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Dettaglio seduta n.78 del 03/02/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Non essendo pervenuti i verbali, comunico che hanno chiesto congedo per la seduta di stamani i Consiglieri Fabbris, Franzi, Visone, Marchesotti e Carazzoni.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati - Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni del Presidente del Consiglio Regionale


PRESIDENTE

Comunico che è pervenuta oggi alla Presidenza del Consiglio, da parte del Comune di Grugliasco, un ordine del giorno in merito alla situazione di crisi economica che investe la zona. Nel documento si ricordano dettagliatamente le singole aziende che hanno adottato provvedimenti di riduzione di personale e si invitano gli organi regionali e centrali ad adottare provvedimenti atti a risolvere le vertenze assicurando il proseguimento dell'attività produttiva, con particolare riferimento alla situazione della Leumann.
Informo che il 19 febbraio, alla ore 19,45, sul II Programma televisivo sarà messa in onda la "Tribuna regionale piemontese", diffusa in rete regionale, secondo i nuovi accordi, già da me comunicati al Consiglio intervenuti fra la Rai-Tv e le Regioni. Secondo questi accordi, vi saranno quattro dibattiti all'anno, di trenta minuti ciascuno, ai quali parteciperanno la metà dei Partiti rappresentati in Consiglio, cioè quattro partecipanti per ogni dibattito.
E' stato deliberato anche un regolamento di "Tribuna regionale" approvato dalla Commissione Parlamentare di vigilanza. Ai termini di questo statuto, e in particolare a norma dell'art. 4, alle trasmissioni di mezz'ora partecipa la metà degli aventi diritto. "La scelta si effettua per sorteggio, assicurando però che ad ogni trasmissione partecipino partiti componenti della maggioranza e partiti di opposizione, e in modo che tutti i Gruppi abbiano a disposizione un tempo uguale". Ometto altre parti dell'articolo, che non ci interessano.
A norma di questo articolo del regolamento, ho indetto questa mattina la riunione dei Capigruppo, davanti ai quali è stato proceduto alla estrazione a sorte fra i partiti di maggioranza e i partiti di opposizione per stabilire quali di questi partiti debbano designare i loro rappresentanti a partecipare alla trasmissione televisiva regionale del 19 febbraio prossimo. Non abbiamo voluto aprire una discussione politica in sede di riunione dei Capigruppo per precisare quale sia la maggioranza e quale sia la opposizione; tuttavia, dovendo scegliere un criterio per l'estrazione a sorte, abbiamo stabilito che dovessero essere inseriti, nel cappello dei partiti di maggioranza, i partiti che hanno votato per la Giunta al momento della sua formazione, e nel cappello dei partiti di opposizione i partiti che non hanno votato per la Giunta in tale occasione.
L'estrazione a sorte ha dato il seguente risultato: fra i partiti di maggioranza, parteciperanno il partito socialista democratico italiano e il partito liberale italiano, dell'opposizione il PSIUP e il PSI.
Il regolamento stabilisce pure che il Presidente del Consiglio, sentiti i Capigruppo, determini il tema che verrà dibattuto. Nella riunione dei Capigruppo abbiamo concordato tutti insieme, presente anche il Presidente della Giunta, il seguente tema, da porre in discussione in questo dibattito: "Funzione della Regione nella tutela dell'occupazione operaia in Piemonte".


Argomento: Interventi a favore dell'economia - normative organiche nei vari settori - Ristrutturazione industriale

Relazione della Giunta Regionale sulla situazione economica regionale industriale in particolare, all'inizio del 1972 - Discussione ed eventuali deliberazioni.


