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Dettaglio seduta n.8 del 17/09/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta


PRESIDENTE

Prego il Segretario Consigliere Menozzi di dare lettura del processo verbale della seduta di ieri.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura del processo verbale dell'adunanza 16 settembre 1970 ore 16.



PRESIDENTE

Non essendovi osservazioni si intende approvato.


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Devo fare alcune comunicazioni, prima di riaprire la discussione sul punto 4 dell'o.d.g.
Questa mattina, in un incontro cui hanno partecipato il Presidente del Consiglio Regionale, il Vicepresidente Sanlorenzo, i Consiglieri Bono e Giovana e una delegazione di lavoratori dello stabilimento Rhodiatoce di Verbania, accompagnata da una rappresentanza dell'Associazione Commercianti della città, i rappresentanti dei lavoratori hanno illustrato le ragioni che hanno costretto gli oltre 4000 dipendenti dello stabilimento all'azione sindacale per il rispetto degli impegni aziendali e contrattuali e per la tutela del diritto di sciopero. I rappresentanti dell'Associazione Commercianti hanno sottolineato la pesantezza della situazione economica locale, che verrebbe aggravata da un inasprimento ulteriore della vertenza.
Il Presidente del Consiglio Regionale ha espresso ai lavoratori della Rhodiatoce ed alla delegazione dei Commercianti di Verbania la solidarietà del Consiglio Regionale ed ha annunciato loro che avrebbe dato comunicazione di questo incontro al Presidente della Giunta affinché questi possa disporre eventuali iniziative.
Nel pomeriggio odierno la Presidenza del Consiglio Regionale rappresentata dal Presidente e dal Vicepresidente Sanlorenzo, unitamente alla Giunta Regionale, rappresentata dall'assessore avv. Armella, presenti i Consiglieri regionali Marchesotti, Gerini, Bianchi, Raschio, ha ricevuto una delegazione composta dal sindaco di Murisengo, signor Vercelli, dal sindaco di Villadeati, geom. Oddone, e dal rag. Allini, segretario del Comitato unitario di Murisengo, che ha informato ampiamente la Presidenza regionale e il rappresentante della Giunta sul grave stato di disagio e sul vivissimo malcontento popolare che largamente si manifesta nella vallata contro la presenza nella zona della polveriera gestita dalla Società S.E.M.
I Sindaci hanno ricordato i gravi danni subiti dalle proprietà civili di Murisengo e Villadeati per lo scoppio della polveriera avvenuto il 30 maggio u.s., che per mera fortuna non ha provocato vittime, anche se le misure di sicurezza della ditta, in allora ed al presente, erano e sono davvero irrisorie. La delegazione ha fatto presenti le decisioni prese anche in delibera da ben dodici Comuni, e l'Ufficio di Presidenza del Consiglio e l'assessore Armella presente a nome della Giunta si sono impegnati ad interessare la Giunta stessa perché possa contemplare le iniziative da prendere allo scopo di interessare le autorità competenti a tutelare la sicurezza degli abitanti della zona compromessa dalla presenza del deposito della polveriera.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Proposta di mozione presentata dal Consigliere Berti sui problemi riguardanti provvedimenti in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera. (Seguito della discussione)


