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Dettaglio seduta n.55 del 09/09/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Convocazione del Consiglio in sessione straordinaria


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Il Consiglio Regionale è stato convocato oggi, in sessione straordinaria, per la richiesta che è pervenuta da tredici Consiglieri del Gruppo comunista, costituenti un numero sufficiente, a termini di statuto per ottenere la convocazione di una sessione straordinaria, per l'esame della situazione venutasi a creare nel nostro Paese e in Piemonte dopo le decisioni monetarie ed economiche del Governo americano.
Prima dell'inizio della seduta, che è stata ritardata anche per una riunione di Capigruppo che ho indetto per questa mattina, sono stati presi accordi circa il programma di questa seduta e di una serie di altre deliberazioni relative all'ordine dei nostri lavori.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Nelle comunicazioni che farò adesso, si terrà conto anche delle decisioni che concordemente sono state prese dai Capigruppo. Quindi, prima di passare all'esame della situazione monetaria, che è oggetto della riunione odierna, sono tenuto a fare alcune comunicazioni di ordinaria amministrazione e altre di particolare gravità, come rileveranno i Consiglieri Regionali.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Disegni di legge e documenti - Annuncio e assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

Desidero comunicare di avere assegnato alle Commissioni competenti l'esame in sede referente dei seguenti decreti delegati e decreti del Presidente della Repubblica per i quali o è pervenuto il parere della Giunta, o sta per pervenire in giornata, ponendo quindi le Commissioni medesime in condizione di affrontare subito, nella pienezza della loro competenza, l'esame di questi decreti in sede referente. Tra gli schemi di parere già pervenuti e quelli che debbono ancora pervenire, mancherà solo quello relativo al decreto delegato sulla beneficenza pubblica, che la Giunta si è riservata di comunicare nei prossimi giorni.
Ho quindi assegnato all'esame delle Commissioni, che potranno procedere a tale esame subito dopo l'arrivo dei testi che saranno comunicati dalla Giunta, i seguenti decreti delegati: decreto delegato sul turismo e l'industria alberghiera, assegnato alla VII Commissione, decreto delegato su agricoltura e foreste, caccia e pesca nelle acque interne, assegnato alle Commissioni V, VI e VII, perché riguarda materie che sono di competenza di queste tre Commissioni, che dovranno procedere all'esame del decreto delegato congiuntamente; decreto delegato relativo all'assistenza sanitaria e ospedaliera, assegnato alla IV Commissione; decreto delegato assegnato anch'esso alla IV Commissione, relativo alla beneficenza pubblica, ed è l'unico per il quale non è ancora pervenuto e non è ancora annunciato il parere della Giunta; decreto delegato, assegnato alla II Commissione, riguardante le materie relative a urbanistica, viabilità acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; decreto del Presidente della Repubblica, relativo al riordinamento del Ministero dei LL.PP.
assegnato alla II Commissione permanente.
Come i signori Consiglieri certamente sapranno, il 21, quando avrà inizio la sessione ordinaria del Consiglio, sono già iscritti all'o.d.g.
quasi tutti questi decreti delegati, in particolare quelli per i quali è giunta la scadenza dei 60 giorni in questo periodo. Il Consiglio Regionale sarà quindi posto in grado, nei giorni 21 e seguenti, di adempiere al proprio mandato e suppongo che in un'ulteriore riunione dei Capigruppo si potrà stabilire con certezza il calendario entro il quale il Consiglio Regionale affronterà anche l'esame dei decreti delegati che non sono ancora posti all'o.d.g. della seduta del 21 e giorni successivi.


Argomento:

Rinvio di leggi al Consiglio Regionale


PRESIDENTE

Sono tenuto ora a dare comunicazione al Consiglio Regionale di una notizia che, a mio giudizio, è di particolare gravità. E' una duplice comunicazione pervenutami nel corso delle ferie dal Commissario del Governo, riguardante le prime due leggi approvate dal Consiglio Regionale.
Dò lettura della comunicazione del Commissario del Governo: "Oggetto legge 6.7.1971 concernente qualifiche e contingenti numerici del personale regionale. Norme provvisorie.
Con riferimento alla legge indicata in oggetto, qui pervenuta il 10.7.1971, significo che la stessa non può essere vistata a' sensi e per gli effetti di cui all'art. 11 della legge 10.2.1953 n. 62 e dell'art. 45 dello Statuto di codesta Regione, per i seguenti motivi fatti presenti dall'onorevole Presidenza del Consiglio dei Ministri,con suo telegramma numero 200/5356/011 del 6.8.1971 che integralmente trascrivo: 'Riferimento nota n. 177/21 in data 13.7.1971 relativa legge regionale 6.7.71 recante norme su qualifiche et contingenti numerici del personale regionale osservasi: legge in esame contrasta con art. 117 Costituzione per inosservanza principi fondamentali leggi statali pubblico impiego et specificatamente art. 67 legge 10.2.1953 n. 62 e decreto Presidente della Repubblica 28.12.1970 n. 1077 per mancata indicazione numero posti singole qualifiche varie carriere esecutiva et ausiliaria. Ritieni poi necessario che legge regionale contenga indicazione che Regione provvede direttamente at proprio carico spesa personale comandato nonché versamento importo contributi et ritenute su trattamento economico stesso personale at amministrazione appartenenza in conformità art. 57 Testo Unico 10.1.1957 n.
3 sostituito da art. 34 decreto Presidente della Repubblica 28.12.1970 n.
1077. Segnalasi ancora opportunità contenere comando personale direttivo per mantenere rapporto proporzionale organico con personale altre carriere.
Sotto profilo formale osservasi infine che provvedimento in esame dovrebbe contenere indicazioni onere finanziario et mezzi copertura in osservanza art. 81 Costituzione. Per motivi esposti legge regionale in esame si appalesa illegittima et viene pertanto rinviata nuovo esame Consiglio Regionale".
Il telegramma di cui dà notizia il Commissario del Governo è a firma del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Antoniozzi.
Una seconda comunicazione del Commissario del Governo si riferisce alla legge 6.7.19 71 concernente approvazione del rendiconto finanziario 1970.
Ne leggo il testo: "Con riferimento alla legge indicata in oggetto, qui pervenuta il 10.7.1971, significo che la stessa non può essere vistata a' sensi e per gli effetti di cui all'art. 11 della legge 10.2.1953 n. 62 e dell'art. 45 dello Statuto di codesta Regione per i seguenti motivi fatti presenti dall'onorevole Presidenza del Consiglio dei Ministri, con suo telegramma n.
200/5357/012 del 6.8.1971 che integralmente trascrivo: 'Riferimento nota n.
177/24 in data 13.7.71 relativa a legge regionale 6.7.1971 recante approvazione rendiconto finanziario 1970, osservasi: legge in esame non est in armonia con sistema di classificazione entrate e spese previste da decreto Presidente della Repubblica 3.12.1970 n. 1171 con cui in relazione all'art. 20 Legge 16.5.1970 n. 281 sono state emanate disposizioni coordinamento bilanci Regioni statuto ordinario con normativa legge 1.3.1964 n. 62. Al riguardo osservasi in particolare che legge regionale non contiene elencazione singole entrate e spese ripartite secondo loro natura et indicazione, che somme spettanti at Regione già corrisposte da Stato in anno 1970 a' sensi art. 16 legge 16.5.1970 n. 281, ammontano at lire 461.883.335 pur mancando attualmente specifica disciplina materia.
Debet poi rilevarsi che approvazione rendiconto con legge da parte Consiglio regionale anteriormente entrata in funzione Commissione controllo prevista art. 41 legge 10.2.53 n. 62 che a' sensi art. 3 decreto ministeriale 5.6.1970 est tenuta a svolgere su singole deliberazioni ripartizione et effettuazione spese adottate da Giunta Regionale in anno 1970 controllo cui art. 45 e seguenti predetta legge n. 62 elide controllo stesso in quanto suddetto rendiconto una volta approvato con legge est reso insindacabile et non potest essere modificato nessuna sue parti nonostante eventuale esistenza irregolarità. Per i motivi esposti legge regionale in esame si appalesa illegittima et viene pertanto rinviata a nuovo esame Consiglio Regionale".
Anche questo telegramma è a firma del Sottosegretario di Stato della Presidenza del Consiglio Ministri, Antoniozzi.
Una prima discussione su queste due comunicazioni è stata fatta questa mattina in seno alla conferenza dei Presidenti e ci è stato anche comunicato dal Presidente della Giunta che la stessa Giunta ieri ha preso in esame la materia. Data la complessità dell'argomento, è opportuno che il Consiglio Regionale possa avere il tempo di meditare su queste comunicazioni e svolgere su di esse un dibattito approfondito da porre al primo punto all'o.d.g. della seduta del 21 settembre. Nel frattempo si potranno esperire le varie forme in cui il Consiglio Regionale e le sue Commissioni, nonché la Giunta, potranno giungere a determinazioni tali da consentire al Consiglio di trarre le conseguenze che riterrà opportune da queste comunicazioni.
Mi corre tuttavia l'obbligo, signori Consiglieri, dopo le comunicazioni ricevute dal Commissario del Governo e per mandato esplicito ottenuto da tutti i Presidenti dei Gruppi consiliari del Consiglio Regionale nella seduta di questa mattina, di dichiarare che le decisioni adottate dal Governo si inseriscono in un contesto nel quale anche tutta una serie di altre leggi regionali approvate da altri Consigli Regionali sono state immediatamente respinte dal Governo. Per quel che riguarda queste leggi e con riserva di consentire al Consiglio di manifestare il suo parere e di adottare le deliberazioni necessarie su proposta della stessa Giunta in ordine alle conseguenze da trarre, debbo fare qualche rilievo, sia pure superficiale, che viene immediatamente alla mente circa le due comunicazioni fatte dal Commissario del Governo.
Per quella relativa al personale, mi limito semplicemente ad osservare che non soltanto la legge approvata costituiva uno stralcio di una legge più ampia destinata a consentire alla Regione di provvedere ai primi adempimenti in materia di organico, allo scopo di funzionare con un personale un po' più nutrito di quello estremamente esiguo che, con sforzo eroico, fino ad oggi ha consentito alla Giunta ed al Consiglio Regionale di svolgere i propri compiti, ma che si tratta di uno stralcio nel quale venivano fatte anche alcune scelte funzionali, dovute alla stessa provvisorietà dell'organico che la legge avrebbe consentito di reclutare e che tuttavia avrebbero meritato di essere valutate anche politicamente in maniera diversa dal Governo.
Quando il Governo ci comunica di segnalare l'"opportunità di contenere il comando del personale direttivo per mantenere il rapporto proporzionale organico con personale altre carriere", esso, anziché apprezzare lo sforzo compiuto da questa Regione di non assumere un esercito di uscieri, commessi ed autisti, come è avvenuto in precedenti casi, in Regioni a statuto speciale, ma viceversa di avere assunto personale che dà il massimo del proprio contributo, come quello che ha lavorato fino ad oggi per la Regione, il contributo del proprio cervello, che naturalmente è personale essenzialmente direttivo, senza l'ausilio di quel personale esecutivo ed ausiliario che è certamente utile e necessario, ma di cui non si è voluto gravare fino ad oggi il bilancio della Regione, anziché apprezzare questa scelta funzionale che comunque è competenza esclusiva delle scelte autonome della Regione Piemonte e delle altre Regioni italiane, ne fa addirittura un motivo di addebito per giustificare la decisione di rinviare all'esame del Consiglio regionale il testo che non è stato vistato dal Commissario del Governo. E mi limito a questa osservazione, lasciando che poi la Giunta ed il Consiglio traggano le opportune conseguenze da tutte le altre osservazioni che sono state fatte.
Per quel che riguarda poi l'approvazione del rendiconto finanziario 1970, credo che, trattandosi qui di due rilievi formali abbastanza chiari e semplici, sia facile osservare che si è andati deliberatamente a ricercare dei motivi che hanno un fondamento giuridico estremamente opinabile, per non apporre il visto su questo rendiconto. Ci si chiede infatti di applicare al rendiconto consuntivo (che si riferisce alla contabilità speciale, e quindi non già ad un vero e proprio bilancio consuntivo) relativo al secondo semestre del 1970, una legge entrata in vigore successivamente, alla fine di questo secondo semestre del 1970, il testo di cui ci si rimprovera di non avere osservato scrupolosamente i termini, è un decreto del Presidente della Repubblica del 3.12.1970, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel mese di gennaio del 1971, che, durante tutto il periodo al quale si riferisce il rendiconto approvato dal Consiglio Regionale non era ancora in vigore. Noi avremmo dovuto quindi fabbricare libri falsi per poter tenere conto di una legge che non era in vigore nel momento in cui i conti sono stati tenuti regolarmente nella Regione Piemonte secondo le leggi in vigore durante quello stesso periodo. E d'altra parte ci si rimprovera di avere approvato questo rendiconto con legge, prima che fosse entrata in funzione la Commissione di controllo sugli atti della Regione, che, per quel che riguarda la Regione stessa ed il suo Consiglio Regionale, avrebbe potuto, grazie agli adempimenti da noi compiuti tempestivamente, essere costituita dal Governo molto tempo prima dell'approvazione di questa legge. Ci si rimprovera quindi di avere approvato una legge prima che entrasse in funzione questa Commissione di controllo, che è entrata in funzione nei giorni scorsi e non prima per un'inadempienza dello Stato e non della Regione Piemonte. Questo fatto avrebbe potuto, caso mai, giustificare una sospensione dell'apposizione del visto fino all'entrata in vigore di questa Commissione, ma non certamente un atto di una gravità tale, quale l'atto che consiste nel rifiuto del visto e nel rinvio al Consiglio Regionale della legge di approvazione del rendiconto.
Il Consiglio Regionale potrà, durante questo periodo, con il testo di queste comunicazioni, che sarà messo a disposizione di tutti i Consiglieri meditare sulle conseguenze da trarre e meditare anche sul significato politico che assume questo atto, poiché si tratta di un precedente che avrà certamente valore in ordine all'azione delle Regioni per un lungo periodo di tempo, ossia di un precedente che non ha minor valore di quelli che si stanno costituendo in questi giorni con i pareri che le Regioni esprimono sui decreti delegati. Questo è un campo d'azione dove veramente si stanno creando le Regioni, dove si stanno precisando i rapporti fra le Regioni e lo Stato. Quello che noi decideremo come quello che decideranno gli altri Consigli Regionali in seguito a queste iniziative dello Stato, avrà certamente valore di precedente in ordine alla definizione dei confini tra poteri e funzioni dello Stato e poteri e funzioni delle Regioni. La questione sarà quindi iscritta al primo punto all'o.d.g. della seduta del 21, con l'esame delle comunicazioni del Commissario del Governo. Nel corso di questo esame, la Giunta ci comunicherà naturalmente le proposte che intende fare e il Consiglio potrà poi, attraverso l'espressione delle sue varie componenti politiche, esprimere un giudizio politico e anche dare delle indicazioni di carattere formale sulle conseguenze da trarre da queste comunicazioni.
Passiamo, quindi, anche per accordo con i Capigruppo, senza discussione improvvisata su queste mie comunicazioni Ha facoltà di parlare la Consigliera Vietti.