PRESIDENTE

Riprendiamo ora l'esame dell'ordine del giorno delle due sedute di ieri, rimasto immutato. Siamo sempre al punto terzo dell'ordine del giorno: "Relazione della Giunta Regionale sulla situazione economica regionale".
E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, a parere del nostro Gruppo, le difficoltà della situazione economica nascono, oltre che da situazioni congiunturali, che peraltro non sono tipiche del nostro Paese ma riguardano un po' tutti i Paesi d'Europa (é di questi giorni la notizia sulla difficile situazione nella Germania federale, che passava per il Paese più ricco d'Europa), anche soprattutto dalla mancata risoluzione di problemi di struttura e dalla politica seguita in questi ultimi anni.
Noi crediamo che la prima di queste ragioni - e lo diciamo con il rammarico del partito che su questo piano aveva fondato tutta la sua politica - sia il fallimento della programmazione. Credo si debba parlare proprio di "fallimento" della programmazione economica nazionale.
Da che cosa è nato questo fallimento? Dobbiamo dirlo con molta chiarezza: dalla incapacità dello Stato di affrontare e risolvere i nodi istituzionali che a livello di burocrazie centrali tuttora filtrano orientano e ritardano tutti i provvedimenti di spesa del Governo. Ciò si rifletta anche in una scarsa efficacia dei provvedimenti congiunturali vanificati, o spesso spinti in direzione opposta rispetto a quella voluta da una struttura che non possiamo sottovalutare. E' indicativa a questo proposito la disastrosa gestione dei residui passivi.
Ma è nato, a nostro parere, anche dalla riluttanza dei grandi centri di decisione economica, non solo privati ma anche pubblici, ad adeguare la propria azione ed i propri strumenti di intervento agli indirizzi programmatici. Possiamo anzi dire che questi indirizzi programmatici vengono tranquillamente ignorati. E non si può obiettare che le grandi imprese seguono una logica di sviluppo propria, che ha dei riferimenti a livello internazionale. In realtà, occorre avere il coraggio di dire che manca un collegamento a livello politico, anche per l'insufficiente credibilità di cui godono nel nostro Paese gli organismi di programmazione che leghi le grandi decisioni imprenditoriali alle scelta macro-economiche.
Cioè, si ha l'impressione che i processi di decisione, a tutti i livelli dalle scelte di investimento alle attribuzioni di responsabilità manageriali ai collegamenti fra grandi aziende alle strategie finanziarie passino attraverso canali di consultazioni efficienti ma che escludono, se non per interventi di ratifica, non solo gli organismi di piano ma addirittura il Governo e il Parlamento. Il "gap" fra la decisione delle imprese, delle imprese singole, private e pubbliche, e gli indirizzi programmatici non solo non si è colmato, ma addirittura, negli ultimi tempi, si è avuta una ulteriore divaricazione. Gli esempi potrebbero essere numerosissimi, ma basti pensare alla politica dell'Iri, dell'Eni, della Montedison, per non parlare altro che di organismi pubblici, che dovrebbero avere un preciso collegamento pubblico con i vari Ministeri, soprattutto con il Ministero delle Partecipazioni statali; basti pensare alla decisione di grandi organismi nazionali piemontesi di non aderire all'appello che fece loro il Governo di andare a investire nel Sud.
Ma ciò che è più grave, al di là degli errori di previsione e dell'incapacità di affrontare in modo deciso i nodi istituzionali dell'economia italiana, è che, avendo noi bruciato la programmazione sul piano operativo, ne è risultata bruciata la credibilità, compromessa l'immagine, a livello non solo delle classi imprenditoriali e dirigenziali in un momento in cui queste sembravano averne assimilato il concetto ma anche degli altri grandi operatori economici che sono i sindacati, come pure delle grandi e piccole burocrazie, degli enti pubblici. Presso questi operatori, ad un periodo iniziale di attesa è subentrato un clima di generale sfiducia e di indifferenza, fino all'evanescenza totale di ogni vincolo.
Ma su un altro aspetto, e direi che questo è il fatto più importante sul piano politico, il fallimento della programmazione ha forti implicazioni politiche. Nel tentativo di spostare a destra l'asse politico del Paese un ruolo non indifferente ha giocato, e potrà giocare, quel tessuto di centri decisionali dell'impresa pubblica e privata, spesso in competizione fra di loro, ma solidali nel difendere una certa concezione ed una certa distribuzione del potere, la cui opinione sulla classe politica non certo lusinghiera, e le cui preferenze istituzionali sembrano sempre più orientate verso condizioni di efficientismo politico, in un ordinamento paragollistico. Questi centri di potere si sono indiscutibilmente rafforzati nella debolezza degli interlocutori del piano, e anche in questo caso dobbiamo citare alcuni grandi organismi privati e pubblici.
Di fronte a questa difficile situazione è ancora possibile, ci domandiamo, rilanciare la programmazione, riqualificarla? Questa, direi, è la grande domanda che ci dobbiamo porre, non soltanto discutendo la situazione economica generale ma anche discutendo la situazione economica particolare della nostra Regione, che essendo tra le più industrializzate del nostro Paese, fa testo, ha un preciso riferimento con la situazione politica nazionale.
C'é poi un secondo aspetto, una seconda ragione della grave situazione economica che attraversa il nostro Paese: il Governo, il Parlamento hanno dimostrato o di non avere gli strumenti atti a fronteggiare la congiuntura o di non avere la possibilità politica, o la volontà politica, di utilizzarli. E' tipica di questo aspetto la vicenda dei cosiddetti "decretoni". Noi dovremmo riflettere, signori Consiglieri, su quel che sono stati e quel che sono serviti i due famosi "decretoni" che dovevano permettere di risolvere una parte importante dei nodi congiunturali della nostra situazione economica. Dobbiamo dire con molta chiarezza che questi "decretoni" non hanno dato alcun risultato. C'è stato un diverso modo di prelievo fiscale, ci sono state una serie di agevolazioni fiscali, una serie di agevolazioni alla concentrazione industriale, c'è stato un tentativo di utilizzare le somme che pervenivano da un certo prelievo fiscale per immetterle in una serie di agevolazioni finanziarie per un certo tipo di aziende. Ma tutto questo non è servito a nulla. Per due ragioni fondamentali: perché non sono stati rispettati i tempi (i decreti congiunturali hanno senso quando vengono rispettati i tempi della loro attuazione), e perché i decreti congiunturali, i cosiddetti "decretoni" partivano da una analisi a nostro parere sbagliata della situazione economica del Paese.
Su questo credo dovremmo fare una analisi molto seria e approfondita qui, in questo Consiglio, proprio perché questo Consiglio della Regione Piemonte è il Consiglio di una regione trainante del nostro Paese. Dovevamo attenderci uno sforzo considerevole da parte delle imprese. Invece all'inizio del '70, una serie di aziende, soprattutto di medie e di piccole dimensioni, affrontavano una crisi che, partendo da origini finanziarie, si è andata poi estendendo fino a trasformarsi in una crisi produttiva vera e propria, dovuta sia all'andamento recessivo dei mercati sia all'incremento dei costi, cui non avevano potuto, o voluto, far fronte con adeguati investimenti. Successivamente, quando è stato possibile accedere alle riserve di liquidità, immagazzinate in misura eccezionale nelle nostre aziende di credito, la capacità contrattuale delle imprese risultava notevolmente ridotta, soprattutto a livello internazionale. E' diminuita la capacità concorrenziale all'esterno del nostro Paese cui avrebbe dovuto far fronte - ed è qui il nodo del problema - una domanda interna accresciuta accrescimento che non c'è stato per la situazione dell'Italia meridionale che diventata sempre più difficile. Ecco il nodo del problema che tocca il nostro Piemonte, come regione esportatrice di produzione ed importatrice di uomini.
Ad una diminuzione delle capacità esterne, cioè internazionali, delle nostre aziende, derivata dall'aumento dei costi delle nostre aziende e maggiormente evidenziatasi anche perché in questo frattempo c'è stata una crisi di sovrapproduzione in tutta l'Europa capitalistica, e quindi una più forte accentuazione della concorrenzialità delle imprese tedesche francesi, nord-americane (non parliamo poi della crisi nord-americana, di cui abbiamo già parlato in altre sedi e qui stesso), non si è potuto far fronte con un aumento della domanda interna. E' questo, direi, il lato più debole della situazione politica, che ancora adesso non si vede come fronteggiare. Era necessario, probabilmente, ed è ancora necessario mobilitare la spesa pubblica, provvedendo ad erogare le somme già stanziate, attuando nuovi investimenti, e soprattutto avviando a realizzazione le riforme sociali, viste non come una spesa (e questo è secondo noi, un lato sbagliato della conduzione politica ed economica del nostro Paese) ma keynesiamente come mezzo di acquisizione di nuova domanda che avrebbe permesso di rimettere in moto il ciclo produttivo. Invece, i ritmi di spesa pubblica risultavano, nel migliore dei casi, attestati su quelli precedenti, mentre la riqualificazione della spesa pubblica, che aveva motivato largamente l'adozione dei decreti congiunturali, appariva quasi nulla, proprio per la carenza degli organismi preposti a questa spesa.
Se l'analisi che ho tentato di fare, molto modestamente e sommessamente, ha una sua validità, la terapia alla quale dobbiamo ricorrere - perché, certo, io sono d'accordo con i colleghi comunisti, non possiamo qui limitarci a scambi di opinione fra di noi, ma dobbiamo fare delle proposte, che non siano soltanto quelle di scaricare sulle classi lavoratrici, sulle loro organizzazioni, delle responsabilità di errori e di colpe, secondo un sistema, storicamente verificabile tutte le volte che si presenta una situazione economica pesante. I partiti di sinistra, non solo quelli che condividono le responsabilità di governo, hanno un preciso interesse e dovere ad individuare le cause della recessione, e a cercare di superarle, dato che la diminuzione delle forze occupate nel nostro Paese preoccupa più i partiti di sinistra che non, mi si consenta, l'on. La Malfa, fino a che la disoccupazione non è un fenomeno padronale ma è un fenomeno popolare. Occorre rivendicare una strategia di riforme, e rivendicare anche una strategia di comportamenti congiunturali. Anche perché gli errori che abbiamo spesso fatto sono stati quelli di parlare troppo di riforme da venire, lasciando agli altri provvedimenti congiunturali, che sono stati poi sempre orientati contro le riforme che si progettavano.