PRESIDENTE

Riprendiamo ora la discussione sul punto 4 dell'o.d.g. ossia sulla proposta di mozione presentata dal Consigliere Berti sui problemi riguardanti provvedimenti in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera.
Ha chiesto di parlare il Vicepresidente Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente del Consiglio! Signor Presidente della Giunta! Egregi Colleghi Consiglieri! Vi dirò che ho avuto qualche perplessità e qualche momento di esitazione sul prendere o meno la parola su questo argomento, indubbiamente molto importante, e, mi pare, collocato proprio all'inizio dei lavori di questo Consiglio Regionale molto opportunamente dalla mozione presentata dal Consigliere Berti, con l'auspicio che si possa trovare sulla sostanza della stessa un accordo, in modo che nella fase conclusiva e riassuntiva di tale mozione, indubbiamente molto lunga, si affermino concordemente alcuni principi e alcuni concetti che, per quanto mi riguarda personalmente, mi trovano perfettamente consenziente in quelle che sono le premesse e le conclusioni. Talune indicazioni nel corpo del discorso, a mio avviso meritano un approfondimento maggiore, e direi che sia veramente opportuno sintetizzare questi aspetti per renderli forse più efficaci.
Il motivo di perplessità derivava anche dal fatto che sono Presidente del Comitato regionale per la programmazione ospedaliera, ahimè, in una posizione veramente incerta, perché a seguito della creazione della Regione pensavo che immediatamente ed automaticamente, come avvenuto per il Comitato regionale della programmazione economica, anche questo Comitato dovesse trapassare gli elaborati che aveva raccolto alla Regione, in maniera che la Regione potesse dire la sua sull'argomento. Siccome, per questa mattina il Consigliere Berti mi ha quasi sollecitato a prendere la parola, stimolando, vorrei dire, più che l'amor proprio mio personale quello del Presidente del Comitato della programmazione ospedaliera, per fare una certa puntualizzazione che mi sembra indispensabile, anche perch tutti i Consiglieri dovranno, in un domani che mi auguro veramente prossimo, dire la loro consapevolmente su questo grosso fatto che è l'assistenza sanitaria nel suo complesso, ho superato l'esitazione e mi sono determinato a buttar giù rapidamente alcuni appunti che, contando sulla loro pazienza, illustrerò in maniera che si sappia a che punto siamo nel settore della programmazione ospedaliera, e per quanto possibile di quella sanitaria, attraverso quell'organismo che ha in realtà prefigurata l'esistenza dell'Ente Regione.
Ecco, il Comitato regionale della programmazione ospedaliera - vorrei che i Colleghi sottolineassero questo aspetto, dell'intitolazione della legge come "programmazione ospedaliera", che ha riguardo ad uno degli aspetti del più complesso problema dell'assistenza sanitaria - si è insediato l' 11 dicembre 1968, quindi praticamente ha lavorato nel '69 e in questo primo scorcio del semestre 1970, tenendo nove riunioni nel '69 e cinque nel '70 e fissandone una per il 28 di questo mese. Sono stato esitante anche sull'opportunità di convocare per il 28 settembre un'altra riunione del Comitato, non avendo ancora ricevuto risposta alla lettera scritta in data 22 luglio '70, cioè appena costituita funzionalmente la nostra Regione, al ministro della Sanità, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Giunta, per dire appunto che mi sembrava opportuno che si sbloccasse la situazione, rimediando ai possibili equivoci e determinando se il Comitato regionale della programmazione doveva continuare la sua vita, se doveva trapassare i suoi poteri, ed insieme ai suoi poteri anche tutto il bagaglio di elementi raccolti nel corso dell'attività di studio svolta. Purtroppo dal Ministero della Sanità fino a questo momento non è giunta risposta. Siccome non si può lasciare in sospeso un certo lavoro che è avviato, ho ritenuto opportuno tener ferma la data del 28 settembre per la convocazione, rimanendo ovviamente a completa disposizione, signor Presidente della Giunta per passare immediatamente la mano - mi si consenta l'espressione - se sarà detto che questo debba essere fatto; anche ad evitare possibili dissonanze, perché quando operano contemporaneamente due assemblee, due commissioni, è estremamente difficile trovare una confluenza finale di modi di vedere i problemi, e ciò vale per tutti i livelli, come hanno dimostrato i conflitti cui abbiamo assistito in questi giorni, con non grande edificazione, apertisi ai vertici, a livello ministeriale proprio sul tema di cui ci stiamo occupando.
Compito di questo Comitato è di occuparsi della programmazione per quanto concerne il problema meramente ospedaliero e non anche sanitario.
Però, lei, Consigliere Berti, che ne fa parte e che ne è stato parte anche sollecita, e molte volte impetuosamente sollecita, mi vorrà dare atto che non vi è stata una sola riunione in cui non si sia sentita la voce del Presidente e non soltanto del Presidente, sostenere che effettivamente noi dovevamo essere impegnati nella soluzione di questi problemi non solamente dal punto di vista ospedaliero, che è una delle componenti del più importante e vasto problema dell'assistenza sanitaria, ma proprio per l'adempimento del precetto costituzionale che prevede come onere dello Stato quello della tutela della salute, quindi un adempimento costituzionale. Ora, l'azione di tutela della salute non si svolge soltanto nell'ospedale; anzi, vorrei dire che lì siamo in fase di restauro e di riparazione: la tutela della salute ha degli inizi a monte dell'ospedale, e l'ospedale è un punto terminale, che si dovrebbe, per tutto quanto e possibile, cercar di evitare. Quindi, c'e l'assistenza preventiva, che è il grosso nucleo della riforma sanitaria, in aggiunta a quello dell'assistenza di ricovero quando la prevenzione non sia sufficiente.
Il collega Consigliere Berti, vorrei dire anzi l'amico Berti, poiché in questi lunghi anni di dimestichezza, anche se ci sono stati fra noi, a volte, motivi di frizione, sempre siamo rimasti su un piano di grande cordialità, ha voluto un poco mortificarsi, e mortificare il Comitato regionale della programmazione, dicendo che è stato forse l'ultimo ad allinearsi in tema di assistenza sanitaria con riferimento specifico alla "unità sanitaria locale". Vorrei, per conoscenza del Consiglio, dire che di unità sanitarie locali si è parlato in quasi tutte le riunioni di Comitato citerò poi i documenti -, e ne ho discusso anche personalmente, a nome del Comitato, nelle due riunioni tenute al Ministero della Sanità, in Roma il 21 marzo e l' 11 agosto 1969, e ancora dopo con il ministro Ripamonti quando egli, venuto a Torino, ha presieduto alla sede della Provincia una riunione di Sindaci convocati per un dibattito sull'atteggiarsi futuro del Consorzio Antitubercolare, che è un altro aspetto dell'assistenza sanitaria di non piccolo rilievo. Ho riferito a suo tempo al Comitato regionale che a livello ministeriale erano state istituite tre Commissioni che si sono succedute nel tempo, non arrivando - e non mi consta che siano arrivate alla data in cui parlo - ad un punto conclusivo e finale per la definizione dei limiti, delle funzioni, delle attribuzioni, della natura giuridica delle possibilità finanziarie che queste unità sanitarie locali devono avere. Quindi, ci siamo chiesti, e purtroppo dobbiamo chiederci ancora adesso, che contenuto avranno queste unità sanitarie locali? Ma non abbiamo limitato questo nostro intervento nella sede del Comitato e a livello ministeriale. Anche partecipando a convegni e a dibattiti, di cui il Consigliere Berti è certamente a conoscenza, ed anche parlando in quello tenutosi a Milano a livello interregionale, Lombardia Veneto - Piemonte - Liguria, proprio chi vi parla fece presente quelli che riteneva essere i principi, su base provinciale, con la prefigurazione di quello che sarebbe stato l'Ente Regione, dell'inserimento delle unità sanitarie locali, da considerarsi come lo strumento valido per affrontare in termini concreti e positivi il problema della sanità nel nostro Paese.
Però, siamo ai tanti di settembre del 1970 e soltanto adesso si sente dire che verosimilmente per i primi del 1972 le unità sanitarie locali avranno una loro netta configurazione ed una loro definizione.
Qui vorrei, fuor di polemica, ma proprio soltanto a titolo di documentazione, ricordare che non è esatto che non si sia avuto presente non si sia avvertito subito, fin dal sorgere del Comitato regionale della programmazione, proprio in relazione a quelle che erano le esigenze che si sentivano vive nel Piemonte, che si doveva ad un certo momento guardare non all'elemento ospedale soltanto, ma ad un concetto di assistenza sanitaria molto più largo, se è vero, come è vero, che già nel primo documento che il Comitato ha espresso, sulle linee d'azione, è detto esplicitamente che il regime sanitario in cui si intende operare è definito nel punto 7 del Piano quinquennale di sviluppo economico '66-'70 come uno degli elementi indispensabili alla realizzazione dell'obiettivo di un compiuto sistema di sicurezza sociale. "Nell'ambito della sicurezza sociale, il settore sanitario deve attuare il principio costituzionale della tutela della salute per ogni individuo e deve avere funzioni soprattutto preventive anche se non è esplicitata in termini netti la espressione "unità sanitarie", il concetto, però, è dunque evidenziato in tutte lettere -. Il regime di sicurezza sociale richiede che si dispongano presidi per tutti i cittadini, senza alcun riferimento alle possibilità che dipendono dalla situazione di censo o di rapporto di lavoro. Un efficace metodo preventivo può essere attuato solo se tutta la popolazione è nelle condizioni di essere efficacemente assistita; ma esprime anche l'intendimento di raggiungere costantemente tutta la popolazione, con periodicità al fine di controllarne adeguatamente sia lo stato di salute sia le influenze che sul medesimo esercitano le condizioni ambientali di vita e di lavoro. Il regime sanitario di sicurezza e di medicina preventiva propone anche criteri nella organizzazione dei presidi sanitari: il primo criterio è che si costruisca una base molto diffusa di presidi sanitari locali facilmente accessibili che fungano a livello dei singoli nuclei omogenei di popolazione da unità elementare di un sistema più vasto e che sia organizzato dal punto di vista tecnico in complessi, in servizi articolati, di cui l'ospedale costituisce elemento qualificante".
Mi sembra che la puntualizzazione fatta dal Comitato regionale della programmazione ospedaliera sia in questo documento, che risale al 22 luglio '69, abbastanza chiaramente definito. Poi, nel più ampio documento del 19 dicembre '69, documento presentato per la programmazione nazionale (forse il Comitato regionale piemontese è stato uno dei pochi, se non l'unico, che abbia in tempo utile presentato questo documento) vi è una presa di posizione anche più chiara e più precisa di questa impostazione, che mi sembra sia l'impostazione che il Consiglio Regionale non dico debba ma possa recepire, che certo non può ignorare per quelle che saranno le determinazioni alle quali dovrà accedere.
"Il Comitato regionale per la programmazione ospedaliera sottolinea quindi, l'esigenza che dalla programmazione ospedaliera si passi alla programmazione sanitaria nazionale e regionale e che si provveda alla unificazione dei vari testi di legge che attualmente disciplinano settorialmente la materia, ivi compresa quella psichiatrica, con carattere d'urgenza. Il Comitato regionale per la programmazione ospedaliera condivide, pertanto, le sollecitazioni del decreto 13 agosto '69, che invitano a tener presenti nella impostazione e nell'attuazione della programmazione ospedaliera elementi ed aspetti specifici della riforma del servizio di assistenza sanitaria. A questo proposito, però, ritiene indispensabile rilevare che, nonostante le affermazioni e gli impegni verbalmente assunti a livello ministeriale, manca a tutt'oggi una espressa norma di legge che consenta ai Comitati per la programmazione ospedaliera di estendere formalmente la propria competenza a tutto l'ambito dell'assistenza sanitaria. Il Comitato regionale della programmazione ospedaliera, pur nell'assenza di un tale strumento giuridico, ritiene comunque di dover già affrontare e risolvere quei problemi della riforma sanitaria che più direttamente interessano le determinazioni pertinenti la programmazione ospedaliera. Tra l'altro, ravvisa che tutti gli interventi che comportano l'allestimento di apposite strutture per l'assistenza preventiva, curativa e riabilitativa debbono essere subordinati alle decisioni del Comitato, affinché siano effettuati in conformità alle linee del programma. In particolare, nell'attesa che sia formalmente avviato il processo di superamento dell'organizzazione mutualistica e della frammentazione e disarticolazione che ne consegue del servizio sanitario il Comitato ritiene necessario che vengano subordinati al proprio parere gli eventuali interventi in materia di presidi, ambulatori ecc. operanti a livello territoriale dagli enti mutualistici, previdenziali e da ogni altro ente a carattere nazionale o locale che comunque eroghi assistenza sanitaria".
