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Dettaglio seduta n.56 del 09/09/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento: Commissione di controllo sugli atti della Regione

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Come mi ero riservato di fare questa mattina, do comunicazione del decreto del Presidente della Repubblica in data 30 giugno 1971, contenente "Costituzione della Commissione di controllo sull'amministrazione della Regione a Statuto ordinario Piemonte" di cui leggo soltanto il dispositivo: "Art. 1) La Commissione di controllo sull'amministrazione della Regione Piemonte è costituita come segue: Presidente Salerno dr. Giuseppe Commissario del Governo; membri effettivi Morone dr. Ettore, Consigliere della Corte dei Conti; Farrace dr. Luigi, vice prefetto; Trotta dr. Ugo vice prefetto ispettore; Lodetti dr. Lido, ispettore generale del Ministero del Tesoro; Ferreri, prof. avv. Paolo Emilio, esperto nelle discipline amministrative; Cansacchi avv. Giorgio, esperto nelle discipline amministrative Art. 2) Della Commissione è chiamato a far parte il vice prefetto dr. Luigi Sessa, designato dal commissario del governo per l'esercizio delle funzioni di Presidente nel caso di sostituzione del commissario stesso, ai sensi della lettera a) del secondo comma dell'art. 41 della cennata legge n. 62 inoltre fanno parte della Commissione, quali membri supplenti, le sotto indicate persone: Piasco dr. Secondino, referendario della Corte dei Conti Bonifacio dr. Antonino Orazio, direttore di sezione dell'amministrazione civile dell'Interno; Levi prof. Franco, esperto nelle discipline amministrative.
Il Presente decreto sarà sottoposto alla registrazione della Corte dei Conti".
Questo decreto è stato registrato alla Corte dei Conti il 12 agosto 1971 ed è uscito sulla Gazzetta Ufficiale del 2.9.71.
E' stato tuttavia emanato, in data 30.6.71, come ricordavo poco fa cioè in una data anteriore alla data in cui è stato deciso di rinviare alla Regione Piemonte, anche per la mancata costituzione della commissione di controllo sugli atti della Regione, la legge approvata da questo Consiglio Regionale relativa al consuntivo dell'esercizio finanziario 1970.
Quindi lo stesso pretesto con cui la legge è stata annullata per l'atto del Presidente della Repubblica, era già in parte viziato per vizio del potere esecutivo, in quanto era già in corso di registrazione alla Corte dei Conti e di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale quel decreto che avrebbe sottratto alla nostra decisione uno dei motivi per i quali si è voluto annullarla.
La parola al Consigliere Marchesotti, su questa comunicazione.



MARCHESOTTI Domenico

Il nostro Gruppo prende atto che il Governo finalmente ha provveduto alla costituzione della Commissione di controllo sulla Regione, ma rileva che l'ha fatto con ritardo e, a nostro avviso, male in quanto è pervenuto a delle conclusioni che riteniamo discutibili.
Se è vero che il Governo ha applicato la legge Scelba, è altrettanto e soprattutto vero che le Regioni hanno chiesto la modifica di questa legge per attuare sulle Regioni un controllo di coordinamento e non burocratico come invece emerge chiaramente dalle scelte che sono state operate dal Governo con la costituzione di quella Commissione di controllo che esclude la presenza della consistente opposizione di sinistra.
La soluzione data quindi alle scelte fatte va nella direzione di un controllo burocratico che può diventare lesivo degli stessi poteri delle Regioni.



PRESIDENTE

Lei deve fare una breve dichiarazione, altrimenti apriamo un dibattito sul controllo degli atti della Regione.



MARCHESOTTI Domenico

Mi richiamavo alle posizioni delle Regioni a proposito...



PRESIDENTE

Non ho nessuna difficoltà a iscrivere nell'ordine del giorno di una seduta qualunque il problema in tutta la sua ampiezza, ma qui lei parla sulle comunicazioni della presidenza.



MARCHESOTTI Domenico

Infatti noi rileviamo che le minoranze in quella Commissione di controllo non sono presenti, in quanto è stata scelta quella proposta fatta dal Consiglio Regionale che riguarda Gruppi che oggi sono in maggioranza.
Certo sarebbe interessante porci il problema - e noi ce lo poniamo - se per caso, essendo cambiata la posizione politica della maggioranza, non esista la possibilità di dimissioni da parte di coloro che la minoranza non possono rappresentare in quanto rappresentano la maggioranza.



PRESIDENTE

La legge è molto chiara, permette alla maggioranza e alla minoranza di partecipare all'elezione di una rosa dei candidati. E' però facoltà discrezionale del potere esecutivo di scegliere in questa rosa chi ritiene più idoneo e chi ritiene più opportuno di designare. I suoi giudizi sono rilevanti e sono fondati. Pur tuttavia, dal punto di vista della legittimità della composizione, finché la legge è quella che è non si pu sollevare alcuna eccezione. Si può sollecitare il Parlamento, caso mai, a modificare la legge, ma non soltanto in questo punto, che è quasi irrilevante, bensì in tutta una serie di altri, che sono assai più rilevanti, perché vi è quasi - come si è già detto parecchie volte in Consiglio - il sospetto di un vizio di illegittimità costituzionale di tutta la legislazione sui controlli.


Argomento: Questioni internazionali - Rapporti Regioni - Governo - Rapporti Regione - Parlamento

Esame della situazione venutasi a creare nel nostro Paese e in Piemonte dopo le decisioni monetarie ed economiche del Governo americano. Iniziative e deliberazioni. (seguito della discussione)


PRESIDENTE

Riprendiamo la discussione sul secondo punto all'o.d.g. E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali; ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio, Assessore regionale

Parlo a nome del Gruppo del PSDI, per designazione dei colleghi del Gruppo stesso.
Siamo qui riuniti oggi, su iniziativa del partito comunista che ha richiesto la sessione straordinaria del Consiglio Regionale, per discutere della situazione che si è determinata a seguito degli avvenimenti di metà agosto e delle dichiarazioni effettuate dal Presidente americano Nixon. Noi intendiamo dedicare molta attenzione a ciò che diciamo e anche a ciò che abbiamo sentito, perché ci rendiamo conto che è nel modo con cui inquadriamo esattamente il problema che possiamo ricercare soluzioni concrete ed efficaci.
A noi pare evidente che i provvedimenti americani di metà agosto rivelino che gli USA non sono quel colosso che eravamo abituati a considerare e ne mostrino i piedi di argilla nel momento in cui la disputa internazionale diventa impegnativa e coinvolge tutte le forze mondiali. Del resto avevamo avuto già dei sintomi di queste difficoltà negli Stati Uniti credo che la stessa politica portata avanti dal Presidente americano nei confronti della Cina rappresenti uno di questi sintomi di debolezza andando alla ricerca di uno dei mercati probabilmente più ambiti per un'espansione economica di quella società altamente industrializzata. Altri sintomi li abbiamo avuti nell'indubbia tendenza, anche se incoerentemente portata avanti, da parte degli Stati Uniti a sganciarsi dalla guerra del Vietnam, guerra che ha delle caratteristiche sulle quali non apriremo qui una discussione, ma che certamente rappresenta in questo momento una notevole palla al piede dell'economia americana.
Si devono anche aggiungere le difficoltà interne degli USA, le lotte razziali, un insieme di problemi in cui esplodono le contraddizioni, le lotte e le tensioni che richiedono la presenza impegnata da parte di qualsiasi Governo anche se forte. E' evidente che queste difficoltà interine si sono complicate con il pesante deficit della bilancia commerciale e dei pagamenti americani; abbiamo allora avuto dei provvedimenti che sono apparsi un poco come un fulmine a ciel sereno sull'orizzonte mondiale e verso i quali le reazioni sono state diverse.
Direi che ogni Paese, di fronte alle dichiarazioni americane e alle misure prese dal Presidente Nixon, si è comportato sulla base delle possibilità concrete che la propria economia gli offriva e abbiamo visto anche, tra le potenze europee, la tendenza a cercare soluzioni ed allineamenti, secondo la forza di ciascuno su quel terreno. Abbiamo avuto una tesi tedesca, una tesi francese, abbiamo assunto come Governo italiano una posizione abbastanza vicina alla tesi francese di un primo momento, anche se ci siamo resi conto che l'intransigenza francese di volere la propria soluzione integralmente impediva quell'indispensabile accordo europeo al quale si tendeva e si tende tuttora. Del resto la lira ha reagito nel modo più logico e prevedibile se vogliamo, ha reagito cioè scontando la debolezza intrinseca della nostra economia. La rivalutazione della lira rispetto al dollaro svalutato è stata talmente modesta sì che possiamo parlare non di rivalutazione ma in realtà di una svalutazione della lira nei confronti delle altre monete. E' evidente che c'è anche un problema di fondo sul quale oggi non porteremo la discussione: e cioè quello del fondo internazionale monetario e dei problemi che derivano dall'assetto che occorre dare a tutto questo. Le decisioni di Bretton Woods evidentemente sono crollate miseramente e direi che anche sotto questo profilo la cosa non giunge inattesa. Del resto stamane il collega Viglione ha citato una serie di avvenimenti che si sono già verificati in campo monetario europeo in cui la sintomatologia di ciò che poi si è verificato era nell'aria ed era prevedibile. Io direi che le nostre autorità monetarie non sono state come qualcuno ha detto, sorprese, non si sono trovate impreparate. Direi anzi che se si può ascrivere un merito in questo settore ai governi italiani, è quello di avere, con una certa continuità di linea politica monetaria portata avanti dall'attuale Presidente del Consiglio e soprattutto dal direttore della Banca d'Italia, dato indicazioni anticipatrici della crisi che si stava per verificare.
Ma noi dobbiamo soffermarci sull'aspetto politico e soprattutto cercare di individuare i punti su cui dobbiamo portare la nostra attenzione. Questa mattina si è parlato di atto di prepotenza, di una vera e propria prevaricazione in dispregio delle leggi internazionali da parte degli Stati Uniti. Ebbene, io credo che anche su questi termini occorrerebbe che ci intendessimo. Penso che siamo tutti persuasi che le leggi economiche l'economia ha un valore determinante nelle scelte dei popoli; del resto credo che gran parte della dottrina marxista porti proprio l'accento su questi aspetti. E vorrei ricordare ai colleghi di parte comunista che la "primavera di Praga" è stata contestata e fatta cadere sul nascere non tanto per le ragioni del dissenso ideologico, quanto proprio per quelle caratteristiche di politica economica che la Cecoslovacchia intendeva avviare nell'ambito di uno scambio che ormai non si limitava a guardare ad oriente, ma guardava anche ad occidente.



MINUCCI Adalberto

Permette un'interruzione? Almeno prendete, su questa mossa americana lo stesso atteggiamento autonomo che noi abbiamo assunto a proposito della famosa primavera di Praga.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

Direi di non fare dei colloqui, semmai chiederà la parola dopo altrimenti introduciamo un sistema nuovo.



CARDINALI Giulio, Assessore regionale

Ho voluto fare quel riferimento per indicare l'incidenza degli aspetti economici sugli avvenimenti. Del resto è evidente che la situazione di crisi internazionale oggi è più facilmente modificabile con interventi di un certo tipo per cui certe previsioni di fatti, come la inevitabilità della crisi economica che dovrebbe portare nella fossa il capitalismo, sono in gran parte correggibili. E abbiamo proprio questo aspetto del capitalismo americano, il quale corre ai ripari adottando una serie di misure protezionistiche che non possono autorizzare per parte nostra (cioè per l'Italia) la necessità di una revisione di tutte le nostre posizioni di tutta la nostra politica tradizionale sia pure di fronte ad una situazione difficile sulla quale invece dobbiamo portare la nostra attenzione perché occorre superarla. Penso che sotto questo aspetto le parole della nostra massima magistratura dello Stato che invitano il Paese a portare acqua al proprio mulino, possano rappresentare un'indicazione estremamente concreta.
Come ha reagito il Governo italiano? Io credo che si debba riconoscergli di avere agito in modo responsabile: è intervenuto nel solo settore (stamane il collega Viglione ne ha dato l'indicazione) sul quale occorre agire con efficacia, cioè quello della collaborazione europea.
Sciaguratamente l'integrazione europea, anche sul piano dell'economia, è un processo appena avviato, lungi dall'essere realizzato. Sono così affiorati contrasti che hanno messo in discussione la possibilità di una comune linea di risposta dell'Europa all'America e che in realtà hanno complicato notevolmente le cose sul piano dei rapporti internazionali. Ma l'atteggiamento del Governo, a mio modo di vedere, è stato responsabile proprio perché ha ricercato queste soluzioni e perché ha teso ad affermare la necessità di una risposta comune da parte dell'Europa alle misure americane che non sono una dichiarazione di guerra, ma un atto di difesa economica attuato con quella disinvoltura, se volete, che è tipica dei rapporti anche tra Stati e non soltanto dei rapporti umani, e in cui prevale l'egoistico motto del "ognuno per sé e Dio per tutti".
Questa aderenza alla realtà nel Governo c'è stata e io credo che la prima cosa da fare sia di prenderne atto. E' evidente che mentre il Governo ha espresso una solidarietà propria e una linea su questa azione da condurre nel campo strettamente monetario e successivamente per correre ai ripari e cercare di superare il grave momento, noi non abbiamo avuto riconosciamolo, l'analoga compattezza da parte dei partiti che fanno parte del Governo. Anche qui, come sempre, affiora la tendenza a divaricare la posizione responsabile nella situazione di guida, nella situazione di governo, con quella invece che obbedisce a strategie ed a tendenze che quando non sono massimalistiche certamente propongono dei problemi politici che non possono essere inseriti in una situazione che richiede ben altri trattamenti.
L'obiettivo del nostro Governo deve essere perseguito; non abbiamo soverchie illusioni sull'incontro di Bruxelles che si preannuncia, ma è evidente che tutto lo sforzo dell'Italia dovrà tendere a favorire il costituirsi di un fronte comune europeo, perché se l'Europa perde anche questa occasione è certamente un grande passo indietro rispetto a quelle aspettative europeistiche che oggi oltre tutto investono prospettive che da parte di qualcuno non si limitano alla sola parte europea che sta ad occidente della Vistola.
E' chiaro che l'atteggiamento che noi respingiamo è quello di una serie di misure che tendono a far richiudere ciascun paese nel proprio guscio.
Questa mattina si è parlato di possibilità autarchiche, qualcuno ha fatto anche la difesa del concetto dell'autarchia così come fu applicato 40 anni fa. Io credo che quelli della mia generazione potranno ricordare i guasti sciagurati che abbiamo avuto in Italia per la forsennata e megalomane politica mussoliniana dell'ancoraggio della lira a quota 90 con la sterlina.
Questa è pertanto la posizione che il mio Gruppo, esprime nei confronti dell'atteggiamento assunto dal Governo. E veniamo alla situazione in Piemonte, che particolarmente ci riguarda. E' evidente che il provvedimento di mezzo agosto ha notevolmente scosso le acque già turbate dell'economia piemontese.
Ma devo ricordare ai colleghi che da un anno a questa parte, da quando ci siamo insediati, non è stato altro che un susseguirsi continuo di problemi che si sono presentati alla Regione e in cui veniva segnalato un sistematico deterioramento della situazione economica. Se vi ricordate abbiamo spostato l'obiettivo del così detto riequilibrio della situazione economica verso quello di una vera e propria salvezza della situazione stessa. Dobbiamo anche aggiungere che l'intervento regionale ha avuto degli aspetti che non hanno coinvolto tanto la Regione quanto il suo Presidente con iniziative di prestigio, delle quali il sottoscritto ritiene non si possa fare abuso perché non è affrontando i problemi in questi termini che si arriva alla loro soluzione globale.
Ci troviamo quindi con una difficoltà, quella delle misure americane che si aggiunge alle già grandi difficoltà in corso e che per quel che riguarda l'economia piemontese potrebbe essere affrontata con notevoli possibilità di successo se non avessimo una situazione obiettivamente pesante. E qui vorrei fare un discorso che il mio partito fa sistematicamente ed al quale viene data un'interpretazione certamente sbagliata, certamente interessata. Quando noi parliamo di conflittualità permanente, non intendiamo creare i presupposti per negare ai lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali di portare avanti le rivendicazioni e le lotte operaie, per realizzare obiettivi più avanzati per quel che riguarda il tenore di vita, la vita nelle fabbriche e tutto il resto. Noi riteniamo che non sia possibile il mantenimento di una strategia di conflittualità permanente nel momento in cui questa strategia non si accorda con una visione programmatica e ancora non si lega in maniera sufficiente per quella che è la politica di riforme che collateralmente cerchiamo di risolvere per dare una risposta alle esigenze del Paese. E' evidente che i sindacati hanno condotto questa politica. Noi abbiamo mosso molte critiche alla politica sindacale così come è stata congegnata e badate che non sono critiche campate in aria, ma si verificano anche nei fatti. Stamane il collega Sanlorenzo citava un'esperienza comune che abbiamo avuto in occasione della vertenza alla società Rotondi di Novara. Abbiamo sempre detto, quando è in gioco il lavoro, l'occupazione degli operai, che non c'è argomento che tiene, la strada che si deve seguire è sempre quella della tutela del posto di lavoro, però dobbiamo riconoscere che c'è stata, nella strategia sindacale condotta in questa occasione qualche cosa che dobbiamo definire contraddittorio. E' stata aperta una vertenza nel mese di giugno sulla base di una piattaforma rivendicativa analoga a quella portata avanti con successo dai lavoratori alla Fiat, ma forse non consona e al settore e ai tempi. Ma ciò che è più grave è che nel momento in cui la ditta, quali ne siano le ragioni (e non certamente quelle che la ditta adduce) fa una riduzione di orari discriminatoria, la strategia del sindacato si inserisce esclusivamente per combattere e lottare per ottenere una ripartizione fra tutti dell'onere della riduzione di lavoro. Il che significa che c'è una contraddittorietà tra ciò che è stato fatto prima e ciò che è stato fatto dopo. E' giusto che si ricorra alla Regione, è giusto che si cerchi l'aiuto politico nel momento in cui manca la capacità sindacale di portare avanti una vertenza, ma si potrebbe anche chiedere, a coloro i quali ci richiamano ogni momento alla necessità di programmare qualsiasi cosa, a coloro che giustamente del resto riconoscono il grande valore della programmazione che il ragionamento venga fatto a rovescio per quel che riguarda i sindacati.
D'altra parte c'è la situazione che è stata denunciata. Chi non vede la tendenza non diciamo revanchista, ma la tendenza a sviluppare un piano di lotta e di contrasto aprioristico da parte della classe padronale? E' evidente che c'è. Ma ci sono sfuggiti i sintomi politici dell'atteggiamento che ha avuto il clamoroso sbocco nelle elezioni del 30 giugno? E' parecchio tempo che noi insistiamo sul fatto che determinati avvenimenti hanno una logica concatenazione. E proprio perché non vogliamo in nessun modo che questi sistemi e la loro espressione politica possano avere spazio in Italia, cerchiamo di evitare che vengano commessi errori o vengano portate avanti prospettive non sufficientemente chiarite o collaudate da parte di quei settori che pretendono di favorire una politica riformatrice.
Sempre per rimanere nel campo della situazione piemontese, abbiamo visto che le esportazioni verso l'America rappresentano all'incirca l'8, il 10 per cento dell'ammontare complessivo, con particolare rilevanza per determinati settori. Noi abbiamo avuto gli interventi del Governo, di cui ci ha parlato il Ministro Zagari del Commercio estero e riteniamo che questi siano provvedimenti elementari, non rappresentino una soluzione del problema, ma proprio per questo vogliamo che l'attenzione si porti sulla questione globale ed insistiamo sull'inderogabile necessità che l'azione Governativa sia coordinata, che non obbedisca a impulsi del momento, ma affronti il quadro nel suo insieme. Soprattutto chiediamo che solleciti ci che un Paese come il nostro è in grado di fare, vale a dire coordini quelle energie che in Italia esistono, energie di lavoro, di capacità intellettuale e imprenditoriale che realmente sono le sole alle quali potremo affidarci per uscire da questo momento difficile.
E per quanto possa apparire un poco curioso, dopo la situazione che si è creata nel nostro Consiglio negli scorsi mesi, il nostro gruppo ritiene che un'azione efficace e realmente coordinata richieda un Governo stabile solidale, energico, non energico per reprimere, ma per agire, un Governo che non mandi avanti il sondaggio degli aumenti delle tariffe pubbliche e poi se le rimangi alla prima protesta che giunge da fuori o anche dagli stessi settori del Governo, perché non è su questa strada che si dimostra la capacità di organizzare una società. Nonostante però tutto quello che può rappresentare l'ipoteca di una discordia concorde, ma più discorde che concorde all'interno del Governo, il nostro Gruppo ritiene che le forze che lo compongono siano le sole che possono essere in grado di portare avanti una politica che sappia resistere al momento difficile che attraversiamo e creare la così detta strategia del rilancio economico del Paese.
E veniamo ai punti concreti. Noi abbiamo sentito parlare questa mattina della necessità di incontri, di sondaggi per sentire le categorie. Noi riteniamo sia prioritario il chiarimento di una posizione di fondo e in questo senso credo sia quello di esprimere la preoccupazione della Regione Piemonte per la situazione che qui si è creata per le difficoltà generali della nostra economia, accentuata in modo considerevole dai provvedimenti americani di agosto. Indagini ce ne sono, studi ne abbiamo parecchi; non più tardi di stamattina abbiamo avuto un'indagine e uno studio da parte del PSI che certamente lo ha fatto con quella precisione che gli riconosciamo.
Io personalmente non mi sottraggo a nessuna possibilità di incontri per sentire pareri o altro, ma ritengo che se vogliamo dare delle indicazioni per uscire dal marasma in cui ci troviamo sul piano economico, conseguente anche al provvedimento sul dollaro, non faremmo cosa molto utile se affrontassimo il problema ipotizzando soltanto incontri che sarebbero certamente sterili se avessero il solo scopo di allargare un atteggiamento agitatorio che in questo momento non può avere sbocchi politici diversi dagli attuali, ma deve avere aspetti concreti di attenta preoccupazione per la risoluzione dei problemi economici della nostra regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto; ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'ordine del giorno e la richiesta del dibattito presentata dal Gruppo comunista prevede l'esatta valutazione delle conseguenze che l'economia del nostro Paese e segnatamente quella del Piemonte dovranno subire a seguito dei noti provvedimenti di metà agosto.
Questa mattina molti degli interventi hanno considerato nella loro globalità tre aspetti fondamentali che è opportuno esaminare separatamente: uno è quello della crisi generale che sta investendo, come previsto già da molto tempo anche da parte del partito a cui mi onoro di appartenere, la nostra economia; un altro è il provvedimento e le relative conseguenze della negata convertibilità in oro del dollaro statunitense; un terzo è l'imposizione da parte americana di una tassa doganale del 10 per cento sui prodotti importati.
Se vogliamo individuare gli effetti e le conseguenze di questi provvedimenti, i tre argomenti non possono essere considerati come un tutto unico, né trattati con demagogia, né ripetere, con un senso un po' scolastico di messa in prosa politica, i giudizi tecnici che per 25 giorni abbiamo letto sui giornali.
Così mi pare che non abbiano un'eccessiva validità e una finalità utile per la soluzione dei problemi che interessano la nostra Regione, il paragone che demagogicamente è stato fatto tra Praga, dove veniva calpestata la libertà, e una decisione di Washington che ha senz'altro creato dei problemi ai partner europei e mondiali, ma che niente ha a che vedere con l'imperialismo, gli aiuti, la politica militare, la guerra d'Israele. Il discorso si allargherebbe troppo ed entreremmo nei dettagli: quanto costano gli aiuti americani a Israele, quanto costano alla Russia quelli ai paesi arabi, anche perché è da vedere chi è il santo e chi il diavolo, se è vero quanto nei giorni scorsi abbiamo letto sui giornali che ai confini di Israele ci sono tremila carri armati arabi che qualcuno ha inviato lì per sostituire quelli che furono distrutti in precedenza.
Da ciò consegue che è necessario esaminare i tre problemi separatamente.
Svalutazione del dollaro: la svalutazione è la conseguenza della mancata convertibilità in oro, ma è ancora prematuro stabilire i danni e certi vantaggi che ne possono derivare. Dico "certi vantaggi" perché (e questa mattina il collega Gandolfi l'ha messo chiaramente in evidenza) mentre oggi esiste una perdita di lire come conseguenza dell'importazione di dollari che ripagano le nostre esportazioni, abbiamo decisamente un vantaggio per la ben più forte rivalutazione del marco tedesco.
Leggendo i dati che, grazie alla cura di Nesi ed amici, stamane abbiamo avuto, notiamo che le importazioni dal mercato americano ammontano a circa settanta milioni di dollari, mentre le esportazioni raggiungono 91 milioni di dollari, con una differenza di 21/22 milioni. La perdita effettiva che l'economia piemontese subisce va calcolata su tale cifra, non eccessiva e non decisamente allarmante.



