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Dettaglio seduta n.79 del 03/02/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta e aperta.
Comunico che ha chiesto congedo l'Assessore Armella per motivi di salute (anche stamani si è fermato in aula soltanto per pochi minuti).


Argomento: Interventi a favore dell'economia - normative organiche nei vari settori - Ristrutturazione industriale

Relazione del la Giunta Regionale sulla situazione economica regionale industriale in particolare all'inizio del 1972 - Discussione ed eventuali deliberazioni (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo l'esame del nostro o.d.g.
Continua sempre la discussione generale sulla relazione della Giunta Regionale in merito alla situazione economica piemontese, industriale in particolare, all'inizio del 1972.
La discussione generale era stata virtualmente chiusa stamattina e la Giunta aveva già iniziato ad effettuare le sue repliche, ma, come già avvertito questa mattina, essendo ancora assente il Consigliere Minucci che aveva chiesto di parlare in questo dibattito da molto tempo, si è deliberato di consentire al Consigliere stesso di chiudere la discussione generale questa sera prima che parlasse il Presidente della Giunta. Dato che il Consigliere Minucci è anche presentatore della mozione sui nuovi prezzi delle autovetture Fiat, ha accolto il mio invito ad utilizzare questo suo intervento per illustrare anche la mozione che è per lo meno indirettamente connessa all'argomento generale in discussione.
E' quindi iscritto a parlare il Consigliere Minucci, il quale ne ha facoltà.



MINUCCI Adalberto

La ringrazio, signor Presidente, di avermi consentito di prendere la parola in questa chiusura posticipata del dibattito generale e non abuser di questo suo permesso perché intendo intrattenermi molto brevemente in particolare sulla mozione che, insieme ad altri colleghi, ho presentato circa l'aumento dei prezzi della Fiat, senza ricalcare i termini di una discussione più generale su cui il mio Gruppo, soprattutto con gli interventi, del collega Furia ha già esposto una posizione generale.
Io vorrei rilevare come in questo contesto che è stato qui preso in esame di una situazione economica che mantiene un carattere di notevole gravità, di cui non si delineano soluzioni e che può ricevere addirittura una ragione di recrudescenza, di acutizzazione dal precipitare della crisi politica del Paese, il provvedimento della Fiat si inserisca come un'ulteriore aggravante della situazione attuale. In realtà, se andiamo a vedere l'aumento dei prezzi che è, come è noto e come abbiamo scritto anche nel documento presentato, il quarto effettuato dalla grande casa torinese negli ultimi due anni, per un aumento complessivo dei prezzi delle autovetture del 20 per cento, la gravità del provvedimento risalta assolutamente chiara se consideriamo che una delle ragioni fondamentali di ristagnazione di crisi che sono presenti da tempo nella nostra economia, è costituita appunto dal processo di inflazione in atto da vari anni. Noi più volte in quest'aula abbiamo fatto rilevare, alla obiettività dei colleghi del Consiglio, che il processo inflativo va assumendo una virulenza particolare e crescente dal 1966 e cioè nel periodo precedente alle grandi lotte operaie che in genere la stampa padronale è abituata a mettere sotto accusa come la ragione di fondo dell'inflazione; anzi, questo processo di inflazione è venuto delineandosi in coincidenza, non meccanica certo ma abbastanza impressionante, con il crescere del malessere dell'economia americana, con l'aggravarsi dell'aggressione nel Vietnam, con l'aumento delle spese militari degli Stati Uniti e con l'acutizzarsi dell'inflazione negli stessi Stati Uniti d'America. Le vicende attraverso le quali questa inflazione è stata esportata nei paesi alleati degli Stati Uniti sono note a tutti, del resto negli ultimi mesi anche chi un tempo respingeva questa nostra denuncia come strumentale, come antiamericana a priori e per professione, anche la stampa padronale, borghese, governativa del nostro Paese negli ultimi mesi prende atto di questo peso rilevante che l'inflazione americana ha avuto nel determinare processi negativi nelle economie europee e in particolare in quella italiana.
E' proprio in questo contesto che i maggiori gruppi industriali finanziari dei Paese, a cominciare dalla Fiat, hanno esercitato un ruolo attivo nel senso di aggravare i processi di inflazione, i fenomeni negativi che oggi pesano sull'economia italiana. Per alcuni anni, se ben ricordo dal '67 al '70 ad esempio, l'aumento dei prezzi all'ingrosso è stato notevolmente superiore all'aumento dei prezzi al minuto, il che già denuncia le fonti dell'inflazione. Non solo, ma in questi due anni (ed è un'osservazione che è stata fatta anche in sede ministeriale) i quattro aumenti di prezzi della Fiat hanno ulteriormente aggravata questa pressione dei grandi gruppi finanziari sulla lievitazione dei prezzi.
La gravità del provvedimento Fiat in particolare consiste nel fatto che per le caratteristiche che è venuto assumendo in tutti questi anni il sistema industriale italiano, che ha posto sugli altari l'automobile, che ha fatto cioè dell'industria della motorizzazione privata un fatto centrale dello stesso sviluppo, i prezzi delle autovetture sono venuti assumendo sempre più un ruolo pilota, un ruolo-guida, tale da coinvolgere nella propria variazione i prezzi degli altri prodotti industriali in un modo meno mediato certamente, ma chiaro, e l'andamento progressivo del mercato.
E se andiamo a vedere ciascuno dei quattro aumenti che si sono verificati in questi due anni, hanno avuto un immediato risvolto nell'andamento degli altri prezzi industriali italiani.
Questa funzione estremamente negativa che i grandi gruppi industriali hanno assunto nel momento in cui finanziavano le varie prediche contro gli aumenti salariali, contro le lotte operaie, contro il movimento sindacale l'hanno assunta per accelerare i processi di inflazione, per accelerare gli elementi deteriori presenti nella nostra economia. Ed io vorrei rilevare alcuni elementi che a me sembrano particolarmente interessanti dal punto di vista dell'analisi che stiamo facendo.
In primo luogo vorrei sottolineare, di fronte ai colleghi, il carattere assolutamente arbitrario di questa decisione. Credo che non ci sia più parte politica che possa ammettere che una grande azienda che ha in mano le strutture portanti dello sviluppo industriale ed economico del nostro Paese, che controlla prezzi che hanno appunto assunto la caratteristica di prezzi-pilota, possa per decisione singolare, senza nessun controllo, senza consultare il governo, assumersi la responsabilità di comportarsi di fronte al processo di inflazione come si è comportata la Fiat in questi ultimi tempi, di assumere atti che hanno un'influenza generalizzata su tutto l'andamento della nostra economia e nel periodo appunto di grave stagnazione e recessione dell'economia stessa. Com'è possibile, io chiedo a tutto il Consiglio, a tutti i Gruppi, ammettere che nel 1972, nel momento in cui si parla addirittura di campagne elettorali orchestrate sul tema e sulle variazioni relative della programmazione economica, un grande gruppo privato possa assumere arbitrariamente, senza consultarsi con gli organi della programmazione, con il governo, delle decisioni di questo tipo.
Quindi il carattere arbitrario in primo luogo vorrei mettere in rilievo e del resto è un carattere arbitrario che è già stato rilevato purtroppo non da tutto il governo, ma almeno da due Ministri dell'attuale governo, i Ministri del Bilancio e del Lavoro. Ma quando si dice arbitrario, già individuiamo uno spazio, costituito appunto da questo arbitrio, in cui le stesse motivazioni che vengono addotte dal gruppo dirigente Fiat, seno motivazioni in sé discutibili, risibili e addirittura false. La Fiat ha sostenuto, come è noto, nei giorni in cui doveva giustificare di fronte all'opinione pubblica i suoi aumenti di prezzo, che alla base di questi aumenti vi è stata una crescita, una lievitazione delle uscite che è stata essenzialmente spinta, promossa da un aumento straordinario del costo individuale del lavoro; la Fiat ha detto che il costo individuale di lavoro sarebbe aumentato, negli ultimi due anni, con il contratto del 1969 e con i vari aumenti successivi, del 46 per cento. Essendovi poi stati altri aumenti negli altri capitoli delle uscite, si può calcolare, secondo la Fiat, che l'aumento complessivo del costi si è avvicinato attorno al 60 per cento. Tenendo conto che questo aumento dei costi va ripartito in parti pressoché uguali nei tre reparti fondamentali delle uscite, cioè il monte salari, gli acquisti e le spese generali, investimenti e imposte (un terzo di questo aumento del 60 per cento costituito appunto all'incirca del 18/20 per cento), l'aumento dei prezzi tende a ricuperare l' aumento dei costi complessivi.
Ebbene, questo ragionamento è assolutamente falso nelle sue stesse cifre di partenza. Se andiamo infatti a vedere i bilanci della grande industria torinese pubblicati negli ultimi anni, fino al 1971, l'aumento del costo individuale del lavoro risulta dagli stessi dati forniti dalla Fiat non del 46 per cento, ma del 34 per cento. Infatti c'è stato un aumento del 13,5 col contratto dell'autunno '69, del 4 per cento con l'accordo del giugno '70, del 6,5 con l'accordo integrativo del '71, del 6,5 grazie ai 17 punti scattati sulla contingenza nello stesso periodo preso in considerazione, del 4 per cento per uno slittamento aziendale non meglio definito; in complesso il 34,5 per cento di aumento dei costi individuali. Ma tenendo conto dell'aumento della manodopera, delle ore effettivamente prodotte, in rapporto alla stessa quantità di manodopera tenendo conto dello slittamento progressivo nella composizione del prodotto (c'è una riduzione progressiva della produzione minore, delle piccole cilindrate a favore invece della 124, 128 ecc.), e tenendo conto di altri fattori che qui non starò a citare, in realtà il costo generale, non individuale, del lavoro, è aumentato del 13 per cento in questo periodo.
Questo è anche un dato che fornisce il Ministero del Bilancio. Come si vede c'è già una sfasatura notevole tra questo 13 per cento e il 20 per cento di aumento dei prezzi che con queste motivazioni ha deciso la Fiat.
D'altra parte se si tiene conto che l'ultimo aumento, il quarto della serie, del 5 per cento medio sui prezzi delle autovetture, viene dopo circa 7/8 mesi in cui non vi è stata alcuna variazione dal luglio 1971 nel costo del lavoro, perché non vi è più stato nessun accordo sindacale (e questo lo riconosce anche la Fiat) vedete che soprattutto l'ultimo aumento assume il carattere di un arbitrio puro e semplice.
Ma la seconda questione che vorrei sottolineare (e che a me sembra anche più importante e più interessante dal punto di vista di una discussione come la nostra, cioè la discussione in una sede che noi vorremmo fosse una sede decisionale, sull'andamento dell'Economia e in fatto di programmazione economica) è questa: se anche fosse vero che l'aumento dei costi di produzione coincidesse con l'aumento dei prezzi decisi dalla Fiat, cioè se fosse stabilito un equilibrio perfetto tra questi due perni, noi considereremmo anche in questo caso la scelta della Fiat di un'estrema gravità, perché in realtà, molte cose sono avvenute nel nostro Paese in questi ultimi anni, a cominciare dalle grandi lotte della classe operaia, delle masse lavoratrici, del movimento sindacale unitario senza ignorare in questo contesto le discussioni politiche, le prese di posizioni politiche, certe attitudini manifestate dallo stesso governo nazionale ed in particolare l'attitudine ad andare verso una programmazione economica, verso il superamento di certi squilibri, ma vorrei dire perfino rifacendomi a un'espressione, a un'affermazione che è stata fatta in un Consiglio nazionale della D.C., che pure ha segnato, secondo me, uno dei momenti di involuzione di questo partito (il rapporto che Forlani present al Consiglio nazionale della D.C. subito dopo le elezioni del 13 giugno quando egli stesso riconosceva che il vecchio meccanismo di sviluppo era ormai in crisi e bisognava andare a un suo superamento). Ebbene, la decisione della Fiat è grave proprio perché nega l'esigenza di un mutamento, di una modifica del meccanismo di sviluppo. In realtà a che cosa tende la Fiat? Tende a ristabilire l'equilibrio che si è incominciato ad incrinare, che si è spezzato con le lotte dell'autunno '69, lo vuole ristabilire, sia pure ad un livello diverso, negli stessi termini che preesistevano all'autunno '69 e cioè vuole ristabilire un meccanismo di accumulazione che ripercorra, ricalchi gli stessi schemi che abbiamo conosciuto negli anni '60 e che sono quegli schemi che hanno portato alle difficoltà, alle strozzature, alle contraddizioni di oggi e cioè a una politica economica che si fonda sul ristagno degli investimenti. Voi sapete che gli investimenti sono in calando dal 1963 (altro che colpa dei sindacati!); voi conoscete il livello bassissimo degli investimenti per l'innovazione tecnologica, per ricerche scientifiche e così via, voi sapete che cosa ha significato in effetti il meccanismo di accumulazione così come è stato diretto in tutti questi anni nei confronti dell'aggravarsi della questione meridionale, delle campagne e così via tutti gli squilibri che qui più volte abbiamo discusso e che del - resto compaiono addirittura nello Statuto della Regione. Ebbene, si vogliono ricalcare quegli stessi schemi, si ristabilisce un equilibrio di gestione aziendale per ristabilire un equilibrio nazionale, per mantenere intatti gli equilibri nazionali che del resto sono stati sempre caratterizzati, in questi anni, da un dominio del gruppo Fiat sull'economia nazionale. Se andiamo a vedere, la Fiat ha sempre puntato su un meccanismo al cui centro, con una funzione pressoch esclusiva, c'è stato l'autofinanziamento. Scarsissimo ricorso al normale credito bancario e tendenza ad investire i profitti in operazioni all'estero; l'espansione della Fiat come società multinazionale, anche la presenza della Fiat in certe operazioni speculative e non soltanto di investimento produttivo all'estero, stanno sotto gli occhi di tutti, le conosciamo benissimo. Ed è proprio questa la gravità di una politica che ha fatto sì che la Fiat di fatto si collocasse come uno Stato nello Stato, al di fuori di ogni controllo (e l'ultima misura non fa che confermare questa tendenza) e che fa quindi della Fiat, se volete, un ostacolo obiettivo a qualsiasi politica di programmazione, della Fiat in particolare, ma anche degli altri grandi gruppi privati le cui decisioni, i cui meccanismi di autofinanziamento sono tali appunto da impedire qualsiasi intervento democratico di controllo, di programmazione nell'economia nazionale. Si vuole appunto ristabilire questo meccanismo, mentre la pressione delle lotte sindacali, con una maturità crescente, e collegando sempre più la lotta per migliorare le condizioni di lavoro all'interno della fabbrica alla lotta per trasformare certe strutture dell'economia nazionale, tendeva appunto a modificare questo meccanismo, a metterlo in grado di far fronte ai grandi storici problemi dell'economia della società italiana, a cominciare dai problemi del Mezzogiorno, da quelli dell'agricoltura e di uno sviluppo industriale più equilibrato e diffuso in tutto il Paese. Ora dobbiamo essere consapevoli di questo, i provvedimenti della Fiat non soltanto hanno un risvolto immediatamente negativo per le conseguenze che determinano nel processo di inflazione, nella continua lievitazione dei prezzi; del resto usciamo da un'annata che sotto questo profilo ha avuto l'aumento più alto, il 5 per cento complessivo dei prezzi, ma ha un risvolto negativo soprattutto per l'avvenire del nostro Paese, si tende cioè a ipotecare un tipo di sviluppo, un proseguimento degli schemi di sviluppo che hanno già determinato queste contraddizioni e queste lacerazioni nella nostra società.
Tutti questo è ammissibile? E' pensabile che il nostro Paese possa andare avanti su questa strada? E' pensabile che il governo possa accettare, a parte le proteste singole dei due Ministri, una situazione di questo genere? Io voglio ricordare qui che è bastata talvolta la proclamazione di uno sciopero per un modesto miglioramento di salari, per fare scatenare campagne di stampa orchestrate, televisive e così via, sui pericoli di inflazione che tutto questo comporta. Un provvedimento di questo tipo, che ha un'immediata ripercussione su tutta la struttura nazionale, non ha trovato neppure non dico il Ministro Preti, ma un qualsiasi esponente del governo che abbia messo in luce la gravità di questa decisione, proprio dal punto di vista della condizione immediata attuale della nostra economia.
Ecco perché di qui sale la richiesta con contenuta nel nostro documento e che io chiedo ai colleghi degli altri Gruppi di prendere in attenta considerazione perché credo che sia, questa, una delle circostanze in cui il Consiglio Regionale può davvero assumersi una responsabilità senza la quale credo mancherebbe davvero a una sua funzione fondamentale. Io penso che di qui debba salire appunto la richiesta che noi formuliamo al governo di intervenire, perché ha tutti gli strumenti se vuole, diretti e indiretti, per fare recedere i padroni della Fiat da questa loro decisione e anche per chiedere che i prezzi delle autovetture, per il ruolo che hanno nel mercato italiano, vengano compresi in quel sistema di prezzi controllati che dipendono dal CIPE.
Vorrei ancora dire due sole parole e credo che i colleghi, che sono tutti estremamente attenti alle vicende politiche di oggi, di questi giorni, non mancheranno certo di riflettere su quanto dirò. Vorrei rilevare che la rinuncia ad un intervento programmatore democratico da, parte degli enti e delle assemblee elettive in primo luogo, del governo e da parte dei maggiori responsabili della politica di governo in tutti questi anni (voglio mettere come principale responsabile la D.C.), la rinuncia cioè ad assolvere una funzione di guida pubblica democratica dello sviluppo economico, ha già provocato in questo periodo dei guasti estremamente profondi, per non dire irresponsabili, nello sviluppo della nostra economia, fino a portare ad una situazione che oggi non soltanto noi, ma anche altre forze democratiche denunciano come una situazione di marasma.
Ebbene, proprio mentre la nostra economia ha più bisogno di una guida pubblica, ha più bisogno di uscire dalle decisioni, se volete, con un vecchio termine marxista, anarchiche dei grandi gruppi, cioè da decisioni che obbediscono soltanto a ragioni di profitto privato, ha più bisogno di darsi un nuovo aspetto e un nuovo equilibrio, proprio in questo momento noi vediamo la caduta, la scomparsa vorrei dire della funzione del governo in Italia; da tempo ormai c'è un governo che non governa e da tempo c'è un partito, che pretende di essere di governo, che non è più oggettivamente capace di governare. Questo è il dramma che oggi attraversa il Paese. La D.C. non può più governare, perché non ne è più capace per le sue contraddizioni interne e per il rapporto che è venuto stabilendo con il paese, nel suo complesso.
Questa è anche la situazione che oggi ci spinge a dire che bisogna trovare nel Paese stesso, nel popolo italiano, la ragione, la forza per invertire rotta, per spezzare un meccanismo che ha già portato al marasma attuale e che può portare ad una degenerazione ulteriore, a fenomeni di stagnazione e di crisi ancora più laceranti di quelli che oggi conosciamo.
Ma se questa coscienza è diffusa, io credo, al di là delle file del nostro partito e del nostro gruppo, allora penso che anche i colleghi degli altri gruppi debbano riflettere sull'importanza dello stesso documento che noi presentiamo, debbono capire che oggi il Paese ha bisogno, nel momento in cui non ce l'ha nel governo nazionale, di trovare dei punti di riferimento e delle certezze almeno nelle assemblee elettive regionali, deve sentire una voce e un potere almeno embrionale che può intervenire come protagonista, come nuovo soggetto politico nella programmazione economica ai fini di sollevare il corso economico dalle strozzature in cui è stato fatto precipitare, di dare garanzie soprattutto per l'occupazione e soprattutto per l'avvenire dell'economia complessiva della nazione.
Ecco perché io credo che questa mozione tenda appunto ad affermare questo ruolo della Regione, una Regione che fra l'altro è responsabile di fronte a tutto il Paese, perché la Fiat sta qui, è insediata in Piemonte deve soprattutto fare i conti con i movimenti democratici piemontesi e quindi in primo luogo con l'istituto Regione del Piemonte. Io credo che proprio per questo noi abbiamo non soltanto il diritto, ma il dovere di prendere una posizione e quindi di approvare un documento che chieda al governo di intervenire tempestivamente (ormai di tempestività non si pu più parlare) ma almeno di intervenire perché il corso che la Fiat tende a dare al suo intervento nell'economia nazionale sia mutato se non vogliamo che le lacerazioni, se non vogliamo che i guai dell'economia nazionale conoscano nel prossimo futuro degli ulteriori aggravamenti.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati

