Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.73 del 24/01/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbali seduta precedente


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego un Consigliere Segretario di dar lettura del verbale della seduta precedente.



GERINI Armando, Segretario

Procede alla lettura dei processi verbali dell'adunanza del 18 gennaio 1972.


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Fabbris, Franzi Menozzi e Curci.


Argomento: Organizzazione degli uffici - Regolamento del personale - Stato giuridico ed economico del personale dipendente

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Comunico inoltre che mi è pervenuto un ordine del giorno del quale desidero dar lettura al Consiglio Regionale. Questo ordine del giorno è formulato dal personale della Regione Piemonte, comprendente quindi il personale della Giunta e del Consiglio.
"L'Assemblea del Personale della Regione Piemonte sentite le comunicazioni fatte dai delegati di servizio circa la decisione assunta dalla Giunta in merito all'orario di lavoro considerato che tale decisione ignora completamente le proposte avanzate dai rappresentanti del personale al termine di lunghe trattative proposte che già tenevano conto delle esigenze di servizio prospettate dalla Giunta deplorando che le trattative, impostate da entrambe le parti su un piano di corretta e fattiva collaborazione, come dimostrato dai risultati conseguiti su altri problemi in discussione, rischino di sfociare improvvisamente e ingiustificatamente in un atto di autoritarismo da parte della Giunta proclama l'inizio dello stato di agitazione di tutto il personale della Regione Piemonte, dando mandato ai delegati di servizio di comunicare immediatamente al Presidente della Giunta e all'Assessore al personale e di far conoscere al Presidente del Consiglio, al Presidente del Comitato Regionale di controllo nonché ai Presidenti dei Gruppi consiliari le posizioni irrinunciabili espresse dall'Assemblea, che sono le seguenti: 1) la durata dell'orario settimanale è contenuta nelle 37 ore e mezzo con limite di uscita alle ore 17,30 2) che in alternativa, sino al 31 marzo '72, si faccia proprio l'orario di lavoro attuato dalla Provincia di Torino, che rappresenta la misura media fra quelli in vigore negli Enti di provenienza del personale 3) che queste soluzioni sono da considerarsi comunque provvisorie, in attesa di regolamentazione organica di tutti i problemi di lavoro del personale dipendente si riserva di assumere altre decisioni conseguenti all'eventuale ripulsa delle proprie istanze." Ritengo che la questione sia del massimo interesse per il Consiglio Regionale, poiché alla soluzione della medesima è subordinato anche il funzionamento del Consiglio Regionale e dei suoi uffici, e mi riservo quindi, di convocare al termine di questa seduta la conferenza dei Capigruppo per prendere in esame la questione e sentire dalla Giunta quali sono gli orientamenti della Giunta stessa. In questa stessa conferenza verrà esaminata la possibilità che il problema sia eventualmente dibattuto nell'ambito del Consiglio Regionale. Credo che una questione di tale importanza per la vita della Regione non possa essere tenuta negli ambulacri degli organi esecutivi della Regione.
Il Direttore di "Tribuna regionale" ha comunicato che il giorno 19 febbraio andrà in onda la prima trasmissione per il 1972 di "Tribuna regionale" dedicata al Piemonte, con un dibattito di mezz'ora, ed ha altresì trasmesso il regolamento della trasmissione. In tale lettera si invita il Presidente del Consiglio a procedere al sorteggio degli aventi diritto a partecipare a tale prima trasmissione e ad indicare il tema da discutere in tale occasione. Anche di tale questione verranno informati poi i Capigruppo, e verranno prese le deliberazioni necessarie per portarla a compimento.
Comunico che in data 20 gennaio ho indirizzato, come Presidente del Consiglio Regionale, all'Ambasciatore di Cecoslovacchia a Roma, il seguente telegramma circa l'arresto del giornalista Valerio Ochetto avvenuto a Praga: "Prolungato immotivato arresto a Praga del giornalista e amico Valerio Ochetto, di cui conosco personalmente sentimenti antifascisti et fede democratica; reca ulteriore gravissimo pregiudizio at reciproca amichevole comprensione tra nostri due Paesi. Mi auguro che Ella sappia far comprendere al Governo di Praga gravità provvedimento, informando sedi competenti della reazione degli intellettuali e dell'opinione pubblica italiana, senza alcuna distinzione di parte, contro incomprensibile atteggiamento Governo cecoslovacco." Sono pervenuti al Presidente del Consiglio Regionale due telegrammi da parte del Presidente del Comitato Regionale di controllo, Avv. Colonna, con cui questi segnala come, per la carenza di personale, il Comitato stesso non sia in grado di rispettare i termini per l'esame delle delibere e declina ogni responsabilità in merito, con particolare riferimento ai bilanci di previsione. Ritengo utile dar lettura del testo di questi telegrammi al Consiglio Regionale.
Il primo è in data 18 gennaio, e reca: "Comitato Regionale controllo in adunanza 17 gennaio, costatato che nonostante reiterate istanze, il personale addetto, anziché essere adeguato agli accresciuti compiti d'ufficio e aumentato numero delle delibere da controllare, è stato ridotto per trasferimenti et assenze e da circa un mese è limitato a numero 13 unità, comunica, per i provvedimenti d'urgenza del caso, e, a scanso di ogni responsabilità, che non è in grado di garantire regolare funzionamento di controllo. Presidente Colonna".
Due giorni dopo mi è giunto il seguente telegramma: "Segnalo impossibilità di questo Comitato esaminare bilanci previsione 1972 et conseguenti variazioni già pervenute in mancanza idoneo personale di ragioneria. Il Presidente, avv. Arturo Colonna".
Comunico che sono pervenuti alla Presidenza del Consiglio Regionale alcuni ordini del giorno ed altri documenti, di cui dò ora comunicazione: dall'Ospedale specializzato provinciale "La Bertagnetta" di Vercelli il Commissario segnala la grave situazione economico - organizzativa indicandone le responsabilità dall'Ospedale degli infermi di Biella un ordine del giorno con cui si segnala che il perpetuarsi e aggravarsi delle situazioni attuali comportano ineluttabilmente aumenti delle rette da alcuni capifamiglia di Premia (Valle Antigorio - Novara), che protestano contro la progettata costruzione di un condominio nel loro comune e chiedono a tal fine l'intervento della Commissione di tutela regionale, fra l'altro non creata.
Comunico finalmente che, come i signori Consiglieri avranno potuto constatare, è in corso una manifestazione, davanti alla sede del Consiglio Regionale, dei lavoratori della "Bemberg" di Gozzano, i quali mi hanno trasmesso un documento destinato al Consiglio del quale farò fare fotocopia, limitandomi per ora ad illustrare i criteri principali.
Esso comincia così: "I lavoratori della 'Bemberg', avendo appreso che nella seduta del Consiglio Regionale di lunedì 24 gennaio sarà discussa una mozione sulla grave situazione del settore chimico e tecnofibre per la politica di ristrutturazione basata sui licenziamenti che la Montedison si accinge a svolgere nelle fabbriche dislocate in Piemonte, e la 'Bemberg' ha già cominciato a svolgere nella fabbrica di Gozzano, si appellano a tutti i Consiglieri, in uno spirito di fiducia verso l'Ente Regione, nato come espressione democratica della volontà popolare e chiamato in un prossimo futuro a gestire la programmazione economica sul territorio piemontese, per illustrare a questi stessi Consiglieri una serie di istanze che possano recare chiarimenti ai fini della conclusione di questo dibattito".
Questi lavoratori hanno chiesto di essere ricevuti, ed io suppongo che il Consiglio, o i Capigruppo, vorranno, nel corso della sospensione dei lavori, ricevere direttamente questa delegazione. Ho detto anche "i Capigruppo", senza limitarmi alla Giunta, perché non si tratta soltanto di chiedere un intervento dell'organo esecutivo della Regione ma anche di illustrare alcune istanze la cui conoscenza può essere utile al Consiglio per giungere alle proprie conclusioni nella mozione sulla Montedison. Far fare immediatamente fotocopie di questo non amplissimo documento, che provvederò a far distribuire a tutti i Capigruppo. Nel corso della sospensione i Capigruppo stessi decideranno se incontrarsi con una delegazione di questa Azienda. La Giunta, per parte sua, com'è consuetudine, provvederà a farsi illustrare questi elementi.
Non ho altre comunicazioni da fare. Vorrei invece sapere ora dalla Giunta quale parte dell'ordine del giorno rimanga ancora valida. Per quel che riguarda il punto 4 dell'ordine del giorno, mi è stato comunicato dal Presidente della I^ Commissione che questa non è ancora pronta a riferire su questo problema, mentre lo sarà, anche se le difficoltà da affrontare sono relativamente lievi, nel corso della prossima settimana. Vedremo poi quindi, in quale giorno della prossima settimana si potranno riprendere i lavori del Consiglio per consentire alla I^ Commissione di riferire sul progetto di Statuto dell'Ires e al Consiglio stesso di concludere su questa questione.
Al punto 3 abbiamo un ordine del giorno che era stato pure iscritto con riserva: quello che riguarda la nuova sede della Regione, con eventuali proposte della Giunta e relative deliberazioni del Consiglio. Fino a questo momento non mi è pervenuta alcuna proposta in merito. Non so, quindi, se la Giunta intenda, in questa seduta o in parte successiva di questa o della seguente seduta, mantenere questo punto all'ordine del giorno per proporre delle deliberazioni al Consiglio. (Dopo breve intesa con il dott. Calleri).
Potremmo, intanto, decidere di spostare il punto 3 al termine del nostro ordine del giorno, in modo da poterne discutere nella riunione dei Capigruppo, ed affrontare fin da questo momento il punto 5: "Rapporto fra Regioni e RAI-TV: comunicazioni del Presidente del Consiglio Regionale ed eventuali deliberazioni". Anche su questo potrà essere elaborato un testo di mozione, dopo che ne avremo discusso in Consiglio per poter recepire le istanze che giungessero dalle varie parti di esso.
Quindi, all'ordine del giorno di oggi, tranne la riserva per le varie questioni che sono state indicate fin qui, abbiamo il tema "Rapporto fra Regioni e RAI-TV"e l'esame delle mozioni che sono iscritte all'ordine del giorno, che credo siano già state distribuite ai Consiglieri e per le quali si è pronti alla discussione.


Argomento: Informazione

Rapporto fra Regioni e Rai-TV: comunicazioni del Presidente del Consiglio Regionale ed eventuali deliberazioni