VIGLIONE Aldo

Ma è il futuro che conta.



ROSSOTTO Carlo Felice

E' esatto, è una situazione di crisi che si sta determinando, e di cui la svalutazione del dollaro è una componente. Noi stiamo esaminando in questo momento soltanto uno dei fenomeni negativi, perché la situazione creata dalla svalutazione del dollaro americano e dalla conseguente rivoluzione dei mercati mondiali alla ricerca di un nuovo equilibrio, è soltanto una delle componenti di questo processo. Le cause della crisi sono molte e complesse e non è serio decidere d'andare immediatamente in aiuto di imprenditori che trovano giustificazione, in determinati avvenimenti estranei alle nostre volontà, delle loro incapacità competitive (e questo mi pare si riallacci al discorso di stamattina di Sanlorenzo il quale diceva che bisogna rispettare il denaro pubblico). Noi dobbiamo decidere eventuali atteggiamenti in funzione della nostra economia dopo aver conosciuto i reali danni che sono stati portati da questo avvenimento, ma ora è troppo presto perché siamo ancora in una situazione fluttuante.
Nell'interno delle forze politiche del Paese una forte maggioranza ritiene che il discorso di un'unione politica europea si imponga sempre più. Anche forze politiche che fino a poco tempo fa avevano ostacolato questo disegno (di cui, non è per vanteria di meriti di partito, siamo stati tra i propugnatori dal 1955 in avanti, dal convegno di Messina al trattato di Roma) ora sono assertori dell'esigenza di un'Europa politicamente unita, economicamente legata che potesse resistere, potesse porsi come forza di dialogo sia nei confronti del mondo americano, sia nei confronti dei paesi dell'Est comunista. Se vogliamo evitare nel futuro fenomeni negativi come quelli oggi in discussione dobbiamo convincerci che l'unica strada è l'Europa unita e pertanto da questo Consiglio Regionale può provenire un ulteriore incitamento ai nostri governanti perché operino in modo che si ritrovi una minima intesa in sede di mercato europeo. Mi pare che questa volontà esista.
Questo non è un semplice voto di stile, è la conseguenza dell'esame dei dati portati dal partito socialista stamattina ove si rileva quanto siamo legati al MEC e la necessità di un'ulteriore integrazione su questo. Ci detto ed affermato credo che le conseguenze negative delle esportazioni verso gli Stati Uniti possano trovare compensazione da quelle verso il MEC.
Dobbiamo ora valutare quanto questo sconquasso monetario potrà contribuire ad un ulteriore deterioramento della crisi generale dell'economia verso la quale ci stiamo avviando e della quale c'erano già sintomi ben chiari e precisi da lungo tempo. A questo proposito ricordo le parole di chi oggi ci sta presiedendo, cioè dell'amico Oberto, che il 29 di luglio evidenziò chiaramente la situazione economica drammatica, tragica e parlò in tono di quell'amministratore della provincia piemontese che riteneva non esistesse crisi perché c'era mancanza di concorrenza negli appalti pubblici. Noi parlammo allora di sfiducia negli operatori economici e dei caratteri negativi di una certa mancanza di impegno nel mondo del lavoro, con le gravi conseguenze relative.
Questa è la situazione veramente grave e drammatica a cui sembrò che in sede politica allora si volesse rimediare con la costituzione della nuova Giunta. Questa mattina si è evidenziata la linea del partito comunista quali sono i rimedi che il partito comunista avanza nei confronti della crisi generale. E qui, scusatemi, noto una grossa contraddizione: mentre da una parte il Consigliere Sanlorenzo dice che bisogna pregiudizialmente ostacolare i nuovi insediamenti industriali, dall'altro sostiene che occorre una difesa energica del livello occupazionale esistente, sostenendo così la sopravvivenza di tutte le iniziative anche di quelle ristagnanti.
Quando si parla di difesa del livello occupazionale soltanto come difesa del posto di lavoro, anche in industrie che hanno dimostrato di essere incapaci di assolvere il loro ruolo economico, si è destinati a quelle che sono le conseguenze che l'economia cecoslovacca ha evidenziato esattamente. Qui non si parla di carri armati, ma di dati economici. Ota Sik nelle sue conferenze televisive ricordò che se non esiste competitività, non esiste la possibilità di dire ad una certa azienda obsoleta che deve chiudere i battenti perché ne sorga una nuova veramente capace, che possa assorbire le forze di lavoro inutilizzate, allora veramente conosceremo la paralisi produttiva.
Di fronte a questa linea economica del partito comunista, di fronte a certi dubbi che una parte della maggioranza manifestò il 29 di luglio di fronte al chiaro discorso di aiuto democratico che veniva portato dal nostro partito alla Giunta perché si evitassero le conseguenze negative a cui andiamo incontro (parlo dell'amico Garabello), stamattina ci è stata ripresentata da parte di Sanlorenzo con schiettezza, una concezione in effetti che non vuole nuovi investimenti che diano alla manodopera un lavoro sicuro e redditizio e non richieda sempre agli amministratori pubblici la necessità di intervento, ma che si riduce ad immobilismo economico e ad autarchia. Ma allora bisogna farla questa scelta tra il nostro sistema e quello comunista, perché i margini di manovra nostri stanno diventando sempre più limitati e non possiamo limitarci a criticare il discorso comunista che stamattina ha addirittura scavalcato le nostre aspettative nel volere un'Europa libera, e mondiale, riducendosi poi a parlare d'autarchia.
Di contro, sentiamo dalle componenti dell'estrema destra dire che riconoscono anche loro la libertà di mercato, che 40 anni fa ci voleva l'autarchia ma che oggi bisogna essere liberisti e così ci rendiamo conto che questo margine di manovra si riduce per i partiti democratici non solo a sinistra, ma anche a destra. E in questo ambito occorre non fare eccessive polemiche, ma operare conoscendo realmente i problemi e quindi entrando in quella che è la drammaticità della situazione, in un momento in cui si stanno giocando i livelli dei cambi, livelli sui quali noi, con la nostra volontà politica, ben poco possiamo incidere, perché ci troveremo tra poco di fronte a una crisi che se non riusciremo a regolare ci travolgerà.
Tutta l'elencazione che è stata fatta stamattina da Sanlorenzo, a cui potremmo aggiungere anche noi altri dati di situazioni veramente drammatiche, non soltanto per i livelli imprenditoriali ma per i livelli occupazionali, non è collegata soltanto alla situazione del dollaro (il dollaro può essere un qualche cosa che fa ulteriormente pendere la bilancia) ma era preesistente a causa di errori di fondo. Bisogna rimuovere questi errori, ma nel contempo conoscere le situazioni di eventuali crisi che si vengono o verranno a creare.
Per rimuovere questi errori di fondo occorre una volontà politica diversa da quella che li ha causati ed è ben nota la posizione di noi liberali.
Di contro occorre un'analisi attenta di quanto questo provvedimento danneggi, in concreto, il Piemonte.
Noi conosciamo le dichiarazioni del presidente di una grossa azienda che opera nel settore che maggiormente (dai dati della Cassa di Risparmio) viene ad essere il più danneggiato perché il più interessato all'esportazione negli Stati Uniti. Il Presidente della Fiat ha dichiarato che l'aumento del 10 per cento della tassa non crea dei problemi drammaticissimi alla sua azienda e può essere assorbito. L'industria tessile del biellese, per espressa dichiarazione dei suoi imprenditori (secondo le informazioni date da Sanlorenzo), è pronta a chiedere l'aiuto del potere pubblico, ma non vede la gravità del provvedimento e non ha grosse preoccupazioni. I calzaturieri che stanno operando nelle province di Alessandria e di Novara sono i più colpiti e dovranno intervenire e sollecitare determinati provvedimenti, ma prima bisogna conoscere esattamente ogni cosa. Su questo punto mi pare sia positivo che questa Regione instauri un dialogo sia con le forze imprenditoriali sia con quelle sindacali per conoscere i problemi non soltanto in funzione di questa svalutazione, ma tutti gli altri problemi che collegandosi insieme hanno determinato questa situazione. Stamane Sanlorenzo diceva che a Novara c'è una situazione allucinante, quasi kafkiana: degli operai si sono rivolti direttamente all'autorità giudiziaria perché questa, operando contro altri operai, ponga fine a uno stato di continui scioperi. Non mi pare che ci sia qualcosa di allucinante: quando in un paese, pur conoscendo delle situazioni drammatiche, cittadini, elementi del mondo imprenditoriale o del mondo del lavoro, si rivolgono direttamente alla Magistratura perché veda di tutelare eventuali diritti che sono stati lesi, non mi pare di essere di fronte a qualcosa di allucinante, anzi mi pare che nelle componenti del nostro tessuto sociale c'è un vero senso di responsabilità ed un ossequio profondo alle regole della democrazia: e ciò ci deve fare riflettere. Ed è per questo che occorre una indagine conoscitiva perché imprenditori sindacati si rendano conto che noi siamo qui per individuare realmente i loro problemi e non per effettuare provvidenze a favore di chi ha sbagliato ed è giusto che paghi i suoi errori.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana; ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nei loro interventi di stamani i colleghi Sanlorenzo, Nesi e Viglione, hanno svolto una serie di considerazioni in ordine al tema che siamo chiamati a trattare le quali mi trovano largamente consenziente. Sicché ritengo superfluo ripetere tutta questa parte. Soprattutto, sono d'accordo coi colleghi, oltre che nell'analisi da essi fatta delle conseguenze generali del provvedimento preso dal Presidente Nixon nel mese di agosto e delle conseguenze specifiche da esso derivanti per la realtà piemontese, nei loro richiami estremamente motivati e stimolanti ad una Giunta da lungo tempo quanto mai refrattaria agli incitamenti e agli stimoli, perché faccia sentire la propria iniziativa e addivenga ad un'assunzione precisa di responsabilità dando manifestazione di una volontà politica di affrontare i problemi. Ma non soltanto (e questo è un punto sul quale credo debba esserci un chiarimento, perché non mi pare che tale fosse lo spirito delle richieste delle sollecitazioni venute da parte dei colleghi Sanlorenzo e Nesi) per condurre delle indagini conoscitive, cioè per affidarsi ai tempi lunghi della ricerca pure necessaria, ma per la quale possediamo già molti elementi di conoscenza; bensì per muovere concretamente, con atti politici l'azione della Regione affinché le categorie interessate e il quadro economico e sociale delle forze regionali sentano che la Regione stessa si fa carico dei loro problemi e diventa elemento di pressione verso il Governo perché cominci ad affrontarli nella loro sostanza e nella loro interezza.
Detto questo, vorrei soltanto svolgere alcune considerazioni rispetto ad una serie di interventi di colleghi appartenenti alla maggioranza. Non mi soffermo naturalmente sulle stravaganze paleolitiche del collega Curci in materia di politica autarchica. Anche se c'è un qualcosa di abbastanza sintomatico nel fatto che nel momento in cui gli Stati Uniti rivelano attraverso la persona del loro Presidente, non occasionalmente ma in modo molto rivelatore e netto, non una generica sottocultura del loro paese, ma gli umori di una ideologia che il dott. Ronchey (il quale sa di inglese) forse definirebbe del "deepsouth", ritrovino delle affinità ideali in questo rigurgito, sempre più vasto e sempre più intriso di elementi razzisti, di spinte reazionarie che si registrano in America. E' sintomatico il fatto che in questo momento, come osservava con una sua interruzione il collega Minucci, i fascisti siano pronti a parafare i trattati di pace, a mio avviso, da lungo tempo stipulati con gli USA, dopo aver verificato come nel mondo statunitense le forze traenti, le forze della classe dirigente, siano largamente impregnate di tendenze e di visuali che non sono distanti dalle loro idealità, se di idealità si pu parlare. Dicevo che non mi soffermo su questo punto, mentre vorrei invece sottolineare, perché mi pare che la cosa debba essere sottolineata, la singolare, candida costernazione, peraltro mitigata da un'estrema tranquillità di accenti e da un forte tentativo difensivo nei confronti dei provvedimenti americani, con la quale rappresentanti di partiti che non sono soltanto maggioranza qui al Consiglio Regionale Piemontese ma che sono maggioranza al vertice o che lo sono stati o che tendono a ridiventare partecipi di questa maggioranza, sono qui oggi a prendere atto di come malauguratamente, si sia avuto un atto di cattiva educazione, di grossolanità da parte del Presidente degli Stati Uniti nel mese di agosto.
Sembra vi sia stato un fulmine a ciel sereno; ed un comportamento non adeguato ai buoni rapporti, agli accordi, ai modi di conduzione dell'antica alleanza fra i Paesi dell'occidente europeo (ivi compresi alcuni Paesi notoriamente a reggimento fascista come la Grecia, il Portogallo e la Spagna) e il nostro Paese, senza però che ciò autorizzi a drammatizzare.
E' molto singolare come da questo tipo di presa d'atto affiori una costernazione ma molto mitigata da giustificazioni di varia natura nei confronti dell'iniziativa statunitense e si parta non già per un tentativo di analisi critica di tutto ciò che sta dietro la vicenda che ha avuto il suo sbocco nelle decisioni di Nixon del mese di agosto, bensì per rivoltare la frittata affermando che siamo in una condizione difficile in quanto le lotte operaie avrebbero creato degli scompensi e dei freni nello sviluppo industriale del Paese.
Non intendo certo fare la storia del passato per il gusto di ripercorrere le vicende che il passato ci ha fatto vivere. Ma è chiaro che se non abbiamo il coraggio e la sincerità di guardare al fondo delle questioni, tutti i discorsi che qui facciamo diventano delle divagazioni delle ricerche di alibi che non possono trovare alcuna giustificazione agli occhi dell'opinione pubblica, in primo luogo dei lavoratori e di quelle categorie di imprenditori che stanno pesantemente subendo le conseguenze della realtà di questo momento economico.
Intanto, si deve dire che la decisione di Nixon del mese di agosto non era affatto impreveduta e imprevedibile. Già, almeno per parte nostra quando ci fu il dibattito parlamentare sul primo decretone, i compagni parlamentari della mia parte politica ma anche del PCI, denunciarono in quel dibattito che a non lunga scadenza vi sarebbe stato un terremoto anche sul terreno del dollaro e che esso non sarebbe stato soltanto conseguenza di elementi di natura tecnica inerenti ai problemi del mercato finanziario ma effetto di una scelta politica da lungo tempo strettamente collegata alla strategia ed al comportamento della politica statunitense. Per ridurre le cose in pillole - ma sono pillole che non si possono triturare facilmente per poi buttarne via la polverina - anche se spiace sempre questo termine a molte orecchie, si tratta della scelta di politica dell'imperialismo americano. Una scelta che parte dal momento della crisi causata dalla sconfitta nel Vietnam e da tutto quanto la disastrosa avventura vietnamita ha assorbito di risorse dell'economia americana, ma che è nella logica di un disegno che già negli accordi di Bretton Woods e in quella rigidità degli accordi alla quale stamane si richiamava il collega Viglione, conteneva gli elementi di una ricerca di egemonia e di controllo e quindi di imperialismo degli USA nel quadro delle alleanze col mondo occidentale europeo, facendo pagare intanto i costi della propria espansione ai paesi sottosviluppati.
Quando il collega Gandolfi stamane asseriva - e la cosa mi ha lasciato molto sorpreso - che la forte liquidità americana è stato uno degli elementi che ha consentito la diffusione del grande benessere nel corso di questi anni diffusosi nel mondo, esprimeva, a mio avviso, un concetto aberrante.



GANDOLFI Aldo

Parlavo dell'aumento degli scambi internazionali e della liquidità che occorre per questo.