Mozione relativa ai nuovi prezzi delle autovetture Fiat


PRESIDENTE

Il Presidente della Giunta suggerisce di abbinare la mozione e di continuare a discuterla, in maniera da consentirgli di rispondere sia sulla situazione economica generale in Piemonte, sia sulla mozione relativa alla Fiat.
Potremmo quindi proseguire con la discussione generale sulla mozione relativa alla Fiat; se vi sono iscritti a parlare evidentemente.



VIGLIONE Aldo

Se si abbina, vorrei intervenire.



PRESIDENTE

Il Presidente della Giunta risponderà sia per quel che riguarda la situazione economica generale, sia sulla Fiat, però la discussione sulla situazione economica generale è chiusa, adesso c'è il dibattito sulla mozione Fiat.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ai primi di gennaio del 1972 abbiamo appreso tutti dai giornali del mattino (dico "tutti" perché al riguardo non vi è stata alcuna comunicazione preventiva, per quanto noi sappiamo, né al governo nella sua interezza, né alla Regione) che la Fiat aveva aumentato i prezzi delle autovetture. Il Ministero del Bilancio e della programmazione economica rilevava subito che nel corso degli ultimi due anni la Fiat aveva applicato i seguenti aumenti di prezzo: 26 1 70 più 5; 10.11 70 più 4; 6.7.71 più 4,50: 10.1.72 più 5. Si aveva come conseguenza che, fatto pari a cento il livello dei prezzi prima del 26.1.70, quello conseguente all'ultima decisione di aumento portava il parametro a 119,82. Lo stesso Ministero del Bilancio rilevava una notevole divergenza in eccesso rispetto al saggio di incremento generale dei prezzi e a quello che il governo aveva indicato come il livello di guardia per garantire il quale il governo stesso aveva adottato una linea di contenimento delle tariffe e dei prezzi amministrati. Si osservava infine dallo stesso Ministro del Bilancio, che era determinante in sede di programmazione porre il problema del comportamento da parte delle grandi imprese e cioè la coerenza o meno con l'indirizzo generale di una politica di sviluppo senza inflazione.
Qualche giorno dopo, sempre il Ministro del Bilancio, on. Giolitti riceveva i rappresentanti nazionali delle tre confederazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL) e della Federazione dei metalmeccanici (CGIL, CISL, UIL) per l'esame dei problemi attinenti agli aumenti praticati dalla grande agenzia torinese. Erano altresì presenti i segretari generali della programmazione, Ruffolo, e dell'ISPE.
Il giudizio dei sindacati sull'incontro e sull'oggetto in discussione fu assai preciso e cioè: 1) che le motivazioni della Fiat erano inaccettabili, mentre l'aumento dei prezzi traeva soltanto giustificazione e pura giustificazione dalla politica di cartello in cui la Fiat era ed è inserita 2) che tale aumento risultava particolarmente preoccupante per le interdipendenze che sussistevano e sussistono fra prezzi di base a largo consumo, come l'auto, o di beni strumentali come gli autoveicoli industriali e come dinamica complessiva già influenzata da tensioni inflazionistiche 3) che in tale quadro era indispensabile rilevare il significato politico della decisione della Fiat, che si collocava al di fuori degli impegni assunti con gli stessi sindacati, sia del contesto di riferimento di politica economica e degli indirizzi del governo, mentre utilizzava largamente tutte le opportunità e le agevolazioni che il governo stesso sempre aveva messo a disposizione, in circostanze particolari attinenti agli investimenti, ai finanziamenti agevolati, a favore del padronato.
Si aveva questa abnorme situazione, che finché c'era da trarre dei finanziamenti agevolati, delle leggi di agevolazione, dei decreti favorevoli, il padronato sempre era disposto a ricorrere e a chiedere, ma nel momento in cui si doveva porre coerentemente con le direttive governative in tema di programmazione, questo stesso padronato era venuto meno ai suoi doveri; su quattro o cinque aumenti praticati in due anni, non una volta ha informato preventivamente, ma ha sempre dato la notizia il mattino dopo averlo deciso, salvo poi naturalmente Agnelli conferire con Giolitti e spiegare che ciò era necessario dalla sera alla mattina.
Su queste basi i sindacati chiedevano al Ministro del Bilancio di proporre al governo un intervento tendente a far rivedere la decisione Fiat sia per quanto atteneva alle dimensioni dell'aumento, sia per la sua incidenza sui vari tipi di modelli, con minor peso per le cilindrate inferiori.
Le organizzazioni sindacali inoltre apprezzavano la risposta del Ministro Giolitti che aveva dichiarato in quella occasione di accogliere sia i giudizi che la richiesta dei sindacati e si riservava di valutare con i lavoratori le iniziative da assumere per portare la situazione a sbocchi positivi.
Siamo al 3 di febbraio, ma di positivi ancora non ne abbiamo visti.
Infatti un comunicato immediato dell'ufficio stampa del Ministero puntualizzava la circostanza dell'incontro, prendeva atto delle considerazioni e delle richieste avanzate dai rappresentanti sindacali che il Ministro Giolitti avrebbe approfondito, al fine di una più precisa e più efficace determinazione della politica del contenimento dei prezzi.
In questo quadro Trentin della Fiom aveva definito la riunione interlocutoria, evidentemente in attesa delle precisazioni governative e dell'approfondimento promesso da parte del Ministero e dello stesso Ministro. La UIL invece, tramite Simoncini, manifestava la preoccupazione per gli effetti moltiplicatori degli aumenti; lo stesso Simoncini affermava che un intervento del governo avrebbe valore emblematico nel quadro, nella prospettiva e logica di una coerente incisiva azione di orientamento che trovava nei campi peculiari di applicazione proprio sul terreno dei prezzi, come su quello connesso agli investimenti finora soggetti a determinazioni unilaterali, spesso inconciliabili, con le esigenze di direzione di sviluppo strutturale dell'economia italiana. Ed ancora si rilevava che la decisione Fiat si collocava al di fuori sia degli impegni assunti, ripeto, con gli stessi sindacati, sia del contesto di riferimento di politica economica e degli indirizzi di governo, come detto sopra.
Noi non abbiamo notizie e non abbiamo la possibilità di toccare le leve di questi meccanismi, facciamo dei rilievi, ma con delle gravi manchevolezze perché quando lo stesso governo, lo stesso Ministro della programmazione è incapace di porre un freno, di fare un dialogo, pensate come noi riusciamo a mettere mano in questa cosa; la Fiat ha duemila miliardi di fatturato, il che sull'economia generale dei 50.000 miliardi che è il reddito nazionale incide per un valore rilevante, quindi riesce assai difficile sapere in quale direzione si muove oggi e in quale intenda muoversi domani.
Ma il discorso che noi vogliamo fare qui è ben altro. Allorché il Presidente della Giunta aveva parlato della programmazione, allorché aveva esposto, in quest'aula, il documento presentato il mese scorso, si disse che parlava non di programmazione vincolante, bensì di programmazione quanto meno contrattata. Vorremmo sapere oggi dal Presidente della Giunta che cosa si è fatto di questa programmazione contrattata quando a livello anche soltanto di una decisione di questo genere la Regione non è stata informata e non ha potuto dire una sua parola.
E allora sorge il problema: è valida questa politica di programmazione fatta in questo modo? Quando si tratta di chiedere degli incentivi, delle agevolazioni, quando si tratta di porre mano alla finanza pubblica e di avere anche dei privilegi da parte del padronato, si ricorre spesso anche alle forze politiche per ottenerli e poi, quando si tratta di dialogare per una politica di piano che dovrebbe prevedere come primo atto il contenimento dei prezzi, si viene meno in questo modo autoritario e violento ai propri doveri. E allora voglio chiedere al Presidente della Giunta se ritiene che quanto meno l'ultima trincea, la linea del Piave che era la programmazione contrattata ha delle falle e allora parliamo di un dilagare di tutte le iniziative, degli insediamenti, della distruzione di questa città come tutti possiamo vedere e di tutte le aree non solo del Piemonte ma di tutta l'Italia, con cinque milioni di immigrati ed emigrati che hanno distrutto tutte le strutture. Noi abbiamo soltanto questo da chiedere alla Giunta ed al suo Presidente, se cioè vi è una parola di condanna di questi atti, precisa, ferma e netta, perché se non c'è allora dobbiamo dire che anche quelle parole che furono scritte (si parlò di programmazione, di direttive, dello stabilimento di Crescentino dicendo che era un atto autoritario che non si sarebbe più ripetuto e poi si è avuto l'insediamento anche nel Biellese) non servono a niente. Il 5 per cento su duemila miliardi ha un'incidenza psicologica, un'incidenza tecnica e un'incidenza finanziaria e il governo queste cose le legittima, poiché dal 12 di gennaio ad oggi quello che doveva essere un dialogo, un approfondimento con tutta la buona volontà sono state soltanto delle belle parole, ma la decisione è rimasta. Vuol dire che l'istituto democratico che le pubbliche istituzioni oggi, con una politica di programmazione che dovrebbe essere vincolante al di sopra di certi livelli (non dell'artigiano, del bottegaio o dell'ambulante) per seguire una certa linea, abbiamo visto che invece non esistono.
Noi rileviamo quindi per ora la nostra impossibilità a compiere qualcosa che riesca a fermare tutto questo e chiediamo al Presidente se su questo punto vi è una netta e precisa condanna e se, quella sua opinione sulla programmazione non vincolante ma contrattata ha ancora una sua validità, o se anche questo argine è stato distrutto.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Zanone.



ZANONE Valerio

E' singolare signor Presidente che su un tema di così evidente delicatezza politica, una buona parte dei Gruppi che compongono il Consiglio Regionale non sentano il dovere di prendere la parola.
Il Gruppo liberale non si sottrarrà a quest'obbligo, anche se per la seconda volta nella giornata sarò costretto a ricorrere a premesse piuttosto ovvie. La premessa ovvia questa volta mi pare questa: non siamo qui per confrontarci fra quelli che sono favorevoli e quelli che sono contrari all'aumento dei prezzi delle automobili, siamo qui a confrontarci fra quelli che condividono e quelli che non condividono le motivazioni, le valutazioni e le proposte contenute nella mozione Minucci.
Da questo punto di vista mi pare sia di tutta evidenza che l'aumento del prezzo delle automobili non fa comodo a nessuno, non fa comodo all'utenza, non fa comodo alla situazione economica generale e credo non faccia comodo, in ultima analisi, nemmeno alla Fiat, perché l'aumento del prezzo delle automobili viene ad aggravare quelle situazioni di concorrenza e di capacità di assorbimento del mercato che non sono più, anche per la Fiat, così favorevoli come qualche anno fa.
Non ho raccolto una documentazione sull'argomento e l'unico documento al quale mi ispirerò (ho visto che è stato implicitamente ricordato già dal collega Minucci) è una pagina della "sezione automobilistica" del Corriere della Sera del 14 gennaio, dedicata proprio all'aumento dei prezzi delle automobili, in cui sono contenuti dati statistici ai quali il collega Minucci ha fatto riferimento nell'illustrazione della sua mozione. Vedo in questa stessa pagina, accanto all'intervista dell'ing. Righini che spiega le ragioni per cui, a detta della Fiat, l'aumento è stato necessario, una grossa inserzione pubblicitaria intitolata "No all'aumento dei prezzi delle auto" e inserita a spese della Opel e della General Motors: l'aumento dei prezzi di una marca automobilistica è un vantaggio che si dà ai concorrenti in un sistema in cui la concorrenza internazionale è ormai una realtà operante. D'altra parte io mi chiedo se la stessa Fiat non avesse prospettive più favorevoli dal punto di vista dei suoi utili di bilancio nel '53 e nel '58, quando puntava sul ribasso dei prezzi di listino piuttosto che nel '70 e nel '71 quando li ha rialzati.
Il fenomeno, a quanto mi sembra di poter vedete da questi dati, e di carattere generale, le marche straniere hanno già aumentato, o si preparano ad aumentare e l'unica finora assente in questa spirale, che e l'azienda pubblica, l'Alfa Romeo, pare che attenda, per aumentare i prezzi, l'uscita del modello Alfa Sud su cui fonda gran parte delle proprie prospettive commerciali per il prossimo futuro.
La mozione Minucci che cosa propone in sostanza? Che si inviti il governo a fare recedere la Fiat dall'aumento e che i prezzi delle automobili rientrino nel listino del CIP, Comitato interministeriale dei prezzi. Io non ho ben presente quali siano i prezzi che sono attualmente sottoposti al controllo del CIP, credo si tratti (almeno nella quasi totalità) di prodotti alimentari di base, di prodotti farmaceutici e di materie prime. La proposta di includere in questo listino un prodotto come l'automobile certamente varrebbe ad alterare quella che era la logica del controllo finora effettuato dal CIP, ma questo non credo sia l'aspetto sostanziale perché l'aspetto sostanziale non è il controllo del prezzo dell'automobile, e semmai il controllo dei fattori che vengono a comporre il prezzo finale. Quindi sulla questione che i prezzi delle automobili siano inseriti o meno nel listino del CIP, veda il governo che cosa meglio convenga fare, con questa precisazione: che se non c'è un controllo sui fattori che compongono il costo l'inserire il controllo al momento finale è certamente di scarsa efficacia.
I costi dell'automobile, da quanto si legge nell'articolo di giornale al quale mi riferisco, si compongono all'incirca per un terzo di costo di lavoro, un terzo di materiali e per un terzo di spese generali, di ammortamenti e di costi del capitale investito. Va detto però che negli ultimi anni questa ripartizione è venuta mutando nel senso che il costo del lavoro, com'è noto, è aumentato notevolmente e oggi è vicino ai due quinti del costo del prodotto finale.
Il collega Minucci è entrato in una disamina critica sui dati forniti nell'intervista dall'ing. Righini, secondo la quale nel biennio '69/'71 le forniture esterne sarebbero aumentare del 16 per cento, le spese generali dal 25 al 30 per cento, il costo del lavoro del 46 per cento e l'insieme di queste componenti renderebbe necessario quell'insieme di scatti di aumenti che globalmente arrivano al 20 per cento sul prezzo dell'automobile. Non avendo analizzato, come diligentemente ha fatto il collega Minucci, i bilanci della società per vedere se i dati corrispondono o meno, mi limito ad attenermi questi dati perché sono dati dell'ISTAT, cioè sono dati medi generali; se poi ci sono degli scarti in meno o in più a favore o a svantaggio della situazione aziendale questo è un punto da dimostrare in sede di analisi. Va anche tenuto conto che dal 1° marzo 1972, come è noto vi sarà una riduzione dell'orario di lavoro, da 41 a 40 ore, e che vi sono problemi rilevanti, soprattutto nel caso della grande azienda come la Fiat connessi ai temi già discussi in questi due giorni di dibattito sulla situazione economica generale, problemi dell'utilizzazione degli impianti e del cosiddetto assenteismo; sul quale, anche se non è il caso di fare delle speculazioni demagogiche, credo vada ripresa l'osservazione che- faceva ieri mattina il Vicepresidente del Consiglio avv. Oberto, perché noi dovremo anche dire se questo fenomeno dell'assenteismo è un fenomeno che va incoraggiato, riconosciuto, giustificato, o se invece ricade sui costi di produzione e ricade indirettamente e anche direttamente su quella parte dei lavoratori che non si assentano ma che vanno regolarmente a lavorare.