Per una politica di congiuntura, i discorsi finanziari sono d'obbligo.
Occorre dire con molta chiarezza che i discorsi che sentiamo fare in questi giorni sulla linea di austerità non solo non ci trovano consenzienti ma, se non nascondessero secondi fini, sembrerebbero delle frenesie. Ma come? Abbiamo una bilancia dei pagamenti favorevole, abbiamo risorse valutarie elevate, una liquidità bancaria eccezionale, un ritmo di aumento dei prezzi sui livelli grosso modo dei Paesi europei. Contemporaneamente, ci troviamo di fronte ad un alto tasso di disoccupazione, a consumi fiacchi, a scarsi investimenti privati, a una grossa sottoccupazione. Mettendo insieme questi elementi, non si può parlare di tirare i remi in barca, ma bisogna utilizzare questi remi per tirar fuori la barca dalla bonaccia in cui siamo. Esistono le condizioni per una politica finanziaria che dreni la liquidità del sistema, in questo modo evitando anche pressioni inflazionistiche; ma che questa liquidità non isterilisca verso destinazioni a bassa intensità di lavoro o verso realizzazioni troppo differite nel tempo. Se pensiamo che il mercato del reddito fisso dell'anno scorso ha dato 5.000 miliardi, dobbiamo dire che quest'anno esso potrà arrivare a dare 7.000 miliardi circa: questi 7.000 miliardi possono servire per portare a fondo il discorso di grandi investimenti pubblici, per le riforme settoriali, per riforme e investimenti in grado di dare alti tassi di occupazione.
Per quanto riguarda il problema (che è il più grave di questo momento) delle medie e piccole aziende, l'esigenza qui non è tanto di creare nuovi canali di indebitamento, perché abbiamo tutta una serie di crediti agevolati in questo senso. Il problema finanziario delle piccole e medie aziende è un problema che riguarda la struttura stessa delle piccole aziende, riguarda il credito normale delle piccole aziende. Dobbiamo creare degli strumenti di partecipazione pubblica, come le società finanziarie regionali; dobbiamo discutere degli interventi della GEPI. Ecco un discorso che qui non si è fatto. Io credo che gli interventi che sta facendo la GEPI in modo indifferenziato abbiano scarsa possibilità di successo se rimangono indifferenziati, ne abbiano soltanto se sono destinati a creare, come è stato fatto giustamente per la Magnadyne, delle holdings omogenee destinate ad essere coordinate in un processo logico, in un processo industriale che abbia una sua base logica.
Per quanto riguarda, infine, gli Enti locali - discorso altrettanto grave -, dobbiamo dire che la loro situazione deficitaria non deriva da sperperi di beneficenza, ma dall'assunzione che essi hanno fatto di compiti dello Stato e spesso dalla incapacità, come qui a Torino, di colpire adeguatamente la rendita fondiaria. Di fatto, oggi, gli Enti locali, ove si faccia astrazione dei mutui della Cassa Depositi e Prestiti, che sono di procedura ancora e forse sempre più lunga, fruiscono, salvo rare eccezioni di minori facilitazioni di tasso che tutta una serie di aziende. Io credo che a questo punto noi dovremmo proporre un'azione sugli istituti mutuanti che ponga gli Enti locali in condizioni di poter investire a tassi ragionevoli, gli stessi tassi, o tassi leggermente superiori, a quelli della Cassa Depositi e Prestiti.
D'altra parte, abbiamo una situazione economica locale che tende a trasferire in Piemonte tutte le difficoltà della situazione economica generale, aggravate dalla situazione particolare della nostra Regione essendo l'economia piemontese basata essenzialmente sul comparto industriale, e praticamente su due settori, quello tessile e quello meccanico la congiuntura negativa l'ha colpita più duramente che altre Regioni, per esempio più duramente che la Lombardia. In Piemonte scontiamo in questo momento i mali di sempre: la mancanza di un settore terziario robusto, in grado di assorbire l'esodo agricolo, l'incapacità prevedere, o la non volontà di prevedere, la crisi di uno dei due settori fondamentali sotto l'aspetto costituzionale, la fideistica speranza che il settore automobilistico non avrebbe mai conosciuto crisi, la mancanza di interlocutori alla politica internazionale dell'industria motrice. D'altra parte, non ci si può lamentare adesso della crisi del settore edile senza ricordare che dieci anni fa dicemmo che tipo di sviluppo dell'edilizia che si stava delineando avrebbe portato a false scelte di mercato e allo sconquasso del settore, come in realtà è stato. Infine, non ci si pu dimenticare la cospicua fuga di risparmio che si ha dalla regione più risparmiatrice d'Italia, per l'incapacità nostra stessa di drenare le risorse locali per incanalarle verso precisi investimenti. Occorre attivare immediatamente una serie di vasti investimenti pubblici, che sono sempre mancati anche nell'area torinese. Mi riferisco alla necessità di avviare investimenti infrastrutturali nel campo dei trasporti, dei servizi sociali senza attendere perennemente contributi e stanziamenti dal Governo, il quale non ce ne ha dati mai molti, ma adesso, con l'attuazione delle Regioni, avrà anche l'alibi di avere come compito quello del superamento dello squilibrio Nord-Sud, e quindi di togliere ancora al Piemonte quello che in altri tempi, sempre in misura minima, ha dato.
Se esiste una possibilità di risparmio, come esiste, occorre trovare la possibilità di utilizzarlo anche attraverso strumenti finanziari nuovi e di carattere imprenditoriale, ai quali è stato anche accennato, seppure in modo insufficiente, nella relazione della Giunta.
Nel settore industriale, accettando ormai una certa innegabilità della crisi del settore tessile, occorre individuare settori di sviluppo nuovi che possono essere non alternativi ma nemmeno complementari all'industria meccanica, ma che abbiano qui, in Piemonte, possibilità di acquisizione di quadri e possibilità di assunzione di aziende già esistenti. Non è un mistero che noi stiamo pensando al settore elettronico come uno dei settori fondamentali del nostro Paese, che deve trovare in Piemonte, proprio perch in Piemonte esiste già una certa situazione di base, e a livello di quadri e a livello di strutture esistenti, una larga possibilità di affermazione.
Noi crediamo che occorre trovare, ripeto, non un'alternativa né una complementarità, ma una seconda grande localizzazione industriale in Piemonte, oltre a quella meccanica e automobilistica, che può essere data dal settore elettronico. Su questo vorremmo il parere della Giunta, su questo vorremmo incentrare la nostra discussione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, partirò da una constatazione che credo possa trovarci tutti d'accordo, essendo estremamente ovvia.
L'economia piemontese non è certamente circoscrivibile in un ambito regionale, come non lo è alcuna economia, ma per alcune regioni particolari di maggiore evidenza rispetto ad altre situazioni economiche regionali.
L'economia piemontese, come emerge anche dalle consultazioni e dalla relazione elaborata dalla Giunta, è un'economia strettamente dominata dall'industria, e da un particolare tipo di industria, che non solo supera l'ambito regionale, supera largamente l'ambito nazionale, ha delle caratteristiche di fondo che sono principalmente trans-nazionali. Alcune grandi industrie piemontesi sono caratterizzate da un forte interscambio con l'estero, in altre vi è una crescente presenza di capitale straniero.
Le imprese motrici, identificate negli studi del Comitato regionale della programmazione e negli studi dell'Ires, sono imprese motrici di carattere trans-nazionale. E anche la piccola e la media impresa che ha dimensioni più marcatamente locali è in gran parte subordinata alle scelte, alle logiche, agli sviluppi di queste grandi imprese. Quindi, per fare una politica di programmazione di carattere economico occorrerebbe quanto meno avere dei collegamenti di programmazione a livello di comunità economica europea. Viceversa, come dichiarava poco fa il collega Nesi, la programmazione non ha funzionato neppure a livello nazionale.
Credo non sia necessario citare particolari dati sul divario che vi è stato fra gli obiettivi e i risultati della programmazione in Italia, così come si è svolta finora. I grandi obiettivi, che non erano neppure stati inventati dal primo programma quinquennale fra il '66 e il '70 ma risalivano alla celebre nota introduttiva di La Malfa del '62 ed anzi, se vogliamo andare a ripercorrere questa vicenda, addirittura ai primi schemi programmatori di Vanoni del '51, sono ancora degli obiettivi, cioè sono ancora delle finalità non conseguite.
Così, non è stato conseguito a livello nazionale il pieno impiego della forza di lavoro, non solo perché esistono situazioni di disoccupazione e di sotto-occupazione, ma perché vi è un dato, che le statistiche ufficiali tendono a porre in scarso rilievo, e che è invece di grande importanza cioè il tasso eccezionalmente basso della popolazione attiva in Italia rispetto a quella degli altri grandi sistemi industriali. Non solo Paesi sviluppati ma anche Paesi Mediterranei come la Spagna e la Grecia hanno un tasso di popolazione occupata superiore al nostro. Neppure è stato raggiunto il secondo grande obiettivo, quelle della riduzione degli squilibri, sia settoriali sia territoriali. Su questi ultimi ieri il collega Furia, usando un termine forse scarsamente consiliare, ha parlato mi pare, di un modo folle di vedere il problema dei divari fra il Nord e il Sud; sono d'accordo con il collega Furia che sarebbe certamente una idiozia sostenere che prima di occuparsi del Sud noi dovremmo aver risolto tutti i problemi del Nord, perché è chiaro che questo non è logicamente possibile.
Ma così pure non credo sia giusto ritenere, come forse qualcuno ritiene che il meccanismo di disincentivazione del Nord possa essere di diretto aiuto alla incentivazione del Sud. Questo è un dibattito che abbiamo già avuto occasione di fare altre volte; ci torneremo, probabilmente con maggior precisione, in successive occasioni; ma è chiaro dallo sviluppo economico degli ultimi tempi che ciò che non funziona, il fattore di rallentamento, non consiste in un Nord che va troppo forte, bensì in un Sud che va troppo piano. Il problema è essenzialmente questo: di far camminare nella sua totalità lo sviluppo economico italiano ad una maggiore velocità.