VIETTI Anna Maria

Ad integrazione di quanto ha comunicato il Presidente del Consiglio rendo noto che anche per la beneficenza pubblica la Giunta aveva pronte le sue osservazioni. Non sono state trasmesse alla Commissione in attesa della riunione di tutti gli Assessori Regionali all'assistenza, che ha avuto luogo martedì scorso a Venezia. In tale riunione tutti gli Assessori hanno concordato delle osservazioni comuni che sono state approvate alla unanimità. La Giunta accetta le osservazioni concordate che saranno trasmesse alla Commissione entro due o tre giorni dalla data odierna, tempo necessario per correggerle da un punto di vista formale.



PRESIDENTE

La ringrazio molto della sua comunicazione e faccio rilevare fra l'altro che il decreto delegato sulla beneficenza pubblica, essendo pervenuto alla Giunta Regionale il 9 agosto 1971, il termine di 60 giorni entro il quale il Consiglio deve esprimersi non scade nei giorni in cui ci riuniremo per la ripresa della sessione ordinaria, ma soltanto alla fine della prima decade di ottobre e quindi la comunicazione dello schema di parere della Giunta mette la Commissione in condizione di poter dare il suo parere al Consiglio e di consentire a questo di esprimere il proprio parere entro i termini di legge di 60 giorni.
Passiamo ora all'esame del secondo punto all'o.d.g.


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Comunico intanto che è in congedo dal 3 al 13 settembre il Consigliere Gerini e che ha chiesto congedo anche il Consigliere Carazzoni.


Argomento: Questioni internazionali - Rapporti Regioni - Governo - Rapporti Regione - Parlamento

Esame della situazione venutasi a creare nel nostro Paese e in Piemonte dopo le decisioni monetarie ed economiche del Governo americano. Iniziative e deliberazioni


PRESIDENTE

Il secondo punto all'o.d.g. reca: "Esame della situazione venutasi a creare nel nostro Paese e in Piemonte dopo le decisioni monetarie ed economiche del Governo americano. Iniziative e deliberazioni".
Questa sessione è stata convocata in seguito alla richiesta sottoscritta da tredici Consiglieri del gruppo comunista in data 27.8.1971 del seguente tenore: "Egregio signor Presidente, con la presente il gruppo comunista richiede la convocazione straordinaria del Consiglio Regionale a' sensi dell'art. 26 dello Statuto per discutere il seguente o.d.g.: 'Esame della situazione venutasi a creare nel nostro Paese e in Piemonte dopo le decisioni monetarie ed economiche del Governo americano. Iniziative e deliberazioni'.
Stante la gravità e l'urgenza del problema sul quale il nostro gruppo ha già presentato un'interrogazione ed in considerazione del fatto che urgono iniziative e provvedimenti sia del Governo nazionale, sia della Giunta Regionale per intervenire in difesa dell'autonomia nazionale dell'occupazione dei salari, della piccola e media industria, il gruppo auspica che non sia necessario attendere la scadenza dei quindici giorni previsti dallo Statuto perché il Consiglio sia convocato".
L'interrogazione alla quale si fa cenno, che non è stata ancora letta in seduta perché pervenuta dopo la chiusura della sessione ordinaria, è del seguente tenore ed è firmata dai Consiglieri Sanlorenzo, Marchesotti e Revelli. Ne do lettura: "I sottoscritti Consiglieri interrogano la Giunta Regionale per conoscere quali iniziative e quali misure intenda prendere in relazione alle conseguenze prevedibili per l'economia piemontese in termini di occupazione, produzione e reddito dopo la decisione del Governo degli Stati Uniti di instaurare una tassa del 10 per cento sulle esportazioni verso quel Paese. In particolare si interroga la Giunta per sapere: a) se è intervenuta presso il Governo per sollecitare quelle misure creditizie tributarie e previdenziali per quei settori economici che saranno messi in crisi dalle decisioni americane e dalle sue conseguenze; b) se contemporaneamente non ritiene necessario esigere dal Governo un effettivo controllo del movimento di capitali sul credito, sull'andamento dei prezzi tendente a troncare ogni manovra speculativa interna o esterna che sia; c) se non ritiene opportuno presentare entro quindici giorni al Consiglio Regionale i risultati di una consultazione e di un accertamento da fare immediatamente presso i sindacati, i settori della piccola e media industria attraverso la competente Commissione consiliare per concertare quelle misure che si possono prendere su scala regionale, per fare fronte alla situazione che si viene a creare. I sottoscritti Consiglieri rilevano come la grave misura presa dal Governo degli Stati Uniti, mentre da una parte esige una ferma risposta in difesa della concreta indipendenza nazionale che a tutti i livelli deve essere espressa, dall'altra esige misure e interventi precisi in carenza dei quali verrebbero ad assommarsi gravi conseguenze sui livelli di occupazione e sull'economia piemontese alla situazione già precaria preesistente alle misure unilaterali non concertate e senza preavviso prese dal Governo americano.".
E' stata pure presentata un'interpellanza a firma del Consigliere Nerio Nesi al Presidente della Giunta Regionale, della quale dò lettura: "Il Consigliere Nerio Nesi interpella il Presidente della Giunta Regionale per sapere se in presenza della situazione creata dalle misure prese dal Governo nord-americano, misure che colpiscono alcuni settori importanti dell'economia piemontese ed in particolare una fascia di piccole e medie aziende che attraversano già un momento difficile, non ritenga opportuno farsi promotore di una conferenza regionale alla quale invitare operatori economici e finanziari e sindacati, al fine di studiare e proporre al Governo nazionale una serie di misure coordinate a favore della piccola e media industria piemontesi e dei lavoratori dei settori che si trovano in condizioni di particolare difficoltà e che potrebbero vedere compromesso il loro posto di lavoro".
Questa seduta potrà svolgersi sotto forma di dibattito e ciascun gruppo preciserà le proprie opinioni in merito alla crisi monetaria. Al termine di questa esposizione dei vari gruppi, che potrà avvenire sotto forma di uno o più interventi a seconda delle decisioni prese autonomamente dai vari Gruppi (presumo che, tranne per il Gruppo comunista - non so che cosa abbia deciso la D.C. - gli interventi saranno di uno per ciascun Gruppo) il Presidente della Giunta esporrà le opinioni della Giunta stessa, che ha preso in esame la questione nella seduta che si è svolta ieri.
Sarebbe abbastanza difficile concludere questa discussione in uno scorcio di seduta mattutina poiché sono già le 11 e non avremmo certamente il tempo di affrontare in maniera esauriente l'argomento. Vi propongo quindi di tenere due sedute, il resto della riunione di stamane e una seduta pomeridiana (che incomincerà un po' più tardi per consentire una riunione dei Capigruppo per affrontare il programma dei lavori della prossima sessione ordinaria) al termine della quale si potrà considerare conclusa questa sessione straordinaria. Ritengo che verso le 8 di questa sera potremo concludere i nostri lavori con due sedute consacrate all'esame di questo argomento.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Vorrei chiedere se è possibile - avendo consultato il gruppo - di iniziare alle 16 la seduta del Consiglio e tenere dopo la riunione dei Capigruppo.