E qui, proprio in termini assolutamente espliciti, collega Consigliere Berti, il 19 dicembre 1969, non ultima data di riunione del Comitato regionale piemontese ad altri, si parla di unità sanitarie locali, e addirittura si prevede quali possano essere, nelle linee generali, le modalità in base alle quali dovrà concretamente attuarsi l'impianto delle unità sanitarie locali. Il che richiede di stabilire gli ambiti demografici territoriali, il campo di competenza e di intervento, gli enti competenti a cui le unità sanitarie locali dovranno far capo, il sistema di coordinamento per le unità sanitarie locali, il sistema di rapporti fra unità sanitarie locali e presidi ospedalieri.
"Al Comitato pare comunque opportuno muoversi sin dall'inizio, senza vincolarsi ad una identificazione meccanica dei comprensori ospedalieri di zona con gli eventuali comprensori delle unità sanitarie locali. In questa fase il Comitato intende favorire quelle iniziative locali che, presentando un efficiente grado di validità funzionale, siano tese a concretare sperimentalmente in contesti definiti la struttura ed il funzionamento delle istituende unità sanitarie locali. Il valore di dette iniziative è difatti ben presente al Comitato, anche per la necessità di prefigurare oltre alle modalità organizzative funzionali, anche gli aspetti gestionali e di costo. A questo proposito, preso atto che non ha alcuna disponibilità in ordine al funzionamento di tali iniziative, segnala l'esigenza che se ne tenga conto nell'ambito dei finanziamenti previsti dal piano transitorio.
Nel quadro delle funzioni da definirsi in ordine alle istituende unità sanitarie locali e al sistema di relazione tra queste ed i presidi ospedalieri, dovrà trovare la propria soluzione il problema delle attività extra-murali, da assegnare alla competenza dei presidi ospedalieri stessi problema per il quale non è ancora possibile dare indicazioni".
Sul problema delle mutue e delle crisi conseguenti dei vari ospedali il Comitato regionale ha elaborato un testo, del quale si è data anche opportuna notizia, come motivo di diffusione, in data 3 aprile 1970, avendo incaricato di relazionare sulla situazione economico-finanziaria degli ospedali, il segretario del Comitato stesso, avv. Dardanello, che present questo elaborato, dal quale si ricavano alcuni dati che forse non è inopportuno, proprio per la pertinenza che hanno con la mozione presentata i Colleghi conoscano almeno in parte. A quella data, 31 dicembre 1969, cioè prima delle variazioni delle rette, la situazione creditoria degli ospedali del Piemonte verso le mutue era la seguente: Provincia di Torino, 9 miliardi e 707 milioni; in cifra tonda Provincia di Cuneo, 2 miliardi Provincia di Alessandria, 2 miliardi e 332 milioni; Provincia di Asti, 973 milioni; Provincia di Vercelli, 2 miliardi e 688 milioni; Provincia di Novara, 2 miliardi e 905 milioni; totale 20 miliardi e 666 milioni.
E non si mancava di notiziare lo stesso Ministero direttamente, per iscritto, con telegrammi, di questa delicatissima situazione che si veniva a creare. Per cui ci troviamo perfettamente concordi nel mantenere qui al Consiglio Regionale lo stesso atteggiamento che là si era assunto sulla necessità assoluta di non limitarsi a tamponare le falle esistenti con palliativi, cioè con la erogazione di fondi che servirebbero soltanto a sanare delle situazioni ad una certa data, riaprendo però le falle per i tempi successivi, ma arrivando invece alla costituzione di quel Fondo sanitario nazionale che dovrà avere poi come concreta estrinsecazione la destinazione alle Regioni perché esse possano avere la quota di loro spettanza di tale fondo, in maniera da poter risolvere in termini positivi e concreti il problema, che, ripeto, non può trovare, come è detto nella sostanza della mozione, una sua soluzione semplicemente con il riassetto mutualistico contingente.
Su questo problema è stato raggiunto un accordo, che noi prevedevamo in questo testo, in questa relazione fatta propria dal Comitato, parlando della "realizzazione del servizio sanitario nazionale almeno per ciò che riguarda il settore ospedaliero, previo il superamento del settore mutualistico". E' stato un bene che in questi giorni a livello ministeriale si sia raggiunto un chiarimento, superando i contrasti: sembra che il ministro del Lavoro, on. Donat-Cattin, abbia puntualizzato la situazione e abbia sostenuto l'aspetto regionalistico della soluzione del problema che noi riaffermiamo, accettiamo e facciamo nostro nella fase conclusiva della mozione presentata, e nella fase di premessa della mozione, ripeto, con cautele e riserve per il corpo della mozione stessa, che consentirà tuttavia, penso, di giungere ad un accordo tra i vari Gruppi.
Noi dobbiamo riconoscere, signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, che è impossibile che a livello ministeriale si metta una mano sulla bocca, quasi per soffocarne l'autonomia, alle Regioni appena create: sarebbe inammissibile ed intollerabile, equivarrebbe al voler causare un aborto o far morire un neonato soffocandolo di fronte ad un'affermazione chiarissima di responsabilità che deve assumere. Quindi concordiamo perfettamente sull'esigenza di questa affermazione viva attenta, precisa, della vocazione regionale a risolvere il problema, e ad avere da parte dell'organo centrale quella fiducia che deve essere data.
Del resto, non è questo il solo caso in cui questa fiducia sembra mancare verso l'Ente Regione da parte dell'organo centrale, se è vero che per esempio, discutendosi la legge finanziaria che si riferisce all'attribuzione alle regioni del funzionamento amministrativo del Demanio forestale, con un dibattito che è stato riportato anche sui giornali, nelle riviste, ad altissimo livello si disse che non saremmo stati in grado di portare innanzi questa amministrazione del Demanio delle foreste, senza seri pericoli; mentre noi crediamo di poterci considerare gelosi custodi delle nostre foreste, per mille ragioni e per mille considerazioni, così come lo sono i poteri e gli organi centrali. Noi ci varremo, certamente della collaborazione e della cooperazione di uno strumento valido qual è il Corpo forestale, ma evidentemente sarà la Regione a dover ricevere il mandato di amministrazione in questa direzione.
Mi sembra, quindi, che la mozione, riordinata e ristrutturata, abbia validità non soltanto nel campo specifico, ma come riaffermazione della dignità, del rispetto dell'autonomia che dev'essere invocata dalla Regione stessa.
Direi che questa, più che una mozione di protesta, anch'essa necessaria, collega Berti, e comunque utile, sia proprio di riaffermazione dell'autonomia responsabile della regione nel settore dell'assistenza sanitaria, compresa - qui ribadirei il concetto - quella psichiatrica, che sembra diventare un'altra volta un ramo secco e distaccato da quella che invece è la componente di tutta l'assistenza sanitaria. Il problema psichiatrico è estremamente delicato ed estremamente urgente. E direi che varrebbe forse la pena di fare un accenno anche ai Consorzi Antitubercolari, in quella che è la dinamica del loro divenire, del loro svilupparsi nel tempo, per quell'attività che hanno svolto, per esempio nel campo delle diagnosi precoci, che han dato motivo di largo compiacimento ed apprezzamento da parte delle popolazioni piemontesi.
Ma soprattutto direi che debba venire chiarito rapidamente quali siano i compiti attuali del Comitato Regionale della programmazione ospedaliera stabilendo, e non è ultimo motivo, che una certa entità delle somme del fondo nazionale che verranno divise fra le varie Regioni tenga conto non soltanto dello stato economico patrimoniale delle Regioni stesse, ma anche ed essenzialmente di un fenomeno che in Piemonte è pregnante qual'é quello della immigrazione, che crea veramente grossi problemi a tutti i livelli di prevenzione, di cura e di recupero successivo; e tenga conto che questo fenomeno della immigrazione porta ad esempio a questa constatazione: che mentre in quasi tutta l'Italia l'indice della tubercolosi è in regresso nella provincia di Torino è invece in apprezzabile aumento; il che è evidentemente dovuto proprio a questo fenomeno massiccio di immigrazione che comporta anche un problema di assistenza maggiore.
Con l'IRES si sono condotti degli studi, si sono elaborati dati elementi, che sono già stati messi a disposizione del Presidente della Giunta con mia lettera del 22 luglio 1970. Io mi tengo ovviamente a disposizione dei Colleghi, quelli che sono più particolarmente interessati ad avere maggiori dettagli. Quindi, mi limito proprio soltanto ad indicare in sintesi una indagine demografica, una indagine socio-economica e territoriale, una indagine di natura sanitaria sugli ospedali attualmente esistenti, sulle case di cura, sui presidi sanitari non ospedalieri, sugli ambulatori e sui dispensari. Si sono formulate le prime ipotesi indicative del sistema di organizzazione territoriale ospedaliera. Restano evidentemente, da compiere lavori di indagine per definire aspetti che sono fondamentali se si vuole veramente parlare di una assistenza sanitaria cioè quelli relativi alla definizione dei criteri nosologici per verificare anche lo stato di idoneità dei presidi attualmente esistenti, per vedere quale sia il loro grado di adeguamento alle funzioni di piano. Se mi è consentito dirlo - perché proprio la mozione me ne dà motivo -, dolendomi come Consigliere regionale innanzitutto, perché in questa veste parlo, ma anche come presidente pro tempore nel Comitato regionale della programmazione, che a livello ministeriale, ad un certo momento, senza consultare l'organo periferico, il Comitato regionale della programmazione prefigurazione della Regione, ad un certo momento si intervenga con un decreto, disponendo nel senso che si è ritenuto il migliore - io non giudico la bontà o meno della determinazione presa - così da alterare quella che dovrebbe essere l'autonomia della Regione, oggi, del Comitato regionale, fino a che esiste, nella prefigurazione di un piano. Se a livello ministeriale chi ha più santi in paradiso riesce ad ottenere un decreto che dice che la tale o la talaltra infermeria diventa ospedale evidentemente toglie dalla scacchiera le pedine che devono costituire il gioco (mi si passi l'espressione, anche se non è delle più felici, dato che rende però più chiaramente l'idea) della creazione di questo piano programmatico ospedaliero. E si finirebbe con il frustrare la stessa pianificazione ospedaliera della Regione, che si troverebbe compromessa nelle determinazioni che dovrà prendere. E' infine in corso una completa indagine sulla consistenza e sulla disponibilità patrimoniale degli enti ospedalieri, e questo anche ai fini delle eventuali previste fusioni.
Penso, signor Presidente della Giunta, che una delle spine della sua conduzione potrà essere proprio questa. Perché molti ancora camminano con il paraocchi e non riescono quindi a vedere la grossa opportunità nel 1970 di camminare invece in equipes e riunire le forze per risolvere dei problemi che singolarmente non si possono più risolvere. E quello della fusione prevista dalla legge come enti ospedalieri è indubbiamente un grosso problema, che deve essere affrontato, a mio avviso, con coraggio proprio per rendere maggiormente prestigiose le prestazioni che gli ospedali sono chiamati a dare, e soprattutto per evitare il dispendio di energie economiche e finanziarie che sono, allo stato dei fatti, veramente cose notevoli e grosse. E' in corso ancora una completa indagine sulla consistenza e la disponibilità patrimoniale degli enti ospedalieri proprio a questi fini, delle previste fusioni, con le indagini concernenti la prefigurazione di massima del sistema di unità sanitarie locale, sia sotto l'aspetto funzionale, sia sotto quello territoriale; evidentemente, anche con sondaggi da compiersi negli ambienti di lavoro industriale, negli ambienti di lavoro agricolo. Troppe volte noi dimentichiamo quest'ultimo aspetto: non è vero, come comunemente si dice, che chi lavora all'aria aperta, sotto il sole vada meno soggetto a malattie di chi lavora al chiuso. Anche gli agricoltori, pertanto, sono vivamente interessati a questo problema di assistenza sanitaria, con una indagine che, soprattutto ai fini della prevenzione, dev'essere notevolmente approfondita.
