel pungolarci perché giungessimo alla conclusione prima della scadenza del termine, fissata per l'11 febbraio.



PRESIDENTE

Quindi, i due documenti - che si accompagnano, in un certo modo si integrano - potrebbero essere recepiti entrambi dal Consiglio....



BERTI Antonio

Veramente io ho proposto una linea diversa, e non intendo, almeno per quanto mi concerne, modificarla, libero il presidente della Commissione di accogliere, se lo crede, quanto propone il Vicepresidente. Secondo noi, il Consiglio deve pronunciarsi esclusivamente sul documento della Commissione: il documento della Giunta, di cui noi diciamo nel documento della Commissione che è stato un lavoro interessante, viene acquisito puramente come documentazione.



PRESIDENTE

E quindi unito a questo, come dicevo.



BERTI Antonio

Ma non votato dal Consiglio.



PRESIDENTE

Io ho detto soltanto che il documento della Giunta si accompagna al documento che è stato presentato dalla Commissione.
Allora, pongo ai voti la relazione che è stata espletata e che contiene le osservazioni allo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il riordinamento del Ministero della Sanità, come è stato distribuito ai signori Consiglieri, con la modifica del numero 50 in 49 dando atto che a queste osservazioni si accompagna il testo elaborato dalla Giunta.
Chi approva è pregato di alzare la mano. Il documento è approvato all'unanimità.


Argomento: Comunita' montane: Piani di Sviluppo - Montagna - Asili nido

Discussione sugli adempimenti di legge relativi a leggi della Repubblica sulla montagna e sugli asili nido


PRESIDENTE

L'ordine del giorno reca al punto quinto: "Discussione sugli adempimenti di legge relativi a leggi della Repubblica sulla montagna e sugli asili-nido".
Ha facoltà di parlare l'Assessore Chiabrando, per svolgere la sua relazione.



CHIABRANDO Mauro, Assessore all'ecologia

Sulla nuova legge sulla montagna, ho avuto modo recentemente di informare il Consiglio che si stava predisponendo un piano di lavoro per la sua attuazione. Sono ora in grado di informare sul lavoro che è stato finora impostato.
La Giunta in una recente riunione ha deciso di costituire un Comitato interassessorile incaricato di affrontare questo problema. Esso è composto dall'ing. Cardinali, Vicepresidente, per l'urbanistica e l'assetto territoriale, dal dott. Falco, per la viabilità e le infrastrutture, dal comm. Petrini, per l'industria, dall'avv. Paganelli, per la programmazione dall'Assessore all'agricoltura e da chi vi parla, quale Assessore all'ecologia e alla sistemazione idrogeologica e forestale, ed anche con il compito di coordinamento di questo Comitato su delega del Presidente.
Devo intanto sottolineare la tempestività con cui la Giunta ha affrontato questo problema: la legge statale che detta queste norme in tema di montagna e, infatti, entrata in vigore il 7 gennaio scorso e già la settimana successiva la Giunta ha preso le decisioni di cui riferisco.
Ho detto del Comitato interassessorile. La Giunta ha poi deciso di affrontare, per adesso, le prime due scadenze che la legge sulla montagna prevede, e precisamente la definizione delle zone omogenee e la costituzione delle comunità montane, rinviando ad un tempo necessario gli altri problemi: preparazione dei piani di sviluppo delle Comunità montane ecc.....
Eccovi, in sintesi, i primi impegni previsti dalla legge a carico della Regione.
Per l'art. 3, la Regione deve ripartire con legge i territori in zone omogenee in base a criteri di unità territoriale, economica e sociale entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge (quindi, è entrata in vigore il 7 gennaio '72, l'anno scade il 7 gennaio '73). Quindi, la Regione, senza indicazioni di termini per questo impegno, costituisce con legge, tra i Comuni che ricadono nelle zone omogenee, ripartite con la precedente legge regionale, le Comunità montane, stabilendo anche le norme cui esse dovranno attenersi, in particolare, nella formulazione degli statuti, nell'articolazione e composizione dei propri organi, nella preparazione dei piani zonali e dei programmi annuali, infine nei rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.
Per l'art. 5, entro un anno dall'emanazione della legge regionale costitutiva delle comunità, le varie comunità dovranno approntare i piani pluriennali per lo sviluppo economico e sociale delle loro zone.
La Regione vuol rispettare queste scadenze, anticipando quanto più possibile i termini, in base alla seguente scaletta di impegni ed alle seguenti modalità: riunione del Comitato interassessorile, che è avvenuta subito dopo la riunione di Giunta; predisposizione entro breve termine, da parte del Comitato interassessorile, di una proposta di divisione dei territori montani in zone omogenee, di uno schema di norme cui le comunità montane dovranno attenersi nella formulazione degli statuti e di una bozza vera e propria di statuto delle comunità montane, da discutere preventivamente con le costituende comunità. Si ritiene infatti, per semplificare le procedure ed accelerare i tempi quanto più possibile, che in linea di massima i due momenti della ripartizione dei territori montani in zone omogenee e della costituzione delle comunità debbano essere compresi in un'unica legge regionale, o comunque in due leggi contemporanee.
A parte i suggerimenti che potranno venire dalla discussione, noi avremmo pensato di impostare il lavoro in base alle seguenti scadenze: abbiamo dato tempo fino al 29 febbraio ai Consigli di Valle, alle Province ed alle Amministrazioni locali perché ci facciano pervenire suggerimenti in tema di delimitazione delle zone e di impostazione degli statuti. A questo scopo devo anche informare il Consiglio che, a titolo di presa di contatto per impostare questo lavoro, abbiamo invitato i rappresentanti delle Province, delle Camere di Commercio, dell'Uncem (Unione Comuni ed Enti montani) e dell'Ires e gli ispettori forestali a partecipare ad una riunione, che si è tenuta una quindicina di giorni fa la riunione è stata molto produttiva in quanto vi hanno presenziato tutte le persone, praticamente, che fino ad oggi hanno seguito il problema della montagna, dalle quali abbiamo avuto interessanti suggerimenti: entro il 29 febbraio, come dicevo prima, ci invieranno le loro proposte in tema di delimitazione dei territori ed in tema di statuti nei mesi di marzo, aprile e maggio la Giunta dovrebbe prendere contatti, come stabilisce la legge sulla montagna con i Comuni o le Comunità montane già costituite, ovvero i Consigli di valle, per predisporre la legge regionale nel mese di giugno la Giunta dovrebbe proporre al Consiglio un progetto di legge che dovrebbe essere discusso subito dopo.
Pensiamo pertanto che entro settembre, al massimo ottobre, questa legge di delimitazione dei territori montani in zone omogenee possa essere varata, anticipando così di due o tre mesi le scadenze previste dalla legge, la prima delle quali, com'è stato detto, è fissata per il 7 gennaio 1973.
Questi sono i propositi, gli intendimenti della Giunta. Lascio ora la parola ai Consiglieri, perché possano proporre a loro volta quel che ritengono utile, dopo di che potrò eventualmente tornare sull'argomento e completare quanto ho detto.