PRESIDENTE

Non c'è nessuna difficoltà.
Non ho ancora iscritti a parlare. Suppongo che il gruppo comunista desideri illustrare la richiesta di sessione straordinaria.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, i motivi che ci hanno spinti a richiedere la convocazione straordinaria del Consiglio Regionale sono molti: la gravità delle decisioni del 15 agosto del Governo americano; la portata mondiale di tali misure; la percezione, prima ancora che i dati delle conseguenze che ne sarebbero derivate per l'economia del nostro Paese e della nostra regione. Ma prima di tutto, persino prima delle conseguenze economiche prevedibili, c'è stato un moto di protesta, un istintivo moto di condanna e di rivolta verso il carattere unilaterale, non concordato prepotente e imperialista delle misure americane. Abbiamo in sostanza sentito che prima di tutto bisognava che il nostro Consiglio fosse chiamato a fare ciò che il Governo italiano non aveva sentito il dovere di fare cioè di esprimere una condanna delle misure americane, se si voleva affermare la volontà di difendere la sovranità nazionale da un atto che non si può soltanto recepire per passare subito a vedere ciò che si può fare per mitigarne la portata, ma che va respinto perché non può essere accettato da nessun Paese un sistema di rapporti internazionali basato sulla prepotenza.
I professionisti della commozione a freddo, che si commuovono sempre puntualmente, ad ogni anniversario dei fatti di Ungheria e di Cecoslovacchia, non hanno questa volta sentito il dovere di prendere la penna e la parola per denunciare il muro che veniva eretto per tutti i confini degli Stati Uniti alle merci degli altri Paesi, l'invasione di dollari fasulli sui mercati europei, la sovranità limitata che veniva imposta agli altri Paesi capitalistici dal paese-guida che non accettava più di stare alle regole del gioco che gli Stati Uniti avevano scritto sottoscritto e firmato a Bretton Woods quando però avevano le loro casse piene di oro vero ed erano, allora, dopo la guerra, il più grande paese esportatore del mondo. Oggi gli Stati Uniti hanno un'economia in crisi da anni, hanno le casse vuote di quell'oro che avrebbe dovuto garantire la solidità della loro moneta, hanno il mercato invaso dalle merci del Giappone e degli altri Paesi del mondo, hanno 27 miliardi di debiti con le banche centrali europee, hanno un deficit nella bilancia dei pagamenti di tre miliardi di dollari all'anno, hanno prima inondato il mondo con dei dollari-carta che non valevano quello che dicevano valessero, poi, quando anche con queste misure protratte nel tempo non ce la facevano più a uscire dalle loro difficoltà, quando si è trattato di pagare le cambiali che avevano firmato con tutti i Paesi del mondo non solo non vogliono pagare non solo dicono che non pagheranno, ma intendono far pagare a quelli che gli hanno fatto credito e hanno pagato per loro.
Qualcuno potrà consolarsi in Italia e accettare tutto questo come normale, qualcuno potrà persino gioire del fatto che in compenso però ci hanno regalato il comando NATO in Italia, quello che era stato respinto da Malta. Ma perché dovremmo accontentarci noi? Perché dovremmo essere d'accordo? Perché dovremmo pagare i colpi di stato in Bolivia; i prezzi dei colonnelli greci; perché dovremmo continuare a pagare gli spioni del Sifar perché dovremmo pagare i gorilla brasiliani con i soldi americani; perch dovremmo pagare gli aiuti finanziari di ogni genere che vengono dati alla politica di Israele? I nostri ineffabili ministri in questi giorni (parlo non di tutti i ministri, ma di alcuni, Piccoli e Preti che hanno così autorevoli esponenti loro amici in questo Consiglio) hanno preso sì la parola, hanno sì inondato di loro dichiarazioni la stampa italiana, ma non per protestare, non per dire che gli Stati Uniti tentavano di far pagare a tutti i lavoratori morali nel Vietnam: 120 miliardi di dollari, 370.000 lire per ogni cittadino americano, che adesso dovremo pagare anche noi. No l'uno ha proposto un consistente sistema di disoccupazione nazionale per far fronte alla situazione e l'altro ha preso la parola per dire che la sua riforma tributaria non si tocca e che dobbiamo accollarci anche noi una parte delle spese della crisi generale.
Ecco, prima di tutto quindi una condanna se si vuole stabilire un minimo comun denominatore di buona volontà e assieme, certo, l'indicazione di una proposta di carattere generale che non riguarda solo il nostro Consiglio, ma che non può non essere presentata quando i fenomeni hanno tale portata. Una nuova politica economica e finanziaria e una nuova politica estera, perché non si esce da questa spirale se non si imbocca una strada profondamente diversa, basata sulla sicurezza europea e basata anche sulla riforma del sistema monetario che non può più essere fondato su una moneta come quella del dollaro se non si vuole ricreare, prima o dopo, lo stesso meccanismo che ci ha portati alla situazione attuale. Dobbiamo andare ad un sistema monetario basato su una moneta a determinare la quale siano tutti i Paesi del mondo, a parità di condizioni, se vogliamo dare una prospettiva. Certo non è un obiettivo di immediata realizzazione, ma dobbiamo lavorare in questa direzione. E subito dopo dobbiamo condurre a un'analisi rigorosa delle conseguenze che già si sono verificate e che si verificano con un certo crescendo che ha forse meno vistosità dell'atto clamoroso che gli ha dato origine, ma che però continua. E se si fa attenzione, ogni giorno abbiamo degli episodi che incidono già concretamente nella condizione dell'economia italiana e dell'economia europea. E cioè là sul piano economico, sul piano dei conflitti sindacali sul piano politico. Il meccanismo è stato messo in modo ed è destinato ad agire per un lungo periodo e a modificare sostanzialmente l'assetto dell'economia europea e mondiale. E cominciamo dal fenomeno più immediato e più vistoso, che convince e colpisce tutti, naturalmente in misura ben diversa perché non siamo affatto tutti eguali nella nostra società, e cioè l'aumento del costo della vita. Non c'è bisogno di essere economisti eccelsi per accorgersi che dal 15 agosto ad oggi la carne è arrivata a 3000 lire al chilo ed oltre, che un etto di prosciutto è arrivato a costare fino a due ore di lavoro di un operaio, il "prosciutto fluttuante" come un settimanale ha intitolato la sua prima pagina in queste settimane, che i polli, pure loro poverini, anche se artificiali, anche se ridotti al rango di carne dei poveri, sono aumentati di 50/100 lire l'uno, che il burro arriva alle duemila lire al chilo, che il 21 agosto è stato aumentato il prezzo del latte di dieci lire. In sostanza, si tratta di un aumento generale dal 10 al 20 per cento sui generi alimentari e la gente chiede che cosa sta succedendo, perché c'è questo aumento. C'è un improvviso aumento della domanda per cui a pari offerta aumentano i prezzi? Questi piemontesi tornati dalle ferie, quelli che sono riusciti ad andare, quelli che sono riusciti a tornare sani dall'acqua inquinata e soprattutto quelli che sono riusciti a tornare vivi perché se è difficile andare in ferie in Italia, è ancora più difficile rimanere intatti, sia che si prenda l'autostrada, sia che si vada per mare: 205 morti nel mese di luglio, 8000 feriti; se uno poi prende una nave di un armatore greco sa cosa gli può capitare, ebbene questi piemontesi si sono improvvisamente dedicati a rimpinzarsi di carne di burro, di polli, di verdura, di frutta, hanno immagazzinato le loro case di questi prodotti? Sapete che non è successo niente di tutto questo. Colpa dei consumatori? Colpa dei lavoratori, perché in genere quando le cose vanno male in Italia da un anno a questa parte la colpa è sempre degli operai che fanno gli scioperi? Ma cosa c'entrano gli scioperi? La misura americana è stata presa il 15 di agosto, le fabbriche erano chiuse, quando gli operai sono tornati Io sciopero l'ha fatto la Fiat che ha messo in sospensione 6000 operai. Stavolta è difficile dare la colpa ai lavoratori ed ai loro scioperi di quello che sta succedendo. Colpa dei contadini? Voi sapete bene che le cose non stanno così, voi sapete che si è creata in Italia una situazione scandalosa per quanto riguarda il costo della vita dei generi alimentari; esige un'altra protesta e anche una presa di coscienza, una svolta in politica economica e un'iniziativa concreta anche della nostra Regione.
Il prezzo del latte è aumentato a Torino, ma di questo non arriverà niente ai contadini, mentre ai padroni privati della Centrale del Latte toccheranno circa 200 milioni all'anno in più; il burro costa duemila lire al chilo, ma all'origine viene pagato al produttore 450 e i magazzini delle organizzazioni europee lo tengono bloccato, lo distruggono per non fare diminuire il prezzo; la carne costa tremila lire al chilo, ma ne importiamo ogni mese quantità enormi dall'estero; si parla di centinaia di miliardi l'anno di deficit della bilancia dei pagamenti delle importazioni e nello stesso tempo, invece di promuovere una zootecnia moderna che ci renda autonomi in questo campo, i contadini vengono pagati perché distruggano le vacche che hanno. Si paga la frutta 300/400 lire al chilo, ma milioni di quintali di frutta vengono distrutti ogni settimana, ogni giorno, in quello che è ormai uno scandalo nazionale, una vergogna che deve finire in un paese che ha ancora così grandi zone di miserie, di arretratezza e viene distrutto il lavoro della gente che dedica un anno per portarlo a termine.
Non è possibile che per fare un piacere al Governo americano poco prima che ci fossero i provvedimenti di Nixon sia stato ridotto il dazio dal 15 all'8 per cento sulle arance della California, per cui sui mercati di Porta Palazzo arriveranno quelle arance che costeranno meno di quelle che vengono dalla Sicilia, e allora toccherà, come misura di politica agraria distruggere gli aranceti siciliani così i prezzi rimarranno su.
Non è possibile accettare passivamente tutto questo che è il frutto sì, anche di intermediazioni parassitarie, sappiamo quanto pesano, ma che d'altra parte si sarebbero potute togliere perché queste intermediazioni non sono di oggi, sono di lungo periodo, ma è il risultato del fallimento di tutta la politica agricola comunitaria, della politica agraria del Governo italiano basata sulla difesa dei prezzi invece che imperniata sulle riforme delle strutture agricole. Ecco perché ci vuole una svolta radicale in questo settore. Ma intanto occorrono misure e iniziative concrete che la impongano, che la propongano al Governo, che la sollecitino, che facciano crescere l'ondata di protesta verso una situazione insostenibile.
Io propongo una riunione immediata della Giunta con i Comuni capoluogo della Regione, con le organizzazioni cooperative e i sindacati e successivamente un'iniziativa della nostra Regione per un incontro da tenersi subito con le Regioni del centro Italia e con le Regioni del sud grandi produttrici di prodotti alimentari, con l'Emilia che ha preso una posizione molto responsabile e molto coraggiosa; si è impegnata a fare in modo che nel 1972 nemmeno più un etto del prodotto dei contadini sia distrutto e di operare nel corso del prossimo anno perché questo avvenga.