Tutto questo, è chiaro, postula la conoscenza delle decisioni parlamentari, del Parlamento italiano, o ministeriali circa queste unità locali, di cui potremmo dire per oggi che sono un po' come l'araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa. Noi siamo soliti da un po' di tempo proprio a riempirci la bocca con questi termini, senza approfondire il contenuto di quella che è la espressione del termine, senza cioè vedere concretamente che cosa si vuole e in che ambito può operare una unità sanitaria locale. Io direi che, se me lo consentono, anche in questo settore ho la viva radicata speranza che la Regione possa e sappia mettere presto ordine. Mi riferisco, ripeto, al campo dell'assistenza sanitaria considerando quello ospedaliero come un tempo ed un momento della riforma stessa. Perché la salute è un bene, in un certo senso, sia pure su un piano diverso, paragonabile alla libertà: di solito e l'una e l'altra si apprezzano soltanto quando si sono perdute: mentre si gode della libertà si gode della salute, difficilmente a questi beni si dà il giusto valore. Noi vorremmo che attraverso gli interventi del Consiglio regionale, alle leggi che potranno, mi auguro, essere fatte al più presto anche in questa materia, si impedisca la perdita di questo bene che è la sanità, creando strumenti atti e validi allo scopo, riducendo il rischio al minimo assoluto.
Io penso che il nostro Consiglio regionale, l'organo esecutivo del Consiglio, che è la Giunta, ed il suo Presidente in questa direzione vorranno camminare molto speditamente, che questa mozione, ripeto, non soltanto protestataria, non soltanto sterilmente rivendicatoria, ma affermativa di una concreta vocazione della Regione a svolgere dei problemi, sia la premessa per partir bene, tanto più, colleghi Consiglieri che il Presidente della Giunta è anche un medico.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente! Colleghi Consiglieri! E' sempre difficile, soprattutto in questa fase iniziale dei nostri lavori, sapere a priori se la discussione intorno ad un certo argomento rischi di essere prematura o superflua o se invece ci consenta già di dare ai nostri dibattiti dei contenuti operativi e di utilità immediata.
Certo, l'argomento che stiamo ora discutendo è tra quelli che più sono destinati ad interessarci nei prossimi tempi, ed è stata opportuna - sotto questo profilo - la decisione della conferenza dei Capigruppo di accettare che si discutesse fin d'ora, anche se la discussione non ci potrà condurre a risultati immediatamente operativi, poiché essa è anticipata rispetto al momento in cui il Consiglio regionale potrà assumere iniziative concrete in tema di assistenza sanitaria ed ospedaliera e cioè rispetto al momento in cui la Regione avrà le relative competenze.
Nonostante questo anticipo rispetto alle precedenze operative, penso sia utile cominciare a discutere anche di queste nostre competenze, poich la riforma sanitaria, secondo quella che mi sembra la più corretta interpretazione, dovrà rappresentare, quella legge-cornice dello Stato attraverso la quale vengono fissati i criteri generali ai quali si dovrà poi attenere, nella sua autonomia, l'attività legislativa delle Regioni. Se noi intendiamo la legge che approverà la riforma sanitaria come la legge cornice, la legge-quadro che fissa i principi generali dell'attività legislativa delle Regioni in materia, a me sembra che venga in gran parte se non del tutto, superato ogni rischio di contrasto di attribuzioni e di competenze fra poteri centrali ed autonomia regionale. Poiché non vi è dubbio che questa materia, per l'art. 117 della Costituzione, sia materia di competenza regionale, ma è del pari indubbio che non può certamente lo Stato dismettere totalmente quello che la Costituzione gli consente di fare, cioè di dettare delle norme di indirizzo e di coordinamento, ad evitare almeno - ed è l'aspetto più macroscopico - che le singole Regioni disciplinino in modo difforme, e quindi ingiusto, le forme e il modo di assistenza per i propri cittadini.
Allora, diciamo subito cosa pensiamo di questa legge, quali sono le cose che a nostro avviso utilmente devono essere tenute in considerazione fin d'ora. La proposta di mozione presentata dal Consigliere Berti, dalla quale ha preso le mosse la nostra discussione di oggi, mi sembra che su alcuni punti sia senz'altro accettabile, laddove auspica dal Governo un rapido trasferimento alle Regioni delle competenze in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e laddove indica come contenuto della legge di riforma sanitaria il riconoscimento dei poteri fondamentali delle Regioni in materia di assistenza, il superamento del sistema mutualistico l'estensione a tutti i cittadini dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera finanziaria dallo Stato e il riconoscimento dell'articolazione democratica del settore attraverso il sistema delle unità sanitarie locali.
A me sembra, quindi, che questa parte della mozione possa trovare unanime accoglimento da parte del Consiglio regionale e che sia utile che una mozione di questo tipo parta da quest'aula fin d'ora. Anche perch signori Consiglieri, non a caso noi stiamo discutendo oggi di queste cose non a caso il Governo è oggi impegnato a portare avanti una riforma sanitaria che è uno dei frutti postumi, ma non per ciò meno importanti dell' "autunno caldo", che ha visto il movimento dei lavoratori del nostro Paese impegnato in una serie di battaglie estremamente concrete e responsabili, volte a far maturare alcune grosse riforme. E che si tratti di grosse riforme e non di riformismo spicciolo ed episodico, si rileva proprio analizzando questa riforma, dell'assistenza e della sanità, che non si traduce nella richiesta di qualcosa in più rispetto a quello che i lavoratori hanno ottenuto in passato (non si chiedono, cioè, più ospedali) ma si esprime nella richiesta di una totale trasformazione del sistema dell'assistenza sanitaria e mutualistica, che significhi la fine di quel sistema para-assicurativo che in fondo è il sistema delle mutue, che è già stato distrutto dalla tendenza alla generale estensione del servizio medico a tutta la collettività e che deve perciò cedere il passo ad una assunzione diretta di responsabilità e di impegno finanziario dei poteri pubblici. Non a caso, quindi, queste cose stanno succedendo oggi, ed è giusto che noi diciamo in merito la nostra opinione.
E' chiaro che rispetto a questa logica che presiede alla riforma sanitaria il decreto legge 27 agosto '70 n. 621 rappresenta qualcosa di molto diverso, rappresenta una misura di emergenza che consente al sistema attuale di non saltare, in attesa della riforma. E sotto questo profilo potrebbe anche offrire il fianco, ed offre anzi, obiettivamente, il fianco a più d'una critica non infondata, come quelle che sono state fatte in relazione agli articoli 45 e 46 del decreto stesso, che certamente configurano una organizzazione di cui, a Regioni funzionanti, non dovremmo più sentir parlare. Però, è altrettanto vero che questo decreto si giustifica proprio nella misura in cui nasce - ed è qui che il paragone che stamattina ci faceva il collega Berti non regge più - come misura a s come fu il provvedimento che consentì alle mutue di superare la crisi del 1967, ma si colloca in un contesto nel quale il Governo è impegnato in via prioritaria a portare avanti la riforma. Ed è in questo legame, - che certamente non nasce automaticamente, ma, è evidente dalla volontà politica della maggioranza e da quello che sta in questi giorni accadendo a livello di Governo, specie negli incontri con i sindacati - che si giustifica il decreto n. 621. In altri termini, noi diciamo: il decreto è un episodio, se volete, che chiude un'epoca, è, se volete, il tampone che si mette su difficoltà che ci siamo portate presso fino ad ora, e certo lo possiamo accettare nella misura in cui è ultimo episodio di una vicenda che da questo momento deve cedere il passo ad una diversa, completamente diversa articolazione del sistema sanitario ed assistenziale.
Quindi, ritengo che sempre per restare al tema così come lo ha introdotto la mozione Berti si possa trovare facilmente (e lo verificheremo se mai a livello di Capigruppo) una intesa su tutta una serie di punti che riguardano i contenuti della riforma e le indicazioni politiche che noi intendiamo dare perché la riforma si faccia in un certo modo, mentre mi sembra più difficile che si possa concordare sulla serie di critiche particolari o su alcune di esse rivolte al testo del decreto legge n. 621.
Desidererei ora, molto brevemente, accennare ancora ad un argomento che mi sembra strettamente legato a questo, e di grande attualità. Quando parliamo di competenza regionale in materia di sanità, più precisamente di assistenza sanitaria ed ospedaliera, resta aperto il grosso problema se in realtà la competenza della Regione sia relativa a tutto il settore della sanità in blocco o soltanto a quello che una dizione, una interpretazione strettamente letterale del termine "assistenza ospedaliera" potrebbe invece indicare. Comunque anche se non viene ritenuta una generale competenza di settore della Regione, e viceversa permane una competenza dello Stato negli altri ambiti che non costituiscono "assistenza", e che in senso stretto per esempio, riguardano tutta l'attività di prevenzione, i controlli sanitari, i controlli sugli inquinamenti, sugli scarichi delle aziende, i controlli sulle sofisticazioni dei prodotti alimentari, la medicina del lavoro, la medicina veterinaria, ecc. credo debba essere posta con fermezza subito l'esigenza che queste materie vengano delegate, a norma di Costituzione, alla competenza delle Regioni; proprio per garantire con il completo dominio della materia efficacia all'azione regionale. Perch sarebbe estremamente dannoso che permanesse una competenza concorrente dello Stato e della Regione sui diversi aspetti dei problemi che attendono all'igiene e alla sanità pubblica. Di conseguenza, sarà bene che anche di questo noi ci facciamo carico, tanto più che su questo terreno ci sono e ancor più ci saranno nei prossimi tempi, molte attese da parte dell'opinione pubblica. Questa sera, ad esempio, si svolge ad Acqui una "tavola rotonda" sul problema dell'inquinamento del bacino delle Bormide una grossa questione che si agita da molti anni, e posso anticipare che certamente l'interlocutore sarà per tutti la Regione, dalla quale le popolazioni interessate si aspettano qualche cosa di diverso da ciò che lo Stato non ha saputo fare in ottant'anni.
C'é poi un secondo problema, sempre sotto il profilo delle nostre possibilità di intervento, che mi sembra urgente e tale da richiedere una nostra attenzione particolare. In questo Consiglio si è parlato - lo ricordava anche il Presidente nella sua introduzione stamani - della prevista localizzazione di impianti industriali della Fiat e della Olivetti a Crescentino e ad Albiano. E' un fatto che ci pone innanzi a due ordini di problemi estremamente gravi e complessi. Il primo, se volete, di principio non è più concepibile che, con la Regione insediata e funzionante, scelte imprenditoriali, autonomamente assunte, possano determinare conseguenze a vasto raggio - quali le due localizzazioni in questione determineranno su vaste zone della Regione -, senza che queste decisioni siano state filtrate o siano almeno state rese note, agli organismi della Regione. In secondo luogo, esiste la necessità di valutare tutti gli effetti indotti di questi insediamenti, sia in ordine agli aspetti socio-economici che a quelli territoriali, a quelli delle infrastrutture, dei servizi collettivi dell'ambiente stesso in cui queste scelte vengono a cadere. E' chiaro che su questa materia, anche in attesa che la Regione possa avere i denti per mordere realmente, cioè in attesa di quella legge urbanistica regionale che ci dovrà dare il potere di controllare almeno gli insediamenti di una certa dimensione, e bene che già in questa fase la Regione, il Consiglio Regionale siano informati, possano conoscere gli effetti dei grandi insediamenti industriali.
Perciò io ritengo, raccogliendo l'indicazione contenuta già nelle comunicazioni che stamani il presidente Calleri ha reso al Consiglio, di proporre la costituzione di una commissione di indagine del Consiglio su questi due casi di localizzazione che noi conosciamo. Questa commissione alla quale si concorderà la partecipazione dei vari Gruppi - esaminando anche la possibilità di integrazione con membri della Giunta -, dovrebbe in brevissimo tempo esaurire la fase conoscitiva, approfondendo gli aspetti socio-economici, territoriali e di tutela dell'igiene e della sanità pubblica connessi ai due previsti insediamenti della Fiat e della Olivetti e successivamente dovrebbe relazionare al Consiglio, in maniera da consentirci di esprimere almeno un meditato parere su questo problema.
Non mi sembra irrilevante che proprio su un tema come questo abbia inizio l'attività di commissione della Regione piemontese. L'occasione mi sembra estremamente opportuna se vogliamo dare fin dall'inizio l'impressione che la Regione non è un ente burocratico a rimorchio delle scelte che altri fanno nel contesto territoriale del Piemonte ma è un ente capace di rappresentare, di interpretare gli interessi della collettività.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Rotta. Ne ha facoltà.