PRESIDENTE

Su queste comunicazioni è aperta la discussione. Chi chiede di parlare? Il Consigliere Ferraris, ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, esprimerò qui il giudizio personale e del mio Gruppo sulle informazioni che ci ha reso, a nome della Giunta, l'Assessore Chiabrando e quindi sugli impegni operativi assunti per tradurre in essere i vari adempimenti attribuiti da questa legge alla competenza amministrativa e legislativa della Regione. Ma prima desidero esprimere, sia pure sinteticamente, un giudizio ed alcune valutazioni su questa legge dello Stato.
Dirò subito che si tratta di un giudizio articolato, ma complessivamente favorevole; infatti, da parte nostra permane un forte giudizio negativo verso l'esiguità degli stanziamenti previsti (116 miliardi per tre anni, di cui 86 da ripartire fra le Regioni per l'attuazione dei piani di sviluppo, 28 assegnati dal Ministero dell'Agricoltura per il finanziamento delle opere di carattere d'urgenza secondo la procedura fino ad oggi vigente e due miliardi per il finanziamento delle spese relative alla montagna). Non vi è dubbio che di fronte ai molteplici bisogni insoddisfatti della montagna e delle popolazioni montane si tratta di stanziamenti non solo inadeguati, ma addirittura irrisori.
Questo giudizio però potrà anche mutare nel tempo - questo dipenderà anche dalla pressione che saprà esercitare la Regione, che sapranno esercitare le comunità montane - se il principio da sempre sostenuto dalle forze di sinistra ed in particolare dal nostro partito, che ha finalmente trovato accoglimento all'art. 16 della legge, verrà concretamente rispettato. Mi riferisco alla riserva di investimenti pubblici; si tratta l'avrà visto chi avrà anche solo sommariamente esaminato la legge - del principio che impegna il CIPE, a disporre che un'adeguata aliquota di tutti gli stanziamenti statali sulle varie leggi (casa, agricoltura, artigianato ecc.) venga destinata ai territori montani.
Ma se critico resta il nostro giudizio in fatto di stanziamenti ed anche in ordine alla classificazione dei territori montani, che resta quella a suo tempo classificata dalla legge del 1952, la 991 e dalla 657 del '57, frutto quindi di una politica clientelare a volte anche discriminatoria, a parte questo noi giudichiamo in modo assai favorevole e positivo l'impianto complessivo della legge, le finalità così come sono state previste, la normativa stabilita per conseguire le finalità stesse.
Infatti riteniamo di grande importanza l'ottica, l'angolazione nuova con cui viene finalmente affrontata la complessa problematica montana, cioè in modo organico complessivo, o integrato, come si dice nello stesso testo della legge, con l'abbandono quindi dell'assurdo ed inconsistente settorialismo della legislazione montana precedente che della montagna prendeva in considerazione, con i risultati che tutti conosciamo, soltanto gli aspetti agricoli, forestali ed in parte turistici. Così come riteniamo di grande rilievo l'abbandono del nefasto e clientelare sistema che prevedeva il finanziamento pubblico sulla base degli incentivi individuali ecc., con il risultato di investire e sperperare le risorse pubbliche a pezzi e bocconi, per accontentare questa o quella persona, questo o quel comune, a seconda - per usare un'espressione che rubo al Presidente di questa nostra seduta collega Oberto - a seconda dell'importanza del Santo protettore che ciascuno poteva contare in paradiso, cioè al governo.
Di tutto ciò ora il Parlamento ha finalmente fatto giustizia, anche se non si può ancora dire che pericoli del genere non possono rifare capolino e ripetersi; dipenderà naturalmente anche dalle Regioni impedire che la malfamata pratica del clientelismo e del procedere a pezzi e bocconi abbia a ripetersi, così come dipenderà dalle popolazioni montane attraverso le loro comunità. In proposito dico pure subito che se merita apprezzamento positivo il fatto nuovo che dispone ed impone l'investimento pubblico nelle zone montane in forma organica, integrata, secondo il metodo della programmazione e sulla base dei piani pluriennali di sviluppo economico sociale per zone omogenee di cui all'art. 5 e relativi programmi stralcio il tutto organicamente coerente alle scelte di fondo del piano nazionale e regionale di sviluppo, non minore importanza rivestono altri due punti fondamentali della legge ed in particolare la codificazione dell'autogoverno delle popolazioni o comunità montane. In fatto di partecipazione e di democrazia la legge è esemplare, corrisponde finalmente alle attese delle popolazioni e dei comuni, in particolare saranno questi ultimi che, riuniti nelle comunità, che la Regione dovrà delimitare potranno e dovranno elaborare il proprio Statuto, il piano di sviluppo sulla base delle indicazioni che per l'uno e per l'altro dovrà definire con proprio provvedimento legislativo la Regione. La stessa cosa vale per il piano di sviluppo urbanistico, di cui all'art. 7.
Altro aspetto importante è la qualificazione in senso regionalistico della legge nel suo insieme. Infatti la nuova legge, come è già emerso dalle cose dette dall'Assessore e come ognuno avrà visto, anche da una sommaria lettura del testo, soprattutto se la si confronta con il testo che avevamo esaminato in questo consesso a giugno o luglio dello scorso anno si caratterizza non soltanto come una legge quadro per quanto concerne la montagna, ma come una legge quadro per l'intervento della Regione in fatto di politica montana. Del resto basta pensare alla discussione che abbiamo fatto allora, alle critiche che abbiamo sollevato attraverso un o.d.g.
(difesa del suolo, protezione della natura, delimitazione dei comprensori di bonifica, acquisto dei terreni da parte delle aziende di Stato per la costituzione di riserve naturali, servizio contro gli incendi dei boschi allora tutto previsto come competenza del Ministero dell'Agricoltura). Oggi anche se su tutte queste materie la legge non è ancora esplicita come avrebbe dovuto essere, non è ancora previsto con chiarezza che su tutte le cose che ho indicato la competenza è della Regione, almeno non si parla più di queste competenze attribuite, al Ministero dell'Agricoltura. In proposito mi sia consentito quindi di affermare, a titolo di merito delle Regioni, che i miglioramenti conseguiti dal testo esaminato a luglio, che era quasi approvato, ad oggi, alla formulazione finale, è frutto dell'azione politica che hanno svolto le Regioni attraverso i convegni, le varie iniziative che hanno promosso, azione sostenuta dalle popolazioni montane, dall'UNCEM nazionale e dalle organizzazioni regionali.
Mi sia infine ancora consentito di sottolineare il valore generale delle comunità montane che dovremo istituire con legge regionale , enti di diritto pubblico fra i soli comuni montani, come tutti sappiamo. Io voglio sottolineare questo valore generale in quanto mi sembra che quello della comunità per zone omogenee, possa rappresentare un esempio successivamente trasportabile anche fuori delle zone propriamente montane, come base sulla quale articolare la comprensorializzazione dell'intero territorio regionale; come previsto dall'art. 71 del nostro Statuto, siamo impegnati ad andare verso la costruzione dei comprensori, il nostro gruppo politico si sta cimentando attorno a questo problema. Ebbene, io vedo appunto la comunità come un modello non del comprensorio, ma in senso più ridotto come una parte del comprensorio, come un primo meccanismo di aggregazione per quei piccoli comuni che abbondano nella nostra Regione. Proprio per questo elemento di novità sarà bene che ci si ponga fin dall'inizio il problema dei rapporti fra zone omogenee e comprensori, di cui al citato art. 71 dello Statuto; senza avere la pretesa di approfondire qui questo problema per il quale il nostro gruppo presenterà presto un progetto di legge, dirò subito che la zona omogenea territoriale della comunità non potrà e non dovrà coincidere con il comprensorio ma come sub-comprensorio.
Tornando invece alla montagna in senso stretto e per una corretta definizione dei territori montani e quindi per l'individuazione delle zone morfologicamente ed economicamente omogenee, sarebbe necessario, in via di principio, che la Regione potesse riconoscere e classificare altri territori montani, cosa questa che, come dicevo prima, almeno per ora, in base all'art. 3 della legge non è certo possibile. In ogni caso è evidente che questa eventuale operazione potrà essere realizzata anche dopo la riconferma degli attuali territori montani che o il decreto delegato consentirà (non lo so perché non l'ho ancora visto nel suo testo definitivo) o lo consentiranno altre successive leggi.
Ai fini della delimitazione, si tratta di partire dalla situazione di fatto già esistente. In proposito la presenza in Piemonte di molti enti montani (47 se non sbaglio) ma in particolare di 33 Consigli di valle che negli anni passati hanno costituito l'unico punto di riferimento per l'attività di studio promozionale, di intervento svolta dalle Amministrazioni Provinciali attraverso gli Assessorati all'agricoltura (o alla Montagna per le province che l'avevano) o anche dagli organismi della Forestale, costituiscono un patrimonio di esperienze di cui non solo la Regione non può fare a meno, ma dai quali partire per l'applicazione della legge, recuperando integralmente il ruolo di questi organismi senza soluzione di continuità, aiutandoli a trasformarsi in comunità montane Al riguardo credo però che si pongano i seguenti problemi: occorre valutare se la delimitazione dei territori degli attuali Consigli di valle o comunità esistenti, debba essere riconfermata integralmente o se non si debba cogliere l'occasione offerta dalla legge regionale che dovremo approvare per quelle correzioni e modifiche che anche sulla base dell'esperienza passata si rendono necessarie; si tratta di valutare in altre zone se esistono le condizioni di omogeneità, continuità morfologica ed economica e la convenienza oltre che la volontà delle popolazioni, per unificare in un'unica comunità montana gli organismi attualmente funzionanti in modo distinto ma inadeguato e che l'esperienza abbia dimostrato sia meglio vedere adesso di passare ad una forma più ampia e superiore. Mi pare, per sentito dire, che problemi di questo tipo potrebbero esistere nell'alto novarese, in particolare nell'ossolano.
Per gli statuti, si tratta di definire i criteri attenendoci allo spirito della legge, allo spirito del nostro Statuto regionale che prevede la partecipazione ecc. ed infine allo stesso Statuto della delegazione regionale dell'UNCEM, che per quanto concerne i suoi organismi dirigenti ha già operato la scelta della presenza nell'articolazione dei propri organismi deliberanti ed esecutivi di tutte le forze politiche dell'arco costituzionale. A maggior ragione ciò dovrà essere perseguito a livello degli organi delle singole comunità. Una più attenta analisi, invece, di ordine politico e giuridico, andrà fatta per quanto concerne il punto 6) dell'art. 4 sulla definizione dei rapporti fra la comunità e gli altri enti operanti nel loro territorio (consorzi di bonifica ecc.). A parte le prime scadenze, ritengo che si imponga, in ogni caso, un'analisi più attenta ed approfondita per l'interpretazione politica e giuridica dell'intero complesso della legge onde ricercarne tutte le implicazioni e le conseguenze di carattere normativo ed operativo alle quali le comunità, la Regione, le province, i comuni dovranno far fronte. Penso per esempio all'ufficio e al comitato tecnico delle comunità per la preparazione ed esecuzione del piano zonale, penso al personale da comandare da parte delle zone, province e comuni presso le comunità, penso ai consorzi di bonifica montana in una generale ristrutturazione dell'intervento agricolo della Regione fondata prevalentemente sulla costituzione dell'Ente regionale di sviluppo agricolo; si pone il problema di una diversa utilizzazione di tutti gli enti e organismi costituiti sulla base della passata legislazione e tra questi i consorzi di bonifica montana. E' ovvio, almeno per noi, che le funzioni pubbliche attribuite a codesti consorzi privati dovranno passare alle comunità o all'ESA o si tratterà di definire rapporti fra l'ente regionale di sviluppo che dovremo andare a costituire e le comunità montane.
Infine, le caratteristiche della nostra montagna pongono il problema dei rapporti tra territori montani di confine e le regioni contermini: Liguria e Valle d'Aosta ad esempio. In proposito noi anticipiamo un giudizio negativo al personale per ora, circa l'eventuale istituzionalizzazione di enti e organi sovra regionali, ad eccezione delle opere idrauliche, ricerca, invaso di acque, ecc. Fatte queste eccezioni noi riteniamo che enti interregionali potrebbero falsare i corretti rapporti tra le Regioni e quindi anticipiamo già l'esigenza che in ogni caso per i piani zonali, come del resto per i piani comprensoriali, vengano invece concordati dei rapporti con le regioni limitrofe mediante contatti da realizzarsi chi a livello degli organi regionali, chi a livello delle singole comunità montane interessate.
Già ho detto della competenza assoluta delle comunità montane nell'elaborazione e attuazione dei piani di sviluppo economico e sociale dei piani urbanistici intercomunali ai quali dovranno adeguarsi tutti gli interventi pubblici e privati sul territorio. E qui non voglio porre il carro avanti ai buoi, ma si tratta di procedere al più presto e definire i criteri e le norme di massima, almeno da parte della Regione, ai quali dovranno attenersi le comunità nell'elaborazione dei loro piani.
Sulle scadenze immediate per gli adempimenti della Regione, non ho molto da aggiungere a quanto ha detto l'Assessore, ma mentre approvo la scelta compiuta dalla Giunta di non assegnare una materia come la montagna (che vogliamo vedere in questa visione nuova) assegnata a questo o a quell'altro Assessore, bensì di costituire un comitato che vede la maggioranza dei più importanti assessorati della Regione, sotto la presidenza del Presidente della Giunta, credo che già ora si poteva giungere a questo dibattito con una maggiore elaborazione, con una relazione di più ampio respiro che ci permettesse subito di avere una visione complessiva di come si colloca la Regione di fronte a questa legge e a tutte le sue implicazioni. Complessivamente credo che si possa concordare sui tempi e sui modi, però con queste precisazioni: dobbiamo fare presto e bene. Del resto è un giudizio che ho già espresso in una riunione dove ero stato cortesemente invitato. Si tratta di fare presto e di fare bene, soprattutto attraverso la più ampia partecipazione e consultazione. Ai fini della consultazione gli interlocutori fondamentali devono essere i comuni montani, cioè i Consigli di valle che già esistono l'UNCEM regionale, le Amministrazioni Provinciali che hanno dato un grande contributo e che possono continuare a darlo in futuro. Non vedo come dobbiamo ancora convocare a queste riunioni le Camere di Commercio che non hanno più nulla a che fare con questa legge. Dobbiamo quindi portare avanti la consultazione, lo esige non soltanto lo Statuto, ma lo esige la legge che ripetutamente richiama le comunità e le popolazioni.
Io sono, come dicevo prima, per affrettare i tempi, quindi sono per la contestualità della legge che dovrà delimitare i territori omogenei secondo i criteri di unità territoriali e per portare avanti la legge che istituisce la comunità, il che farà scattare il processo di elaborazione dei piani pluriennali di sviluppo. In proposito si tratterà anche qui di definire presto alcuni criteri di fondo, anche perché io non credo che si possa proseguire consultando la popolazione montana soltanto sulla cornice anche se la cornice è importante, lo Statuto è importante, decisivo, per non credo che come Regione dobbiamo metterci in condizioni di portare avanti contestualmente una consultazione (anche se siamo d'accordo con i due tempi) ma che nella consultazione già si introducano alcuni elementi alcuni criteri di fondo che sono poi i criteri che più interessano le popolazioni montane le quali attendono, più ancora delle popolazioni contadine in generale, finanziamenti da due e più anni, che non arrivano.
Dovremo quindi al più presto elaborare alcuni criteri fondamentali per gli studi preliminare dei piani di sviluppo e per i piani di sviluppo veri e propri. E quindi abbiamo da una parte l'urgenza e dall'altra le difficoltà date dal ritardo, dai continui scorrimenti nell'avvio a delle elaborazioni concrete del piano nazionale e del piano regionale. Certo che siccome si tratta di dare dei criteri che siano coerenti con il piano regionale di sviluppo e questo deve essere coerente con il piano nazionale ciò comporta delle difficoltà, difficoltà che noi però dobbiamo superare e credo che possano essere superate facendo alcune scelte di fondo, scelte che devono partire dai bisogni insoddisfatti delle popolazioni di montagna e non potranno non essere coerenti con le scelte di fondo dei piani regionale e nazionale.
Ecco ad esempio alcune scelte: difesa del suolo, conservazione della natura, infrastrutture civili e sociali, elettrificazione, scuole, presidi sanitari (naturalmente a livello di comunità o di comprensorio, secondo le dimensioni, le funzioni ecc.), prati-pascoli per lo sviluppo della zootecnia e degli allevamenti ovini, prevedendo le necessarie strutture consortili, cooperativistiche e quindi già avviando il discorso per lo sviluppo dell'associazionismo. Solamente a livello dei settori produttivi dell'economia montana occorre definire in modo diverso il ruolo dell'agricoltura, se vogliamo essere coerenti con la legge, se vogliamo essere coerenti con ciò che abbiamo detto fino adesso, ruolo che potrà essere ancora un fattore importante, la sua importanza cambierà da zona a zona, ma in ogni caso e in nessuna zona sarà un fattore assorbente di ogni intervento come è stato in passato, bensì andrà visto in quel quadro là dove si dice che occorre individuare e sostenere tutte le iniziative di natura economica idonee alla valorizzazione di ogni tipo di risorsa attuale e potenziale. Qui occorre quindi fare intervenire altri fattori, quali ad esempio le risorse minerarie dell'industria estrattiva, guardare alla forestazione anche per i suoi possibili collegamenti all'industria del legno, promuovere lo sviluppo della produzione artigianale, l'installazione di impianti industriali di centri di prima lavorazione di prodotti montani la valorizzazione dell'industria termale ed alberghiera (termale già dove c'è ed è in decadenza), il potenziamento dei servizi e delle attrezzature del turismo invernale ed estivo. In proposito ho visto che l'IRES ha già provveduto ad elaborare un suo progetto di studi per la formulazione di un piano di sviluppo socio-economico per le zone montane. E' un discorso interessante, il piano viene visto, viene a configurarsi come una confluenza in un insieme di piani settoriali (quelli per l'assetto idrogeologico, per la valorizzazione turistica, per lo sviluppo agricolo per l'adeguamento del sistema distributivo e di assetto territoriale) per come sono piani che si costruiscono nel tempo, io credo che noi dovremo fare alcune scelte di fondo e sulla base di quelle scelte avviare la consultazione.
Ultima considerazione e concludo. Abbiamo visto che la sede dell'approfondimento dell'esame politico e giuridico della legge non pu che essere il Consiglio credo, se gli interlocutori sono le comunità montane, i Consigli di valle, le Amministrazioni Comunali e Provinciali, le organizzazioni sindacali contadine e no, la sede per quell'approfondimento dell'esame della legge deve essere il Consiglio. Io credo, spero, mi auguro che questa seduta serva a questo fine, però dove e come intendiamo sviluppare questo approfondimento? Quando si parla del Consiglio si intende il Consiglio e le sue Commissioni.
Ora, io ho espresso il mio accordo che è un accordo di fondo sul Comitato interassessorile e non intendo naturalmente proporre un qualche cosa che assommi le Commissioni, qui le Commissione sono parecchie, la I la II, la V, la VI e la VII; però occorre trovare quale e quali commissioni da oggi in avanti devono prendere in carico questo problema per approfondirlo, con il materiale già elaborato dalla Giunta. Io non avrei difficoltà a compiere una scelta precisa, ma mi pare di poter risolvere il quesito in questo modo: il complesso dovrebbe andare alla Commissione della programmazione (proprio per togliere ogni carattere di settorialità) la quale potrebbe affrontare il problema di quell'approfondimento che ritengo indispensabile per avviare poi la consultazione avvalendosi del contributo della V, della VI, della VII, cioè delle Commissioni più interessate. Non so se sia utile anche giungere ad una riunione presso il Presidente del Consiglio, dei Presidenti e se si vuole dei Vicepresidenti di tutte queste Commissioni che ho nominato, in modo da passare alla programmazione quel che riguarda il discorso del piano che deve essere correlato agli indirizzi, alle scelte che andremo a fare per il piano regionale di sviluppo e concordare le parti della legge che si demandano all'approfondimento di questa o di quell'altra commissione. Per esempio per tutto il discorso statutario mi pare che abbiamo una commissione specifica che in genere cura queste cose, però io credo che comunque, al termine di questo dibattito (qui non ci sono strumenti, possiamo, se necessario presentarli, ma basterà anche l'impegno della Giunta e dell'Assessore) ma comunque giungere a fare il punto della discussione e a rinviare l'approfondimento del dibattito in seno alle Commissioni di cui parlavo prima.