Allora ecco un incontro, una iniziativa politica immediata della nostra Regione per collegarsi a questa e alle altre Regioni e per vedere come si può operare per intervenire sulle strutture dei mercati e per garantire un collegamento diretto fra la produzione e la vendita al minuto, per studiare un piano di interventi che si muova sia nella direzione di avanzata verso le riforme di struttura dei mercati, sia di iniziative dirette e immediate utilizzando la struttura del mercato cooperativo che già esiste in Piemonte e utilizzando anche altri strumenti che possono essere studiati assieme ai Comuni e alle organizzazioni cooperative. Ma questo impone anche alla Regione Piemonte di passare dalle dichiarazioni, dagli ordini del giorno dalle volontà espresse ai fatti, alla costituzione di quell'ente di sviluppo agricolo che a parole diciamo tutti di volere, ma poi non si fa nulla per concretamente dargli atto, per dargli figura, consistenza. Certo non sarà problema di un giorno, ma questo giorno non verrà se non si comincia a studiarne i contenuti, le caratteristiche, se non si mette allo studio tutto ciò che bisogna fare perché l'ente di sviluppo agricolo diventi una realtà nel nostro Piemonte.
Ma le conseguenze non sono solo sul costo della vita, che d'altra parte esigono un blocco dei prezzi e c'è già qualche risultato di questa presa di posizione delle organizzazioni sindacali, di questo modo dell'opinione pubblica indistinto. Ci sono già le prese di posizione del Governo, per alcune di queste non lasciano intendere una linea che porti davvero a un blocco duraturo dei prezzi, lasciano soltanto intendere una manovra che viene condotta per rispondere in questo momento con questo blocco, ma poi prendere l'avvio perché certe tariffe dei servizi pubblici vengano aumentate. La coincidenza del fatto che il Comune di Torino abbia annunciato prima, e poi dovuto ritirare, l'aumento del prezzo del tram a cento lire, lascia intendere che la direzione di marcia sia ancora opposta a quella che noi proponiamo.
Dicevo però che le conseguenze non sono soltanto quelle: sono l'inasprimento di quella che giustamente è stata definita la contr'offensiva padronale, con un attacco all'occupazione, alle lotte dei lavoratori per il salario, la difesa della salute, per i diritti sindacali.
La linea è chiara e a guidare la danza è la Fiat in prima persona. E' dell'altro ieri il migliaio di sospensioni per ritorsione alle carrozzerie della Mirafiori, alle linee della 124 e 125. Sono di ieri le ventidue lettere di licenziamento mandate ad attivisti sindacali della Subalpina di Arquata Scrivia; è di ieri l'allucinante esperienza che abbiamo vissuto, io e il Vicepresidente della Giunta Cardinali, nei nostri tentativi di cercare di riunire le parti della vertenza in atto alla fabbrica Rotondi di Novara dove la proprietà ha ordinato 180 sospensioni non perché manchi il lavoro nel complesso, non perché le altre fabbriche del complesso non funzionino o non abbiano ordinazioni, in realtà lavorano a pieno ritmo, ma perché la fabbrica ha un conflitto sindacale che dura da tre mesi e allora, per stroncarlo sono stati messi a cassa integrazione 180 operai realizzando una divisione profonda fra quelli che lavorano e quelli che non lavorano. Gli operai non hanno avuto altro mezzo, per far valere le loro rivendicazioni che usare la loro arma di lotta che è quella dell'occupazione della fabbrica e agendo su queste divisioni il padrone è riuscito (certo, per debolezza anche del movimento sindacale) a organizzare una pattuglia di operai e di capi che sono andati ai tribunali a chiedere che la forza pubblica intervenisse nei confronti degli operai che occupavano la fabbrica.
Ieri io e il Vicepresidente della Giunta abbiamo parlato con il dr.
Orlando, presidente della Confindustria novarese e avremmo voluto avere un registratore per farvi sentire il contenuto della sua conversazione, perch in realtà ha parlato solo lui, tentava il Vicepresidente della Giunta di interloquire, di fare presente la situazione, ma parlava solo lui e i concetti erano questi: i sindacati devono rompersi la testa, i tempi sono cambiati, non trattiamo con nessuno, non verremo a una riunione con la Regione, la Magistratura deve intervenire per fare sgomberare con la forza gli operai che sono lì dentro. Vogliono la prova di forza, fiutano anche loro l'aria, il clima, pensano che sia possibile sferrarla là dove il movimento è più debole.
Per l'estrema gravità della situazione noi chiediamo che il Presidente della Giunta, che, tra l'altro, abbiamo saputo, è anche cognato del vice presidente della Rotondi, intervenga immediatamente per arrivare ad una convocazione delle parti che sblocchi la situazione, come permette lo Statuto dei diritti dei lavoratori, come esige la gravità della situazione come impone il fatto che non deve essere concessa a nessuno una pratica che considera il potere pubblico utile solo quando si devono mungere soldi alla collettività e inutile ed estraneo, anzi dannoso, quando si deve rendere conto della propria politica.
La contro-offensiva padronale si incentra e cerca anche di utilizzare come sempre, la stessa situazione di difficoltà che interessa anche certi settori industriali per renderla più aspra e per speculare. C'è tutta una storia del capitalismo italiano che ha fatto scuola in questo campo. I dati ufficiali pubblicati non dicono tutto. La Cassa di Risparmio ha pubblicato un egregio studio che ci dice le questioni fondamentali della difficoltà: 43,01 per cento dell'esportazione del Piemonte verso gli Stati Uniti è inerente ai mezzi di trasporto, il 32,62 per cento concerne invece l'industria meccanica, segue l'industria chimica della gomma, poi l'agricoltura con il 6,4 per cento e i tessili con il 5,20 per cento. I dati dicono che le esportazioni del Piemonte verso gli Stati Uniti rappresentano l'8,93 per cento di tutte le merci esportate dalla Regione e lo studio fatto dal Partito Socialista ci dice altri dati interessanti sulla situazione dei primi sei mesi del 1971. Ma nei dati, come sempre succede nelle statistiche italiane che sono molto spesso ispirate più a Trilussa (e non voglio dire che queste statistiche siano ispirate a Trilussa ed al suo aforisma sul pollo) che non invece all'analisi matematica, sono nascoste entità o celati problemi diversi come sono quelli delle grandi aziende nei confronti di quelli delle piccole e medie imprese industriali ed agricole.
Non faremo certo l'errore di credere che siano la Fiat e la Olivetti le prime a dover essere assistite con contributi e con denaro pubblico, quasi non ne avessero già abbastanza direttamente e indirettamente, anche se non facciamo difficoltà a credere che delle due il colpo più duro l'ha avuto la Olivetti. Ma per i grandi complessi il problema, se lo si vuole affrontare alla radice, (credo che il nostro Consiglio Regionale l'abbia già affrontato in più occasioni) è quello che abbiamo già indicato altre volte ed è quello di un controllo democratico e pubblico, ma non solo nel momento delle difficoltà, bensì nel momento delle scelte, delle impostazioni. A questo controllo finora i grandi complessi nazionali e multinazionali sono sfuggiti. Certo, per realizzare questo si pongono problemi nuovi di unità anche alla classe operaia, di collegamento internazionale, ma finora la questione è risolta, c'è tutto un problema di linea che deve essere portato avanti. Intanto, per il momento loro cercano di evitare, di insabbiare (quando anche sono costretti ad entrare nell'ordine di idee) qualunque tipo di controllo, come è già successo anche nella nostra esperienza regionale.
Ora deve essere chiaro che se richieste di quattrini direttamente o indirettamente vengono da questi grandi gruppi noi dovremmo essere categorici nel dire di no; non è in questa direzione che si può affrontare una politica di programmazione in questo momento. Non abbiamo avuto noi la possibilità di essere consultati quando la Fiat ha aumentato tre volte i prezzi quest'anno; non ci ha mica detto niente quando ha deciso gli investimenti o gli insediamenti industriali, abbiamo dovuto prendere conoscenza sempre a posteriori, abbiamo sempre dovuto intervenire dopo che le scelte erano state fatte. Non siamo estranei alle difficoltà della grande azienda, ma si pone allora il problema di fondo di un controllo generale sugli investimenti e sulle conseguenze dei terremoti monetari, dei terremoti economici del mondo capitalistico, se no interventi sporadici in questa direzione sono soltanto elargizione di denaro pubblico per le scelte dei privati. Ma come al solito i dati non riescono ancora a dire l'immediatezza delle conseguenze, la concretezza dei problemi; non ci dicono cosa è successo o cosa sta succedendo per gli orafi di Valenza, per i coltivatori diretti dell'astigiano, dell'alessandrino che esportano vini e spumanti non solo negli Stati Uniti ma anche altrove, per i rubinettai del Verbano, per i calzaturieri, per certe piccole aziende di maglierie per il settore tessile nel suo complesso, per alcune produzioni di materie plastiche sub-fornitrici della Olivetti che già hanno ricevuto la disdetta successivamente al 15 di agosto. Ma soprattutto i dati non ci dicono ancora quelle che saranno le conseguenze della guerra di mercato che si scatenerà che si è già scatenata nelle diverse economie capitalistiche europee; e il gigante giapponese che colpito nella direzione della sua esportazione verso gli Stati Uniti non potrà non riversarsi verso altri mercati, fra i quali certamente l'Europa, più di quanto già non stia facendo e come abbia fatto in questi anni con le sue macchine fotografiche e con l'industria ottica.
L'industria tessile, secondo la dichiarazione riportata dall'Espresso di un dirigente del biellese, ha solo il 10 per cento di esportazioni verso l'USA, ma intanto due industriali che hanno un mercato di un miliardo di fatturato sono partiti il 16 di agosto per gli Stati Uniti per vedere le cose che sarebbero successe alla loro azienda. Nessuno può dimenticare la situazione complessiva dell'industria tessile nel biellese, l'abbiamo ampiamente documentata con l'intervento esemplare del nostro Consigliere Furia che a questo proposito nel precedente dibattito ha sollevato, in polemica con la Giunta per l'insediamento Lancia, ma in concreta analisi della situazione dei tessili, la dimensione del problema piemontese.
Non sono i dati a dirci ciò che abbiamo appreso - Assessore Borando e Assessore Cardinali assieme al Consigliere Bono - in quella riunione tenutasi giorni fa con i sindaci della zona di Arona e con le operaie della fabbrica Mattel di Oleggio Castello. Perché cito l'esempio di questa fabbrica? Perché è l'esempio del comportamento del capitale straniero qualunque esso sia, nei confronti dell'economia piemontese o italiana.
Questo esempio serve a farci vedere le conseguenze di varia natura che deriveranno dai provvedimenti americani. In quella riunione noi avevamo di fronte degli operai e delle operaie che avevano ricevuto la notizia che la fabbrica chiuderà entro il 31 dicembre. Nel '69 la Mattel - che è una delle più importanti aziende del mondo nella produzione di bambole e di giocattoli - con capitale americano rileva una fabbrica concorrente che le dava fastidio sul mercato italiano, la Racchi e Valenzasca, promette un decollo con un traguardo di 500 dipendenti, assume tecnici e laureati, poi sbaglia i piani, sbaglia l'analisi di mercato internazionale (forse questi sbagli sono persino voluti perché negli intenti c'era addirittura la volontà di arrivare a questo, non lo so, questa è un'ipotesi, è un processo alle intenzioni) la produzione diventa scadente, ingenti partite di prodotto finito rimangono invendute e dalle grandi promesse si passa all'altro disegno: liquidazione dell'azienda, licenziamento di tutti i dipendenti al 31 dicembre, mantenimento di un centro di smistamento e di vendita dei prodotti che vengono costruiti invece all'estero negli altri stabilimenti del complesso mondiale. Risultati: prima c'era un'azienda italiana che produceva, dava lavoro, rendeva; il 31 dicembre, se vanno avanti le cose così non ci sarà più niente, ci saranno 300 disoccupati in più, un concorrente dell'industria americana in meno e i padroni rispondono al sindaco di Arona, dall'America, con una lettera, che loro hanno fiducia che i lavoratori troveranno un posto e che non possono certo venire dalla California per discutere, con i comuni del Piemonte e con la Regione, le sorti di una fabbrica che, loro, hanno già deciso.