MINUCCI Adalberto

Non so chi lo incoraggi, ma sta di fato che secondo le statistiche note negli Stati Uniti l'assenteismo ha un livello molto superiore a quello italiano; in Inghilterra lo stesso. E' segno che c'è un malessere nel sistema produttivo che lo genera, non qualcuno che lo incoraggia.



ZANONE Valerio

Non conosco queste statistiche e naturalmente prendo senz'altro per buono il dato; certamente bisognerebbe valutare se l'economia italiana ha gli stessi margini e quindi può consentirsi gli stessi lussi....



PRESIDENTE

Consigliere Zanone, c'é un paginone de "La Stampa" di Torino pubblicato circa un anno fa, con inchieste sull'assenteismo in tutti i Paesi del mondo, che sono abbastanza significative. Il giorno in cui si discutesse questo fenomeno sarebbe utile andare a consultare questa ricerca, che è stata fatta in maniera molto diligente.



ZANONE Valerio

La ringrazio signor Presidente, perché la mia memoria su ciò che pubblicano i giornali in genere dura all'incirca 24 ore e non sarei quindi in grado di ricordare una pagina de "La Stampa" pubblicata oltre un anno fa.



MINUCCI Adalberto

Mi permetto allora di suggerirti un'inchiesta dell'ufficio psicologico della Olivetti, che è stata pubblicata recentemente ed è molto precisa e fornisce dati raccolti in tutto il mondo.



ZANONE Valerio

Il problema è di vedere: primo, se l'economia italiana ha gli stessi margini economici dei Paesi anglosassoni; secondo, qual è la natura di questo assenteismo che, a quanto pare, nel nostro caso particolare regionale, è almeno in parte legata alla figura dell'operaio rimasto in parte anche attaccato alla terra e che in certi periodi dell'anno tende ad assentarsi per fare determinate prestazioni di carattere agricolo; ma il dato che l'azienda ha pubblicato e che naturalmente io non ho modo di controllare è che, per il complesso di questi fenomeni, nel corso del 1971 si sono prodotte 160.000 autovetture in meno di quelle che si potevano produrre e di cui era già stata programmata la vendita.
D'altra parte mi pare che sia di una certa importanza la tabella che il "Corriere della Sera" pubblica sul raffronto fra il costo delle autovetture e il costo del lavoro nel corso degli ultimi anni. Mi pare che di qui emerga un dato di molta evidenza perché se si prende a parametro il costo di una 500 acquistata senza gli sconti che sono correnti per il personale si vede che nel 1961 una Fiat 500 costava all'operaio Fiat mediamente 1241 ore di lavoro, nel 1965 879 ore, nei 1970 647 ore, nel 1971-72 595 ore.
Naturalmente, se volessimo cedere alle solite polemiche dovremmo fare un parametro con quanto costa in ore di lavoro di un operaio sovietico una macchina Fiat di Togliattigrad, ma tutto questo ci porterebbe ad un tono comiziale che forse si può anche fare a meno di usare in questa assemblea.
C'è poi, nella mozione Minucci, una valutazione di merito molto precisa, sulla destinazione del reddito derivante alla Fiat da questi aumenti di prezzo, che a detta dei presentatori della mozione non sarebbe destinato all'autofinanziamento per sviluppare il processo tecnologico, la ricerca scientifica interna all'azienda e in genere la produttività della Fiat in Italia, ma a iniziative imprenditoriali all'estero. L'esattezza di questa asserzione richiederebbe, se noi come Consiglio Regionale dovessimo farcene carico con una votazione, un'indagine preliminare molto accurata sul bilancio di questa società per vedere in quale misura i profitti della Fiat sono o non sono stati devoluti a iniziative all'estero.
A quanto pare la società ha dichiarato agli azionisti che gli investimenti all'estero in forma di partecipazione a società collegate (il costo della rete di distribuzione commerciale rientra in un altro discorso), l'iniziativa capitalistica della Fiat all'estero, cioè la partecipazione a società straniere ha valori abbastanza esigui sul complesso del bilancio aziendale, non solo, ma l'autofinanziamento è ormai chiaramente insufficiente anche a sostenere lo sviluppo aziendale all'interno, per cui il ricorso al credito assume una rilevanza sempre maggiore.
Sono questi, signori Consiglieri, alcuni elementi che non ci consentono di approvare con il nostro voto le valutazioni di merito contenute nella mozione.



PRESIDENTE

Ha chiesto d' parlare il Consigliere Conti, ne ha facoltà.



CONTI Domenico

E' un compito per me assai arduo pronunciarsi in merito alla mozione perché supporrebbe da parte mia il possesso di dati che non ho; gli unici dati disponibili sono quelli da un lato forniti dall'azienda e dall'altro forniti dal Ministero del Bilancio e della Programmazione e dal Ministero del Lavoro. Stando a questi dati, a cui è già stato fatto abbondante riferimento all'inizio, ci troviamo di fronte ad un aumento complessivo del 20 per cento realizzato in quattro volte per quanto riguarda le auto Fiat ad un aumento del costo del lavoro che ammonterebbe solo al 13 per cento e ad un aumento del 16 per cento per gli acquisti di materiali. C'è anche un altro dato, a cui si è gia riferito il Consigliere Zanone, relativo alla destinazione dei fondi di autofinanziamento che la Fiat può aver raccolto o tenterà di raccogliete in questa operazione; manca, invece, un dato di riferimento specifico, ma sta di fatto che tutto lascia sospettare che in realtà si tratti di un'operazione intesa a riconquistare il tasso di autofinanziamento preesistente all'autunno caldo. Ed è su questo punto che vorrei dire qualcosa, naturalmente non facendo una requisitoria contro una specifica azienda, ma affrontando il problema del tasso di oltre il 50 per cento dell'autofinanziamento, con delle considerazioni direi, quasi da uomo della strada.
Il tasso di autofinanziamento, superiore al 50 per cento favorisce evidentemente, un'accumulazione di ricchezza nelle mani di gruppi privati.
Quale fenomeno in sé l'operazione è tecnicamente corretta, astrattamente parlando, in realtà non può produrre dei grossi fenomeni, il primo è quello di contribuire a rendere pressoché illusoria qualsiasi programmazione perché la capacità di autodecisione di autodeterminazione sganciate da qualunque riferimento ad una politica di piano vengano favorite; esso rende impossibile tra l'altro, qualunque programmazione di politica finanziaria la quale deve essere il presupposto di una politica industriale, ma ha anche delle gravissime ripercussioni all'interno dell'azienda; là dove si punti su un forte accumulo di ricchezze e dove il progresso, aziendale vanga soprattutto considerato nei termini di un forte tasso di autofinanziamenti, va da sé che c'è il contenimento dei salari perché è un fattore di disturbo, è una resistenza alla modifica delle organizzazioni del lavoro, alle condizioni di lavoro, è un fatto naturale di questo tipo di meccanismo. Ma ciò che è ancora più grave è che rende impossibile all'azienda delle previsioni circa i fabbisogni qualitativi e quantitativi di forza lavoro, doti assolutamente indispensabili per una politica del lavoro che non sia semplicemente a rimorchio di decisioni economiche, bensì intesa a non lasciare degenerare il patrimonio delle forze di lavoro. E' un tipo di programmazione a strappi, a tempi relativamente lunghi e che non impedisce di adottare all'interno dell'azienda dei meccanismi previsionali (e quindi uno sviluppo continuo) sui quali si può basare una politica del personale che non sia soltanto di contenimento ma che sia di propulsione di amministrazione attiva del fattore lavoro. Ce ne accorgeremo per quel che riguarda le politiche del lavoro della Regione, quando dovremo per esempio fare i progetti di formazione professionale ai vari livelli, con i vari interventi e andremo alla ricerca affannosa di dati previsionali non solo a breve termine, ma possibilmente anche a medio termine; allora ci accorgeremo del peso enorme di questo sistema di finanziamento basato soprattutto sull'autofinanziamento? E' un fatto meccanico, al di là di volontà costituite, più o meno malvage e orientate in una certa direzione.
Basta andare nelle aziende per verificare, a tutti i livelli, qual è lo stato di disagio sotto il profilo mansione, rapporto di lavoro. Una delle cause principali è proprio lo sviluppo dell'azienda basato su forti tassi di autofinanziamento. Invece bisognerebbe che poco per volta ci si orientasse, visto che le aziende hanno bisogno di finanziamenti per poter procedere, verso un sistema di finanziamento basato: per un terzo sull'autofinanziamento, un terzo sul ricorso al credito e un terzo sul capitale di rischio. Ciò favorirebbe intanto il dibattito. Dovendo l'azienda in qualche modo rendere conto, per poter acquisire capitali e appoggi, anche il fatto previsionale verrebbe meglio strutturato in tutte le sue valenze e sarebbe favorito un confronto necessario per evolvere il mondo del lavoro.
Naturalmente, per ottenere questa modifica, bisogna andare più in là.
Ecco i limiti di questa mozione. Non si può soltanto richiedere che il governo intervenga per fare recedere la Fiat dall'aumento dei costi praticato; e poi come, in che modo? Non lo so. Chiedere che avvenga il deposito dei listini almeno sei o sette mesi prima che l'aumento sia praticato? Questa è una cosa da sostenersi, ma bisogna richiedere, secondo me, una politica finanziaria (perché il fenomeno Fiat si inquadra pur sempre in una situazione generale della politica finanziaria) la quale modifichi sensibilmente d'indirizzo degli investimenti, il passaggio degli investimenti di carattere speculativo agli investimenti di carattere produttivo con tutto quel minor costo e quella tempestività di erogazione che è essenziale per le aziende a qualunque condizione siano, pubblica o privata.
Una richiesta contenuta in quel modo (che tra l'altro ha valutazioni che non riuscirei a sostenere perché mi mancano dei dati per esempio circa l'indirizzo dato da questo autofinanziamento da parte della Fiat) mi sembrerebbe abbastanza utopistica e non porterebbe un sostanziale contributo ad una modifica veramente radicale che dimostra da parte del Consiglio Regionale, secondo me, una consapevolezza organica del problema nel quale si inquadra la questione degli aumenti Fiat. Va da sè che qualunque aumento, tanto più questi aumenti (chiamiamoli strategici sia per quel che riguarda il costo della vita, sia per quel che riguarda il potere esemplificativo che hanno in rapporto alla conduzione di tutte le altre aziende) non possono essere sottratti al vaglio dei pubblici poteri anzi, è necessario che questi ultimi siano in grado di farlo perché questi aumenti, che sono doppiamente strategici non soltanto per quel che si riferisce al costo della vita, ma alle dinamiche di sviluppo, al comportamento aziendale di tutte le imprese, hanno delle forti ripercussioni sulla credibilità o meno della programmazione.
Io credo quindi che questo lo si debba senz'altro auspicare ma nello stesso tempo, ripeto, occorre una modifica di tutto il sistema finanziario diversamente le nostre affermazioni rimangono puramente accademiche e di fronte alla dura realtà, ai dati che si portano, alla necessità comunque di acquisire risorse per realizzare programmi, il potere politico si piega.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Nel prendere posizione, a nome del partito repubblicano, su questa questione, non posso non ricordare le valutazioni che in sede di discussione sulla situazione economica piemontese davo, a nome del mio partito, sulla situazione industriale generale, quando rilevavo che la spirale messa in moto attraverso le rivendicazioni materiali del 1969 in sostanza ha determinato da un lato uno squilibrio nel meccanismo di crescita e di sviluppo dell'apparato produttivo che ha avuto parecchie caratteristiche, tutte concorrenti e tutte paragonabili l'una all'altra (prima fra tutte quella di ridurre le possibilità di autofinanziamento delle aziende da un livello che si aggirava, ancora nel '69, attorno al 60 per cento, a un livello che per il '71 si stima inferiore al 40%, di investimenti effettuati o programmati); dall'altro ha messo in moto un meccanismo che forse per la prima volta nel dopoguerra ha fatto sì che il tasso di incremento dei salari superasse il tasso di incremento della produttività che nel complesso il sistema produttivo garantiva. La scienza economica ci insegna che questo è il livello di guardia se non si vogliono provocare recessioni, o inflazioni, a seconda del tipo di provvedimento che si vuole prendere.
Aggiungevo anche che una spirale di questo tipo (aumento dei costi di lavoro superiore agli aumenti di produttività e aumento conseguente dei prezzi dei prodotti finiti) non si può evitare se non in un contesto di programmazione economica che, senza vincolare eccessivamente la contrattazione sindacale da un lato e le dinamiche di mercato dall'altro dia quelle che gli economisti anglosassoni chiamano le linee-guida, contro le quali si deve collocare uno sviluppo economico armonico equilibrato.
Dicevo anche (e sento la necessità di ripeterlo) che l'obiettivo delle forze di sinistra in un Paese come il nostro, in una economia di mercato non deve essere quello di mettere in discussione il meccanismo di accumulazione del capitale che attraverso l'apparato produttivo di fatto si realizza, ma quello di verificare e fare in modo che si realizzi ai saggi più alti possibili l'accumulazione di capitale e intervenire nel momento successivo, quello della localizzazione degli investimenti, della destinazione sul piano delle risorse del Paese attraverso un adeguato utilizzo degli strumenti fiscali e di tassazione, al limite anche sugli utili delle aziende e così via. E' questo il meccanismo sul quale un indirizzo di carattere democratico di una politica economica si pu obiettivamente realizzare nel senso di determinare un'inversione di tendenze sbagliate, una diminuzione di squilibri e così via. E' questo il problema di fondo che dobbiamo affrontare: il modo in cui il potere pubblico può indirizzare gli investimenti, sia dal punto di vista delle scelte con adeguati incentivi e disincentivi.
In una situazione come questa, tenuto conto di tanti fattori, cioè di una generale lievitazione dei prezzi anche delle autovetture sul mercato mondiale, della svalutazione che ha subito la moneta italiana di fatto verso le monete europee, della possibilità anche di avere in un meccanismo di questo genere un miglioramento cospicuo della bilancia dei pagamenti per il nostro Paese, tenuto conto anche della storia economica di questi ultimi due o tre anni, mi sembra che non si possa affrontare il problema in questi termini.
E ci vedo anche un'altra questione di carattere generale (sembra un'incoerenza dal punto di vista dei gruppi politici che hanno proposto la mozione): in una situazione di mercato come la nostra uno spostamento del prezzo delle auto verso l'alto rispetto ad altri generi di consumo è l'unico strumento possibile per determinare un rallentamento alla corsa agli investimenti privati verso il settore automobilistico......



RIVALTA Luigi

E' diventata una domanda rigida quella dell'automobile. E poi il tuo discorso varrebbe se l'accumulazione non fosse capitalistica.



GANDOLFI Aldo

L'accumulazione di capitali ci deve essere per realizzare delle condizioni di investimento. Ripeto, in una società come la nostra mi sembra che il problema di fondo non è quello di ridurre l'accumulazione di capitali, ma di aumentarla e di riuscire, attraverso strumenti pubblici, ad indirizzarla, in modo appropriato. A me pare che tutte le considerazioni che vengono portate contro l'autofinanziamento, e la eccessiva accumulazione di capitali siano incoerenti; il problema non è questo, ma come i mezzi pubblici possono influire, indirizzare, determinare e al limite obbligare la Fiat, una volta accumulati certi investimenti, a indirizzarli verso localizzazioni adeguate, verso investimenti approfonditi; in settori che si giudicano importanti per lo sviluppo del Paese come possono essere l'elettronica, l'aeronautica, ecc. settori nuovi.
Questo è un discorso che si può e che i poteri pubblici devono riuscire a fare nei confronti della Fiat. Oggi, dopo la storia degli scorsi anni, un intervento non collegato in un contesto di tipo completamente diverso, in un discorso di prospettiva sullo sviluppo industriale nei prossimi anni, a nome del mio partito non mi sento di condividerlo e quindi non mi sento di votarlo.