Il problema del Meridione, del divario fra Nord e Sud, è certamente un problema non regionale, non interregionale, ma nazionale, ed anzi, anche questo, ormai sopranazionale; un problema che deve essere anch'esso affrontato a livello di politica economica comunitaria ed europea. Da questo punto di vista devo dire di aver avuto un'impressione positiva da alcuni incontri che anche come partito vi sono stati in queste settimane con le organizzazioni sindacali dei lavoratori: ho potuto constatare che non tutti i dirigenti sindacali propongono oggi il ricorso a forme tendenzialmente autarchiche come tipo di politica economica che possa portare allo sviluppo della domanda interna. Non tutti i dirigenti sindacali si associano al discorso del ritorno dell'autarchia in forme surrettizie, che sta avendo un certo sviluppo anche in sedi nelle quali ci sembrerebbe inimmaginabile. Certamente, anche l'alternativa fra scelta meridionalistica e scelta europeistica è una falsa alternativa.
Il terzo obiettivo di programmazione che non è stato conseguito è quello di una più adeguata ripartizione delle risorse, tendente a soddisfare i bisogni collettivi: vale a dire, non si è realizzata la strategia delle grandi riforme.
Tutto questo ci porta ad una considerazione pessimistica, perché se questi obiettivi di programmazione non sono stati raggiunti quando il tasso di sviluppo era notevolmente elevato è ancora più difficile che possano essere conseguiti negli anni prossimi e nel periodo presente, visto che almeno per il biennio '71 - '72 il tasso di sviluppo sarà sicuramente molto inferiore alle due stime indicate dal disegno programmatico del '71 - '75 non solo la stima alta del 6 per cento ma anche la stima bassa del 5 per cento è una stima che purtroppo non corrisponderà sicuramente allo sviluppo reale.
Occorre anche dire che questo secondo programma quinquennale, dal '71 al '75, al quale il Governo e il Parlamento si stanno accingendo, avrà una frattura grave di carattere politico, perché cadrà fra due legislature: se la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale, essa verrà a interrompere il piano solo a metà, se lo scioglimento delle Camere dovesse essere anticipato lo interromperà ad un terzo. Certo, questo pone un problema di carattere legislativo; quello di vedere se non sia possibile sincronizzare i quinquenni parlamentari con i quinquenni di pianificazione perché se la pianificazione deve avere una sua logica è estremamente difficile che questa logica si mantenga costante con legislature parlamentari diverse. D'altra parte, al di sopra di questo vi è una ragione non più legislativa ma strettamente politica: un requisito della programmazione democratica è senza dubbio quello di una certa stabilita politica, di una certa continuità ed efficacia dell'azione di governo, per cui qualsiasi politica di programmazione non è concretamente realizzabile se il Governo non ha su un arco di tempo abbastanza esteso la possibilità di svolgere un'azione continuativa ed efficiente.
Sono d'accordo con quanto è stato detto poc'anzi dal collega Nesi, cioè sulla scarsa efficacia che ai fini della situazione economica nazionale e regionale hanno avuto i "decretoni" del '68 e del '70. Questo dimostra, a nostro avviso, che la recessione di cui ci stiamo occupando non si pu risolvere unicamente con provvedimenti di carattere congiunturale: occorre che intervengano modifiche strutturali e che siano garantiti determinati presupposti istituzionali e politici.
Occorrerebbe, in primo luogo - e su questo mi pare che tutti siano almeno verbalmente d'accordo -, garantire un certo rilancio degli investimenti produttivi; ciò richiede anche che sia superato lo squilibrio di trattamento oggi esistente fra l'imprenditoria pubblica e l'imprenditoria privata, recentemente denunciato dal Governatore della Banca d'Italia, al quale ha fatto ieri un accenno il collega Rossotto. In secondo luogo, occorrerebbe dare all'amministrazione pubblica un'efficienza che essa non ha; perché l'amministrazione pubblica è essa stessa, oggi un settore non programmato ed evidentemente costituisce un freno per tutto lo sviluppo del Paese. Va anche detto - e anche su questo abbiamo avuto occasione di discutere più volte - che molti dei guasti che si addebitano alla logica dello sviluppo privato sono invece guasti che discendono nella realtà da una mancanza di intervento pubblico. La situazione dell'area metropolitana torinese è un caso molto evidente di questo genere.
Infine, bisognerebbe avere - come ha più volte detto nelle sue allocuzioni l'on. La Malfa - il coraggio di dire la verità al Paese sulle riforme che si possono fare. Io credo che gli obiettivi delle riforme sociali non siano obiettivi che dividono le forze politiche, perché sono in qualche misura condivisi da tutti: certamente, bisogna essere realisti nell'ambito delle riforme che si vogliono e che si possono fare. Credo ad esempio che né il sistema economico né il sistema politico reggerebbero oggi ad una politica di riforme tendenti, come si dice, a rovesciare il sistema; credo invece che sarebbe possibile trovare una larga convergenza politica su un piano di riforme tendenti a trasformare il sistema senza rovesciarlo. Ora, perché si arrivi ad un riformismo realistico occorrerebbe, come dicevo, che la classe di governo incominciasse con il dire la verità sulle situazioni. A mio avviso, ad esempio, il modo in cui si impostano i bilanci preventivi dello Stato non è un modo di dire la verità: i bilanci preventivi dello Stato, sebbene siano costituiti di cifre e di tabelle, sono fra i documenti più ideologici e più letterari, nel senso deteriore della parola, che la letteratura politica oggi ci presenti basti pensare che il bilancio dello Stato per il 1970, che prevedeva un disavanzo di 1.800 miliardi, si è chiuso con un deficit reale di 3.200, di cui almeno 100 miliardi, secondo la Corte dei Conti, non presentano una giustificazione legittima. E il divario che c'è stato fra spese previste e spese effettuate si è riprodotto - cosa abbastanza nuova - anche nelle entrate. E' noto che nel '71 le entrate sono state inferiori alle previsioni di 1.000 miliardi e per il '72 dovremo fare i conti con un aumento del reddito o inesistente o scarsissimo, e con l'entrata in vigore della riforma tributaria. In queste condizioni, prevedere, come fanno gli uffici del Piano, che le entrate tributarie possano espandersi nel '72 del 22 per cento è un altro modo di non dire la verità al Paese.
Questo tema, fare le riforme che razionalizzano il sistema - e ho visto che alcuni scrittori socialisti hanno recentemente dato il loro consenso a questo modo di intendere la strategia delle riforme -, credo sia uno dei temi principali con cui ci si deve confrontare con le organizzazioni sindacali dei lavoratori. Quando vi è stata qui una riunione della Giunta Regionale con le organizzazioni regionali dei lavoratori, alla quale han fatto seguito la presentazione di un documento, e poi incontri separati con i singoli partiti, noi abbiamo visto ripetuto nei documenti delle organizzazioni sindacali un obiettivo programmatico: quello di mutare radicalmente il tipo di sviluppo in atto. Credo che nel porsi questo obiettivo le organizzazioni sindacali dei lavoratori nel presente momento cadano in un difetto di astrattezza (non dò un giudizio di merito sul fatto che questo sistema debba essere trasformato o radicalmente mutato) astrattezza che giustifica poi quella strana posizione, per cui i sindacati identificano oggi non più una controparte ma due. Nel documento delle organizzazioni sindacali si legge infatti che il sindacato agisce nei confronti di due controparti: il padronato (è ovvio, il padronato, come si dice in termine ottocentesco, è la controparte dei lavoratori nella logica della dialettica degli interessi) e il potere pubblico (gli organi pubblici, la classe elettiva, le forze politiche nel loro complesso). I sindacati, dunque, individuano nel potere pubblico una controparte; e sebbene nella presente democrazia le organizzazioni popolari abbiano una certo non piccola possibilità di rappresentanza.
Se da queste considerazioni di carattere generale, forse anche piuttosto generico, si viene alla situazione regionale, si trovano aggravati, in una Regione che peraltro ha una situazione generale molto favorevole rispetto alla media delle situazioni regionali italiane, alcuni fatti, che oggi certamente rischiano di mettere in grave crisi l'occupazione nella Regione. Vi è un esodo di mano d'opera dall'agricoltura che si è accelerato (credo abbia superato già oggi le stime che si facevano riferite al 1975 da parte del Governo); vi è un settore terziario che soprattutto in Piemonte ha un'espansione troppo ridotta e troppo lenta; e vi è la crisi industriale, che dall'edilizio e dal tessile si sta diffondendo in altri settori, soprattutto in quelli della piccola e media impresa. Su questo la Regione deve proporre una sua linea di intervento, a mio avviso dovrebbe per esempio porsi in maniere molto concrete il problema degli strumenti che possano integrare i salari in caso di disoccupazione e di sotto-occupazione, collegato ad una politica di riqualificazione professionale che serva a dare nuovi sbocchi alla mano d'opera dei settori in crisi e a garantire quella mobilità delle forze di lavoro senza la quale il posto di lavoro non può, ad un certo limite, essere convenientemente tutelato. Se non c'è, in un sistema come il nostro, una certa possibilità che la forza di lavoro abbia una sua mobilità, e quindi una sua capacità di rapida riconversione dal punto di vista delle attitudini professionali, noi rischiamo di trovarci di fronte ad una serie di situazioni bloccate contro le quali è vano invocare l'intervento dei ministri, del Governo, degli enti pubblici che dovrebbero intervenire ogni volta ad acquistare aziende in situazioni economiche compromesse.