ROTTA Cesare

Signor Presidente! Egregi Colleghi! Io penso che il collega Berti non avrà motivo di lamentarsi, perché la sua mozione ha suscitato l'interesse di tutti i settori del Consiglio.
D'altronde, è comprensibile che argomenti come questo siano suscettibili di attirare l'attenzione, dato che investono l'interesse di ognuno di noi e della collettività nella quale viviamo. Anche perché in fatto di assistenza sanitaria si è praticamente un po' tutti scontenti: ognuno vorrebbe veder migliorato il tipo dell'assistenza, senza tuttavia sapere quale correzione sia veramente il caso di apportare. Adesso si avverte più vivo lo scontento da parte dei mutuati, da parte dei medici, si sentono le lagnanze dell'ente di assistenza, cui si aggiunge anche la lagnanza, non indifferente, degli enti ospedalieri, attraverso la Fiaro, che proprio oggi ha diramato una circolare per attirare l'attenzione delle autorità costituite sul disagio finanziario degli ospedali.
Quindi, la proposta di una commissione regionale che si interessi di questo problema, che li discuta, che li affini, non poteva non suscitare estremo interesse, tanto più che noi vediamo proprio nel dibattito attuale contrasti anche per il varo di queste leggi; e il fatto che si propongano leggi di cui l'una corregge un poco l'altra, disposizioni, quindi, un pochino contrastanti, deriva proprio dall'essere l'argomento non ben conosciuto neanche in alto. Noi abbiamo sentito un ministro dire ad un certo momento che "per regolamentare l'assistenza non c'é bisogno di spendere denaro, basta regolamentare il funzionamento delle mutue-, ed un altro ministro, in posizione, direi antitetica, controbattere: "Costi quel che costi, i denari si devono pur trovare".
Una sana organizzazione, una meditata organizzazione sanitaria, in realtà, non è che debba necessariamente costare moltissimo: non c'è bisogno di aumentare sensibilmente la spesa per ottenere un'assistenza buona. Su questo punto bisogna che noi meditiamo, anche perché quello che venisse sottratto da una parte ai fini di un maggior finanziamento non sarebbe più utilizzabile altrove, e dato che questi finanziamenti sono, e saranno ancora per parecchio tempo, legati ai contributi del lavoro, pensiamo che sarebbe meglio utilizzare diversamente questi contributi di lavoro.
Quindi, il mio Gruppo è d'accordo per la formazione di questa Commissione, ed io pregherei vivamente il Presidente di chiedere al Consiglio di esprimersi chiaramente in proposito.
Sono contento anche che il collega Berti - a conforto dell'affermazione da me fatta poco sopra - sia arrivato a dire: "Guardate che noi non siamo conformisti! " Neanche il mio partito lo è. Se comunque quanto Berti dice è vero, proprio qui a Torino potremo fare qualcosa per perfezionare l'assistenza.
Io sono poi del parere che il medicamento, quando è un medicamento inutile, può riuscire velenoso, in quanto ogni medicamento ha una componente tossica, superata naturalmente dall'efficacia terapeutica ma solo in caso di effettiva necessità. Perciò dicevo che non sempre la spesa si traduce in assistenza. (Raccogliendo una interruzione) Beh, il profitto è altra cosa, non confondiamo un argomento con un altro: io non parlo certo in favore del profitto quando dico che bisogna avvertire anche l'assistito che non è affatto detto che il medicamento risani tutti i mali, che non è che basti somministrare un prodotto farmaceutico ad un organismo per risanarlo, senza bisogno di visita medica, in quanto allorché il medicamento non è necessario si rischia di intossicarsi. Questo concetto porterebbe, ripeto, ad una minore spesa da una parte ed ad un minor vantaggio, diciamo cosi, dall'altra, da quella, cioè, dei fabbricanti di medicinali.
Non tutte le nuove organizzazioni, quindi, possono essere soddisfacenti se non sono analizzate a fondo. Non voglio tessere il panegirico dei nostri bisnonni, ma devo dire che essi ai loro tempi avevano creato, con le condotte, un sistema di assistenza che raggiungeva tutti i comuni: il medico condotto aveva uno stipendio, quindi praticamente si configurava in una entità stipendiata dalla collettività, e riceveva il pagamento delle visite da parte degli abbienti, mentre prestava gratuitamente la sua assistenza ai non abbienti. Con questo sistema italiano delle condotte sul quale si era accentrata l'attenzione del mondo intero - con una spesa minima si erano risolti problemi che naturalmente si sono ingranditi. Al giorno d'oggi non possiamo più pretendere con la condotta medica di poter risolvere tutti i problemi dell'assistenza, né possiamo pretendere con il sistema mutualistico, che tutti riconosciamo essere in buona parte superato, anche perché il sistema mutualistico - se mi permettete parlo da medico - è quello che forse con una boutade, io ho sempre definito un sistema che cura soltanto le malattie che non esistono, in quanto, come voi sapete, chi rimane ammalato oltre un certo numero di mesi o rimane invalido perde il diritto dell'assistenza, mentre vi sarebbe bisogno, al contrario che fossero assistite proprio quelle persone che contraggono malattie di lunga durata.
Per quanto concerne gli ospedali, vorrei, anche per non dovermi riferire totalmente a quello che ha detto Berti questa mattina, ma per convalidarlo, riportarvi, in parte almeno, il promemoria, o ordine del giorno, veramente molto equilibrato, scritto dal Comitato esecutivo della Fiaro: "Il Comitato esecutivo, mentre condivide la necessità di rendere più produttiva la spesa sanitaria ed ospedaliera, eliminando ogni privilegio corporativo, riafferma tuttavia l'esigenza di realizzare i postulati fondamentali della riforma ospedaliera, la cui necessità ed urgenza è avvertita dal Paese, e di iniziare concretamente il servizio sanitario nazionale, attraverso il quale deve realizzarsi una profonda ristrutturazione qualitativa e della organizzazione sanitaria....." Saltando qualche periodo, con riferimento all'art. 45 del decreto n.
621, leggo: "Il Comitato esecutivo afferma risolutamente che il problema di rendere compatibile lo sviluppo della spesa per l'assistenza ospedaliera con le condizioni economiche del Paese non si attua tanto attraverso la introduzione di un nuovo organo di controllo quanto attraverso una programmazione che stabilisca in modo tassativo tempi e modalità di applicazione della riforma ospedaliera, sostenibili dalla comunità nazionale, come più volte richiesto dalla Federazione. Gli amministratori ospedalieri ricordano a questo riguardo che, mentre negli anni '68-'69 l'aumento del costo della degenza era stato contenuto entro l'8-9 per cento, nel '70 si poneva, con l'inizio della applicazione della prima fase della riforma, l'esigenza di stabilire la dinamica della medesima e che nonostante l'associazione agli studi previsionali condotti dalla Fiaro, il Governo non ha adottato un univoco indirizzo, mentre le istruzioni del Ministero della Sanità determinavano aumenti superiori al 50 per cento, la cui gravosità non può essere ora imputata agli amministratori ospedalieri".
Cioè, questo susseguirsi di ordini e contrordini, determina lagnanze che sentiamo un po' da tutti i settori.
Devo anche ricordare che proprio l'aumento della spesa ospedaliera è quello che maggiormente incide in questi ultimi tempi. Noi abbiamo avuto nel '67 un aumento di spesa per l'assistenza del 47 per cento, e nel '68 del 67 per cento. "Per quanto concerne in particolare il nuovo tipo di controllo adottato, si ritiene doveroso esprimere le più vive perplessità per l'appesantimento che esso reca alla conduzione degli ospedali e per la introduzione di procedure che contrastano con le più moderne acquisizioni in tema di controllo della gestione degli Enti locali. Viene infatti affidato il controllo di merito delle rette ad un organo regionale al di fuori del controllo delle istituite Regioni (2 rappresentanti su 16) e la cui composizione è pletorica e atecnica rispetto alla funzione da espletare".
La sospensione, poi, dell'aumento del personale sanitario introdotta nel decreto 621 praticamente blocca uno degli aspetti più significativi della riforma ospedaliera.
Un'ultima citazione, per non dilungarmi, sulle conclusioni: "Gli amministratori ospedalieri, per parte loro, consci del delicato momento economico che il Paese attraversa e della necessità di superare l'effettiva causa delle disgrazie del nostro sistema sanitario, stanno completando un approfondito studio sul contenimento della durata della degenza, per contribuire in modo significativo all'aumento della produttività della spesa ospedaliera." Vediamo, dunque, che nella schiera già numerosa degli scontenti si inserisce anche la Fiaro, che ha una importanza notevolissima nell'andamento dell'assistenza ospedaliera.
Se ci vogliamo riferire allo spirito di collaborazione che dobbiamo andare a ricercare e che è la causa di questo scontento, dovremmo dire che l'elemento base da una parte dell'economia, dell'altra della soddisfazione dell'assistito, sta proprio nella partecipazione di quest'ultimo all'amministrazione della propria assistenza. Io mi batto da anni per questo, ma non sempre ho avuto fortuna. Secondo me il malato ha una personalità propria, non è un organismo che si possa collettivizzare standardizzare, deve poter andare dal medico quando sente il bisogno di essere ascoltato per certe sue necessità, quali le malattie del sistema nervoso dove le medicine non servono a niente, o per lo meno servono poco.
Il sistema di dare una metà dei contributi per l'assistenza medico farmaceutica all'amministrazione dell'interessato a me pare una cosa quanto mai attuale. Tanto più che, se non sono male informato, nella riforma attuale si cerca di far pagare un quid all'assistito per il medico e per le medicine. Io avevo protestato a suo tempo, quando c'era stata questa proposta in Senato, perché non ritenevo giusto che si aumentassero indirettamente i contributi a carico degli assistiti, però pare che si ricorra al sistema di diminuire o annullare i contributi che deve pagare il lavoratore, per arrivare invece a far pagare una quota diretta per il medico e per le medicine. In Italia il costo farmaceutico è veramente notevole rispetto a tutti i paesi del MEC; rispetto all'Inghilterra, è circa il doppio. Non perché sono medico né voglio difendere la classe, ma direi che il medico con questo sistema non può lavorare. Io mi sono sempre battuto contro il medico che diventa un funzionario di amministrazione e un burocrate invece di mantenere la sua dignità professionale; da molti anni mi sono accorto che l'attività mutualistica diventa un'attività muscolare da parte del medico, cioè di velocità più che di pensiero, il che è una cosa estremamente grave.
Noi avremo dei problemi molto urgenti da risolvere di carattere sanitario, preventivo, assistenziale. Di quelli di carattere preventivo ha già parlato il collega Oberto, ma io voglio sottolineare che in Italia siamo carenti di quella vaccinazione antitubercolare che è la base per la prevenzione della malattia. Noi siamo in una situazione di stallo in Italia per la tubercolosi unicamente perché non abbiamo voluto adottare, come tutti i paesi nordici, la vaccinazione antitubercolare. Dirò anche (non per lodare me stesso) che per la vaccinazione antitetanica sono stato il primo firmatario della legge ormai estesa a tutta l'Italia. E ricordiamoci che con poche decine di milioni all'anno salviamo da 500 a 600 persone.
L'argomento della prevenzione delle malattie è quello che ci deve interessare di più.
Dato che c'é una confusione generale su cosa sia l'assistenza, quasi che l'assistenza fosse un elemento politico e non individuale (è politica la forma dell'assistenza, è individuale il tipo di assistenza) occorrerebbe che noi potessimo concordare su un sistema assistenziale che conglobi anche l'assistibile e su una assistenza preventiva sentita da tutti e applicata col massimo scrupolo. Questo è l'augurio che faccio e mi auguro anche che vi sia una commissione che funzioni adeguatamente.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Debenedetti. Ne ha facoltà.



DEBENEDETTI Mario

Signor Presidente, egregi colleghi, ritengo che il corso del dibattito abbia già sufficientemente evidenziato da un lato la complessità dei problemi che stiamo discutendo e dall'altro l'urgenza che si arrivi quanto prima ad una riforma radicale del servizio sanitario nazionale. Stiamo muovendo le nostre considerazioni su una mozione presentata dal Consigliere Berti la quale sostanzialmente enuclea due punti fondamentali, uno che interessa la riforma, l'altro che interessa le critiche, le riserve sul cosiddetto "decretone". Tengo a precisare subito che per quanto riguarda le enunciazioni relative alla riforma sanitaria, ai modi della riforma, siamo perfettamente consenzienti. Consenzienti quindi sulla istituzione del servizio sanitario nazionale articolato sulla Regione, sulle unità sanitarie locali, d'accordo sulla parte finale del documento dove si ripete il concetto della funzione della Regione in questo importantissimo servizio e si sostiene la fiscalizzazione degli oneri. Mi pare che soffermarci sulla necessità di addivenire al più presto ad una riforma dell'attuale sistema mutualistico sia superfluo in quanto tutte le forze politiche hanno già espresso un consenso fuori discussione, per cui mi esimo dal richiamare le condizioni veramente lacunose, drammatiche a volte dell'attuale servizio.
Mi pare però che si debba spendere una parola sull'altro argomento introdotto dalla mozione Berti e che riguarda il "decretone". Vorrei cogliere innanzi tutto un elemento che mi pare nuovo rispetto ai precedenti interventi disposti al fine di sanare la situazione delle mutue ed è quello che riguarda l'istituzione del fondo nazionale. Il Consigliere Berti lamentava una mancanza di contestualità tra i provvedimenti del decreto e la riforma sanitaria. Ciò che è importante è cogliere nel decreto l'aggancio alle intenzioni enunciate dal Governo di voler procedere alla riforma statuendo che i fondi reperiti attraverso questo sistema non verranno versati direttamente alle mutue, come è stato fatto in precedenza ma al fondo nazionale. Questo elemento mi pare che si presenti come una conferma dell'intenzione, della volontà di procedere ad una riforma e vada collocato nei giusti limiti: cioè come un provvedimento di carattere fiscale cui il Governo è stato costretto a ricorrere per assumere iniziative dirette a tamponare una situazione che è veramente drammatica: basterebbe fare riferimento ai dati offerti, per quanto riguarda la Regione Piemontese, dal Consigliere Oberto in ordine alla situazione dei deficit degli ospedali. Il provvedimento va collocato in questo angolo visuale, per cui mi pare che possano venir meno le censure specifiche fatte dal Consigliere Berti. Io non ho la presunzione di fare il difensore d'ufficio del "decretone" (soprattutto quando si tratta di un decreto fiscale è assai difficile prenderne le difese) ma mi sembrava opportuno cogliere questo aspetto importante. Certo, riserve ce ne sono; una sulla quale possiamo anche concordare è quella suggerita dal Consigliere Berti che riguarda l'art. 45, però riferita al futuro; allora si può pensare che in questo frattempo l'istituzione della riforma possa già essere un fatto positivo con la presenza della Regione, sia pure in termini ridotti, nel Comitato facente capo al medico provinciale.
Sono d'accordo sull'istituzione della commissione cui ha fatto cenno il Presidente della Giunta, per quanto riguarda il problema specifico degli insediamenti a Crescentino e in altre località, perché con questo sistema si stabilisce un principio di partecipazione diretta e della funzione della Regione in quelle che sono le scelte di insediamenti industriali.
E vorrei terminare con una raccomandazione. Mi pare che la Regione debba sollecitamente interessarsi di un grave problema: quello degli inquinamenti sia idrici che atmosferici. Sarà certamente un settore di attività notevolissimo, ma ritengo che in questa fase iniziale si possa già dare avvio quanto meno a degli studi, a dei censimenti, a degli aggiornamenti sulla situazione, che in alcuni luoghi è veramente drammatica. Si potrà anche vedere, all'occorrenza, di instaurare una collaborazione tra l'Ente Regione e le strutture attualmente esistenti quali gli istituti di igiene e profilassi a livello provinciale per coordinare un tipo di accertamento, un tipo di azione che faccia fronte a queste esigenze fondamentali.
E con questa raccomandazione termino ricordando che si potrà concordare una mozione che si limiti ad enunciare questi principi di carattere generale nella materia inerente alla riforma e su questo siamo disponibili per vedere di elaborare un documento che ci possa trovare consenzienti.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, egregi colleghi, io direi che l'aspetto più positivo di queste nostre discussioni consiste nella presa di coscienza, nella registrazione che andiamo facendo di problemi che dovranno interessare e impegnare la nostra attività futura, nella dichiarazione della nostra disponibilità di assumere, con tutta la sollecitudine possibile, le responsabilità che competono a un'assemblea di questa natura, a un organo com'è quello regionale. Partendo quindi dalla premessa che è costituita da questa presa di coscienza e da questa volontà che costituisce un impegno nei confronti dell'opinione pubblica e del Paese, nello svolgimento di un ruolo che ci è assegnato, senza sproporzioni e senza velleità, noi cerchiamo di raggiungere dei risultati precisi e concreti. Guai a far sorgere delle aspettative sproporzionate, guai a deludere delle attese che si fanno più vive. Questa fase della nostra attività è molto delicata: da un lato ogni giorno di più deve sentirsi la presenza viva di questa assemblea, di questo ente verso il quale si rivolgono tante speranze dall'altro dobbiamo fare molta attenzione a non consentire che le speranze e le attese per rapide delusioni possano gettare anche su questa istituzione il velo dello scetticismo da parte di un'opinione pubblica che spesso è già sufficientemente disincantata.
Io non ripeto gli argomenti che gli altri colleghi hanno esposto in modo brillante, anche in relazione allo loro preparazione. Faccio il mio apprezzamento innanzi tutto per l'intervento appassionato del Consigliere Berti (lo faccio mettendo insieme gli aspetti condivisi con quelli meno condivisi), per l'intervento del Vicepresidente collega Oberto, il quale ha recato un contributo, mi sembra, molto importante di cui rileveremo meglio la natura e la portata rileggendo gli atti che con così grande dovizia e precisione di documentazione ci vengono man mano forniti. E così gli altri interventi: del Consigliere Simonelli col quale perfettamente concordo, del sen. Rotta e da ultima la precisazione dell'avv. Debenedetti.
Abbiamo già accennato per debito di chiarezza che il nostro Gruppo non si sarebbe sentito di approvare la mozione così come è stata presentata dove sono contenute alcune indicazioni che possiamo senz'altro far nostre ma con argomentazioni, certamente non formulate con intenti propagandistici bensì con intenti costruttivi, che però hanno questo largo margine di opinabilità e se dovessimo diffonderci su questi argomenti dovremmo far proseguire le sedute, meglio intervallate da momenti di riflessione e di documentazione, per inoltrarci in un dialogo col Parlamento e col Governo che stanno affrontando oggi questi problemi. Perché non c'è niente di peggio, anche a questo riguardo, che presentarci come interlocutori in una forma non ancora sufficientemente dignitosa, cioè ad un livello troppo diverso ed informativo di poteri, di disponibilità, di indicazioni rispetto al Governo, agli organi dello Stato e al Parlamento.
Di qui la nostra disponibilità ad approvare la mozione, con lievi modificazioni che vogliono significare rispetto per chi l'ha presentata.
Non c'è la distinzione e la gelosia politica che porta a dire: no l'iniziativa è di Berti, viene dal Capogruppo del partito comunista, per noi non va, ne facciamo un altro. E per eliminare questo aspetto che non vogliamo certamente mettere avanti, che non ci piacerebbe, ci atteniamo all'impostazione ribadita da Oberto, Simonelli e Debenedetti e cioè ci fermiamo a quelle dichiarazioni di principio che consentono di presentare la Regione nella sua attuale fase di presa di contatto con i problemi al giusto modo e al giusto livello, con quelle enunciazioni iniziali di principio, con quelle conclusioni finali che prospettano una volontà costruttiva, una volontà di sollecitare dallo Stato il deferimento alla Regione di tutte le materie di sua competenza e che affermano dinanzi all'opinione pubblica l'impegno della Regione di affrontare questo colossale problema che, se mal avvicinato, se mal risolto potrebbe rischiare di affossare l'intero bilancio del nostro Paese. La riforma sanitaria ha rischiato di far saltare un Paese come l'Inghilterra che ha attraversato momenti di difficoltà enormi proprio per certi accessi, per certe non previste conseguenze di impostazioni teoricamente anche buone.
Al fine di concordare meglio la presentazione di queste mozioni, di sentire se debbono essere poste in votazione in un modo o nell'altro solleciterei, dopo l'eventuale intervento del Presidente della Giunta, o di chi la Giunta ritenga di fare intervenire su questo argomento, una breve interruzione del Consiglio per consultarci e arrivare rapidamente ad una conclusione.
L'altro argomento, proposto dall'intervento del Presidente della Regione, consiste nell'affermare l'esigenza che, ora che il Consiglio Regionale è costituito ed insediato, non si possa tranquillamente procedere a dei colossali investimenti e insediamenti di tipo industriale senza che come ha detto bene Simonelli, avvenga almeno un filtraggio attraverso una conoscenza, un dialogo, un incontro e una corretta impostazione del problema. E quindi la proposta venuta dallo stesso Presidente della Giunta di costituire una commissione ad hoc ci trova consenzienti; è una commissione che dovrebbe avere dei compiti precisi, ben delimitati, un termine molto breve, un lavoro concreto da svolgere, una indagine di carattere conoscitivo che dovrebbe partire da coloro che prendono queste iniziative e che sono a conoscenza degli elementi, dei dati che gli Enti locali interessati, l'IRES, possono fornire per arrivare ad una sintesi e consentire alla Giunta ed al Consiglio tutti insieme di formulare un proprio giudizio. La commissione dovrebbe essere, a mio avviso, la più ristretta possibile, senza sacrificare l'opportuna rappresentanza dei Gruppi consiliari, consentendo naturalmente alla Giunta di poterne far parte nella misura che essa riterrà meglio; nei contatti con i privati e con gli enti pubblici esterni la presenza della Giunta e la eventuale presidenza della commissione da parte della persona designata dalla Giunta stessa, dovrebbe consentire un più corretto rapporto, in modo da non creare dei precedenti che possano domani recare difficoltà od intralcio al migliore lavoro e alla specificazione dei compiti tra gli organi della Regione.