PRESIDENTE

Non essendovi altri iscritti, ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito che si è qui svolto, accomunando da un lato le valutazioni sulla situazione economica del Piemonte, quale è emersa dalle discussioni fatte nelle province con le diverse forze amministrative, politiche, sindacali e sociali e dall'altro il problema specifico dell'aumento del prezzo delle automobili, ha rivelato degli aspetti di estremo interesse sui quali è doveroso da parte mia riferire il punto di vista della Giunta ed assumere una posizione precisa.
Credo che su molte delle valutazioni che sono state fatte in questa sede vi sia un'ovvia ed eventuale concordanza: la concordanza dei dati che sono obiettivi e rivelano delle indicazioni di carattere economico che costituiscono e devono costituire necessariamente la base per una valutazione complessiva. Da questi dati, dalle diverse angolazioni politiche nelle quali siano collocati e dalle indicazioni che ne derivano si può complessivamente fare una valutazione che non sia meramente di carattere economico, ma che approdi ad un giudizio politico.
Io credo che non valga la pena intrattenerci sui dati come tali, ma valga invece la pena di evidenziare alcuni punti che riguardano più da vicino la collocazione di diverse forze politiche e il giudizio che esse danno sulla presente situazione economica della nostra Regione e più in generale sulla situazione economica italiana.
Questa mattina il Presidente del Gruppo socialista dott. Nesi ha fatto una valutazione molto interessante sulla programmazione economica del nostro Paese ed ha parlato di discrepanza, di "gap": se dessimo i dati probabilmente troveremmo che la programmazione economica così come è stata elaborata e la realtà così com'é, rivelano una discrepanza ancora maggiore di quella che il Consigliere Nesi ha sottolineato. Ma da questa discrepanza tra le previsioni della programmazione e i dati della situazione economica mi pare sia emersa una considerazione che ritengo di dover sottoporre alla vostra attenzione come uno degli elementi sui quali merita fare un discorso: si tratta della caduta della domanda interna che provoca di fatto due fenomeni che si ritenevano, nei testi classici della economia antitetici fra di loro, da un lato la stagnazione economica e dall'altro la spinta inflazionistica (fenomeno relativamente recente anche in altre economie). Ma perché è interessante sottolineare l'aspetto della caduta della domanda interna, dopo la vasta redistribuzione di reddito che nel nostro Paese si è avuta nel corso di questi ultimi tre anni e dopo una serie di interventi del potere pubblico intesi ad immettere sul mercato i grandi flussi di capitali volti a sostenere (o perlomeno con l'intenzione di sostenere) la produzione e quindi la domanda interna? Noi cogliamo nella caduta di questa ultima uno dei punti nodali della situazione economica del Paese e soprattutto arriviamo allo spartiacque, alla divisione tra le valutazioni delle forze politiche. E' un momento di estrema delicatezza: alcune forze politiche sono collocate sulle posizioni del dirigismo economico e coerentemente perseguono questo disegno, altre non si collocano in questa ottica, ma ritengono, nell'ambito di una concezione, di un economia competitiva o di un'economia di mercato, di perseguire delle politiche nuove, delle politiche cioè volte al superamento di una visione che con un certo disprezzo è anche chiamata paleocapitalista. Di qui possono scaturire le scelte che, a mio giudizio, saranno determinanti per il superamento di questa situazione: la caduta della domanda interna.
Ci era stato detto da tante forze politiche, al di là delle differenziazioni dei partiti, che una dilatazione della spesa pubblica anche in spese correnti - la politica cosiddetta di espansione del credito avrebbe esercitato un'azione sollecitatrice sull'apparato produttivo, ma scontando, in uno scossone di questo genere, una parte di tensione inflazionistica, si sarebbe comunque giunti ad incrementare gli investimenti e conseguentemente ad aumentare i posti di lavoro, ma soprattutto i redditi di lavoro, si sarebbe cioè operato sul sistema economico-produttivo del Paese creandogli motivi di espansione e dando adesso nuove prospettive. Si sosteneva questa tesi respingendo la politica volta a facilitare le esportazioni e criticando in definitiva l'espansione economica del Paese, che era stata sorretta da una forte competitività delle imprese verso l'estero e quindi da una forte domanda estera. Si era detto: occorre liberare la nostra struttura economica da questa sudditanza della domanda estera e incrementare, espandere invece la domanda interna con tutto un tipo nuovo di politica in cui non soltanto si colloca la politica dell'aumento delle retribuzioni ai diversi livelli, dell'impresa e in generale di tutto l'apparato produttivo, ma anche una maggiore capacità di collocamento della domanda interna. Dopo che questa predicazione era stata portata a tutti i livelli delle discussioni più o meno accademiche fatte sui giornali, dalle polemiche dotte e dalle dispute più o meno dotte fatte dagli economisti e dai politici, questo tipo di impostazione che erroneamente si andava contrabbandando come keinesiana (perché Keines cose del genere non ne ha mai dette in questo modo) si era giunti a renderla popolare e a portarla a livello di dogma. Ebbene, noi che in molte sedi non abbiamo mai sostenuto una tesi simile, ci sentiamo oggi dire, proprio dai fautori di questa politica che chiameremo, per brevità, espansionistica che ciò che è mancato nel sostegno dell'economia del Paese è stata la domanda interna e che sono diminuite le importazioni e aumentate troppo poco le esportazioni.
Questa mia introduzione può forse sembrare non pertinente all'oggetto ed al contenuto della discussione, ma lo è invece molto, proprio per ci che è l'economia piemontese, per come questa economia è collegata con la realtà della competitività economica e non soltanto a livello del MEC soprattutto certi settori hanno subito i contraccolpi della caduta dell'esportazione non surrogata da una espansione della domanda interna, ma aggravata dalla caduta della stessa.
Se dobbiamo fare una valutazione precisa, credo che non dobbiamo andare a ricercare le cause nell'autunno caldo né nelle battaglie sindacali le quali (l'ho detto altre volte in questa sede, lo dico in generale in molte sedi) sono quasi sempre state un elemento di sollecitazione per il rinnovamento tecnologico, per il miglioramento organizzato dell'apparato produttivo e sono state sicuramente uno degli elementi della crescita economica, non solo in Italia. E dobbiamo dire meno male che ci sono perch nei paesi dove queste rivendicazioni economiche, dove queste battaglie sindacali non esistono, abbiamo quasi sempre una descrizione di situazioni economiche abbastanza stagnanti e arretrate.
Questo non per fare una polemica sui diversi sistemi economici, ma perché credo che queste considerazioni ci possono trovare tutti quanti concordi.
Non è quindi lì dove dobbiamo andare a cercare le cause, né dobbiamo ritenere che sia nella logica del sistema produttivo contenere queste spinte, o assorbirle, o contrastarle; sappiamo tutti che, per lo meno il modo imprenditoriale più avanzato e più consapevole, quello che in realtà pesa di più, è estremamente favorevole alla politica degli alti salari nella misura in cui il sistema economico in definitiva riesce a crescere su se stesso, per cui si distribuisce di più e si colloca quindi una potenziale domanda di beni sul mercato maggiore e tale comunque da consentire una crescita dell'apparato produttivo. La politica degli alti salari è una realtà, una tendenza nel mondo occidentale, nell'economia competitiva e di mercato occidentale, si tratta di cogliere il problema nelle sue componenti essenziali, si tratta di vedere se noi intendiamo perseguire, sviluppare un tipo di economia, indirizzandola nei suoi obiettivi, scoprendo ed inventando via via gli strumenti per portarla avanti e farla crescere.
Non è quindi il caso di andare a ricercare delle colpe nell'autunno caldo e nelle battaglie sindacali. E' il caso invece, io credo, di cercarle, queste colpe di una situazione economica ristagnante e inflazionistica al tempo stesso, in una certa confusione mentale che esiste nelle forze politiche italiane e se è solo confusione mentale è superabile se invece e per caso una confusione di carattere diverso è estremamente pericolosa. Si tratta cioè di avere ben chiare le linee che si vogliono perseguire. Io devo dire che da parte di coloro che postulano un'economia dirigistica, pianificata, collettivistica, tutto è conseguente. Nelle critiche che il Gruppo comunista ha svolto qui e che sono approdate all'intervento conseguente a tutta l'impostazione, a tutte le diagnosi e a tutte le osservazioni fatte sull'economia del Piemonte, sull'economia italiana, che sono approdate alle valutazioni fatte dal collega Minucci sull'aumento dei prezzi dell'automobile della Fiat, c'è una consequenzialità che non possiamo non sottolineare, si tratta di vedere se da parte delle altre forze vi è un'analoga consequenzialità ed allora le prese di posizione in ordine a questi argomenti si chiariscono e consentono qui un dibattito che può giungere a dei risultati.
Noi non siamo dei collettivisti, noi non crediamo in un'economia dirigistica, in un'economia di totale vincolante pianificazione, noi crediamo in un'economia di mercato, in un'economia competitiva e questa è una scelta di campo che è stata fatta nel nostro Paese, che è nella Costituzione, che è nei trattati internazionali che l'Italia ha fatto collegandosi col MEC, ampliati recentemente con la partecipazione di altri Paesi a questa struttura economica. Noi dobbiamo dire se accettiamo questo tipo di scelta politica e se ne traiamo le logiche conseguenze. E' partendo di lì che possiamo fare le nostre valutazioni in ordine alle politiche aziendali, ai problemi dell'autofinanziamento, agli investimenti, alla distribuzione del reddito, alla politica degli impieghi sociali del reddito, cioè alla politica delle riforme. Ed è partendo da queste posizioni di principio che possiamo dare un giudizio coerente rispetto alla situazione dell'economia del Piemonte, alla stagnazione di taluni investimenti, alla caduta della domanda, alla crisi di taluni settori e all'espansione eventuale di altri settori; è nel quadro di questa politica che possiamo collocare la posizione dell'Ente Regione in ordine a delle iniziative volte a raggiungere certi risultati: riequilibrio a livello territoriale delle occasioni di lavoro e di investimenti, diversa distribuzione della popolazione sul territorio, diverso uso del territorio cioè tutte quelle scelte di fondo e degli strumenti necessari per perseguirle e raggiungerle.
E se partiamo da queste valutazioni ci dobbiamo collocare in una posizione diversa da quella in cui si è collocata (nei confronti del documento peraltro descrittivo, che ha presentato sommariamente sinteticamente, la Giunta anche nella considerazione che i Consiglieri dei diversi partiti hanno avuto modo di essere presenti a questi dibattiti che si sono fatti ai diversi livelli provinciali) l'opposizione che è stata fortemente critica (ma è comprensibile che sia stata critica) e che ha evidenziato quelle che dal proprio punto di vista ha considerato carenze ma è evidente che certi strumenti noi non riteniamo siano conseguenti a raggiungere determinate finalità. Ma nel momento in cui io dichiaro queste posizioni, è evidente che ho il dovere di trarre alcune considerazioni da queste valutazioni.
Noi abbiamo ormai gli ultimi dati relativi alla situazione economica nel 1971 in Piemonte e possiamo dire che se l'incremento del reddito nazionale, è contenuto in cifre al di sotto dell'1 per cento per quanto riguarda il livello nazionale, a livello regionale siamo allo zero, cioè non abbiamo avuto alcun incremento di reddito nel corso del 1971 in Piemonte. Abbiamo assistito all'entrata in crisi di settori che hanno un rilevante livello di occupazione, i contraccolpi di ciò sono sicuramente drammatici per molte famiglie alle quali la Giunta non solo esprime la propria solidarietà, ma intende dare tutto l'appoggio nei limiti peraltro modesti delle proprie possibilità, comunque con tutto l'impegno che in questa direzione è possibile dare.
Abbiamo assistito - dicevo - all'entrata in crisi di alcuni importanti settori dal punto di vista occupazionale e assistiamo al calo degli investimenti, calo che ci induce davvero a sorprenderci di fronte alla deprecazione che ieri abbiamo udito qui dal collega Furia in ordine all'aumento degli impianti della Lancia a Chivasso. Non si pu contemporaneamente deprecare che non ci sia un'intensificazione degli investimenti e quindi un incremento dell'occupazione e poi deprecare che in talune zone dove peraltro già esistono questi investimenti, si tenti di dare una maggiore regionalità, una maggiore forza all'impresa per aumentare e comunque garantire il livello di occupazione.



FURIA Giovanni

Per la verità quello che noi abbiamo chiesto è solo l'aumento degli investimenti.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Io ho ascoltato il Consigliere Furia evitando di interromperlo, anche perché penso che quando uno fa degli interventi un minimo.....



FURIA Giovanni

Altrimenti lei fa la polemica sull'equivoco!



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Se vuole interrompere parli lei, se no parlo io. Prego il Presidente di volermi garantire il diritto a non essere interrotto.



FURIA Giovanni

Lei ha interrotto chissà quante volte e ora sta sostenendo una cosa che non è esatta.



PRESIDENTE

Consigliere Furia!



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma lei ne ha sostenute tante non esatte e questo non mi ha autorizzato ad interromperla.



FURIA Giovanni

Ma lei ha interrotto, o non ha mai interrotto? Quindi non è il caso di scandalizzarsi.