PRESIDENTE

Sul rapporto fra Regioni e RAI-TV ricordo che la questione era sorta in occasione delle varie discussioni avvenute in incontri fra la RAI-TV e rappresentanti dei Consigli Regionali per dibattere il problema della trattazione dell'argomento regionale nelle trasmissioni radio televisive Ricordo inoltre che questa questione era stata trattata in un paio di riunioni di Presidenti di Consigli Regionali, che si erano incontrati proprio per tale esame.
Da che cosa ha preso le mosse questa discussione? Da una serie di dati di fatto che sono di notevole gravità. Le Regioni sono nate nel giugno del 1970 e tutti sappiamo che vi sono "Gazzettini Regionali" radiofonici abbastanza frequenti in talune Regioni, che coprono la realtà regionale.
Tutti sappiamo, del pari, che la Televisione non ha ancora scoperto l'esistenza delle Regioni. Abbiamo avuto, è vero, per ciascuna Regione, nel corso del 1971, due trasmissioni regionali in rete locale di "Tribuna regionale", secondo un modello che ha suscitato reazioni così negative da indurre la Radio-Televisione italiana a consultare le varie Regioni per conoscere consigli, auspici, in modo da migliorarlo. Gli stessi "Gazzettini" radiofonici sono assai diversi da Regione a Regione, e diverso è soprattutto il trattamento fra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale. Mentre le Regioni a statuto ordinario hanno, di massima due "gazzettini" regionali in rete locale al giorno, in ore piuttosto infelici e uguali per tutta l'Italia, dalle 12,10 alle 12,30 e dalle 14,30 alle 15, con l'unica eccezione della Lombardia, che ha una rubrica ("Buongiorno, Milano") dalle 7,40 alle 7,55, e però soltanto nelle stazioni a modulazione di frequenza, che quasi nessuno è in grado di sentire specialmente coloro che hanno la radio in macchina per ascoltarla mentre si recano in ufficio, fra le 7,40 e le 7,55, ben diverso trattamento hanno le Regioni a statuto speciale.
Diciamo subito, per la nostra Regione, che mentre il primo dei due "Gazzettini", come per tutte le altre Regioni a statuto ordinario, è gestito esclusivamente dal Piemonte e destinato al Piemonte, il secondo è a mezzadria: si è pensato di dare un pezzetto di questo "gazzettino" alla Valle d'Aosta, dividendolo quindi fra Piemonte e Valle d'Aosta. Per le altre Regioni che hanno la fortuna, o la sfortuna, di avere al proprio fianco una Regione a statuto speciale così piccola, la seconda trasmissione è interamente dedicata alla Regione stessa.
Qual'é invece la situazione per le Regioni a statuto speciale? (Diciamo subito che la Valle d'Aosta è quella trattata peggio, perché anch'essa deve accontentarsi della mezzadria con il Piemonte, e quindi il suo statuto speciale e molto speciale in senso negativo nei confronti delle altre Regioni).
Il Trentino-Alto Adige ha una trasmissione aggiuntiva, rispetto alle due di cui dispongono le Regioni a statuto ordinario: una trasmissione pomeridiana, fra le 19,30 e le 19,45. A parte le trasmissioni che è logico abbia, in lingua tedesca, per la provincia di Bolzano.
La Sicilia ha quattro "gazzettini" al giorno, la Sardegna tre, il Friuli-Venezia Giulia, oltre ai "gazzettini" in numero superiore a quello delle Regioni a statuto ordinario, ha una ricca gamma di trasmissioni in due lingue, che comprendono: quattro "gazzettini" al giorno in lingua italiana, altrettanti in lingua slovena, cronache quotidiane, in aggiunta a questi "gazzettini", dell'economia e del lavoro, cronache settimanali sullo sport, l'agricoltura, culturali e di vita religiosa.
In tutte le Regioni a statuto speciale, inoltre, si hanno più bollettini settimanali sulla vita dell'Ente Regione, che per le altre Regioni si hanno finora in modo regolare solo in Basilicata e mi pare anche in Puglia, dove quotidianamente si fa cenno alla vita del Consiglio Regionale.
Questa è la situazione per la Radio, che copre le attività regionali.
In Televisione non c'è nulla, ne per le Regioni a statuto ordinario, né per le Regioni a statuto speciale. Tanto che si ha la sensazione che dal punto di vista delle Regioni si sia ancora venti anni indietro, cioè all'epoca in cui non era stata inventata la televisione.
Quando si ponga mente al fatto che il pubblico televisivo italiano ormai ha assorbito gran parte del vecchio pubblico radiofonico e costituisce il grosso del pubblico informato di quanto avviene in Italia e nel mondo, attraverso la televisione, è chiaro che i trenta milioni di italiani che seguono "Canzonissima", anche se poi per le trasmissioni di carattere giornalistico si riducono a uno, due, cinque o dieci milioni, non sanno che le Regioni esistono, se non per quei vaghi cenni che ogni tanto vengono fatti e che, come ci insegnano i giornalisti televisivi quando partecipiamo ad un dibattito, non bastano a far capire ad un pubblico che non ne ha mai sentito parlare che le Regioni esistono. Infatti, chiunque abbia partecipato ad un dibattito si sarà sentito dire dal moderatore il consiglio di non usare parole difficili perché la gente non capisce; oppure avrà rilevato che il moderatore si premura di spiegare che "le Regioni come il pubblico sa, sono istituti creati un anno e mezzo fa..." Dicevo, dunque, che la Televisione non fa menzione alcuna delle Regioni. La gravità di tutta questa situazione, che è stata presa in esame dalla stessa RAI-TV, su sollecitazione proprio delle Regioni, deriva da una serie di altri fenomeni, che sono paralleli a questo.
Come saprete, alla fine di quest'anno scade la convenzione fra lo Stato e la RAI-TV, che concede a questa il monopolio della informazione. Una convenzione per certi rispetti sacrosanta, perché è evidente che un canale di informazione di questa importanza, e che giunge talvolta, in alcune trasmissioni, fino a trenta milioni di italiani, costituisce un servizio pubblico essenziale per la collettività, allo stesso titolo delle poste e telegrafi, delle Ferrovie dello Stato e di una serie di altri servizi pubblici. Qualunque illazione circa la possibilità di riprivatizzare questo grande servizio pubblico nazionale, che è dato oggi in concessione alla RAI TV, in questa o in altra forma, costituisce quindi un porsi contro quella corrente che già un secolo fa, all'epoca dell'Italia umbertina, consentì all'Italia, fra i primi Paesi del mondo, di avere una Banca di Stato, di avere le Ferrovie dello Stato e altre iniziative del genere. Se si riprivatizzassero ferrovie, banche ed altri servizi pubblici essenziali evidentemente si potrebbe pensare di riprivatizzare anche un servizio pubblico essenziale come la RAI-TV. Se no, no.
Né d'altra parte si può sostenere che la Televisione, all'epoca in cui viviamo, abbia costi di impianto e di gestione così limitati da essere alla portata di tutti. Credo che nessuno di noi, qui, sia in grado, anche con molti amici facoltosi, di crearsi un proprio canale televisivo, perch qualche miliardo è sempre difficile da trovare, e non è certamente in facoltà di alcuno dei partiti rappresentati in questa assemblea di pensare di crearsi un canale televisivo. D'altronde, se qualcuno trovasse l'amico facoltoso disposto a creargli questo canale, per disporre di un canale che tocchi trenta milioni di italiani, che cioè abbia portata nazionale occorrerebbero dei fondi che non sono certamente a disposizione di alcun imprenditore privato, neanche di una certa importanza. Infatti, si pu creare una serie di canali televisivi di reti locali, ma per poter giungere ad un regime di libera concorrenza bisognerebbe impegnare investimenti non certamente alla portata di coloro che sostengono giornali di informazione.
Per tutte queste considerazioni le Regioni non possono essere indifferenti al regime che sarà dato a questo monopolio di Stato alla fine di quest'anno. Non possono essere indifferenti anche perché è ben noto il dibattito in corso nell'opinione pubblica circa l'insufficienza di questo grande servizio pubblico, gestito a regime di monopolio, a far fronte a quanto gli italiani chiedono ad esso. La Televisione non va raffrontata con i giornali, ma con la scuola; è un servizio pubblico essenziale quanto la scuola, e assai più, quindi, di quel servizio che è reso dalla grande stampa di informazione nel far conoscere agli italiani i fatti della vita quotidiana.
Solo da quando seguono la televisione gli abitanti di intere regioni hanno cominciato ad imparare l'italiano ed i costumi del nostro Paese. Mi è accaduto, nel periodo in cui ho rappresentato una regione del Mezzogiorno al Senato della Repubblica, di scoprire come, nel corso di pochi anni l'impianto di un solo televisore in ciascun paese avesse consentito al complesso dei suoi abitanti di modificare profondamente, oltre al proprio linguaggio, anche i propri costumi e il proprio modo di vestire.
Credo sia difficile, oggi, di trovare, anche nella maggior parte dei paesi del Mezzogiorno quel modo di vestire locale, soprattutto delle donne che era diffusissimo fino a vent'anni or sono: e ciò soltanto perché si sono rese conto che ci si può vestire in modo diverso grazie alla possibilità che hanno acquisito di sapere come ci si veste, come ci si comporta, come si parla, come si pensa, come ci si diverte, nel resto del paese, attraverso questo grande canale di informazione costituito dalla televisione.
Queste ragioni hanno fatto sì che anche i progetti improvvisati di modifica dei programmi suscitassero vivaci critiche. Ed è a questo punto che si inseriscono le Regioni: non tanto, come è stato fatto presente anche agli organi responsabili della Radio-Televisione Italiana, per inserire nelle trasmissioni televisive una passerella di personaggi regionali che si aggiungano a quelli nazionali nel taglio dei nastri, nelle cerimonie pubbliche, in quelle militari e in altre occasioni celebrative di questo genere; né - e questo sarebbe già più legittimo - per far conoscere attraverso il canale televisivo, agli italiani, il contenuto preciso ed analitico dei dibattiti che si svolgono nei Consigli Regionali e delle decisioni che sono prese dalle Giunte Regionali.
Credo che, in tutte le Regioni, ci sia la consapevolezza che il canale televisivo dev'essere usato con metodi moderni, e quindi come canale spettacolare, così da far giungere quello che si vuol far giungere all'opinione non attraverso una serie di prediche quotidiane ma attraverso una serie di manifestazioni spettacolari, in ciascuna delle quali ci siano elementi di conoscenza che si fanno giungere direttamente, come altrettanti "persuasori occulti", fino alla mente della gente.
E' proprio su questi "persuasori occulti" che la Regione intende esercitare i propri controlli; è proprio in essi che intende anche inserirsi. Nel momento della loro elaborazione, quindi, cioè in questo momento, le Regioni rivendicano la competenza a partecipare, insieme con gli organi dello Stato, alla elaborazione della riforma della RAI-TV.
Vi è una serie di problemi che le Regioni stanno portando alla ribalta della vita nazionale, problemi che, fino ad oggi, in assenza delle Regioni stesse, erano stati tenuti un po' in sordina; problemi che, dall'alto del Parlamento o dall'alto del Governo si vedevano poco o si vedevano in maniera sfumata, e certamente si vedono meglio attraverso organi rappresentativi regionali. Non è sufficiente, però, il fatto di vederli meglio nelle nostre assemblee, di risolverli meglio attraverso le Giunte Regionali: occorre anche poterli far conoscere meglio attraverso i maggiori canali di informazione, il primo dei quali è costituito certamente dalla Televisione.