PRESIDENTE

Non ho altri iscritti a parlare. Se la Giunta ha da esprimere un parere darei la parola ad un rappresentante della Giunta.
Non essendovi allora più nessuno che chiede la parola la discussione è chiusa.
Sono emerse alcune proposte al termine di questo dibattito e vorrei porre la questione e ricordare i termini nei quali fu deciso ieri, in sede di discussione dell'o.d.g., di affrontare la discussione.
Fu ieri deciso di mantenere all'o.d.g. la mozione Berti, riservandosi il Consiglio di decidere oggi, al termine del dibattito, quale conclusione dare al dibattito stesso. Se fossero emerse condizioni per raggiungere una conclusione di largo accordo, questo accordo sarebbe stato ricercato, se viceversa fosse stata riscontrata la difficoltà, al punto in cui sono maturate le cose, di giungere ad una conclusione, si sarebbe anche potuto decidere di trarla in un altro momento.
Io credo che per consentire ai Gruppi di potersi consultare fra di loro sulla conclusione concreta da dare a questo dibattito, convenga sospendere la seduta per un tempo non eccessivo. Raccomando soltanto ai Gruppi di non fare attendere i Consiglieri che non parteciperanno a questi contatti troppo a lungo.



(La seduta è sospesa)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Sul tema in discussione è stato presentato, con la firma di tutti i Gruppi, un o.d.g. sui problemi dell'assistenza sanitaria e ospedaliera.
Suppongo che questo implichi il ritiro della mozione Berti. Dò ora lettura dell'o.d.g. sottoposto all'approvazione del Consiglio: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, consapevole dei compiti che ad esso competono dall'art. 117 della Costituzione in materia di tutela della salute dei cittadini mentre auspica dal Governo un rapido trasferimento alle Regioni delle competenze in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera sensibile alle istanze che da tempo, e da varie parti, (lavoratori infermieri, medici, oltre che da enti ed organizzazioni) sono avanzate per richiedere una radicale trasformazione del servizio di assistenza medico ospedaliera, ha affermato l'esigenza di superare definitivamente il sistema mutualistico con l'istituzione del servizio sanitario nazionale, articolato sulle Regioni, organismi fondamentali per la programmazione e per la gestione dell'intero intervento sanitario e sulle unità sanitarie locali ha preso quindi in esame e dibattuto i problemi dell'assistenza sanitaria e ospedaliera sui quali il Consiglio Regionale intervenendo nel dibattito in corso in merito agli interventi governativi in materia di riforma sanitaria, ha così riassunto le proprie posizioni: 1) Il servizio sanitario nazionale è un'esigenza indilazionabile.
Pertanto, nessuna remora deve essere frapposta alla sua istituzione anche graduale, con la previsione nei tempi prefissati, del superamento delle mutue e la conseguente estensione a tutti i cittadini dell'assistenza sanitaria e ospedaliera finanziata dallo Stato che vi provvede con il contributo dei cittadini in proporzione delle rispettive capacità contributive.
2) Cardine di nuova e moderna politica sanitaria e di sicurezza sociale, è la Regione, in quanto la riforma di tutto il sistema sanitario organizzato in modo unitario nelle sue tre inscindibili componenti di prevenzione, cura e recupero, deve avere il suo perno nella programmazione sanitaria regionale e nell'unità sanitaria locale. Quindi, tutti i provvedimenti, anche contingenti, che vengono assunti, sono validi alla condizione che si muovano chiaramente su questa linea".
Se nessuno chiede la parola per illustrarlo o per riprendere la discussione, né per dichiarazione di voto, pongo ai voti l'o.d.g. del quale ho dato testè lettura.



(Si procede alla votazione per alzata di mano)



PRESIDENTE

Il Consiglio lo approva all'unanimità.
Su questo punto all'o.d.g. mi era sembrato che fossero emerse alcune proposte per la formazione di una o più commissioni. Non so se ho capito bene e se tali proposte esistono sarebbe bene che fossero enunciate.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Nesi, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Mi è sembrato di sentire nell'intervento del Presidente della Giunta ripreso poi da altri Consiglieri, la proposta di istituire una commissione consiliare per l'esame degli insediamenti industriali che sono avvenuti in Piemonte o sono stati annunciati in questi ultimi tempi. Il Gruppo socialista è d'accordo e anzi credo che sarebbe opportuno che già in questa stessa seduta eleggessimo questa Commissione.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Vorrei chiarire al Consigliere Nesi che la proposta fatta (questo solo per una correttezza formale) riguardava una Commissione mista di indagine Giunta e Consiglio



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Io avevo proposto che per quanto riguarda l'avvio della riforma sanitaria, si potesse eventualmente continuare il discorso in una Commissione del Consiglio, possibilmente allargata anche a forze esterne.
Dato che non è stata data una risposta, gradirei sapere se di questo possiamo parlare nella riunione dei Capigruppo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Penso che risulti acquisito dalla discussione, che si debba procedere a questa indagine. Forse anche per la ristrettezza del tempo siamo un po' imbarazzati a dare una precisa struttura a questa Commissione, ma ritengo che dopo le dichiarazioni del Presidente della Giunta e gli interventi dei Capigruppo.....



BERTI Antonio

Sono due cose diverse. Nesi ne ha chiesta una che poi è stata proposta dal Presidente; io ne ho chiesta un'altra a proposito dell'assistenza sanitaria e ospedaliera.



BIANCHI Adriano

Allora mi pronuncio su tutte e due.
In ordine alla Commissione cui mi riferivo, penso che è acquisito il principio che al primo incontro dei capi Gruppo - lasciando alla Giunta di pensare un momento come aiutarci a organizzare questo lavoro - potremo parlarne. Se si tratterà di una Commissione consiliare, poiché non è lontanissima la riconvocazione del Consiglio potremo organizzarla anche al prossimo Consiglio.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale.

Io stamani avevo proposto la costituzione di questa Commissione e avevo detto che ove il Consiglio fosse stato d'accordo, mi sarei riservato di pregare i Capigruppo di avere un incontro con me per vedere di combinare la Commissione stessa. Il senso della mia proposta era quello. Se siamo d'accordo sulla proposta, utilizziamo questo tipo di procedura che mi sembra il più giusto e il più logico.