PRESIDENTE

Consigliere Furia, non facciamo un dibattito sulla teoria dell'interruzione! Prosegua dr. Calleri.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Noi sentiamo la necessità dell'incremento di questi investimenti e ci rendiamo conto che determinati settori sono entrati in una crisi che non è di carattere meramente congiunturale o aziendale, dovuta cioè a difetti di conduzione relativi a una determinata azienda, ma che investe il settore produttivo (che peraltro ha già avuto, nelle economie più avanzate, degli esempi molto vistosi). Si tratta ad esempio della crisi del settore tessile, sulla quale credo che ormai tutti siano sufficientemente edotti e le varie valutazioni che sono state fatte consentono di comprendere con molta chiarezza quali sono gli elementi di carattere strutturale che la caratterizzano; la crisi di altri settori produttivi, tutti quanti insieme hanno poi concorso a determinare questa situazione specifica in Piemonte nel corso del 1971.
Ma non èe su questi dati che dobbiamo dare un giudizio, dobbiamo semplicemente richiamare le forze politiche che hanno la responsabilità di governo, ad una valutazione di chiarezza, in ordine alle linee di una politica economica che non può contemporaneamente - senza recare dei gravi danni all'apparato produttivo - collocarsi nella logica in alternativa (ma non un'alternativa assoluta, bensì temporale, cioè con decisioni a volta a volta difformi) da un lato dirigistica e dall'altro di economia di mercato.
Finché facciamo delle scelte di questo genere è evidente che non poniamo alcuno degli elementi necessari per un rilancio della situazione economica ma la deterioriamo e deterioriamo altresì il quadro politico nel quale si svolge la vita economica del Paese.
Io credo che sia questa valutazione di carattere politico quella che in definitiva, interessa oggi sottolineare, partendo dalla quale occorre formulare delle proposte in ordine alle scelte da perseguire, per vedere nei limiti delle possibilità che la Regione ha (che sono possibilità di indicazione, allo stato attuale delle cose, di strumenti sia a livello regionale che a livello nazionale) di cercare di superare questa situazione che è indubbiamente di stagnazione, di flessione, con tutte le spinte inflazionistiche che l'accompagnano e quindi con tutta la pericolosità di queste spinte che rischiano veramente di avvitarsi e di dare origine ad una spirale che può creare ulteriori sconquassi nel nostro sistema produttivo.
Sono indicazioni che riguardano il sistema industriale e soprattutto quello delle piccole e medie aziende. Io vorrei ricordare ai colleghi come sul piano occupazionale le piccole e medie aziende industriali in Piemonte diano lavoro ad oltre il 70 per cento della manodopera, recando quindi un contributo larghissimo al mantenimento del livello occupazionale, e come sia estremamente importante che queste industrie possano mantenere la propria competitività sul mercato e conseguentemente produrre a pieno ritmo creandosi delle condizioni di rafforzamento, di superamento di crisi finanziarie.
E' certo che se non ci rendiamo conto che una delle debolezze della struttura delle piccole e medie aziende è la relativa modestia del capitale di rischio che esse hanno a disposizione e l'eccessivo indebitamento che per fronteggiare gli investimenti e la loro espansione industriale hanno dovuto affrontare, se non ci rendiamo conto che è questa, in generale, la loro caratteristica facciamo un discorso sbagliato sulla necessità dell'autofinanziamento, facciamo cioè un discorso che può anche, in qualche caso, in qualche periodo, essere esatto per altre aziende, ma che non è certamente giusto per quanto riguarda le piccole e medie imprese.
L'accumulazione di capitale nelle piccole e medie aziende è essenziale e quelle che si sono trovate indebolite nel loro processo di espansione anche per la politica che i grossi gruppi industriali hanno fatto, hanno dovuto superare notevoli difficoltà, non avendo alle spalle una struttura finanziaria sufficientemente forte, con uno squilibrio accentuato da difficoltà di collocazione del loro prodotto sul mercato, si sono trovate nella triste condizione di dover chiudere i battenti e licenziare la manodopera impiegata. Allora, nei confronti di queste aziende, io chiedo se non dobbiamo porci seriamente il problema (al di là degli interventi che vedremo di poter in questa elaborare) di sollecitare da parte dell'autorità di governo la presa in considerazione della fiscalizzazione degli oneri sociali ai quali queste aziende sono sottoposte, proprio per dare loro una possibilità di autofinanziamento e quindi di superamento della crisi nella quale si dibattono. Questa fiscalizzazione io credo vada vista selettivamente, perché non tutti i settori in cui operano le piccole e medie aziende si trovano nelle stesse condizioni, per dare l'avvio ad una politica di questo genere anche in considerazione del fatto che troppo spesso si dimentica (e io invece credo vada ricordato) del come siano estremamente costosi gli oneri sociali nel nostro Paese, del come incidano sui costi aziendali e anche sui salari dei lavoratori. E quando si parla di rendite parassitarie non sarebbe male parlare qualche volta anche dell'enorme rendita parassitaria che va ai vari enti che questi fondi percepiscono dalle imprese e che decurtano in modo non irrilevante il salario dei lavoratori. Quando si richiede una riforma in questa direzione e si trovano anche interessi costituiti contrari alla riforma, dovremmo anche dire come la Regione Piemonte non sia concorde su certe prese di posizioni e su certe resistenze che vengono, non certamente da parte delle forze politiche, rispetto alla modificazione di questo tipo di esazione degli oneri sociali. Io credo che una politica selettiva di fiscalizzazione in questo momento possa essere un provvedimento di carattere congiunturale volto a consentire una ripresa, soprattutto, per quanto riguarda taluni settori e talune zone dell'economia del nostro Piemonte.
Indubbiamente questo è uno strumento che non possiamo mettere noi in movimento, ma ce ne sono altri che la Regione può mettere in movimento. Qui si è parlato e da molto tempo, della Finanziaria pubblica regionale. Io credo che se interpretiamo la Finanziaria pubblica come un'integrazione regionale della Gepi la facciamo nascere male, con delle enormi difficoltà in partenza e non risolviamo sicuramente il problema di garantire il livello di occupazione. Io penso piuttosto (lo stiamo elaborando, non senza difficoltà, proprio per gli aspetti tecnici) che la Finanziaria possa avviare un processo di investimenti con garanzie alle società che fanno il "leasing" industriale, o società che fanno il "leasing" immobiliare garantendo un fondo di credito alle piccole e medie aziende. Si tratta di un problema che la Giunta ha posto allo studio e che ritiene di poter varare non appena ne abbia definiti gli aspetti di carattere tecnico che devo qui confermare, sono delicati e difficili anche in relazione al costo che operazioni di questo tipo comportano per i percettori di reddito, per coloro che richiedono l'utilizzazione di questo tipo di sostegno alla Regione, agli enti pubblici.
Questo per quanto riguarda gli interventi che la Regione può avviare.
Il collega Viglione ha chiesto se crediamo (avendone parlato) in un tipo di programmazione contrattata. Io ribadisco che noi crediamo che questo sia in un sistema economico di mercato, l'unico tipo di programmazione che consenta di indirizzare una politica degli investimenti secondo delle convenienze pubbliche, senza peraltro disattendere alla competitività delle imprese e al pluralismo dei centri decisionali economici. Noi crediamo quindi che per superare la congiuntura economica del '71 e quella che si presenta (ormai siamo all'inizio del secondo mese del 1972) che nelle valutazioni dei più non appare una congiuntura economica favorevole o comunque destinata a creare una forte espansione nel nostro sistema economico, la programmazione contrattata possa recare un sollievo soprattutto con la creazione di poli di localizzazione; il fatto che la Regione, gli enti pubblici si possano preoccupare di garantire alle localizzazioni industriali attrezzate che rispondano ad una visione di utilizzazione del territorio, è uno stimolo psicologico anche per coloro che vogliono intensificare la propria attività economica e che non hanno sostegni sufficienti sul piano economico, sul piano creditizio e si trovano in una difficoltà anche psicologica per avviare un processo di investimento, di intensificazione della produzione.
Nel settore industriale credo che al di là di questo sia difficile un intervento della Regione che possa approdare a dei risultati positivi salvo interventi di carattere episodico che vengono a seguito di situazioni particolari. Uno di questi interventi è stato quello operato nei confronti della Magnadyne e che ha approdato a risultati positivi per il preciso intervento di enti e banche piemontesi e nazionali e che adesso è stato finalmente risolto in termini definitivi con l'ingresso maggioritario della GEPI e con il presumibile sviluppo di una totale assunzione da parte della GEPI non soltanto della Magnadyne, ma di talune aziende che operano nel settore.
Altri interventi riguardano le situazioni, direi, di maggior tensione in questo momento: alla Leumann - l'Assessore Visone, a nome della Giunta è intervenuto presso il Ministero delle Partecipazioni statali, avviando anche in questa direzione un processo di studio e di approfondimento da parte delle Partecipazioni statali stesse, con l'impegno di valutare la possibilità di un intervento volto a garantire il livello di occupazione e comunque a porre questo problema come uno dei problemi del riassetto del settore tessile -, alla Caesar, alla Sobrero e ad altre aziende per le quali si è intervenuti. La Regione in casi del genere non può apportare che il proprio contributo di pressione, e di sostegno; non ha, evidentemente propri strumenti di intervento.
Relativamente agli altri settori, sono state date alcune indicazioni che io ritengo di dover riprendere in quanto indubbiamente interessanti rispetto alle quali è chiaro che la Giunta non ha alcuna difficoltà a prendere posizione. Si è parlato di interventi nel settore agricolo, si è parlato di interventi nel settore distributivo. In ordine a questi problemi, anche noi sottolineiamo con chiarezza la contraddittorietà del fatto che proprio coloro che andavano parlando di una espansione del credito, di una possibilità di sostenere la domanda, trovandosi ad essere presenti nei gangli economici nazionali e nei diversi ministeri che questo tipo di politica sono in condizioni di promuovere, non hanno saputo passare dalle parole ai fatti. E' una realtà che nel momento in cui non si parlava tanto di politica di espansione sono stati fatti adeguati finanziamenti a sostegno dell'agricoltura, e i Piani verdi, pur con tutte le loro carenze ed insufficienze, sono stati sempre, comunque, sovvenzionati e finanziati nei due anni da quando si parla con tanta insistenza di espansione della spesa pubblica, e quindi di sostegno degli investimenti, si è fatto il decretone, si sono mobilitate notevoli risorse, vedi caso, purtroppo, per quanto riguarda il settore agricolo, i finanziamenti per le diverse voci che erano state indicate nel Piano verde sono stati estremamente modesti e in taluni casi del tutto inesistenti. E' mancata la capacità, ma più che altro sono mancati i soldi, così come sono mancati per altri investimenti.
Si dice di mobilitare la spesa pubblica. Ma è stato stamattina ricordato giustamente peraltro, come ad esempio siano stati prelevati dal mercato nel 1971 ben 5.000 miliardi, destinati in gran parte a sopperire alle esigenze del bilancio nazionale, del bilancio dello Stato e ad investimenti di enti pubblici; 5.000 miliardi sono ben il doppio di quanto era stato possibile prelevare sul mercato finanziario nel corso del 1970. Si è cioè dato un grosso scossone dal punto di vista inflazionistico, e questo è anche uno di quegli elementi di valutazione che occorrerebbe tener presenti quando si fanno valutazioni sulla capacità di spesa dell'apparato statale. E dovrebbe anche indurci ad attenta riflessione prima di sostenere l'opportunità di utilizzare sollecitamente cosiddetti "residui passivi". Sappiamo tutti che si tratta di residui passivi che figurano solo sulla carta, cioè di stanziamenti fatti ma non finanziati. Per realizzare questi stanziamenti occorrerebbe prelevare dal mercato le risorse finanziarie, che non ci sono.
Non si tratta, cioè di utilizzare delle risorse esistenti: si tratta, in questo caso, tranne che per talune voci e taluni, fondi del barile, come si suol dire, di denari che non esistono, di stanziamenti che sono stati messi in conto ma che le condizioni obiettive del mercato finanziario non hanno consentito di finanziare con un prelievo su di esso.
Ecco allora che ha motivo di essere la preoccupazione relativa a certe modalità di spesa e a certi canoni di gestione del bilancio dello Stato così come la preoccupazione per gli indebitamenti che con troppa facilità direi quasi con un ricorso ormai normale, si fanno per coprire spese correnti. E' normalmente un grossolano errore di carattere finanziario quello di finanziare - fatte le debite eccezioni, che pure ci possono essere per fronteggiare situazioni di carattere eccezionale - con mutui, o comunque con prestiti a medio e lungo termine, delle spese correnti. Questa è obiettivamente una delle operazioni che appesantiscono di più la capacità, direi la stessa produttività, dell'apparato statuale.
Per ritornare al sistema agricolo, anche qui assistiamo ad una notevole caduta degli investimenti, determinata proprio dalla non copertura di quegli stanziamenti, che lo Stato avrebbe dovuto fare per agevolare il credito e quindi per permettere alla piccola impresa coltivatrice o alla cooperazione l'accesso al credito. Così, quando parliamo della situazione cooperativistica, o delle Cantine - perché si è fatto anche un riferimento alla viticoltura - dobbiamo dire con chiarezza che è necessario un preciso intervento dello Stato per un risanamento di certe situazioni di sbilancio di squilibrio economico di queste Cantine, per la costituzione di un adeguato capitale, che consenta a tali cooperative di non essere esposte dal punto di vista creditizio, e quindi di non esporre la propria produzione ad oneri per il pagamento di interessi e quindi ad un aggravamento delle spese.
Noi dobbiamo sollecitare un'azione dello Stato che consenta di dare a queste strutture cooperativistiche un adeguato capitale, un fondo di dotazione che consenta loro di poter muovere senza dover pagare degli interessi passivi e quindi senza dover, evidentemente, appesantire il costo della loro produzione e quindi i loro bilanci. Quanta parte delle difficoltà di queste cooperative, di queste Cantine sociali nascono esclusivamente dalla quantità di oneri passivi che esse nel corso degli anni hanno accumulato e che gravano pesantemente sui loro bilanci e creano oltretutto una pericolosa situazione di sfiducia nella cooperazione in quelle zone dove queste cantine sono state costruite! Si è poi parlato del sistema distributivo. Se noi facessimo una statistica del rapporto fra popolazione e punti di vendita troveremmo che in Piemonte siamo in una situazione non certamente brillante, la quale nasconde - tra l'altro nasconde male - un vero e proprio fenomeno di sottoccupazione che non può non preoccuparci. Ma bisogna anche prendere misure conseguenti in questa direzione. Non c'è dubbio che in Italia, e in Piemonte in modo particolare, lo sviluppo si è indirizzato in modo particolare ed abnorme - l'abbiamo già detto altre volte e lo ribadiamo qui anche per una certa scelta, che probabilmente è stata una scelta necessaria, e sicuramente anche incentivata dalla politica di unificazione dei mercati, dalla quale indubbiamente il nostro Paese ha ritratto e ritrarrà una notevole spinta al proprio sviluppo, verso il settore industriale. Credo che se un salto di qualità andrà fatto debba esserlo nella direzione di un rafforzamento, anzi di uno sviluppo, del settore terziario, cioè anche nel settore distributivo, che grava oggi pesantemente sulle stesse strutture produttive e non consente loro probabilmente, di svilupparsi secondo una logica di produzione, una logica di divisione di settori, provocando certamente anche delle crisi produttive a livello aziendale.
Ma bisognerà anche qui essere molto coerenti nelle scelte che si dovranno fare, o in Piemonte queste scelte non saranno delle scelte facili: e per il peso che in Piemonte ha l'apparato produttivo industriale (siamo nella Regione più industrializzata d'Italia), e per le resistenze evidenti dell'apparato distributivo esistente, e per la politica di localizzazione e per le difficoltà che la stessa distribuzione territoriale di questi investimenti per il settore distributivo indurranno. Credo saranno questi i problemi su cui dovremo misurarci e rispetto ai quali non crediamo oggi, in carenza di più precise determinazioni dal punto di vista della programmazione regionale, di prendere posizioni precise e definite. E' chiaro che tutto questo andrà visto nel quadro della programmazione regionale, e quindi solo in quella sede, discutendo di queste cose, credo che potremo assumere posizioni definitive.
Su un ultimo punto ritengo di dovermi soffermare: la crisi nel settore edilizio. Credo che nessuno di noi possegga la chiave per risolvere il problema. Non vi è dubbio, comunque, che ci troviamo in una situazione di particolare difficoltà, che dobbiamo adoperarci per correggere, mobilitando tutti gli strumenti che anche con la recente legge sulla casa sono stati messi a disposizione, per poter quanto meno incrementare quella parte di investimenti nel settore che si rifà all'ente pubblico, atteso che l'industria privata attraversa un momento di crisi che trova le sue motivazioni anche nella necessità, indubbiamente valida, rispetto alla quale credo che nessuno di noi possa coscientemente prendere una posizione di critica, di una migliore regolamentazione urbanistica. Dal momento però, che per soddisfare questa necessità, che è una scelta politica, noi dobbiamo contenere necessariamente lo sviluppo delle industrie private nel settore edilizio, facciamo per lo meno ogni sforzo affinché la parte pubblica del settore edilizio venga mobilitata e sopperisca nella misura in cui lo può alla flessione degli investimenti del settore privato.
Queste sono le considerazioni che dal punto di vista generale mi pare si possano fare in ordine ai problemi di più immediato interesse, per mantenere possibilmente in tutti questi settori il livello di occupazione anzi, per incrementarlo. Ma investono in definitiva, per gran parte decisioni che non dipendono da scelte della Regione, per le quali per credo che la Regione possa porsi come interlocutore valido a livello dei pubblici poteri, a livello dei poteri dello Stato, sollecitando appunto questo tipo di interventi che io ritengo possano anche a breve termine indurre sul piano economico e sul piano psicologico degli elementi positivi di ripresa. Certo, lo ribadisco, nel quadro di una valutazione economica che trovi le forze politiche di Governo concordi: perché è chiaro che se le forze politiche di Governo non sono concordi il quadro è inevitabilmente deteriorato e le scelte che si fanno sono incoerenti e contrastanti, e quindi destinate a non approdare ad alcun risultato positivo.
Si colloca anche qui, in questa visione di carattere economico, il discorso che è stato in ordine all'aumento dei prezzi da parte della Fiat.
Le valutazioni finali che ha fatto il collega Conti sono, a mio parere condivisibili. Riesce comunque difficile, in carenza di dati più precisi assumere posizioni in ordine alla validità o meno delle ragioni per cui questo aumento è stato fatto. Io credo che nel quadro di una politica economica che nella programmazione contrattata e negli strumenti che sono molto spesso non solo da scoprire ma anche da realizzare debba collocarsi la logica dello sviluppo economico, cioè la differenziazione dal modello spontaneo precedente ad un modello di maggiore guida degli obiettivi della politica economica, di una diversa distribuzione delle risorse tra impieghi direttamente produttivi ed impieghi sociali. Ma penso che debba esistere nell'ambito di questa logica di modello economico, uno spazio di libertà decisionale a livello delle imprese. Se è cosi, il problema di un controllo da parte del Comitato interministeriale dei prezzi non può correttamente collocarsi se non nella proposta che a livello di Governo il Ministro dell'Industria ha fatto: quello, cioè, del deposito del listino prezzi e conseguentemente della possibilità di intervento dello Stato secondo una normativa che sia ormai evidentemente non solo più una normativa decisa a livello nazionale. La nostra economia, e soprattutto il settore automobilistico, è inserita in un contesto di carattere internazionale e quindi dobbiamo anche noi tendere, dal punto di vista degli accordi a livello internazionale, a che vi sia una regolamentazione comune, al fine di evitare di porre le imprese italiane - soprattutto da parte italiana in condizioni di inferiorità o di difformità dalla situazione in cui si trovano le concorrenti imprese straniere; altrimenti, è evidente che creeremmo delle condizioni preliminari di difficoltà per l'operatività di queste nostre imprese.
Ciò che noi dobbiamo chiedere e allora sicuramente una normativa rispetto a questo tipo di libertà che è data alla dirigenza delle aziende ma collocandola in un quadro che ponga le aziende quanto meno del Mercato Comune Europeo sotto uno stesso tipo di normativa, secondo linee, indirizzi che siano comuni ai Governi interessati.
Collocato il problema di questa logica, io credo che sia corretto prendere una posizione, che allora non è una posizione nei confronti di questo o di quell'altro aumento. Io non capisco bene, infatti, perché sia sbagliato questo aumento e non lo sia stato l'aumento precedente, quale sia la differenza di motivazioni. Io credo che se c'è una logica nell'attività nelle scelte che queste aziende fanno, è evidentemente una logica che risponde a certe esigenze. E' chiaro che un aumento di prezzi crea sul mercato una maggiore difficoltà di collocazione, e dobbiamo tener presente che, per esempio, nel settore automobilistico i grossi tassi di incremento degli anni scorsi vanno via via riducendosi, per evidenti ragioni di saturazione di mercato. Ma se questa logica c'è, a me pare evidente che essa debba essere ricondotta ad un indirizzo di carattere comunitario, nel quale i Governi assumano le loro precise posizioni in ordine alla politica dei prezzi fatta dalle aziende, valutando le possibilità di autofinanziamento che questi prezzi comportano, valutando il tipo di politica salariale che viene fatto a livello dei diversi Paesi, il tipo di peso che deriva ai costi di produzione dai prelievi di carattere fiscale e dai prelievi di carattere sociale. In questo quadro è corretto un tipo di controllo; altrimenti, è un tipo di controllo che discende da una visione pianificata collettivistica dirigistica dell'economia, e precisamente da una visione che, come forze politiche, noi non riteniamo di poter condividere rispetto alla quale siamo in contrapposizione.
Noi crediamo di avere, con la presentazione di questo documento, posto come base di discussione, dato un quadro abbastanza realistico ed obiettivo della situazione in Piemonte. Abbiamo indicato taluni interventi, altre proposte sono state esplicitate dai diversi componenti la Giunta nelle loro repliche, alle quali io mi sono accodato con questa risposta. Crediamo di avere comunque portato alcuni elementi di valutazione all'attenzione del Consiglio Regionale.
Questo dibattito è stato estremamente interessante, sia per le indicazioni che dal dibattito stesso sono emerse, sia per il confronto fra le diverse posizioni che a livello del Consiglio Regionale le forze politiche hanno assunto e costituirà sicuramente un elemento di grande stimolo per l'elaborazione e l'affinamento di quelle scelte di interventi che quando la Regione avrà acquisito effettivi poteri di amministrazione e di legislazione potranno essere avviati da questo Consiglio e dalla Giunta Regionale.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Le chiederei di sospendere la seduta, per poter consultare il Gruppo anche sul modo di concludere questo dibattito.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Giunta delle Elezioni: Presidenza e Segreteria


PRESIDENTE

Prima di sospendere la seduta, desidero comunicare che la Giunta delle Elezioni ha tenuto riunione questa mattina ed ha eletto a proprio Presidente il collega Mario Giovana ed a proprio Segretario il collega Rossotto. La seduta è sospesa. Pregherei di ridurre la sospensione al minimo possibile.