Su questi temi, si è aperto un dibattito fra le varie Regioni e dovrebbe aprirsi un dibattito anche in seno a questo Consiglio Regionale.
Da queste riunioni è scaturita la necessità di proporre alla stessa Radio Televisione italiana ed agli organi di Governo una serie di misure pratiche per affrontare questi problemi e risolverli. Queste proposte dovrebbero essere contemplate in un Convegno Nazionale sulla informazione radio televisiva regionale da tenersi nel corso della prossima primavera, con la partecipazione di rappresentanti delle Giunte e dei Consigli Regionali, del Governo della Repubblica, della RAI-TV e della Commissione Parlamentare di vigilanza sulle trasmissioni radio-televisive.
Che cosa verrà discusso in questo convegno? Verranno certamente discusse alcune questioni di principio, alcuni temi di fondo, ma anche strumenti pratici. Prima di tutto, alcuni temi di fondo, che non ci possono lasciare indifferenti, come assemblea rappresentativa sovrana, e cioè in primo luogo la tutela e il ristabilimento della piena libertà di informazione, sia per quello che riguarda il comportamento dei collaboratori della RAI-TV sia per quello che riguarda le questioni trattate.
Varie sono le forme di censura che la storia ci ha insegnato a conoscere: talune si applicano alle coscienze, altre, più subdole, si applicano ai problemi. Un celebre giornalista inglese, il direttore del "Times", nel 1910, soleva dire che il suo giornale era il giornale più libero del mondo, perché aveva una grande libertà, quella di cui gode la stampa e di cui si avvale moltissimo la grande stampa di informazione anche nel nostro Paese: la libertà di sopprimere; poiché, quello che la grande stampa non riporta per l'opinione pubblica non esiste.
Quindi, anche nei grandi organi di informazione, come il "New York Times", che si arroga il diritto di scegliere gli argomenti da trattare, e che, nella sua "manchette", scrive che il "New York Times" pubblica tutto quello che è degno di essere pubblicato, riserva alla direzione del giornale il diritto di non pubblicare ciò che considera non degno di essere pubblicato. Credo che, a ciascuno di noi, accada tutti i giorni, nelle varie città italiane, di rilevare che molte cose che riteneva fossero accadute, per il grosso dell'opinione pubblica non sono accadute, perché la stampa non ne ha parlato.
Ma, fino a che si tratta di giornali che hanno la miseria di cento duecento o trecentomila lettori, la cosa può importare assai relativamente quando, viceversa, il canale di informazione è un canale che tocca dieci venti, trenta milioni di italiani, comincia a contare di più; perch quando questo canale di informazioni ignora taluni fatti, ignora talune opinioni, ignora soprattutto taluni problemi, che gli italiani ritenevano fossero impellenti, urgenti e travaglianti, tutta l'Italia ha l'impressione di essersi sbagliata, di non avere da risolvere un problema della casa, di non avere da risolvere un problema degli ospedali, di non avere da risolvere un problema della scuola, perché non se ne parla, e perché chi ha il diritto e il dovere di parlarne o ne parla poco, o ne parla male, o ne parla in termini tali da non far capire agli italiani che questi problemi sono diventati gravi.
Il fatto di non sentirsi collettivamente associati alla responsabilità degli organi dello Stato e degli altri organi pubblici di affrontare e di risolvere questi problemi fa sì che, ad un certo punto, si crei quel distacco, talvolta deliberato, fra opinione pubblica ed organi democratici che questa opinione ha chiamato a rappresentarla e a risolvere questi problemi, dovuto in parte forse a carenze non sempre innaturali degli organi dello Stato ma in parte determinante al fatto che chi avrebbe il dovere di spiegare agli italiani quanto siano complesse le questioni che si debbono affrontare, quante siano le difficoltà che si pongono sul cammino della loro soluzione, non ha fatto il suo dovere. Allora gli italiani ciascuno dei quali si sente travagliato da qualcuno di questi problemi, e ritiene che questi problemi vadano risolti con urgenza, non conoscono la molteplicità, il numero di questi problemi, non conoscono le difficoltà che si frappongono alla loro soluzione, talvolta non sanno che in altri Paesi questi problemi sono ancora più gravi di quanto non siano in Italia.
Quanti sono, ad esempio, gli italiani che, pur lamentando l'aumento del costo della vita, hanno saputo dai grandi canali di massa di informazione che il costo della vita, nell'ultimo anno in Italia, è aumentato meno che in tutti gli altri Paesi industrializzati? Quanti sono gli italiani che attraverso i loro giornali, apprendono, quando si inaugurano gli anni giudiziari, che l'Italia è un Paese di delinquenti, i quali sanno che nella maggior parte degli altri Paesi industriali, dove le grandi città sono nate e sono cresciute ancora prima che nel nostro Paese, il fenomeno della delinquenza, che si associa al fenomeno dell'urbanesimo, è un fenomeno che ha travagliato tanto gli organi pubblici da determinare, per esempio, un Governo amico di un grande Stato, dove ci sono molte estese città, come il Governo degli Stati Uniti, a creare già da decine di anni un intero ministero, il Ministero degli Affari urbani, per affrontare quei problemi che sembra ora siano scoppiati improvvisamente in Italia, come se l'Italia degli anni Settanta fosse quel Paese unico fra tanti dove sono nati tanti problemi mentre in tutti gli altri Paesi del mondo, questi problemi, connessi allo sviluppo economico, non sono ancora nati.
Sono tutti compiti che un grande canale di informazione di massa deve certamente affrontare. E noi che siamo chiamati, nella modestia del nostri mezzi, come Regione, ad affrontare una serie di questi problemi, proprio perché non vogliamo trovarci davanti al medesimo fenomeno di incomprensione davanti al quale si trovano gli organi democratici dello Stato italiano desideriamo partecipare fin dalla fase della sua rielaborazione al nuovo programma della RAI-TV e soprattutto porre una serie di condizioni pratiche perché le Regioni si possano far sentire nel corso della ristrutturazione della RAI-TV.
Nel convegno che si dovrebbe tenere nella prossima primavera, pertanto emergerà, quale uno degli strumenti che sono stati affacciati come strumenti tecnici, suscettibili di darci la possibilità di operare, la creazione di Commissioni regionali di vigilanza sulla RAI-TV, che partecipino non soltanto alla vigilanza su cose già fatte, ma anche alla elaborazione di cose da fare, in modo che, associando le Regioni alla ristrutturazione degli organi regionali della RAI-TV, esse stesse possano arrecare ad essa il contributo delle loro esperienze. Esperienze che, fra l'altro, le Regioni sono in grado di arrecare in maniera diversa da quella in cui le arreca lo Stato.
Le Regioni, avendo l'istituto della partecipazione popolare, sono, in un Paese in cui, stranamente, mancano grandi istituti di sondaggio d'opinione del tipo di quelli esistenti negli altri Paesi moderni, gli unici organismi in grado di effettuare un sondaggio di opinione di una certa rilevanza. Possono, quindi, fungere da vere e proprie antenne radar capaci di percepire i mutamenti d'umore dell'opinione pubblica prima di quanto non possano farlo altri organi pubblici.
Questi mutamenti di umore, e soprattutto le esigenze che di volta in volta si manifestano attraverso le petizioni che ci vengono indirizzate attraverso le dichiarazioni fatte da organi responsabili davanti alle Commissioni permanenti delle Regioni, possono essere utilmente e tempestivamente indicati, mediante queste Commissioni di vigilanza, agli organi locali della RAI-TV, che saranno così posti in grado di farne oggetto di attento esame, di informazione, di studio, di meditazione.
E' necessario, però, a questo fine, che alla creazione delle Commissioni di vigilanza si aggiunga una radicale ristrutturazione delle sedi locali della Radio-Televisione italiana. L'attuale organizzazione radio-televisiva è simile a quella di un grande giornale nazionale che abbia una redazione a Roma nella quale si accontenti di ricevere dalle varie città d'Italia telefonate più o meno anonime di segnalazione su ci che accade nel resto del Paese. E' vero che la Radio-Televisione italiana dispone di venti Direzioni regionali, ma ciascuna di queste, salvo qualche rara eccezione, è ridotta a funzioni quasi prettamente amministrative.
Ci sono, come si dice in gergo tecnico radio-televisivo, quattro Centri di produzione: a Milano, a Torino, a Roma ed a Napoli. Ma se andiamo a vedere come è organizzato il Centro di produzione di Torino, ci rendiamo conto come, pur disponendo di attrezzature che potrebbero far di se stesso uno strumento estremamente importante per la vita della Radio-Televisione i suoi organici siano ridotti quasi agli organici di una normale Direzione regionale.
Occorre quindi puntare al potenziamento e alla moltiplicazione dei Centri di produzione, di modo che i problemi di ciascuna Regione siano tecnicamente coperti da questi Centri, in grado di inviare immediatamente non appena si verifichino avvenimenti in un determinato luogo di una certa Regione, la squadra tecnica capace di sviluppare l'informazione, sul piano radiofonico o su quello televisivo.
Molti altri suggerimenti potrebbero essere dati, ma mi fermo qui, ad evitare di superare limiti di questo dibattito. Credo che, da questa discussione, potrebbero emergere idee utili, da sintetizzare poi in una mozione che, per l'iniziativa che è stata presa dalla Regione Piemonte in questo campo, è vivamente attesa anche nelle altre Regioni italiane.
Penso che non potremo trascurare, nel corso di questo dibattito, anche alcuni apprezzamenti di carattere generale su come funziona attualmente la Radio-Televisione italiana. Ma meglio sarebbe incentrare gli interventi su suggerimenti che possano essere utili, nella prospettiva di incontri di carattere nazionale, a meglio definire gli orientamenti della Regione Piemonte.
La conclusione da trarre da tutto questo discorso dipende dalla risposta ad un quesito: il Paese è veramente maturo per conoscere tutta la verità su ciò che accade in questo Paese? Se la risposta è affermativa - ed in tal senso è la risposta che è già stata data dalla Resistenza, dalla Costituzione della Repubblica, dalla scelta di un ordinamento democratico dobbiamo dichiarare che non vi è strumento tecnico atto a far conoscere tutta la verità su tutto quanto riguarda l'intero nostro Paese che gli organi dello Stato non abbiano il dovere di utilizzare fino in fondo.
L'organo principale a disposizione della società italiana si chiama Televisione. L'indicazione che deve partire dall'Ente Regione, questo nuovo istituto che rappresenta un salto qualitativo nella vita della nostra democrazia, è dunque questa: serviamoci della Televisione italiana per far conoscere agli italiani, con tutta la libertà che noi riconosciamo ad essa e che essa deve riconoscere ai propri collaboratori, tutti i problemi tutte le questioni, senza considerarne alcuna come questione tabù, che gli italiani non siano ancora maturi per apprendere e sulla quale non siano in grado di meditare.
E' aperta la discussione. Si è iscritto a parlare il Consigliere Besate. Ne ha facoltà.