GIOVANA Mario

Scusa Gandolfi, bisogna stare molto attenti quando si dicono queste cose, perché evidentemente quel tipo di politica, quel tipo di liquidità da chi e stato pagato? Ponetevi questa domanda. Intanto, di questo benessere che sappiamo tutti quanti come è distribuito, di questo tipo di politica chi ha pagato le spese maggiori? Sono proprio i Paesi sottosviluppati i quali non sono riusciti non dico a superare le loro condizioni di sottosviluppo, ma neppure ad avvicinarsi a decenti condizioni di sopravvivenza. Tant'è che abbiamo problemi paurosi in India, nel Pakistan e non sto ad indicare quanti altri paesi del così detto terzo mondo vivono in condizioni disastrose e subiscono le conseguenze di questo tipo di politica.
In secondo luogo, quando si osserva che esiste un malaugurato ritardo nel fatto che l'Europa non sia riuscita ancora a collegarsi per difendere i propri interessi, per presentarsi in modo contrattualmente valido rispetto agli interessi particolari dell'interlocutore americano, e nello stesso tempo si rivendica - come ha fatto il collega Rossotto poc'anzi - con molta forza, il fatto di essere sempre stati i sostenitori di questa Europa credo si debba fare un discorso di estrema chiarezza. Per quale Europa hanno lavorato i così detti europeisti, da De Gasperi, Adenauer, e Schuman in avanti? Per l'Europa del Mercato Comune Europeo; cioè per un'Europa estremamente parziale da un punto di vista geografico; per un'Europa nella quale ciò che è stato prevalente non sono stati gli interessi generali dei popoli dei paesi aderenti, ma gli accordi che all'interno di quella dinamica del MEC ha visto privilegiare gli interessi dei grossi gruppi monopolistici. E la situazione che noi oggi scontiamo in modo così drammatico, la crisi dell'agricoltura italiana, deriva sì dal non esserci mai stata una politica di riforma agraria in Italia, ma deriva in misura più grave dal fatto che noi abbiamo svenduto l'agricoltura italiana a quel tipo di accordi del MEC che portavano l'agricoltura italiana già così arretrata a confronto con agricolture più avanzate, in condizioni in partenza di sconfitta e di disastro.
Lo stesso fenomeno lo rileviamo nella situazione portuale ligure. Oggi ci si scandalizza sulle pagine dei giornali del grande ritardo nelle attrezzature portuali, del fatto che siamo rimasti fortemente indietro nei confronti di Amburgo, Rotterdam, Marsiglia, ecc. Noi sappiamo molto bene che nel quadro degli accordi del MEC (l'abbiamo detto molte volte), nel quadro di quella politica l'Italia, rinunciava a fare una sua politica portuale. Oggi si scopre improvvisamente che ci troviamo in condizioni di estrema arretratezza, di estremo disagio e di non competitività nei confronti di organismi portuali mastodontici i quali sono in grado di portare dei vantaggi economici molto forti ai loro Paesi; ma ciò è la conseguenza inevitabile della strada imboccata con gli accordi del MEC.
Per questo tipo di Europa, costantemente correlata per non dire subordinata, attraverso le scelte dei grandi gruppi capitalistici europei dei grandi gruppi capitalistici statunitensi, si è lavorato finora.
Naturalmente, dentro questo tipo di Europa si manifestano tutte le contraddizioni tipiche di rapporti anche fra grandi gruppi capitalistici internazionali pure intesi a ricercare una loro alleanza permanente per un'egemonia generale nel quadro del mercato mondiale. Ed è in questa Europa che ogni giorno di più vediamo emergere tali contraddizioni, le cui spese vengono fatte pagare soprattutto ai lavoratori. Perché diversamente non ci spiegheremmo come mai ci troviamo (non solo adesso, ma anche prima della stasi estiva) a prendere atto di una condizione di decremento dell'economia e dello sviluppo produttivo italiano che ogni giorno di più ci preoccupa ed era stato al centro della nostra attenzione ancor prima che chiudessimo la sessione primaverile del Consiglio Regionale.
I problemi gravissimi qui elencati stamattina, in particolare dal collega Sanlorenzo, in merito alla situazione dell'economia piemontese, non si sono aperti con le dichiarazioni di Nixon del mese di agosto, esistevano già prima. Esistevano già prima, e ce lo siamo detti molte volte, almeno per la parte che si riflette sulla nostra economia, perché erano effetti di problemi non risolti nel quadro di una programmazione non affrontata.
Il collega Cardinali, che molto pacatamente ha svolto il suo intervento, ha avuto però zone di oblio enormi nel trattare anche lui il quadro generale nel quale si è arrivati alle condizioni di difficoltà e di scompensi strutturali nel quale ci troviamo. Il collega Nesi, stamattina parlava dei 16.000 miliardi portati in Svizzera dagli scioperanti permanenti del capitalismo italiano: perché questo argomento non lo si esamina con un po' più di attenzione? E la responsabilità di ciò, a chi risale? Non risale a Nixon in modo diretto, risale al Governo italiano.
Certamente, c'è un cordone ombelicale che lega questo tipo di conseguenze al quadro generale dei rapporti economici internazionali di cui l'economia americana e i suoi modi di conduzione sono stati l'elemento dominante e determinante. In Italia si dice che stiamo ancora aspettando di sapere che cosa sarà la programmazione. Perché ciò è avvenuto? Evidentemente per delle precise volontà e determinazioni di natura politica. Le quali risalgono a precise responsabilità e indirizzi di natura politica che sono di forze le quali hanno costantemente visto nel modello americano, nelle così dette "scelte di civiltà" inerenti al rapporto dell'alleanza con gli USA, il non plus ultra, delle possibilità di sviluppo civile, sociale ed economico del Paese. E la programmazione non è per dimenticanza che non c'è stata; non c'è stata perché se si fosse realizzata avrebbe contraddetto necessariamente (qualora fosse stata una reale programmazione negli interessi generali della società e soprattutto delle forze del lavoro che ne sono il nerbo) alla radice quel tipo di orientamenti, di indicazioni economiche che il capitalismo italiano portava avanti in stretta correlazione con le scelte del capitalismo internazionale ed in primo luogo del capitalismo statunitense.
Sono questi gli argomenti dei quali bisogna trattare e ai quali non si può sfuggire registrando che è venuto questo fulmine, che c'è stata una "scorrettezza" del signor Nixon. Ciascuno per sé e Dio per tutti, dice il collega Cardinali. Eh no. Intanto, ci avete sempre detto che non era vero che ciascuno era per sé e Dio per tutti; ci avete sempre detto che c'erano gli Stati Uniti per tutti (e dal piano Marshall in avanti, secondo voi erano stati per tutti). Improvvisamente invece si scopre che gli Stati Uniti sono per sé e agiscono per sé, come hanno sempre agito, anche se la vostra scoperta è tardiva. Il guaio è che gli effetti di questa realtà di orientamenti della politica statunitense li stiamo pesantemente pagando con un aggravamento di quelle situazioni che già prima delle decisioni del signor Nixon stavamo valutando in tutta la loro serietà ed ampiezza.
Ecco quindi che il discorso va ancora una volta ricondotto ai due dati di fondo della politica generale, delle scelte complessive della politica italiana. Il primo dato di fondo è quello dell'autonomia e dell'indipendenza nazionale. Nessuno è più lontano di noi dal fare dello sciocco nazionalismo. E' fuori dalle nostre tradizioni, è mille miglia lontano dalle nostre impostazioni ideologiche. Ma autonomia nazionale vuol dire possibilità di avere una classe dirigente politica la quale risponda agli interessi del Paese, della società di cui porta le responsabilità e non risponda in primo luogo e in modo subalterno alle esigenze di un imperialismo esterno. Ed è incontrovertibile che nel corso di tutti questi anni le scelte americane, sia di natura militare che di natura economica non hanno mai trovato un momento di chiara opposizione, oserei dire neppure di balbettante opposizione, da parte dei vari governi succedutisi alla guida del Paese.
E quando parlo di "politica militare" ricordo che non sono lontani gli anni in cui l'on. Moro esprimeva la "comprensione" dell'Italia per i massacri statunitensi nel Vietnam. Quando dico "politica militare", parlo di tutta la politica della CIA, che è "uno stato nello stato". Sono miliardi che si spendono nel mondo e in Italia producendo effetti sui quali, particolarmente per ciò che concerne le vicende nostre negli ultimi due anni (e sono vicende oltremodo oscure), il Governo non ha mai detto una parola chiara. E persino là dove la politica americana ha avuto ed ha dei meriti, nel progresso scientifico, facendo leva sulle sue grandi risorse cioè nel campo delle operazioni spaziali, sappiamo quanto ha pesato e pesi il quoziente inerente alle prospettive di natura militare e quali sono gli sprechi che vi sono collegati; ma essendo collegati a prospettive di natura militare non sono, per la classe dirigente americana, di natura superflua bensì diventano elementi ulteriori di spesa da scaricare sugli alleati europei.
Sono questi gli aspetti che dobbiamo considerare come problemi di autonomia nazionale e in secondo luogo quelli della programmazione economica. Ripeto, non è casuale che si continui a parlare di programmazione economica e che non si programmi nulla. Non è casuale che non si riesca ad affrontare o a portare a fondo una sola riforma delle strutture economiche del Paese. Non è casuale che il marasma economico nel quale ci troviamo venga ormai universalmente riconosciuto, salvo qualche parte totalmente cieca ai problemi dell'economia in senso realistico, come la risultante di una mancata capacità dello Stato di organizzare l'economia, e cioè di pianificare e di programmare.
Se prendiamo dunque questi due punti di riferimento, ci spieghiamo anche molte delle situazioni che riscontriamo nella Regione Piemonte.
Quando abbiamo discusso della crisi della piccola e media industria ci siamo trovati a denunciare quali erano le cause di fondo della crisi; cause imputabili al modo di gestione del credito, al tipo di sudditanza alla quale è stata sempre sottoposta la piccola e media industria rispetto ai grandi monopoli, al fatto che non si è mai provveduto a dotarla di un'organizzazione di natura tecnica e commerciale, in particolare in Piemonte, dove essa ha tanto peso, perché potesse attivamente e proficuamente affrontare la concorrenza sui mercati internazionali.
Sono vecchi problemi che non ha aperto la dichiarazione del signor Nixon, anche se indubbiamente li ha aggravati. Sono carenze che richiamano in ogni modo una responsabilità generale della classe dirigente del Paese che richiamano qui, nella Regione Piemonte, una verifica ancora una volta di come la maggioranza che regge il Consiglio Regionale intenda porsi di fronte a questi problemi: se semplicemente proporci, ancora una volta in modo dilatorio, di fare delle indagini a lungo tempo, di attendere poteri che ci devono ancora arrivare, o se invece si vuole dare quella manifestazione di volontà politica che ci è richiesta permanentemente e, lo ripetiamo, insistentemente dalle attese accesesi alla Regione ed alle quali noi dobbiamo rispondere.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi; ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho ascoltato con molta attenzione tutti gli interventi e ho ascoltato con ammirazione e rispetto le esposizioni fatte da alcuni Consiglieri ricche di valutazioni tecniche e scientifiche, con la coscienza di non potermi porre allo stesso livello, ma sentendomi impegnato a vederne le possibili, efficaci traduzioni in termini di responsabilità, di azione e di intervento della Regione Piemonte.
Dal punto di vista generale, mi pare che la crisi del dollaro abbia aspetti, cause e complessità molto maggiori e molto meno utilizzabili a fini di strumentalizzazione politica, di quanto è apparso da qualche intervento, come sempre brillante e, particolarmente in questo caso unilaterale. E' certo, a questo riguardo, che si chiude un'epoca e si aprono nuove prospettive, con tutti i rischi di un trapasso di tanta importanza, con l'esigenza della ricerca di nuovi e più adeguati mezzi di regolamento degli scambi internazionali, del commercio internazionale il cui volume, la cui libertà, la cui espansione sono di interesse primario per lo sviluppo dei popoli e anche, poiché qui si parla di politica, per la conservazione della pace, perché alle guerre commerciali, sono storicamente, purtroppo, sempre seguiti scontri di altra natura molto più preoccupante e grave. E' nostro interesse quindi che gli scambi internazionali vengano intensificati e non compressi, con misure da adottarsi da parte di tutti per rimuovere, in qualunque parte del mondo gli ostacoli che allo sviluppo di questi scambi sono frapposti.
E' certo che al di là del fatto monetario sta in certo modo imponendosi, oggi, un'ora della verità in quelli che sono i rapporti non tanto di scambio monetario che possono essere rappresentativi di certe realtà, ma in quello che è un confronto fra le economie dei diversi paesi ed è motivo di molta preoccupazione e stimolo ad una vigorosa iniziativa in tutte le sedi, private e pubbliche, dotate di qualche responsabilità. E' quindi perfettamente legittimo che si sollecitino la Regione ed i suoi organi a tutte le iniziative che sono compatibili con i suoi compiti, con le sue possibilità e con il suo ruolo politico il cui ambito non è stato sicuramente tutto ancora interamente esplorato. Una vigorosa iniziativa si impone proprio nel momento in cui è doloroso constatare come l'economia del nostro Paese venga a trovarsi, nella fase del confronto e della verità, in condizione di particolare difficoltà, debolezza e stasi per cui a qualcuno può essere apparso persino velleitaria l'iniziativa dei nostri rappresentanti politici per un'opera di mediazione a livello europeo. Non è che io mi associ a questa così pessimistica considerazione, ma è stata fatta con la sensazione che ci troviamo nelle condizioni meno facili per svolgere dei ruoli di un qualche rilievo e di proporzionata attendibilità.
E' convinzione facilmente verificabile che se la crisi monetaria e le misure restrittive americane, anche nelle loro parti inaccettabili, (ed è sicuramente inaccettabile ad esempio l'adozione di quelle misure ultraprotezionistiche che trovano piena giustificazione solo nella situazione economica, commerciale, monetaria, interna americana, misure di cui si comprenderebbero meglio le conseguenze se volessimo ripercorrere tutto ciò che è avvenuto in questi anni che può suonare anche di rimprovero all'imprevidenza generale nell'aver lasciato maturare delle situazioni di tensioni tali da imporre così drastici provvedimenti) che respingiamo e che consideriamo incompatibili, avessero coinciso con una fase di espansione di sviluppo e di fiducia della nostra economia, si sarebbero potute affrontare con ben diversa serenità. Poiché la riduzione di un 10/15 per cento delle esportazioni verso l'area americana, quando nell'ambito piemontese si constata che le esportazioni verso l'America sono dell'8 per cento, si traduce in concreto in un 10 per cento dell'8 per cento, ciascuno può vedere che si tratta di entità e di misura tali che potrebbero trovare facile compensazione. Ma se questa limitazione interviene in un momento in cui la stasi generale e il fatto della crisi monetaria e le incertezze sul commercio internazionale inducono ad ulteriori incertezze e ad ulteriori stasi nella politica delle iniziative, degli interventi, degli investimenti e così via, certo può essere la goccia che fa traboccare il vaso e rende drammatiche e non risolvibili con interventi normali certe situazioni.
E poiché si è giustamente detto, da parte del collega Nesi, che le valutazioni politiche possono essere fatte da tutti (naturalmente se non si hanno specifiche competenze tecniche bisogna stare attenti a quel che si dice), io rileverei che dalle misure americane e dal terremoto che ne è seguito e che ne seguirà - non tanto per le misure in sé quanto perché sono un momento finale rivelatore di tutta una situazione generale che richiede ricerche di nuovi strumenti, di nuovi mezzi, di nuovi equilibri, di nuove tecniche, di nuove politiche all'interno dei Paesi e nei rapporti fra gli stessi - sono emersi dei fatti, dal punto di vista politico, (che è come dire dal punto di vista delle conseguenze più lontane, più durature e più temibili) sono emersi alcuni pericoli di segno diverso da quello che è stato denunciato. Innanzi tutto mi sembra che avanzino, dal punto di vista politico, nelle azioni e nelle motivazioni delle azioni che condanniamo e che critichiamo, delle tentazioni isolazionistiche ed è emersa anche la tentazione della formulazione della filosofia, della dottrina di un neo isolazionismo che giustifica la posizione americana e che si traduce in termini molto più piccini e miopi rispetto alle entità economiche, con contraccolpi gravi negli altri Paesi. Il protezionismo non sarebbe che un primo strumento tecnico di una dottrina e di una filosofia dell'isolazionismo che ha serpeggiato sempre nel mondo americano. E noi sappiamo che l'accendersi spietato degli egoismi nazionali, del nazionalismo, l'ascesa al potere del fascismo e soprattutto del nazismo l'illusione di Hitler di potere operare impunito, l'autarchia, le economie di guerra e le ulteriori più gravi conseguenze per l'Europa e per l'umanità, trovano una delle loro cause storiche principali nella filosofia, nell'atteggiamento morale, nell'atteggiamento pratico isolazionista del quale è stata vittima l'America e attraverso di essa il mondo. E quindi noi non siamo sicuramente qui a difendere la dottrina, la filosofia politica di Nixon, del partito o dei gruppi politici che egli rappresenta in via principale, ma siamo qui modestamente ad auspicare che in quel grande Paese prevalgano nuovamente la filosofia, la dottrina e la prassi politica che hanno caratterizzato uomini di altro segno politico rispetto a quello che è rappresentato dall'attuale Presidente degli Stati Uniti.
Il rischio che il "sacro" come si dice da parte dei francesi e che io chiamerei molto miope egoismo dei paesi europei che oggi trovano la loro espressione anche nel MEC, possa arrivare a dimenticare che la salvezza non solo economica sta per noi in soluzioni europee - come è stato ricordato da Viglione, da Gandolfi e da Cardinali - è l'altro aspetto di questa crisi. E quindi, nel momento in cui facciamo degli auspici e pensiamo che si debba operare per quanto realisticamente operabile, affinché anche la politica americana non venga avviata su un binario foriero di disastri per quel grande Paese e per il resto del mondo, auspichiamo che il Governo italiano per il peso che ha, e le forze europee responsabili dicano di no come diciamo no noi alle suggestioni autarchiche o troppo ispirate ad una visione strettamente nazionalistica, respingano le prospettive suicide di guerre commerciali e la spirale delle ritorsioni. Il che non vuol dire che nell'ambito del realismo politico non ci sia oggi spazio per misure di tutela, di autonomia della politica nazionale, di tutela del nostro lavoro di difesa e di giusta, limitata, non provocatoria ritorsione. Avvertiamo che in questo momento avremmo più che mai bisogno che la componente interna di assorbimento dei nostri prodotti - cito e riprendo in parte le parole di Nesi - subisca la massima espansione, atta a bilanciare le contrazioni della componente esterna ed atta a colmare bisogni che si traducono in sviluppo delle condizioni di vita delle zone meno avanzate e nel miglioramento delle condizioni del nostro Paese nel suo complesso. Ma sentiamo pure che in un Paese sovrappopolato, con un territorio ristretto e scarso di risorse naturali, giunto ad un elevato livello di industrializzazione e che punta ad un elevato tenore di vita ed a questo si è andato abituando come prospettiva raggiungibile in termini brevi, la componente esterna del nostro commercio avrà sempre un'importanza di grandissimo rilievo. Un'inversione della marcia in questo senso significherebbe restringersi in frontiere di miseria, di stagnazione, di isolamento, in sostanza di povertà; e credo che non sia questa la volontà e l'opinione del popolo italiano. Ma allora se non è questo che si vuole bisogna accettare i rischi del confronto, accettare le logiche dell'efficienza economica e produttiva che non sono incompatibili con le logiche e le esigenze primarie della tutela delle condizioni umane, delle condizioni di lavoro civile e così via.
Siamo quindi d'accordo che occorre una vigorosa mobilitazione di volontà, di energie, di risorse, (tutte in fase statica in questo momento: ed è istruttivo ma qualche volta anche sterile l'attardarsi continuamente in recriminazioni reciproche sulle cause di questa stasi) per rilanciare il corso della nostra economia e degli investimenti. L'occupazione, il lavoro la serenità delle famiglie, la prospettiva di un ruolo creativo per i giovani sono e devono essere la preoccupazione prevalente che guida, che indirizza, che inquadra queste iniziative di carattere economico, di carattere fiscale, di carattere amministrativo.
E la Regione non può essere assente. Evidentemente noi non sopravvalutiamo il ruolo che la Regione, oggi soprattutto, con gli strumenti che ha, può svolgere, ma è certo che nello stato di isolamento in cui si sentono le varie forze, le varie componenti che concorrono allo sviluppo economico - mondo del lavoro, imprenditori, operatori economici nel loro complesso - la Regione può svolgere un ruolo efficacissimo di presenza, di stimolo, di rappresentanza, di tramite perché queste forze si galvanizzino.
Io mi rimetto quindi ai suggerimenti, alle indicazioni che la Giunta vorrà dare, ma credo di potermi associare nel complesso alle sollecitazioni sorgenti dal Consiglio affinché si svolgano attività di contatto, di conoscenza immediata e di stimolo quotidiano, di corresponsabilità per far sentire che questa realtà regionale marcia, nella speranza e nello scoramento, insieme a tutte le forze vive della Regione e cerca di interpretarne, in positivo, tutte quante le esigenze. Occorre quindi una ulteriore azione di sollecitazione, di stimolo verso il Governo non tanto generica e vaga perché adotti delle misure, ma perché, suffragata da una conoscenza precisa di situazioni, possa presentare le situazioni stesse, in modo tale che i provvedimenti da suggerire scaturiscano in maniera immediata, chiara, precisa, automatica. E' un modo di collaborare al governo del Paese sicuramente efficace.
E poi ancora un richiamo al realismo (non adopero altri termini) che la Regione può fare autorevolmente verso le componenti tutte del processo produttivo. Occorre in modo assoluto non attardarsi oltre a prendere tutte le misure, ad effettuare tutti gli interventi che valgano a concorrere al rilancio della nostra economia e dell'attività produttiva del Paese, a trarlo da questo stato di scoramento, di pessimismo così diffuso che è uno degli ostacoli più gravi, ritengo, al superamento delle difficoltà presenti.
Certo, occorre che prima di tutto gli Enti pubblici, il potere pubblico, lo Stato, il Governo, le Regioni, i Comuni diano l'esempio di efficienza, di volontà, di iniziativa, non si attardino là dove i loro interventi hanno carattere propulsivo, diano un contenuto concreto alla programmazione della propria attività e alla programmazione generale del Paese.
Non mi dilungo perché mi basta farmi intendere. Occorre ristabilire le condizioni anche psicologiche per un rilancio e queste non si ristabiliscono attribuendo tutte le colpe ai sindacati, tutte le ragioni ai sindacati, o tutte le colpe o tutte le ragioni agli imprenditori. E' il momento che si faccia un discorso sincero e sentito da ciascuno di noi.
Proprio i piccoli e medi imprenditori che ciascuno sollecita vengano assistiti, aiutati, difesi, se abbiamo conoscenza della realtà umana e psicologica che oggi rende grave la situazione, sono i più sensibili a certe situazioni che derivano dalla condizione generale politica del Paese.
Sotto questo profilo altro che rivincita padronale; diciamoci la verità una volta per tutte: non sognano nessuna rivincita, sognano di dare, di regalare, di cedere le loro aziende al primo che si presenti, c'è uno spirito di dimissione totale, altro che di rivincita, ci fosse la vitalità il vigore sotto questo profilo umano, della rivincita. Non c'è, deve essere suscitato, non incanalandolo su strade sbagliate di rivalsa antisindacale ma utilizzando invece la capacità produttiva, la volontà creativa che è latente in queste categorie, affinché non solo vengano reclamate certe mete ma vengano rese possibili. Ed è constatato da tutti, in un modo o nell'altro, che senza la collaborazione, senza il rilancio di queste categorie che rappresentano un vasto tessuto nel nostro Paese, non si ha ripresa economica. E questo non significa abdicazione per niente e per nessuno, significa solo veramente coerenza con una politica democratica pluralista che riconosce a ciascuno un ruolo, le sue responsabilità e non fa da scarica barile.
Anche in questo la Regione, essendo vicina a queste categorie ed ascoltandole esercitando la sua funzione di mediazione, di moderazione, di sollecitazione e svelenendo un pochino il Paese da tutto uno scontro dialettico che si svolge al di sopra, al di fuori della realtà, attorno a delle enunciazioni verbali che non si agganciano alla situazione, riproduce una condizione di serenità, delle prospettive di certezza dal punto di vista del credito, dal punto di vista dei rapporti sociali all'interno dell'azienda. E' inutile sollecitare migliori condizioni di competitività quando non si ha la possibilità di vendere con certezza, di poter reggere certi prezzi.
E' tutta una serie di condizioni: basta andare in mezzo non ai padroni del vapore, che io non conosco, ma scendere in mezzo ai piccoli imprenditori, a quelli che hanno i 10/20/25 operai cui assicurare il lavoro, o che sono soltanto in pochi a lavorare in famiglia, per constatare che sono i più accaniti, i più inferociti, i più scoraggiati. Qualcosa su questo piano deve essere fatto e credo che si possa sollecitare anche il Governo nazionale a dire, senza falsi pudori, una parola di incoraggiamento, di certezza coi fatti innanzitutto, con le iniziative concrete anche a tutto questo mondo che è tessuto e fonte di iniziativa: gente che viene dal lavoro, gran parte della quale è costituita da ex operai, piccoli artigiani che hanno assunto delle responsabilità pesanti e che vedono sfumare il frutto del loro lavoro, della loro vita, con sconcerto per sé e conseguenze veramente preoccupanti per tutto il resto del Paese. E certi esiti delle elezioni del 13 giugno non si sono avuti n per opera né nell'ambito del grande padronato, si sono avuti per opera e nell'ambito del piccolissimo imprenditore, tanto più piccolo quanto più sensibile. E allora ciascuno di noi, al di là dell'improprietà del mio intervento improvvisato, mediti su questo che è il punto delicato della situazione politica e quindi economica nazionale.
La Regione solleciti una politica finanziaria, creditizia adeguata solleciti tutti i provvedimenti tecnici, IGE, ecc., solleciti l'eventuale considerazione di quelle misure di rimborso di imposta che sono state adottate da altri paesi a sviluppo più avanzato, anche del nostro, che non devono scandalizzare; ma soprattutto solleciti e dia l'esempio di una efficace programmazione, di tempestività nell'erogazione dei fondi nell'adozione delle iniziative, sia vicina al mondo economico, ascolti i lavoratori, ascolti gli imprenditori. Sentiamo e sappiamo che il mondo del lavoro è molto più avanti di molti dei suoi rappresentanti come attenzione come senso di responsabilità. Qualche volta chi di queste cose si interessa solo professionalmente, solo su un piano astratto, solo su un piano polemico, rischia di arrivare un pochino in ritardo. Allora operiamo anche affinché avvenga una necessaria saldatura tra i rappresentati e i rappresentanti, perché anche un divorzio come quello che in parte si verifica in tanti settori tra il mondo operaio e il mondo sindacale, non è per niente foriero di buone promesse per la salute della democrazia nel nostro Paese. Anche qui non è il caso di esagerare, ma non mi sentirei tanto sicuro, come qualcuno mostra di sentirsi, sull'assoluta compattezza e sul perfetto legame tra queste forze.
Il campo d'azione è molto vasto, la Regione può fare poco. Noi sollecitiamo che la Giunta, con i dati che sono a sua disposizione, prenda i contatti, anche qui senza forme di discriminazione, con tutte le categorie e tutte le forze attraverso le quali la vita produttiva si esprime e in modo efficace e non generico si faccia portatrice dell'istanze, delle misure che possono essere prese per dare l'avvio.
A volte anche dotati di scarsi poteri si possono svolgere dei ruoli molto efficaci quando le condizioni morali, psicologiche, la situazione dei nervi di un paese appaiono essere in qualche momento prevalenti e decisive rispetto a quelle concrete. E dal punto di vista concreto l'apparato produttivo, la capacità di lavoro, le risorse umane, materiali, economiche sono sostanzialmente intatte, si tratta di superare quell'inerzia che è sempre molto forte quando la macchina si e arrestata.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Minucci; ne ha facoltà.