PRESIDENTE

Altri chiedono di parlare su questo argomento? Il Consigliere Conti, ne ha facoltà.



CONTI Domenico

Io per la verità non ho intenzione di intervenire direttamente sulla legge, anche perché mi riservo di farlo lungo l'iter di formazione della legge regionale concernente gli Statuti delle Comunità montane. Ciò che invece vorrei discutere, è la proposta di lavoro che ci ha fatto poc'anzi l'Assessore incaricato della relazione. Questa proposta di lavoro mi lascia assai perplesso, soprattutto la costituzione del comitato interassessorile.
Quello della comunità montana è un problema di programmazione che investe tutti gli aspetti fondamentali della vita economica, sociale, formativa ecc. Non capisco qual è stato il criterio in base al quale si sono scelti certi assessorati e ne sono stati esclusi altri. L'art. 2 della legge si propone di dotare i territori montani, con l'esecuzione di opere pubbliche di bonifica montane, delle infrastrutture e dei servizi civili idonei a consentire migliori condizioni di abitabilità. Non mi sembra che la presenza dei servizi civili in questo comitato ci sia.
Punto d) "favorire la preparazione culturale e professionale delle popolazioni montane". Ho sentito poc'anzi il Consigliere Ferraris sostenere che in sostanza sono stati raggruppati gli assessorati più importanti e che chi si preoccupa della formazione della scuola e dell'assistenza è di serie B rispetto a uno sviluppo della comunità. Io non capisco queste scelte. Io avrei visto il punto di riferimento nell'Assessorato alla programmazione che in qualche modo dovrebbe riassumere tutti i contributi sotto la presidenza del Presidente della Giunta e con la partecipazione di tutti gli Assessori perché sono molteplici gli aspetti che vanno esaminati; a meno che noi crediamo che si tratti di dare soltanto un testo legislativo fine a se stesso:, che preveda formalisticamente quanto è stabilito dall'art. 4 della legge sulla montagna e non invece che questa è la prima e fondamentale occasione che richiede l'impegno di tutta la Giunta per esaminare i problemi della comunità montana allo scopo di redigere una legge relativa allo Statuto che ne tenga conto, tanto per abituarci a un rapporto con queste comunità che non si sia puramente formalistico e burocratico, tanto più fatto dall'alto, ma sia veramente fatto con cuore saldo e consapevole di tutti i problemi propri di queste comunità.
Vorrei vedere che cosa verrà fuori, per esempio al punto dell'art. 4 che dice: "nell'articolazione e composizione dei propri organi, nella preparazione dei piani zonali e dei programmi annuali, dei rapporti con altri enti operanti nel territorio" se non si tiene conto del programma che la Giunta nel suo complesso intenda dare, vorrei sapere come è possibile procedere ad un rapporto valido, significativo, propulsivo che si alimenti e non si chiuda in testo giuridico finito e come si possa procedere con questo comitato interassessorile.
Ma c'è un altro grave aspetto: la scaletta dei lavori. Si dice che si vuole studiare per arrivare ad una proposta di delimitazione dei territori montani in zone omogenee, che si vuole lavorare per schema di norme a cui le comunità montane dovranno attenersi nella formulazione dei loro statuti e addirittura si vuole conseguire una bozza di statuto delle comunità montane da discutere magari preventivamente: ci mancherebbe altro, che almeno lo Statuto glielo lasciamo discutere alle comunità. Tutto questo è stato fatto a monte, dalla Giunta e presentato alle comunità montane una volta fatto: discutiamoci sopra invece con tutte le difficoltà che sappiamo in merito al tipo di discussione tanto più per quello che riguarda la bozza di Statuto.
A me sembra che la linea di lavoro dovrebbe essere quella che comprende la partecipazione dei Consigli di valle, delle comunità interessate, lungo tutto l'iter di formazione di questi documenti. Quindi, al posto dello schema di norme a cui le comunità montane dovranno attenersi, si dovrebbero fissare dei principi, dei criteri, non ancora norme, dei punti di riferimento perché ci vuole una base per la discussione; materialmente per arrivare a questi criteri ci vorrebbe una consultazione preventiva. Noi riteniamo che la comunità non stia lavorando in questa direzione, non stiano augurandosi che la Regione nella sua legge regionale predisponga piuttosto questo che non quest'altro teniamo lì completamente passive, in attesa che la Regione faccia qualcosa perché loro non sanno ragionare, non sanno esprimere nulla? Ecco che ci vorrebbe una consultazione preventiva dei principi da discutersi in Consiglio, poi si potrà procedere alla stesura di uno schema di norme che attraverso le commissioni ritorna alla discussione con le comunità interessate. Questo mi sembra un iter che veramente promuova la partecipazione e fa crescere tutti, a cominciare dalla Giunta e dal Consiglio Regionale i quali in questo rapporto anche loro hanno da acquisire notevoli elementi ed esperienza per permettere di raggiungere un punto di accordo sostanzioso, che è già qualche cosa di più che non semplicemente una disposizione di legge, è l'alimento della sostanza cui deve servire la norma di legge, cioè i rapporti fra Regione e comunità montane e la loro crescita effettiva in quanto comunità.
Io poi ho dei forti dubbi circa la bozza di Statuto della comunità che dovrebbe essere presentata, in ogni caso, non alla pari di uno schema di norme, perché fino a prova contraria le comunità montane hanno tutte il diritto di rifiutare qualunque proposta e di discutersi per conto loro il proprio Statuto; semmai venire loro in aiuto, fare presenti alcune esigenze per cui ci si augura che gli Statuti, sia pure nell'ambito della legge regionale, possibilmente realizzino una certa omogeneità, perché ci sono dei problemi particolari ecc., ma è questo il tipo di rapporto da realizzarsi là dove si parli di Statuto delle comunità e non della bozza.
Quindi il mio intervento è soprattutto sul programma di lavoro, sulla costituzione operativa che la Giunta si è data e sul programma di lavoro che la Giunta si è in qualche modo prefigurata.