BESATE Piero

Sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio non si può che concordare. Tuttavia, nell'intervento che io svolgo a nome del mio Gruppo ritengo di dover collocare quanto egli ha detto in un orizzonte più generale, in quanto a noi sembra che nel considerare questo problema, anche per quanto riguarda gli aspetti parziali e la soluzione di qualche esigenza più immediata, sia necessario aver presente l'intero arco della questione della Televisione italiana. Siamo, oltretutto, in Piemonte, a Torino, dove i problemi della RAI-TV hanno immediatamente, per la funzione che ha avuto ed ha Torino nel campo del mezzo radio - televisivo, una incisività ed una risonanza particolare di carattere nazionale; è quindi giusto che la Regione Piemonte, a mezzo del Presidente della sua Assemblea, proponga all'attenzione nazionale, non solo piemontese, questa questione, e svolga il ruolo che la Regione Piemonte deve svolgere nazionalmente su questo mezzo così importante, come ha riassunto e degnamente illustrato il Presidente.
Sappiamo che una sentenza della Corte Costituzionale giustifica giuridicamente il regime di monopolio della informazione pubblica radio televisiva letteralmente con queste parole: "Ha l'obbligo di assicurare ai singoli la possibilità di diffondere il pensiero con ogni mezzo".
Giustamente è stato detto che questa della Radio-Televisione è una vera e propria questione nazionale, che tocca da vicino il nostro destino politico e civile. Quanto alla possibilità per i singoli di adire al mezzo radio televisivo per l'espressione del proprio pensiero, va fatto rilevare - ed io sottolineo, come ha già detto il Presidente - che il mezzo radio televisivo richiede tali masse di investimenti e di spese che o soltanto lo Stato o i più grandi gruppi finanziari possono porsi il problema di mettere in piedi un'azienda radiotelevisiva. Ogni altra soluzione che venisse contrabbandata come concorrenziale e stimolante di una concorrenza e quindi di un miglioramento sul piano della concorrenza è o una ingenuità o un falso consapevole e non disinteressato. E' esemplare a questo proposito la vicenda che è in corso e che vede scendere scopertamente in campo i diretti esponenti della Fiat, dell'Istituto Finanziario Industriale (IFI) con la complicità sorprendente di taluni personaggi; ma è anche confortante la tempestività dell'intervento della denuncia di queste manovre, non solo dei comunisti ma anche del Vicesegretario del Partito Socialista Italiano Mosca, dell' "Avanti", di associazioni culturali, di personalità di varia estrazione. Questi fatti devono richiamare con forza l'attenzione di tutte le forze democratiche a dar vita ad un grande rilancio della lotta per la riforma della RAI-TV, considerandolo non soltanto dal punto di vista giornalistico, pur tanto importante, ma anche dal punto di vista specifico formativo e culturale, atteso che anche l'informazione ha sempre un ruolo formativo culturale per quanto, per come informa, per come non informa, e per come deforma.
Il punto di vista generale dal quale noi ci dobbiamo porre, anche per considerare correttamente le misure parziali immediate, mi pare debba essere quello della politica di programmazione nel campo della produzione e della diffusione della cultura e dell'informazione. Così facendo non solo compiamo una operazione corretta, ma ci poniamo su un solido terreno di alleanze politiche, che si esprimono, sia pure talvolta con limiti assai gravi, nella piattaforma del documento programmatico preliminare.
Cosa si legge, infatti, nel capitolo delle azioni programmatiche, dei progetti sociali, cultura-informazione, del documento programmatico preliminare? Prima di tutto, la RAI-TV viene considerata uno dei mezzi di fiancheggiamento delle strutture formative, della produzione e diffusione della cultura e della informazione. Un primo problema immediato che da ci deriverebbe sarebbe quello di vedere se è valida e giusta questa collocazione, come "mezzo di fiancheggiamento". Con quale funzione, e poi come si concili questa funzione nel campo della diffusione della cultura e dell'informazione con il fatto che la maggior parte della produzione dei "culturali TV" è data in appalto; non solo, ma come si concili, per esempio, con l'abolizione di produzioni come "Voi giovani" o "TV 7". Sono problemi scottanti, vivi, sui quali non possiamo non incentrare la nostra attenzione; correremmo, altrimenti, il rischio di fare un discorso che pu anche essere accettato, in linea generale, ma che deve essere invece condizionato alla identificazione delle cause che permettono questi fenomeni.
Nel documento programmatico preliminare vengono poi evidenziati questi elementi: forti sperequazioni territoriali, concentrazione delle strutture consumi (quanto già il Presidente aveva sottolineato circa la carenza di Centri di produzione, da non confondere con le sedi sparse nelle varie città, lo dimostra). Si propongono poi, in modo non molto chiaro "redistribuzioni con modifica di contenuti". Si dice che "La RAI-TV raggiunge il 70 per cento della popolazione"; mentre è recessiva la parola scritta del libro, e si propone un riequilibrio nel campo dell'intera azione culturale.
Si parla di responsabilità unitaria. Questo può anche essere giusto, ma può nascondere tante cose. Infatti che cosa si propone, poi, in concreto? Si ipotizza di nuovo un coordinamento centrale ministeriale, con un sottocomitato del CIPE, e per le Regioni, nel quadro della cultura e informazione, si propone una ripartizione di un fondo nazionale... per i Musei e le Biblioteche. Infine, si prospetta la terza rete televisiva, la TV a colori, ed un'analisi di spesa, senza specificare su quale linea formativa o informativa, culturale.
Leggo ancora: "Accentuate le finalità sociali della TV (sono parole che possono essere accettate da tutti, queste), si ipotizza una revisione dei criteri di gestione e di programmazione, e quindi una riforma dell'assetto istituzionale, un coordinamento con altri mezzi formativi e informativi una priorità al prodotto culturale rispetto a quello di evasione".
La conclusione però è l'affermazione che non si può ancora specificare in termini di piano, perché le condizioni non sarebbero mature, e il suggerimento di "porre attenzione ad aspetti parziali, soprattutto di natura gestionale". (Ma la questione della gestione non è affatto un aspetto parziale o limitato, bensì la questione di fondo della Radio Televisione), indicando come obiettivi per il quinquennio la TV a colori e la terza rete televisiva.
Con tutti questi limiti, tuttavia, è chiaro che la collocazione - che mi pare sia fatta correttamente nel documento programmatico preliminare, a prescindere dai contenuti e dalla esposizione che ne fa poi il documento del problema della RAI-TV come un elemento, una componente della programmazione nazionale è il terreno giusto sul quale le Regioni legittimano il loro intervento non solo dal punto di vista politico rappresentativo, che è pure importante, ma proprio sul terreno del potere dell'intervento istituzionale delle Regioni e quindi delle comunità locali con diritto-dovere per l'istituto regionale di intervenire quale fattore e promotore della riforma delle informazioni in generale e della RAI-TV in particolare, considerata giustamente - lo ha sottolineato lei pure signor Presidente - come uno dei mezzi da raffrontare alla scuola, alle strutture formative, informative, culturali nel loro complesso, e quindi nell'ambito degli elementi della programmazione, sui quali le Regioni hanno il diritto dovere istituzionale di intervenire, non soltanto un diritto di intervento politico, generale, autorevole, prestigioso, rappresentativo, incisivo sì ma non istituzionale. Credo che sia questa la prima cosa da dire.
E non è certamente casuale che certe manovre, certe sortite si siano manifestate proprio in concomitanza degli interventi regionali su questi problemi, quando si è veduta la Regione Lombardia nel luglio indire un convegno al Grechetto per dibattere questo grosso problema della Radio Televisione, quando altre Regioni sono intervenute (noi stessi abbiamo presentato, mi pare, fin dai primi giorni di vita della Regione, una interpellanza sulla questione della RAI-TV, alla quale la Giunta mi pare debba ancora dare una risposta, a meno che abbia risposto in quel paio di sedute al massimo in cui posso essere stato assente).
L'attuale assetto istituzionale e le attuali strutture della RAI-TV non reggono, tanto meno potranno reggere quanto più andrà avanti la lotta generale per i poteri delle Regioni, per la riforma della pubblica amministrazione e dello Stato e per il decentramento. La RAI, com'è noto, è una società per azioni, di cui lo Stato detiene il 98,4 per cento delle azioni attraverso l'IRI. Ecco un punto centrale. Ad eccezione di gruppi di potere bene individuati, è generale la richiesta di trasformazione della RAI in ente di diritto pubblico con personalità giuridica. La convenzione fra Stato e RAI scade il 15 dicembre '72. Il nuovo assetto non potrà non considerare l'esistenza, la funzione, il ruolo delle Regioni.
L'attuale assetto sottrae la RAI ad ogni controllo effettivo, oltre che, naturalmente, ad ogni parvenza di vera gestione pubblica. Infatti tutti i suoi organi di controllo sono espressione dell'Esecutivo, e la Commissione Parlamentare di vigilanza si è limitata, di fatto, al controllo e alla disciplina delle Tribune politiche e sindacali, con il risultato che si è costatato anche nella più recente delle "Tribune politiche", in occasione dell'incontro sulle questioni della Presidenza. L'attuale struttura è strettamente verticistica, accentrata a Roma, con lo svuotamento di fatto della Direzione di Torino, Il potere è concentrato nelle mani del Direttore generale, che lo esercita capillarmente per mezzo del suo staff e dei suoi fiduciari. Si potrebbe dire, se mi è permessa una battuta, che in Italia sono sopravvissute tre figure di persone che hanno un potere assoluto ed indiscusso: si tratta del capitano di nave in alto mare, del direttore di manicomio e del direttore generale della RAI. Sono le sole tre persone a godere di un potere assoluto di decisione su tutti i loro subalterni.
Persino la gerarchia aziendale è svuotata di ogni potere, a causa della stretta dipendenza dell'Esecutivo, che concede titoli, cariche e annessi (perché con le cariche ci sono gli annessi) anche prestigiosi ma che praticamente non conferiscono alcuna autonomia: quello che decide è il rapporto clientelare e fiduciario con l'Esecutivo. Significative e quasi incredibili sono a questo proposito le vicende della Direzione di Via Cernaia e quelle del Centro di produzione di via Verdi, a Torino.
La costruzione del grattacielo di via Cernaia e delle sedi di via Verdi sono servite soltanto - oggi lo si vede bene - a mascherare, con lo sfarzo e lo spreco materiale, il trasferimento e l'accentramento del potere decisionale a Roma. A Torino c'è la Direzione Centrale Amministrativa, ma il Direttore centrale è a Roma, e si fa capo al Direttore generale anche per le lettere più banali. (A proposito di ciò, osservo che la lettera che come Presidente della III Commissione, avevo dettato martedì perché fosse inviata al Direttore della RAI, al quale intendevo sollecitare l'indicazione del suo parere in rapporto al documento programmatico preliminare, dev'essere partita solo il giovedì sera. Non vorrei che anche qui si adottasse il metro direttoriale di Bernabei).
Ma questa vicenda, che dimostra a quali livelli di criminale spreco sappiano cinicamente giungere le cricche della RAI pur di accentrare il potere, impallidisce a paragone di quella del Centro di produzione di via Verdi.
I Centri di produzione, come ha detto bene il Presidente, sono quattro (cinque se si considera lo sdoppiamento di quello di Roma in Centro RAI e un Centro televisivo): Roma, Torino, Milano e Napoli. Una prima osservazione che viene spontanea è che per tutto il Mezzogiorno c'è solo il Centro di produzione di Napoli; altrove esistono soltanto sedi, non assolutamente in grado - tranne forse quella di Firenze che ha una certa struttura, e forse qualche altra - di avere una propria produzione, una capacità di trasmissione autonoma. Il Centro di produzione di Torino, che fu inaugurato meno di quattro anni fa, ha lo studio più grande d'Europa ed è già attrezzato per la TV a colori. Ma niente, proprio niente si pu decidere, né a Torino né negli altri Centri di produzione. E' vero che non può negarsi, nell'ordine dell'idea programmatoria, la necessità dell'impostazione delle linee generali sul piano nazionale: noi siamo ben consapevoli di questo, l'abbiamo affermato e lo confermiamo anche in questo campo, e lo affermiamo anche proprio per la funzione informativa formativa, culturale del mezzo radio-televisivo.
Ma, intanto, "nazionale" non vuol dire "camarilla": vuol dire pluralismo territoriale, politico, gestionale e culturale. Questo è uno dei punti qualificanti immediati che pongono il problema della gestione già oggi, anche in regime societario della RAI. Precisiamo: non si tratta di aggiungere nel Consiglio d'Amministrazione della RAI-TV una sedia con sopra scritto: "rappresentante delle Regioni", ma di attuare una gestione pluralistica degli indirizzi formativi, informativi, culturali. Questo è già un problema immediato, ancor prima della scadenza della convenzione.
L'attuale accentramento dei programmi di produzione danneggia gravemente ed impoverisce la produzione. Vanno perduti tutti gli apporti e le energie vive della vita e della cultura italiana, quali esistono ed operano nel Nord, come nel Centro, come nel Mezzogiorno e nelle isole. La cosiddetta media, anche se vuol essere oggettiva - ma non lo è - finisce con l'essere una specie di vestito fatto per l'uomo medio, che poi dovrebbe essere indossato da quello piccolo, al quale sta troppo largo, da quello grande, il quale non riesce ad abbottonare la giacca.
Vi sono, oltre a questi danni provocati da irresponsabilità, anche quelli causati dagli sprechi finanziari. Ci sono miliardi di produzione giacenti in magazzino, che è soggetta ad una obsolescenza di una rapidità inimmaginabile: pensate, l'informazione, il mezzo culturale, che giace lì diventa superato nel giro di pochi mesi. E si tratta di miliardi e miliardi, spesi tanto per dire che i Centri di produzione lavorano, per tenere, metaforicamente, il cane fermo con un osso in bocca.