Da questo punto di vista, il documento della Giunta è effettivamente piuttosto scarso di proposte di carattere operativo, e devo dire che a mio avviso queste non sono state numerose neppure nei dibattiti di ieri ed oggi. Non darò, per parte mia, un contributo a migliorare la situazione, ma vorrei richiedere alla Giunta alcune precisazioni: la prima è se la Giunta sia favorevole alla proposta che mi pare sia stata fatta dall'Assessore comunale Fantino per la costituzione di una Consulta regionale per i problemi sociali e del lavoro articolata per province. Questa visione di una consulta in cui le forze sociali possano confrontarsi e possano avere un rapporto sistematico con i poteri locali era già sostenuta in fase di elaborazione dello Statuto dal Gruppo liberale, ma era stata lasciata cadere: a me pare che il riproporla in forme non istituzionalizzate sia un'idea che meriti considerazione.
Per quanto riguarda lo strumento operativo, l'unica proposta emersa dalle consultazioni che ci sono state, dal documento della Giunta e anche dal dibattito è quella della Finanziaria pubblica regionale, in merito occorre però arrivare ad una precisazione più esatta di quello che si vuole fare e di quello che si può fare. Se ho ben capito le intenzioni più correnti, si tratterebbe di istituire uno strumento che dia agevolazioni alle piccole e medie imprese, oggetto di paterne preoccupazioni anche da parte del Gruppo comunista (evidentemente si tratta di un comunismo atipico, all'emiliana, ma lascio al partito comunista il problema di risolversi i propri problemi dottrinari, che evidentemente non mi riguardano).
Indubbiamente, l'intento di promuovere una politica di agevolazione delle piccole e medie imprese non può essere, di per se stesso, oggetto di critiche o di opposizione: si tratta di vedere i modi. Mi pare che il documento della Giunta dia una prima indicazione positiva quando precisa che questa Finanziaria dovrebbe avere compiti di promozione e di sviluppo e non di salvataggio; sebbene una Finanziaria che in qualche modo istituisca una specie di duplicazione degli enti di gestione industriale a livello regionale difficilmente potrebbe, a mio avviso, sfuggire all'ingrato compito di condurre poi proprio delle operazioni di salvataggio nei confronti di imprese poco efficienti, poco redditizie, e finirebbe quindi con il perpetuare situazioni diseconomiche. I precedenti che vi sono in Italia in questo senso sono, come tutti sappiamo, estremamente scoraggianti. Non parliamo dell'Ente di sviluppo industriale della Regione siciliana, che, in base ad un recente studio che ho visto citato anche su "La Stampa" di questa mattina, presenta un disavanzo annuo pari mediamente al 40 per cento dell'ammontare del valore prodotto, sicché è stato calcolato che la Regione siciliana risparmierebbe se chiudesse tutte le aziende che dipendono dall'ESPI e passasse a ciascuno dei loro dipendenti una pensione mensile di 150.000 lire. Questi sono dati tratti dai bilanci non certo invenzioni giornalistiche. Ma anche le altre Società finanziarie regionali, la stessa Friulia, pare si trovino in non lievi difficoltà nello svolgere una politica industriale a livello regionale: il livello regionale non è un livello molto adatto per fare una politica industriale, e lo stesso costituente ebbe qualche perplessità in proposito, evidentemente dal momento che non incluse l'industria fra le materie attribuite alla competenza della Regione. Per cui vi è anche da porsi il problema non solo dal punto di vista economico ma dal punto di vista costituzionale della competenza delle Regioni a statuto ordinario a promuovere interventi diretti in questo senso. Le finanziarie che oggi esistono, come la Friulia o la Finanziaria sardo siciliana, si avvalgono evidentemente del molto più largo ambito di potestà che è riconosciuto dalle autonomie speciali.
Dicevo che a mio avviso è pericoloso riprodurre a livello regionale il sistema delle partecipazioni statali e che molto più utile potrebbe essere questa è la nostra prima indicazione, in attesa di un dibattito e di uno studio più approfondito - la funzione di una finanziaria regionale pubblica la quale non si assumesse il compito di salvare iniziative imprenditoriali che non hanno prospettive di redditività ma costituisse invece occasioni di imprenditorialità e operasse per renderle socialmente corrette; vale a dire, una finanziaria regionale pubblica che esercitasse un intervento tale da supplire alla carenza di intervento degli Enti locali, per la creazione di tutte quelle infrastrutture che richiedono un forte apporto finanziario e che d'altra parte possono avere un pagamento corrispettivo; tutte quelle infrastrutture che non sono di uso gratuito.
Ciò non esclude che la Regione, se avrà i mezzi finanziari e giuridici per farlo, possa portare sollecitamente all'attenzione del Consiglio iniziative anche nel campo delle agevolazioni creditizie, tenendo per presente che, in fondo, se si tratta di aprire possibilità di credito ad aziende che difficilmente lo potrebbero ottenere tramite i canali normali questo presuppone la potenzialità di rimborsare i crediti che riceveranno ancorché agevolati, per cui questa politica ha buone probabilità di successo in tempi di sviluppo economico e serie possibilità di insuccesso in periodi di recessione come quello che stiamo attraversando.
Credo che, dal punto di vista della gestione regionale della politica economica, non ci si possa limitare a quello che la Regione ha fatto finora. Sono state proposte su tutti i settori in crisi, su tutti i problemi aperti, conferenze, indagini, studi, consultazioni, convegni: siamo convinti della perfetta legittimità ed anche utilità di tutto questo purché non lo si confonda con un modo di risolvere i problemi, mentre è solo un modo di impostarne la discussione e l'esame in sede preliminare non è certo con le conferenze e le indagini che si risolvono i problemi dell'economia regionale. D'altra parte, credo non sia neppure una conduzione del tutto accettabile, anche se non ne disconosciamo i meriti ed i sacrifici, quella che finora la Giunta Regionale ha respinto inviando i propri Assessori in peregrinazione dall'uno all'altro ministro e dall'uno all'altro ente romano per trovare qualcuno che acquisti le aziende in difficoltà.
Se da questo dibattito e dalle ulteriori iniziative della Giunta verranno proposte concrete, che valgano a dare un apporto positivo al superamento della crisi economica e industriale in corso, certamente non mancherà la collaborazione del Gruppo liberale per il superamento di una fase recessiva peraltro dipendente da cause che passano sopra la nostra testa.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare, per illustrare la posizione del suo Gruppo, il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io sono un cultore di una certa storia recente e vi dico francamente che uno degli argomenti che più mi appassiona è quello della guerra civile spagnola. Posso dire che attingo a testi ineccepibili: per esempio il testo di Costancia de la Mora. Dico questo perché quando li leggo (e li rileggo spesso) trovo un'affermazione che è ricorsa in queste settimane d'indagine fatte per accertare la situazione economica del Piemonte Dice Costancia de la Mora che nei momenti tragici dell'anno 1938, nel momento in cui la svolta verificatasi con l'offensiva franchista minacciava direttamente la Catalogna, il primo ministro Negrin aveva una sola preoccupazione, quella di poter resistere di tener duro fintanto che scoppiasse la seconda guerra mondiale In quel caso la risoluzione della vicenda spagnola sarebbe stata demandata alla soluzione di un ben più vasto problema.
Ho fatto questo paragone non per fare il saccente, ma perché l'ho trovato sempre rispondente ad una preoccupazione che si è verificata in me ogni volta che mi sono trovato ad affrontare questi temi nelle consultazioni che abbiamo tenuto. Noi oggi dobbiamo affrontare una crisi immediata nella prospettiva della risoluzione di linea generale, di cui purtroppo non si vedono ancora i principi e i criteri. Solo, se correttamente risolta, noi daremo una soluzione a lungo termine del problema del nostro Piemonte. Ma i problemi a breve termine incalzano, come la crisi delle piccole e medie industrie. Io mi ricordo di avere suscitato le reazioni abbastanza violente dei sindacati quando ho detto loro, con estrema franchezza, che di fronte alla situazione che dovevamo affrontare (noi se vi ricordate eravamo partiti proprio per analizzare le questioni della piccola e media industria) mi trovavo di fronte all'enunciazione di grandi piani, di grandi schemi, ma mi trovavo nelle condizioni (cito una frase che forse fu male interpretata) di quel tale che avendo una piccola crisi di coscienza si sente leggere per intero il Vangelo da parte del proprio interlocutore. Il che non significa che non ci fosse una valutazione negativa nel piano proposto dai sindacati, significava soltanto avere la percezione di un'urgenza immediata che la grande valutazione, la grande discussione, il grande impegno a cui oggi si accinge tutta l'Italia e sul quale oltre tutto entra in crisi l'intera nazione, rappresentava una diversità di momenti di cui il primo non era certamente inferiore al secondo.
Ebbene, io credo che siano stati riproposti, durante questo dibattito gli stessi motivi che creano una divaricazione fra queste due impostazioni per cui è stato consentito ad alcuni degli intervenuti di dare un attacco molto duro alla relazione della Giunta, considerata come un pannicello caldo, o addirittura priva di proposte e di contenuti, dove invece si vorrebbe che contenesse grandi visioni strategiche, visioni che non avevano la propria concreta espressione, nella sede che abbiamo scelto per dibattere il problema della piccola e media industria. D'altra parte avendo sentito nell'interessantissimo intervento del collega Furia, le proposte del partito comunista (proposte che del resto i sindacati mi pare assecondino, o comunque trovino una notevole concordanza), non ho trovato elementi di concreta ed immediata attuazione là dove non si vogliono riconoscere in questi criteri di immediato intervento le proposte di convegni settoriali per una conoscenza più approfondita di una realtà che come diceva Zanone, ci è già molto nota e per la quale ormai è tempo di ricorrere a soluzioni e a provvedimenti.
Credo che il discorso non dei tempi lunghi, ma del contesto generale nell'ambito del quale si debba verificare come è possibile modificare strutturalmente l'indirizzo dello sviluppo economico in Italia, non ci esime in questo momento dal considerare l'urgenza di determinati problemi urgenza che tutti i giorni si può dire, quando si riunisce il nostro Consiglio, quando ci troviamo riuniti in Giunta, si fa sentire con la presenza dei lavoratori che segnalano la minaccia di licenziamento, che segnalano situazioni anormali nella conduzione delle loro imprese e che ne denunciano anche le cattive gestioni: il che dimostra che anche la piccola e media classe imprenditoriale è una classe capace per i tempi facili, ma non sufficientemente adeguata per i tempi difficili.