MINUCCI Adalberto

Signor Presidente, questo dibattito ha luogo su iniziativa del Gruppo comunista. Mi rendo conto dal suo andamento che comunque l'interesse perch una discussione di questo genere avvenisse non era dei soli comunisti, ma di tutti i Gruppi i che sono intervenuti. L'unico rammarico è che sia rimasta assente, sinora, la voce della Giunta, che in fondo era chiamata direttamente a dare delle risposte, dei giudizi, delle indicazioni. Io credo per esempio che, proprio per l'andamento produttivo della discussione, sarebbe stato utile che sin dall'inizio la Giunta fosse venuta ad esporre alcune linee di iniziative oltre che dei dati di fatto, dei giudizi, che avrebbero contribuito a rendere molto più concreta la discussione che abbiamo fatto e forse anche a trovare con più incisività senza disperderci (come anch'io farò probabilmente e me ne dispiace) in una certa genericità di impostazione, le soluzioni, le linee che ci sembrano in questo momento necessarie per uscire dalla situazione così drammatica in cui l'economia nazionale e piemontese si è venuta a trovare.
Una prima critica quindi, se mi è consentito, la vorrei proprio rivolgere ai responsabili, al Presidente della Giunta, la cui sensibilità doveva indurli secondo me a presentare una piattaforma di iniziativa, una base di discussione e di azione, di lavoro dell'organismo regionale su una questione che riguarda direttamente le prospettive non solo economiche, ma sociali e politiche della nostra Regione.
Per quel che mi riguarda, devo dire subito che il fatto di condividere pienamente l'intervento del mio compagno di gruppo Sanlorenzo e di concordare anche molto largamente con le osservazioni in genere acute che ha fatto il compagno Nesi, che hanno fatto i compagni del Gruppo socialista e il compagno Giovana, mi consente di dare per scontato tutto il retroterra di analisi che qui è stato svolto e di concentrare il mio intervento su alcune questioni che ritengo fondamentali rispetto alle prospettive che abbiamo di fronte.
Io vorrei che i colleghi riflettessero sul fatto che in una discussione di così grande respiro, di così grande peso nella vita politica del Paese le sinistre operaie democratiche si siano presentate con posizioni estremamente vicine e unitarie. E se qualcuno gioisce alla ricerca di contrapposizioni frontali, di cortine di ferro a erigere attorno al movimento operaio democratico, deve però anche riflettere sul fatto che questa sinistra che qui si è presentata unita nel giudizio e nelle indicazioni, rappresenta più del 40 per cento degli elettori della nostra Regione, rappresenta le forze fondamentali della vita produttiva, economica e sociale del Paese. Quindi non c'è da rallegrarsi della sua unità e della sua compattezza su questioni essenziali, da parte degli esponenti delle forze più conservatrici.
Se da parte della sinistra c'è stata questa unità, io trovo che un limite sia stato avvertito nelle argomentazioni svolte da alcuni colleghi della maggioranza, in cui secondo me è prevalsa (anche nel recentissimo intervento del collega Bianchi, che pure sempre tutti noi seguiamo con grande attenzione, con grande interesse) una preoccupazione un po' di bottega: la paura di strumentalizzazioni politiche, la paura di sbilanciarsi in un giudizio che possa compromettere antichissima fedeltà che si tiene a ribadire anche quando non sono richiesti nuovi certificati di garanzia. Figuriamoci se non sappiamo che la tendenza, la vocazione a difendere le prese di posizione degli Stati Uniti è così radicata non soltanto nel partito socialdemocratico, che ormai si è fatto il paladino di ferro del partito americano in Italia , ma anche nei colleghi della D.C.
Possiamo anche comprendere le ragioni storiche, politiche, comprenderle anche con la sincerità necessaria, senza farne nessuna strumentalizzazione pero ritengo che di fronte ai fatti nuovi a cui ci troviamo oggi forse, se si potesse uscire dal guscio delle preoccupazioni di bottega e affrontare con un po' più di coraggio e un po' più di fantasia le cose che ci stanno di fronte sarebbe meglio per tutti, anche per i partiti che questi colleghi rappresentano.
Ho detto che vorrei limitarmi ad alcuni argomenti. Ritengo tuttavia che un certo indirizzo che il dibattito ha avuto mi imponga di ristabilire alcuni elementi di giudizio che, se pure molto schematicamente, sono stati già espressi, in particolare dal mio compagno Sanlorenzo. Su alcuni dati di fatto, incontrovertibili (non credo che in questo caso si tratti di un lapsus) che poi sono le grandi linee di un orientamento di fondo, cioè quelle strutture portanti della nostra analisi, che è l'analisi comune, che ci possono consentire di vedere chiaro poi anche sulle prospettive, su questi dati appunto mi è sembrato di notare che molti colleghi abbiano teso a svicolare come si dice, o ad offuscare la realtà delle cose.
Le decisioni del Governo americano costituiscono un atto di rottura, di violazione unilaterale, di accordi internazionali e non soltanto quelli di Bretton Woods sui rapporti monetari, ma anche quelli dell'organismo internazionale che regola i rapporti tariffari, il GATT (sigla un po' curiosa). E mi fa piacere che il Ministro Ferrari Aggradi lo abbia rilevato con molta forza dicendo: è molto grave il fatto che gli americani abbiano aumentato la tassa sull'importazione e viola le regole del GATT. Nessuno ha avuto il coraggio di parlare di violazione, di rottura unilaterale, di arbitrio. Il solo che ha tentato di dare una risposta a queste nostre precise considerazioni, constatazioni, è stato il collega Cardinali con quel curioso inno al cinismo che davvero ritengo inaccettabile; un partito che abbia un minimo di collegamento con le masse, un minimo di serietà non può assumere come giustificazione le cose che ha detto il collega Cardinali a proposito del "ciascuno per sé, Dio per tutti" e così via. Ci troviamo di fronte a un fatto che riguarda tutti. Ma come si può permettere a un Paese di stracciare dei patti firmati da tutti, senza il minimo di consultazione? Su quali regole allora si può basare il gioco internazionale, i rapporti internazionali se non c'è questa garanzia dei patti rispettati? Sono il primo ad essere convinto che gli accordi di Bretton Woods oggi sono superati nella realtà, ma possono essere modificati attraverso una consultazione, attraverso una decisione comune, non certo perché il giorno di ferragosto il Presidente Nixon ordina, o consiglia, come ha fatto in questa circostanza. E guardate che questa è un'antica tradizione degli USA su cui non si può assumere un atteggiamento di indifferenza. Pensiamo a come gli Stati Uniti hanno stracciato unilateralmente gli accordi di Ginevra a proposito dell'Indocina; in quel caso non si è trattato di un terremoto monetario, semmai dell'origine dell'attuale terremoto monetario bensì si è trattato di una guerra che insanguina il mondo. I carri armati di Praga, collega Rossotto! Pensa quali danni hanno fatto i carri armati nel Vietnam! Non c'è nessuna possibilità di confronto. Pensa quale macchia è stata gettata sul mondo intero, una macchia di sangue, un vero e proprio genocidio, come è stato riconosciuto anche dagli americani. Chi ha letto il rapporto di Mac-Namara? Tutti i giornali ne hanno parlato. Possibile che siate più americani di Mac Namara? Possibile che vi vogliate rifiutare a una considerazione di una realtà di fatto che sta sotto gli occhi di tutti? Allora pensiamo al pericolo continuo che rappresenta l'essere alleati di una grande potenza che non tiene in nessun conto i rapporti internazionali che è disposta a stracciare ogni volta che lo ritenga utile, qualsiasi accordo. Ma questo dato di fatto va preso in esame.
Collega Bianchi, è forse un giudizio unilaterale il mio? E' forse un elemento di pura strumentalizzazione politica o è un dato di fatto da cui si deve partire? Io ti prego di prendere in considerazione questo fatto non sul terreno di una polemica di bottega, ma di una comune capacità di valutazione che gli uomini onesti devono avere; non si può prescindere da quello che sta accadendo sotto i nostri occhi.
Io prima, in un'interruzione, ho detto: se voi prendeste di fronte agli Stati Uniti lo stesso atteggiamento di autonomia che noi prendiamo verso i paesi socialisti; ma non è una battuta, è la realtà, perché nel momento in cui noi prendiamo una posizione di polemica aperta verso i paesi socialisti per i fatti di Praga, in questo modo non soltanto facciamo un'operazione politica immediata, ma delineiamo un'altra concezione del mondo, delineiamo un'altra strategia. Ma è questo che vi chiediamo; è su queste posizioni che tendiamo a formare la coscienza dei nostri militanti. Per noi questo significa la parola "autonomia", indipendenza di giudizio. Ma vorrei che su un fatto, tutto sommato, meno drammatico dal punto di vista dei riflessi dell'opinione pubblica, voi aveste il coraggio di dire quello che pensate di non abbassare sempre la testa di fronte ai potenti. Questa è la realtà cui vi richiamo.
La seconda considerazione che vorrei ribadire è questa: dichiarando l'inconvertibilità del dollaro, imponendo la rivalutazione delle monete occidentali, aumentando la tassa sulle importazioni in America dall'estero e facendo precipitare il sistema di scambi commerciali e monetari con il tramite che conosciamo, in un clima di incertezza drammatica, gli Stati Uniti (è stato detto da Sanlorenzo e ripreso dai colleghi socialisti) intendono far pagare ai Paesi alleati (e in questo caso permettete che la parola "alleati" la metta fra virgolette, dato il singolare rapporto di alleanza che così si viene a stabilire) gran parte del deficit della loro economia e cioè il fallimento della politica di grande potenza, di "gendarme del mondo", come diciamo noi, che hanno portato avanti finora. Ma questa tendenza non è nuova, mi sembra che già il collega Giovana lo rilevasse, non data dal 15 agosto; con le decisioni del 15 agosto si è di fronte all'atto più clamoroso che svela fino in fondo una logica, ma da anni è in corso un processo che ha consentito agli Stati Uniti di riversare sull'Europa, sull'Italia i costi della loro politica, della loro politica di guerra per esempio, di intervento militare in tutto il mondo, del dissesto della loro economia. Si parla da anni di inflazione strisciante e in sede scientifica, protetti appunto dal pericolo di strumentalizzazione anche gli esperti della D.C., del Governo hanno riconosciuto più volte che l'inflazione strisciante che ha luogo in Italia da anni ha come causa fondamentale una situazione di surriscaldamento dei rapporti monetari derivati dalla situazione americana.
E' stato riconosciuto da più parti e in realtà, se andiamo a vedere, i processi inflattivi nel nostro Paese hanno avuto i primi segni di accelerazione cominciando dal '66/67/68 per venire avanti, molto prima delle lotte operaie; andiamo a vedere l'aumento dei prezzi e all'ingrosso e al minuto in quegli anni, prima dell'autunno '69. Io credo che non sia necessario avere un minimo di esperienza sui rapporti sociali economici, un minimo di conoscenza scientifica, ma basta avere buon senso per capire che le stesse lotte operaie sono state in un certo senso la risposta a questo fenomeno di base che è stato rappresentato appunto dallo sviluppo di un processo inflattivo costante. Io credo che con i dati in mano sia davvero miserabile ricorrere a questa continua accusa: sono stati i lavoratori sano state le rivendicazioni operaie, è stata la prepotenza dei sindacati.
Tra l'altro voi non comprendete che in questo modo gettate un'ombra di dubbio davvero sulla saldezza di questa società che con tanto accanimento difendete. Perché se una società è così ingiusta, è così fragile per cui basta una rivendicazione, la più giusta se volete, basta che i lavoratori chiedano di stare un po' meglio perché questa società venga messa in crisi ma allora è davvero una società da cambiare; non fate altro che darci ragione, sia pure indirettamente.
In realtà le cose stanno in modo diverso. Alla base dei processi di inflazione, alla base delle difficoltà economiche che oggi si stanno aggravando e giungono a un nodo decisivo, ci sono ben altre ragioni che sono interne alle contraddizioni del sistema capitalistico italiano ed internazionale.
E una terza considerazione vorrei qui ribadire: non esiste alcuna giustificazione, né giuridica, né politica, né morale alle decisioni assunte dagli USA, soltanto Curci può trovarle. La sola che ha accampato il Presidente Nixon e che ricordava il collega Nesi, secondo cui gli Stati Uniti in questi vent'anni avrebbero pagato per tutti le spese della difesa del mondo libero, i 146 miliardi di dollari per l'ombrello protettivo e così via, credo che sia la più immorale, la meno accettabile anche dal punto di vista giuridico, perché i fatti sono fatti: ma chi ha chiesto agli Stati Uniti di andarci a difendere nel Vietnam? Chi ha chiesto agli Stati Uniti di andarci a difendere in Grecia rovesciando il legittimo governo greco, spendendo dei miliardi, mettendoci dei colonnelli fascisti? Chi ha chiesto agli Stati Uniti, di noi, degli italiani (salvo gli amici di Curci) di andare a rovesciare i legittimi governi di San Domingo, della Bolivia del Guatemala? Signori, gli Stati Uniti hanno speso i loro miliardi per questo e noi oggi siamo chiamati a pagare il conto. Ma in nome di quale diritto? La difesa del mondo libero è stata questa nei fatti, perché gli Stati Uniti non hanno ricevuto nessuna aggressione da parte sovietica, non si è registrato nessun fatto che abbia, in qualche modo, avvalorato la tesi iniziale del patto atlantico secondo cui si doveva fare uno sforzo comune per difenderci dall'aggressività dell'Unione Sovietica. Nessun paese occidentale ha avuto violati i propri confini dall'iniziativa sovietica sono sempre stati gli americani ad andare perfino a 15.000 Km, dai loro confini, come hanno fatto in Indocina per portare loro la guerra. Questo è il debito che noi dovremmo pagare.
Voi potreste dire che questa è un'argomentazione da comunista; secondo me questa è un'argomentazione che si ricava dai dati di fatto storici, da un'analisi serena, corretta, scientifica della realtà storica di questo ventennio. Ma voglio mettermi dal vostro punto di vista. Gli americani vogliono che si paghi una difesa comune, ma allora un minimo di dignità deve portare voi a dire: se dobbiamo pagare una difesa comune vogliamo anche decidere una difesa comune, vogliamo parità di diritti nelle decisioni che sovrintendono a questa difesa comune. Ma se addirittura arrivano a mettervi un comando militare in casa, credo senza neppure il bisogno di dare un colpo di telefono al Ministro della Difesa italiano? Ma quando mai le strutture militari dei patti militari che hanno fatto spendere questi 146 miliardi di dollari agli americani sono state minimamente discusse con voi, con l'Italia e quindi anche col popolo italiano? L'unico italiano che ha l'onore di sapere qualche cosa (ma dopo) sarà Brosio, il segretario della NATO.
Vogliamo la difesa comune? Bene, ma nell'interno di questo sistema di difesa comune i diritti nazionali, la partecipazione dei singoli Paesi deve essere garantita. Oppure ci può essere un'altra strada, che è quella che noi indichiamo: imboccare non la strada del riarmo continuo che fa spendere agli americani, come già diceva Nesi, ogni anno, una cifra superiore per il riarmo, ma andare verso il disarmo, andare verso un processo di distensione, verso l'abolizione di questo fenomeno incredibile e disumano che vede il mondo spendere ogni anno migliaia di miliardi per distruggere.
Questa è una linea su cui voi dovete prendere una posizione. Non mancano dei segni che indicano la possibilità di andare su questa strada. Nel mese di agosto abbiamo avuto la decisione, il ricatto di Nixon, ma abbiamo avuto anche l'accordo per Berlino, che è un segno positivo, che supera un momento di tensione, che indica la possibilità...



BORANDO Carlo

E' la Cina che mette paura alla Russia!



MINUCCI Adalberto

Ma no, la Cina metterà paura a te, non alla Russia, ma stai tranquillo! Ci sono le possibilità di andare verso una politica di distensione, ma bisogna avere coraggio. Non si può andare sempre a trovare argomenti "l'oriente è più lontano" per rispondere a delle domande che invece riguardano il nostro atteggiamento, di italiani, di governo italiano, di popolo italiano.
Quello che io chiedo è che anche questa manovra, questa operazione che ribadisce o che tende a ribadire una posizione di comando, di dominio degli Stati Uniti nell'occidente, questa posizione porti almeno a riflettere, non a rispondere con delle battute senza significato, ma a riflettere tutti onestamente, sinceramente su questo dato di fatto: vogliamo che questa realtà continui così, o possiamo cambiarla? Possiamo cambiarla gradualmente, ma su quale strada? E se vogliamo andare su una certa strada sia pure gradualmente, quali sono i primi passi da compiere? Queste sono le domande che vi poniamo e non si può continuare a sfuggire con delle battute che almeno se avessero il vantaggio di essere spiritose potrebbero aiutarci a condurre meglio la nostra discussione.
Quarta questione: lo sconquasso determinato dalle decisioni del 15 agosto nel sistema monetario internazionale, esprime in un modo concentrato un processo molto più vasto. Questo processo più vasto secondo noi (naturalmente si tratta davvero di un giudizio che discende da un determinato metodo di analisi della società attuale) consiste in una crisi di fondo che ha delle manifestazioni di volta in volta più acute e meno drammatiche, del sistema capitalistico mondiale, del sistema imperialistico mondiale. Non è un caso (altro che fine dell'analisi di Marx, caro Cardinali) che le ragioni più immediate di questo sconquasso siano da ricercarsi in sconfitte politiche militari e di prestigio della più grande potenza imperialistica (parlo ad esempio del Vietnam). Non a caso altre ragioni vanno ricercate nell'acutizzarsi di contrasti intercapitalistici (si veda il ruolo nuovo che il Giappone e la stessa Germania di Bonn assumono nel mercato capitalistico internazionale). Ma dobbiamo tener conto che se ciò è vero, se cioè si tratta di un processo più vasto che abbraccia tutto il sistema che noi chiamiamo imperialistico, capitalistico, (voi potete chiamarlo con un altro nome, ma i nomi non cambiano la realtà) che fa capo oggi agli USA, dobbiamo però tener conto che in questo processo di crisi, in questo sistema gli Stati Uniti continuano ad essere i più forti e possono imporre la loro legge non soltanto per ragioni economiche (e chi nega che l'economia americana è la più potente nell'ambito del sistema economico capitalistico), non soltanto per ciò che l'economia americana anche sotto il profilo delle attuali vicende, ha alle spalle, che copre il dollaro di una forza autonoma del proprio mercato interno il quale continua a giocare un ruolo decisivo in tutta questa situazione. Ma non dimentichiamoci che questa strapotenza, questa maggiore forza, questa possibilità di dettar legge da parte degli americani risiede anche in altre ragioni che sono di ordine politico e militare. La potenza degli americani anche sui loro alleati, anche sul terreno della possibilità di imporre una subordinazione politica, sul terreno anche del ricatto militare, nessuno può ignorarla.
Di fronte a quale fenomeno storico ci troviamo oggi, e la crisi del dollaro, secondo me, lo mette in luce fino in fondo? Posto in difficoltà e per certi aspetti alle corde in alcune regioni del mondo, dall'avanzata dei processi socialisti, dall'avanzata dei movimenti di liberazione che pur con tutte le loro contraddizioni continuano a costellare il mondo, il gigante americano reagisce e i suoi colpi di coda finiscono per colpire proprio i più vicini, i suoi alleati, quelli che non sanno prendere le distanze.
Questo non vi preoccupa? Ognuno di quelli che oggi tacciono o prendono quelle posizioni di giustificazionismo, come hanno fatto i colleghi Cardinali e Gandolfi, vede con serenità questo fatto? Guardate che se questo processo andrà avanti, se la grande economia americana si troverà sempre più chiusa da una ondata montante che contesta il suo dominio, che restringe l'area della sua egemonia e i prezzi che noi dovremo pagare saranno sempre più alti, i margini per la nostra stessa autonomia nazionale si ridurranno sempre di più. E la decisione del 15 agosto non è altro che una mossa rivelatrice della logica di queste grandi tendenze internazionali. Ecco perché noi vi chiediamo, non di fare la guerra agli Stati Uniti, figuriamoci, siamo per la pace ad oltranza se volete, vogliamo però che l'Italia assuma un atteggiamento, se possibile, nell'ambito dei paesi europei, ma in ogni caso sulla base di una sua sovranità nazionale a cui nessuno ha mai rinunciato, tanto meno la nostra Costituzione repubblicana, vogliamo che l'Italia prenda le distanze e che assuma nei confronti degli Stati Uniti un atteggiamento non di guerra e nemmeno di conflitto o di contestazione pura e semplice, ma un atteggiamento positivo e produttivo per gli stessi USA. Voi dimenticate sempre che gli Stati Uniti non sono soltanto Nixon, c'è anche un'altra America che ha lasciato i suoi morti non soltanto fra i negri ma anche fra i presidenti degli Stati Uniti.
Ebbene, quest'altra America, vogliamo aiutarla? Vogliamo davvero che l'America vada verso un processo di nazificazione di fascistizzazione, o vogliamo invece che le forze vive, le energie democratiche e se volete anticomuniste, ma che comunque hanno una diversa prospettiva, prendano il sopravvento, alzino la voce, prendano in mano il governo degli Stati Uniti? Io credo che Curci finirà per mandare un voto per procura a Nixon quando ci saranno le elezioni americane, ma gli Italiani sono disposti a questo? Davvero credono che l'unica prospettiva degli Stati Uniti sia Nixon? Non si augurano che qualche cambiamento ci sia? Questo riguarda noi anche. Il fatto che negli Stati Uniti possano avvenire dei mutamenti positivi, che le forze che oggi si battono per una politica di pace, per una politica di collaborazione democratica fra gli Stati e che esistono negli Stati Uniti, se oggi queste forze vogliamo farle prevalere il nostro atteggiamento deve essere conseguente, la nostra critica di oggi, il nostro rifiuto di certe misure non farà che aiutare queste forze a liberarsi dalla prigionia in cui oggi possono trovarsi e dai condizionamenti che tuttora le collegano.
Io credo che l'alleanza con gli Stati Uniti abbia sempre rappresentato un'effettiva limitazione della sovranità nazionale, al di là degli stessi accordi internazionali, perché gli accordi non dicono tutto, non dicono chi è il padrone e chi è l'asservito in un sistema di alleanze, non stabiliscono i livelli di potenza che poi all'interno di questi sistemi si determinano. Io credo che questa limitazione ci sia sempre stata, ma se non vogliamo che rischi davvero di strangolarci, se non vogliamo che davvero la crisi della società americana finisca per rovesciarsi interamente su di noi, penso che il Governo italiano, noi stessi, le forze politiche, quelle almeno che si collegano ai valori della democrazia, ai valori dell'antifascismo, debbano in questo momento cogliere l'occasione che ci viene fornita e riflettere, meditare, aprire un discorso nuovo al nostro interno. Capisco benissimo che è un discorso che non potrà trovarci uniti su tutto, ma che a mio avviso può trovare molti punti di contatto.
Nell'agosto sono successe diverse cose, è successo anche che la stampa americana, proprio quella più collegata all'amministrazione, parlo per esempio dell'autorevolissimo "United States World and Report", un settimanale che è una diretta espressione del Dipartimento di Stato, è arrivato a scrivere che bisogna che gli Stati Uniti si muovano, non lasciare che in Italia le cose vadano per un certo verso e c'è una frase significativa: se in Italia davvero si avesse una svolta a sinistra e i comunisti entrassero al Governo e avessero posizioni di potere, il giorno dopo si avrebbe l'intervento in Italia delle truppe americane, tedesche e francesi. Chiedo a tutti voi se questa concezione della democrazia in qualche modo vi convinca.



CARDINALI Giulio

La sovranità limitata.



MINUCCI Adalberto

Altro che sovranità limitata, qui ci sarebbe la sovranità fatta a pezzi. Io vi chiedo: perché non avete risposto a queste cose? L'hanno detto i giornalisti più autorevoli, l'hanno fatto capire che si trattava di posizioni che sono all'interno dell'amministrazione americana. D'altra parte è una prospettiva così lontana dalla realtà, da non interessarci. Ho fatto prima il nome della Grecia, cerchiamo di ricordarci che cosa hanno significato le navi americane attorno al Pireo, l'intervento dell'ambasciatore degli Stati Uniti in tutta la crisi greca. C'è qualcuno che a furia di essere patriottico accetta e sogna questa prospettiva, che venga lo straniero, come già altre volte, a difendere il patriottismo degli Italiani.



CURCI Domenico

Per molto meno siete andati a Praga!



MINUCCI Adalberto

Ma io voglio dire con tutta chiarezza - non certo per polemizzare con te - che se davvero qualcuno nel nostro Paese, forse non solo fra gli appartenenti al tuo partito, pensa, favorendo uno sbocco catastrofico dell'attuale crisi della società italiana di poter provocare un intervento straniero, di qualsiasi tipo, è un illuso. Si tratta di un sogno da impotenti e da velleitari.



BIANCHI Adriano

Non ce n'è bisogno.