PRESIDENTE

Ancora qualcuno chiede di parlare? Allora la discussione generale è chiusa.
Se l'Assessore vuole replicare, ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro, Assessore all'ecologia.

Io ringrazio il collega Ferraris perché al di là delle valutazioni fatte sul piano operativo da noi proposto, ha fatto anche un'illustrazione della legge che io avevo appena abbozzato.
Circa alcuni aspetti particolari, aggiungo che la delimitazione delle zone che dovrà essere fatta con la legge regionale si baserà senz'altro sulle zone attualmente costituite e funzionanti come Consigli di valle. Ci saranno dei ritocchi: infatti arrivano già dalle osservazioni, per cui si ritiene che qualche modifica agli attuali territori si dovrà fare, le proposte che permangono saranno valutate.
Devo dare atto dell'aiuto determinante che l'UNCEM piemontese ci sta dando. l'UNCEM è l'associazione degli Enti e Comuni montani che sotto la presidenza dell'avv. Oberto, sta facendo un lavoro veramente importante a livello locale. Devo aggiungere, inoltre, che a far parte del Comitato interassessorile saranno chiamati alcuni esperti in materie tecniche e giuridiche per discutere questi problemi.
Il collega Ferraris non ne ha parlato, ma se andiamo a cercare i problemi collaterali a quelli che andiamo discutendo (zone e statuti) possiamo citare anche i finanziamenti previsti dalla legge e messi a disposizione della Regione, finanziamenti che sono da assegnare alle comunità costituende, in attesa del varo della legge costitutiva delle comunità. E' un argomento che sicuramente porteremo in Consiglio perché si tratterà di distribuire globalmente a livello nazionale, 28 miliardi dei 116 stanziati.
Per quanto riguarda le consultazioni, noi le porteremo avanti tramite l'UNCEM, le Amministrazioni Provinciali, gli Assessorati alla montagna faremo anche le consultazioni dirette perché la legge prevede che dobbiamo sentire i comuni interessati, ecc. Noi abbiamo stabilito come limite la data del 29 febbraio per ricevere eventuali suggerimenti dai Consigli di valle, dalle Province, dalle Camere di Commercio, ecc. Dopo il 29 febbraio raccolte le prime indicazioni, procederemo alla consultazione di enti comuni e associazioni varie. Indubbiamente la contestualità delle due leggi è importante. Abbiamo pertanto deciso, pur prevedendo la legge 1102 in un primo luogo una legge regionale per la delimitazione delle zone e successivamente una legge regionale per la costituzione delle comunità montane, di portare avanti entrambe le leggi varandole contemporaneamente.
Il Consigliere Ferraris è entrato nel merito della procedura di esame delle proposte di legge che sarà intrapresa nell'ambito del Consiglio e delle Commissioni. Io non mi sento, come membro della Giunta, di anticipare questa procedura. Penso sia compito del Presidente del Consiglio, ricevuto un progetto di legge, stabilire quali commissioni interessare, se costituire una commissione ad hoc (prevista anche dallo Statuto) o se investire le varie Commissioni interessate a questo argomento. Mi impegno però ad informare il Consiglio su quanto la Giunta andrà facendo, dopo di che, consegnato il materiale, sarà compito del Consiglio, del Presidente e delle Commissioni esaminarlo.
Mi stupisce molto l'intervento del Consigliere Conti perché o non ha seguito quanto ho detto prima, o non mi sono spiegato, o non ha compreso ciò che ho esposto quando parla di consultazione preventiva. Io ho detto che abbiamo già tenuto una riunione di tutti gli enti che, nell'ambito regionale, si occupano di problemi montani, concordando assieme il piano di lavoro. Questi enti, come ha fatto la Provincia di Torino in questi giorni sentono i Comuni, i Consigli di valle, ecc. Quando avremo ricevuto le indicazioni, frutto di tale prima consultazione, dopo il 29 febbraio faremo come Regione altre consultazioni nei mesi di marzo, aprile e maggio.
Non so cosa dobbiamo fare di più. Quindi avremo due fasi di consultazioni: una preventiva fatta da Province, UNCEM ecc-che si sta realizzando adesso e che darà entro il 29 febbraio i primi frutti, l'altra formale e più impegnativa, che porteremo avanti noi nei successivi tre mesi, dopo di che verremmo in Consiglio a portare i risultati delle consultazioni e delle proposte di Giunta. Il Consiglio avrà modo ancora una volta di ripetere le consultazioni (attraverso le commissioni almeno, se lo si riterrà opportuno), e questa procedura è stata concordata fra tutti: enti, Regione, Consigli di valle, partiti senza distinzione di colore all'unanimità; insomma, non so che cosa si debba ancora dire in merito. Noi non imporremo niente: stiamo raccogliendo tutti gli statuti dei Consigli di valle esistenti (ne sono arrivati 27 su 36) dei quali estrarremo le normative di massima che è oggi in vigore, e di cui si terrà conto nella preparazione di uno schema di legge regionale che dovrà dettare norme sulle formulazioni degli Statuti della Comunità, sull'articolazione e composizione degli organi, sulla preparazione dei piani zonali. In un secondo tempo, come suggerito anche dall'UNCEM, si esaminerà l'opportunità di predispone una bozza di statuto tipo che, sulla scorta della normativa regionale, serva da trama di discussione per la Comunità, nel pieno rispetto della loro autonomia.
Per quanto riguarda il Comitato interassessorile la Giunta ha deciso non di incaricare dodici assessori, ma solo sei inizialmente (potranno diventare otto); comunque non ha ritenuto necessario impegnarli tutti e dodici. Gli incaricati riferiranno periodicamente a tutta la Giunta e questa trarrà le sue conclusioni; anch'io ritengo che tutti e dodici gli assessori siano interessati, è difficile scegliere quale di più e quale di meno.
Concludendo, riaffermo la volontà della Giunta di portare avanti la questione nei tempi che ho indicati, sono tempi forse stretti ma speriamo di rispettarli; in questo modo, entro il mese di ottobre saremo in grado di determinare le zone omogenee, costituire le Comunità montane, approvare la normativa cui le Comunità montane dovranno attenersi nella formulazione dei loro statuti ecc., cosicché nei successivi mesi di novembre, dicembre o al massimo gennaio le singole comunità potranno approvare i rispettivi statuti. Io penso che potremo raccogliere delle utili indicazioni, come diceva anche il Consigliere Ferraris, già nell'attuale preliminare fase di consultazione; indubbiamente verranno alla luce dei problemi economici e di sviluppo delle zone, di cui potremo già tener conto per individuare i temi principali su cui dovremo soffermarci per i piani da approvare in futuro.
Nel contempo (e questo mi pare un argomento interessante) dovremo tenere in considerazione le esigenze immediate delle varie comunità, in modo da poter impiegare già per il 1972 i 28 miliardi già stanziati a livello nazionale che la Regione ha il dovere di distribuire alle comunità.



PRESIDENTE

La discussione sull'argomento è chiusa, dovremmo adesso passare alla discussione sugli adempimenti di legge relativi agli asili nido


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Vorrei sapere dal Consiglio, per l'economia dei nostri lavori perch qualche Consigliere mi ha detto di avere degli impegni (so che la relazione dell'Assessore Vietti richiederà una decina di minuti) quali Consiglieri intendono iscriversi a parlare, Fabbris. Allora mi pare che l'argomento potrebbe essere trattato questa sera ed esaurito. Basterebbe l'esame di mozioni sui seguenti argomenti: situazione edilizia a Bardonecchia; libertà di stampa. Siccome, da notizie che mi sono state riferite poc'anzi, nella mattinata di domani è prevedibile che l'esame della proposta di legge di iniziativa dei Consiglieri Fassino, Gandolfi ecc. trovi una sua completezza, per cui vi sarà la possibilità di presentarla nel testo definitivo e siccome è prevista la convocazione del Consiglio Regionale per il pomeriggio di domani, in queste condizioni si potrebbe convocare il Consiglio per le 16,30, tenendo presente che la Giunta delle Elezioni è convocata per le ore 15, e si discuterebbero le due mozioni in appendice alla legge sull'indennità di funzione o di carica e rimborso.
Il Consiglio concorda su questa linea di lavori? Benissimo, Allora, la parola all'Assessore Vietti.


Argomento: Comunita' montane: Piani di Sviluppo - Montagna - Asili nido

Discussione sugli adempimenti di legge relativi a leggi della Repubblica sulla Montagna e sugli asili nido (seguito)


VIETTI Anna Maria, Assessore alla sicurezza sociale.