Il grande Centro di produzione torinese non solo è assolutamente privo di autonomia, da intendersi, come dicevo, nel quadro delle scelte generali formatesi attraverso una gestione pluralistica, ma è privo financo del personale operativo necessario per le piccole operazioni. Qui si inserisce un tema di grandissimo interesse: quello delle tecnologie. Questo è un argomento magico, che dovrebbe bloccare, nelle intenzioni del potentato RAI, ogni altra considerazione: irradiazione via satellite, TV a colori vide o-cassette, terza rete. Ebbene, oltre all'assoluta assenza di autonomia di cui soffrono tutti i Centri, il Centro di produzione torinese soffre proprio di un errore di tecnica avveniristica: esso venne costruito nella previsione del primato dell'elettronica sulla pellicola, poi le cose sono andate diversamente e il Centro cinematografico è stato allora impiantato a Roma. A Torino gli operatori e il materiale sono in quantità assolutamente insufficiente. E si è arrivati al punto che la RAI ha chiesto 12 miliardi allo Stato, per cui la sua gestione ha ricevuto le attenzioni della Corte dei Conti: questa somma, che corrisponde alla quota parte del provento del canone di abbonamento che spetta allo Stato, anziché essere versata allo Stato dovrebbe essere trattenuta dalla RAI-TV.
Altro grosso problema. La RAI-TV ha alle sue dipendenze diecimila e più persone, ma ben trentamila sono coloro che ricevono da essa un compenso, il che vuol dire che più di ventimila persone - badate, un numero pari a quello dei dipendenti di una grande industria italiana, come, ad esempio le Officine Zanussi e si tratta di lavoratori di alto livello intellettuale ed anche operativo - dipendono dalla RAI-TV, con un apporto che dire ricattatorio è dire poco. Si tratta di persone, non poche delle quali devono contare su quanto introitano da tale collaborazione per il proprio sostentamento e che, per lavorare per la RAI-TV, devono assoggettarsi completamente alla volontà della Direzione. La Rai non ha neanche bisogno di licenziarle, se tale soggezione non è completa quale essa desidera: è sufficiente che le dimentichi. E' un sistema illegale, questo, oltre che disumano, che grida vendetta sotto tutti gli aspetti e dimostra quanto costoro abbiano fatto, come abbiano creato una azienda radiotelevisiva con strutture che permettono il dominio completo della produzione informativa e culturale.
A ciò si aggiunga che per la massima parte i "culturali" TV vengono dati in appalto ed a precise condizioni: se eseguiti in un certo modo, con certi attori, con un dato contenuto, con determinati limiti. Ed è sufficiente che non sia affidato l'appalto di una data produzione - anche se i Centri di produzione RAI-TV sono attrezzati per produrre direttamente perché certe aziende private cadano. Quindi, la soggezione è completa. Si tratta, naturalmente, in questo caso, di un vassallaggio totale, in cui si può parlare veramente di cortigianeria.
E' quasi superfluo ricordare i vari casi di disinformazione deformazione, falsificazione della RAI. Ma ci piace citare il decisivo intervento degli operai milanesi e di operai di altri centri per protestare contro la RAI, le lotte dei dipendenti della RAI, la consapevolezza della classe operaia circa l'importanza del mezzo radio-televisivo anche ai fini del proprio destino. In particolare, sottolineiamo l'autorevole posizione unitaria della CGIL della CISL e della UIL in merito al ventilato "palinsesto", pseudo riforma della RAI-TV. Questo schieramento, vasto e vigile, costituisce certamente un valido ostacolo alla realizzazione del disegno privatistico.
Il pretesto tecnologico - satellite, video-cassette, eccetera - non solo non regge, ma rende più viva ed urgente, se possibile, la esigenza della trasformazione e della riforma della RAI, impedendo in questa fase di transizione ogni manipolazione che costituisca fatto compiuto. Ed è qui che entriamo nel punto più vivo dell'attuale dibattito, che era necessario inquadrare, però, sia pure sommariamente, nel più vasto orizzonte generale per dare un senso non opinabile alle questioni parziali. Palinsesto regionalizzazione, terzo canale, gazzettini regionali, tribune regionali: ecco il problema.
La RAI sicuramente è disposta ad aprire un discorso più o meno vago su questo terreno, a promettere qualche minuto di trasmissione, inserita magari, nelle ore meno prestigiose, con l'assicurazione di una più ampia concessione di tempo quando vi sia la terza rete. Non ci sembra questa la strada giusta: questa è una strada che porta difilati al consolidamento dell'attuale situazione. Noi diciamo, come Gruppo di sinistra, che non siamo favorevoli ad una regionalizzazione della RAI-TV nel senso di istituzione di Centri di produzione in ogni Regione. Oltre che utopistico sarebbe uno spreco (se si trattasse di veri e propri Centri di produzione: ci possono essere sì installazioni di altri Centri di produzione, ma con raggio d'azione interregionale, e se ne sente la necessità soprattutto per il Sud). A meno che si tratti di una sotto-RAI, di serie B da inquadrare nelle Regioni. Anche in questo caso rimarrebbero intatte, anzi risulterebbero rafforzate, le attuali strutture.
Noi riteniamo invece che non si possa e non si debba assolutamente entrare nell'ordine di idee di un inserimento regionalistico nell'attuale assetto e nelle attuali strutture. Le Regioni devono porsi, anche per i problemi parziali immediati, dal punto di vista strategico della riforma della RAI basata sui punti cardinali dell'Ente nazionale di diritto pubblico: nazionale in senso territoriale, pluralistico, nella gestione culturale, politico, con gestione sociale democratica, gestione cui partecipano il Parlamento, il Governo, certo le Regioni, i sindacati, le associazioni culturali, con una produzione programmata (programmi, linee generali) e un decentramento dei Centri di produzione, pure socialmente gestiti democraticamente, con rafforzamento nel Mezzogiorno, e sedi (che oggi sono 14 o 15, più due redazioni giornalistiche, mi pare a Trento ed a Catania) dotate di funzioni più ampie dove non ci sono i Centri di produzione. Quindi, una salvaguardia dell'autonomia, e i controlli. Questo il terreno principale della battaglia: battaglia da fare subito, senza rimandarla a domani. Immediatamente occorre cioè far sì che la RAI-TV non possa procedere a modifiche, comunque coperte dal palinsesto... - è significativa la civetteria classica della scelta di questo termine, che fa pensare a vecchie tavole; anche in questo si vuol segnare un distacco -. Si tratta di impedire che in questo periodo di transizione la RAI-TV compia manipolazioni che costituiscano fatto compiuto, o che Comunque la sua potente capacità di corruzione crei situazioni che compromettano ogni possibilità di intervento. E al tempo stesso già fin d'ora richiedere l'intervento gestionale pluralistico, anche in regime societario immediatamente, per controllare, intanto. E bisogna partire dalla prospettiva di andare al di là del controllo, andare alla gestione pluralistica democratica.
Avendo presente questo orizzonte, si individuano le misure parziali per condurre questa lotta, che sono: l'istituzione di un Comitato per i programmi generali, non regionali nei quali l'informazione regionale non sia considerata una appendice, o un nuovo ingombro sugli orari, o da dirottare, quando ci sarà, su qualche altro canale, in modo da togliersela di torno, ma sia un elemento costitutivo dell'informazione nazionale. Con questo Comitato si dovrà operare un primo passo verso il nuovo assetto generale: voglio dire che già con questo intervento le Regioni devono essere ben consapevoli di condurre dei passi che non costituiscano consolidamento dall'attuale situazione delle attuali strutture, o impedimento alla riforma della RAI, ma passi sia pure limitati e parziali, che vadano nella direzione della riforma della RAI-TV.
Quindi, con la presenza delle Regioni, dei sindacati, delle Associazioni culturali, dei lavoratori della RAI, impedire ogni manipolazione che, sotto qualsiasi pretesto, modifichi permanentemente le strutture materiali della RAI prima del 15 dicembre 1972, data di scadenza della convenzione. E' questo che si cela sotto il titolo pomposo di "palinsesto": un qualcosa che assomiglia, come una goccia d'acqua somiglia all'altra, agli schemi dei decreti del Presidente della Repubblica per il riordinamento dei Ministeri. Una gherminella tipo quelle di Buffalmacco a Calandrino, è quella che si vorrebbe tentare.
Se è vero che l'azione delle Regioni è tanto più importante ed efficace quanto più è unitaria, è anche vero che è nostro dovere promuovere questa azione unitaria. La Regione Lombardia, come ho detto, tenne già un suo convegno nel luglio scorso; a Torino, dobbiamo ancora discutere su quella mozione, e si deve al Presidente del Consiglio se oggi finalmente stiamo discutendo, prendendo coscienza di questa questione, per assolvere così una funzione nazionale.
Non pretendo affatto di avere esaurito l'argomento. Mi sembra peraltro, che sarebbe opportuno che un tema di tanta rilevanza, che giustamente viene considerato un tema da raffrontare a quello della scuola e quindi un tema di programmazione, venga demandato, per l'esame e per la stesura di documenti, di proposte più generali, più organiche e globali all'organo competente del Consiglio, creato appositamente, cioè la III Commissione permanente del Consiglio, che ha appunto fra i suoi compiti quello di esaminare i problemi della formazione, della informazione e della cultura.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Avevo avuto, signor Presidente, l'impressione erronea che le sue comunicazioni sul rapporto tra la RAI-TV e le Regioni concernessero esclusivamente la trasmissione di servizi regionali. Viceversa, molto opportunamente a mio avviso, le comunicazioni di questa mattina hanno allargato l'oggetto del dibattito e devo quindi scusarmi se dovrò fare ricorso - contrariamente alle mie abitudini - ad un'improvvisazione sul tema.
Credo sia di tutta evidenza come la gestione della radio e della TV siano un servizio di pubblica utilità e di pubblico interesse ed è pur vero che questo servizio è oggi gestito, per molti aspetti, in modo che non sono né pubblici né privatistici, ma di una terza natura che definirei conventuale. Questo è un argomento che dovrà essere preso in esame in sede di rinnovo della licenza che scade alla fine dell'anno e penso che occorrerà in questo Consiglio un ulteriore, più approfondito dibattito se si vuole ottenere, con il rinnovo della licenza, che questo servizio essendo riconosciuto di interesse pubblico, sia anche assoggettato a tutte quelle garanzie che sono inerenti alle funzioni pubbliche.
Sul tema della legittimità del monopolio da parte della società concessionaria, mi pare che il Presidente del Consiglio nelle sue odierne comunicazioni si sia implicitamente richiamato alla linea interpretativa a suo tempo seguita dalla Corte Costituzionale, nella celebre relazione del giudice Sandulli, quello stesso che dieci anni dopo compì uno sfortunato tentativo di presiedere l'ente radiotelevisivo. Ovviamente io non ho avuto modo di consultare, su questo tema di politica generale, né il mio gruppo né il mio partito, ma personalmente sono dell'avviso che la questione del pluralismo dell'informazione (mi ha fatto piacere sentire poco fa dal collega Besate il richiamo ad un concetto così strettamente, autenticamente liberale come quello del pluralismo) non può essere una ragione di per s stessa valida per sostenere la tesi che possono esistere più concessioni pubbliche e private, per la gestione dei servizi radiotelevisivi. A mio avviso si tratterebbe, in questo caso, di una di quelle particolari ipotesi in cui una libertà che formalmente è riconosciuta a tutti, sarebbe poi attribuita sostanzialmente alla facoltà di pochi o anzi di pochissimi.
Credo del resto che il problema vero, per quanto riguarda le trasmissioni radiotelevisive, non sia tanto quello della libertà di informare, nel senso di stabilire quali sono i soggetti che possono essere gestori di un servizio di informazioni radiotelevisive; ma è quello della libertà per gli utenti di non essere disinformati, o di essere informati nel modo più corretto possibile. Ciò vuol dire che il pluralismo deve essere garantito all'interno dei servizi radiotelevisivi, rendendoli il più possibile trasparenti, il più possibile accessibili ai controlli sia di carattere politico, sia di carattere amministrativo. Ad esempio è stata prospettata alla Camera già da alcuni anni l'ipotesi di costituire, in sede di rinnovo della licenza e qualora venisse confermata nelle sue linee di massima l'attuale struttura della Radio-TV, un Comitato di garanti quale quello che presta servizio già da molto tempo, e con buoni risultati presso la BBC inglese, la quale, a detta di coloro che la seguono (io non sono fra quelli) pare sia una delle emittenti che danno maggiori garanzie di obiettività alle loro trasmissioni.
Quindi controllo politico, controllo amministrativo e anche partecipazione degli utenti. Noi viviamo in una società in cui il tema della partecipazione è diventato ormai di carattere universale, si parla di partecipazione a proposito di tutto e sarebbe bene porsi il problema di come concretamente potrebbe sperimentarsi una partecipazione alla gestione da parte degli utenti al servizio radiotelevisivo. Si potrebbe anche, se la Radio-TV restasse nella sua attuale figura di società per azioni sperimentare in questo settore l'azionariato popolare. Per esempio, se in connessione con il pagamento del canone si concedesse agli utenti la possibilità di acquistare qualche azione della società concessionaria, si potrebbe in questo modo portare nel Consiglio di Amministrazione della società una rappresentanza degli azionisti popolari, dei consumatori fruitori o vittime di questo servizio.
Se così fosse, cioè se nel Consiglio d'Amministrazione esistesse una qualche rappresentanza dell'utenza, potrebbe darsi che si rafforzasse quella vigilanza amministrativa che è oggi, rispetto alla Radio-TV grandemente carente, come è stato evidenziato con note estremamente polemiche in tutte le più recenti relazioni della Corte dei conti sulla gestione dell'azienda. E' noto - e non stiamo qui ad ampliare il discorso per non cadere in demagogismi - che la radiotelevisione è un'azienda in cui pullulano i consulenti invisibili, in cui i capi servizio sono molti di più dei servizi di cui dovrebbero essere capi e in cui la gestione della pubblicità si presta a rilievi molto gravi.
Tra i vari modi in cui si organizzano le trasmissioni radiotelevisive nei diversi paesi del mondo, prevalgono in sostanza due categorie: quella dei Paesi in cui la Radio-TV è privatistica e quella in cui è pubblica o è monopolio dello Stato. Anzi, tre categorie direi: la privatistica, la statale e quella gestita in forme più o meno miste come avviene in Italia a seguito di un'eredità che risale alle origini delle trasmissioni, alla prima costituzione a Torino della Società collegata alla SIP che aveva in origine questa licenza di trasmettere.