MINUCCI Adalberto

Io mi guardo bene dall'annoverare fra quelli cui mi riferivo il collega Bianchi, lo dico molto sinceramente.
Perché è un illuso? L'America è andata in Vietnam, un Paese che gli americani neppur conoscevano molto bene: lo conoscono da quando l'hanno percorso in divisa. Il fatto che siano andati ad aggredire un Paese come il Vietnam ha provocato uno sconquasso, una spaccatura verticale negli Stati Uniti: è saltato un presidente, ne salterà un altro. Pensate cosa accadrebbe se al loro maggior rappresentante venisse l'idea di un intervento militare in Italia! Quel presidente il giorno dopo sarebbe defenestrato. Il popolo americano non tollererebbe un passo simile. Ed a maggior ragione questo ragionamento vale per la Francia. Quando mai un Governo francese potrebbe decidere di mandare delle truppe ad aggredire l'Italia? A meno che si abbia il cattivo gusto di pensare alle truppe tedesche, che in Italia ci sono state, ed hanno fatto quel che sappiamo trovando però anche pane per i loro denti; fra l'altro, la Germania di oggi, per fortuna, sembra ben diversa da quella di Hitler, tanto cara al collega Curci.
Il favorire un aggravarsi delle tensioni interne sulla base di prospettive illusorie non porterebbe ad altro risultato che a quello di aggravare i problemi interni del nostro Paese, già di così difficile soluzione: i problemi economici, sociali e strutturali del nostro Paese.
Ecco perché noi chiediamo in primo luogo una chiara linea politica ed una scelta politica nuova per una strada nuova, che non sia quella dell'autarchia ma quella dell'indipendenza, di un nuovo sistema di rapporti internazionali da liberi e uguali, della difesa corretta degli interessi nazionali; che è l'unico modo, fra l'altro, per convivere anche con altri Paesi, perché nessun sistema internazionale può sussistere se non fondato su una difesa e una valorizzazione degli interessi internazionali. Abbiamo visto addirittura un partito che si dichiara il più nazionale d'Italia incaricare un suo deputato avvocato di difendere gli armatori greci che hanno affogato quella povera gente nello Jonio...



CURCI Domenico

Il comandante della nave.



MINUCCI Adalberto

Sì, il comandante della nave, su cui pesano responsabilità ben evidenti, che tutti hanno ormai riconosciuto. Ma credo che solo voi intendiate in questo modo la difesa degli interessi nazionali.
Io ritengo invece che il problema sia oggi quello di capire davvero quali sono gli interessi nazionali, e, partendo da questa difesa e partendo dalla difesa della nostra indipendenza, lavorare tutti insieme per un nuovo sistema di rapporti a livello internazionale.
Ma vorrei, scusandomi se sono già stato un po' troppo diffuso e passando al secondo punto che mi interessava affrontare, soffermarmi sul significato che assumono in questo momento la crisi del dollaro e le decisioni del Governo americano in rapporto alla situazione concreta della nostra economia ed al terreno nuovo, alla situazione nuova che sotto questo profilo si è venuta a determinare. Io credo che in primo luogo una risposta che parta appunto da quel presupposto che dicevo prima, della difesa dell'indipendenza nazionale e degli interessi nazionali, si debba poi articolare in alcune misure immediate. Molti colleghi le hanno già indicate: ne ricordo a mia volta alcune solo per esigenza di chiarezza.
In primo luogo, non accedere assolutamente alla richiesta americana di rivalutare la lira, sia pure sotto la forma mascherata della fluttuazione.
Io prendo atto con piacere del fatto che il ministro più responsabile in questo settore, il ministro Ferrari-Aggradi, abbia detto con molta chiarezza in commissione, al Parlamento, che è lontana dall'intenzione del Governo l'eventualità di una rivalutazione della lira, in accoglimento della richiesta più massiccia, più significativa, fatta dal Governo americano; però, devo anche dire che i provvedimenti concreti che il Governo ha assunto in questo primo mese non lasciano affatto desumere una posizione così corretta e così coerente rispetto a questo elemento fondamentale. Sappiamo benissimo che rivalutare la lira significa imboccare la strada di una politica di deflazione molto aspra, che porterebbe a dare un colpo all'attività produttiva del Paese, quindi ad un attacco frontale all'occupazione. Ci sono già segni premonitori in questo senso, e i colleghi che mi hanno preceduto li hanno ricordati. Anche in Piemonte viene ormai avanti un processo che è tanto più preoccupante in quanto in molti casi obbedisce chiaramente a motivi strumentali, cioè mira proprio a colpire il livello di occupazione, al di là delle reali esigenze aziendali.
I casi che si potrebbero citare sono numerosissimi, ed i colleghi che hanno parlato prima di me già ne hanno ricordato qualcuno; altrettanto potrei fare io.
Occorre andare verso un nuovo sistema monetario internazionale, in cui sia eliminata ogni moneta guida, in primo luogo il dollaro, partendo da una nuova concezione dei rapporti internazionali, che metta su piede di parità tutti i Paesi, sia industrializzati che arretrati. Accenno solo in sintesi a questo concetto, perché è già stato illustrato ampiamente da altri.
Tutto questo, però, non si ottiene soltanto con l'adozione di misure tecnico-finanziarie, ma richiede una grande scelta politica, che non pu non inquadrarsi in due grandi coordinate: un nuovo indirizzo della politica estera del nostro Paese, e quindi, per esempio, una più incisiva azione per uscire dai blocchi, per superare i blocchi militari e le aree di influenza un nuovo indirizzo della nostra politica economica nazionale, nel senso di avviare un nuovo modello di sviluppo dell'economia italiana. Abbiamo avuto tante occasioni di discutere, anche di recente, su questo tema: voglio solo ricordare ai Colleghi che questa espressione, nuovo modello di sviluppo significa, per esempio, un nuovo rapporto fra industria e agricoltura, un nuovo rapporto fra Nord e Sud, la fine di certi processi ormai patologici dell'economia italiana, l'avvio appunto di una nuova fase dello sviluppo delle forze produttive, in un equilibrio nuovo fra le varie componenti della nostra economia. Si ripresenta, in altre parole, direi rafforzata dalle recenti vicende del dollaro, la stessa esigenza che qui si è proposta nei nostri dibattiti, ma direi in tutta la vicenda politica e sociale italiana, che avevamo discusso nei mesi scorsi: quella appunto di avviare un nuovo corso dell'economia italiana, la ricerca di un nuovo tipo di sviluppo, di un nuovo modello. E' una esigenza che è affiorata non soltanto per la pressione dei comunisti, delle sinistre, ma di tutti i movimenti di lotta, nel mondo cattolico, in tutte le espressioni vive della società, in tutte le lotte che la società ha vissuto in quest'ultimo periodo.
Qualcuno si è illuso - basta leggere "L a Stampa", "Il Corriere della Sera" - che le difficoltà economiche nuove e la stessa crisi del dollaro in fondo, possano tornar utili, perché i nuovi ostacoli che esse frappongono rallenterebbero la spinta delle masse verso questa svolta nella direzione economica del Paese, verso le riforme di struttura, costituendo un freno potente alle spinte per un rinnovamento ed una svolta. Qualcuno sogna che le difficoltà possano servire, come dice esplicitamente il Segretario della Confindustria di Novara, ad assestare un colpo al movimento operaio. Bene, anche queste speranze sono illusorie, perché in realtà l'esigenza di una svolta economica, e di conseguenza anche l'esigenza di una svolta politica nel nostro Paese - dirò poi due parole a proposito di svolte politiche, collega Calleri -, l'esigenza di questo mutamento di indirizzi nel campo dell'economia e della direzione politica non nasce dalla volontà soggettiva di certe forze, neppure di un partito pur forte come il nostro, e neanche del grande movimento sindacale o delle altre forze di sinistra: nasce in primo luogo dalla natura dei problemi economici e sociali che sta, vivendo la nostra società. Sono le cose stesse, sono i problemi reali stessi, sono le strutture, sono le cose appunto, a spingere verso un mutamento radicale. E la capacità delle forze politiche si misura non tanto nel creare delle tensioni artificiali su questo problema ma nel prendere coscienza e nel dare sbocco a questa pressione, che è in primo luogo una pressione oggettiva.
Perché, è vero, la vicenda del dollaro è oggi la componente più acuta più evidente, anche agli occhi dell'opinione pubblica, delle difficoltà e della crisi che sta attraversando la nostra economia, dei rapidi processi di aggravamento che in queste ultime settimane si sono realizzati sulla strada della stagnazione ed anche di una eventuale recessione. Ma c'è un'altra componente di crisi, che è presente da tempo, almeno da un anno e mezzo, che ci ha fatto parlare di crisi sociale e politica prima ancora che di crisi economica, ma che oggi comincia ad intaccare anche il campo dell'economia, ed è una componente strutturale interna al nostro sistema alla realtà nazionale (anche di questo tante volte abbiamo parlato, per cui credo sia più che sufficiente che mi riferisca a ciò quasi con simboli, con termini convenzionali).
Noi ci troviamo di fronte ad un nodo, ad una strozzatura ormai sempre più evidente, che si manifesta in un limite che incontriamo, ad esempio nell'andare avanti su un terreno che veda immutato il rapporto fra regioni settentrionali e regioni meridionali, che si chiama agricoltura, che si chiama congestione nelle aree più industrializzate del Paese, che si chiama distorsione ormai parossistica dei consumi con tutto quel che ne consegue (mi scuso per l'estrema sinteticità della mia esposizione, perché mi rendo conto che queste parole possono anche non rendere tutto quello che c'è dietro: ma è una realtà che abbiamo tutti davanti agli occhi). Ecco, questo tipo di crisi di struttura, appunto, ha una ragione di fondo nella crescita della società italiana, della stessa economia italiana, nei nuovi bisogni che ha creato, e nel fatto che questa crescita oggi mette in discussione vecchi equilibri, vecchie strutture.
Questo tipo di crisi, poi, è ancora aggravato dalla resistenza accanita che le forze conservatrici oppongono ad ogni rinnovamento delle strutture alle riforme. Più accanita e forte è la resistenza a questo rinnovamento e più la crisi sociale ed economica è destinata ad aggravarsi. Chi si pu illudere che con questa resistenza si possano risolvere i problemi che sono sul tappeto, che sono l'oggetto delle grandi lotte, del grande sommovimento sociale e politico che oggi scuote il Paese? Non si può risolvere né con la resistenza reazionaria e conservatrice, né con le misure di riformiamo spicciolo e disorganico, che non mutano niente e lasciano intatto il fondo strutturale del Paese.
Teniamo però conto che, a prescindere dalle capacità di intervento soggettivo delle forze politiche, del Governo in primo luogo, questo movimento strutturale rimane, cioè la tendenza al mutamento delle strutture profonde del Paese è una realtà, nessuno può bloccarla. Il problema è oggi come indirizzarla, come intervenire, sul piano appunto dell'iniziativa e della coscienza politica, perché questo sommovimento si diriga verso certi sbocchi anziché verso altri.
Chi può ignorare che è oggi in atto una ristrutturazione profonda, e per certi aspetti drammatica, dell'industria e dell'economia nazionale? Ogni volta che ci siamo trovati di fronte - salvo casi rari, in genere i più modesti - ad una crisi di una azienda, a richieste di licenziamento, a difficoltà di un settore (mi riferisco in particolare a quello tessile, ma potremmo citarne tanti altri), abbiamo rilevato al fondo una spinta verso una ristrutturazione che si palesa spesso anche a livello internazionale.
Non parliamo, poi, di quello che sta accadendo nell'agricoltura, nel settore della distribuzione, dei servizi, e così via.
Di qui bisogna partire, io dico. Sarebbe incredibile ingenuità pensare che per fronteggiare questa spinta, per appianare le contraddizioni che essa crea sia sufficiente imbarcare i liberali nella maggioranza in sostituzione dei socialisti; e io proprio non capisco come un collega, fra l'altro simpatico ed intelligente, come il Consigliere Zanone possa davvero pensare che il suo ingresso nella maggioranza sia suscettibile di portare a qualcosa di nuovo in rapporto a questi problemi.
In realtà, noi ci troviamo oggi di fronte ad un dato su cui vorrei richiamare, sia pur brevissimamente, l'attenzione dei colleghi. Non si pu più continuare - e questa è la ragione di fondo per cui la crisi strutturale sta esplodendo con così evidente drammaticità - con un tipo di sviluppo fondato, come in questi ultimi vent'anni, su un saccheggio sistematico delle forze di lavoro nel nostro Paese: saccheggio sotto forma di migrazioni forzose, sotto il profilo dello sfruttamento dei ritmi di lavoro nelle fabbriche, dei bassi salari, che sono stati una delle molle della competitività acquisita dall'industria italiana, e così via.
Né si può andare avanti - e non a caso oggi il problema è scoppiato anche di fronte all'opinione pubblica - in un altro tipo di saccheggio: il saccheggio delle risorse naturali del Paese (gli incendi di queste settimane ci riportano in evidenza tutto questo ordine di problemi, per non parlare degli inquinamenti e di quelle altre questioni che hanno formato oggetto del dibattito ecologico). Non si può proseguire sulla linea del sacrificio costante del mercato interno a vantaggio della componente estera, la cui importanza nello sviluppo di questi vent'anni ha già sottolineato il compagno Nesi. E questo non perché siamo noi ad esigere un mutamento di rotta, ma perché su questa strada non rimangono margini, non c'è più niente da saccheggiare, almeno nella misura ampia in cui si è saccheggiato in questi vent'anni, e la componente estera si sta restringendo e si restringerà sempre di più. Le misure di Nixon non fanno che dare un colpo d'acceleratore in questo senso, ma è scontato che non si può più pensare che lo sviluppo della produzione del nostro Paese debba avere come guida, come elemento pilota sostanziale, uno sviluppo delle esportazioni.
Ecco allora perché noi indichiamo, come primo elemento di un nuovo modello di sviluppo, di una via d'uscita dall'impasse, l'allargamento del mercato interno, sia nella direzione degli investimenti sia nella direzione dei consumi. Nel momento in cui il mercato estero diventa sempre più una incognita e si restringe per le esportazioni italiane indichiamo una soluzione, un punto essenziale di un nuovo modello: lo sviluppo di un nuovo sistema di consumi, che si fondi sui grandi consumi, sulla espansione dei grandi profitti sociali. Sotto questo aspetto credo che il discorso relativo alle riforme non possa essere minimamente offuscato dalle difficoltà attuali, ma che anzi le difficoltà attuali impongano un rilancio della battaglia per le riforme, da parte di tutte le forze democratiche, e impongano una presenza, se permettete, meno inconsistente di quella che si è avuta finora da parte del governo regionale, da parte della Giunta, tra l'altro su linee di riforma economico-sociale e politiche che l'Assemblea regionale di fatto ha già deliberato con il suo Statuto e con le molte prese di posizione unitarie che qui si sono avute in questo primo anno di attività.
Io non credo che il Presidente Calleri si illuda di venir anche meno a questi impegni della Regione: sarebbe un venir meno ai problemi di fondo di fronte ai quali si trova la nostra società. Si tratta, infine, di guidare il processo di ristrutturazione dell'industria, a cui la nostra Regione è particolarmente interessata, non lasciandolo alle forze naturali, come si dice, alle forze spontanee, cioè al profitto e alla speculazione dei privati.
Noi, come rappresentanti di movimenti operai, ci siamo trovati, in questa prima fase di difficoltà, in forte imbarazzo - non abbiamo alcuna esitazione a confessarlo - ogni qual volta si è profilato un attacco ai livelli di occupazione in questa o quella azienda, in questo o quel settore: abbiamo dovuto - soprattutto il movimento sindacale, ma anche il movimento politico della classe operaia - difendere i livelli d'occupazione a tutti i costi, intervenendo caso per caso. La mancanza di una politica di piano, di una politica organica da parte delle forze di governo ha costretto anche noi a rincorrere il caso spicciolo. Ma non dovete credere che questa tattica, che pure, secondo me, in certi stadi della lotta si rivela inevitabile, sia la nostra strategia, che ci interessi difendere la struttura industriale del paese così com'è: siamo convintissimi, e l'abbiamo detto molte volte, che si tratta di cambiare. Ma cambiare che cosa significa? Non certo difesa corporativa del posto di lavoro a qualsiasi costo: ma una strategia alternativa, la creazione di nuovi posti di lavoro prima della messa in discussione di quelli ora esistenti l'adozione dei nuovi processi di industrializzazione che sono imposti dalla crisi dell'attuale struttura industriale. Questo è il punto.
Non mi soffermo, ripeto, ad illustrare questi concetti, perché tante volte ne abbiamo discusso. Aggiungo ancora che cambiare significa anche lotta agli sprechi e al parassitismo, con più coraggiose prese di posizione da parte di tutti, in primo luogo degli organi di potere e degli organi di governo, cominciando dal livello regionale. Se è vero che oggi bisogna andare verso uno sviluppo quantitativo e qualitativo del mercato interno se è vero che oggi l'economia italiana si trova ad una stretta rispetto al mercato internazionale, che è stato finora la sua più robusta valvola bisogna capire che per fare le riforme necessarie, per avviare gli indispensabili processi di ristrutturazione non ci si devono più permettere i lussi che ci si è concessi in questi vent'anni. Perché l'economia italiana, così avara ogni volta che i sindacati avanzano rivendicazioni, è poi larghissima negli sprechi, nelle speculazioni, nei parassitismi. E guardate che questo richiederà anche, probabilmente, l'assunzione di posizioni coraggiose da parte del movimento operaio e del movimento sindacale. Ad esempio, ho letto in questi giorni, come tutti voi, le notizie sugli scioperi di quarantamila dipendenti di aziende la cui produzione è legata alla difesa. Per chi e cosa producono queste aziende? Debbono essere ammodernate per continuare a produrre inutilmente? Certo che se andiamo a mettere in discussione il posto di lavoro di quei dipendenti essi giustamente reagiranno per difendere il pane, per difendere un minimo di sopravvivenza. Ma allora non è necessaria una politica di ristrutturazione reale, che porti questi lavoratori a non dover più difendere delle posizioni puramente corporative, a inquadrarsi in un processo di ristrutturazione ampio e democratico dell'economia italiana? Altro caso: ho letto in una rivista specializzata, e ne sono rimasto vivamente colpito, che lo Stato spende una cifra spropositata - non so se 140 o 160 miliardi, e chiedo scusa per l'insicurezza della citazione, ma la memoria in questo momento non mi aiuta e non vorrei discostarmi di troppo dalla cifra effettiva, che è comunque di un numero incredibile, secondo me di miliardi - per mantenere in piedi, contribuendovi con 7 milioni per ogni dipendente, un servizio di trasporto passeggeri verso l'America, svolto da quattro navi.
Nello stesso articolo si diceva che nessun altro Paese fa qualcosa di simile, neppure Paesi molto più ricchi del nostro.
Sono lussi ammissibili, questi? Non è necessario andare verso reali processi di ristrutturazione che siano guidati da un potere democratico che per essere tale non può non avere l'appoggio delle grandi masse? Io sarei il primo a difendere fino all'ultimo il posto di lavoro di quei marinai il giorno in cui qualcuno volesse gettarli sul lastrico, ma non posso non fare, insieme ai miei colleghi di partito e al movimento sindacale, un discorso costruttivo, perché, pur con garanzia di un posto di lavoro per quella gente, si elimini un così inconcepibile spreco. E quanti altri casi vi sono in cui lo Stato spende migliaia di miliardi, anche senza arrivare ai fenomeni intollerabili che ricordava il collega Nesi, agli scandali dell'esportazione di capitali ? In questo contesto io credo che la Regione abbia davvero un grande spazio per la sua azione. Intanto, su una linea che tenda ad utilizzare tutte le risorse, anche quelle che sono disponibili nell'immediato, per esempio sul mercato finanziario. Si è parlato in questi giorni - altro elemento che ha colpito profondamente l'opinione pubblica - delle migliaia di miliardi di residui passivi: addirittura seimila. Si tratta di cifre incredibili per un'economia come la nostra: somme stanziate e non utilizzate, sembra disponibili.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Sulla carta.