La legge 6/12/1971 n. 1044 prevede la realizzazione nel quinquennio 1972/76 di 3800 asili nido, che dovranno essere costruiti e gestiti dai Comuni o dai Consorzi di comuni, mediante contributi che lo Stato assegnerà alle Regioni entro il mese di febbraio di ogni anno, sulla base dei criteri previsti dall'art. 8 della legge 16.5.1970, n. 281, relativa ai provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni.
I contributi sono di due tipi: il primo pari ad una cifra fissa una tantum di L. 40.000.000 per la costruzione, l'impianto e l'arredamento; il secondo pari ad una cifra fissa annuale di L. 20.000.000 per le spese di gestione, di funzionamento e di manutenzione dell'asilo stesso.
La Giunta Regionale dichiara fin d'ora che, come prevede l'art. 1 della legge, integrerà il fondo stanziato dallo Stato.
E' certo superfluo mettere in luce l'importanza degli asili nido. Basti evidenziare le caratteristiche più rilevanti della famiglia, nella società moderna, che non è più costituita da un notevole raggruppamento come nella famiglia patriarcale ma dal gruppo ristretto, costituito dai genitori e dai figli e che, per di più, per i ritmi di vita urbani ha allentato i rapporti con i nuclei familiari di origine.
Ciò ha certo aspetti positivi perché, in genere ha intensificato i rapporti tra i figli ed i genitori ed ha favorito maggior autonomia educativa con conseguente aumentata possibilità di più intensa maturazione delle caratteristiche individuali.
Ha pero aspetti negativi per la diminuzione di altri rapporti intra familiari che svolgono funzione integrativa rispetto al rapporto fondamentale genitori-figli.
Inoltre la donna, impegnata in un'attività extra casalinga, ha troppo poco tempo disponibile per i propri figli e perciò l'asilo nido pu svolgere una funzione integrativa della famiglia per lo sviluppo psico fisico-pedagogico del bambino, anche tenendo conto che gli studi psicologici dimostrano l'utilità dell'inserimento del bambino, sin dalla più tenera età, nella vita di gruppo.
L'asilo nido risponde quindi alle esigenze delle donne lavoratrici che durante le ore di lavoro, devono avere la sicurezza che i propri figli siano affidati a personale professionalmente qualificato, si trovino in un ambiente igienicamente sano oltreché ricco di stimolazioni idonee a favorire lo sviluppo psico-affettivo e la socializzazione.
In tal senso è da considerarsi positivo il superamento dell'articolo 11 della legge 26 agosto 1950 n. 860, che prevedeva le camere di allattamento nelle dipendenze dei locali di lavoro e l'istituzione di asili nido aziendali. E' evidente infatti che oltre il disagio di superare la lontananza che quasi sempre esiste tra l'abitazione ed il luogo di lavoro non sempre l'ambiente di fabbrica è idoneo alla salute fisica del bambino e per di più l'asilo nido aziendale o la camera di alloggio determinano il rischio di porre le madri in uno stato di disagio psicologico, durante le ore di lavoro, per sapere il figlio vicino senza poterglisi dedicare.
La localizzazione dell'asilo nido, come servizio per la famiglia e per la prima infanzia, deve essere di tipo residenziale, ossia deve essere fissata nell'ambito della zona di residenza delle famiglie che fruiranno del servizio.
Le legge che stiamo esaminando fissa il 30 aprile, come termine entro il quale i Comuni od i Consorzi di Comuni dovranno presentare le richieste al fine dell'elaborazione del piano annuale degli asili nido che la Regione dovrà trasmettere al Ministero della Sanità entro il 31.10 di ogni anno.
Entro fa fine di febbraio la Giunta inviterà i Comuni a presentare le loro richieste con una relazione che permetta di stabilire le esigenze dei singoli Comuni in rapporto alle priorità di intervento che saranno fissate nel piano.
Si attende tale data per verificare se il Ministero della Sanità contemporaneamente alla notifica del fondo stanziato per la nostra Regione darà ulteriori indicazioni.
Comunque anche se non ci saranno notizie entro la fine di febbraio da parte del Ministero della Sanità, la Giunta inviterà i Comuni a presentare le loro richieste.
Io mi permetto di avanzare quelli che, secondo me, sono gli elementi in base ai quali stabilire le priorità di intervento, ben lieta che il Consiglio li integri e li modifichi al fine di avere un orientamento sulla relazione, che stabilisca le esigenze del servizio, da richiedere ai singoli Comuni.
In linea di massima, i criteri che dovranno determinare le priorità di intervento potrebbero essere i seguenti: asili nido già funzionanti e numero dei posti disponibili numero della popolazione infantile dagli 0 ai 3 anni percentuale delle donne residenti che svolgono attività lavorativa extra casalinga sul numero totale della popolazione del Comune tasso di incremento della percentuale di popolazione dagli 0 ai 3 anni nel decennio 1961/71, per controllare se i Comuni richiedenti siano in fase di sviluppo, oppure se vi sia invecchiamento della popolazione popolazione, sprovvista del servizio, gravitante sul Comune richiedente.
Si fisserà in seguito la data entro la quale dovranno essere approvati l'idoneità delle aree su cui sorgeranno le costruzioni ed i progetti, aree che dovranno essere scelte e progetti che dovranno essere elaborati secondo le norme legislative che la nostra Regione emanerà.
Il mio Assessorato sta predisponendo tali norme che, secondo quanto prevede l'articolo 6 della legge, devono prevedere le norme generali per la costruzione, il controllo, la scelta del personale e la gestione, che dovrà garantire la partecipazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali organizzate nel territorio.
Riassumendo, entro la fine di febbraio, ci sia o non ci sia la comunicazione da parte del Ministero della Sanità dell'ammontare del fondo stanziato per la nostra Regione, noi inviteremo i Comuni a presentare le domande con una relazione che evidenzi le loro caratteristiche in rapporto alla necessità degli asili nido.
Inoltre la Giunta sta predisponendo quanto previsto dalla legge per stabilire i criteri per la costruzione, la gestione, il controllo e l'organico del personale degli asili nido. Evidentemente faremo ampio ricorso alle consultazioni dei sindacati e degli enti interessati; le consultazioni verranno fatte dalla Giunta e dalla Commissione permanente che ha competenza in materia. Entro il 31 ottobre sarà poi presentato in Consiglio il piano annuale.
Mi sono limitata a queste osservazioni preliminari di carattere introduttivo, poiché in sede di approvazione del piano e delle norme legislative la Giunta esprimerà le sue ulteriori proposte. Per ora comunico al Consiglio il risultato di un'indagine conoscitiva sugli asili nido funzionanti nella Regione.
I dati sono i seguenti: Alessandria: 7 asili nido, posti 298, popolazione da 0 a 3 anni (tutti i dati della popolazione sono relativi al censimento del '61) 14 497 percentuale dei posti in rapporto alla popolazione 2,06 Asti: 4 asili nido, posti 160, popolazione da 0 a 3 anni 7.243 percentuale 2,21 Cuneo: 7 asili nido, posti 329, popolazione da 0 a 3 anni 19.696 percentuale 1,67 Novara: 10 asili nido, posti 422, popolazione da 0 a 3 anni 17.669 percentuale 2,39 Torino: 51 asili nido, posti 3.024, di cui 1833 nel capoluogo e 1191 in provincia, popolazione da 0 a 3 anni 72.011, percentuale 4,20 Vercelli: 18 asili nido, posti 522, popolazione da 0 a 3 anni 13.222 percentuale 3,95.
In totale: asili nido 97, posti 4755, popolazione da 0 a 3 anni 144.339, possibilità di posti per i bambini 3,29 per cento. Questi dati, in realtà, sono in parte superati perché la popolazione è aumentata.
Gli asili nido esistenti sono in gran parte gestiti dall'ONMI e dalle grandi industrie; soltanto 8 sono gestiti dai Comuni - 6 dal Comune di Biella e 2 dal Comune di Valenza.
I dati riferiti tengono conto della popolazione dagli 0 a 3 anni secondo i risultati del censimento del 1961. Poiché tale popolazione ormai supera certamente le 160.000 unità, nella nostra Regione può usufruire del servizio degli asili nido mediamente circa il 3 per cento dei potenziali frequentanti; nella provincia di Torino si raggiunge il 3,8 per cento.
Per giungere ad una prima tappa, quella di soddisfare le esigenze del 10 per cento della popolazione dagli 0 ai 3 anni, necessitano quindi 11.245 posti, ossia 281 asili nido con una capienza media di 40 posti.
E' quindi evidente la carenza del servizio soprattutto tenendo conto che nella nostra Regione si registra la presenza di aree altamente industrializzate.
Pur nella convinzione che, in rapporto ai costi annuali, il fondo stanziato dallo Stato è insufficiente per la costruzione e la gestione di 3.800 asili nido, nel quinquennio, e soprattutto che gli asili nido raggiungeranno il loro scopo di realizzare lo sviluppo psico-fisico pedagogico della prima infanzia se si avrà come obiettivo fondamentale quello di attuare un organico sistema di formazione e di aggiornamento del personale, oggi carente nel settore, si può affermare che la legge 6/12/1971 n 1044, che prevede la costruzione e la gestione di asili nido da parte dei Comuni o dei Consorzi di Comuni, permetterà di sviluppare e di migliorare un servizio fondamentale per la prima infanzia e la famiglia.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare la Consigliera Fabbris, ne ha facoltà.