Cito anche un caso della mia provincia: una piccola industria che fabbrica delle scatolette spray, entra in crisi all'improvviso e minaccia di licenziamento tutti gli operai. I motivi sono conseguenti alla crisi della Oreal di Torino, ma conseguenti anche ad una valutazione dell'utile che il proprietario della fabbrica fa e che lo induce a ricercare investimenti e soluzioni altrove, senza preoccuparsi di ciò che invece è sempre stato presente alla Regione che deve tuttora rimanere presente, cioè il tragico problema occupazionale.
D'altra parte non possiamo prospettarci risoluzioni e dibattiti che si protraggono nei mesi, in attesa di soluzioni nazionali con le quali siamo strettamente collegati, senza ignorare il dramma dei lavoratori licenziati o sospesi. Non possiamo riprendere discorsi e valutazioni di ordine strettamente politico e a responsabilità assunte nel passato, anche se ci rendiamo conto che lo scontro che si è verificato negli ultimi anni in Italia, solo parzialmente, tendeva o ha teso alla modifica di determinati rapporti dello sviluppo economico: è stata condotta sì una lotta per la modifica dello sviluppo, ma sempre pronta a determinare condizioni che trasformassero la dirigenza politica italiana e creassero situazioni nuove nell'ambito delle quali sappiamo quali binari seguirebbe lo sviluppo economico.
Non parlerò della conflittualità permanente che mi sembra un argomento ritrito, di scarso significato, parlerò semplicemente delle cose concrete che oggi la Giunta propone per avviare a soluzione questi problemi. E' evidente che nella relazione della Giunta sono contenute considerazioni di fondo pratiche, obiettive di ciò che oggi la Regione può fare e sono le sole proposte concrete che possono realmente impedire che la situazione di crisi del Piemonte peggiori. Ha ragione il Capogruppo del partito socialista Nesi quando parla di industrie differenziate che devono essere portate in Piemonte; ma queste, come quella elettronica, sono industrie di prospettive, non certo di attualità e quindi investono problemi per tempi non brevi, e io sono sempre preoccupato di quelli che maturano in questo momento.
C'è anche la questione del rapporto tra il Nord e il Sud e io credo che sotto questo profilo non dovremmo dire cose molto diverse da quelle che dicemmo all'epoca in cui parlammo della legge sul Mezzogiorno. E' evidente che c'è il grosso problema dell'industrializzazione meridionale, la quale è entrata in crisi non tanto per la mancata volontà politica da parte del governo, e neanche per volontà determinata da parte dei gruppi che oggi detengono i poteri economici in Italia, ma è entrata in crisi nel momento in cui una corretta, obiettiva localizzazione di industrie nel sud non pu non essere concepita se non nell'ambito di una predisposizione industriale che si espanda in quei settori del terzo mondo africano e del vicino oriente, i quali sono oggi, purtroppo, nostri competitori. Tutto ciò ha spinto, anche per motivi evidenti di profitto, a concentrare le grandi iniziative nei settori che già operano e che hanno prospettive diverse. Ma il problema del sud lo dobbiamo affrontare nel momento in cui si inserisce nel contesto generale dei programmi e della nostra programmazione, che a modo mio di vedere non è fallita come programmazione-invito, non può e non deve fallire se diventa una programmazione chiaramente guidata, non nel senso dirigistico, non nel senso vessatorio, ma che faciliti, che consenta degli sviluppi che possano essere ammessi nel contesto della visione che si ha del futuro economico del Paese. E' evidente che in Piemonte ci sono state situazioni che ci sono sfuggite e ci sfuggono tuttora di mano possiamo dire di non avere mancato di esercitare la sola pressione che potevamo esercitare, quella politica che in realtà però è stata semplicemente una presa di posizione dopo che certi avvenimenti si sono verificati e tuttora non abbiamo gli strumenti idonei per intervenire.
Potremo intervenire nell'ambito di ciò che ci è consentito e questo è già un discorso fattibile per quel che riguarda le localizzazioni degli insediamenti abitativi, settore nel quale già siamo in grado di operare per altri dobbiamo operare nell'ambito della legge; dobbiamo soprattutto accelerare i tempi della programmazione regionale, la quale si inserisce nel quadro della programmazione nazionale e che io penso debba essere disgiunta dalla caratteristica del progetto pilota per l'area metropolitana di Torino. Se noi concepissimo la programmazione regionale soltanto ai fini dell'area metropolitana di Torino, perdendo di vista il quadro generale (e mi pare anzi che si siano già avviati passi in questa direzione) non darebbe i risultati che noi ricerchiamo.
Ma veniamo ancora alla relazione della Giunta, che è stata definita inconsistente. In realtà ha fatto le sole proposte concrete possibili senza preoccuparsi di definire la grande strategia di piano. Forse è mancato l'accento sul possibile intervento della Finanziaria pubblica. Ritengo che in questo Consiglio Regionale ci siano delle menti finanziarie (mi riferisco al Presidente della Giunta e ad altri validissimi collaboratori del Consiglio) per le quali l'aprire il discorso sulla Finanziaria regionale e sui suoi eventuali interventi può essere estremamente facile ma non possiamo concepire una Finanziaria regionale avulsa dalle possibilità di intervento immediato nel settore dell'industria in crisi.
Direi, al limite di una battuta, che se riuscissimo a costituire oggi, in Piemonte, una Cassa depositi e prestiti in grado di attingere al credito delle grandi banche dispensando questo tipo di credito a tassi agevolati potremmo mettere in movimento tutto il meccanismo di quelle opere pubbliche infrastrutturali a cui faceva riferimento il collega Zanone contribuendo a ridurre la pressione della crisi economica.
Quanto alla spesa pubblica ho ascoltato con estrema attenzione e preoccupazione ciò che ha riferito il collega Gandolfi. In realtà non abbiamo discusso molto su questa che è una tesi tipica repubblicana e che oggi è quella attorno a cui, tutto sommato, ruota la crisi generale in Italia, anche di carattere politico E' evidente che la spesa pubblica ha dimostrato e sta dimostrando delle carenze straordinarie negli interventi massicci, soprattutto negli interventi accelerati ed immediati. Lo verifichiamo oggi stesso nell'applicazione della legge sulla casa perché ci rendiamo conto, man mano che attingiamo notizie romane, che anche quei fondi che avevamo ritenuto possibili per la nostra Regione, pur nella modestia delle previsioni, rappresenteranno un plafond difficilmente raggiungibile, ed è evidente che non è con la cifra di 60 o 70 miliardi che si può pensare di risolvere il problema della casa e di intervenire rapidamente per andare incontro alla crisi del settore edile.
Concludendo, ho voluto fare questo intervento per valutare i due aspetti, e se la Giunta ha deluso qualcuno degli interlocutori perché non è intervenuta sulla grande strategia di piano, ciò non vuol dire né che la Giunta è assente dalla valutazione di questa strategia, né che manca di volontà politica per contribuire, con tutte le forze attive, nell'ambito delle sue competenze, alla risoluzione anche di questi problemi; essa ha voluto dare le indicazioni emerse durante le consultazioni per la risoluzione immediata di alcune questioni, risoluzione immediata che si riferisce a quel fondo che si deve costituire per alleviare le piccole e medie industrie nella presentazione di garanzie e dai rischi e all'utilizzazione della Finanziaria regionale nei confronti della quale credo che la Giunta debba accelerare i tempi perché se è vero, come è vero che il divario tra impieghi e depositi sta aumentando notevolmente, che esistono considerevoli posizioni di risparmio nelle nostre province abbiamo il dovere di esperire a livello finanziario tutti quei provvedimenti che permettano il movimento di questo denaro, ma non per puntellare situazioni che non sono più sostenibili, bensì per attuare quella caratteristica promozionale nell'ambito della quale può essere effettivamente valutata la diversificazione del tipo industriale che oggi rappresenta uno dei problemi grossi della nostra Regione.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Non ho altri iscritti a parlare per i Gruppi se non il Consigliere Minucci che è assente giustificato e che riteneva di poter parlare nel pomeriggio. Potremmo allora forse procedere in questo modo, per facilitare anche la continuazione e l'esaurimento del nostro o.d.g.: inizierebbero le repliche della Giunta, la quale intende far parlare, a complemento della relazione Petrini, l'Assessore Paganelli, quindi l'Assessore Petrini e per ultimo anche il Presidente della Giunta. Potremmo sentire stamattina gli Assessori Paganelli e Petrini, all'inizio della seduta pomeridiana potremmo chiudere la discussione generale con l'intervento del Consigliere Minucci (che io stesso pregherò, dato che è il primo firmatario della mozione sulla Fiat, di illustrare in pari tempo questo documento) in modo che, chiuso il dibattito, con o senza approvazione di ordini del giorno, con la replica del Presidente della Giunta, si possa passare alla questione Fiat per cui oltre all'illustrazione della mozione, chiunque ritenga di intervenire possa farlo e si proceda poi alla chiusura del dibattito Fiat con l'accoglimento o meno della mozione che è stata presentata.
Quindi, questa mattina sentiamo ancora l'inizio delle repliche con gli Assessori Paganelli e Petrini; oggi pomeriggio chiudiamo la discussione generale con l'intervento di Minucci e con la replica del Presidente della Giunta.
Mi scuso con il Consiglio se incrocio in questo modo le varie procedure, però mi sembra indispensabile, dato l'o.d.g. estremamente compendioso che ancora abbiamo da esaurire (c'é infatti anche il problema dello Statuto dell'Ires che dovrebbe essere esaminato fra oggi e domani possibilmente oggi). Sono quindi stato costretto ad usare questa procedura un po' eterodossa, che però ha trovato il consenso delle varie parti interessate, il che ci consente di procedere più celermente nei nostri lavori, senza pregiudicare la chiarezza.
Ha facoltà di parlare l'Assessore Paganelli.