Si pone qui un problema anche di legislazione, si pone per lo meno lo studio di una misura di controllo che non ci isoli certo dall'ingresso di capitali anche da altri paesi, non possiamo tornare a meccanismi di questa natura, ma che ponga dei controlli, che ponga delle condizioni. Non è possibile che si distruggano le economie concorrenti e poi, quando gli va bene perché in Giappone succede qualcosa, si toglie via tutto, si butta la gente sul lastrico; non è pensabile che un'economia possa andare avanti con questi sistemi senza un controllo, senza delle misure, senza una riforma.
Si affronta una situazione come questa solo con una decisa politica di programmazione, quella che ho detto per questa fabbrica, ma quella che ho indicato per tutte le altre, che esca dalle petizioni di principio, che si doti anche a livello regionale degli strumenti necessari; la posta in gioco torna ad essere prima di tutto l'occupazione.
Nei precedenti Consigli Regionali ci siamo occupati prevalentemente dei problemi economici dall'angolo visuale della congestione, del concentramento di attività nel Piemonte o in certe zone della regione e quei fenomeni rimangono e nel momento stesso in cui stavamo indirizzandoci in questa direzione, ecco che avviene un fenomeno estraneo all'economia italiana che ha origine negli Stati Uniti, nella situazione mondiale dell'economia capitalistica che ripropone brutalmente, in termini immediati, anche per il Piemonte, problemi di occupazione.
A Casale ieri la ditta Giorcelli ha chiesto la cassa integrazione per 120 dipendenti; l'Eternit (sempre ieri) ha messo a cassa integrazione 250 operai. Nel biellese, in attesa che la Lancia arrivi, come da promessa del nostro Presidente Calleri, intanto la Botto chiude e quasi la metà dei dipendenti lavora a orario ridotto. Nel vercellese la Chatillon prepara sospensioni e licenziamenti. Ieri 50 sospesi alla torcitura di Borgomanero.
E si potrebbe continuare così. Ma al di là dei singoli casi, che tuttavia danno l'illustrazione di un fenomeno, noi sappiamo lo sfondo qual è, è uno sfondo ricco di difficoltà reali e di manovre, di pericoli seri e concreti e di esigenze che vengono avanzate non correttamente, ma con la pressione e con il ricatto anche dell'occupazione, con situazioni che vengono esasperate ad arte per ottenere di più. Fondamentale è quindi la necessità di vederci chiaro e limpido in ciascuno dei fenomeni, di avere un'analisi attenta di ciascuna situazione; non ci può accontentare nemmeno un giudizio di carattere generale, nemmeno i dati, che pure sono importanti per capire le tendenze dei fenomeni.
Cosa vorrebbe dire infatti in Piemonte, così come si sono venute a creare queste città, lo scoppio di un problema di occupazione che in fondo negli ultimi anni non era stato drammatico? In una città come Torino dove centinaia di migliaia sono immigrati a bassa qualifica, occupati nel modo che conosciamo, cosa dovremmo dire loro? Tornate nel Sud. A fare cosa? Perché non ci sono soltanto le misure americane, c'è lo sciopero degli investimenti che continua, c'è la paralisi degli investimenti che continua come prima. La riforma agraria è quella che è, gli investimenti nel Sud vanno a rilento. Ma solo nel Sud? In questi giorni (le notizie cattive non vengono mai sole) sono stati resi noti i dati del censimento Istat sui giovani disoccupati in Italia, continuano a essere 700.000. Quando facevo il dirigente del movimento giovanile comunista, mi ricordo che ero responsabile della commissione della gioventù lavoratrice e ricordo che ogni anno, la prima cosa che facevamo era di contare i giovani disoccupati.
Ma questo succedeva (purtroppo per me) quindici anni fa! Ed erano 700.000 sono passati quindici anni e sono sempre 700.000: 44.000 solo a Napoli 29.000 in Sicilia; 20.000 in Puglia. Il Sud. No, non il Sud, la Liguria perché in Liguria solo il 20 per cento dei diplomati, dei laureati giovani sotto i 21 anni trovano lavoro, gli altri vanno a cercarselo dove possono.
Il Nord e il Sud: questo problema c'è sempre e potrebbe diventare esplosivo e drammatico se le conseguenze fossero quelle implicite nelle misure americane e nella crisi dell'economia capitalistica nel suo complesso.
In questa situazione noi chiediamo un rilancio della politica di programmazione e chiediamo alla Giunta di farsi promotrice di iniziative diverse, che affrontino il problema in tutti i suoi aspetti, immediati e di prospettiva. Proponiamo che immediatamente siano promosse in tutte le province del Piemonte, in collaborazione con le Amministrazioni Provinciali, (che quindi per intanto, in attesa del loro futuro, comincino ad occuparsi, come centri coordinatori di programmazione) delle riunioni congiunte con i sindacati, i rappresentanti di piccole e medie industrie gli operatori economici dell'agricoltura, gli Enti locali, le organizzazioni cooperative; ma riunioni ridotte, non con centinaia di persone, con la gente che ha in mano la situazione attuale delle singole province, meglio se dei singoli comprensori, al fine di arrivare all'accertamento di tutte le situazioni di crisi effettiva agricola e industriale, o di conflitto che pongano problemi di occupazione.
Tale indagine, viva e diretta, servirebbe a stabilire, ad avere un quadro delle misure immediate che si possono prendere, nella direzione delle quali occorre spingere se non possono essere prese da noi ma hanno bisogno di un intervento governativo. Dovrebbe cioè permetterci di individuare una linea di intervento, però a breve periodo, di carattere locale, regionale e nazionale e anche a destare le forze che ci sono. Se noi pensiamo che da questa situazione si esca soltanto con provvedimenti di carattere generale sbagliamo noi, ci vuole un indirizzo di politica nuova su scala nazionale, eccome, è fondamentale, senza quello davvero cambia nulla; una politica economica e finanziaria diversa, nazionale ed internazionale. Ma poi bisogna arrivare alla mobilitazione di tutte le risorse e questo lo possiamo fare se arriviamo a un'indagine viva, non ci servono da questo punto di vista, nemmeno i documenti e gli studi che abbiamo fatto due o tre anni fa, è la concretezza della situazione attuale che fa legge e che dobbiamo esaminare e valutare con loro; partecipazione vuol dire in questo momento partecipazione comune allo stabilimento delle cose che non vanno e dei modi di intervento e anche eliminazione degli elementi strumentali se, eventualmente, ci fossero e noi abbiamo la certezza che ci siano.
Io fisso dei termini come elemento di valutazione collettiva, queste riunioni dovremmo farle nel giro di quindici giorni, per le cose immediate bisogna fare in fretta. D'altra parte le Province possono farlo, mi consta che numerosi gruppi consiliari delle province del Piemonte stanno avanzando richieste del genere alle Amministrazioni Provinciali, quindi queste riunioni si possono fare in quindici giorni, si possono fare tutte se la Giunta Regionale assume l'iniziativa politica di proporle, di coordinarle.
Capite quanto poco ci sia di strumentalismo politico, le Amministrazioni Provinciali del Piemonte sono tutte presiedute da Presidenti D.C. Quindi andiamo al concreto, facciamo le cose che servono, proponiamo delle iniziative che riescano a suscitare dell'interesse e della mobilitazione.
Poi proponiamo delle conferenze di settore; queste potrebbero tenersi entro il mese di ottobre o anche novembre, ma non più in là perché certe situazioni si fa in fretta ad avvertirle, a conoscerle. Queste conferenze noi le proporremmo per il settore tessile, metalmeccanico e dell'oreficeria che, da queste misure, da questa situazione, verrà colpito in modo drammatico; il suo mercato è certamente per l'esportazione, è il 60 per cento della produzione mondiale quella che c'è nella zona di Valenza in quest'ultimo campo.
Infine di predisporre l'inizio delle conferenze di comprensorio come base della politica di programmazione e fra queste suggerirei di iniziare le conferenze nel comprensorio del biellese, dell'alessandrino e dell'alto novarese, individuando fra questi tre settori quelli che per le difficoltà che ci sono, per la geografia, per il genere di lavoro sono forse quelli che necessitano di un interessamento immediato.
Queste cose dovrebbero essere fatte entro l'anno, si tratta di aprire una fase di consultazione democratica che veda la Regione protagonista e con un ruolo dirigente di accertamento, di suscitazione di interessi e di energia.
Accanto a questo noi dovremmo anche avanzare, nei confronti del Governo, una serie di richieste di carattere generale, ma che sono più semplici da definire, perché in effetti verso queste richieste convergono numerose organizzazioni di categoria, settoriali, che in linea di massima sono quelle che fanno carico alla situazione attuale, possono intervenire efficacemente nella situazione attuale: rimborso dell'Ige, facilitazioni creditizie, fiscalizzazione degli oneri sociali per certe categorie. Ma tutte queste cose dobbiamo condizionarle al mantenimento dei livelli di occupazione, dobbiamo avere un indirizzo e anche un modo di proporre queste richieste all'intervento del Governo che metta la questione dell'occupazione in primo piano, altrimenti intervenire soltanto per erogare denaro pubblico senza avere questa garanzia, evidentemente, non porta a un inizio di una politica economica diversa, permette soltanto di mantenere in vita anche determinate strutture industriali che in realtà molte ragioni di sopravvivenza in una situazione di questo genere non l'hanno, perché sono state create in situazioni tali con sottosalario, con pochissima attrezzatura tecnica, con poca inventiva e hanno soltanto sfruttato l'occasione di un momento della vita economica del Paese. In un momento come questo si pongono anche problemi di questo genere che dobbiamo affrontare in tutta la loro portata.
Queste sono le proposte che avanziamo come base di discussione per l'odierna seduta del Consiglio Regionale e le proponiamo a questa Giunta che voi sapete quanto poco ci soddisfi, che voi sapete come noi siamo impegnati giorno per giorno a farla cadere, tuttavia rappresentiamo un partito così forte, che ha interessi dei lavoratori da difendere così ampi che non vogliamo lasciare nessuna vacanza, non vogliamo lasciare nessuna Giunta, per debole, per paralitica che sia, nella condizione di attendere soltanto che i giochi di partiti possano cambiare, mutare le maggioranze e via di questo passo; la situazione esige interventi immediati che devono essere presi da questa Giunta, senza nessun alibi e senza nessun rinvio.