(La seduta, sospesa alle ore 18,45, riprende alle ore 19,40)


Argomento: Enti strumentali

Stato dell'Ires


PRESIDENTE

La seduta è ripresa.
E' stata preannunciata la presentazione di documenti per quel che riguarda la conclusione della discussione del punto 3 dell'ordine del giorno. Siccome non sono ancora pervenuti, ritengo sia opportuno proseguire intanto i nostri lavori con l'esame del punto successivo all'ordine del giorno per concludere poi sul punto 3, in modo da lasciare margine di tempo per la stesura definitiva di questi documenti. Non vi sono obiezioni? Passiamo allora al punto quarto dell'o.d.g. "Statuto dell'Ires".
Il Consigliere Garabello, relatore, ha facoltà di illustrare, se lo ritiene, in termini succinti, oralmente, la sua relazione scritta.



GARABELLO Enzo, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, la mia esposizione orale sarà ancor più concisa della già stringata e telegrafica relazione scritta, e mirerà essenzialmente a mettere in evidenza gli elementi di fondo che sono scaturiti dalla discussione nelle Commissioni e ad informare il Consiglio sullo svolgimento che ha avuto il nostro lavoro, piuttosto insolito dal punto di vista procedurale.
La Presidenza di questa Assemblea aveva assegnato l'esame del provvedimento alle Commissioni VIII e I. Fra le due Commissioni è intervenuta un'intesa per un lavoro comune: si è pertanto formato di fatto un Comitato di approfondimento per la preparazione del testo della relazione, di cui facevano parte, per la Commissione VIII, i colleghi Sanlorenzo, Berti e Zanone, per la Commissione I i colleghi Nesi, Giovana Curci e chi vi parla con incarico di presiedere e di relazionare. Questo Comitato ha tenuto numeroso riunioni, e di frequente si sono riunite insieme anche le due Commissioni; si è proceduto ad alcune consultazioni limitate numericamente ma significative, con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, con gli Enti locali partecipanti all'Ires nonché con la Direzione dell'Istituto. La Giunta ha dato un contributo valido, sia con la presenza dell'Assessore Paganelli, sia, specialmente nella fase finale, con la presenza del Presidente della Giunta, Calleri. Ritengo mio dovere accomunare tutti nel ringraziamento per il lavoro svolto.
Rispetto all'impostazione iniziale sono state portate alcune modifiche di rilievo, che meriterebbero un approfondimento maggiore di quello che io posso fare in questo momento. Necessariamente sintetizzando, dir semplicemente che, rispetto agli scopi dell'Istituto, è stata mantenuta la stessa linea della proposta presentata dalla Giunta, con alcune modifiche di natura formale e con una che ha un significato abbastanza sostanziale relativamente alla possibilità prevista dallo Statuto per le organizzazioni sindacali sociali e di categoria di proporre lo svolgimento di studi e di inchieste di interesse regionale.
Il secondo punto su cui telegraficamente riferisco è la composizione degli organi. Dopo lungo dibattito le Commissioni hanno ritenuto essere indispensabile per l'Istituto avere un'amministrazione con un forte contenuto politico, anche in questo modo consentendo alla Regione ed agli Enti locali partecipanti, forse, in un certo senso, di ridurre i dibattiti di natura tecnico-programmatica al proprio interno per limitarsi ai grossi discorsi di scelta politica, trasferendo all'interno del Consiglio d'amministrazione dell'Ires il dibattito di natura più strettamente tecnica scientifica. Evidentemente, è essenziale, per ottenere un risultato di questo genere, l'equilibrio politico di questo organo, il Consiglio d'amministrazione. Ed allora si è scelta la strada di comporlo secondo due direttive: da un lato, assicurando al massimo il rispetto della proporzionalità delle forze politiche esistenti nel Consiglio Regionale dall'altro favorendo il massimo di partecipazione qualificata da parte dei singoli enti partecipanti, e indicando come motivo dominante della loro partecipazione la non limitazione ad una rappresentanza diretta di livello ma anche la possibilità di introdurre all'interno del Consiglio d'amministrazione le rappresentanze dei Comuni, cioè degli Enti locali territoriali minori rispetto al livello degli enti partecipanti, aprendo altresì la prospettiva, in questo modo, di una partecipazione anche dei comprensori il giorno in cui la legge li abbia definiti. L'intento delle Commissioni è stato dunque quello di avere, nel Consiglio d'amministrazione, attraverso la sua formulazione, un organo fortemente partecipato e delle forze politiche in quanto tali e degli enti che concorrono alla fondazione, allo sviluppo e all'utilizzazione dell'Istituto.
La partecipazione trova poi un suo spazio, come si diceva, nella possibilità di proposta di inchieste e studi da parte delle organizzazioni sindacali sociali di categoria, ed inoltre nella richiamata necessità che ai dipendenti dell'ente sia consentito un tipo di rapporto fortemente partecipato nell'impostazione e nella conduzione di studi e ricerche.
Evidentemente, molto importante, anche in base alle richieste che sono venute dalle organizzazioni sindacali, sarà la politica di informazione che l'Istituto dovrà curare nello spirito dello Statuto regionale. Come prima realizzazione di questo spirito, è previsto che il regolamento dell'Istituto dia apertura e concreta attuazione alla possibilità di accesso al dato da parte dei Consiglieri regionali, ed eventualmente consideri la possibilità dell'accesso al dato anche da parte degli amministratori degli altri Enti locali. Inoltre, pare necessario che l'Istituto svolga una politica d'informazione anche all'esterno degli enti partecipanti, soprattutto in quanto i sindacati dei lavoratori hanno chiesto il massimo di informazioni sugli studi e le ricerche che l'Istituto ha in corso: probabilmente occorrerà, pertanto, un organo, sia pur modesto di informazione esterna. Nell'ambito dell'informazione ha un suo posto anche la relazione annuale che si è deciso che l'Istituto debba approntare e che verrà inviata a tutti gli enti partecipanti.
Un terzo aspetto che ritengo di dover mettere in rilievo e quello finanziario. Lo Statuto ha previsto per l'aspetto della conduzione finanziaria dell'Istituto elementi piuttosto essenziali, senza scendere ad una specificazione molto dettagliata, non discostandosi quindi da un'impostazione che è stata collaudata in questi anni in cui l'Ires ha già funzionato, diciamo così, in una visione regionale, ma a servizio diretto delle amministrazioni locali e provinciali. Quindi, si afferma che il Consiglio d'amministrazione deve presentare un bilancio preventivo e inoltre proporre i provvedimenti finanziari con cui gli enti partecipanti partecipano alla copertura delle spese per il funzionamento dell'Istituto.
Questo è l'elemento di base per il funzionamento dell'Istituto, che inoltre dovrà trovare ulteriore ampliamento e concretizzazione nel momento in cui l'Istituto assumerà studi e ricerche per conto di enti partecipanti o comunque degli enti previsti dall'art. 1 e quindi riceverà dei pagamenti in contropartita del suo lavoro.
E' evidente, ed è stato rilevato anche dalla direzione dell'Istituto che la costituzione dell'Ente Regione ha non tanto ridotto l'interesse degli Enti locali per l'Ires e per le sue attività quanto creato un periodo ed una fase di attesa di quello che sarà il concreto apporto che la Regione dovrà dare all'attività e al funzionamento dell'Istituto. Non va dimenticato che la Provincia di Torino, nell'iniziale delibera con cui passava alla Regione la competenza di formulare il nuovo Statuto dell'Ires richiedeva alla stessa - e quindi quella deliberazione come tale non aveva valore formale - di impegnarsi per una determinata parte del bilancio annuale dell'Istituto. Sarà più o meno esatto dal punto di vista formale però certamente indica una tendenza che dev'essere anche rispettata. E ci è stato appunto comunicato che, specialmente negli ultimi tempi, l'afflusso dei fondi da parte degli Enti che concorrevano al finanziamento dell'Ires nella precedente formulazione ha subito un certo rallentamento, una certa vischiosità, proprio nell'attesa che la Regione definisca meglio il suo apporto. Pertanto, mentre da un lato è necessario incoraggiare lo stabilirsi di legami sempre più stretti fra gli Enti locali partecipanti direttamente o indirettamente, alla vita dell'Istituto, e l'Istituto stesso, affinché attraverso anche questi vincoli vi sia la possibilità di mandare avanti una volontà politica unitaria di programmazione, occorrerà che la Regione dimostri concretamente di voler sostenere dal punto di vista finanziario l'Istituto, affinché i già striminziti, quando non deficitari bilanci di amministrazioni provinciali e comunali non siano gravati in maniera eccessiva. Auspichiamo, cioè, che la Regione si assuma tutte le sue responsabilità di capofila nella guida dell'Ires.
Alcuni problemi rimangono aperti a proposito dell'Ires. Ci siamo resi conto, ad esempio, che per far sì che la guida politica dell'Istituto risulti il più strettamente possibile coerente con le linee politiche che definirà la Regione, che definiranno i singoli Enti locali, è molto importante la composizione del Consiglio di amministrazione. Noi riteniamo che il caso ideale si avrebbe nel momento in cui la massima parte degli amministratori dell'Istituto fossero amministratori eletti facenti parte di Assemblee Regionali, Comunali, Provinciali: in tal modo, la continuità dell'azione politica, delle visioni di programmazione che gli Enti locali hanno, verrebbe rappresentata direttamente, in prima persona, dai responsabili degli Enti stessi.
Naturalmente, questo ci ha fatto sorgere dei dubbi dal punto di vista giuridico sulla possibilità di vincolare strettamente la scelta dei Consiglieri di amministrazione dell'Istituto alla qualità di membri eletti di assemblee, legislative o amministrative. Il problema è rimasto, così, a mezz'aria. Secondo noi, dev'essere approfondito, dev'essere chiarito: e per far questo, specialmente nel dibattito che si è avuto ieri sera a conclusione dei lavori della Commissione, si è ritenuto che un approfondimento di natura strettamente giuridica, naturalmente con le conseguenze di carattere politico, amministrativo e pratico che comporta debba essere ancora portato avanti, pur mentre l'Istituto funziona, per un tentativo di definizione degli aspetti giuridici dell'Istituto stesso, che lo Statuto non precisa in maniera formale. Da questo Statuto l'Ires risulta di fatto come una associazione fra Enti locali e la Regione per svolgere determinati compiti: un approfondimento in termini giuridici di quella che può essere la natura dell'Istituto si dovrà fare (sono state ventilate diverse ipotesi, dalla società per azioni di cui alcuni Enti locali dispongono, come nel caso del Comune di Torino, al Consorzio, ad un Ente collaterale delle Amministrazioni che, senza scopo di lucro, abbia il compito di fornire dei servizi agli Enti che lo determinano): dovrebbe consentirci di facilitare la definizione, soprattutto in rapporto all'aspetto pratico che abbiamo rispetto alla compatibilità o meno della presenza di amministratori eletti nell'ambito del Consiglio d'amministrazione.
Il problema è aperto. Noi riteniamo comunque che fosse necessario, a questo punto - in questo Giunta e Commissioni sono state perfettamente d'accordo -, dare all'Ires una Magna Carta perché possa funzionare, possa produrre nell'interesse degli Enti che lo costituiscono. Per questo motivo anche per consentire un ulteriore approfondimento degli aspetti giuridici e quindi riservandoci eventuali ulteriori provvedimenti futuri, si è ritenuto di non dare il significato e la forma giuridica di legge al provvedimento con cui si approva lo Statuto; questo è stato formalmente per così dire, declassato al livello di deliberazione, che è certamente molto più manovrabile e meno impegnativa soprattutto per le conseguenze che può determinare.
La mia esposizione è conclusa. Avrei certo potuto dire di più. Qualcun altro potrà, intervenendo nella discussione, supplire alle mie eventuali dimenticanze. Comunque, il lavoro condotto avanti dalle Commissioni è stato complesso, difficile, anche abbastanza articolato, per l'accavallarsi sull'esame di avvenimenti. Riteniamo però che, approvando questa deliberazione, il Consiglio Regionale, oltre a definire la posizione di un Istituto che è a nostra disposizione, al servizio nostro e degli Enti locali, faccia un'affermazione di volontà politica, cioè che per poter camminare, come dice lo Statuto, in una linea di programmazione dei nostri interventi occorre disporre anche di qualcuno - e l'abbiamo visto anche nelle discussioni di oggi - che ci fornisca dati, prospettive, termini tecnici che ci consentano di procedere ad esami e di prendere decisioni di natura politica non dubbie o discutibili. Ciascuna decisione vale per quello che comporta di impegno e di operatività: se il punto di partenza sul dato, sull'esame obiettivo della situazione è definito, è concordato, è chiaro, in termini scientifici, tali da toglierci i dubbi, certamente il nostro lavoro sarà più proficuo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Ho pochissimo da aggiungere come relatore incaricato dall'VIII Commissione a quanto già detto dal relatore della I Commissione Consigliere Garabello.
Dirò qualcosa, invece, per motivare il voto favorevole che il Gruppo comunista darà a questo progetto di deliberazione presentato in aula dalle due Commissioni. Noi voteremo a favore per tre motivi: perché questo progetto risponde alle indicazioni critiche di fondo che il nostro Gruppo aveva avanzato sin dalla presentazione del primo progetto della Giunta perché con questa deliberazione la Regione Piemonte dà vita ad un organismo che deve diventare strumento al servizio di tutta la comunità regionale, e non soltanto della Regione, come è chiaramente espresso in tutti gli articoli della deliberazione stessa, e che potrà anche assolvere a compiti nuovi, per contenuti e qualità, rispetto a quelli sinora assolti perché abbiamo la consapevolezza di dar vita con questo statuto ad un esempio che potrà anche essere seguito da altre Regioni dove invece gli Istituti di ricerca, sorti più o meno nello stesso periodo nel quale è sorto questo piemontese, sono oggi minacciati nella loro autonomia, in quanto si tende a farli diventare strumenti puri e semplici degli Esecutivi regionali, o, peggio ancora, a farli scomparire, a liquidarli, perch risultano di intralcio a determinate scelte di grandi gruppi economici e politici dominanti in alcune Regioni. La deliberazione che approveremo oggi servirà, io penso, a riaffermare l'utilità, la necessità di questi istituti di ricerca.
Ma non sono solo questi i motivi del nostro voto, anche se essi sono i principali. Noi consideriamo la formazione attorno ad un centro di gruppi di ricercatori di buon livello una novità importante ed un elemento di rottura nel quadro della cultura economica-accademica tradizionale, sempre storicamente dominato da un monopolio dei dati da parte dei gruppi di potere economico, cui sovente i dati dello stesso potere statale sono stati subordinati ed assoggettati. Noi dobbiamo rompere il triangolo tradizionale della conoscenza scientifico-economica del nostro Paese costituito dalla Confindustria, dalle Camere di Commercio e dall'Istat: questo triangolo pu essere rotto dalla creazione di questi Centri di ricerca regionali, che devono intervenire con una dialettica del tutto autonoma da questo strumento tradizionale di direzione della politica economica del Paese.
E' quindi un atto di fiducia quello che noi compiamo verso la possibile autonomia della ricerca scientifica in una Regione dove oggi questo è un obiettivo ancora tutto quanto da conquistare. Viviamo in una Regione, in una città dove non mancano certo i centri studi, dove non mancano le fondazioni e dove piani di vario genere vengono elaborati. Noi siamo certi che l'Istituto di ricerca di cui licenziamo la deliberazione non si metterà in condizione di presentarci un giorno un piano cinque per cinque: sappiamo che questo centro di ricerca è capace di guardare e contare anche per mille. E noi pensiamo quindi di introdurre nella legislazione e nella vita politica regionale qualcosa di profondamente diverso da quello che c'è. Lo fondiamo noi, senza dare ad esso un nome altisonante, ma sicuri di operare sostanzialmente con una regolamentazione democratica.
Non siamo guidati, nel nostro giudizio positivo, da alcun interesse particolare da difendere, dato che nei confronti degli elaborati dell'Ires e delle sue proposte non abbiamo mai celato i nostri dissensi quando c'erano, come non abbiamo neanche mai rinunciato ad apprezzare gli elaborati ed i contributi che da questo gruppo di ricercatori venivano ad una politica di programmazione. Quello che ci guida è la visione di un interesse generale della comunità regionale, per la quale l'Ires pu costituire un punto di riferimento importante per produrre un'effettiva politica di programmazione regionale.
In effetti, oggi non abbiamo ancora molti di questi strumenti; anche la discussione che si è svolta finora non ci lascia prevedere che questi altri strumenti previsti dallo Statuto siano di recente, di prossima formazione.
L'art. 75 stabiliva infatti che le norme per la formazione del piano sono fissate con legge regionale (ma la legge non c'é), che il piano di sviluppo si articola in piani comprensoriali e piani zonali (ma non ci sono né gli uni, né gli altri né il primo); e che la legge che determina le norme per la formazione del piano stabilisce le procedure relative all'acquisizione dei dati occorrenti alla programmazione economica in modo da garantire l'oggettività e da renderli accessibili a ciascun Consigliere Regionale anche questo non c'è ancora. Quindi, noi mettiamo in piedi uno degli elementi che saranno determinanti nella costruzione del piano regionale ed è anche questo che ci conforta nel dare il nostro voto favorevole.
Mettendo, quindi, la discussione nel verso giusto per il quale è stata già incanalata, diciamo che in questo momento si licenzia qualcosa di utile per la Regione Piemonte.
Ho la sensazione che sia questo, probabilmente, uno degli ultimi atti su cui possa confluire una larghissima convergenza di questa assemblea prima di un periodo di nuovi, aspri contrasti non solo sociali, ma politici. Tuttavia, non certo con l'augurio che questo avvenga, ma con la consapevolezza che certi processi non si possono certamente interrompere prendiamo la votazione che ci accingiamo a fare, questa votazione positiva in una situazione di contrasti, come la testimonianza di ciò che la Regione potrebbe essere, di ciò che potrebbe fare se potesse lavorare e se cadessero steccati, preclusioni, scelte di campo che è necessario erigere e fare quando non si può più affrontare il confronto dialettico, se si potesse riprendere la strada che fu dello Statuto regionale e che altri hanno voluto interrompere. Una tappa ancora su questa strada l'abbiamo trovata in questo lavoro: consideriamola un'indicazione da non lasciar cadere se vogliamo che la Regione Piemonte viva.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Il Gruppo socialista voterà a favore di questo progetto, superando nell'intento di far cosa utile per la Regione, i dubbi che su di esso rimangono, di carattere istituzionale, proprio in ordine alla sua natura giuridica. Riteniamo che l'IRES debba diventare una società di consulenza generale della Regione, degli Enti pubblici e dei sindacati, tenendo per sempre presente che non deve essere l'ufficio del Piano, cosa estremamente diversa.
Abbiamo collaborato tutti a questo progetto, che ha ricevuto da tutti i Gruppi (di maggioranza e di opposizione) e dalla stessa Giunta apporti costruttivi. Non posso che far mie, a questo punto, le parole del collega Sanlorenzo: questo è un progetto che, probabilmente, ci auguriamo almeno passerà all'unanimità dei votanti, e io mi auguro che non segni la fine di un periodo, ma possa avviare la ripresa di un periodo che ha visto nello Statuto il suo momento migliore. Soltanto così la Regione Piemonte, nelle sue varie differenziazioni di maggioranza e di minoranza, ma con unico intento costruttivo, potrà riprendere il suo cammino.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