Ora mi pare che si verifichi una certa soluzione all'italiana, come si suole dire sviluppando la nostra attitudine autodenigratoria: perché in fondo, se andiamo a vedere come si finanziano gli enti radiotelevisivi vediamo che generalmente, nei Paesi dove il sistema è privatistico, questi enti si finanziano principalmente o esclusivamente con il gettito della pubblicità; là dove viceversa esiste un sistema pubblico o il servizio è gratuito, perché viene considerato come un servizio culturale di uso pubblico, oppure c'è un canone obbligatorio stabilito dallo Stato. Noi abbiamo questa brillante soluzione: vi è un monopolio di Stato che riscuote il suo canone obbligatorio e poi vi è in più una gestione del tutto privatistica della pubblicità che dà un reddito crescente, il quale incide in misura notevole sulla situazione della stampa - di cui mi pare che dovremo occuparci nel prosieguo di questa riunione - perché è chiaro che fra propaganda radiotelevisiva e pubblicità a mezzo stampa si viene ad instaurare una forma di concorrenza che in molti casi va a danno della prima e a vantaggio della seconda. Il punto su cui si dovrebbe far luce, da un punto di vista politico, è il modo in cui questa pubblicità radio televisiva, particolarmente richiesta e appetita dalle società industriali e in genere dalle società che hanno dei grandi bilanci di pubblicità, viene poi gestita dalla società Sipra che ne è la concessionaria per conto della RAI. E' cosa nota a tutti come i Caroselli servano come merce di scambio per impinguare la pubblicità dei partiti ufficiali o ufficiosi che stanno al Governo.
Ricordo - non me ne voglia il collega Gandolfi - una divertente dichiarazione del partito repubblicano il quale, in una inchiesta su come si finanziano i partiti e su come si finanziano gli organi di stampa dei partiti, rispondeva candidamente che "La voce repubblicana" non aveva problemi di questo genere perché il suo bilancio era mantenuto in condizioni di pareggio, o comunque in condizioni di economicità, attraverso il contratto pluriennale stabilito con la Sipra. Del resto se nel corso della riunione andremo avanti con il problema della libertà di informazione, questo stesso tema si potrebbe porre, come ipotesi, rispetto ad altri giornali che hanno, tra le altre loro debolezze, anche quella di essere di proprietà di un partito politico e che forse non si stampano troppo lontano dalla sede in cui stiamo discutendo.
Quanto al quesito del Presidente Vittorelli se il Paese sia maturo per conoscere la verità, credo che la risposta più facile è quella che dava De Sanctis oltre un secolo fa rispetto al problema se si potesse concedere al Mezzogiorno la libertà politica. Diceva De Sanctis: bisogna concederla perché la libertà si impara solo quando c'è la libertà, esercitandola. Così il diritto a conoscere la verità matura soltanto quando la verità viene fatta circolare e viene garantita per tutti.
Questo avviene da parte della radiotelevisione ed io credo che, con tutti i suoi limiti, la radiotelevisione sia un grosso strumento di diffusione della verità, ma non di tutta la verità che si potrebbe dire.
L'onorevole e collega di partito Luigi Barzini (che tra l'altro è un noto giornalista) discutendo alla Camera del rinnovo della licenza alla radio e alla TV, ha dichiarato qualche mese fa, circa il modo in cui si gestisce la verità da parte dei servizi giornalistici della radio e della TV: "Si dà per scontato in partenza che ogni impiegato, dirigente, giornalista o regista della radiotelevisione sia al suo posto non per i suoi meriti professionali, ma solo perché raccomandato da un potente e quindi suo vero dovere sia quello di servire non già l'azienda o il Paese ma il suo padrone personale". Queste dichiarazioni di Barzini potranno essere più o meno forti, ma senza dubbio, nel grande piano di lottizzazione che investe tutti gli enti pubblici del Paese, dalle industrie alle banche e così via, la radiotelevisione costituisce uno dei modelli più insigni di lottizzazione politica degli incarichi.
Per finire con un richiamo di carattere regionale noi dovremmo, nei rapporti che si potranno avere con l'ente radiotelevisivo, cercare di ripristinare quella tradizione particolarmente viva della città di Torino da cui è nata la cultura radiofonica e che poi, come tante altre attività è espatriata dalla nostra città impoverendone ulteriormente l'ambiente artistico e giornalistico. Quindi sono d'accordo che sia opportuno dare più spazio all'attività della Regione, al dibattito politico del Consiglio Regionale (magari collocandolo fra una trasmissione sportiva e l'altra, in modo che la gente non riesca subito a cambiare canale); ma penso che oltre a ciò si debbano potenziare tutte le altre espressioni della vita sociale della Regione. Noi commetteremmo un errore se ritenessimo che fra le attività regionali che devono essere seguite e commentate dalla radio e dalla TV, vi sia solo l'attività istituzionale degli enti politici locali delle Regioni, delle Province, dei Comuni; vi sono tante altre realtà sociali che meritano di essere rappresentate e discusse. Un modo per garantire la libertà, pure in regime di monopolio pubblico, dovrebbe essere quello di aprire le trasmissioni in certe ore a dibattiti e confronti il più possibile liberi fra le associazioni, fra i gruppi sociali, fra i circoli culturali, fra tutte le realtà regionali.
Non dobbiamo dimenticare che in fondo per la democrazia di oggi il mezzo di informazione audiovisivo è quel che era la piazza per la democrazia dei classici, non possiamo più pensare alla democrazia come ad un metodo di discussione che si sviluppa assemblearmente attraverso una comunità fisica di persona, bisogna valutare che una società di massa ha bisogno di strumenti diversi da quelli tradizionali e il sussidio audiovisivo è proprio il modo in cui la democrazia contemporanea estende naturalmente con certi limiti, con nuovi problemi, quella discussione che anticamente si poteva fare fra le colonne del foro.
Questa estensione della possibilità di accedere, di discutere liberamente dai microfoni della radio e della TV, a tutte le forte reali operanti nella Regione, è un'istanza da portare avanti (come si suol dire nel gergo dei politici) per evitare la possibile involuzione che è stata prospettata, sia pure in chiave romanzesca e quindi evidentemente fantapolitica, del mezzo che diventa padrone dell'informazione e nuovo despota della società totalitaria. Dobbiamo fare in modo che la Radio-TV non sia l'occhio del padrone, ma lo specchio della realtà sociale democratica.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, io non avrei chiesto la parola se i riferimenti fatti nel dibattito in corso anche al partito socialista sui problemi della televisione, non avessero coinvolto non solo il mio partito nel suo complesso, ma anche le persone di due suoi autorevoli rappresentanti, il Vicesegretario nazionale del partito ed il compagno Scalfari.
E' chiaro che la posizione del nostro partito in ordine ai problemi della TV in Italia, è quella precisata anche recentemente dal giornale ufficiale l' "Avanti! ". Detto questo, bisogna anche aggiungere che non ci sono in questa materia dei dogmi, che comportino esclusioni dalla linea del partito per prese di posizione, ovviamente personali, che rientrano nel normale dibattito del partito.
Io credo, signor Presidente, signori Consiglieri, che dovremo fare un dibattito più largo su questi problemi. Io stesso sono impreparato stamattina a parlare in modo dettagliato di una nuova struttura della radiotelevisione e dell'informazione televisiva in Italia. Voglio soltanto dire che sono lieto di trovarmi d'accordo con quanto diceva il collega Zanone e cioè che la TV non deve essere l'occhio del padrone, ma deve rappresentare la realtà generale del Paese; così come sono d'accordo con lui nel ritenere che la risposta alla domanda che faceva il Presidente del Consiglio, se sia il nostro popolo maturo, è stata già data molti anni fa da Gaetano De Sanctis per quel che riguardava la maturità delle popolazioni dell'Italia meridionale. Certo, la maturità si conquista nelle lotte, si conquista giorno per giorno utilizzando gli strumenti della democrazia e conquistandoli e io credo che per quanto riguarda la radio e la TV ci sia proprio da conquistare questi strumenti, dato lo stato vorrei dire di sfacelo (per non usare una parola dolce) in cui versa - ne abbiamo avuto testimonianze anche recenti in alcune manifestazioni in occasione di importanti avvenimenti politici - l'informazione televisiva.
Io penso che non dobbiamo entrare oggi in questa discussione, ma affermare soltanto il principio che nella trasformazione dell'informazione radiofonica e televisiva la Regione deve avere una sua parte fondamentale.
Noi l'abbiamo affermato nel nostro Statuto quando diciamo che la Regione riconosce che il presupposto della partecipazione è l'informazione, essa stabilisce dei rapporti permanenti con gli organi di informazione, anche audiovisivi e provvede ad istituire forme di comunicazione che consentono alla comunità regionale di esprimere le proprie esigenze. Mi pare che su questo punto, che è diventato legge dello Stato, perché lo Statuto è legge dello Stato, noi dovremo prendere le mosse per affermare il nostro diritto ad occuparci di queste cose e a fare della TV uno strumento anche regionale.
Ci sono molte possibilità: io personalmente penso a centri di informazione regionali in parte autofinanziati con le vendite e con la pubblicità, in parte finanziati dalle comunità, infine, nei casi delle regioni più povere, finanziati dallo Stato. Penso anche che questi centri potrebbero costituire i nuclei di una rete di informazione di base controllata politicamente e capace di contrastare la spinta di grandi gruppi centralizzati pubblici e privati (perché anche quelli pubblici debbono essere controllati pubblicamente); questi centri potrebbero integrare la funzione della informazione rispetto ai diversi mezzi di comunicazione di massa: quotidiani, periodici, ecc.; infine potrebbero costituire l'occasione di una riforma in senso decentrato. Su questa linea dovremmo muovere, affermare il principio, ripeto, che la Regione, per legge dello Stato, ha il diritto e il dovere di occuparsi delle comunicazioni di massa e studiare, sulla base di questa norma legislativa, quali sono i mezzi migliori che abbiamo a disposizione.
Io penso che per oggi non possiamo dire cose diverse da queste.
Desidero però aggiungere - ed ho finito - che il nostro Gruppo ritiene indispensabile costituire una Commissione permanente di coordinamento sull'informazione regionale, della quale dovrebbero far parte - oltre ai Consiglieri Regionali - giornalisti designati dal Comitato di Redazione dei servizi giornalistici della RAI del Piemonte e della Assicurazione della Stampa Subalpina. In questo senso presenteremo una proposta precisa.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Carazzoni, ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io ho ascoltato con attenzione e con interesse la relazione introduttiva a questo dibattito, che è venuta ad evidenziare ancor di più, se è possibile, l'importanza del tema che oggi si è voluto trattare. Tanto importante questo tema che, pur riconoscendo di non avere alcuna specifica competenza in materia, ho ritenuto doveroso prendere la parola per precisare, sia pure brevemente, talune considerazioni della mia parte. E lo farò dicendo anzitutto - in aperto contrasto con le tesi sin qui portate avanti - che noi non possiamo essere d'accordo sul principio del monopolio radiotelevisivo. Dicendo questo non ci richiamiamo soltanto all'esperienza di altri Paesi europei, dove pure vigono efficientissime reti radiotelevisive a sistema privato, ma ci richiamiamo anche ai numerosi pareri che abbiamo sentito esprimere dalle più diverse, dalle più contrastanti parti politiche in questa materia. Ne ha fatto un brevissimo accenno il Consigliere Nesi che mi ha preceduto ed io, mentre lei signor Presidente escludeva tout court la possibilità di rivedere questa formula di gestione della RAI-TV, pensavo che un autorevole rappresentante del suo stesso partito, l'on. Scalfari, è andato sostenendo di recente tesi diametralmente opposte.
Noi siamo contrari al principio del monopolio radiotelevisivo perch pensiamo che il potere che ha l'azienda radiotelevisiva di orientare e di influenzare in una situazione di monopolio i costumi, le inclinazioni, i gusti di milioni di cittadini, sia un potere che non va affidato soltanto allo Stato; anche poi tenendo conto del fatto che questo potere è ancora di più dilatato perché, come è noto la RAI-TV, attraverso l'azienda collegata della Sipra, è in grado di influenzare e di intervenire anche su complessi editoriali di grossa portata, orientandone le scelte e le prese di posizione. E la gestione a monopolio unico sinora seguita in Italia d'altra parte ha fornito risultati sui quali penso debba essere richiamata l'attenzione non solo di questo Consiglio Regionale, ma di tutta l'opinione pubblica. In un sistema di monopolio statale la RAI-TV è giunta oggi ad avere qualcosa come 11.000 dipendenti; il costo del personale negli ultimi dieci anni è salito da 10 a 66 miliardi di lire. Tutto questo ha portato a un deficit annuo medio della RAI-TV che si aggira sui 16 miliardi di lire.
Sono onerosissimi i costi di produzione, ogni ora di trasmissione televisiva costa all'ente qualcosa come 13 milioni di lire quando, per esempio, il costo per un'ora di trasmissione per la BBC, che è senz'altro la più importante rete televisiva europea, non è superiore ai nove milioni di lire.
Se guardiamo poi ad un altro aspetto eclatante del dilatarsi mastodontico avuto dalla RAI-TV in regime di monopolio statale, dobbiamo sottolineare l'infoltirsi di schiere di dipendenti con qualifiche le più strane, le più eterogenee, le più misteriose. Basti pensare che dal 1964 al 1971 le qualifiche aziendali da capo servizio in su sono passate, per i soli giornalisti da 119 a 569; basti dire che su un organico di 700 giornalisti vi sono 11 direttori, 11 condirettori, 27 vicedirettori, più di 100 redattori capo.
Questi sono i risultati della gestione a monopolio statale. Noi ci domandiamo e domandiamo a voi, colleghi Consiglieri, se una gestione privata non potrebbe opportunamente ridimensionare posti di questo genere e passivi di questo tipo, che sono poi sopportati da tutta la collettività.
Certo che questo si è verificato non solo per la particolare forma di struttura dell'ente, ma anche perché di esso si è praticamente impadronito il potere politico. Ed è veramente strano sentire qui rappresentanti di altri gruppi lamentare la disinformazione che viene data dalla radiotelevisione, quando poi questi medesimi gruppi hanno la carica di Presidente o di Vicepresidente o di Amministratore delegato. Mi pare Consigliere Nesi, che Amministratore delegato sia il socialista Luciano Paolicchi ed è quindi senza dubbio censurabile, innanzi tutto in casa sua questa mancanza di obiettività di informazione che attraverso gli schermi radiotelevisi viene data all'opinione pubblica nazionale.