FABBRIS Pierina

Signor Presidente, signori Consiglieri, io ritengo di dover ringraziare l'Assessore Vietti per i dati che ci ha fornito e anche per introduzione all'esame della legge che in parte coglie alcuni elementi che anch'io mi proponevo di presentare al Consiglio.
Faccio comunque alcune considerazioni in aggiunta a quelle fatte dall'Assessore, anche di carattere generale, sul valore politico e sociale della legge, anche in relazione ad alcuni adempimenti che ci troviamo a dovere affrontare.
Innanzitutto ritengo opportuno ricordare a tutti noi che questa legge sulla costruzione degli asili nido costituisce un importante successo del movimento operaio, in particolare delle lavoratrici, a coronamento di una battaglia che è durata lunghi anni e che ha visto il convergere di forze le più ampie possibili e comprendenti movimenti, associazioni femminili sindacali ecc. che hanno costituito un vero e proprio schieramento democratico, al quale va lo specifico merito della conquista di questa legge di cui diamo un giudizio positivo. Noi concordiamo sul giudizio espresso dall'Assessore Vietti, anche se non possiamo non lamentare l'aspetto negativo che è costituito dall'insufficienza dell'onere finanziario previsto dallo stanziamento dello Stato. Infatti, mentre si prevede la necessita della costruzione di 3800 nidi, lo stanziamento statale e in base alla costruzione di soli duemila di questi nidi. Malgrado ciò, che anche l'Assessore ha rilevato essere l'aspetto più negativo della legge e che merita un'integrazione da parte della Regione, ritengo doveroso sottolineare però gli aspetti positivi. Innanzi tutto, per la prima volta viene assicurato l'intervento della società a sostegno dei problemi dell'infanzia nella loro dimensione sociale, concependo cioè l'asilo nido quale centro di un nuovo rapporto educativo sociale del bambino nell'ambito della famiglia e della società, il tutto nella dimensione residenziale e previsto nella gestione sociale dei nidi stessi. Credo non sfuggirà a nessuno (non è sfuggito nemmeno all'Assessore) il valore, l'importanza politica di questo primo fatto; e non sfuggirà altresì il valore democratico partecipativo di questo fatto, nel senso che finalmente questo problema cessa di essere una questione privata familiare e mentre la famiglia non è più il momento di compensazione per la soluzione individuale dei problemi creati dalle carenze, dagli squilibri e dalle contraddizioni della società, sollecita la partecipazione democratica dei cittadini quale strumento della volontà di trasformazione delle strutture sociali. Vi è quindi, in questo fatto, un grande significato politico e democratico che non possiamo non riconoscere. Da qui deriva il secondo aspetto positivo e cioè che la legge per i nidi costituisce la prima legge di piano che istituendo un servizio pubblico, privilegia il consumo sociale, incide concretamente sugli indirizzi della spesa pubblica e sull'intervento pubblico in campo economico, agisce a sostegno dell'occupazione femminile e in difesa diretta del salario dei lavoratori. Non è necessario che impieghi molte parole per dimostrare come la mancanza dei servizi sociali per la prima infanzia anche nella nostra Regione, abbia inciso fortemente sulla possibilità per migliaia di donne di continuare a lavorare dopo la nascita del primo figlio e sulle ripercussioni negative di questo fatto, non solo per l'occupazione femminile in senso ristretto, ma per l'intera economia che viene così ad essere privata dell'apporto di intelligenza e delle capacità creative che le donne possono dare nel campo produttivo. Potrei dare alcuni dati che collocano l'Italia come fanalino di coda negli ultimi anni nel tasso della popolazione attiva, che risulta essere complessivamente del 36 per cento inferiore persino a quelli della Grecia della Turchia, della Spagna e del Portogallo. A tali bassi livelli si è giunti per effetto principalmente della minore partecipazione alle attività lavorative della popolazione femminile il cui tasso di attività è inferiore al 20 per cento, mentre negli altri Paesi supera il 30 per cento. Questi sono dati presi dal documento programmatico preliminare previsto dal Ministero al Bilancio per il '71-'75, quindi dati inconfutabili.
Ecco perché ritengo di dover sottolineare il valore sociale di questa legge, che coglie la necessita inderogabile dell'aiuto che la società deve dare alla famiglia sia per la formazione dell'individuo che a sostegno dell'occupazione femminile. La legge per gli asili nido inoltre attribuisce un servizio di primaria importanza (e questo è un altro aspetto molto importante) ai Comuni, che diventano i veri soggetti della legge; spetta infatti a loro prendere ogni iniziativa al di fuori di ogni ingerenza dello Stato e cioè garantire la piena aderenza alle singole realtà locali e alle esigenze delle popolazioni; impegna inoltre le unità sanitarie locali future e immediatamente, in mancanza di queste, gli ufficiali sanitari alla vigilanza igenico-sanitaria di questa nuova struttura che si viene a creare. Inoltre rappresenta la prima legge quadro che, affidando alle Regioni la programmazione e la normativa dei nidi per la loro costruzione e gestione, costituisce un momento importante nel processo di decentramento del potere e di valorizzazione delle autonomie, per cui è possibile da qui articolare un discorso di prospettiva sui nidi inseriti nel generale contesto di tutta una nuova politica sociale che si collega organicamente con la scuola, la sanità, i servizi sociali nell'ambito dell'auspicata attuazione di un sistema di sicurezza sociale.
In sostanza, a mio parere, la legge, per gli obiettivi che si propone e per il modo con cui è strutturata, costituisce insieme un successo della lotta per l'emancipazione femminile e un'anticipazione della riforma regionale.
Da quanto ho voluto esprimere brevemente sul valore generale della legge, mi pare giusto ricordare a noi stessi la situazione nella quale si viene a collocare questa legge che è caratterizzata dai dati fornitici dall'Assessore Vietti, che dimostrano l'assenza quasi assoluta di iniziative pubbliche (potrei dire assoluta, perché quando siamo in presenza di otto asili nido comunali penso non sia esagerato dire la carenza assoluta di iniziative pubbliche) e la presenza esclusiva di istituzioni costruite e gestite dall'ONMI con un servizio insufficiente anche se molto costoso, oserei dire prezioso, che però è il servizio che abbiamo più volte criticato perché accentrato, burocratico (e qui il discorso si farebbe lungo).
Da qui voglio fare un altro discorso: mi sembra giusto proporre al Consiglio, in questo momento, una presa di posizione nei confronti del governo per sollecitare quello che non solo è stato sollecitato da altri consessi pubblici, ma addirittura decretato dall'o.d.g. fatto dal Senato nel mese di giugno e cioè sollecitare le misure necessarie per arrivare allo scioglimento di questo grosso carrozzone, per il passaggio invece agli Enti locali e ai Comuni di tutte le strutture del patrimonio dei finanziamenti ecc., affinché si arrivi all'inserimento di queste strutture in quello che deve essere il servizio sociale generale. Mi pare che questo sia giusto da parte nostra richiederlo, proprio nel momento in cui prendiamo atto che c'è questa nuova legge che comincia a dire che la Regione ha questo potere in questa materia; mi sembra giusto che noi spendiamo una parola a questo proposito e quindi sollecitiamo il governo a promuovere, a prendere le iniziative necessarie per lo scioglimento dell'ONMI e per il trasferimento del patrimonio, delle funzioni e dei finanziamenti di tutto questo Ente alle Regioni e ai Comuni.
Inoltre ritengo di dover fare un'altra proposta, anche se può sembrare contraddittoria: mentre prendiamo posizione come Consiglio Regionale nei confronti di quella che secondo noi dovrebbe essere una decisione del governo di scioglimento di questo ente, in attesa che ciò avvenga, per evitare che ci siano vuoti nell'adempiere a quelli che sono i compiti che oggi sono affidati a questo carrozzone, a me pare giusto che come Regione andiamo a ricercare un'iniziativa con i dirigenti dell'ONMI provinciale per arrivare a delle convenzioni che consentano una gestione ai comuni di quelli che oggi sono gli asili ONMI. Non è che io proponga che i Comuni diventino padroni di questi asili, questa sarà materia che verrà regolamentata dallo Stato, dal Governo, dal momento in cui dichiarerà che questo ente è scelto, chiedo però che in attesa di ciò, per assicurare una gestione democratica e un funzionamento più adeguato a queste istituzioni che ci sia la ricerca di convenzioni particolari che affidino ad una gestione comune, Enti locali e l'attuale personale dell'ONMI, il proseguimento dell'attività di questi asili.
Nel merito dell'applicazione della legge io concordo con il criterio proposto dall'Assessore Vietti nel senso che l'asilo nido dovrà avere un carattere educativo e di formazione, di socializzazione del bambino e quindi non di semplice custodia e di assistenza, qualunque sia. Mi pare importante che noi stabiliamo fin d'ora questo principio, perché in fondo qui sta uno dei valori innovatori che questa legge ci propone, nel momento in cui prevede che il nido si deve porre come supporto alla famiglia, come elemento integrativo arricchente, anche se non sostitutivo della famiglia stessa. In linea generale di principio l'asilo deve essere inteso come struttura formativa per la prima infanzia per tutta la comunità decentrata a livello residenziale e gestita socialmente.
Per quanto riguarda i compiti immediati e le proposte che sono state portate dall'Assessore Vietti (del resto lei sollecitava una certa collaborazione) io mi permetterei di fare alcune proposte e cioè: a me pare che sarebbe giusto che la lettera che sarà mandata ai comuni, sia il frutto di una delibera del Consiglio Regionale, il quale stabilisca, accanto alla richiesta dei dati e della documentazione che proponeva l'Assessore, che il Comune, nel momento in cui si fa la domanda per la costruzione di un asilo nido, debba presentare una delibera o del Consiglio, o della Giunta, dalla quale risulti l'impegno dal Consiglio Comunale, o comunque di quel determinato comune, a gestire in proprio (o in consorzio, a seconda che si tratti di un comune piccolissimo che non ne ha la possibilità) il futuro asilo nido. Questo mi sembra importante proprio nell'ambito di quell'orientamento che la stessa Assessore Vietti ricordava, e cioè che devono essere i comuni non solo a costruire, ma anche a gestire e ad impegnare più razionalmente i soldi che sono già pochi e che devono essere impiegati con i fondi della Regione.
Inoltre mi sembra - non so se mi è sfuggito - che un altro dato che sarebbe necessario richiedere ai Comuni è il tasso di mortalità infantile quanto meno negli ultimi anni. Io non so ogni quanto vengono fatte le statistiche, comunque i Comuni dovrebbero essere in possesso degli ultimi dati della mortalità infantile. Infine sarebbe opportuno chiedere la previsione del costo fatta da quel determinato comune per la costruzione dell'asilo nido e se è già stata stanziata una cifra a bilancio oppure no.
Io aggiungerei queste cose, non per appesantire la documentazione che è necessaria per chiedere il contributo per la costruzione, anzi, penso che dobbiamo essere mossi dalla preoccupazione di evitare che alcuni Comuni piccoli, vedendosi richiesta una documentazione onerosa, si trovino in difficoltà e quindi rinuncino a fare la domanda. Mi sembra però che sia opportuno che noi ci cauteliamo (passatemi la parola) al fine di cominciare ad avere un'idea nel senso che diamo i contributi per la costruzione dei nidi a quei comuni che ci danno più garanzia di costruire e quindi che sia un impegno serio e non una cifra che viene richiesta e poi magari si pensa di non usufruirne quest'anno, ma di rinviare all'anno successivo; che sia una documentazione atta a fornire un carattere serio alla domanda.
Per quanto concerne la gestione, mi permetterei di proporre alcune altre cose nella documentazione; ci sono due tipi di contributi per la costruzione e per la gestione, per la costruzione ho già detto, per la gestione penso che sarebbe opportuno chiedere anche l'attuale bilancio del nido, tutti i comuni devono averlo; di questo bilancio, quale cifra è rappresentata da un eventuale contributo dei datori di lavoro? Quali sono le rette fissate, il numero dei bambini ospitati, la tabella dietetica, il personale occupato, quanto è questo personale occupato e di quale qualifica? Mi sembra cioè opportuno che facciamo tutte queste richieste proprio per dare un carattere più serio alla documentazione che viene richiesta.
Per quanto riguarda l'elaborazione del piano regionale concordo con il carattere proposto dall'Assessore Vietti e cioè che si vuole andare all'elaborazione del piano attraverso una consultazione.
Io credo che varrebbe la pena informare immediatamente i comuni di questa intenzione, allo scopo innanzi tutto di far fare nell'ambito dei Consigli Comunali o quanto meno della Giunta, una discussione in base alle necessità esistenti nell'area del Comune per dare un orientamento per cui si arrivi ad una verifica delle situazioni, delle esigenze a livello comprensoriale circondariale o provinciale, con l'eventuale partecipazione degli organi regionali: la Commissione IV, la Giunta, non lo so, ma arrivare alla consultazione, allo scopo di vedere come integrare lo stanziamento dello Stato che non è sufficiente; in che misura non è sufficiente, qual è la situazione reale dei vari comprensori nelle varie province, nei vari circondari? E che tipo di integrazione ci deve essere? Infine, l'attuazione del piano implica un problema di formazione del personale, cosa d'altra parte già ricordata anche dall'Assessore. Come affrontarlo? A me pare che, se pure non è un problema di immediato impiego dobbiamo vedere subito come ci prepariamo, perché il personale non c'è.
L'Assessore Vietti ricordava che il Comune di Biella gestisce sei asili nido, ebbene, io mi ricordo le discussioni fatte in Consiglio Comunale quando si è deciso di istituire questo servizio e le difficoltà che il Comune ha dovuto affrontare per trovare il personale che non c'e, e non c'è neanche una scuola che prepari il personale necessario per questo tipo di servizio quale si propone di realizzare la legge.
A questo punto io penso che, pur avendo, anzi, proprio perché abbiamo del tempo a disposizione, valga la pena di: o dare incarico alla Commissione IV e III per esempio di cominciare ad affrontare l'argomento e a presentare delle proposte al Consiglio, oppure istituire un'apposita commissione di esperti e di amministratori che tenga conto delle esigenze e veda quali proposte affrontare.
L'ultima cosa che intendo raccomandare è che nell'adempimento di questi compiti primari della Regione per l'attuazione della legge, il Consiglio sia rapidamente chiamato ad esprimersi sui criteri che dovranno costituire la base per la costruzione dei nidi, perché possiamo già avvalerci di esperienze di elaborazioni in atto, possiamo anche non ritenerle valide comunque penso che anche su questo il Consiglio debba essere chiamato al più presto a deliberare.
Queste sono le cose che mi pareva opportuno ricordare in aggiunta alle informazioni date dall'Assessore Vietti.
Infine, un'ultima proposta: poiché sono chiamate in maniera particolare ad occuparsi di questo problema le Commissioni III e IV, allo scopo di cominciare ad avere qualche dato per sapere come operare, io farei la proposta che l'informazione dell'Assessore venisse riprodotta e consegnata ai componenti di quelle due Commissioni.