Argomento: Interventi a favore dell'economia - normative organiche nei vari settori - Ristrutturazione industriale

Relazione della Giunta Regionale sulla situazione economica regionale industriale in particolare, all'inizio del 1972 - Discussione ed eventuali deliberazioni (seguito)


PAGANELLI Ettore, Assessore alla programmazione e al bilancio

Signor Presidente, signori Consiglieri, poiché la mia non è una replica, (questa spetta soprattutto al collega Petrini e al Presidente della Giunta) penso possa benissimo innestarsi a questo punto della discussione, onde consentire il successivo intervento del collega Minucci momentaneamente assente.
Il mio è un intervento che si articola in due parti: alcune considerazioni in riferimento al documento e un'ampia relazione dell'incontro avvenuto a Milano con la Montedison, relazione che ritengo doverosa verso il Consiglio che ci aveva dato questo mandato e opportuno stante il fatto che ancora in questi giorni anche i giornali parlano dell'argomento.
Dalla relazione predisposta dall'Assessore all'industria, come dal dibattito che su di essa si è sviluppato, emerge chiaramente la necessità e la volontà d'inserire questo esame della situazione congiunturale e l'individuazione delle opportune forme d'intervento della Regione in una decisa ripresa operativa della politica di programmazione a livello regionale.
Perché questo rilancio della programmazione possa avvenire e sia in grado d'incidere in modo sostanziale sulla dinamica socio-economica piemontese, è indispensabile una piena conoscenza ed una rigorosa analisi della situazione attuale, per evitare che si produca ancora una volta quella negativa scissione tra la politica economica di breve periodo e quella di medio-lungo periodo, tre interventi rivolti alla congiuntura ed interventi finalizzati alla struttura economica, che, com'è dimostrato dall'esperienza, vanifica la programmazione, rende impossibile controllare lo sviluppo dell'economia ed in definitiva quindi rende precaria ed illusoria la stessa politica congiunturale.
La gravità della situazione economica piemontese è emersa in tutta la sua portata negli incontri che abbiamo avuto a livello provinciale ed è fedelmente registrata nella relazione presentata al Consiglio.
L'incidenza della recessione sull'economia della nostra regione rispetto alle altre regioni italiane, risulta particolarmente rilevante come è evidenziato da un esame comparato degli indicatori congiunturali.
Le ore integrate nell'industria, per il periodo gennaio-ottobre '71, in Piemonte sono state 30.883.000, pari a circa il 18% del totale nazionale quando la nostra regione concorre per il 14% alla formazione del valore aggiunto nazionale del settore industriale.
Rispetto al 1970 gli interventi della Cassa integrazione guadagni dell'industria, sono aumentati nella regione del 481,4%, l'incremento massimo che si sia verificato in tutto il paese: in Lombardia le ore integrate sono salite del 397% in Liguria del 146%, in Veneto del 203%, in Emilia-Romagna del 78,3%; la media nazionale segna un incremento rilevante di ore integrate, 198,2%, ben lontano però dal livello piemontese.
La particolare gravità della crisi congiunturale in Piemonte è motivata sia dall'elevato grado di industrializzazione della nostra Regione, sia dal peso che in essa ha il settore tessile che risulta tra i più colpiti.
La fase recessiva in cui è entrata l'economia italiana da un anno a questa parte non può per altro essere interpretata in termini meramente congiunturali, ma deve essere ricondotta agli squilibri strutturali che hanno caratterizzato lo sviluppo economico degli ultimi venti anni.
Una linea di ripresa deve quindi partire dalla situazione congiunturale ma essere indirizzata a rimuovere gli elementi di fondo, strutturali, che gravano sul nostro sistema economico: il divario tra Nord e Sud, tra settori avanzati e settori tecnologicamente arretrati, le strozzature presenti nell'apparato produttivo, il permanere di situazioni di rendita parassitaria, una struttura dei consumi squilibrata a danno dei consumi sociali.
Nella misura in cui la recessione si manifesta con una caduta della domanda, in particolare quella per investimenti, la ripresa passa anzitutto attraverso un rilancio della domanda pubblica, per investimenti e per lo sviluppo degli impieghi sociali del reddito.
E' da notare che questa linea di azione congiunturale viene a coincidere in larga misura con la politica delle riforme, che si fonda appunto sull'espansione degli impieghi sociali delle risorse: la coincidenza non è però totale perché le riforme richiedono mutamenti di assetto istituzionale - si pensi alla sicurezza sociale ed alla sanità - e profonde trasformazioni della stessa struttura produttiva.
Perché si abbia una piena corrispondenza ed unità tra questi due momenti della politica economica s'impone la rapida definizione del quadro programmatorio cui possano e debbano riferirsi i vari interventi.
Se questo non avvenisse, se cioè la politica di piano non riuscirà a tradursi in termini operativi, le riforme perderebbero il loro significato e non avrebbero capacità d'influenza ai fini di provvedere al controllo ed alla regolazione dello sviluppo economico: tornerebbero allora a riproporsi a scadenze sempre più ravvicinate gli squilibri congiunturali propri di quella dinamica di fasi cicliche di ripresa e di crisi, che ha segnato gli anni '60.
In qual modo la Regione può contribuire ad un effettivo rilancio della politica di programmazione? Anzitutto proponendosi come un interlocutore politico, che preme in questa direzione, con il momento pubblico centrale: è la via che stiamo percorrendo contribuendo alla formulazione del secondo piano economico nazionale, attraverso la Commissione consultiva interregionale, attraverso il dibattito che avverrà nelle Commissioni consiliari sul Documento Programmatico Preliminare - dibattito a cui la Giunta darà un proprio apporto con sue autonome valutazioni - da cui dovrà scaturire una precisa presa di posizione ad una nostra assunzione di responsabilità.
In secondo luogo possiamo concorrere alla politica di piano attraverso l'azione di programmazione che ci compete a livello locale.
In particolare, mentre si vanno gradatamente prospettando le linee di fondo dal secondo programma economico regionale, sono gia stati configurati tutta una serie di strumenti a livello locale, che devono però tradursi al più presto in termini operativi, in modo che possano svolgere anche un'efficace azione congiunturale.
Mi riferisco soprattutto al Fondo di garanzia per le piccole e medie industrie, per facilitare e in molti casi rendere possibile un più esteso ricorso al mercato creditizio, ed alla Finanziaria pubblica, indirizzata in particolare a consentire alle piccole imprese di raggiungere più adeguate dimensioni produttive, compiendo quel salto tecnologico ed organizzativo che si richiede per conseguire dimensioni ottimali.
Questi due strumenti, mentre hanno un importante significato nel momento presente, sono del resto indispensabili in un orizzonte più ampio per consolidare tutto il tessuto economico regionale e per operare quella differenziazione produttiva che ci proponiamo e che passa essenzialmente attraverso lo sviluppo delle piccole e medie unità produttive.
Insieme ad essi occorre però predisporre una più ampia ed articolata gamma di strumenti istituzionali ed operativi: si tratta di formulare i piani per i vari settori, pubblici (sanità, istruzione, trasporti edilizia, ecc.) come per i settori produttivi, come infine per l'assetto del territorio; contestualmente occorre configurare più adeguati strumenti d'intervento in questi campi, innovando rispetto alla tradizionale organizzazione della Pubblica Amministrazione , anche prendendo in esame ad esempio Agenzie regionali in grado di operare con tempestività ed efficacia.
Anche da un'ottica regionale emerge quindi la necessità che l'azione congiunturale s'innesti con la programmazione per creare le condizioni di una ripresa non effimera del processo di sviluppo del nostro paese: questa è la nostra convinzione e ad essa corrisponde il fermo impegno di operare lungo questa linea.
E vengo alla relazione sull'incontro avvenuto tra i rappresentanti della Giunta e la Montedison.
Mercoledì 26 gennaio u.s., ha avuto luogo a Milano, presso la Società MONTEDISON, l'incontro tra la Regione Piemonte e Montedison stessa incontro richiesto dalla Giunta Regionale su indicazione del Consiglio (mozione approvata nell'adunanza del 24 gennaio).
Erano presenti per la Regione Piemonte l'Assessore all'industria Petrini, il sottoscritto con il dott. Gatti, consulente per la programmazione ed il dott. Tarello, funzionario dell'Assessorato all'Industria.
L'Assessore Petrini ha illustrato la mozione approvata dal Consiglio Regionale, esprimendo la viva preoccupazione della Regione di fronte alla prospettiva che venga ad aggravarsi una situazione economica ed occupazionale già particolarmente grave.
Oltretutto un eventuale ridimensionamento della presenza della MONTEDISON in Piemonte verrebbe a colpire alcune zone tra le più deboli da un punto di vista industriale - del Piemonte, come il Vercellese, o tra le maggiormente colpite dalla crisi congiunturale, come il Novarese e la Valle di Susa.
Il consolidamento dell'industria chimica in Piemonte, che richiede appunto un processo di ammodernamento e di riqualificazione, è quindi un obiettivo di rilevante interesse per la Regione.
Per la MONTEDISON il dott. Rivalta ha presentato anzitutto la situazione della società e la strategia generale che il Gruppo sta definendo.
Al momento attuale la MONTEDISON si trova di fronte a tre ordini di difficoltà: a) una situazione finanziaria pesante, per il restringersi dei margini di autofinanziamento e per effetto di un rilevante indebitamento a breve termine b) un'eccessiva dispersione di attività, in settori estranei agli interessi centrali del Gruppo c) la presenza di 40 unità produttive (su di un totale di circa 200) che rappresentano dei "punti di crisi": si tratta di unità obsolete, o in stato di obsolescenza avanzata; di inadeguate dimensioni produttive, talora ubicate in località che ora risultano inadatte per le attività industriali che vi si svolgono.
Queste unità in crisi sono prevalentemente localizzate nel Centro-Nord.
Per superare questa situazione e rilanciare la sua presenza sul mercato italiano ed internazionale, la Montedison intende concentrare e potenziare il suo ruolo nelle attività che considera di primario interesse per il Gruppo: la chimica, la produzione di fibre tessili e la grande distribuzione (nelle produzioni chimiche e di fibre sono concentrati attualmente il 92 per cento degli immobilizzi tecnici ed il 70 per cento del personale del Gruppo).
Altro settore ritenuto "interessante" è quello alimentare, ove si procederà ad una riorganizzazione per valutare in un momento successivo se la conglomerata che si costituirà dovrà far parte o meno delle attività permanenti del Gruppo.
Nel quadro di questa concentrazione dell'impegno della Società verso gli obiettivi ritenuti strategici si procederà alla cessione ad altri gruppi delle attività in cui oggi il Gruppo opera e che non rientrano nelle linee di sviluppo assunte (come è avvenuto ad esempio per la SISMA e per la TUDOR).
Per il potenziamento dei settori ritenuti prioritari la Montedison valuta che le risorse finanziarie necessarie per i prossimi sette anni ammontino a circa 2.800 miliardi: la realizzazione dei piani d'investimento in parte già in corso di realizzazione, in parte in via di definizione è quindi subordinata all'andare a buon fine di operazioni già avviate (fusione BASTOGI - ITALPI, creazione del FINGEST) e più in generale al reperimento di nuovi mezzi finanziari.
Venendo poi ad esaminare la presenza, diretta o tramite consociate della Montedison in Piemonte, il dott. Rivalta ha presentato un documento su "Il Gruppo Montedison in Piemonte".
Come si rileva da questo appunto oltre il 60 per cento degli occupati e delle immobilizzazioni lorde della Montedison nella regione, fanno capo al settore tessile e delle fibre artificiali che, come si è detto è ritenuto d'interesse prioritario del Gruppo.
In questo campo è stato detto non si prevedono smobilitazioni, anche se indubbiamente esiste l'esigenza di una profonda ristrutturazione del settore che - a giudizio della Montedison - si trova oggi con un eccesso di capacità produttiva, con impianti tecnicamente superati e quindi da rinnovare, con conseguente riqualificazione del personale.
In particolare rappresentano "punti di crisi" il Valle Susa, la Chatillon e la Rodiathoce; per superare le difficoltà attuali si pensa di realizzare una stretta integrazione produttiva e commerciale tra le imprese che agiscono nel settore delle fibre.



SANLORENZO Dino

Si sono assunti impegni sull'occupazione i dirigenti?



PAGANELLI Ettore, Assessore alla programmazione ed al bilancio

Vengo subito all'argomento. E' una relazione molto dettagliata e precisa, abbiamo registrato fedelmente tutto quanto ci è stato detto e l'abbiamo anche integrato con dei documenti che ci sono stati dati.
A questo processo di riorganizzazione dovrebbe accompagnarsi, nelle intenzioni della Montedison un cospicuo programma d'investimenti condizionato per altro dalla soluzione dei più generali problemi finanziari del Gruppo e dalle agevolazioni creditizie che dovrebbero essere previste dal Piano chimico per il risanamento delle situazioni aziendali.
La Montedison infine auspica un'estensione della legge tessile al settore delle fibre tessili.
Rispondendo ad un'esplicita domanda dell'Assessore Petrini, che ha ricordato i problemi occupazionali nelle industrie tessili, il dott.
Rivalta ha ribadito formalmente che non si prevedono licenziamenti, anche se è da escludere un'espansione di occupazione, dovendosi "alleggerire gli organici", operazione che si pensa di compiere gradualmente non sostituendo, sino a quando la situazione non sarà sanata, il personale che esce dall'attività lavorativa.
Per quanto riguarda gli altri stabilimenti si punta a definire quanto prima la cessione della Imes alla Cognitex (trattandosi di attività estranea alla linea di sviluppo del Gruppo), mentre per gli altri non esistono problemi, anzi in alcuni casi vi sono prospettive di potenziamento, come nel settore distributivo-alimentare, che oggi assorbe circa il 16 per cento degli occupati Montedison in Piemonte.
E' stato escluso nel modo più assoluto che si voglia ridimensionare lo stabilimento di Spinetta Marengo: stante la deficienza che vi è in Italia di biossido di titanio, la Società è interessata a sviluppare la Produzione e sono in corso lavori per installare un grande impianto di depurazione al fine di evitare rischi di inquinamento.
Comunque, nel quadro della generale riorganizzazione in atto alla Montedison, le prospettive della presenza e dell'attività del Gruppo, come i suoi piani d'investimento, in Piemonte saranno definiti con maggiore precisione tramite appositi programmi di settore che sono attualmente allo studio.
Il sottoscritto, mentre ha sottolineato la necessità di avere sollecitamente maggiori e più approfondite informazioni sulle direttive di massima di questi programmi, ha invitato la Montedison a presentare alla Regione il piano di ristrutturazione della sua presenza in Piemonte, per valutarlo nell'ambito delle scelte di programmazione regionale.
Il dott. Rivalta ha aderito a tale richiesta, assicurando che verranno stabiliti contatti continui con gli organi regionali per seguire l'evolversi della situazione.
La riunione si è chiusa con la comunicazione data dagli Assessori alla Montedison della volontà della Regione di promuovere una conferenza dell'industria chimica in Piemonte.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare l'Assessore Petrini