Queste le proposte responsabili che credo possano costituire una base seria di discussione in Consiglio e soprattutto debbano costituire una base di decisioni chiare alla fine del dibattito, con tempi definiti, con le scadenze che saranno accolte dalla Giunta e dall'assemblea fissate e rispettate, perché già c'è un problema di credibilità in discussione nell'opinione pubblica piemontese dal quale ne usciamo soltanto se in una situazione economica di questo genere prendiamo davvero il toro per le corna e facciamo assolvere alla Regione la funzione che può avere. Come ripeto, non una funzione che deriva dai quattrini che dà, dai poteri legislativi che ha in questo momento, ma dai poteri di iniziativa politica che nessuno le ha mai contestato e che tocca alla Giunta ed al Consiglio Regionale di esprimere in una situazione come l'attuale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, fin dal 1967 è tutto un susseguirsi di avvenimenti che rivelano lo stato di tensione e di crisi del sistema monetario internazionale. Il 1967 vede la svalutazione della sterlina inglese, il 1968 la temporanea chiusura dei mercati valutari e dell'oro e la creazione del doppio mercato di quest'ultimo. Lo stesso anno il marco tedesco è costretto dalla forte domanda a superare il limite di tolleranza nei confronti del dollaro. Nel 1969 è decisa la svalutazione del franco francese e la rivalutazione del marco tedesco, preventivamente lasciato libero di fissare il suo corso attraverso le leggi della domanda e dell'offerta in regime di cambi fluttuanti. Nel 1970 inizia la fluttuazione del dollaro canadese: la misura è dichiarata provvisoria, ma è tuttora in vigore. Nel maggio scorso i principali mercati valutari europei sono costretti a chiudere per difendersi dal sempre maggiore afflusso di dollari e fallisce il vertice monetario europeo riunitosi per decidere un'ulteriore limitazione dei margini di fluttuazione fra le monete dei paesi del MEC. Il marco tedesco ed il fiorino olandese entrano in regime di cambi fluttuanti mentre il franco svizzero e lo scellino austriaco vengono rivalutati.
La causa del ripetersi delle crisi suesposte va ricercata soprattutto nel persistente indebolimento del dollaro, aggravato da sempre più vistosi deficit della bilancia dei pagamenti americani, e nell'eccessiva rigidità del sistema di Bretton Woods che costringe le varie valute, la cui parità è ancorata al dollaro, a continue svalutazioni e rivalutazioni quando i tassi di cambio non consentono più il raggiungimento dell'equilibrio dei loro saldi con l'estero. E' stato infatti adottato un regime di "cambi fissi" per cui le varie valute possono fluttuare, rispetto al dollaro, solo nella ristretta misura dell'1 per cento al di sopra e al di sotto della parità dichiarata. Oltre questi limiti le autorità monetarie hanno l'obbligo di intervenire quando le quotazioni della valuta nazionale si avvicinino ai limiti estremi consentiti. In sostanza, l'intervento si riduce ad una continua difesa del dollaro, le cui quotazioni erano in costante ribasso.
In questo contesto il ruolo del dollaro è diventato sempre più predominante. La moneta americana è l'unità di conto, la valuta per i regolamenti, la valuta di intervento nei mercati dei cambi, la valuta principe negli scambi internazionali, la valuta esclusiva di riserva, ma proprio per questi esorbitanti privilegi è stato eliminato ogni spazio di manovra e di sindacato sul suo comportamento e sulla sua effettiva valutazione. Grazie a questo ruolo ed a causa del ben noto deficit della bilancia dei pagamenti americana, dovuto a spese militari, cioè alla guerra, ad aiuti unilaterali all'estero, in tutti gli anni considerati si assiste ad una sbalorditiva crescita dell'ammontare degli eurodollari seminati abbondantemente in tutto il mondo. Questa massa di moneta calda internazionale, che funge da vera e propria cintura di collegamento fra la congiuntura americana e quella del resto del mondo, è sempre pronta a precipitarsi sui mercati in cui è maggiormente remunerata, con grave pregiudizio delle politiche economiche degli Stati interessati e della loro stessa sovranità.
Le autorità monetarie dei Paesi con moneta più forte, sono state così costrette, volenti o nolenti, ad acquistare delle ingenti quantità di eurodollari per assicurare la parità delle loro monete. Ripetutamente invitati a prendere dei provvedimenti, gli americani si sono sempre astenuti negando l'evidente debolezza del dollaro e limitandosi a chiedere più o meno velatamente, la rivalutazione delle principali monete europee e nel contempo, dello yen giapponese, quella che più interessava. Il contrasto tra Europa ed America emerge nella riunione dell'OCSE (Organizzazione di cooperazione e di sviluppo) del 7 giugno, in cui gli Stati Uniti dichiararono ufficialmente l'intenzione di riequilibrare il deficit della loro bilancia dei pagamenti valutari, solo con l'attivo delle partite correnti. In quell'occasione il Ministro del Bilancio ad una riunione disse espressamente: "Non si possono accettare soluzioni che per garantire la completa libertà di circolazione internazionale dei capitali facciano ricadere l'onere dell'aggiustamento della bilancia dei pagamenti americana solo sullo scambio di merci e di servizi".
Tale posizione risulta essere quella del MEC, che sottolineò la necessità di controllare in primo luogo il movimento speculativo dei capitali, vale a dire degli eurodollari. Fece inoltre notare che la bilancia commerciale americana nei confronti del Mercato Comune è già all'attivo. (La Francia, per esempio, ha avuto nel 1970 un deficit di 540 milioni di dollari contro un attivo di 396 milioni di dollari della Germania federale, il principale Paese esportatore negli USA; quanto all'Italia, il deficit è stato di 36 milioni di dollari).
A questi motivi di contrasto si sono aggiunti, a far traboccare il vaso, le misure francesi volte a limitare l'afflusso di denaro speculativo e la decisione svizzera di sospendere temporaneamente la convertibilità del dollaro: di qui le note decisioni americane. Oltre ad alcune importanti misure di ordine interno, viene sospesa temporaneamente la convertibilità in oro del dollaro ed annunciata l'introduzione di una soprattassa del 10 per cento sulle importazioni che non siano già soggette a contingentamento.
Le implicazioni della unilaterale decisione degli Stati Uniti sono gravissime. E' indubbio che il vero scopo dell'Amministrazione Nixon nell'imporre la sovrattassa, sia stato quello di mettere il resto del mondo davanti ad un secco aut-aut: o rivalutare, o subire le conseguenze della tassa nocive per il commercio internazionale, per le economie e la sovranità stessa di vari Paesi, tra cui l'Italia, data la delicata fase congiunturale che stiamo attraversando. Allinearsi con la posizione americana significherebbe riconoscere la presente situazione monetaria di "dollaro-standard", peggiorata dalla presente inconvertibilità in oro del dollaro.
Tale insostenibile sistema permette al governo americano di finanziare il deficit della bilancia dei pagamenti attraverso l'esportazione di valuta nazionale che deve essere accettata in quanto esclusivo strumento di riserva.
Occorre quindi una soluzione che coinvolga la globalità dei rapporti e tenga in debito conto la componente politica della controversia. La soluzione deve essere europea; solo presentandosi uniti al tavolo delle trattative, si potrà mantenere intatto il potere contrattuale del gruppo europeo. In primo momento il MEC, i Paesi che aspirano ad entrarvi e gli altri Paesi europei dovrebbero fissare la parità fra le loro rispettive valute senza riferimento al dollaro; nei loro scambi commerciali e nelle operazioni di intervento sul mercato dei cambi dovrebbero equamente rinunciare all'uso della moneta americana. Ed è proprio quello che invece si cerca di evitare da parte degli Stati Uniti.
Quanto al mercato dell'eurodollaro, le sue fonti di approvvigionamento ed il suo indiscriminato uso dovrebbero essere controllate secondo le tecniche di intervento che riterranno valide le autorità monetarie. Un controllo di tale mercato è infatti possibile, sempre che si abbia la volontà politica di farlo. Tutte queste misure dovrebbero trovare il loro momento di sintesi nell'auspicata unione monetaria e finanziaria. Il conseguimento di tale obiettivo, infatti, pericolosamente procrastinato nel tempo dalle divergenze delle posizioni francese e tedesca, dovrebbe essere portato in porto al più presto possibile. Nella più ampia cornice dell'istituzione di un nuovo sistema monetario internazionale, bisogna eliminare le incongruenze riscontrate nel sistema di Bretton Woods che ha assicurato al dollaro la ben nota situazione privilegiata. Nel nuovo sistema il dollaro non dovrà più avere la funzione di esclusivo strumento di riserva, anche se non verrà completamente estromesso.
La riforma dovrebbe basarsi sui diritti speciali di prelievo importantissima componente per ora solo aggiuntiva di tutte quelle risorse a disposizione degli Stati, per i pagamenti internazionali che costituiscono la liquidità internazionale. Tali diritti speciali di prelievo ricalcano il modello del "bancor", la moneta astratta proposta da Keynes a Bretton Woods e che non si ebbe il coraggio di accettare. In tal modo nessuna moneta arriverebbe ad assumere un ruolo egemone ed il volume della liquidità internazionale, stabilito da un organismo opportuno, tale da superare gelosi concetti di sovranità, assicurerebbe un congruo sviluppo degli scambi internazionali, senza creare le pericolose tensioni inflazionistiche provocate ora dal dollaro. Come è stato fatto notare da più parti, i tempi di perfezionamento della riforma sono presumibilmente lontani. Sono ancora In troppi a non voler abbandonare il regime dei cambi fissi, e lo stesso Fondo monetario è del medesimo avviso.
La sopratassa sulle importazioni, a parte ogni valutazione sulla sua natura strategica, o, se si preferisce meglio, ricattatoria, costituisce un grave handicap per l'economia italiana. La barriera protezionistica da essa innalzata è resa ancor più pesante dagli incentivi americani alle esportazioni e dal blocco dei prezzi, che impedisce agli importatori di addossarne l'onere al consumatore mediante un aumento dei prezzi sul mercato americano. E non sarà qui vano ricordare che proprio il Presidente della General Motors il giorno dopo si dichiarò perfettamente d'accordo anzi, plaudì alle misure adottate dal Governo americano di Nixon.
Considerata anche la rivalutazione che hanno subito le varie valute nel libero gioco di mercato, la competitività dei prodotti europei è diminuita di una percentuale intorno al 25 per cento, secondo recenti valutazioni del Mercato Comune, in quanto al 10 per cento della sopratassa si è sommato l'effetto delle conseguenze del provvedimento.
Occorre una ferma presa di posizione nei confronti degli USA consistente nella formale richiesta dell'abolizione della sovratassa, che com'è stato da tutti sottolineato, è in contrasto con gli accordi internazionali. Sul piano interno, inoltre, bisogna aiutare le industrie maggiormente colpite con sostanziali agevolazioni. Sempre sul piano tecnico, è necessario dare maggiore risalto ai fattori di sviluppo interno e alla soluzione della crisi di struttura di industrie come quella tessile quella dell'abbigliamento ed altre collaterali, che oggi sono così gravemente colpite.