NESI Nerio

L'abbiamo fatto, con molta onestà.



CARAZZONI Nino

Io volevo sottolinearlo perché mi pare che sia una cosa da evidenziare.
Noi siamo completamente estromessi, esclusi, discriminati e siamo anche coloro che a maggior ragione forse possono vantare e possono lamentare le disgraziate conseguenze della disinformazione oggi in atto in Italia.
Certamente la mia parte politica è sottoposta ad una quotidiana persecuzione da parte della TV o della RAI. Noi siamo ben disposti ad accettare qualunque tipo di trasmissione, purché sia veramente libero vivace, spontaneo. Se tutte le trasmissioni televisive italiane fossero come l'ultima "Tribuna Politica", ecco, non avremmo assolutamente niente da eccepire, anche perché pensiamo che l'opinione pubblica sia in grado, a fronte di simili dibattiti, di chiarirsi le idee che forse sono lasciate volutamente in stato confusionale da coloro che, nella normalità dei casi provvedono alle trasmissioni e alle diffusioni radiofoniche e televisive.
Detto questo sul piano del principio, per quanto riguarda il tema particolare dei rapporti Regione-RAI-TV, noi dobbiamo fare semplicemente questa osservazione: è un problema che devono affrontare soprattutto i gruppi di maggioranza, i gruppi che hanno portato avanti la riforma regionale e che oggi quotidianamente (abbiamo già avuto occasione di sottolinearlo in altre circostanze) vedono fermare, bocciare, contrastare questa loro iniziativa regionale. Non dobbiamo e non possiamo essere ovviamente noi, che questa riforma abbiamo contrastato, a cercare di ottenere, come ci pare sia giusto, un maggiore spazio da parte della radio e della televisione, per ciò che concerne l'attività degli organi regionali; devono essere in primo luogo i gruppi regionalisti a riuscire a sfondare là dove finora hanno trovato della resistenza a dimostrazione del pressappochismo e dell'improvvisazione con cui si è arrivati appunto alla riforma regionale. Tutto quello che possiamo chiedere e sollecitare e raccomandare è che ove si faccia strada a questa possibilità di informazione maggiore per le attività regionali, queste attività vengano seriamente messe sotto controllo di tutti i gruppi politici, in modo che almeno in questa fase, almeno su questo piano sia possibile a tutti avere l'effettiva garanzia di un'informazione libera, obiettiva o, se si vuole veramente democratica.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi, ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, devo portare la adesione del partito repubblicano alle dichiarazioni introduttive del Presidente del Consiglio per la parte che indicavamo come tipo di obiettivo che la Regione deve proporsi di raggiungere rispetto alla programmazione delle attività radiotelevisive, La necessità di raggiungere un'informazione sul dibattito politico regionale o su problemi di carattere economico e sociale che investono la Regione Piemonte, è fondamentale e un istituto come la RAI-TV deve riuscire a garantirla ed è giusto ed importante che le Regioni portino avanti tutta una serie di sollecitazioni.
C'è però un'altra parte delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio che, almeno per quanto riguarda la mia parte politica, richiedono ulteriori precisazioni circa l'atteggiamento che il mio partito può portare in questo contesto. Il discorso della riforma della RAI-TV è molto complesso e importante, e può avere due punti da sottolineare nel valutare la situazione e nel proporre i possibili rimedi, innanzi tutto di carattere culturale e funzionale.
E' già stato detto - e non può non esserci una concordanza di posizioni che un organismo come la RAI-TV deve riuscire a garantire un pluralismo culturale istituzionale per quanto riguarda il suo assetto interno, cioè una partecipazione alla formazione dei programmi che garantiscano una molteplicità e la presenza di tutte le componenti che vivono la vita culturale del Paese al suo interno; deve garantire, rispetto agli utenti la completezza e la correttezza delle informazioni e questo significa la capacità di riportare, per ogni fatto proposto o commentato all'interno dei servizi radiotelevisivi, tutto l'arco delle posizioni concrete politiche sociali ed economiche che su questi fatti si vengono articolando.
Questo è il primo punto di riferimento che bisogna avere come elemento di giudizio nella discussione. Il secondo punto è che un organismo pubblico di questo genere deve riuscire a garantire una correttezza di gestione economica che non accolli sulle spalle della collettività un doppio onere cioè l'onere del canone che viene richiesto, l'onere di una situazione deficitaria, perché l'unica cosa che può garantire e legittimare il monopolio delle trasmissioni radiotelevisive rispetto a una situazione sociale, politica e culturale come quella del nostro Paese, ripeto, sono la garanzia del pluralismo delle posizioni culturali all'interno dell'ente e la correttezza della gestione economica; perché un presupposto fondamentale rispetto alla cessazione di un monopolio sono anche non solo questioni di carattere culturale, ma anche di carattere economico come possibilità di non far gravare sulla collettività una molteplicità di oneri che certamente deriverebbe da una gestione di tipo pluralistico. Se noi misuriamo rispetto a questi due elementi di giudizio - pluralismo culturale e correttezza e completezza di informazione da un lato e correttezza di gestione economica dall'altro - la situazione odierna della radiotelevisione, non possiamo non rilevare che è estremamente deficitaria e che non deriva (questo è il termine di dissenso che vorrei far percepire rispetto alle dichiarazioni che ha fatto il Presidente del Consiglio) da una situazione di imposizioni di carattere autoritario all'interno della RAI-TV, che tenderebbero di fatto a bloccare la libertà di informazione per gli utenti, ma da ragioni che sono più complesse e che vanno più profondamente analizzate. Questa situazione si è venuta verificando all'interno della RAI perché è mancata una corretta istituzionalizzazione di tutti questi fattori e queste cose si è ritenuto di poterle risolvere semplicemente attraverso una lottizzazione di carattere politico, cercando di realizzare la pluralità di posizioni attraverso delle spartizioni di potere all'interno dell'ente, con brillante risultato di sottoporre servizi di informazione a una molteplicità di pressioni che di fatto intimidiscono e rendono impossibile al servizio di informazioni di garantirne l'obiettività e di far che la gestione di fatto non sia più in senso economico, ma sia una serie di tensioni sviluppate da questa o da quella componente politica all'interno della RAI per garantire alla propria parte maggiore spazio, maggiori centri di potere che garantiscano il potere all'interno della radiotelevisione e soprattutto l'utilizzazione di un centro istituzionale come questo, per fini che non sono istituzionali, per garantire una presa maggiore all'interno del Paese di certe correnti dei vari partiti che così possono garantire un appoggio finanziario ai settori che a loro si riferiscono.
Il discorso degli sprechi all'interno della RAI va visto in questa luce, cioè di una moltiplicazione inutile di centri funzionali, legati esclusivamente a una spartizione di potere tra talune correnti D.C. e talune correnti del P.S.I.; di una moltiplicazione di consulenze che non hanno altra logica se non quella del finanziamento di attività di partito di correnti o di sottocorrenti attraverso strumenti pubblici.
E' questa logica che bisogna riuscire a spezzare se si vuole fare un discorso corretto; non è in gioco la libertà o la maturità del popolo italiano, ma il come le forze politiche possono garantire il funzionamento di centri istituzionali così importanti mettendoli fuori dalle logiche del partito. Questo è il problema fondamentale della RAI-TV. E da questo punto di vista la posizione del partito repubblicano è molto chiara, il membro del Comitato direttivo della radiotelevisione repubblicano si è dimesso nei mesi scorsi dalla carica che ricopriva all'interno della RAI proprio per denunciare questa situazione e il P.R.I. ha detto chiaramente che è a favore del monopolio dell'informazione radiotelevisiva per un ente pubblico, ma che prima del rinnovo della convenzione tra RAI-TV e Stato bisogna risolvere il problema della RAI-TV nel senso che dicevo prima con una soluzione corretta dal punto di vista istituzionale che garantisca l'informazione e metta al di fuori istituzioni dalle logiche esclusivamente di partito; le logiche che si devono realizzare devono essere di tipo funzionale e culturale e non partitiche.
Non è certo un argomento che si possa affrontare nei termini che proponeva l'amico Zanone di azionariato popolare, siamo ormai abbastanza coscienti di che significano questi problemi in una società articolata come la nostra, l'azionariato popolare non può più essere utilizzato, pensato oggi come strumento effettivo di garanzie di libertà e di diritti; tra l'altro rischieremmo di fare ritrovare gli utenti doppiamente gravati da un punto di vista finanziario e con informazioni che, al limite, sarebbero ancora peggiori. Il problema, ripeto, è un altro, è di dare un assetto istituzionale alla RAI-TV, che la tolga da queste logiche di partito che oggi riflettono una certa situazione politica che vede l'Amministratore delegato socialista, il Direttore generale D.C., domani ne potrebbe vedere altri di altri partiti. Se questi sono i dati della crisi il problema va risolto in prospettiva per sempre, per slegare questi organi istituzionali dalle logiche strettamente di partito. Se non riusciremo a risolverlo sia ben chiaro che non potremo procedere più a lungo in una situazione di monopolio che si presenta fallimentare.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, io ho molto apprezzato le valutazioni che ci ha esposto il Presidente Vittorelli, per quanto ritenessi che questo argomento potesse essere sviluppato, affrontato, in questa stessa assemblea in sede di esame delle osservazioni sul programma generale, sul documento preliminare al piano che è all'esame delle Commissioni. Personalmente sono doppiamente impreparato ad un dibattito che voglia affrontare a fondo l'argomento (ammiro i colleghi che l'hanno fatto con tanta capacità professionale o con preveggente preparazione) sia perché ritenevo che dovesse essere introdotto nei lavori della Commissione, sia perch personalmente non ho mai approfondito gli aspetti, almeno tecnici, di questo problema. Ciascuno di noi però ha qualche opinione in ordine a un tema che tocca così da vicino la vita nazionale, i rapporti politici l'informazione, la cultura, la formazione del nostro Paese.
Il Presidente Vittorelli ha avuto dei momenti quasi lirici nel sottolineare la grande efficacia e la grande portata anche positiva dell'azione della TV nell'unificazione del costume e della cultura del Paese. Io mi permetterei di attenuare un pochino questo ottimismo. C' tutta una pubblicistica, che è molto trascurata dalla grande opinione, ma che va rilevando i guasti enormi e terribili che ha operato questa forma di livellamento culturale, questo italiano imparato esclusivamente dalla TV questa povertà di linguaggio burocratizzato che ha ucciso una quantità di fonti di espressione culturale. Un popolo è libero quanto più possiede un linguaggio originale attraverso il quale esprimersi in termini di libertà non solo in termini economici o in termini di condizioni e di rapporti, ma è anche in termini di linguaggio che si può essere liberi. E la televisione, senza che gliene si possa fare carico totalmente, ha operato tutta una azione di livellamento per cui è stato per esempio constatato che in centri toscani, famosi nei secoli per la produzione di poeti improvvisatori, capaci di un linguaggio ricchissimo, mentre i padri semianalfabeti possedevano un linguaggio fiorito col quale affrontare ed esprimere in termini originali, culturalmente validi, temi e situazioni particolari, i figli, andati a scuola e soprattutto a scuola dalla TV sono pressoché analfabeti dal punto di vista delle capacità espressive. Questo per sottolineare in modo molto informe ed improvvisato il carattere estremamente delicato dello strumento televisivo a fini culturali.
Una delle ragioni che si porta a sostegno del monopolio da parte di un ente pubblico (quindi dello Stato) della televisione, è anche quella di poter utilizzare questo strumento per l'elevazione, all'emancipazione culturale del Paese. La TV ha finito di essere l'espressione (al di là di tutte le altre insufficienze, difetti che sono stati denunciati, sembra che la nostra TV non sia la peggiore) di un mondo esclusivamente urbano. C'è tutto un vasto mondo italiano che è messo a tacere. Il mondo agricolo per esempio, è rappresentato in quelle trasmissioni pomeridiane come se fosse qualcosa di preistorico, di lontano, al di fuori della nostra civiltà. Non è una deformazione grave, non è un modo di forzare, di mortificare l'anima la struttura di un Paese? Lo stesso aspetto religioso, nella sua sostanza culturale, è deformato attraverso uno strumento di questo genere. Ed ecco la delicatezza di uno strumento che è l'occhio di un padrone comunque, se è monopolio. Il grande dibattito che io non affronto, ma al quale faccio solo cenno, è proprio questo: come garantire che la TV sia specchio del Paese e strumento pluralistico del suo progresso e della sua emancipazione attraverso una forma di monopolio? Effettivamente è un grande dilemma. Mi rendo conto che il pluralismo e la privatizzazione pura e semplice come tale consentirebbe una quantità di mistificazioni. Forse un unico ente di carattere nazionale riformato, adeguato, migliorato, ci vuole ancora proprio per adempiere a quella funzione di unificazione e di garanzia essenziale per tutti. Ma certo devono essere studiate delle formule per garantire la pluralità delle fonti di informazione, perché senza di questo è come fare a sé stessi delle prediche: se gli uomini fossero perfetti tutti buoni, certi risultati si potrebbero raggiungere facilmente nell'univocità. Sembra però che le espressioni di libertà che l'umanità ha saputo meglio realizzare sono quelle che derivano dal pluralismo, dal confronto, dalla concorrenza, dalla possibilità di un giudizio comparativo e così via. Io non mi pronuncio certo tout court per una privatizzazione o per soluzioni di questo genere che nascondono probabilmente, in molti che le propugnano facilmente, delle finalità alle quali non mi assocerei, ma è certo che non si può pensare di riformare dall'interno un monopolio senza far sì che tale non sia più se non per certe garanzie sostanziali della capacità di fornire un servizio a tutto il Paese e del quale il Paese ha bisogno.