PRESIDENTE

Qualcuno chiede ancora di parlare? La parola al Consigliere Conti. La pregherei proprio di essere estremamente breve perché abbiamo preso l'impegno di chiudere presto.



CONTI Domenico

La legge che stiamo esaminando e sulla quale stiamo discutendo, come già è stato detto riconosce pienamente la competenza regionale finalmente rispetto alla disciplina legislativa, rispetto alla programmazione delle attività locali nel settore e perciò agisce contro l'accentramento burocratico delle decisioni di pianificazione, contro l'organizzazione verticistica delle strutture amministrative e pone un concreto fondamento della programmazione partecipata delle Regioni nei confronti della programmazione nazionale, degli enti e formazioni locali e dei cittadini verso la programmazione regionale.
E' anche rimarchevole il sistema di alimentazione del fondo: per quanto insufficiente nel suo complesso, coinvolge tutte le aziende e non solo quelle ad elevata occupazione femminile poiché il servizio che si vuole istituire e visto come finalità a favore della famiglia nel suo insieme e tanto del lavoratore come della lavoratrice.
Circa il significato politico della legge, vorrei osservare che vuole operare nel quadro di una politica della famiglia, così come dice la legge predisponendo un servizio sociale di interesse pubblico, quindi non più la famiglia considerata dallo Stato come realtà privatistica, non contrapposizione tra società e famiglia, ma aiuto innanzi tutto alla famiglia in quanto tale, con la conseguente esaltazione dei ruoli parentali fondati su una sostanziale eguaglianza dei membri in ordine all'assolvimento dell'obbligo di educare i figli tra l'altro; ancora riconoscimento del valore prioritario della famiglia nell'assolvimento di quanto attiene all'allevamento, alla crescita e all'educazione dei figli ancora, ristrutturazione dei rapporti famiglia-società, in modo da rompere l'isolamento della famiglia, tanto più grande nella città industriale, in modo da aiutarla e integrarla, non però sostituirla, né surrogarla nel suo compito educativo. Ancora importante da notare è la partecipazione e la solidarietà operante che la legge fissa, degli Enti locali e delle formazioni sociali organizzate nei rapporti della famiglia. Infatti, noi non siamo figli né del Comune né di qualunque altra formazione organizzata ma si è figli di un padre e di una madre e in primo luogo si è membri di una famiglia.
La legge esalta la funzione sociale della maternità; la sicurezza prima che un sistema sociale, è un livello interiore ed emotivo, e un modo d'essere; la sicurezza in questo senso comporta l'esperienza consolidata di sicuri rapporti e di rapporti sicuri (non sembri un gioco di parole) che siano primordiali e che siano fondamentali, costanti e permanenti; la sicurezza interiore ed emotiva come stato d'animo, come modo d'essere nasce soltanto dalla solidarietà, dalla disponibilità totale, dal calore dei rapporti familiari. Tale sicurezza è la prima forma di educazione, è il presupposto di ogni altro sviluppo educativo, non si può essere liberi se si è degli insicuri; gli insicuri tendono totalmente ad essere o dei depressi, oppure degli aggressivi. Il primo rapporto è col grembo, col seno materno che però non deve essere un rapporto abbandonato a se stesso occorre evitare la riserva da parte della madre in questo rapporto, o anche l'apprensione, perciò occorre un impegno intanto dal coniuge, il quale non deve essere estraneo all'educazione nei primi tempi della vita del fanciullo, ma anche di tutta la società, proprio per creare quelle condizioni che evitino in primo luogo le riserve affettive o le apprensioni affettive della donna nei confronti della prole.
Naturalmente il ruolo di questi asili nido non è solo questo, ma è anche quello di integrare l'opera della famiglia, intanto, come è già stato detto, con un nuovo rapporto sociale, il rapporto che il bambino viene ad avere nell'asilo con altri coetanei, con altri adulti, ma integrare anche la stessa funzione educativa dei genitori in quanto offre a questi ultimi delle possibilità di incontro; di discussione, di partecipazione che ampliano il loro panorama e consente loro di mantenere l'occupazione al lavoro, sorgente indubitabile di suggestioni, di indicazioni, di rapporti estremamente preziosi per il consolidamento, lo sviluppo di un'esperienza e di una efficacia educativa.
Tra i problemi che si devono affrontare con la legge regionale, vorrei sottolineare questo: innanzi tutto che la legge si configuri come un intervento di programmazione e non di semplice disciplina, di semplice attuazione di programmazione, cioè la legge abbia una consapevolezza di tutti i rapporti, le interrelazioni che il problema del bambino, della donna, della famiglia hanno. Per esempio questo problema porterà con se anche quello del lavoro ed eventualmente il ritorno ad esaminare (non nei termini in cui è stato proposto da certe aziende) il part-time. Non dimentichiamo che se è molto più valida la soluzione residenziale che non quella aziendale o aziendalistica dell'asilo nido, rimangono pure dei problemi da risolvere, come quello dell'allattamento, che sono fondamentali per la vita del bambino se si pone mente a quanto asseriscono gli psicologi dell'età evolutiva, soprattutto dell'infanzia, in rapporto alla nutrizione del bambino che non è soltanto una crescita fisica, ma incide profondamente, è un mezzo di conoscenza, è un rapporto fondamentale primordiale per l'intero sviluppo del bambino.
Per quel che riguarda la gestione dei comuni, io non sarei così tassativo, i comuni devono rendersi garanti anche della volontà dei genitori, non soltanto della volontà della Regione. Sono in definitiva le famiglie che affidano i loro figli a degli estranei ed è giusto che le famiglie abbiano delle garanzie in questo campo e possano partecipare alla determinazione di coloro cui vengono affidati i propri figli, sempre se non vogliamo fare delle istituzioni che contraddicendo lo spirito della legge sottraggono praticamente il bambino ai genitori per sostituirvi il loro apporto educativo. Direi perciò che il ruolo degli Enti locali deve essere anche visto proprio come salvaguardia dell'effettiva partecipazione della famiglia e anche delle formazioni interessate al problema, tra queste mi permetterei di mettere anche gli stessi educatori i quali non è da pensare che non partecipino in qualche modo anche alla gestione dell'unità operativa dell'asilo nido; non facciamone dei semplici esecutori di ordini ecc. perché questo non è un criterio per valorizzare la loro attività, n tanto meno per stabilire un programma relativo alla loro formazione.
La questione della formazione è già stata sollevata molto bene intanto dall'Assessore e poi dalla Consigliera Fabbris; si vorrebbe già sapere adesso, perché i tempi della formazione sono in certo modo più lunghi di quelli della costruzione e dell'organizzazione, come la Regione intenderebbe muoversi in questa direzione, perché i contributi che la legge mette a disposizione non riguardano la formazione. Se invece la legge regionale, concepita non come pura determinazione di disciplina, di normativa, ma come intervento programmatorio, deve, per forza di cose considerare questo aspetto fondamentale. Come, a chi, come verranno formati, con quali mezzi, con quali strutture, con quali iniziative, con quali procedimenti? Anche perché mi pare che i finanziamenti cominceranno a decorrere con quest'anno e naturalmente costruzioni ecc. sono poi risolvibili, penso; intanto ci sono già delle iniziative in atto, esistono tentativi di costruzione qua e là, ma sarà relativamente facile arrivare all'impiego di questi denari per la costruzione; ma per la formazione quali saranno gli sbocchi, quali saranno gli esiti? La partecipazione dei genitori, secondo me va vista anche - sempre in un intervento che sia programmatorio e non di disciplina specifica - alla luce della cosiddetta educazione permanente. Questa partecipazione deve essere una forma concreta di educazione permanente, di opportunità offerta a tutti in realtà, ma in modo particolare ai genitori, naturalmente quindi deve essere dato tutto ciò che occorre perché si concreti in questo modo in maniera che il loro prodigarsi per i figli, il loro intervenire a favore dei figli costituisca effettivamente una sorgente di educazione.
Diversamente, se non approfitteremo per rendere educativamente rilevanti questi interventi a carattere partecipativo, quando mai e con quali mezzi con quali iniziative attueremo questa benedetta educazione permanente? Vorrei che fosse tenuto presente anche questo concetto.



PRESIDENTE

Nessun altro chiede di parlare? La discussione generale è chiusa.
Replica l'Assessore Vietti.