L'adesione del Gruppo liberale al testo di statuto dell'Ires test proposto dalla I e dall'VIII Commissione è motivata da alcuni elementi positivi che sono stati introdotti appunto in sede di lavori delle Commissioni congiunte.
Riteniamo, in particolare, che abbiano un notevole significato positivo i criteri su cui sarà basata la composizione degli organi interni dell'Istituto, di rappresentanza proporzionale delle forze politiche operanti a livello regionale. Riteniamo anche utile e coerente con la visione che lo Statuto regionale ha proposto per la politica di programmazione il fatto che questo Statuto garantisca l'accessibilità dei dati ai Consiglieri regionali e stabilisca l'informazione del Consiglio Regionale e degli altri enti partecipanti all'attività svolta dall'Istituto attraverso la presentazione della relazione annuale sull'attività e del bilancio.
Con questa delibera di adesione la Regione assume un suo primo impegno in materia di strutture per gli studi occorrenti alla formazione della programmazione regionale. Alcuni aspetti giuridici rimangono probabilmente da meglio determinare e soltanto nel corso del concreto espletamento dell'attività di programmazione si potrà pervenire ad un assetto più preciso e definitivo della configurazione giuridica dell'istituto preposto alle ricerche regionali.
Credo di interpretare anche il pensiero del collega Fassino, che rappresenta il nostro Gruppo nella I Commissione e ne è Vicepresidente nell'esprimere il nostro particolare apprezzamento al Presidente della Commissione, collega Garabello, per la puntuale e paziente attività con cui ha diretto i lavori per la redazione di questo nuovo statuto dell'Ires.



PRESIDENTE

Non vi sono altri iscritti a parlare, quindi possiamo passare alla votazione della proposta di deliberazione del Consiglio relativa allo statuto dell'Ires. Non vi sono neppure richieste di parlare per dichiarazione di voto.
E' stata largamente distribuita copia della relazione delle Commissioni I e VIII, della proposta di deliberazione del Consiglio e dell'allegato statuto dell'Istituto ricerche economico-sociali del Piemonte. Il testo da sottoporre ora all'approvazione del Consiglio è naturalmente soltanto la proposta di deliberazione del Consiglio medesimo, della quale dò lettura: "Il Consiglio Regionale vista la relazione della Giunta Regionale in data 12 ottobre 1971 sullo statuto dell'Istituto ricerche economico-sociali del Piemonte, Ires visti gli atti della I e VIII Commissione consiliare udita la relazione in aula in ordine allo Statuto medesimo delibera: 1) è approvato l'allegato statuto dell'Istituto ricerche economico sociali del Piemonte, Ires 2) la Regione Piemonte aderisce all'Istituto ricerche economico-sociali del Piemonte, Ires, medesimo alle condizioni e con i diritti ed obblighi quali risultano dalle norme statutarie approvate con il presente provvedimento 3) nel bilancio della Regione sarà previsto annualmente apposito fondo da erogare all'Ires per le spese di funzionamento dell'Istituto".
Pongo in votazione la proposta di deliberazione sullo statuto dell'Istituto di Ricerche economico-sociali del Piemonte di cui ho dato testé lettura. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano. E' approvato all'unanimità.


Argomento: Interventi a favore dell'economia - normative organiche nei vari settori - Ristrutturazione industriale

Relazione della Giunta Regionale sulla situazione economica regionale industriale in particolare, all'inizio del 1972 - Discussione ed eventuali deliberazioni (seguito)


PRESIDENTE

Torniamo ora al punto 3 dell'ordine del giorno, che avevamo rinviato in maniera da poter prendere in esame la deliberazione che è stata or ora approvata, per concludere la discussione sulla relazione della Giunta Regionale relativa alla situazione economica industriale regionale all'inizio del 1972. Ho ricevuto una proposta di documento conclusivo presentata dai Consiglieri Berti, Furia, Minucci, Sanlorenzo, Mario Giovana e che è stata distribuita soltanto ai Capigruppo. Ne do lettura perch anche i Consiglieri ne abbiano conoscenza: "Il Consiglio regionale piemontese udita la relazione informativa di sintesi sulle conferenze economiche provinciali e le repliche degli Assessori e del Presidente della Giunta mentre impegna comunque la Giunta a non eludere per l'ennesima volta i precisi impegni nuovamente assunti in merito alle proposte avanzate dal Gruppo comunista e dalla sinistra (conferenza del Settore chimico entro febbraio, incontro urgente della Giunta con la presidenza della Bemberg incontro con i sindacati e i Gruppi per l'attuazione della legge tessile) costatando l'assenza di qualsiasi preciso impegno circa il Convegno delle piccole e medie industrie, la conferenza del settore tessile, la data di presentazione della linea del Piano regionale, della procedura per definire i comprensori rilevando dalla replica del Presidente della Giunta l'assenza di una qualsiasi seria volontà di interventi secondo una linea di programmazione democratica regionale tendente a combattere efficacemente sia le cause strutturali che quelle congiunturali della crisi che oggi si riversa sui lavoratori, sulle piccole e medie imprese e su tutti i ceti medi produttivi respinge le sue conclusioni e quelle della Giunta".
Dò ora lettura del testo presentato dai Consiglieri Nerio Nesi, Aldo Viglione, Claudio Simonelli e Mario Fonio: "Il Consiglio Regionale del Piemonte udita la relazione della Giunta, e dopo ampio dibattito esprime gravi preoccupazioni per il deteriorarsi del livello di occupazione e per le condizioni di difficoltà che si estendono a vasti comparti produttivi e coinvolgono in misura crescente le aziende di piccole e medie dimensioni rileva come le difficoltà di natura congiunturale si assommino e siano aggravate dai ritardi e dalle storture di ordine strutturale del nostro sistema produttivo, dalla inefficacia di una politica di programmazione incapace a garantire la priorità delle scelte di interesse pubblico, da una inadeguata e distorta politica di distribuzione delle risorse, dalla mancata realizzazione delle grandi riforme di struttura capaci di ammodernare ed insieme di dare nuovo respiro democratico al nostro sistema e da errati provvedimenti anticongiunturali.
Il Consiglio Regionale del Piemonte rileva in questo contesto la particolare gravità di alcuni processi aziendali di ristrutturazione, che ove non siano guidati dalla logica del pubblico interesse, e quindi non rientrino entro le scelte di piano, sono destinati a ripercuotersi ancora negativamente sui livelli di occupazione.
Un ulteriore elemento di preoccupazione è la persistente insistenza di strumenti capaci di orientare diversamente le localizzazioni industriali per garantire condizioni di equilibrio nello sviluppo regionale, mentre viene continuamente eluso nella realtà anche l'obiettivo di fondo della programmazione regionale, rappresentato dalla necessaria diversificazione del tessuto industriale presente nella Regione.
Di fronte a questa preoccupante realtà, il Consiglio Regionale impegna la Giunta ad assumere con tempestività, ed a condurre con continuità, tutte le iniziative idonee a tutelare e a difendere i livelli di occupazione intesi come variabile indipendente di ogni politica economica, esercitando il prestigio politico dell'Istituto regionale per contrastare il tentativo di far ricadere sui lavoratori le conseguenze dei processi di ammodernamento e di razionalizzazione in atto.
Impegna inoltre la Giunta a creare tutti gli strumenti atti a dar vita alla Società finanziaria pubblica regionale, a realizzare interventi per coordinare l'erogazione del credito agevolato alla piccola e media industria, a porre immediatamente allo studio misure di controllo e indirizzo delle localizzazioni industriali, a promuovere sollecitamente attraverso consultazioni con gli Enti locali, i sindacati e gli operatori economici, il piano di interventi per l'attuazione della legge tessile e della legge sulla casa che rappresentano fondamentali occasioni di intervento pubblico per sollecitare la ripresa economica, ad avviare con analisi a livello di settore e di comprensorio la redazione del Piano regionale.
Il Consiglio Regionale del Piemonte, costatato il mancato impegno della Giunta sulle misure indicate, ne respinge le conclusioni".
Infine, c'è un documento presentato per il Gruppo democristiano dalla prof.ssa Soldano, che suona: "Il Consiglio Regionale, sentita la relazione della Giunta Regionale sulla situazione economica regionale industriale in particolare all'inizio del 1972, l'approva e passa all'ordine del giorno".
Ritengono i presentatori di dover illustrare i loro documenti? Ha facoltà di parlare il Consigliere Simonelli.



SIMONELLI Claudio

Brevissimamente.
Secondo noi, il dibattito, ricco come è stato di indicazioni e di diagnosi della situazione economica regionale, e non soltanto di questa poteva offrire conclusioni operative più ampie e concrete di quelle che sono state fornite dalla Giunta. Sulla diagnosi delle difficoltà congiunturali e strutturali che colpiscono l'economia piemontese le valutazioni sono state in arte convergenti, in parte, forse volutamente divergenti, ma quello che necessariamente avrebbe dovuto scaturire da questo dibattito è l'indicazione di strumenti concreti di intervento strumenti concreti che la Giunta può avere a sua disposizione, sol che ci sia la volontà politica di individuarli e di realizzarli.
Appunto perché le posizioni espresse dalla Giunta non dimostrano la volontà politica di ricercare ed usare questi strumenti, secondo l'orientamento emerso dal dibattito, abbiamo ritenuto di dover presentare un documento che, in modo articolato seppur sintetico, indicasse questi strumenti che la Giunta non ha dato prova di voler individuare ed applicare.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Gli obiettivi di questo dibattito erano di partire dal quadro della situazione per individuare le linee - quelle che Cardinali ha chiamato "di alta strategia di sviluppo" - di un nuovo sviluppo economico capace di garantire innanzitutto la piena occupazione, ed in tale quadro di operare con iniziative contingenti per sanare le situazioni più drammatiche.
Occorreva cioè, a nostro giudizio - e noi abbiamo fatto uno sforzo in questa direzione -, innanzitutto delineare lo stato attuale dello sviluppo individuarne le cause, le responsabilità, indicare le prospettive su cui muoverci, e nel quadro di questo collocare gli interventi di carattere contingente.
Occorreva, per compiere questa analisi, calarsi nella realtà politica nazionale. Non ci si può disporre a questo dibattito, infatti, senza considerare che la realtà politica nazionale è oggi estremamente grave.
Il Paese sta vivendo un momento drammatico, di pieno marasma. Di questo ha già parlato Furia, poi Minucci, ed io non ripeterò le loro argomentazioni. Voglio però sottolineare che nel documento della Giunta e negli interventi dei suoi componenti che si sono susseguiti, fino all'intervento del Presidente Calleri, questa analisi è mancata totalmente.
Così come è mancata, carenza assai grave per chi si propone di individuare le linee di uno sviluppo diverso, una analisi del ruolo svolto, nella economia italiana, e quindi in Piemonte, dalle grandi imprese motrici: si veda quanto detto da Minucci sulla Fiat per ciò che concerne l'incidenza che ha sull'economia generale del nostro Paese la decisione unilaterale della Fiat di aumentare i prezzi.
E' chiaro che non è possibile parlare di una politica di sviluppo se non si parte da una analisi seria della politica e della strategia delle forze motrici, in Piemonte rappresentate essenzialmente dalla Fiat, e quindi non viene individuata alcuna linea di intervento nuovo se non ci si pone innanzitutto nella condizione di dare un giudizio sulla strategia delle imprese motrici più importanti, e quindi anche di indicare gli strumenti con i quali si intende operare per modificarla. Da questo punto di vista, nella relazione e nei successivi interventi, è mancata, oltre che, per l'appunto, l'analisi, anche la individuazione di strumenti sui quali naturalmente lavorare per esercitare un controllo sugli investimenti che sono essenzialmente tre: il credito, le fonti di energia, l'assetto del territorio; tre strumenti basilari, attraverso i quali, a nostro giudizio e naturalmente mediante la successiva elaborazione-decisione, è possibile procedere ad un tentativo di controllo degli investimenti, necessario per conferire alla politica di piano un carattere non puramente indicativo. In carenza di questa analisi, interventi di qualsiasi genere, anche se si collocano di per sé in posizione positiva, o hanno intenzioni positive sono puramente velleitari.
La pratica di questo anno, le stesse dichiarazioni che sono state fatte dimostrano che o la programmazione, la politica di piano, poggia su questi presupposti essenziali, oppure si sottrae alla volontà di qualsiasi ente pubblico. In una dichiarazione di voto, necessariamente schematica, non posso evidentemente entrare nel merito, ma su queste questioni già è stato detto, e avremo ancora occasione di ritornare; ma è essenzialmente rilevante anche questo che noi abbiamo colto nella relazione della Giunta e negli interventi, oltre, naturalmente, a tutti gli aspetti che già sono stati illustrati.
Quando ho parlato di indicazioni comprendenti di per sé elementi di carattere positivo mi riferivo a certi elementi contenuti nella relazione di Paganelli ed anche in quella di Petrini, per la volontà di operare - se ho ben capito, in quanto i documenti non ci sono stati consegnati preventivamente - sulla base di una linea di piano che mi pareva rispondente a queste esigenze, così come il dichiarato intento di procedere ad una conferenza sul settore chimico, così come quello di operare per l'applicazione della legge tessile con i sindacati, eccetera. Ma lo stesso intervento dell'Assessore Cardinali, che ha parlato in veste di consigliere del PSDI, ha espresso concetti su cui quanto meno si può aprire un confronto: confronto che non è avvenuto in quanto tutti gli interventi su cui sarebbe stato possibile aprire un dialogo sono venuti a conclusione del dibattito, mentre una impostazione della discussione su quelle questioni avrebbe potuto conferire ad essa un carattere di confronto di posizioni.
Coglierei l'occasione - l'avrei fatto più appropriatamente se ci fossero stati forniti più sollecitamente questi documenti, mettendoci in grado di entrare nel merito, ad esempio, del documento Montedison e di vedere che comunque risulta confermata, con la non sostituzione dei pensionati, una diminuzione del numero di occupati e quindi una ristrutturazione basata sull'aumento della produttività, dello sfruttamento (si può dire quel che si vuole, ma il numero degli occupati in Piemonte per quanto riguarda il settore della Montedison, risulterà, in conseguenza della non sostituzione, certamente diminuito, ed è chiaro in tale manovra l'intento di perseguire una politica di ristrutturazione, naturalmente aumentando i ritmi di lavoro, lo sfruttamento, senza aumentare il personale e senza procedere, per quanto ci risulta, a rinnovamenti di carattere tecnologico) per sottolineare i lati positivi riscontrati nell'attività di alcuni Assessori.
Così, sulla proposta dell'Assessore Petrini per la conferenza dei tessili, ci dichiariamo favorevoli a che la consultazione avvenga attraverso la partecipazione anche di rappresentanti dei Gruppi, perch siamo sempre disposti a collaborare quando rileviamo nelle iniziative elementi di carattere positivo; così come non neghiamo il nostro riconoscimento all'azione interessante, appassionata dell'Assessore Visone di intervento nelle situazioni le più diverse, per vedere di rattoppare qualche strappo eccetera. Siamo sempre pronti a dare il nostro appoggio a proposte che vanno nella direzione, a nostro avviso, più aderente alle esigenze della gran massa dei lavoratori.
Ma ci rendiamo conto che si tratta di interventi che finiscono tutti con il perdere ogni validità se rapportati ad una pratica che è fatta invece di immobilismo, di ritardi, di rinuncia ad assumere un ruolo politico primario. Noi abbiamo documentato recentemente tutti gli impegni assunti dalla Giunta in questo anno e mezzo - non posso enumerarli in questo momento, in sede di dichiarazione di voto -: essi stanno qui a dimostrare che, al di là delle intenzioni più volte espresse, il risultato pratico è appunto di rinuncia a svolgere un ruolo primario sul piano politico, di rinuncia a svolgere sul piano dell'iniziativa concreta le iniziative che si dice di voler realizzare. A meno che la Giunta operi in modo talmente segreto da non lasciar trapelare a nessuno quello che effettivamente fa.
Devo rilevare poi che il dibattito ci ha consentito di cogliere delle contraddizioni, per esempio, fra l'intervento del Consigliere Cardinali che ha persino ritenuto suo dovere sollecitare la Giunta ad essere più attiva, confermando in parte il giudizio che io qui sto dando a nome del mio Gruppo, e gli altri che ho citato, in cui si colgono, ripeto, certi accenti positivi, e le dichiarazioni fatte dal Consigliere del Partito liberale Rossotto, il quale invece, alleato politicamente di questa Giunta esprime un orientamento completamente opposto a quello esposto dai tre Assessori che ho prima ricordato. Sono contraddizioni che esprimono il disagio che vi è in persone o in schieramenti politici di fronte alla gravità della situazione, ma che infine si annullano tutte nell'intervento del Presidente della Giunta; perché tutta la credibilità, o validità, o veridicità delle iniziative o della volontà di operare che qui sono state espresse da parte di alcuni Assessori crolla davanti alla scelta di campo qui enunciata dal Presidente della Giunta.
Non sottolineerò in questa mia dichiarazione di voto certe macroscopiche contraddizioni evidenti nell'intervento conclusivo del Presidente della Giunta. Egli ha voluto rendere omaggio all'efficacia e alla validità delle lotte sindacali, che sempre portano quanto meno a sollecitare determinate soluzioni, quando ancor recentemente aveva invece individuato nella conflittualità permanente l'elemento deteriore della situazione. Ma partendo da questo egli esprime, in contrapposizione ad una linea che noi indichiamo, una scelta di campo che ha esposto disertando moltissimo sulla politica del credito. Anche a proposito dell'aumento dei prezzi delle macchine Fiat, per esempio, lo colloca in un campo che è certamente completamente diverso dal nostro: il che sarebbe abbastanza naturale, viste le diverse collocazioni politiche, se la sua scelta di campo non fosse, per dirla in parole povere, la continuazione della politica attuale, la continuazione, se volete, il rilancio, di una attività economica, il rilancio della produzione nei termini del 1964: meno investimenti, e ristrutturazione effettuata sulle spalle della classe operaia, cioè facendo pagare ai lavoratori il peso di un rilancio economico. La sua scelta di campo, per giunta, recepisce la strategia della impresa motrice di cui parlavo prima, e quindi non consente nemmeno di operare effettivamente per risolvere i problemi della piccola e media azienda: si procederà sempre soltanto a mettere delle pezze se non si determina una modifica radicale dell'attuale modo di produrre nel nostro Paese e delle scelte che vengono fatte dalle imprese più importanti.
A nostro giudizio, si è opposto dalla Giunta un muro ad una parte del Consiglio Regionale che ha voluto presentare certe proposte tendenti a modificare una situazione, come occorre fare se si vuol veramente risolvere, quanto meno in prospettiva, la situazione del Piemonte, ma io direi dell'intero Paese. Questa constatazione, unita al giudizio che abbiamo più volte espresso sul modo di operare della Giunta, sui ritardi le carenze eccetera, ci induce a manifestare qui una profonda sfiducia verso questa Giunta, che non mancheremo di formalizzare concretamente nei prossimi giorni, anche perché il Consiglio sia investito di questa che, per quanto ci riguarda, riteniamo una scelta conseguente. Alla scelta di campo contrapponiamo scelta di campo, contrapponiamo la nostra sfiducia verso coloro che hanno scelto la politica delle grandi imprese finanziarie e motrici, in contrasto, noi diciamo, con i grandi interessi della collettività.