MINUCCI Adalberto

In questo caso, la cosa è tanto più grave, perché confessate di aver governato in un modo inammissibile.
Faccio un esempio. Oggi sul terreno delle strutture scolastiche non è possibile avere un piano di intervento immediato della Regione, e dei Comuni in accordo con la Regione? Stiamo avviandoci all'inizio di un altro anno scolastico più drammatico di quelli passati, sotto il profilo della carenza in fatto di edilizia scolastica, per cui vedremo di nuovo le madri fare la coda non solo di fronte agli asili nido ma anche alle scuole medie e alle scuole elementari per iscrivere i loro figli, vedremo di nuovo stabilire i tripli turni e via dicendo. Non possono essere utilizzati in questo settore i residui passivi? Tanto più che per la massima parte riguardano proprio le strutture edilizie della scuola. Su questo punto credo si tratti di scelta e di battaglia politica. Anche qui, che cosa pensa di fare la Regione? Perché non utilizzare risorse finanziarie già stanziate in bilancio in questo campo, mentre si profila un pericolo di disoccupazione, o comunque per i livelli di occupazione? E perché non avere una funzione di guida in questo senso attraverso un piano? Perché non convocare per una consultazione i Comuni della cintura di Torino, lo stesso Comune di Torino e gli altri Comuni del Piemonte, in cui questo problema è così drammatico, prima dell'inizio dell'anno scolastico, per decidere insieme una linea d'azione, per presentare al Governo una piattaforma di proposte? Queste sono le domande che io pongo. Per tutto il resto sono d'accordo sulle proposte articolate che ha fatto il collega Sanlorenzo e sulla stessa proposta dei compagni socialisti, di una conferenza economica regionale.
Credo che queste siano tutte iniziative oggi necessarie, non dilazionabili ed in merito ad esse prego il Presidente Calleri di rispondere in modo circostanziato e serio, senza tentativi di elusioni. La Regione, poi, ha possibilità di intervento in tanti altri campi, quelli stessi che si sono delineati in questo suo primo anno di esistenza.
Se non ci sarà un intervento attivo, da protagonista, dell'organismo regionale, in questo momento, noi davvero potremo determinare una crisi di sfiducia in questo nuovo istituto ed in genere nelle istituzioni democratiche dello Stato; una crisi forse senza precedenti, perché sappiamo bene che la paura per l'economia che va male, la preoccupazione per l'aumento dei prezzi accresce le possibilità di successo di movimenti di qualunquismo, di spinte negative.
Noi rivendichiamo, pertanto, un intervento immediato, concreto preciso, che abbia però a fondamento una scelta politica chiara da parte del Consiglio Regionale e da parte della stessa Giunta. I problemi, i sommovimenti reali che investono la società italiana oggi offrono lo spunto per muoverci, indicano la strada in cui immetterci. La nostra forza sta proprio in questo: nell'essere dalla parte di questa rivoluzione delle cose, di questi atti che muovono in una certa direzione e che nessuno pu illudersi non dico di bloccare ma neppure di ostacolare.
Ma ci sono anche altri fenomeni, secondo noi, di grande interesse.
Accennavo prima alle posizioni di unità che tendono a determinarsi fra le forze della sinistra di classe, della sinistra operaia. E vorrei sottolineare pure il fatto che anche nel dibattito di questi giorni, di queste settimane, sulla crisi del dollaro, posizioni interessanti, che io non rilevo come divergenze, ma se mai come possibilità nuove di unità a sinistra, si sono determinate nella stessa maggioranza governativa all'interno della stessa Democrazia Cristiana. Chi ha letto, per esempio gli interventi della maggioranza, in questo caso dei Deputati democristiani alla Commissione bilancio, nella riunione intercommissione in Parlamento su questo tema, noterà che per fortuna si rileva l'esistenza delle condizioni per un dialogo, per una convergenza, per una possibilità di andare uniti verso certe soluzioni, di individuare una strada su cui le forze democratiche del nostro Paese possono marciare.
Ecco, se c'è una cosa, secondo me, che occorre ribadire, individuare come essenziale in questo momento, è che di fronte ad una mossa così drammatica, così pressante come quella che ha fatto il Governo americano, e di fronte ai problemi che essa evidenzia ancora di più nel nostro Paese occorre marciare con più coraggio, con più fantasia verso la formazione di un grande schieramento democratico di sinistra, capace di portare avanti il discorso della Costituzione repubblicana, capace di garantire l'indipendenza nazionale e di portare avanti il processo di trasformazione democratica del nostro Paese.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, da una obiettiva analisi degli interventi svolti in questa giornata di dibattito dobbiamo dedurre che esistono anche, con l'opposizione di sinistra, dei punti di convergenza, ma che soprattutto esistono molti motivi di sostanziale divergenza. Divergenza sulle valutazioni della posizione americana e di tutte le implicazioni che sul piano economico da un lato, sul piano della politica estera dall'altro sono state fatte rispettivamente dal collega Nesi e dai colleghi Minucci e Sanlorenzo. Divergenza che riguarda anche la precisa posizione che, come partiti collegati e facenti parte della maggioranza di Governo, noi riteniamo di dover assumere anche in questa sede, non già per un complesso di inferiorità nei confronti dell'America ma perché noi crediamo che ogni obiettiva e valida soluzione sia possibile, sul piano delle scelte politiche, nella misura in cui la valutazione, le analisi sono condotte con criteri rigorosamente obiettivi.
I punti di vista su cui possiamo trovarci d'accordo sono due. Il primo riguarda il concetto che questa decisione americana segna la fine di un'era e l'inizio di un'era nuova che per la verità si era già venuta delineando nel corso di questi ultimi tre anni, relativamente alla inopportunità che la liquidità internazionale sia finanziata con una moneta nazionale, come dopo il 1969 è stato esclusivamente per il dollaro e prima del 1969 anche per la sterlina. La seconda valutazione convergente è quella relativa alla inadempienza rispetto agli accordi del GATT, costituita dalla deliberazione del Governo americano di gravare le importazioni di una tassa del 10 per cento.
La posizione assunta dal Governo italiano, in particolare dal ministro Ferrari Aggradi, di contestazione esplicita e specifica, con richiesta della rimozione di questa barriera doganale nel quadro degli accordi internazionali tra i Paesi dell'OCSE, mi pare stia a dimostrare come, sul piano dell'obiettività, il Governo italiano e la maggioranza governativa si siano mossi facendo riferimento a precisi accordi internazionali, e quindi deprecando che il Governo degli Stati Uniti d'America abbia voluto porre anche questo deterrente per ricondurre il problema della rivalutazione delle monete delle Nazioni del Mercato Comune Europeo a quei tassi di parità che sono più rispondenti al mercato internazionale.
Ma, ciò detto, occorre subito aggiungere che le valutazioni che sono state fatte in ordine a ragioni imperialistiche che avrebbero suggerito agli Stati Uniti d'America di assumere queste decisioni, ed in ordine soprattutto alla valutazione di queste decisioni come conseguenti all'esigenza di sovvenzionare il deficit che ormai dal '60 si sta rivelando nella bilancia dei pagamenti americana dai Paesi alleati, e quindi sostanzialmente di riservare su questi Paesi alleati delle condizioni di difficoltà interne, non risponde assolutamente a verità. In effetti, questo grave provvedimento, della non convertibilità del dollaro in oro sul mercato internazionale - deliberazione che, peraltro, vorrei ricordare riguarda già i dollari nell'interno degli Stati Uniti d'America - si è arrivati al momento in cui, per la prima volta dopo il 1893, si è rivelato il deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti d'America.
Vorrei far rilevare come, mentre le esportazioni americane di manufatti sono aumentate del 77 per cento fra il 64 e il '70, le importazioni degli stessi beni si sono accresciute del 184 per cento, mettendo evidentemente in una condizione di grande difficoltà l'economia americana non per quanto riguarda la produzione bellica o il finanziamento delle passeggiate sulla Luna ma per quanto riguarda l'acquisto e l'esportazione di beni di consumo e di investimento per la produzione del mercato americano e per la sua esportazione. E' evidente che non è stata la preoccupazione relativa al deficit della bilancia dei pagamenti americana a creare il panico sulla tenuta del dollaro: gli ultimi avvenimenti, e gli ultimi scossoni che si sono verificati sul mercato delle valute, soprattutto con un assalto, nel corso degli ultimi mesi, al marco, al franco svizzero, al fiorino olandese sono stati determinati dalle notizie emerse dalla valutazione di questa condizione di deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti. Vorrei porre l'accento nuovamente sul fatto che questo deficit si è rivelato per la prima volta dal 1893.
A questo punto si è avuta la evidenziazione più palese della distorsione delle parità monetarie, soprattutto tra le monete di alcuni Stati Europei e del Giappone e il dollaro, che non conferivano certo agli Stati Uniti d'America una posizione di preminenza ma addirittura consentivano in particolare alla Germania ed al Giappone di godere di privilegi essi stessi per quanto riguarda i prezzi delle merci sul mercato americano, e quindi di essere posti in condizioni di concorrenza, aiutata non soltanto dalla competitività normale che può esserci fra economie sviluppate ma anche da un occulto premio all'esportazione determinato da questa discrasia, da questa distorsione dei cambi.
Che gli Stati Uniti d'America dovessero prendere una decisione, e l'avessero già più volte, sia pure non ancora spinti dal deficit della bilancia commerciale, sollecitata dai Paesi europei ed in particolare dalla Germania e dal Giappone, è cosa nota. Vi sono state, com'è noto, anche numerose riunioni e discussioni per cercar di ricondurre la parità monetaria a livelli più rispondenti alle obiettive condizioni delle transazioni del mercato. A questo si aggiunga un altro fenomeno, che qui oggi, se veramente si fosse voluto fare una discussione assolutamente scevra di intenti di strumentalizzazione, si sarebbe pure dovuto sottolineare: le proporzioni ingenti assunte dal mercato degli eurodollari un mercato che, ideato per finanziare la liquidità degli scambi internazionali, determinando in una prima fase conseguenze del tutto positive (basterà ricordare quanto grande sia stata l'espansione degli scambi internazionali che questo sistema ha consentito), è poi sfuggito al controllo di qualsiasi autorità monetaria, sia della Banca centrale americana come delle Banche centrali dei Paesi che fanno parte del Fondo monetario. La massa degli eurodollari, però, nel momento in cui non viene utilizzata, e cioè entra di fatto nella tesoreria delle grandi imprese esportatrici o importatrici, che comunque la utilizzano, viene depositata nel sistema bancario europeo e si muove al di fuori di ogni controllo monetario e quindi, non soltanto è nella condizione di esercitare un effetto moltiplicatore - i quaranta miliardi di dollari che esistono nelle tesorerie dei privati e i ventitre miliardi di dollari che esistono nelle Banche centrali, per un totale appunto di oltre sessanta milioni di dollari, esercitano in effetti una funzione moltiplicatrice e quindi provocano sostanzialmente delle spinte inflazionistiche - ma di causare al Governo americano particolari difficoltà, come è dimostrato dalla crisi dell'economia americana, sottraendo allo strumento monetario la capacità di esercitare una sua funzione di controllo anticongiunturale, sia nel momento in cui si vuol fare una politica di contenimento dell'inflazione, cioè di restrizione creditizia, sia nel momento in cui si vuol operare in modo espansivo. Com'è dimostrato dai due momenti che si sono presentati nell'economia americana.
L'economia americana ha avuto anzitutto una fase restrittiva in cui attraverso l'aumento del saggio di sconto il Governo americano ha ritenuto di poter contenere le spinte inflazionistiche che si erano manifestate nel corso soprattutto del '68 e del '69 con il risultato che le banche americane, non potendo ottenere dalla Banca centrale americana i capitali per finanziare l'economia, hanno fatto operare le loro filiali estere sul mercato dell'eurodollaro e si sono approvvigionate di quindici miliardi di dollari che hanno riversato ovviamente sul mercato americano, praticamente annullando qualunque risultato e qualunque effetto delle misure anticongiunturali restrittive del credito.
Il Governo americano ha dovuto quindi constatare come, di fatto nonostante le restrizioni creditizie, questi quindici miliardi di dollari importati in America e pagati dall'economia americana ad un tasso di interesse che è stato grosso modo del 13 per cento, costassero all'economia americana una notevole cifra e di fatto servissero per le imprese meglio in grado di autofinanziarsi, e cioè a promuovere lo sviluppo delle imprese a tecnologia più avanzata, quindi assorbenti mano d'opera in minor misura, e non andassero invece, alle imprese non in grado di pagare un tasso di interesse di questa ampiezza, e conseguentemente non risolvessero il problema dell'occupazione, ma anzi, pur incrementando il valore dei capitali investiti, riducessero l'occupazione (e i dati disponibili dimostrano come da alcuni anni a questa parte la disoccupazione in America sia andata crescendo, nonostante i massicci investimenti degli anni delle restrizioni creditizie, finanziati appunto dall'eurodollaro), tanto che si è arrivati, all'inizio del 1970, ad una dichiarazione di bancarotta da parte di una delle più grandi imprese di trasporti americana.
Già quando si era reso evidente questo incontrollato ingresso negli Stati Uniti di eurodollari, i governanti statunitensi avevano chiesto una regolamentazione di carattere diverso, e sono di quel periodo le famose riunioni per veder di finanziare la liquidità internazionale con i diritti speciali di prelievo.
All'inizio del 1970, il Governo degli Stati Uniti decise di abolire le restrizioni creditizie, che si erano dimostrate, appunto per la massiccia immissione di questi quindici miliardi di eurodollari, del tutto inefficaci, ed avevano anzi creato disoccupazione, per dare l'avvio ad una politica espansiva del credito che sostenesse lo sviluppo e sostenesse comunque il grado di occupazione. Purtroppo, come è stato rilevato da tutti gli esperti monetari, non sempre e non immediatamente, certo, soprattutto in una economia così diversificata, e che appoggia l'espansione della liquidità internazionale, gli impulsi determinati da una scelta di carattere monetario si traducono in fatti espansivi. E di fatto, nonostante questo ampliamento, questa dilatazione dei cordoni del credito, la disoccupazione americana è andata via via crescendo, proprio anche perch nel frattempo, incentivati, direi, da questo premio occulto all'esportazione, sia la Germania che il Giappone avevano notevolmente incrementato le loro esportazioni negli Stati Uniti, aggravando le condizioni della bilancia dei pagamenti e successivamente della bilancia commerciale. Per cui si avevano tutti gli effetti negativi di una politica espansiva non fatta nel momento opportuno e comunque messa in crisi dal mercato dell'eurodollaro incontrollato e si avevano tutti gli effetti negativi di una intensificazione degli investimenti tecnologicamente più avanzati, che di per sé espelleva della mano d'opera dal mercato del lavoro, con contrazione conseguente della domanda e con contrazione evidentemente della possibilità dell'offerta di beni e servizi all'interno del mercato americano causata appunto dalle importazioni in particolare dal mercato giapponese e da quello tedesco.
Un'analisi intesa veramente a portare ad una diversa regolamentazione della liquidità degli scambi e del commercio internazionale, secondo la volontà politica comune emersa all'interno del nostro Consiglio Regionale non può, a mio avviso, non tener conto di questi fatti, che sono fatti di particolare gravità per l'economia americana, dai quali emerge che la crisi del dollaro non deriva tanto dall'essere servito il dollaro a finanziare il deficit della bilancia dei pagamenti, quanto dall'essere questo stato posto in condizioni di difficoltà, e quindi di perdita di fiducia, dallo squilibrio della bilancia commerciale rivelatosi nel primo semestre di quest'anno. E' abbastanza evidente che la fiducia in una moneta è un fatto determinato dalla forza dell'economia di un Paese: fino a che gli Stati Uniti sono stati comunque in grado di avere una bilancia commerciale largamente attiva questa fiducia è rimasta, indipendentemente dal fatto che avessero una bilancia dei pagamenti passiva; ma nel momento in cui anche la bilancia commerciale è diventata passiva questa fiducia ha cominciato a declinare, per ovvie ragioni, e conseguentemente si è determinata una spinta, un flusso di dollari per una richiesta di convertibilità in altre monete più forti, e si è creata la preoccupazione obiettiva del Governo degli Stati Uniti che se, ad esempio, fosse stata richiesta la conversione in oro anche soltanto di un sesto - cioè dieci miliardi di dollari - del totale in dollari detenuto dai Paesi europei, tutta la riserva in oro americana sarebbe stata in sostanza consegnata agli altri Paesi, in contropartita di un sesto dei dollari esistenti sul mercato dell'eurodollaro, quindi a prescindere da quelli che ci sono sul mercato del Giappone.
A questo punto, è difficile dire che gli Stati Uniti d'America rispetto alla loro moneta, hanno preso una deliberazione di carattere unilaterale. Vorrei ricordare che deliberazioni di questo genere sono state prese da altri Paesi europei, al di fuori di consultazioni, per la svalutazione della sterlina, per la svalutazione del franco, e per la rivalutazione del marco, l'anno scorso. Cioè, è sempre stato riconosciuto che quando una situazione congiunturale non poteva più essere controllata perché le spinte inflazionistiche o deflazionistiche erano determinate da una condizione di disparità monetaria, ogni Paese doveva avere il potere sovrano di decidere il riallineamento della propria moneta su posizioni che gli permettessero di non lasciar ulteriormente compromettere il proprio sviluppo interno. Ed una siffatta decisione, per quanto deprecata come unilaterale, non è mai stata giudicata una prova di sacro egoismo, ma una esigenza, i cui effetti in un quadro più generale potevano essere riassorbiti in termini sufficientemente brevi senza creare difficoltà di disoccupazione nell'interno del Paese posto in questa condizione, e senza creare difficoltà allo sviluppo della sua economia.



MINUCCI Adalberto

C'è però una differenza fondamentale fra la moneta di riserva e le altre monete.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Caro Minucci, tu ti sei assentato e non hai potuto seguire il filo logico delle mie argomentazioni. Siamo perfettamente d'accordo che c'è una differenza fondamentale. E desidero anzi dire, per concludere questa parte del mio intervento, che proprio quei privilegi che indubbiamente il dollaro ha avuto per il fatto di essere moneta di riserva sono stati abbondantemente annullati da tutta quella situazione di mercato dell'eurodollaro per cui dollari vaganti emessi per finanziare la liquidità internazionale si sono riversati successivamente, al di fuori di ogni controllo, sul mercato americano, impedendo al Governo americano di trarre frutto dalla manovra monetaria in funzione anticongiunturale, com'è stato dimostrato nel corso di questi ultimi tre anni.
Ecco perché tutte le ampie illazioni che sono state qui fatte in ordine all'imperialismo americano, all'utilizzo di questa manovra monetaria come modo di far pagare agli altri Paesi il deficit americano, sono, alla luce della situazione americana - in cui, lo dico ancora, si è rivelato, per la prima volta dopo il 1893, un deficit nella bilancia commerciale, in cui esiste una quota di disoccupazione, nonostante gli interventi di carattere prima restrittivo e poi espansivo del credito, di cinque milioni e seicento o settecentomila unità - veramente una valutazione del tutto sproporzionata alla realtà delle cose, come del tutto sproporzionate sono pertanto le conseguenze che con tanto calore, con tanta abilità dialettica, sono state illustrate qui in vari interventi da parte dei Consiglieri della sinistra in particolare dal Consigliere Minucci.
Dopo questo primo quadro, sulla cui obiettività non avrei alcun timore ad intavolare una discussione, anche perché parametri economici credo siano universalmente riconosciuti validi, al di là dell'appartenenza ai diversi Gruppi, dobbiamo passare ora ad un altro tipo di esame.
Al tipo, intanto, di convergenza che abbiamo sul fatto che il nostro Governo si sta muovendo al fine di studiare, insieme agli altri Paesi del Fondo monetario internazionale (sono 111 Paesi, tra industrializzati e non industrializzati) la possibilità di avere una moneta indipendente sia dalla base aurea sia dalle alterne vicende delle congiunture economiche dei diversi Paesi, quindi una moneta che, libera da queste compromissioni, sia in grado di garantire una effettiva parità monetaria e al tempo stesso controllata - su questo siamo perfettamente d'accordo - paritariamente da tutti i Paesi che aderiscono al Fondo monetario internazionale. Le valutazioni che noi oggi abbiamo fatto seguono peraltro la riunione del Fondo monetario internazionale di Rio de Janeiro, ove l'allora ministro Colombo, che era anche il governatore, per quell'anno, del Fondo monetario aveva già proposto questi obiettivi, da perseguire con l'evidente gradualità con cui essi sono perseguibili; quindi noi non facciamo che ribadire una posizione che il Governo e le autorità monetarie italiane avevano già da tempo assunto a livello internazionale ed a livello di Fondo monetario internazionale.
L'altro problema di fronte al quale ci troviamo è quello delle conseguenze sull'economia italiana di queste decisioni del Governo americano. Non v'è dubbio, anche le autorità di Governo lo confermano, che ad una prima fase emotiva che vi è stata nell'ambito dei Paesi europei è già succeduta una fase riflessiva e di più attenta meditazione. Nessuno si nasconde la complessità del problema, ma occorre pur dire che esso non ha assunto, anche per l'ormai abituale capacità di cooperazione fra le Banche centrali dei diversi Paesi, quegli aspetti di drammaticità che obiettivamente avrebbe potuto assumere ove questa capacità e facoltà di collaborazione non fosse già ormai da tempo consolidata e ove soprattutto l'annuncio del 15 agosto non fosse succeduto ad una riunione del mese precedente in cui si ponevano le basi dell'unione monetaria europea.
Questa fase riflessiva deve essere anche attentamente valutata da ciascuno di noi, se vogliamo dare una risposta responsabile, e non una risposta strumentalizzata, anche al di là, direi, della volontà dei singoli, per dovere di linea politica o di partito. E allora dobbiamo dire con estrema franchezza che rispetto alle nostre possibilità di esportazione non si può certamente dichiarare che siano presenti già oggi sintomi di recessione in talune aziende determinate da queste decisioni americane.
Sarebbe veramente del tutto ridicolo pensare ad una cosa di questo genere e sarebbe un voler distorcere totalmente la realtà dei fatti.
Per quanto riguarda l'economia generale del nostro Paese, al di là di una valutazione settoriale, non c'è dubbio che sotto questo profilo le esportazioni, se sono rese più difficili negli Stati Uniti d'America vedremo poi in qual misura -, sono viceversa facilitate nell'ambito del Mercato Comune Europeo, essendo la rivalutazione della moneta italiana così come emerge dalla contrattazione fluttuante del mercato, una rivalutazione assai inferiore alla rivalutazione delle altre monete europee, e quindi ponendoci essa indubbiamente in condizioni di competitività agevolata rispetto alle altre monete europee. Il pericolo che può venire all'economia italiana da un dirottamento degli sforzi dell'esportazione giapponese sul mercato europeo appare anche sensibilmente ridotto, se non annullato, dalla rivalutazione che nel corso di queste settimane sta subendo lo yen giapponese e che approderà, grosso modo, a circa il 9 per cento. Quindi, vi è sempre ancora un margine grosso modo del 5 per cento fra la nostra rivalutazione e la rivalutazione delle altre monete concorrenti sui mercati internazionali. Per cui, sotto questo profilo è bene che tendiamo a sdrammatizzare la situazione, per accentrare la nostra valutazione sui settori che possono essere in particolare più colpiti.
Sono rimasto stupito nell'udire il dott. Nesi parlare di un effetto sull'aumento dei costi sul mercato americano dei nostri prodotti del 20 per cento quale conseguenza dell'aumento del 10 per cento della tariffa doganale negli Stati Uniti. Credo che questa affermazione possa avere validità per il settore, ad esempio, delle macchine da scrivere, ma onestà e conoscenza dei problemi in questo settore - e il dott. Nesi ben li conosce per esperienza diretta e personale - vuole si precisi che l'integrazione commerciale fra la Olivetti e la Underwood fa sì che ciò che si perde nella esportazione si riacquisti nell'importazione, secondo una valutazione che proprio a livello di Ministero dell'industria è stata data dalla Olivetti stessa, come non avrei difficoltà a documentare.



NESI Nerio

Sono due i fattori: la tassa di importazione e la rivalutazione. Si deve osservare la somma dei due fattori e l'effetto moltiplicativo che ne risulta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma c'è nei due sensi: nell'esportazione e anche nell'importazione.
Siccome sono compensative, l'effetto risultante è equilibrato e controbilanciato.
Credo sia anche dovere di un'assemblea politica che esamina problemi di questo genere - e raccolgo anche gli inviti che sono stati fatti a non drammatizzare in certe situazioni ma non a drammatizzare nemmeno in altre guardare con estremo senso di realismo alla situazione quale si viene delineando. Sappiamo tutti, per esempio, che nel settore dell'automobile (quello che più direttamente riguarda l'economia piemontese) praticamente questo 10 per cento si riduce ad un 3 per cento, per effetto di quel 7 per cento, di cui godono anche le macchine americane, di incentivazione alla espansione della motorizzazione. E sappiamo anche che è scontato dalle stesse aziende produttrici americane che nel 1972-'73 le importazioni di automobili passino dall'ordine di 500-600 mila autoveicoli a 2 milioni di autoveicoli, in base ad esigenze che si stanno manifestando sul mercato degli Stati Uniti d'America e che le Case americane non sono in grado di soddisfare; sono le stesse aziende americane a volere che non sia decelerato il ritmo di queste importazioni, perché ciò creerebbe ad esse stesse grosse difficoltà. Per quanto riguarda, poi, in particolare, una fascia abbastanza considerevole di autovetture che noi esportiamo - mi riferisco a Maserati, Lamborghini, Ferrari -, dato il carattere particolare della clientela cui la loro produzione è indirizzata, non ritengo possano esservi forti contraccolpi per un aumento di un 10 per cento.
Ho ritenuto di dover dire queste cose perché la questione della situazione economica del Piemonte - in cui in effetti si rilevano molti casi, alcuni citati in precedenti interventi, altri che potrei elencare io di industrie in grave difficoltà per assicurare il lavoro o comunque per rimanere sul mercato a prezzi competitivi - dev'essere indubbiamente affrontata, ma con una valutazione realistica, cui non sfugga alcuna delle componenti che possono aver determinato i fenomeni di crisi, e con una ricerca precisa non tanto di responsabilità, perché sulle cose fatte non è il caso di andare alla ricerca di responsabilità, ma di rimedi, perch soltanto da una seria diagnosi si possono dedurre serie terapie; terapie che, per quanto ci riguarda, sono nell'ambito di un certo tipo di politica economica, che ovviamente crediamo sia quella meglio in grado di garantire una migliore e più ampia occupazione e una più rapida e più equa ripartizione della ricchezza.
Naturalmente, queste valutazioni debbono essere fatte con estrema schiettezza. Non v'è dubbio che, nello stesso sviluppo delle economie e nel progresso delle economie, tutte le tensioni ed anche le richieste sindacali esercitano una loro funzione di propulsione e di stimolo. Ma non v'è dubbio anche - e credo che la stessa analisi più accorta fatta da parte marxista ne vorrà convenire - che tutto questo si traduce in termini generali in un progresso economico nella misura in cui resti limitata alla capacità di assorbimento di un sistema, ma si sconta anche con la fuoruscita dal mercato di aziende marginali. Anche nella più recente tematica degli economisti di parte marxista - senza andare a cercare Ota Sik, in Cecoslovacchia, potremmo anche soltanto rifarci a Liberman, in Russia - è riconosciuta l'opportunità di lasciare che le aziende che non possono tenere produttivamente il mercato vengano eliminate.