BIANCHI Adriano

Quanto all'altra Commissione, avevamo qualche perplessità sull'opportunità di costituirla immediatamente, data la vastità dei problemi e pensavamo che non ci disturbasse un momento di riflessione a questo riguardo; avremmo gradito non pronunciarci contro perché non siamo in linea di principio, contrari che si affronti l'accertamento di questi problemi. In sede di riunione dei capi Gruppo potremo riparlarne. Il primo passo l'abbiamo fatto con quell'o.d.g. e saremmo conseguenti nei modi e nei termini più costruttivi.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Vorrei chiarire le idee a me stesso. Si tratta di due Commissioni: una per l'esame degli insediamenti industriali e una per l'esame della situazione sanitaria.
Il Gruppo socialista è d'accordo sulla costituzione di entrambe e per arrivare a una soluzione unanime, è anche d'accordo che le Commissioni siano miste Consiglio-Giunta, io non ho ancora ben capito che cosa voglia dire Commissione mista, consiliare e di Giunta, ma il Presidente della Giunta avrà poi la bontà di spiegarcelo.
Io però insisto che le due Commissioni, se non è possibile costituirle in questa seduta (perché mi rendo conto che si potrebbero opporre ragioni di carattere procedurale), vengano elette nella prossima riunione del Consiglio che, se non sbaglio, è stata programmata tra una decina di giorni: occorrerà una preventiva riunione dei Capigruppo.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Questa è un'altra proposta rispetto alla mia.



PRESIDENTE

Facendo il punto sulla situazione e riferendoci anche alle conclusioni cui si era giunti ieri in materia di discussione dell'o.d.g., possiamo prendere atto che le proposte per la formazione di Commissioni non hanno raggiunto ancora il grado di maturità necessario per giungere ad una decisione di Consiglio. E perciò, avendo raggiunto un risultato che ieri sera non eravamo nemmeno certi di raggiungere, mediante l'elaborazione di un o,d,g, che è stato votato all'unanimità, possiamo considerarci soddisfatti di questo primo risultato, ritenendo così di avere esaurito il punto quarto all'o.d.g. e di deferire a incontri successivi la maturazione di altri strumenti di lavoro che il Consiglio e la Giunta potranno darsi per approfondire queste materie.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni

Proposta di o.d.g. presentata dal Consigliere Sanlorenzo sulla emanazione dei decreti delegati


PRESIDENTE

Passiamo al punto quinto dell'o.d.g.: "Proposta di o.d.g. presentata dal Consigliere Sanlorenzo sulla emanazione dei decreti delegati", di cui è stata data ieri lettura.
Ha la parola il Consigliere Sanlorenzo per illustrare, spero brevemente, il suo o.d.g.



SANLORENZO Dino

I Consiglieri ricorderanno sicuramente l'art. 17 della legge 16.5.1970 che va comunemente sotto il nome di "legge finanziaria" per l'attuazione delle Regioni a Statuto ordinario". E' l'articolo che attribuisce la delega al governo per il passaggio delle funzioni e del personale statale alle Regioni.
Voglio solo ricordare come le norme delegate, emanate con decreto dal Presidente della Repubblica, siano complesse e abbisognino del concerto di tutti i ministri competenti con quelli dell'Interno del Tesoro, delle Finanze e del Bilancio e della programmazione economica. Si corre quindi anche il pericolo dei tempi lunghi. L'art. 17, infatti, dice che c'è l'obbligo prima di emanare queste norme, di sentire tutte le Regioni queste ultime hanno 60 giorni di tempo per comunicare le proprie osservazioni, dopo di che, trascorsi i 60 giorni, tali norme, unitamente alle eventuali osservazioni delle Regioni, verranno sottoposte al parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
L'art. 18 della stessa legge fissa un'altra data di rilevante importanza e ci dice che l'esercizio da parte delle Regioni delle attribuzioni ad esse trasferite, comincia dalla data del 1° gennaio dell'anno successivo alla loro entrata in vigore. Ne consegue che un eventuale ulteriore ritardo nell'emanazione dei decreti delegati potrebbe fare slittare di un anno l'inizio di un effettivo trasferimento di poteri alle Regioni. Se si aggiunge il fatto che la Commissione di 15 deputati e 15 senatori istituita per le questioni regionali, quella Commissione che dovrà dare un parere sul decreto delegato, è stata sì costituita all'inizio della quinta legislatura, ma ahimè non si è mai riunita ed è quindi ancora priva persino dei suoi organi di presidenza, se si tiene inoltre presente che siamo al 17 settembre, i decreti non ci sono. Tutte le Regioni devono avere due mesi per esprimere un parere, alcune Regioni non hanno ancora nemmeno le Giunte e gli Uffici di Presidenza e poi ci deve essere ancora il tempo per fare esprimere un parere alla Commissione e mancano poco più di tre mesi al 31 dicembre, credo che comprenderete l'opportunità di questo richiamo contenuto nell'o.d.g.
Nell'o.d.g. però vi è un altro richiamo, quello che rinnova l'impegno ad approvare, nei previsti termini della legge, il nostro Statuto Regionale. Questo richiamo all'assemblea va visto contestualmente a quello che richiede con urgenza i decreti delegati ed è in piena coerenza con quello assunto ieri da tutti condiviso e annunciato dal Presidente della Giunta Calleri, di cominciare intanto noi a preparare per parte nostra la Regione ad assumere le funzioni che decreti le affideranno. Lo spirito e la lettera dell'o.d.g. si ispirano a ciò che sinora è stata anche positivamente la prassi seguita dal nostro Consiglio Regionale e a cui tutte le forze politiche hanno portato, ancora con l'approvazione unitaria dell'ultimo o.d.g., il loro autonomo e determinante contributo. L'impegno di tutti i corretti rapporti fra Gruppi e, lasciatemi dire, qualcosa di nuovo nei rapporti politici sono ciò che ha caratterizzato questa prima fase della Regione. Ora c'è un grande obiettivo da raggiungere: costruire sollecitamente e seriamente tutto l'edificio della Regione della cui necessità e indispensabilità, in questi giorni, ci hanno confermato gli incontri con le numerose delegazioni operaie e contadine.
E' quindi opportuno ricordare che se un luogo comune discusso dice che il presto è nemico del bene, è il caso di dire in questa circostanza che fare tardi è fare sicuramente male.



BIANCHI Adriano

Solo per associarmi a questo o.d.g. e chiedendo solo una modifica formale e cioè invece che "la Regione Piemonte" io direi "il Consiglio Regionale del Piemonte", togliendo il "mentre" direi: "rinnova l'impegno di approvare,.ecc.".



SANLORENZO Dino

Accetto.



PRESIDENTE

Allora il testo suonerebbe cosi: "Il Consiglio regionale del Piemonte rinnova l'impegno di approvare nei termini previsti dalla legge lo Statuto regionale, rileva che l'eventuale ritardo nella preparazione dei decreti delegati potrebbe compromettere la possibilità che avvenga per il 1971 un effettivo trasferimento di poteri alle Regioni e altresì garantire che il trasferimento sia comunque completato per il 1° gennaio 1972 ed invita conseguentemente il Governo alla massima sollecitudine in tal senso".



BIANCHI Adriano

Va bene.



PRESIDENTE

Pongo ai voti l'o.d.g. così emendato.



(Si procede alla votazione per alzata di mano)



PRESIDENTE

Il Consiglio lo approva all'unanimità.
Abbiamo così esaurito il punto quinto all'o.d.g.