E allora il discorso per la Regione è proprio lo stesso discorso del pluralismo. Poiché le Regioni esprimono una pluralità anche culturale poiché abbiamo superato ormai quel Capo di Buona Speranza o quel momento quel punto in cui poteva sembrare che l'aspetto particolare delle culture regionali, se messo in rilievo, potesse addirittura nuocere all'unità culturale e politica del Paese, credo che una sottolineatura possa essere anche questa: il tempo tecnico e il tempo qualitativo da riservare alle Regioni deve anche essere capace di esprimere le realtà culturali, ma non nei termini del discorso fatto ai tempi dello Statuto circa la registrazione di qualche vernacolo o di qualche accento più o meno dialettale, non facendone una sottocultura, un momento da museo, da ricordo e da archivio.
E allora la ricerca dei tempi tecnici da ottenere, la ricerca delle modalità qualitative per esprimere la realtà regionale dovrà essere occasione di studio, di approfondimento sul quale dovremo ancora ritornare e mi impegno per il mio Gruppo - nel quale ci sono persone che si interessano a fondo, con competenza di questa materia - di tornare sull'argomento, dichiarandoci disponibili per sostenere ogni sforzo, ogni iniziativa atta a stabilire il dialogo con la RAI-TV o con chi avrà questi compiti da svolgere, perché alla Regione nel complesso, alla Regione come istituto regionale siano garantite tutte le possibilità di intervento e di informazione adeguata. Ma ritengo che questo tema possa e debba essere seriamente approfondito attraverso il lavoro preparatorio che la Commissione va facendo e che potrebbe essere integrato con partecipazione della Giunta e di membri di altre Commissioni se le si vuol dare, come le si è data, questa ampiezza di informazione. Tornando qui a discuterne valuteremo in concreto, secondo le nostre competenze, se le indicazioni che vengono fornite sono tali da poter garantire la pluralità dell'informazione, la capacità d'esprimere la realtà regionale, una possibilità di far conoscere al Paese ciò che è abbastanza maturo per capire, tanto maturo che è capace di leggere anche dietro le immagini se non dietro le righe della televisione di cui sa anche interpretare i silenzi.
Per fare il nostro dovere, secondo il nostro punto di vista, io credo che dopo l'elaborazione della Commissione si possa tornare in Consiglio nella sede propria, per formulare in modo preciso ed organico le nostre indicazioni di carattere generale che sono già state qui ampiamente tratteggiate, ma puntualizzandole meglio, specificando spazi, poteri e rapporti della Regione con i mezzi d'informazione a livello regionale.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana, ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, è occorso a me quasi all'inizio della vita di questo nostro istituto regionale, di presentare un'interpellanza alla Giunta che sollevava il problema dei rapporti fra la radiotelevisione e l'istituto regionale. Una serie di concetti che io ho avuto allora il modo di esprimere illustrando quell'interpellanza, ho registrato con estremo compiacimento che sono stati qui oggi ripetuti largamente ampliati e certo più sostanziosamente motivati in primo luogo dal Presidente del Consiglio e poi da altri colleghi.
Mi ha fatto particolarmente piacere sentire dal collega Zanone una definizione estremamente pregnante di come sia in primo luogo irrinunciabile, proprio per garanzia di libertà d'informazione, il monopolio, cioè la fonte unica statale delle trasmissioni radiotelevisive.
Ha detto bene il collega Zanone: se altrimenti fosse si farebbe salvo soltanto formalmente un diritto di libertà, mentre nella sostanza si creerebbero delle profonde discriminazioni e si darebbe la possibilità di usufruire di questa libertà soltanto a ristretti gruppi di potere.
Io non credo di avere nulla di particolare da aggiungere alle molte cose giuste che sono state qui dette, in modo specifico nella relazione presentata dal collega e compagno Besate. Vorrei soltanto per un momento riprendere alcuni elementi che emergevano dall'intervento testé svolto dal collega Bianchi. Io credo che egli abbia ragione quando sottolinea come nel corso delle sue vicende, fino ad oggi, la Radiotelevisione italiana abbia teso sostanzialmente a dare un'immagine di appiattimento e a contribuire largamente ad appiattire la panoramica della realtà italiana, il discorso sulla cultura italiana, il discorso sul linguaggio attraverso il quale la comunità, nelle sue diversificazioni culturali, si esprime. Questo però è un problema che non deriva da carenze di natura tecnica, ma ha a monte un problema di scelte, di orientamento culturale e oserei dire in primo luogo di gestione democratica del rapporto culturale.
Aveva ragione ancora il collega Bianchi nel dire che come la RAI-TV tratta gli aspetti di vita della campagna, dei contadini, fa pensare che in Italia esiste una fascia di subnormali i quali popolano le campagne su cui ogni tanto si punta l'occhio della TV per registrare le loro condizioni quasi di aborigeni destinati peraltro a vivere come tali nell'eternità. E' questa un'immagine che non solo falsa elementi di spontaneità e di cultura contadina che sono recuperabili al quadro più generale del progresso della cultura del Paese, ma che tende a mio avviso, artatamente, a vincolare l'immagine del contadino a un dato di scelta ideologica della collocazione dell'individuazione della figura dei contadini della società. Il contadino è il buono, semplice, rozzo che non capisce tanto e che quindi va permanentemente tutelato e gestito da chi più di lui sa e capisce. E questo non è un fatto occasionale, non è un dato tecnico, è un dato culturale che ha tutta una sua spiegazione e che è parte integrante di tutto un modo di collocarsi rispetto alla realtà del mondo contadino che ha trovato e trova nella pubblicistica contemporanea delle analisi estremamente approfondite e in grado di darci una spiegazione politica, di come ci si atteggia di fronte alle masse contadine, nella loro presentazione sociale e culturale.
E allora, caro collega Bianchi, proprio a questo punto, per i problemi del mondo contadino come per tutti gli altri problemi inerenti al quadro delle forze, delle articolazioni sociali del Paese, il problema non è quello di vedere il monopolio della TV in alternativa con delle astratte possibilità di iniziativa privatistica le quali forniscano una diversa e più soddisfacente immagine e penetrazione delle realtà alle quali ti riferivi, ma di dare forma a gestioni di democrazia dell'informazione, del messaggio, dello spettacolo televisivo soprattutto, ma anche della radio che esprima attraverso un rapporto diretto di controllo e di partecipazione delle forze interessate, la loro vera natura e le aiuti a maturare verso traguardi migliori sul piano culturale, politico e democratico. E' quindi in primo luogo ancora un problema di come si riforma profondamente il modo di gestione di questo strumento, di come se ne fanno partecipi tutti i cittadini ad esso interessati. E' il modo, in sostanza, col quale si sa affrontare nei termini giusti la libertà.
E io credo che le mie parole non possano suonare strumentalizzazione di alcun genere se dico che proprio stamani, leggendo alcune pagine della più recente Pastorale del Cardinale Arcivescovo di Torino Mons. Pellegrino, ho trovato delle parole che definiscono in misura molto corretta, a mio avviso, e molto seria, qual'è il problema della libertà anche nella TV, là dove dice: "Usarne per parlare e operare con sincerità e franchezza vincendo il rispetto umano e andando controcorrente se la coscienza ce ne impone il dovere; usarne per vincere le tentazioni (ed ecco qualcosa che dovrebbe essere sentito particolarmente dagli attuali dirigenti gestori della RAI-TV) di un conformismo pigro e inerte che trova più comodo fare ciò che si è sempre fatto, ciò che non scontenta nessuno, invece di domandarci che cosa si esige da me in questo ambiente, in questo momento per l'adempimento del mio dovere".
Se queste parole, che io accolgo, che credo di poter fare mie, anche se da un'altra angolazione ideologica e di destinazione di lotta politica, se queste parole diventano momento di un comune messaggio e di un comune sforzo per dare nuova democrazia, capacità di anticonformismo, capacità di dovere di uso della libertà, io credo che affronteremo nei suoi termini giusti l'utilizzo di questo grande e fondamentale strumento di informazione e di formazione pubblica.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho ascoltato con grande attenzione il dibattito che si è svolto questa mattina intorno a questo grande problema della Televisione italiana e del rapporto di informazione con il quale la struttura televisiva italiana si colloca nella nostra multiforme realtà nazionale.
Devo dire che molte, se non tutte, le critiche che qui sono state avanzate sono da me pienamente condivise, così come sono da me condivise alcune delle valutazioni che da più parti sono state fatte in ordine alla duplice esigenza di garantire, attraverso il pluralismo, la verità dell'informazione. Ed è condivisa, anche da me, la valutazione che sarebbe semplicemente una garanzia formale un pluralismo che di fatto vedesse soltanto lo Stato, oppure lo Stato ed alcuni grandi gruppi di pressione ricchi di mezzi e di strumenti, in grado di poter utilizzare questo strumento di comunicazione e di informazione.
Detto questo, devo tuttavia dichiarare che, se ci fermassimo dal punto di vista tecnico a questa valutazione è chiaro che ci troveremmo necessariamente indotti a sostenere il monopolio televisivo da parte dello Stato, e conseguentemente a studiare forme di pluralismo nell'interno di questo monopolio. Forme di pluralismo, peraltro, estremamente difficili, e rispetto alle quali tutta la tematica e tutti i dibattiti che si sono svolti all'interno della RAI-TV non hanno fino ad oggi approdato che a ben scarsi risultati, a mio avviso. Né, d'altra parte, sembra che le proposte che vengono avanzate vadano, in fondo, al di là di una richiesta di maggiore attenzione verso taluni problemi, che possono essere problemi di carattere settoriale o possono essere problemi di carattere istituzionale come nel caso delle Regioni.
Io credo, però, che questo dibattito vada ulteriormente approfondito anche perché la tecnica moderna sta dimostrando come nella trasmissione televisiva non siano più necessari, per quanto riguarda le emittenti grandi investimenti. Con investimenti di modesta entità, senz'altro affrontabili anche da piccoli gruppi, è oggi possibile fornire una comunicazione televisiva per un raggio d'azione notevolmente ampio, di certo sufficientemente espanso, ad esempio, da coprire un'area regionale.
Non ho qui dati precisi, anche perché, non pensando che questa mattina si sarebbe discusso di questo argomento in modo così approfondito, non mi sono premurato di procurarmeli per offrirli al vostro esame. Penso però che sia il caso di guardare al problema in questa luce. Non esistono - mi pare abbia detto Nesi - in alcuno dei partiti verità di fede in ordine al problema della televisione ed in ordine al problema del monopolio o meno da parte dello Stato, e io penso che soprattutto da parte delle Regioni sia opportuno valutare questo problema sotto il profilo tecnico, per avere dati precisi e per vedere se per caso noi, sostenendo il monopolio di Stato, in realtà non andiamo in direzione opposta a quella che può corrispondere all'interesse più vivo anche della Regione.
Come dico, questo è un problema che si potrà approfondire quando si disponga di dati precisi in ordine alle possibilità di diffondere delle informazioni su un'area sufficientemente vasta, con emittenti che non portino a cesti abbordabili soltanto da grandi gruppi o soltanto attraverso ingenti investimenti. Pertanto, io chiederei che, in ordine a questo problema, il Consiglio Regionale si aggiornasse e potesse dare una valutazione anche sul suo aspetto prettamente tecnico. Perché soltanto così, ritengo, si potrà collegare la questione della presenza delle Regioni nel campo delle possibilità di fornire informazioni, al problema, in definitiva, anche di un pluralismo istituzionale, al problema più generale della verità e della libertà d'informazione.
Se è vero, come pare sia - io mi riserverei di approfondire meglio la cosa - che, ad esempio, per fornire comunicazioni capaci di coprire tutto il territorio della Regione piemontese è sufficiente un investimento, per una emittente, dell'ordine dei 150 milioni, con estrema facilità di diffusione, credo che questo problema del pluralismo dell'informazione non sarebbe più un problema di grave difficoltà nei confronti di ogni gruppo e nei confronti di ogni istituzione. Penso quindi che questo sia un elemento nuovo da valutare nel quadro più generale di questo rinnovo della concessione che lo Stato deve fare nel prossimo autunno.
Mi riserverei, quindi, di fornire queste informazioni dettagliate per valutare anche sotto questo profilo il problema del monopolio della RAI-TV.
Perché credo che se quanto ho prospettato risulterà vero le Regioni avrebbero validi motivi per valutare con estrema serietà la possibilità di chiedere qualche cosa di molto diverso allo Stato che non il rinnovo del monopolio alla RAI-TV, piatendo dalla RAI-TV un poco più di attenzione magari un'ora di trasmissione al mese, secondo la richiesta che mi pare si stia delineando oggi da parte delle Regioni. Ben altra sarebbe in questo caso, nel caso cioè di una possibilità di trasmissione a livello regionale la capacità di informazione delle Regioni stesse in via diretta, attraverso uno strumento nel quale potessero esse stesse essere investite di autonomia di decisione.
Io propongo, pertanto, che questo dibattito sia proseguito non appena si saranno ottenuti dati dettagliati e precisi in ordine ai costi, dati che comunque porrebbero, ove ben valutati, le Regioni in una condizione contrattuale ben più forte nei confronti dello Stato e della stessa RAI-TV.
E' una richiesta che credo possa essere a tutti bene accetta, anche perché prospetta un approfondimento di questa tematica, di questo problema che ha un estremo interesse per l'Istituto regionale.



PRESIDENTE

La Conferenza dei Capigruppo è convocata subito, per l'esame di una serie di problemi compresi nel nostro ordine del giorno, cui ho fatto cenno antecedentemente.
Il Consiglio è riconvocato per le ore 16.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,05)



< torna indietro