MINUCCI Adalberto

Una legge dello Stato, però, impedisce che rimangano dei disoccupati.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Posso rispondere anche a questo proposito. Siamo tutti perfettamente d'accordo che nessuno deve rimanere disoccupato, o per lo meno senza adeguata retribuzione. E' ormai concezione assai diffusa fra gli economisti ed i cultori della scienza economica del mondo occidentale - non solo quelli di idee più progressiste - che si devono creare strumenti atti ad evitare, in un periodo di recessione, che si può manifestare per l'espulsione di aziende marginali, che il livello della domanda cada, anche attraverso l'erogazione, in attesa di nuova occupazione, di sussidi di disoccupazione che siano pari allo stipendio che il lavoratore temporaneamente lasciato fuori dall'industria per questa fase di ristrutturazione del sistema non può più ricevere direttamente. Questo mi pare il modo, in definitiva, più pronto e più rapido per consentire una rapida ristrutturazione ed un rapido ammodernamento e progresso del sistema industriale. Credo sia pressoché impossibile, se non nell'ambito di una economia interamente pianificata, porre come alternativa a questo un sistema in cui si debbano creare altre industrie prima di espellere dal mercato quelle che si trovano in difficoltà. Non mi sembra, per la verità che questo capiti nemmeno dove c'è una economia interamente pianificata come può essere l'economia della Russia Sovietica, perché questo va al di là delle possibilità divinatorie anche attraverso i computer dei programmatori del "Gosplan", sia esso accentrato o periferico.
Sono valutazioni, queste, che debbono pure essere fatte, se si vuol essere obiettivi, per rimanere nell'ambito di una economia che è poi l'economia che la nostra Costituzione, come sistema economico, ha dettato per venire incontro a quelle esigenze di progresso e di espansione dell'economia che vanno certamente sostenute in una fase recessiva anche con grossi interventi intesi a mantenere elevato il livello della domanda e quindi a non creare ulteriori fenomeni di recessione, che, come si sa hanno effetti moltiplicativi. Ma bisogna pur dire che in questo senso almeno in una certa misura se non ancora in modo adeguato o completo, si opera nel nostro Paese, attraverso la 1115; e, com'è noto, vi è anche, da parte del Ministero alle Partecipazioni statali, una proposta - che si allinea ad una visione che nel mondo occidentale va prendendo consistenza dopo una teorizzazione portata avanti da Galbraith alcuni anni fa diretta a garantire, nella fase in cui un lavoratore debba rimanere temporaneamente disoccupato, la piena corresponsione del salario e di quanto egli percepiva durante la fase di occupazione e a garantirgli quindi la possibilità di collocare la sua domanda sul mercato.
Queste misure, che mi pare il Governo italiano abbia con chiarezza indicato, presuppongono ovviamente anche la possibilità del finanziamento e quindi debbono anche essere esaminate in rapporto alla realtà economica del momento. E sotto questo profilo una nostra valutazione non deve trascurare come di fatto le lotte sindacali abbiano proposto a tutte le aziende un grosso problema di riduzione dei margini di autofinanziamento.
Questo è un dato obiettivo, che può essere valutato positivamente o negativamente a seconda del credo economico che si professa, delle concezioni economiche alle quali ciascuno è legato, ma credo sia un dato obiettivo sul quale tutti ci possiamo soffermare e possiamo meditatamente fare le nostre valutazioni. Non solo, ma al di là di questo fatto, per cui l'Italia è ultima fra le Nazioni industrializzate quanto a capacità di autofinanziamento delle imprese, vorrei sottolineare la contraddittorietà di certe posizioni. Si dice che è la reazione dei grossi gruppi industriali a determinare questa fase di difficoltà, che tutto è dominato dal monopolio; mentre la realtà si incarica di dimostrare come, di fatto, le aziende che sono in crisi e che con maggior difficoltà affrontano questa fase congiunturale sono le piccole e medie aziende. Questa tendenza all'aumento dei prezzi, queste difficoltà nell'occupazione - ci si deve allora domandare seriamente - sono davvero determinate dallo strapotere, o dalla prepotenza, dei grossi gruppi industriali, o non vi è in tali fenomeni una grossa componente di natura psicologica, come sottolineava il collega Bianchi, economica, come ho tentato di dire io, per quanto riguarda i margini di autofinanziamento, e soprattutto.



MINUCCI Adalberto

Sono i grandi gruppi monopolistici che determinano una condizione marginale per le piccole aziende.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta regionale Regionale

Non vedo per quali ragioni questo debba capitare.



MINUCCI Adalberto

E' una legge economica.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non capisco proprio perché.
L'economia nazionale è in larga misura sorretta, in Italia, sia per quanto riguarda i livelli di occupazione, sia per quanto riguarda la distribuzione territoriale, sia per quanto riguarda il giro d'affari, dal tessuto delle medie e piccole imprese, e se c'è una espulsione di queste piccole imprese dai mercati, se c'è una loro difficoltà di autofinanziamento, se sono queste che più hanno sofferto per l'aumento dei costi di produzione, non è perché siano sotto il dominio delle grandi imprese, ma perché hanno una capacità reattiva del tutto diversa da quella delle grandi imprese, che per quanto riguarda i loro prodotti sono in condizioni di poter imporre i prezzi sul mercato mentre le piccole risentono i contraccolpi degli sbalzi che su questo si verificano.



MINUCCI Adalberto

Se le piccole sono in condizioni di inferiorità è perché le grandi sono in condizioni di superiorità.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

I suoi sono bei sofismi, ma l'economia non si fa né con i sofismi n con le astrattezze. Il fatto è che la grande impresa è capace di dare una sua risposta, e può, al limite, anche giocare a dare una risposta di carattere inflazionistico per tutte le ragioni che sappiamo, per quanto riguarda i propri ammortamenti eccetera. Problema, questo, che non risolve nello stesso identico modo la piccola e media impresa, che ha molto meno anzi forse nessun interesse a dare una risposta di questo genere. Quindi non possiamo dire: la situazione di crisi è determinata dalla reazione del padronato.
Allora, dobbiamo anche chiederci se queste ragioni di carattere psicologico (lascio da parte quelle di carattere economico, perché ritengo che la più importante sia la componente psicologica), se tutta la polemica al di là delle richieste salariali e normative - che è stata condotta da anni a questa parte a livello di sindacati certo, ma a livello di contestazione, a livello dei partiti politici della sinistra italiana contro il padrone, contro il profitto, senza volersi render conto come il profitto, in realtà, non sia in larga misura che una quota di autofinanziamento dell'azienda - non abbia prodotto, per usare un termine di cui si abusa ma comunque sempre molto espressivo, quella disaffezione che si avverte in larga misura negli operatori economici, i quali non si sentono più sicuri di poter fare un programma di investimenti, e, anche in una situazione in cui l'accesso al credito sarebbe largamente facilitato com'è la presente situazione italiana, non presentano alle banche richieste di finanziamento per i loro investimenti.
Sono convinto che alcuni stimoli di carattere economico potranno essere estremamente utili per ridare uno spazio di autofinanziamento all'impresa come quello degli interventi nel pagamento degli oneri fiscali (la fiscalizzazione degli oneri sociali) come quello del credito agevolato anche se sappiamo tutti quante distorsioni esso comporti, come quello di un più sollecito rimborso dell'Ige alle aziende esportatrici. Ma non va mai dimenticato, io credo, - e mi pare che su questa convinzione, anche se da opposte sponde, ci possiamo trovare d'accordo - che la componente psicologica ha una sua grossa funzione, e il quadro politico di riferimento esercita una sua precisa funzione nel senso dell'incoraggiare o scoraggiare gli investimenti, soprattutto quelli che vengono effettuati dai piccoli operatori economici, che non hanno il potere di pressione che hanno i grandi gruppi, ma che pure esercitano nella realtà economica del Paese una importante funzione.
Sono cose, queste, che vanno dette, perché in definitiva noi riteniamo che una classe politica dirigente, una classe di governo debba dare delle risposte per quanto possibile razionali, motivate e realistiche alla situazione e non semplicemente risposte sotto forma di discorsi di carattere generico o di discorsi fantascientifici. Ricordo che l'opposizione al Governo di Primo De Ribera, in Spagna, intorno al 1927 aveva coniato uno slogan molto divertente, visto che Primo De Ribera sembrava avere come unica preoccupazione, nella sua attività di governo quella di asfaltare le strade spagnole: "Gubernar non es asfaltar". Io credo che noi dobbiamo anche dire "gubernar non es hablar", non è solo parlare, è anche cercar di agire.



MINUCCI Adalberto

E' uno slogan che andrebbe benissimo anche per il Governo della D.C.
Avete asfaltato tante di quelle strade.!



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Il fatto di provvedere anche ad asfaltare le strade non vuol dire non saper governare.
Ecco perché credo che una valutazione seria e realistica, fatta senza alcun complesso di inferiorità nei confronti del Governo americano riferita alla situazione economica regionale, debba avere come sue componenti queste valutazioni.
Vogliamo con questo dire che non abbiamo motivi di preoccupazione? Certamente no, saremmo veramente al di fuori della realtà se non giudicassimo preoccupanti certi fenomeni. E' evidente che questi elementi di preoccupazione ci inducono certamente non soltanto ad accogliere, a far nostre, ma anche a cercare di estendere per quanto sia possibile alle forze economiche e produttive, proprio per una chiarificazione di fondo anche sulla esigenza della ripresa nel nostro Paese, quelle proposte per conferenze, per conversazioni, non di carattere conoscitivo, evidentemente ma intese ad escogitare un intervento in grado sia di promuovere, per quel che il peso della Regione può valere, provvedimenti a livello governativo di carattere economico capaci di suscitare una ripresa dello sviluppo soprattutto in quei settori che si trovano in maggiori difficoltà ma comunque in tutto il vasto tessuto delle medie e piccole aziende. Ma ci impegnano anche ad un discorso che riguarda evidentemente la creazione di nuovi posti di lavoro, ad un confronto di idee in ordine a questi problemi proprio per predeterminare quanto meno delle situazioni alternative attraverso contatti con tutti gli Enti locali, ovviamente con i sindacati le Camere di Commercio, l'Unione industriale, con tutti quegli Enti insomma, che possono essere in condizioni di ricevere lo stimola e la spinta, con richiesta di far pervenire lo loro valutazioni all'Ente Regione.
Quello, però, che noi non possiamo accettare, che la Giunta non accetta e questa è, collega Minucci, la ragione per cui la Giunta non ha ritenuto di introdurre questo argomento, atteso che era stata richiesta la convocazione per discutere del problema del dollaro - è la diagnosi per cui la situazione di difficoltà in cui si trovano certe industrie nella nostra regione sia determinata dalle conseguenze delle decisioni assunte dal Presidente degli Stati Uniti d'America il 15 agosto.



RASCHIO Luciano

Sono state come pioggia sul bagnato.



MINUCCI Adalberto

Sono venute ad aggravare la situazione.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Noi ci auguriamo che non sia così, ci auguriamo anzi, come ho detto prima, proprio per il vantaggio che ce ne deriva sulle altre monete del Mercato Comune Europeo, di poter essere avvantaggiati nella esportazione.
Desidero ancora dire che dobbiamo anche guardarci dal dare valutazioni per astrazione. Come si fa a dire che noi abbiamo dato eccessivo peso alla componente estera della nostra economia, quando è noto a tutti che abbiamo una bilancia commerciale in forte passivo, che dobbiamo esportare praticamente prodotti trasformati per poter importare tutte le materie prime necessarie a soddisfare la domanda interna?



MINUCCI Adalberto

Siamo costretti ad importare anche i prodotti agricoli, e persino la carne...



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma ne esportiamo anche abbondantemente, per la verità.



VIGLIONE Aldo

Sempre meno.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

No, sempre di più; lo provano i dati. In questo momento non sarei in grado di citarli esattamente, comunque so per certo che l'export dell'agricoltura è in aumento, non in diminuzione...



VIGLIONE Aldo

Ma sempre meno rispetto all'importazione.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Certo, perché per soddisfare le esigenze dei consumi interni, che sono in aumento, è necessario.
... e quando è arcinoto che il pareggio della nostra bilancia dei pagamenti evidentemente si ottiene con le rimesse degli emigrati, con i noli e con il turismo, per cui queste sono componenti essenziali del nostro sviluppo economico.



BONO Sereno

Lei dunque giudica positivamente anche l'esportazione di mano d'opera...



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Io penso che quando all'interno di un Paese non si riesce...



BESATE Piero

Vorrei che lo dicesse agli emigrati.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Noi siamo i primi ad augurarci che questa necessità vada via via diminuendo, come già si constata, fino ad annullarsi il giorno in cui si saranno create condizioni che consentano ai nostri emigrati di trovar lavoro in patria.
Osservo comunque che il fatto che vi siano italiani che si recano a lavorare in Germania o in Svizzera non comporta, come ampiezza di spostamenti, più di quanto in altre economie proprie. Quando Kruscev ha voluto sviluppare l'agricoltura ha pensato alla Siberia, assai più lontana da buona parte delle zone russe di quanto non siano la Germania o la Svizzera rispetto all'Italia. Di questo non gli diamo torto, perché si è trovato di fronte ad un problema reale, che doveva obiettivamente e realisticamente risolvere; non è certo colpa dell'economia pianificata se capita questo. Noi consideriamo fenomeni come questo, la necessità di esportare mano d'opera, una fase della trasformazione dello sviluppo economico, fase triste come tante altre, un passaggio che dobbiamo cercare di rendere meno difficile e più breve possibile. Ma non credo che si possano mettere per questo sotto accusa i Governi italiani. D'altronde nell'ambito di un Mercato Comune Europeo, in cui è sancita la libera circolazione delle merci, non può non essere stabilita anche la libera circolazione della mano d'opera, certo nei limiti del possibile come scelta individuale. Sono cose che occorre dire chiaramente, anche per rimuovere talune facili, e direi troppo superficiali, valutazioni in ordine allo sviluppo di una economia.
Ci sono certamente dei problemi da risolvere, ma che vanno valutati nella loro componente di realtà e di necessità. E io credo che la scelta politica fatta dai Governi italiani del dopoguerra della linea di assicurarsi una vasta area in cui possa essere impiegata tutta quella mano d'opera che può non essere possibile utilizzare all'interno sia stata una scelta sostanzialmente giusta. E mi pare che sotto questo profilo neppure i partiti di sinistra abbiano obiezioni sostanziali da muovere: dal momento che chiedono una politica comune monetaria, è abbastanza evidente che chiedono una comune politica doganale ed una comune politica economica; e la comune politica economica comporta anche di queste cose. Obiettivi il cui raggiungimento non è certo facile, ma che gradualmente si riuscirà a realizzare; e allora vi sarà anche la possibilità di creare i posti di lavoro necessari per poter dare piena occupazione nell'interno del Paese stesso, per lo meno come occasione, come offerta di lavoro, salvo evidentemente la libera scelta personale di chi preferisca andare a lavorare all'estero.
Vorrei dire, quindi, che non si tratta tanto di un problema di svolta di politica economica quanto di un continuo problema di aggiustamenti nell'ambito di un mercato e di un tipo di economia che è il tipo di economia scelto dalle forze di maggioranza e seguito da venticinque anni a questa parte nel nostro Paese. E mi consenta l'amico e collega Minucci di dirgli che sono sorpreso che egli ritenga opportuno, in una fase in cui si corre già il rischio di una inflazione da costi e di una inflazione da importazione - indubbiamente gli eurodollari vaganti possono creare una situazione di questo genere - creare anche un'inflazione da tesoreria, con l'incentivazione di spese da parte dello Stato e con l'utilizzazione peraltro non possibile perché mancano i soldi - dei cosiddetti residui passivi, che sono spese scritte nei bilanci ma per le quali manca il finanziamento.



RASCHIO Luciano

Erano dunque bugie finanziarie. Si è parlato di miliardi per le più svariate realizzazioni, poi al momento di attuarle mancavano i progetti e mancavano i fondi.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Le buone intenzioni evidentemente c'erano, ma non erano realizzabili.
Dobbiamo anche renderci conto che, per esempio, il ricorso al mercato finanziario ha dei suoi obiettivi limiti, al di là dei quali non è possibile andare.



MINUCCI Adalberto

I residui passivi non sono che la testimonianza di promesse elettorali che avete fatto e che non avete saputo mantenere.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

L'elettorato, a quanto pare, continua a dimostrarci il suo apprezzamento, anche al di là delle promesse elettorali.



MINUCCI Adalberto

Sì, ma entro certi limiti.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

E' già capitato anche a voi, quindi siamo in buona compagnia.
Vorrei riepilogare, concludendo, con il dire che, rispetto alle valutazioni che qui sono state fatte, abbiamo dunque dei motivi di convergenza in ordine a talune valutazioni e dei motivi di sostanziale divergenza in ordine ad altre valutazioni. La Giunta prende atto di alcune delle proposte che sono state avanzate e le fa proprie per quanto riguarda una iniziativa della Regione per studiare interventi a sostegno dell'economia nella nostra Regione, ripromettendosi di attuarla, non prima evidentemente di essersi consultata per delimitare i termini operativi entro i quali ci si può muovere; nella speranza, che vorrei poter definire certezza, che, grazie al senso di realismo di tutti, delle forze sindacali come delle forze industriali, ma soprattutto alla coscienza della necessità di mobilitare tutte le energie, si trovi, in un quadro politico chiaro, il modo di far riprendere prontamente all'economia italiana il cammino che occorre seguire per assicurare non soltanto il suo sviluppo in termini produttivi ma soprattutto, partendo da questo sviluppo in termini produttivi, la possibilità di prelievi fiscali sufficientemente elevati per poter assicurare al popolo italiano quei consumi sociali, quegli investimenti, per cui la domanda si fa sempre più pressante, e che ne garantiscono la crescita e lo sviluppo.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Non ho in questo momento alcun testo proposto per l'approvazione al Consiglio.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

In realtà, sono già stati elaborati tre documenti. Sarebbe forse consigliabile, a questo punto, una breve sospensione per vedere se vi è la possibilità di arrivare ad un unico documento.



PRESIDENTE

Pregherei i Gruppi che si sono già impegnati alla stesura di questi documenti di cercar di rendere la sospensione quanto più breve possibile.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 20,05 riprende alle ore 21)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Sono stati presentati due ordini del giorno, il primo a firma del Consigliere Bianchi e altri, il secondo a firma del Consigliere Simonelli ed altri. Non avendo i testi sotto gli occhi, non sono in grado di precisare tutte le firme.
I presentatori, Consiglieri Bianchi e Simonelli, provvederanno ora a darne lettura ed eventualmente anche illustrazione, ove lo ritengano opportuno.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Mi limiterò alla lettura dell'ordine del giorno, dato che l'illustrazione si è già avuta per implicito attraverso le dichiarazioni che ho fatto e soprattutto attraverso l'intervento finale del Presidente della Giunta: "Il Consiglio Regionale in relazione alla situazione economica del Paese ed alle possibili conseguenze aggravanti che derivano dalla crisi monetaria internazionale e dalle misure protezionistiche prese dal Governo americano esprime il proprio consenso rispetto alle linee definite ed alle misure adottate dal Governo italiano, sollecitandolo ad adottare in concreto, con efficiente rapidità esecutiva, i provvedimenti prospettati e quelli che la realtà in evoluzione potrà suggerire a sostegno dell'economia nazionale ed in particolare dei settori più direttamente colpiti, ad agire con energia per ottenere la revoca dei provvedimenti protezionistici unilaterali, incompatibili con gli accordi internazionali vigenti a proseguire tenacemente nella ricerca di soluzioni europee che, nell'unità e nella forza che ne deriva, ristabiliscano un equilibrato rapporto tra le monete e le economie dei vari Paesi, atto a sviluppare gli scambi internazionali ed i rapporti pacifici fra i popoli considera in particolare necessaria l'iniziativa della Giunta Regionale per una immediata e costante consultazione degli operatori economici, dei sindacati, degli enti locali, ed una concreta assistenza e rappresentanza nei confronti dei settori produttivi in maggiore difficoltà, al fine di difendere l'occupazione e la vitalità dell'economia regionale ritiene infine che il Governo e i pubblici poteri debbano attuare senza indugio l'azione complessa sul piano economico, politico, amministrativo e psicologico occorrente per mobilitare tutte le risorse e volontà ai fini del rilancio dell'economia nazionale nel quadro di una politica di programmazione che utilizzi, coordini ed impegni tutte le forze produttive e sociali per ritrovare le condizioni dello sviluppo economico al riparo dalle tensioni inflazionistiche e dalla spirale di aumento dei prezzi che solleva gravi problemi e giustificate proteste nell'opinione pubblica".



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Simonelli.



SIMONELLI Claudio

Leggo e illustro brevemente l'ordine del giorno presentato dai Consiglieri Regionali del Gruppo socialista e successivamente firmato anche dai Consiglieri Giovana, Berti, Sanlorenzo e Minucci: "Il Consiglio Regionale del Piemonte esaminata la situazione che si è venuta a creare anche in Piemonte in conseguenza delle misure nord-americane di metà agosto, rileva innanzitutto che le misure stesse sono state prese in contrasto con i trattati internazionali, in modo unilaterale e senza alcun riguardo per gli interessi dell'Europa e del nostro Paese, e come tali vanno denunciate denuncia inoltre la controffensiva padronale che è in atto in Italia contro le necessarie riforme, l'attacco ai livelli di occupazione, le sospensioni arbitrarie, le operazioni speculative, che hanno come conseguenza l'aumento del costo della vita ritiene che, di fronte alle misure americane, il Governo del nostro Paese deve assumere una posizione che da un lato salvaguardi la possibilità di tenere aperta la collaborazione con tutti i Paesi del nostro Continente interessati a creare, al di là di schemi precostituiti, un largo schieramento europeo, d'altro lato, senza alcun cedimento a posizioni autarchiche, ponga in essere tutte le misure atte a difendere i nostri interessi nazionali considera a questo riguardo che le difficoltà del momento, accentuate dalle misure nord-americane, non si risolvono comunque con misure congiunturali per quanto certamente utili, ma con una revisione di fondo degli indirizzi di politica economica che hanno retto finora il nostro Paese: si tratta di invertire la scala delle priorità, che ha visto in questi anni i problemi di integrazione finanziaria internazionale fare premio su quelli di politica economica interna, la componente interna della domanda continuamente subordinata alla componente esterna.
Il Consiglio Regionale del Piemonte ritiene che questi nuovi indirizzi possano sussistere solo in quanto vengano create le condizioni di base necessarie attraverso le riforme di struttura sempre più indilazionabili in agricoltura, nella distribuzione, nei consumi, nell'industria, nel credito nei servizi sociali. A livello regionale queste riforme si identificano nella creazione di idonei strumenti di intervento, tra i quali la Società finanziaria regionale pubblica e l'Ente di sviluppo agricolo.
In considerazione di tutto quanto sopra, il Consiglio Regionale impegna la Giunta per quanto riguarda le conseguenze delle misure nord-americane nell'economia piemontese, a promuovere una conferenza economica regionale nella quale far emergere le necessità della nostra Regione, per quanto riguarda gli strumenti di intervento, a costituire subito gli enti appositi.
Il Consiglio Regionale del Piemonte ritiene che l'Ente Regione debba divenire il protagonista più autorevole della vita politica ed economica della Regione".
In brevissima sintesi, vengono in questo ordine del giorno ribaditi il giudizio di gravità già espresso circa le misure assunte dal Governo americano ed il timore che da queste misure derivino conseguenze capaci di ulteriormente aggravare la situazione della nostra economia. Da tale giudizio si fanno scaturire indicazioni operative: per quanto riguarda la politica generale del Paese, sottolineando la necessità di imprimere una decisa spinta a sostegno della produzione, del rilancio economico e delle riforme, nella consapevolezza che attuazione delle riforme e rilancio della domanda interna sono i mezzi più idonei per consentire al nostro sistema economico di riprendere il suo cammino; per quanto riguarda gli interventi realizzabili nell'ambito della Regione, ponendo l'accento sulla necessita di dotare al più presto possibile il nostro Paese di idonei strumenti di intervento, cioè di dare alla Regione le armi per poter condurre avanti un'azione concreta di sostegno dei diversi settori produttivi presenti nel contesto regionale, strumenti che sono in particolare la Finanziaria pubblica e l'Ente di sviluppo agricolo; infine, chiedendo che l'Ente Regione si collochi in questa fase - questa parte è stata ampiamente sviluppata nell'intervento del Consigliere Nesi - come il centro motore, il cervello, la guida, la spinta di tutte le iniziative, il punto di raccolta delle preoccupazioni, il momento di maturazione e di meditazione delle esigenze e delle necessità della società regionale.