Questi rimedi tecnici devono essere accompagnati da iniziative politiche, quali un generale ampliamento del credito sia normale sia all'esportazione, il pronto rimborso dell'IGE, la subordinazione dell'introduzione dell'IVA, prevista a partire dal 1° gennaio 1972, al rafforzamento delle prospettive comunitarie. L'azione governativa non dovrà prescindere dalla considerazione del salto qualitativo operato dall'economia italiana, il cui sviluppo dovrà essere sempre meno trainato dalla domanda estera. Essenziale, in campo politico, è però soprattutto l'allentamento della tensione di natura terroristica ed economica che viene oggi portata innanzi dalle forze economiche della destra nel nostro Paese tensione che mira a mettere psicologicamente i lavoratori in uno stato di inferiorità, a perpetuare l'attuale situazione di instabilità, in sostanza ha come scopo ultimo quello di battere il movimento dei lavoratori.
Che cosa può, nel frattempo, fare la nostra Regione? Chiedere che il Governo, nell'ampiezza di tutti i suoi poteri, scoraggi immediatamente le tensioni inflazionistiche e l'aumento dei prezzi. Ritengo, quindi, che il Consiglio Regionale piemontese debba approvare un ordine del giorno in cui sia contenuto l'invito al Governo per questa politica, di scoraggiamento di tutte le suddette tendenze, ad esempio con una tempestiva e decisa dichiarazione che escluda tassativamente aumenti di prezzo sui servizi pubblici (ferrovie, poste, telefoni, tramvie).
Altri ha già parlato della situazione nel Novarese, ma anche nella provincia di Cuneo si registrano fatti analoghi: la WILD ha cinquecento dipendenti in cassa integrazione, molti a zero e molti a pochissime ore, e l'industria dell'abbigliamento, assai importante in certe zone del Cuneese ha già iniziato la messa in cassa integrazione dei dipendenti, adducendo le difficoltà che sono derivate dalla situazione monetaria internazionale causata dall'annuncio della inconvertibilità del dollaro. Abbiamo anche nella nostra provincia un'atmosfera di tensione per l'aumento del costo della vita, in certa misura in conseguenza delle ripercussioni dei provvedimenti relativi al dollaro, ma in larga misura anche proprio per il terrorismo economico e psicologico che tende a gonfiare certe situazioni per spezzare il fronte dei lavoratori.
Da qualche parte si potrà dire che il Consiglio Regionale piemontese non ha poteri per un'azione diretta. Abbiamo già visto però quanto abbia saputo fare nell'autunno-inverno 1970, pur non avendo mezzi cospicui in bilancio, in difesa dell'occupazione in Piemonte, come con il suo peso politico sia riuscito a risolvere molte situazioni. Io ritengo pertanto che possa essere oggi utilmente, portato all'esame del Consiglio un ordine del giorno - che ritengo dovrebbe essere unitario per dare maggior forza, e il cui testo potrà essere concordato fra tutti i Gruppi - con proposte chiare capaci di impedire che questa crisi si risolva in un disastro per il nostro Piemonte e per tutto il nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, la richiesta di convocazione in seduta straordinaria del Consiglio Regionale avanzata dai comunisti, la sostanza dell'intervento del Consigliere Sanlorenzo ed anche di quello del Consigliere Viglione, le tesi sostenute in queste settimane dalla stampa comunista e socialista rivelano un disegno comune a tutto lo schieramento della sinistra italiana: valersi delle misure adottate dagli Stati Uniti quale alibi per mascherare gli errori del Centro-sinistra e della Triplice sindacale. Siamo facili profeti prevedendo e denunciando per le prossime settimane ed i prossimi mesi, quando la crisi economica avrà rivelato tutte le sue disastrose conseguenze, soprattutto sul piano dell'occupazione, uno sviluppo a largo raggio della manovra socialcomunista tendente ad attribuire alle misure monetarie americane la responsabilità della crisi e delle sue conseguenze.
Noi siamo certi, però; che l'opinione pubblica e i lavoratori non si lasceranno ingannare. Per quanto ci riguarda, ci impegneremo a fondo come partito per reagire a questa ennesima mistificazione della realtà. E non ci sarà difficile: l'opinione pubblica, i lavoratori, ormai sono scaltriti sanno a chi va addossata la tremenda responsabilità della crisi che sta squassando le strutture economiche della Nazione. Così come sa, a fronte delle misure economiche americane, che ancora una volta il Governo di centro-sinistra si è lasciato cogliere impreparato.
E' la caratteristica costante dei Governi italiani da dieci anni a questa parte, da quando cioè vige il centro-sinistra, quella di arrivare in ritardo in tutti i gravi problemi che riguardano la Nazione, ed in particolar modo in quelli economici, sia interni che internazionali. Il risultato che ne consegue è quello di intervenire con provvedimenti improvvisati, tardivi, inefficaci, o addirittura controproducenti. E alla base di tutto ciò non sta la imprevedibilità degli eventi ma lo scollamento fra le componenti della maggioranza, che rende il Governo incapace di esprimere una continua e conseguente politica economica. Ad un mese infatti, dalla dichiarazione di incontrovertibilità (Nota: lapsus evidente per "inconvertibilità", che occorre lasciare dato il riferimento ad esso fatto poi dal Consigliere Nesi) del dollaro e dall'entrata in vigore delle misure protezionistiche americane, non è stato preso dal Governo alcun provvedimento a favore dell'economia italiana e dei settori maggiormente colpiti: abbiamo avuto soltanto dichiarazioni di buoni propositi e pesanti contrasti di fondo fra i socialisti e il Governo di cui fanno parte. Ai contrasti italiani fa da specchio il contrasto franco-tedesco nell'ambito della Comunità Economica Europea, per cui anche questa è incapace di esprimere una chiara politica concordata, il che ha impedito di adottare già da tempo un diverso sistema monetario reso necessario dal disfacimento in atto del sistema di Bretton Woods.
Nel settembre di due anni or sono, discutendosi alla Camera dei Deputati sui diritti speciali di prelievo, il Movimento Sociale Italiano sostenne la validità di alcune impostazioni che oggi vengono sollecitate dalla quasi generalità dei tecnici e dei politici. Da allora la situazione delle nostre riserve si è aggravata, essendo stata ulteriormente ridotta la componente aurea di tali riserve con il passaggio dal 53 al 44 per cento mentre, di contro a questo fatto, si constata presso il nostro Istituto Centrale un aumento delle riserve in dollari del tutto proporzionale (anzi va sottolineato che il nostro aumento proporzionale di riserve in dollari ha coinciso con una diminuzione della copertura aurea degli Stati Uniti).
Nel cronico deficit della bilancia dei pagamenti americana, che ha causato la massiccia inondazione di dollari nelle economie più progredite del mondo libero, si è manifestata quest'anno la componente commerciale specialmente per quanto riguarda l'interscambio con il Giappone, con il Canada e con la Germania. Era pertanto inevitabile che gli Stati Uniti prendessero le decisioni che hanno preso. E' tuttavia da deplorare che le decisioni annunciate a Ferragosto dal presidente Nixon siano state prese senza avvertire i partner europei, perché con ogni probabilità sarebbe stato possibile concordare tra gli Stati Uniti e la Comunità Economica Europea una politica di riequilibramento del rispettivo interscambio.
Giacché, se è vero che il resto del mondo pagava l'inflazione del dollaro conseguente al deficit della bilancia dei pagamenti americana, è altrettanto vero che gli attuali provvedimenti di Nixon tendenti a ridurre tale deficit presentano un loro aspetto positivo per il fatto che si riduce quella parte di costo che gravava sul resto del mondo per l'inflazione portata dagli Stati Uniti. Naturalmente, si creano problemi di liquidità ed è a questo punto che, superato definitivamente Bretton Woods, bisogna creare un nuovo sistema monetario mondiale.
Tutti sono d'accordo che bisogna reagire a questo stato di cose, perch altrimenti si corre il pericolo che l'Europa sia costretta ad accettare senza una risposta adeguata ed immediata, invece di un dollaro agganciato all'oro come moneta di riserva, il dollaro sganciato da ogni parametro impegnativo: si arriverebbe, insomma, ad uno strapotere del dollaro al di fuori di ogni riferimento o pietra di paragone. Ma queste considerazioni non implicano affatto una dichiarazione di guerra commerciale e monetaria agli Stati Uniti quale pare vorrebbero i socialisti: bisogna invece escogitare in sede di Mercato Comune una nuova politica. E' evidente che è impossibile il ritorno al tallone aureo, mentre è possibile raggiungere un raccordo fra le monete europee sia per la creazione di cambi fissi interni che per la creazione di un fondo di riserva comunitario. Nel frattempo devono essere adottate misure per far fronte alle crisi settoriali. Bisogna respingere qualsiasi tentazione di politica autarchica, del tutto inadatta ai nostri tempi, anche se fu opportuna quarant'anni fa: oggi, infatti, i mercati sono aperti e le economie sono integrate. Nessuna astiosa ritorsione può avere significato, anche perché le ritorsioni degli altri sarebbero più pesanti e condizionanti delle nostre.
E' in corso, poi, come dicevo, un tentativo da parte delle sinistre governative e dei comunisti per accollare alle misure americane la colpa della crisi economica che esploderà nel vicino autunno. Si tratta, da parte del Governo, dei comunisti, della Triplice sindacale, di un tentativo per scrollarsi di dosso le pesantissime responsabilità della crisi in atto e di creare un clima artificialmente antiamericano ed antiatlantico, per spostare la posizione dell'Italia verso un equivoco neutralismo. La crisi economica è precedente alle misure di Nixon e ben altre ne sono le responsabilità, il popolo italiano lo sa; responsabilità che vanno ascritte alla strategia demagogica ed eversiva dei tre sindacati, che ha regalato ai lavoratori la crisi produttiva le cui conseguenze essi hanno cominciato a pagare pesantemente ed all'incapacità del Governo di stroncare le eversioni. E' di questi giorni la notizia di un numero sempre crescente di lavoratori in cassa integrazione e del pericoloso calo della produzione industriale nel primo semestre dell'anno in corso; e il secondo semestre è iniziato con una diminuzione del 7,9 per cento rispetto al precedente mese di giugno.
Di fronte a questa situazione il Movimento Sociale Italiano ha proposto alcune misure di carattere generale interessanti tutta l'economia italiana atte, riteniamo, ad alleviare le difficoltà derivanti dalla crisi economica e dalle misure americane: rinvio dell'entrata in vigore dell'IVA al 1 gennaio 1973, abolizione dell'imposta sui filati, varo della legge sulla ristrutturazione delle aziende tessili, da tempo annunciata e sino ad oggi non attuata. Le iniziative annunciate dal Governo, quali l'acceleramento dei rimborsi Ige, la concessione di crediti agevolati alle aziende esportatrici e la fiscalizzazione degli oneri sociali per le lavoratrici ci trovano concordi, anche se dobbiamo sottolineare il carattere assolutamente marginale di tali provvedimenti.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Credo non rimanga molto da dire, dopo gli interventi del Consigliere Sanlorenzo e del Consigliere Viglione. Dal Consigliere Curci abbiamo udito una singolare espressione, "incontrovertibilità del dollaro", interessante definizione di nuovo conio della situazione monetaria internazionale; a meno che, com'è probabile, il Consigliere Curci intendesse parlare di "inconvertibilità".