PRESIDENTE

Desidera illustrare il proprio documento, Consigliera Soldano? Dichiarazioni di voto? Qual è il parere della Giunta sui tre documenti? Ha facoltà di parlare il Consigliere Conti.



CONTI Domenico

Parlo anche a nome del Consigliere Garabello. Ci troviamo, a questo punto del dibattito, in una situazione estremamente imbarazzante. Noi abbiamo sempre pensato che il dibattito odierno dovesse consistere in uno scambio di idee e di analisi sulla crisi economica e soprattutto di proposte concrete al fine di contribuire poi alla stesura del Piano di sviluppo regionale. Soprattutto su questo noi attendevamo, se mai, un responso del Consiglio. Non si dimentichi che in questo momento, tra l'altro, le Commissioni hanno l'incarico di esaminare partitamente la materia del documento preliminare per la programmazione '71-'76, proprio per procedere in questa direzione. Non pensavamo certo, pertanto, che ci saremmo trovati di fronte ad un pronunciamento di schieramenti, e ad un pronunciamento che arrivasse addirittura a proporre la fiducia o la sfiducia, anche perché, se mai, occasioni del genere di quella di oggi non ne sono mancate per il passato.
Abbiamo quindi tutta l'impressione che tutto il dibattito si sia svolto guardando le cose da un angolo visuale diverso da quello che si sarebbe dovuto. Speravamo di vedere delle mozioni che contenessero sostanzialmente più che approvazioni o disapprovazioni di documenti o di comportamenti impegni precisi da portare all'attenzione dell'ordine del giorno come contributo per l'attività del Consiglio Regionale in merito non solo alla soluzione congiunturale ma a tutto lo sviluppo economico e sociale della Regione. Probabilmente si sta creando in anticipo una certa atmosfera preelettorale.
Abbiamo davanti a noi la mozione dei comunisti e quella dei socialisti.
Contengono indubbiamente entrambe punti che si possono condividere proposte accettabili, soprattutto quella dei socialisti, che è più sviluppata nell'indicare tipi di impegno che si vorrebbero adottati dalla Giunta. Però, le conclusioni finali alterano tutto il significato del dibattito. Si tratta, cioè, di accettare o di respingere un documento sul quale noi non ci siamo mai fatti delle illusioni. Noi pensavamo e mi è parso di poter cogliere lo stesso pensiero nelle parole dell'Assessore Paganelli, stamattina che si dovesse intervenire per correggere, per fare proposte di ampliamento, partendo dagli elementi raccolti nelle conferenze provinciali. Per parte mia, mi sono astenuto dall'intervenire semplicemente perché intendevo recare il mio personale contributo in quel senso in seno alla Commissione cui sono stato assegnato, la III Commissione, che si occupa dei problemi relativi al lavoro, ai processi formativi, alla cultura e all'informazione.
Di fronte a questo ribaltamento di cose, a questa imprevista da noi configurazione nel dibattito, anche se condividiamo tante critiche mosse al documento della Giunta in rapporto alla sua fragilità, alla sua nebulosità per quel che riguarda gli impegni circa il futuro, essendo stata la questione posta imprevedibilmente sul piano della definizione, della precisazione di schieramenti politici - addirittura si parla, di voto di fiducia -, ci troviamo costretti, Garabello ed io, a prendere posizione nello spirito con cui al tempo della costituzione di questa Giunta abbiamo espresso il nostro consenso, puramente come disciplina di partite ritenendo estremamente importante il tentativo in ogni caso di ricostituire una politica di centro-sinistra, in direzione della quale un nostro eventuale voto di dissenso non avrebbe certo un, effetto positivo.
Il voto che diamo ha dunque soltanto questo significato, indipendente dalla natura del documento. Voteremo pertanto a favore della mozione proposta dalla Consigliera Soldano a nome della Democrazia Cristiana riportandoci nello spirito che ha presieduto all'elezione di questa Giunta mentre ribadiamo la validità di tutte le riserve fatte e continuiamo a proporci qualora sia possibile, una ripresa di lavoro serio e approfondito in seno alle Commissioni per riservarci di assumere una posizione veramente coerente all'epoca della presentazione del documento programmatico della Regione.



PRESIDENTE

Qual è il parere della Giunta sui tre documenti, o almeno su quello che la Giunta eventualmente accetta?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

A me pare che le osservazioni fatte dal Consigliere Conti, al di la della posizione che egli ha inteso precisare anche a nome del Consigliere Garabello, siano condivisibili proprio perché non vi è dubbio alcuno che lo spirito con il quale si è iniziato questo dibattito, sulla base del documento che la Giunta ha inteso preseintare come sintesi di una serie di riunioni fatte a livello dei diversi incontri avvenuti nel corso dei mesi passati, era precisamente quello di sottoporre all'attenzione del Consiglio una panoramica obiettiva, che può essere breve o succinta, può essere carente o lasciare spazi aperti, presentata a titolo di comunicazione al Consiglio e che come tale non mi pare dovesse essere sottoposta a votazione bensì costituire semplicemente un documento sul quale basare una discussione non soltanto di carattere accademico ma capace di cogliere i apporti di associazioni e amministrazioni, non esprimibili in questo Consiglio, ed espressi invece appunto attraverso queste riunioni.
Essendo questo lo spirito al quale si è attenuta, è chiaro che la Giunta non ha inteso portare delle conclusioni all'approvazione del Consiglio Regionale, ed in effetti il documento della Giunta non si concludeva con alcuna proposta al Consiglio Regionale. D'altronde, devo dire che quando nella conferenza dei Capigruppo si è parlato di questa seduta del Consiglio se n'è parlato come di riunione intesa a prospettare gli elementi emersi dagli incontri avvenuti a livello delle diverse province, non certo indetta per la presentazione da parte della Giunta di precise proposte operative. E' da questo dibattito, se mai, che dovrebbero scaturire non dico precise proposte operative ma indicazioni da tenere in considerazione proprio nell'elaborazione e nella valutazione di quel documento programmatico che è stato distribuito alle diverse Commissioni sul programma nazionale per collegarlo agli specifici problemi che potevano emergere dalle comunicazioni che la Giunta faceva oggi al Consiglio.
Non mi pare, quindi, che sia possibile accettare le valutazioni fatte proprio perché esse si collocano in un giudizio su proposte fatte o no fatte dalla Giunta, nel senso che lo scopo del dibattito odierno non era precisamente quello di presentare delle conclusioni ma delle comunicazioni.
Mi sembra che anche il documento socialista, per quanto sia in larga misura condivisibile, contenga alla fine un'affermazione rispetto alla quale mi pare non vi possa essere altra posizione che quella di non accettarla Perché non comprendo come si possa dire che delle richieste presentate dal Gruppo socialista siano state dalla Giunta disattese: non mi risulta che proposte siano state formulate, per lo meno formulate esplicitamente, in un documento, per cui la Giunta non può averle respinte o non accettate, e quindi disattese. Mi pare che si possa riconoscere una certa approssimazione alla verità, ma non certo una verità, per quanto come dicevo, in larga misura tutto ciò che c'è prima di questa conclusione possa essere obiettivamente condiviso e come valutazione di carattere complessivo e come valutazione rispetto agli strumenti della programmazione e alle modifiche strutturali della nostra economia.
Non entro nel merito delle precise posizioni assunte dal collega Berti in ordine a questa presunta, evidentemente, ed affibbiata alla Giunta e pedissequa, direi, subordinazione, rispetto alle strategie e alle scelte delle industrie traenti in Piemonte, perché non so da che cosa possa essere emerso questo giudizio, che mi pare peraltro molto aprioristico ed obiettivamente non motivato.
Quindi, riaffermando la posizione che mi pare sia stata espressa molto correttamente dal Consigliere Conti rispetto allo scopo della riunione e del dibattito odierno, dichiaro che la Giunta non può che accettare il documento presentato dalla Consigliera Soldano.



PRESIDENTE

Altre dichiarazioni di voto non ci sono. Deve essere quindi posto in votazione, per primo, il documento presentato dalla Consigliera Soldano.
L'accettazione eventuale di questo documento da parte del Consiglio preclude evidentemente la presa in considerazione degli altri documenti qualora viceversa tale documento non fosse accettato, vorrebbero posti in votazione gli altri, secondo l'ordine cronologico della loro presentazione.
Pongo dunque ai voti l'ordine del giorno presentato dalla Consigliera Soldano. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati

Mozione relativa ai nuovi prezzi delle autovetture Fiat (seguito)


PRESIDENTE

Vi è ora da porre in votazione la mozione presentata dal Consigliere Minucci e altri sulla Fiat, che è stata discussa questo pomeriggio. Vi sono dichiarazioni di voto? Ha facoltà di parlare il Consigliere Conti



CONTI Domenico

Parlo anche a nome del Consigliere Garabello.
Ci attendevamo, dopo il dibattito sul documento, la presentazione da parte della Giunta di un suo testo, come si suole fare in questi casi anche in Parlamento, dove ad un ordine del giorno, o mozione, della minoranza fa sempre riscontro una presa di posizione maggioritaria. Purtroppo così non è stato. Ad indurmi ad attendere questo documento e a legittimare la mia attesa, per la verità, sono state anche le ultime affermazioni del Presidente Calleri, favorevoli a parte del mio intervento.
Siccome questo documento non è comparso, e siccome il documento presentato dalla minoranza ha il merito di aver portato il Consiglio Regionale a dibattere questo argomento, e in ogni caso contiene elementi utili di analisi e proposte di soluzione cui bisognava in qualche modo rispondere, oltre che rilievi che Garabello ed io riteniamo validi (anche se non concordiamo perfettamente, ad esempio, sui meccanismi, sugli interventi proposti verso il termine, sia per quanto riguarda l'intervento del Governo, sia per quanto riguarda il ricorso al controllo del CIP in luogo del deposito preventivo del listino prezzi), noi riteniamo di doverci logicamente astenere.



PRESIDENTE

Altre dichiarazioni non ce ne sono. Il parere della Giunta su questa mozione? Ha facoltà di parlare il Presidente Calleri.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Solitamente, in casi simili, ad un documento presentato da un Gruppo consiliare di minoranza ne viene contrapposto uno proposto da un Gruppo consiliare di maggioranza. Non spetta alla Giunta prendere l'iniziativa di una mozione. La Giunta accetta o non accetta dei documenti e su quelli che sceglie si vota, ma documenti presentati evidentemente dai - Gruppi. Mi pare sia questa la procedura corretta.
Se ci fosse un documento presentato dai Consiglieri Garabello e Conti o proposte in tale direzione la Giunta sarebbe disponibilissima a prenderli in considerazione. Ma non tocca alla Giunta, ripeto, presentare una mozione.



PRESIDENTE

Non essendo stati presentati altri documenti, pongo in votazione la mozione presentata dai Consiglieri Minucci, Giovana e Berti. Chi è favorevole e pregato di alzare la mano.
Non è approvata.


Argomento:

Documenti - Assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

E' stata presentata dai Consiglieri Regionali Fassino, Gandolfi Menozzi e Vera una proposta di legge regionale sulla determinazione dell'indennità di funzione o di carica e della indennità di trasferta spettante ai membri del Consiglio Regionale.
Anche se forse non occorre adottare per questo caso una proceduta speciale, tale proposta di legge regionale presenta un certo carattere di urgenza, essendo essa tesa a regolarizzare la situazione amministrativa della Regione rispetto a questo problema.
Vorrei sentire dal Presidente della I Commissione, alla quale la assegno in questo momento, se ritenga di poter procedere con una certa celerità in modo da poter iscrivere l'argomento all'ordine del giorno di una seduta in data ravvicinata.



GARABELLO Enzo

Penso che la I Commissione possa adempiere questo mandato rapidamente in modo da poter iscrivere l'argomento all'ordine del giorno della prossima seduta. A tal fine occorrerebbe però che io potessi convocare fin d'ora se il Presidente lo consente e se i colleghi sono d'accordo - la Commissione per domattina alle ore 9,30 nella sala delle riunioni della I Commissione, con viva raccomandazione a tutti i colleghi che la compongono di partecipare ed ai Capigruppo di provvedere ad avvertire tempestivamente gli interessati che fossero assenti in questo momento. Alla riunione richiedo, come al solito la partecipazione della Giunta.



PRESIDENTE

Vi sono obiezioni da parte del Consiglio rispetto a questo intendimento espresso dal Presidente della I Commissione? Non ve ne sono.
Posso chiederle, Consigliere Garabello, a chi intenda affidare, se lo ha già deciso, la relazione su questo disegno di legge?



GARABELLO Enzo

Proporrei alla Commissione il collega Dotti.


Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

Il Consiglio Regionale è convocato nel Palazzo delle Segreterie per il giorno 8 febbraio '72 ore 16, con il seguente ordine del giorno: 1) approvazione verbale precedente seduta 2) comunicazioni del Presidente 3) esame della proposta di legge di iniziativa dei Consiglieri Fassino Gandolfi, Menozzi, Nesi e Vera circa la determinazione dell'indennità di funzione o di carica e delle indennità di trasferta spettante ai membri del Consiglio Regionale (relatore Dotti) 4) esame dello schema di osservazioni allo schema di decreto del Presidente della Repubblica sul riordinamento del Ministero della Sanità (relatore Viglione) 5) discussione sugli adempimenti di legge relativi alle leggi della Repubblica sulla Montagna e sugli Asili nido 6) esame di mozioni dei seguenti argomenti: a) situazione edilizia a Bardonecchia b) libertà di stampa 7) interpellanze e interrogazioni.
Il Consiglio tornerà a riunirsi eventualmente il 9 febbraio.
Vi sono osservazioni su questo ordine del giorno? Non ve ne sono quindi è adottato.


Argomento:

Interrogazione (annuncio)


PRESIDENTE

Prego un Consigliere Segretario di dar lettura di un'interrogazione urgente che è stata presentata questa sera.



GERINI Armando, Segretario

dà lettura di un' interrogazione pervenuta alla Presidenza



PRESIDENTE

Dichiaro chiusa la seduta.



(La seduta ha termine alle ore 21)



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