PRESIDENTE

I Consiglieri desiderano che sia chiarita prima la modalità delle votazioni, oppure preferiscono passare subito ad illustrare la posizione dei singoli Gruppi in merito ai testi che sono stati proposti?



BERTI Antonio

Discutiamo la prassi di votazione.



PRESIDENTE

Allora, siccome il Regolamento tace sull'ordine delle votazioni, e sono stati presentati due testi riguardanti lo stesso argomento e non coincidenti, secondo la prassi adottata dal Parlamento italiano ed anche dalla stragrande maggioranza dei Parlamenti degli altri Paesi, dispongo che la votazione avvenga, se la Giunta si pronuncia, sul testo adottato dalla Giunta. Qualora questo testo fosse respinto, potrebbe esser messo in votazione l'altro. Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Se ho ben capito, è il Presidente che "dispone", quindi impone un modo di votazione.



PRESIDENTE

Applico l'art. 4 comma 5 del Regolamento, che conferisce al Presidente il compito di stabilire l'ordine delle votazioni.



BERTI Antonio

Noi abbiamo già detto altre volte che il riferimento al Parlamento o ai Parlamenti non è obbligatorio per la nostra Regione. Diciamo altresì che la realtà regionale è diversa, e che noi vogliamo operare - tra l'altro operiamo oggi in carenza di Regolamento su questi problemi - in rapporto alle concrete situazioni che si determinano.
In questo momento, la situazione in concreto è una situazione di carattere politico: il problema è sorto perché la Democrazia Cristiana ha dichiarato di volersi astenere sull'ordine del giorno presentato da comunisti e socialisti: per evidenti motivi politici, la maggioranza, cioè non si sente di respingere un ordine del giorno presentato da un'altra parte dell'Assemblea. Se così non fosse, non ci si troverebbe ad avere due ordini del giorno contemporaneamente approvati anche se contrastanti nella sostanza.
La realtà politica delle Regioni, i problemi che sorgono, le diverse collocazioni in rapporto ai problemi stessi determinano situazioni che non possono consentirci di far riferimento a prassi parlamentari che possono essere certamente interessanti ed importanti ma che noi non siamo obbligati a seguire quando, come per esempio nel nostro caso, ci impediscono, avendo richiesto noi l'assemblea su queste questioni, di pronunciarci, di votare sul nostro ordine del giorno. D'altra parte, mi sembra abbastanza lasciatemi dire, risibile la facoltà concessa alla Giunta, che è l'Esecutivo dell'Assemblea, di scegliere fra gli ordini del giorno presentati. Non si può parlare di scelta, essendo essa scontata in partenza.
Quindi, noi chiediamo che l'Assemblea, rimanendo aderente alle esperienze della nostra Regione, alla realtà che concretamente qui si esprime, e comunque affermando che deve essere rapidamente regolamentata quale che sia la procedura che si deciderà questa sera, la questione in oggetto, si pronunci su entrambi gli ordini del giorno presentati.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Il Consigliere Berti ha fatto innanzitutto riferimento alla prospettata astensione del Gruppo democristiano in ordine a quest'ordine del giorno.
Preciso innanzitutto, per chiarezza e lealtà politica, che quest'ordine del giorno, nel testo che ci è stato letto poco fa - forse prima l'avevo letto meno attentamente - contiene alcuni periodi sui quali non potrei astenermi ma dovrei, per quanto almeno mi riguarda, votare contro. Ritengo che i diritti della minoranza di far convocare il Consiglio e di provocare un dibattito costituiscano ampia garanzia di dibattito democratico, ma che un dibattito al quale si è costretto per iniziative della minoranza l'intero Consiglio non possa concludersi che su un ordine del giorno, che diventa preclusivo di ulteriore votazione ove venga approvato. Questo non costituisce né violazione né compressione dei diritti da parte del Consiglio, ma costituisce soltanto una garanzia di chiarezza delle deliberazioni, di non contraddittorietà delle deliberazioni; e non pu essere motivo, per così dire, di scandalo. Del resto, la prassi parlamentare, nella sua validità generale, risponde solo a criteri attraverso una lunga esperienza, di chiarezza, di funzionalità ai fini delle deliberazioni delle Assemblee. Mi sembra che l'opinione dei vari Gruppi dell'Assemblea sia stata espressa con grande ampiezza e che la deliberazione conclusiva non possa avvenire che in modo univoco. Se ce n'è qualcun altro oltre a quello suggerito dal Presidente, che è nel solco di una lunga tradizione consolidata e poi trasferita nei regolamenti, non starò a formalizzarmi. Ma non vedo davvero perché si debba innovare creando un precedente che potrebbe costarci caro, in termini di chiarezza e di validità delle nostre deliberazioni, nella futura attività della nostra Assemblea.



PRESIDENTE

Consigliere Raschio, se lo desidera ha facoltà di parlare. Non voglio tener conto dei limiti regolamentari, perché desidero che il Consiglio abbia modo di pronunciarsi in piena libertà.



RASCHIO Luciano

Stavo dicendo al Consigliere Bianchi che, se mai, noi creiamo un precedente questa sera, davanti a questo impasse, che non è solamente di forma ma anche di sostanza politica, come giustamente diceva il nostro Capogruppo, se accettiamo di adeguarci a certe modalità con le quali il Parlamento affronta questa tematica e lasciamo che sia la Giunta a pronunciarsi sull'ordine del giorno da porre in votazione.
E' un problema, evidentemente, che dovrà essere regolamentato dal Consiglio Regionale; ma proprio perché il Consiglio deve ancora regolamentarlo, e anche perché è la prima volta che si presenta, dopo oltre un anno di vita della Regione, un caso del genere, inviterei il Presidente del Consiglio, in attesa che il Consiglio sia chiamato a regolamentare il problema, a porre in votazione gli ordini del giorno l'uno dopo l'altro: uno sarà certamente respinto, perché la Giunta, che è espressione tipica di una maggioranza, non potrà che dar voto contrario, e darà invece voto favorevole all'altro. Così non veniamo ad infirmare niente, e non creiamo nessun precedente. Secondo me, questo vuole un dovere di correttezza che abbiamo reciprocamente, dal momento che non vi sono fondamenti di ordine giuridico al riguardo, in quanto noi siamo Consiglio Regionale, non siamo Parlamento, e non abbiamo nemmeno i diritti dei parlamentari, almeno per quanto riguarda l'immunità, al di fuori di quello che possiamo essere nell'ambito dello stesso Consiglio Regionale. Almeno qui dentro parliamoci schiettamente, da uomo a uomo, da responsabile a responsabile, e facciamo in modo da non pregiudicare niente.



PRESIDENTE

Consigliere Raschio, nulla vieta quale che sia il modo di deliberare di questa sera, a qualunque Consigliere Regionale, di proporre modifiche o integrazioni al Regolamento. Se vi è una lacuna nel Regolamento, questa si potrà benissimo colmare attraverso una proposta che sarà presentata alla Commissione del Regolamento e successivamente deliberata dal Consiglio.
Però, in questo caso il Presidente si trova davanti ad una lacuna del Regolamento. Ma con l'esempio di una prassi la quale si fonda su ragioni logiche che credo nessuno possa ignorare, si deve chiudere il dibattito con la scelta di un metodo di votazione che consenta al Consiglio di concludere con una scelta univoca. La facoltà che viene concessa al Governo - dico al Governo perché si tratta di una prassi parlamentare - di scegliere l'ordine del giorno che ritiene più adeguato ai propri orientamenti non è casuale non è un privilegio dato al Governo, perché ordini del giorno o mozioni contengono direttive al Governo sul modo di comportarsi, e il Governo deve poter scegliere fra queste direttive quelle che ritiene di poter accettare più agevolmente. L'Assemblea è sempre libera, evidentemente, di adottare o di non adottare l'ordine del giorno che è stato accettato dal Governo, ma la facoltà che viene lasciata al potere esecutivo deriva dal semplice fatto che le deliberazioni di una assemblea non sono destinate a rimanere platoniche, come i pareri filosofici che possono essere espressi da accademie scientifiche, ma sono chiare direttive date al potere esecutivo che mirano ad esprimere il parere dell'assemblea in vista della sua traduzione in atti pratici. La prassi parlamentare scaturisce precisamente dalla necessità che le deliberazioni di un'assemblea siano poste in atto il più fedelmente possibile dal potere esecutivo al quale si indirizzano. In effetti, l'unico testo che ho sott'occhio - l'altro evidentemente è stato trattenuto dal proponente anziché essere riportato alla Presidenza dell'Assemblea - contiene direttive alla Giunta, oltre ad esprimere un'opinione generale dell'Assemblea su questi problemi.
E' quindi perfettamente logico che la Giunta dica quale di questi testi interpreta più da vicino il suo orientamento. La Giunta potrebbe però anche astenersi dal prendere posizione; solo in questo caso il primo dei testi presentati sarebbe posto in votazione; se adottato, precluderebbe l'approvazione di altri testi, se respinto consentirebbe di passare alla deliberazione relativa ai testi successivi. La Giunta fino a questo momento non si è pronunciata, e quindi stiamo facendo una discussione platonica partendo dall'ipotesi che essa si pronunci. Ma se la Giunta si pronuncerà su uno di questi due testi, io sarò costretto a porre tale testo in votazione, e non per animosità verso l'altro, perché la Giunta ne ha scelto uno, ma perché, se il testo accettato dalla Giunta fosse approvato, non posso porre l'Assemblea in condizioni di rivotare su un argomento sul quale ha già adottato una deliberazione. Questa è pura logica, non è soltanto supina acquiescenza alla prassi parlamentare, e non è nemmeno una invenzione del Presidente. Fino a che la Commissione per il Regolamento non mi abbia indicato un metodo migliore, ammesso che esista, largamente seguito e convalidato dall'esperienza, sarò costretto ad applicare l'unico metodo seguito in questo Paese, il quale ha dimostrato, in venticinque anni, di funzionare, nel Parlamento del nostro Paese, le cui leggi rispettiamo anche noi perché sono fra l'altro quelle che han dato vita alla Regione.



BERTI Antonio

Ma in Parlamento il Governo è titolare di una politica, qui no. C'è una differenza sostanziale. L'Esecutivo riceve un mandato da una assemblea. Ci saranno pure una maggioranza ed una minoranza sugli ordini del giorno.



PRESIDENTE

Certo, Consigliere Berti, ma questi testi servono precisamente a dare direttive e mandati al potere esecutivo di questa Regione.



BERTI Antonio

Lei preclude all'Assemblea nel suo insieme di esprimersi, perch conferisce all'Esecutivo il potere di scegliere in anticipo, per il che l'Esecutivo precluderà di fatto ad un ordine del giorno presentato da una parte dell'Assemblea la possibilità di essere posto in votazione.



PRESIDENTE

Ma, Consigliere Berti, non è l'Esecutivo che la preclude, è l'eventuale deliberazione da parte della maggioranza dell'Assemblea che preclude la presa in considerazione di un altro testo.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Desidero dire che dissento anch'io dall'interpretazione generale data dal Presidente e anche dal Consigliere Bianchi di questa questione. Credo anch'io che la differenza sostanziale, che non si può dimenticare, fra un'Assemblea Regionale e il Parlamento della Repubblica italiana e il Governo, sia proprio il fatto che, mentre qui la titolarità dell'indirizzo politico emana dall'Assemblea, diversa è la situazione per quanto riguarda il Governo, che infatti viene costituito su incarico del Presidente della Repubblica, che qui non c'è, al Presidente del Consiglio il quale propone dopo averlo costituito, al Presidente della Repubblica i componenti del suo Governo, e che riceve poi - sottolineo poi - il mandato dall'Assemblea differenza enorme, sostanziale, su cui ci siamo confrontati in tutto il periodo di elaborazione dello Statuto, senza giungere ad un accordo. Cosa vuol dire che l'Assemblea è titolare dell'indirizzo politico? Che determinati Gruppi dell'Assemblea, su un determinato problema, aprono una discussione, maturano un indirizzo ed intendono proporlo al vaglio dell'Assemblea.



PRESIDENTE

Faccio osservare che si sono moltiplicati gli interventi di una parte su una questione procedurale su cui avrebbero dovuto essere ammessi a parlare un oratore a favore ed uno contro per non più di tre minuti. Per lo meno, coloro che interloquiscono dovrebbero avere la discrezione di essere molto concisi.



SANLORENZO Dino

Mi avvio a concludere rapidissimamente.
Alcuni Gruppi dell'Assemblea intendono proporre al Consiglio e discutere il contenuto di un indirizzo politico. Non è in discussione la facoltà della Giunta di esprimere un suo parere su questi contenuti: è in discussione il fatto che il suo parere debba passare in votazione prima degli altri, prima dei pareri dei Gruppi che hanno aperto la discussione ed hanno investito l'Assemblea di un dibattito sull'indirizzo politico; è in discussione, in sostanza, se l'espressione della Giunta debba essere anteposta all'indirizzo proposto da alcuni Gruppi dell'Assemblea, che deve ancora essere verificato, se su quel contenuto è maggioranza o minoranza.
La Giunta sarà poi chiamata a realizzare ciò che l'Assemblea avrà deciso non viceversa. Questo è il punto del dissenso, e questo punto rimane anche dopo le spiegazioni che il Presidente ha dato.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa.
Pur avendo il potere, a termini di Regolamento, ed in particolare a termini dell'art. 4 comma 5 del Regolamento, di deliberare io stesso in qualità di presidente, desidero avere il conforto del parere dell'Assemblea sul metodo che mi son proposto di adottare. Pongo quindi in votazione il metodo consistente nel dare precedenza nella votazione al testo che riceverà eventualmente l'approvazione della Giunta, la quale fin qui non si è pronunciata. Chi è favorevole alla proposta del Presidente del Consiglio Regionale è pregato di alzare la mano. La proposta è approvata con 24 voti favorevoli, 13 contrari, 1 astenuto.
Adesso, però, rimane da sapere se la Giunta intende approvare un testo.
Ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

La Giunta accetta il testo proposto dal Consigliere Bianchi, per le motivazioni che ho avuto modo di esporre in assemblea.



PRESIDENTE

Sarà quindi posto in votazione con priorità il testo proposto dal Consigliere Bianchi ed accettato dalla Giunta. Qualora questo testo fosse respinto potrebbe essere posto in votazione l'altro. Qualcuno chiede la parola per dichiarazione di voto sul testo che adesso porremo in votazione? Chiede di parlare il Consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Essendo l'ordine del giorno Bianchi e le considerazioni rese dal Presidente della Giunta sostanzialmente rispondenti al contenuto del mio intervento di stamani, dichiaro che darò voto favorevole all'ordine del giorno Bianchi, fatta eccezione per quella parte nella quale si esprime consenso alle misure adottate dal Governo.



PRESIDENTE

In questo caso deve chiedere la votazione per divisione.



CURCI Domenico

Si tratta solo di un inciso.



PRESIDENTE

Lei può approvare, o respingere, o astenersi; se desidera votare parte e non l'altra, deve chiedere la votazione per divisione, che io non ho alcuna difficoltà a concedere.



CURCI Domenico

Chiedo che venga messo in votazione l'ordine del giorno Bianchi con esclusione di quella parte nella quale si esprime conforto alle misure adottate dal Governo.



PRESIDENTE

Si tratta di una frase, a quel che vedo ora, troppo strettamente legata al contesto per poterla enucleare.



CURCI Domenico

Mi basta che sia documentato a verbale che il mio voto è favorevole eccetto che per quel punto.



PRESIDENTE

La sua dichiarazione è stata raccolta stenograficamente e verrà posta a verbale.
Vi sono altre dichiarazioni di voto? Ha facoltà di parlare il Consigliere Simonelli.



SIMONELLI Claudio

Depreco che non si sia arrivati ad una votazione su un ordine del giorno unificato, perché nel dibattito che c'è stato oggi in Consiglio, al di là dell'ovvia diversità di valutazione sulle responsabilità, e sulle ragioni dei provvedimenti adottati dal Governo americano, è apparsa evidente una sufficiente base comune di intesa per fornire le indicazioni alla Giunta ed i programmi di lavoro per la Regione; e se l'ordine del giorno, così come il Presidente l'ha interpretato, aveva da essere soprattutto non una diagnosi delle cause che stanno a monte delle decisioni del presidente Nixon ma invece una dichiarazione di strumenti operativi e del modo con cui la Giunta deve operare nei prossimi mesi per rimuovere le condizioni di difficoltà in cui si verranno a trovare settori economici della nostra Regione, credo che avremmo potuto giungere su questi argomenti ad una piattaforma sufficientemente comune fra i vari Gruppi. Per questo ritengo che da parte della maggioranza sia stato compiuto un atto di forza nel voler portare un suo documento in contrapposizione alle indicazioni che viceversa potevano essere fornite in modo unitario dal Consiglio.
Il documento che la maggioranza ci ha presentato contiene elementi che danno motivo a perplessità ed a critiche. Innanzitutto, in esso si sottovalutano gli effetti che le decisioni americane sono destinate a produrre, e ciò non solo per quello che già queste decisioni sono in grado di produrre oggi; ma soprattutto, tenendo conto che siamo soltanto in una prima fase conseguente alla dichiarata non convertibilità del dollaro, c'è da attendersi che - se gli accorgimenti attraverso i quali le banche centrali controllano le bande di fluttuazione delle monete hanno fin qui contenuto la rivalutazione di fatto delle altre monete entro limiti ragionevoli, non particolarmente accentuati -, nei prossimi tempi essi non riusciranno più a produrre effetto alcuno, e ci toccherà assistere ad ulteriori aggravamenti della situazione.
Non possiamo poi condividere, per la loro genericità, le conclusioni operative, che noi avremmo voluto più incisive - come dimostra, del resto l'ordine del giorno che abbiamo presentato -, tali da far veramente della Giunta su questi problemi il punto di riferimento di tutta la società regionale. Proprio perché questi contraccolpi sono destinati a ripercuotersi, occorre dare l'impressione che il nuovo Ente Regionale appena costituito, pur privo di poteri per operare, tuttavia è in grado almeno di esercitare una sua funzione sul piano dell'iniziativa politica sul piano della capacità di suggerimento, della raccolta delle esigenze.
Noi riteniamo che queste indicazioni avrebbero dovuto essere contenute nel documento, proprio perché pensiamo che siano largamente condivise dai Colleghi Consiglieri e riteniamo siano una esigenza che anche in questa sede deve essere sottolineata e ribadita.
Peraltro, non mi sembra che, pur con queste carenze, con questi limiti con questa insufficienza, l'ordine del giorno della Giunta presenti una posizione di netta rottura, di chiusura rispetto al modo con il quale i problemi sono stati indicati dal dibattito consiliare. Ad esempio, il punto che contiene un'approvazione della linea politica del Governo, pur carente perché non si può limitare il discorso ad una acritica approvazione della linea del Governo - perché noi riteniamo che il Governo debba fare molto di più di quanto ha fatto, secondo le indicazioni che abbiamo cercato di fornire - non può peraltro essere respinto, almeno da un partito che ha responsabilità di Governo, e che vuole utilizzare questa responsabilità per spingere il Governo ad assumere posizioni più coraggiose in difesa degli interessi nazionali.
Per questo insieme di ragioni, fortemente critiche verso il documento che la Giunta ha accolto, dichiaro che mi asterrò nella votazione su di esso.



PRESIDENTE

Se non vi sono altre dichiarazioni di voto, pongo in votazione il documento presentato dal Consigliere Bianchi ed altri, ed accettato dalla Giunta.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 25 voti favorevoli, 15 contrari, 1 astenuto.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni permanenti - Modifica nella composizione


PRESIDENTE

Comunico che il Gruppo della Democrazia Cristiana, con lettera a firma del suo Presidente, Consigliere Bianchi, mi informa che, con il consenso dei Consiglieri interessati, il Gruppo consiliare della Democrazia Cristiana ha designato il Consigliere dott. Domenico Conti a far parte delle Commissioni III e IV, in sostituzione rispettivamente dei Consiglieri Stanislao Menozzi ed Ettore Paganelli.


Argomento:

Interrogazioni e Interpellanze - (Annunzio)


PRESIDENTE

Prego ora il Consigliere Segretario di dar lettura delle interrogazioni ed interpellanze pervenute alla Presidenza.



MENOZZI Stanislao, Segretario


Argomento:

Ordine del Giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

Il Consiglio Regionale è convocato, per la prima seduta della sua sessione ordinaria, il 21 settembre e giorni seguenti, con un ordine del giorno lievemente modificato rispetto a quello comunicato al termine della precedente seduta, perché, come comunicato questa mattina, abbiamo inserito fra i primi punti le comunicazioni del Commissario di Governo.
Il nuovo o.d.g. risulta quindi così elaborato: 1) Approvazione verbali precedenti sedute 2) Comunicazioni del Presidente 3) Comunicazioni del Commissario del Governo in ordine alle leggi regionali approvate al Consiglio Regionale il 6 luglio 1971 e eventuali deliberazioni 4) Comunicazioni della Giunta delle Elezioni circa la validità delle elezioni dei Consiglieri Rossotto e Visone 5) Esame dello schema di osservazioni al decreto del Presidente della Repubblica relativo al riordinamento del Ministero dei Trasporti e dell'Aviazione Civile (relatore Bianchi) 6) Esame dello schema di osservazioni al decreto delegato sulle fiere e mercati, acque minerali e termali, cave e torbiere, artigianato (relatore Menozzi) 7) Esame dello schema di osservazioni al decreto delegato sulla assistenza scolastica e musei e biblioteche di Enti locali (relatore Soldano) 8) Esame dello schema di osservazioni sul decreto del Presidente della Repubblica relativo al riordinamento del Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato (relatore Ferraris) 9) Esame dello schema di osservazioni al decreto delegato sul turismo e industria alberghiera (relatore Saldano).
Il collega Berti ha facoltà di parlare.



BERTI Antonio

Vorrei fosse fissata la data per la riunione dei Capigruppo che era stata convocata per questa sera.



PRESIDENTE

Fino a questo momento non è stata disdetta.



BERTI Antonio

Ma quasi tutti se ne sono andati, quindi è disdetta automaticamente per forza maggiore. Io proporrei lunedì pomeriggio.



PRESIDENTE

Purtroppo, per lunedì pomeriggio ho già una serie di impegni.
Potrebbe andar bene martedì mattina, 14 settembre, alle ore 10; non è possibile anticipare al mattino, perché sono già impegnato in una riunione dell'Ufficio di Presidenza.



BERTI Antonio

Va bene.



PRESIDENTE

Allora, resta inteso che la conferenza dei Presidenti è convocata per martedì mattina alle ore 10.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 21,45)



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