Argomento: Celebrazioni Manifestazioni Anniversari Convegni

Celebrazione del Centenario del 20 settembre


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, al termine di questa seduta, che è l'ultima di questa settimana, ci corre l'obbligo di ricordare che domenica prossima sarà il 100° anniversario del 20 settembre 1870, la data in cui le truppe comandate dal gen. Cadorna entrarono in Roma, creando le condizioni politiche e materiali per cui Roma, nei mesi successivi, potè essere dichiarata capitale d'Italia. Quell'evento, che sarà commemorato il 20 settembre a Montecitorio in maniera solenne dal Presidente della Repubblica, deve essere ricordato anche da noi, nella Regione Piemonte e in questa città di Torino che, nel 1961 seppe dare tutto il lustro e tutto il risalto necessario alla ricorrenza del 100° anniversario dell'unità d'Italia. Unità che si riteneva incompleta fino a quando essa non avesse potuto avere il compimento necessario con l'insediamento della capitale a Roma.
Fu, questo, un evento che, pur coronando i sogni del nostro Risorgimento, fu accompagnato da una serie di strascichi polemici che possiamo rievocare con tranquillità di coscienza e serenità d'animo perch in questi cento anni, e specialmente nel corso dell'ultimo mezzo secolo, si sono create le condizioni per cui, nel nostro Paese, la questione romana è diventata una pagina lontana nella nostra storia, che tutti gli italiani possono rievocare con la stessa serenità e con spirito unitario. Eppure allora, essa fu all'origine di molte polemiche, e non soltanto fra coloro che difendevano le tesi di Roma capitale e coloro che volevano mantenere un potere temporale dei Papi.
Anche per la città di Torino questo evento ebbe una notevole importanza. Torino, che era stata capitale del nuovo regno d'Italia, dal 1861 al 1865, soffrì di una specie di incubo, dal 1865 al 1870, quando, per una decisione imposta da volontà straniera, la capitale d'Italia dovette essere trasportata da Torino a Firenze, prima di poter essere portata a Roma.
Questa volontà straniera si era manifestata con la Convenzione di settembre del 1864, fra l'Italia e la Francia: tra quell'Italia che si era avvalsa del concorso di Napoleone III per vincere la guerra del 1859 e quella Francia che era sempre rimasta, nello stesso tempo, amante della libertà d'Italia, ma anche custode dei diritti e dei privilegi che si frapponevano al completamento della nostra unità mediante la proclamazione di Roma capitale. Fu necessaria la sconfitta francese di Sedan, il 4 settembre 1870, poiché la nostra diplomazia - stavo per dire piemontese debbo dire del nuovo regno d'Italia - potesse operare al fine di completare il nostro Risorgimento mediante l'impresa che portò alla breccia di Porta Pia.
La Convenzione del 1864 fu aspramente criticata dalla sinistra di allora, nel nuovo Parlamento italiano. Un giurista così qualificato come Pasquale Stanislao Mancini la considerò nulla quasi fino dal momento della firma, per l'insediamento delle truppe francesi nella città di Roma, che doveva diventare poco dopo la capitale d'Italia, a difesa del potere temporale dei Papi. Con l'andare del tempo, quando ci si avvicin all'estate del 1870, quasi tutti gli oratori al Parlamento italiano nell'ultima tornata di questo Parlamento, prima delle vacanze estive nell'agosto del 1870, finirono con l'accettare la stessa tesi della nullità della Convenzione di settembre e pertanto essa non fu più né un ostacolo politico né un ostacolo giuridico al completamento dell'unità d'Italia. E quando si realizzarono le condizioni militari e politiche, mediante la sconfitta di Napoleone III, il governo Lanza seppe cogliere il momento per compiere l'impresa che doveva condurre al 20 settembre 1870, alla conquista di Roma destinata a diventare capitale d'Italia.
Torino fu sempre assai sensibile all'insediamento della capitale nella città di Roma e difatti basta rileggere - la stampa dell'epoca, in particolare la "Gazzetta del Popolo" del 20 settembre 1870, per rendersi conto del senso di giubilo con cui l'opinione torinese colse la fine di quello che avevo chiamato un incubo e cioè questo trapasso della capitale da Torino in un'altra città italiana che non era Roma.
Diceva la "Gazzetta del Popolo" il 20 settembre 1870: "Si- l'andata a Roma è pei torinesi una questione personale, perché fu anch'essa uno dei patti fondamentali deliberati e votati in Torino con plauso grandissimo dei torinesi". E aggiungeva: "Non sappiano per comprendere come l'andata a Roma, che fu il patto dei plebisciti ed il voto di tutta Italia, possa essere un tegolo sul capo a Firenze. Un tegolo ci fu, e molto indegno e proditorio, ma fu l'andata a Firenze in forza di una iniqua e assurda convenzione tramata all'estero con le arti delle congiure perché l'Italia rinunciasse a Roma".
Questi sentimenti erano del resto condivisi da larghi strati della popolazione e a questo riguardo è assai significativo un indirizzo dell'Associazione generale degli operai alla Giunta Municipale di Torino in data 21 settembre 1870, dove si afferma che "l'affetto di Torino alla patria comune, i suoi voti per la di lei unità non sono l'aspirazione dell'oggi. Ma oggi che il voto si compie, oggi che dopo tanti secoli di tirannide Roma si sottrae alla teocrazia, oggi che all'Italia si dà la sua capitale, oggi Torino doveva esultare e pubblicamente".
E Torino il 20 settembre esultò! ed esultò pubblicamente. Per decisione del suo vice sindaco (come lo chiameremmo oggi), facente funzioni di sindaco di Torino, fu affisso un manifesto nel quale si annunciò di avere deliberato che "in questa sera stessa del 22 settembre 1870" (allora le notizie impiegavano un certo tempo ad arrivare da una città all'altra) "a dimostrare la pubblica gioia siano illuminati il Palazzo Municipale ed il Palazzo Carignano, già sede del Parlamento subalpino".
Ma quando Torino rideva ed esprimeva la sua gioia, Firenze o almeno alcuni strati della borghesia fiorentina, piangevano. Basta rileggere un giornale che esce ancora oggi, "La Nazione", allora organo del Partito liberale moderato, che, nel suo editoriale del 24 settembre 1870 annunciava, dimostrando così la sua amarezza: "Roma è abbandonata, in preda ad impresari di agitazione e di disordine, a tutti gli azzeccagarbugli, a tutti gli speculatori di anarchia che sinora battevano il lastrico delle cento città d'Italia. Si direbbe che il governo vuol fare di Roma lo smaltitoio del resto d'Italia".
Opinione del resto condivisa, questa, anche da altri organi, come "L'Opinione" di Firenze diretta allora da Giacomo Dina, che, il 6 ottobre 1870, affermava che "l'animo si ribella al pensiero che si voglia fare del Papa un Florestano di Monaco, un signorotto da Medioevo chiuso in breve spazio". Espressioni di questo genere si trovano in molti giornali e in molti scritti di autori moderati di quell'epoca e dimostrano quanto l'Italia fosse tormentata da questo problema, sebbene il Parlamento italiano approvasse a larghissima maggioranza la decisione di insediare la capitale nella città di Roma. E questa pagina di storia merita di essere rievocata in modo che non sia soltanto iconografico perché in essa si trova la matrice di molte crisi dei nostri giorni, di molti svolgimenti successivi della storia d'Italia.
A questo riguardo per prima cosa vorrei ricordare l'opinione che espresse, nella tornata del 9 dicembre 1870, l'allora Presidente del Consiglio, Giovanni Lanza, che aveva deciso questa impresa e che così presentava al Parlamento il progetto di legge per la conversione in legge del decreto per l'accettazione del plebiscito delle province romane: "Sorgenti entrambe di tanto bene per gli uomini, non ch'essere inconciliabili l'una e necessariamente imperfetta e manchevole senza dell'altra, e il solo modo di accordarle non può essere che quello di attribuire a ciascuna la parte che le appartiene".
Anche rispetto a posizioni di centro, di equilibrio come queste, si trovavano contrapposizioni estreme fra la sinistra e la destra che giungevano agli stessi risultati. Per la sinistra così si pronunciava Giuseppe Ferrari, nella tornata del 21 dicembre 1870, alla Camera dei Deputati: "Due sovranità, con due tendenze distinte, con due governi separati, con due liste civili abbondanti, con due diplomazie estesissime con due tradizioni l'una opposta all'altra come i due poli del mondo sociale, il tutto su poche miglia quadrate di terra; nulla si poteva immaginare di peggio".
Ed è curioso di vedere come l'estrema destra giungesse a conclusioni quasi analoghe, sia pure per motivi opposti. Mentre la sinistra era convinta che la separazione fra Stato e Chiesa determinatasi con la legge delle guarentigie non fosse confacente all'autonomia dello Stato, l'estrema destra riteneva invece che essa non fosse sufficientemente rispettosa dei diritti della Chiesa. Giuseppe Toscanelli affermava, in questo senso: "Credo che, posti questi dati, l'adozione di questo progetto di legge, Roma capitale, voi andiate né più né meno che alla ricerca della quadratura del circolo".
La classe dirigente di allora, la destra storica, che ancora governava l'Italia, si trovò quindi davanti ad un'immensa responsabilità e forse i suoi maggiori esponenti seppero, con più acume dei loro oppositori interpretare lo sviluppo successivo della nostra storia. Cito, anche se quest'uomo politico fu successivamente assai criticato da Croce, pur essendo estremamente rappresentativo del pensiero della destra storica di quell'epoca, il discorso che fece Ruggero Bonghi nella tornata del 31 gennaio 1871, dove, rivolgendosi ai deputati cattolici, anzi, direi, ai "cattolici deputati", affermava: "Io prego adunque i cattolici che sono in questa Camera a consolarsi. Se essi hanno un avvenire, questo avvenire lo prepariamo noi ora, sciogliendo il pontificato di Roma da ogni vincolo col potere temporale, liberando il pontificato di Roma da tutti quei vizi che in questo vincolo ha contratto durante i secoli".
Ma forse l'opinione più coerente, più seria, più preveggente, espressa in questa occasione, fu quella di Quintino Sella, in una lettera ad Alfonso Lamarmora, inviata da Firenze il 26 ottobre 1870: "Io non credo - diceva Quintino Sella (e qui si ha la prova del suo realismo) - non ho mai creduto nella conciliazione. Se fossi nei panni del Papa e di Antonelli, troverei strano e personalmente ingiurioso che chi mi tolse una grossa cosa alla quale, lasciamo se a torto o a ragione, molto tenevo, venga a chiedere la conciliazione senza restituirmi o tutto o parte di quello che mi tolse. E perciò fo al Papa ciò che vorrei fosse fatto a me stesso, non tormentandolo con propositi di conciliazione impossibili".
Egli proseguiva affermando: "I fautori del potere temporale sanno benissimo che Roma capitale decide definitivamente la questione e Roma non capitale può essere il pomo della discordia che avveleni la nazione.
L'andata del re a Roma è certo un atto d'importanza. Oggi, a mio credere si fa senza aggravare per nulla la situazione. Fra qualche mese può invece essere un atto pericoloso per un lato e spiacevolissimo al re per l'altro.
Aspettando ci troveremo in un tempo che potrà essere tranquillo, non lo nego. Auguro alla mia patria che sia più tranquilla d'ora. Ma se il tempo fosse allora burrascoso? Chi ha tempo non aspetti tempo".
E difatti il progetto di insediare la capitale a Roma fu approvato con legge del 3 febbraio 1871, che poneva il termine per il trasferimento della capitale a Roma entro e non più tardi del mese di giugno. Vittorio Emanuele II si trasferì a Roma, tuttavia, il 2 luglio 1871. Con questo insediamento del capo dello Stato e successivamente con l'inaugurazione a Montecitorio della seconda sessione dell' 11^ legislatura, il 27 novembre 1871, Roma entrava di pieno diritto nella storia d'Italia come capitale del nostro Paese.
Ma lasciava uno strascico estremamente doloroso nei rapporti fra due categorie di italiani. Da quel momento incominciò ad attuarsi nella società italiana quella separazione del mondo cattolico che richiese quasi mezzo secolo per il suo superamento, separazione che era già stata anticipata nello Stato piemontese quando, nel 1857, per la prima volta, Don Marsotti coniò il motto, riferendosi alla vocazione politica ed amministrativa dei cattolici: "Né eletti né elettori". Questo motto non ebbe immediatamente successo. Ma lo ebbe non appena fu proclamato il regno d'Italia, prima ancora che Roma diventasse capitale, Allora si tentò di superare questa difficoltà mediante una disposizione ricordata da Arturo Carlo Jemolo nel suo volume "Stato e Chiesa in Italia negli ultimi cento anni". "Un rescritto dalla Penitenziaria del 1° dicembre 1866 - scrive lo Jemolo aveva stabilito che i cattolici potessero venire eletti deputati, purch nell'emettere il prescritto giuramento aggiungessero alla formula rituale le parole 'Salvis legibus divinis et ecclesiasticis' da pronunciarsi in modo che le udissero almeno due testimoni. Edoardo Crotti, di Costigliole eletto deputato di Verres, giurò il 9 maggio 1867 con tale formula e la Camera ritenne non valido il giuramento così prestato e non lo ammise ad esercitare le funzioni di deputato". Ci vollero quasi cinquanta anni prima di riuscire a superare questa formula e fu necessario arrivare al 1919 prima che i cattolici italiani si potessero organizzare politicamente mediante la costituzione del Partito popolare italiano in partito politico.
Ma a causa della marcia su Roma, anche il Partito popolare non riuscì nell'intento di inserire il movimento politico cattolico nella società italiana. Durante gli anni in cui il Partito popolare poté operare, esso si unì agli altri partiti democratici nel tentare di cavare l'Italia dalla crisi creata dalla prima guerra mondiale. Ma la marcia su Roma interruppe questi sforzi.
Quello che forse temprò più fortemente l'unità e la simbiosi del movimento cattolico e degli altri movimenti politici democratici, fu la lotta che, in comune, essi intrapresero contro la dittatura: prima, in tempo di pace, quando la dittatura mise fuori legge tatti i movimenti democratici; successivamente, quando scoppiò la guerra, mediante la partecipazione della Democrazia Cristiana, accanto agli altri partiti antifascisti e democratici, ai Comitati di Liberazione Nazionale; infine con le vittime che i cattolici dettero in olocausto, insieme agli altri partiti antifascisti, alla lotta partigiana contro il nazifascismo.
Quando si uscì dalla Resistenza, il movimento cattolico era diventato un movimento italiano, profondamente inserito nella realtà italiana, che nulla divideva più dal resto dell'Italia. Allora, ma solo allora forse, si poté cominciare ad affermare che, in seguito alla breccia di Porta Pia, i cattolici erano stati restituiti all'Italia e l'Italia era stata restituita ai cattolici.
Oggi, nel clima di convivenza civile che anima i propositi delle forze politiche italiane, questa unità si può dire definitivamente realizzata. Il 20 settembre 1970, noi celebreremo certamente il centenario dell'unità d'Italia, ma con questa rievocazione storica, con tutto quanto è accaduto nel frattempo, potremo anche celebrare l'unità di tutti gli italiani.
Signori Consiglieri, come era stato preannunciato ieri pomeriggio nel comunicare l'accordo fra i vari Gruppi sulla programmazione dei nostri lavori, noi dedicheremo le giornate della settimana prossima a sedute di commissione. Non appena una di queste commissioni ci metterà in grado di riunire nuovamente l'assemblea per portare in Consiglio qualche progetto di deliberazione, o qualora la Giunta o Gruppi consiliari con le loro iniziative rendessero necessaria la convocazione dell'assemblea, sempre nel corso di questa sessione, il Consiglio verrebbe convocato a domicilio.
Il Consiglio quindi sarà convocato a domicilio presumibilmente fra dieci o quindici giorni.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,30)



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