PETRINI Luigi, Assessore all'industria

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, alcune parole di replica in quanto per la Giunta parlerà e concluderà nel pomeriggio il Presidente Calleri, come riferito dal Presidente Vittorelli.
Io desidero in primo luogo ringraziare tutti e dieci gli intervenuti a questo interessante dibattito, assicurando l'interessamento degli organi della Regione ed in particolare della Giunta, per quanto ci sarà possibile per la soluzione dei diversi temi evidenziati e confermando il nostro rispetto nei riguardi delle diverse tesi e delle svariate argomentazioni emerse in questa riunione consiliare. Ma vorrei precisare che la relazione economica del nostro Paese viene stilata dal Ministero del Tesoro e del Bilancio a fine marzo, che le società approvano i loro bilanci normalmente entro il 30.4.72 per l'anno '71, per cui è impossibile, come dati, dare una situazione economica aggiornata delle aziende o imprese, in particolare, al 3 febbraio.
La relazione sulla situazione economica regionale e industriale in particolare, per il prossimo anno sarà, pertanto, opportuno metterla in programma per un Consiglio Regionale da tenersi in aprile; probabilmente non potremo lo stesso soddisfare tutte le richieste fatte, ma ci guadagnerà senza dubbio il quadro generale dell'industria che forse sarà ancora più preciso.
La consultazione di fine autunno, comunque, per quanto ci riguarda, è stata fatta, almeno da parte nostra, in modo serio e non dilettantistico Consigliere Giovana, e la relazione non é, in toto, in termini notarili perché a tutt'oggi ancora il 50 per cento delle province non ci ha inviato il testo stenografico degli incontri, o verbali delle riunioni, e quindi ha dovuto essere costruita, almeno in parte, su appunti personali data l'urgenza che si era posta per un esame in sede consiliare. Non ritengo comunque che manchi di alcune linee di orientamento di fondo e di carattere programmatico.
In merito ai quesiti specifici posti, desidero innanzi tutto precisare al Vicepresidente Oberto, che l'ottica scelta per la consultazione delle province anziché dei comprensori, è stata unicamente dettata dal rispetto di un o.d.g. votato dal Consiglio Regionale, che indicava che la consultazione avvenisse a livello di Amministrazioni Provinciali.



SANLORENZO Dino

E poi, i comprensori non ci sono!



PETRINI Luigi, Assessore all'industria.

Sono con lei consenziente che per le prossime consultazioni, non appena i comprensori ci saranno, si potrà scegliere il livello comprensoriale.
In merito agli argomenti specifici posti dal collega Furia, e precisamente come intende intervenire in modo organico la Giunta sulla Montedison, ha riferito poco fa il collega Paganelli; sulla Bemberg posso dire sta predisponendo un incontro il Presidente della Giunta Calleri con la presidenza della Società. Circa la legge tessile posso precisare che l'industria e l'artigianato tessili che hanno attraversato nel corso del 1971 una fase assai delicata, caratterizzata da sensibili difficoltà guardano con grande interesse e speranza alla legge del 1 dicembre '71 n.
1101, sia ai fini di una ripresa del settore il quale dovrà essere necessariamente portato a un livello tecnico ed organizzativo del tutto aperto alle nuove esigenze di mercato, sia per la difesa dell'occupazione oltre al potenziamento del settore tessile e anche delle previste attività collaterali e diversificate che rassicurino buone prospettive di lavoro. E la Regione soprattutto, con la determinazione delle zone a prevalente industria tessile, potrà contribuire in modo determinante al realizzarsi di queste aspettative.
Pertanto, mentre si è in attesa che il CIPE approvi le proprie direttive per l'individuazione delle zone predette (zone tessili) l'Assessorato ha già compiuto un approfondito esame della situazione tessile nella Regione e ha preso contatti con i sindacati ai fini di procedere insieme ad un primo esame degli aspetti connessi alla più corretta applicazione della legge. A giorni, quindi, ci sarà l'incontro coi sindacati, lieto, personalmente, se sarà preceduto per una verifica dell'impostazione, o con la Commissione competente, o con i rappresentanti dei gruppi consiliari. Si scelga quindi il sistema più rapido, data l'urgenza del caso, e ritengo che la Giunta non avrà da opporsi.
Sono inoltre necessarie alcune considerazioni e precisazioni generali conseguenti al dibattito. Innanzi tutto per il 1972, per giudizio unanime l'anno si è concluso piuttosto male; l'esame della congiuntura nelle varie regioni italiane ci ha dato conferma di ciò e anche la relazione dell'Assessore alla programmazione presenta situazioni territorialmente molto diverse. Purtroppo la Regione d'Italia che è stata maggiormente colpita dalla recessione è il Piemonte, in relazione però alla sua alta quota di attività industriate che è stata quella più colpita.
Ma il quadro economico regionale non può essere visto unilateralmente dalla sola visione interna, perché è caratterizzato da un'economia di avanguardia, specie nelle produzioni pilota, che dipende e dal mercato nazionale e da quello internazionale europeo prima e mondiale poi, come richiamava ieri il Vicepresidente Oberto. Il mondo dell'automobile lavora in forte misura per l'estero, quello tessile altrettanto, quello chimico pure e le piccole e medie industrie che vi gravitano attorno non possono che subire il riflesso dei quadri più ampi nei quali siamo immersi. La nota del prof. Tagliacarne, noto studioso di problemi congiunturali, evidenzia un Piemonte in serie difficoltà nella graduatoria tanto singola che generale degli indicatori assunti per la determinazione del quadro congiunturale relativo all'anno 1971 C'è però da osservare che in linea di massima le difficoltà piemontesi sono da collegare in prevalenza alla depressione di taluni indicatori e non alla generalizzazione della crisi a tutti gli indicatori presi in considerazione, per cui il dato statistico è a mio avviso più pessimista del quadro generale, pure assai preoccupante che abbiamo dinanzi. Prendendo gli indicatori del Tagliacarne comunque la situazione del Piemonte, nell'ambito del triangolo industriale, è senza dubbio la più deficitaria.
Per quanto riguarda il quadro nazionale la situazione piemontese è al di sotto dei valori medi in tutte le voci, eccezione fatta per le costruzioni non residenziali. Sono motivi fondamentali della crisi, come già ricordato, l'insufficienza e la stagnazione degli investimenti, la mancanza di iniziative nuove che realizzino il ricambio con quelle obsolete, con quelle che vanno fisiologicamente fuori dal processo produttivo ogni anno per normale e naturale ricambio, come ricordavano i colleghi Gandolfi e Zanone. Il meccanismo di sviluppo è poi insufficiente prova ne sia il basso rapporto già illustrato tra i depositi e gli impieghi bancari, ossia il cavallo non beve e in Piemonte meno che altrove.
Circa le questioni salariali, non si può negare che i recuperi salariali dell'ultimo triennio abbiano influito nel rallentare il processo di espansione dell'economia sia nazionale che regionale, ma per il fatto che noi si parli di recuperi, implicitamente si riconosce che essi sono non solo leciti, ma anche necessari per l'espansione del sistema. Essi tuttavia, così concentrati, hanno fatto da freno al livello di investimenti e hanno diminuito la capacità finanziaria delle imprese, specie le imprese medio-piccole.
Per uscire da questa situazione sarà necessario avere indicazioni nuove, dettate dal Consiglio Regionale, Consigliere Nesi, indicazioni nuove nel piano regionale di sviluppo, mediante la proiezione in scelte adeguate dell'individuazione dei punti base del primo piano regionale, naturalmente da sottoporre a verifica, oltre all'individuazione di strumenti operativi immediati (oggi il Presidente Calleri parlerà dell'iniziativa per il fondo di garanzia per le piccole e medie aziende) e a termine medio-lungo per la realizzazione del piano in campo industriale con strumenti moderni ed efficienti, coma la Finanziaria regionale, intesa però non come strumento finanziario di salvataggio, ma come strumento di promozione e di sviluppo.
Se conveniamo tutti che l'assetto complessivo del territorio piemontese, va principalmente visto in queste quattro direttrici: riequilibrio fra metropoli e territorio, per una più equilibrata distribuzione territoriale delle attività industriali oggi concentrate nell'area torinese; promozione dello sviluppo di aree depresse periferiche anche attraverso i piani di area ecologica che possono essere l'idoneo strumento per l'individuazione delle scelte che devono essere compiute sviluppo volto a differenziare l'attività industriale piemontese promuovendo accanto alla monocorde industria motrice e tradizionale Consigliere Nesi, il potenziamento di altri settori; promozione e sviluppo delle attrezzature sociali, anche attraverso il decentramento della vita urbana, tutelando l'ambiente e difendendo il suolo L'obiettivo della riequilibrazione territoriale, che sta alla base dello stesso primo piano di sviluppo regionale piemontese, deve essere visto soprattutto con riferimento alle attività industriali e al decongestionamento dell'area metropolitana di Torino che consegua uno sviluppo armonico diffuso a tutto il Piemonte, che assicuri la piena occupazione alle forze di lavoro.
Occorre infine, colleghi Consiglieri, soprattutto un clima di normalità e di collaborazione nelle aziende, come diceva il collega Rossotto, un impegno coscienzioso di ciascuno nei diversi posti di lavoro e di responsabilità, un risveglio della volontà di operare che è sempre stata una virtù della gente piemontese.
Le prospettive per il 1972 sono ancora incerte, auguriamoci quindi tutti insieme un'inversione di tendenza, certi che per quanto riguarda la volontà della gente piemontese non mancherà un impegno di tutti nel quadro del rilancio degli investimenti e dello sviluppo industriale per il sostegno dell'occupazione. Sarà questo, colleghi, un atto concreto di solidarietà ai lavoratori nelle lotte per la piena occupazione, lotte, per la verità, che hanno visto sempre la Regione Piemonte e la Giunta in primo piano, concretamente, a fianco dei lavoratori piemontesi.



PRESIDENTE

Il Consiglio è riconvocato alle ore 16 per la prosecuzione dell'esame dell'o d g.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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