VIETTI Anna Maria, Assessore alla sicurezza sociale

Sarò telegrafica nella risposta perché il Presidente mi ha ricordato che alcuni Consiglieri hanno impegni urgenti e che quindi la seduta del Consiglio deve terminare quanto prima.
Ringrazio i Consiglieri Fabbris e Conti per i loro interventi; mi pare che in linea di massima, salvo qualche integrazione, concordino sulla mia relazione.
La Consigliera Fabbris mette in rilievo come l'aspetto negativo della legge n. l044 sia l'insufficienza dello stanziamento. Io ritengo che oltre auspicare un'integrazione dello stanziamento da parte dello Stato nel quinquennio, che permetta di adempiere all'impegno di costruire 3.800 asili nido, dovremmo augurarci che anche i Comuni e le Regioni contribuiscano finanziariamente per raggiungere tale obiettivo.
Concordo con la collega quando afferma che gli asili nido non debbano essere luoghi di custodia, bensì strutture che contribuiscano alla formazione psico-pedagogica dei bambini.
E' stato messo in rilievo dal Consigliere Conti che l'asilo nido di tipo residenziale, anziché aziendale, non supera il disagio della lontananza dall'abitazione al servizio. Io ritengo che, anche se ogni soluzione ha i suoi aspetti negativi, l'asilo-nido di tipo residenziale risponde meglio alle esigenze delle famiglie.
E' stato sottolineato il valore positivo della gestione dei comuni, i quali sono certamente gli enti più vicini alla famiglia ed il valore positivo della partecipazione delle rappresentanze delle formazioni sociali alla gestione dell'asilo-nido. Il Consigliere Conti ha affermato che, a parer suo, non si dovrebbe fissare, categoricamente, il principio che il contributo per la gestione verrà concesso solo agli asili-nido gestiti dai Comuni. Ritengo che questo sia un problema da affrontare in seguito, anche perché la legge dà una possibilità di intervento in tal senso. La legge afferma infatti che il contributo per la gestione sarà concesso, di preferenza, a quegli asili nido per i quali è stato erogato il contributo per la costruzione e per quelli gestiti dagli Enti locali. Perciò io riterrei di non impegnarci a priori sul tipo di gestione; starà alla nostra volontà negare il contributo quando la gestione non venga fatta direttamente dal Comune.
Accolgo il parere della Consigliera Fabbris che sostiene la necessità che i comuni deliberino la richiesta del contributo. E' certo positivo che vi sia una delibera del Consiglio Comunale; in caso contrario potrebbe essere avanzata la richiesta senza un serio impegno di voler realizzare l'opera.



FABBRIS Pierina

Del Consiglio o della Giunta, delibera d'urgenza.



VIETTI Anna Maria, Assessore alla sicurezza sociale

Si d'urgenza.
La Consigliera Fabbris ha poi messo in rilievo la necessità di pronunciarsi per richiedere lo scioglimento dell'ONMI. Mi pare che questo Consiglio abbia già espresso ampiamente la sua volontà, in occasione dell'approvazione delle osservazioni al decreto delegato, non già per un atteggiamento preconcetto verso determinati enti, come l'ONMI, ma come affermazione di principio. Noi abbiamo sostenuto che l'assistenza deve essere organizzata in modo decentrato sul territorio, che respingiamo l'attuale situazione a direzione verticistica e pertanto chiedevamo il trasferimento alle Regioni di tutte le competenze degli Enti nazionali al fine di giungere ad una possibilità di intervento globale della Regione.
In seguito questo Consiglio ha votato un ordine del giorno unanimemente, per chiedere alla presidenza del Consiglio dei Ministri di accogliere le nostre osservazioni e di approvare un decreto delegato che fosse consono a tali osservazioni. Ancora alla fine del mese scorso, ho inviato un telegramma di protesta al Presidente del Consiglio ed al Ministro Gatto poiché il decreto delegato non teneva conto dei pareri da noi espressi. Il Ministro Gatto mi ha risposto affermando che, entro il termine previsto per lo scadere della delega al Governo, si provvederà al trasferimento alle Regioni delle funzioni relative all'assistenza privata ed ai Comitati di Soccorso.
Io penso che, come affermazione di principio, la volontà di questo Consiglio per quanto riguarda l'ONMI sia stata manifestata più volte. Non ho comunque nulla in contrario ad una presa di posizione che sostenga l'esigenza del passaggio alle regioni delle competenze di tutti gli Enti nazionali che svolgono attività nel campo assistenziale.
Accolgo il parere della Consigliera Fabbris di includere nelle richieste ai Comuni i dati sul tasso della mortalità infantile per tenerne conto nello stabilire le priorità di intervento. La Consigliera mi invitava a richiedere pure il costo della costruzione. Io mi limiterei a richiedere il numero dei posti necessari; è evidente che, in base agli standards, sarà possibile stabilire il costo dell'opera. Fino a quando non ci sarà la legge regionale che stabilirà i criteri per la costruzione, non vorrei incentivare i comuni a predisporre i progetti, perché potrebbero essere non consoni a quelle che saranno le nostre norme legislative in materia.
Dovremmo fissare, dopo la legge regionale, i termini per la presentazione dei progetti ed il contributo sarà concesso soltanto dopo l'approvazione degli stessi; concordo con la Consigliera Fabbris che non si dovranno concedere contributi a quei comuni che intenderanno procrastinare l'adempimento della costruzione.
La Consigliera mi ha chiesto quanto costi la gestione degli attuali asili nido. E' una richiesta senz'altro importante; ritengo però che il primo sforzo finanziario della Regione debba essere volto alla promozione di nuovi asili-nido, la questione della gestione degli asili nido esistenti potrà essere affrontata in seguito.
La Giunta si riserva di presentare delle proposte per quanto riguarda la formazione del personale, che è un problema della massima importanza: l'asilo nido non potrà svolgere il suo compito di sviluppo psico-pedagogico dell'infanzia se non avrà personale qualificato.
Inizialmente potremo prevedere anche norme transitorie circa il reclutamento del personale per non procrastinare l'inizio dell'attività dei nuovi asili nido; potrebbero essere ammesse le insegnanti di scuola materna e le assistenti sanitarie, ma solo quando non sia reperibile personale preparato dalle scuole professionali ad hoc e sempre in via provvisoria.
Ci sono alcune puericultrici, ma in numero del tutto insufficiente quando sorgeranno nuovi asili nido bisognerà quindi ricorrere a norme transitorie, anche se concordo nel ritenere che è urgente e pregiudiziale porre allo studio il problema della preparazione del personale.
Accetto la proposta della Consigliera Fabbris e manderò a tutti i Consiglieri appartenenti alla III e alla IV Commissione.....



GARABELLO Enzo

A tutti i Consiglieri!



VIETTI Anna Maria, Assessore alla sicurezza sociale

...a tutti i Consiglieri i dati contenuti nel mio intervento ed in più i dati analitici che sono il risultato di un'indagine conoscitiva, svolta Comune per Comune, degli asili nido esistenti e dei posti disponibili per lattanti e per divezzi.
Concordo con quanto ha affermato il Consigliere Conti: il problema degli asili nido deve essere visto nel quadro di una politica per la famiglia, politica prevista dalla nostra Costituzione ma che non sempre è stata realizzata. Concordo inoltre sull'affermazione che l'asilo nido debba essere un'occasione per l'educazione permanente dei genitori; nell'asilo nido dovremo organizzare incontri di genitori per il dibattito dei problemi comuni agli educatori e ai genitori stessi e per aiutare le famiglie e svolgere il proprio compito educativo.
Avevo affermato che avrei atteso la fine di febbraio - siamo tanto vicini a tale data - per invitare i comuni a presentare le loro richieste al fine di verificare la consistenza dello stanziamento che il Ministero della Sanità ci assegnerà e per appurare se vi saranno norme integrative.
La lettera ai sindaci potrà comunque essere inviata; mi pare che i criteri di massima per fissare le priorità siano stati stabiliti durante questo dibattito.
Mi impegno a presentare tempestivamente le norme legislative, di modo che la Commissione competente possa esaminarle con la dovuta urgenza: tutti i problemi che sono stati qui discussi - dall'organico del personale alla gestione con la partecipazione non soltanto delle famiglia ma anche degli educatori (questo non so se potrà essere accolto, tenendo conto del contenuto della Legge 1044, ma è tuttavia un'esigenza sentita) - saranno oggetto della proposta di legge della Giunta che sarà discussa dalla Commissione competente ed infine sottoposta all'ampio dibattito del Consiglio.
Rinnovo il mio ringraziamento ai Consiglieri intervenuti nella discussione.


Argomento:

Mozione (Annuncio)


PRESIDENTE

Informo il Consiglio che è pervenuta con carattere d'urgenza la mozione della quale il Segretario dà ora lettura.



GERINI Armando, Segretario

dà lettura della mozione pervenuta alla Presidenza.


Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

Questa mozione verrà portata all'o.d.g. della seduta che è convocata in ottemperanza a quanto era scritto nella convocazione per la seduta di oggi, per domani 9 febbraio 1972 alle ore 17. E' stata fissata alle ore 17 perché precedentemente si riunisce la Giunta delle Elezioni.
L'o.d.g. per domani non prevede quanto è oggi all'o.d.g. al n. 3 perché, nonostante le previsioni, non c'è l'accordo e non si pensa che possa essere raggiunto domani mattina nella riunione dell'Ufficio di Presidenza e dei Capigruppo. L'o.d.g. quindi recherà: esame di mozioni sui seguenti argomenti: situazione edilizia a Bardonecchia, libertà di stampa e la mozione che è stata testè letta.
A questa determinazione sono giunto in considerazione del fatto che soprattutto per quanto si riferisce alla libertà di stampa, i vari gruppi hanno fatto rilevare che sabato mattina si svolge a Torino un congresso nel quale viene dibattuto questo argomento e quindi può tornare utile che vi sia una presa di posizione da parte del nostro Consiglio Regionale, mentre da qualcun altro è stato fatto presente che in relazione alla situazione edilizia a Bardonecchia vi sarebbero degli incontri a livello dei sindacati, con la commissione antimafia proprio nella giornata di domani e pertanto vi sarebbe una pertinenza della trattazione dell'argomento.
Debbo precisare che, essendo una convocazione disposta per le ore 17 di domani, i Consiglieri che sono attualmente presenti in aula e che la Segreteria annota, non riceveranno nessuna convocazione né telegrafica n telefonica né per iscritto, proprio per rendere possibile ed agevole il raggiungimento dei Consiglieri non presenti attraverso un giro di telefonate o con una convocazione telegrafica.
Prego i Consiglieri di darmi atto a verbale di questa convocazione fatta ad personam, senza possibilità di eccepire, altrimenti potrebbe darsi che domani non si raggiunga il numero legale e sarebbe una cosa non piacevole.
La seduta è tolta e rinviata alle ore 17 di domani.



(La seduta ha termine alle ore 20,10)



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