CURCI Domenico

Infatti, è stato semplicemente un lapsus.



NESI Nerio

Sempre dal Consigliere Curci abbiamo appreso anche certe considerazioni sull'autarchia, sul mondo libero...



MINUCCI Adalberto

Ha perfino spiegato che le misure di Nixon favoriscono l'economia italiana.



NESI Nerio

Io vorrei che il Consigliere Curci - glielo dico molto amichevolmente leggesse il testo integrale del discorso di Nixon, come ho avuto modo di fare io grazie alla cortesia del Console degli Stati Uniti. E' un documento la cui riproduzione dovrebbe essere distribuita nelle scuole della Repubblica, perché merita di essere conosciuto sia per il tono che per il contenuto. Vi ho rilevato, intanto, una perla, che consegno a questo Consiglio Regionale. Immaginiamo di entrare nella mentalità dei nord americani e pensiamo quale effetto possa produrre il sentire il "Presidente" dire: "Ordino con effetto immediato, per un periodo di novanta giorni, un blocco di tutti i prezzi e di tutti i salari, in tutti gli Stati Uniti". Dopo una pausa, Nixon ha continuato: "Invito le corporation (cioè le società) ad estendere a tutti i dividendi questo blocco salari-prezzi".
Dunque, dopo aver ordinato il blocco dei prezzi e dei salari, quanto alla distribuzione dei dividendi Nixon non fa drastiche preclusioni, ma solo raccomandazioni. Ciò fornisce una immagine della situazione, una delle tante immagini della congiuntura nord-americana, dominata da un fenomeno di disoccupazione continuamente crescente: secondo i dati citati dallo stesso Presidente Nixon, i disoccupati sono 5 milioni e 500 mila.
Penso che dovremmo cercar di dare una risposta, pacatamente - è molto difficile parlare di queste questioni senza inserire elementi politici perché il discorso dev'essere politico, non tecnico - alla domanda sul problema di fondo: ci sono prospettive che queste misure siano solo temporanee e vengano a cadere dopo un certo periodo di tempo? A mio avviso non saranno temporanee. Lo dico sulla base di alcune ragioni fondamentali.
La prima è che non c'è alcuna tendenza negli Stati Uniti a cambiare la politica interna in campo economico, che è stata determinata e caratterizzata da una rapidissima espansione monetaria, cioè da una politica volutamente inflazionistica; e volutamente inflazionistica per ragioni abbastanza logiche: la diminuzione della produzione e l'aumento della disoccupazione. Poi, va tenuto presente l'aumento delle spese militari. Se avessimo più tempo potremmo citare dati molto interessanti attinti proprio a fonte statunitense, precisamente al bollettino ufficiale del Federal Reserve Board, l'istituto federale di riserva, dal quale si deduce che il saldo negativo della bilancia dei pagamenti per quanto riguarda gli aiuti degli Stati Uniti in campo militare, in questi ultimi anni, ha avuto un andamento ancora crescente nonostante la vietnamizzazione della guerra del Vietnam. Infine - e questo è il dato più importante - non c'è alcuna ragione politica generale che possa far pensare che ci sarà una variazione nella politica degli Stati Uniti. Non dimentichiamo un fatto molto importante: gli Stati Uniti sono già entrati nel clima delle prossime elezioni presidenziali, e tutto è orchestrato in modo da rendere certa la rielezione del Presidente in carica (ci sarebbe da discutere anche sul piano ideologico il fatto che il Paese guida del cosiddetto "mondo libero" subordini tutto, anche quello che avviene nelle altre parti del mondo, al fatto che si vuole sia rieletto il Presidente in carica, una verità questa, che si rivela con brutale chiarezza). Dunque, dicevo, non c'è alcuna prospettiva di un cambiamento dell'attuale situazione in tempi prossimi.
Così stando le cose, bisogna veramente fare un discorso di carattere politico generale e non un discorso tecnico. Io credo - lo dico sommessamente - di conoscere abbastanza bene anche i meccanismi tecnici che regolano queste questioni; però ritengo che il discorso che dovremo fare che deve fare un Consiglio, che non è un organismo tecnico ma un organismo di grande rappresentanza politica, debba vertere sulle posizioni da prendere e sulle possibilità che vi sono di prenderle, e quindi ritengo che dovremo dare anche un giudizio sull'adeguatezza delle misure che ha adottato il Governo.
Sulle misure prese dal Governo noi socialisti non possiamo essere d'accordo; e crediamo che ci fosse la possibilità di fare altro di quel che si è fatto. Si impone, anzitutto, una considerazione di fondo su una circostanza che da alcune parti del Governo è stata, bisogna riconoscerlo ammessa, e che è stata fatta presente ripetutamente anche in questo nostro Consiglio: tutta la politica economica italiana si è fondata in questi anni sulla componente estera. Di questo probabilmente c'era una ragione logica negli anni Cinquanta, ma non più negli anni Sessanta. Tutto lo sviluppo dell'Italia settentrionale è stato determinato proprio in funzione di un incremento incessante dell'esportazione, mentre la componente interna della domanda non ha mai avuto reale rilevanza nel Paese. Da ciò è nata la situazione tremenda dell'Italia meridionale, le cui enormi possibilità di consumo allo stato potenziale non sono mai state utilizzate. Ci siamo permessi di distribuire un fascicolo di dati proprio perché essi hanno una linea logica: che la nostra industria ha come suo indirizzo di sviluppo l'estero; quando questa industria addirittura non sia una componente italiana di grandi holding internazionali come sono in questo momento tutta una serie di grandi industrie. Ecco la prima linea direttiva, sulla quale bisogna dare un giudizio di fondo. E io credo che questo giudizio di fondo sia giusto, venga anche da questa nostra Regione, che di tale situazione ha sofferto, direttamente e indirettamente. Ecco il primo filo conduttore.
Il secondo filo conduttore s'impernia su un discorso di alleanza.
Beninteso, nessuno vuol dichiarare la guerra agli Stati Uniti d'America: non siamo degli irresponsabili, vorrei dire al Consigliere Curci, come quel personaggio, evidentemente uscito di senno, che egli prende a modello, al quale l'Italia deve di essersi trovata in un certo momento in guerra contemporaneamente con gli Stati Uniti d'America e con l'Unione Sovietica e che purtuttavia era sicuro della vittoria... Lasciamo stare queste sciocchezze



MINUCCI Adalberto

Ma adesso con l'America han fatto la pace!



NESI Nerio

Sono sciocchezze, sulle quali non sarebbe neanche il caso di soffermarsi in un Consiglio serio come il nostro.
La decisione del Presidente Nixon ha inferto un duro colpo a tutta l'economia europea, lo diciamo senza alcun malanimo nei confronti degli Stati Uniti d'America e del Presidente Nixon. Essa è stata presa senza tenere minimamente in conto gli interessi del nostro Paese. Un solo argomento riconosco valido fra quelli portati da Nixon nel suo discorso: se volete le spese militari, egli praticamente ha detto agli europei pagatevele; finora abbiamo speso 140 miliardi di dollari per difendervi adesso dovete pagare per noi. Questo è l'unico punto, l'unica argomentazione che l'Europa potrebbe accettare.
Vorrei poi fare una terza considerazione, molto rapidamente ed anche qui molto sommessamente (non ci sono certezze in questo campo, soltanto il Governatore della Banca d'Italia, nella sua infinita saggezza e nella sua incapacità di autocritica, può ritenere di non sbagliare mai), a proposito dell'opportunità di avere un cambio fisso o un cambio non fisso.
Probabilmente l'ideale sarebbe un cambio fisso per le transazioni commerciali e un cambio fluttuante per le transazioni finanziarie. Io ho sostenuto, in seno alla Commissione economica del Partito Socialista questa tesi, che è riportata nell'opuscoletto (che non è in linea con la posizione assunta ufficialmente dal Governo): che gli interessi dell'economia italiana in questo momento richiedevano in maniera assolutamente preminente che si garantisse ai nostri operatori economici soprattutto ai medi e ai piccoli operatori economici - (e questo riguarda anche il Piemonte) - un cambio certo. In questo senso ha operato, ad esempio, la Francia, mentre non lo ha fatto la Germania. Ebbene, la situazione dell'economia italiana nell'attuale momento é, a mio avviso, più vicina a quella francese che a quella tedesca, e lo dimostrano anche i dati circa l'economia francese e circa l'economia tedesca, che non starò a ricordare qui per non sottrarre troppo tempo al dibattito. Non a caso, la Confederazione della piccola industria si è attestata su queste posizioni ed ha chiesto esplicitamente al Governo di mantenere, di garantire ai piccoli e medi operatori economici il cambio fisso.
Qual è la risposta che si dà da alcune parti? Che l'adozione di un cambio fisso per gli operatori e per le transazioni commerciali e di un cambio invece fluttuante per le transazioni finanziarie comporta necessariamente un controllo. Ma certo, io sono d'accordo con Sanlorenzo: è questo che vogliamo. Si è detto da parte di un autorevole parlamentare che, in realtà, la libertà di movimento dei capitali è l'unica grande libertà assicurata in questo nostro Paese. E i tredicimila miliardi che sono usciti dal nostro Paese per andare in Svizzera sono la riprova concreta di questa assoluta libertà. Ma che cosa abbiamo ottenuto con tale liberta? Nessuno di noi vuol tornare a forme di controllo spicciolo, a mezzo di timbri e simili cose; certo, però, che, visto che tutta una parte della borghesia italiana ritiene che il suo bene supremo sia quello di distogliere i capitali dal nostro Paese per mandarli a non fruttare perché vediamo che cosa ha fruttato il mercato degli eurodollari a tutti coloro che li hanno esportati in Svizzera in questo momento -, si rende necessario un controllo del mercato dei capitali, controllo che dev'essere anche accompagnato, a nostro parere, da un controllo del mercato finanziario e delle grandi holding internazionali, che sono quelle che spostano maggiormente i grandi capitali in varie parti del mondo, laddove sembra più conveniente. Il denaro, come diceva giustamente Malagodi, che indubbiamente di queste cose se ne intende, è un animale sensibilissimo che va istintivamente dove rende di più o si presume che renda di più.
Questi sono i problemi di fondo generali. Io approvo le misure che sono state proposte sia a livello di Governo sia in questo Consiglio Regionale sulla anticipazione dell'Ige, su agevolazioni d'ogni genere: sono certo misure che hanno un loro senso, che bisogna prendere. Però sono misure che riguardano un brevissimo periodo. Noi non potremo agevolare la piccola e media industria sempre, per permetterle di superare i danni che le derivano da decisioni esterne. Nessun Paese, al limite, può fare continuamente regali a tutta una serie di settori non avendo la possibilità di controllare le ragioni per le quali questi settori vengono messi in crisi.
Altro che la conflittualità permanente! Qual è quell'azienda che subisce per una trattativa sindacale un danno immediato dell'ordine di circa il 20 per cento dell'ammontare globale, quale è quello arrecato a certe industrie di Torino (come mi hanno confermato alcuni dirigenti) da una decisione che non abbiamo alcun potere di impedire? Dobbiamo cercare invece dei provvedimenti di ordine generale, delle politiche di carattere generale che rendano il nostro Paese, come l'Europa, più difeso, non mediante barriere ma mediante una politica economica che dobbiamo dirigere noi, da misure che vengono prese a Washington o in altre parti del mondo. Questo è il discorso da fare, se non vogliamo essere chiamati a riproporre fra sei mesi al Ministero del Bilancio, al Ministero del Tesoro, nuove misure nuove agevolazioni, da con cedersi con denari attinti a tutti i contribuenti italiani, per aiutare la piccola e la media industria in crisi. Fino a quando potremo chiedere al Paese, ai contribuenti, di fare un sacrificio di questo genere, senza un reale corrispettivo? E' quindi un discorso generale che bisogna fare, un discorso che riguarda anche il sistema bancario - lo dico indirizzandomi in particolar modo al Presidente della Giunta, che è anche un esponente del mondo bancario. Finora, per mantenere il mercato del denaro, in Italia, ad un alto livello, si faceva ricorso all'alibi che diversamente il denaro sarebbe stato trasferito all'estero; e la Banca d'Italia ha sempre avallato questo alibi, rifiutandosi di fare una politica di basso denaro in entrata e in uscita. Adesso quest'alibi non regge più, perché il denaro in Italia rende di più e costa molto di più che in tutti gli altri Paesi d'Europa.
Bisogna fare, allora, una politica bancaria di diverso tipo, che tenga conto di questa nuova situazione. Perché non è più vero che la politica bancaria sia un coefficiente assai modesto del costo totale del prodotto tanto da non avervi una reale incidenza: adesso, il costo del denaro e la scelta del tipo di erogazione diventano elementi fondamentali.
E' tutta una serie di problemi, questa, sui quali io credo che il Consiglio Regionale del Piemonte abbia il diritto e il dovere di intervenire. Se un appunto debbo fare - e lo faccio, ripeto, con molta discrezione, perché queste sono questioni nelle quali occorre essere attenti a muovere soltanto critiche serie e proposte ben ponderate - è per la mancanza di immaginazione dimostrata dalle autorità governative italiane in questo frangente, per il loro costante adeguarsi supinamente alla politica richiesta dagli Stati Uniti, cioè la politica del "Governo amico".
Chiediamo - diceva Nixon - ai Paesi amici, di fare questa politica. Ma perché l'Italia deve adeguarsi totalmente, la Germania un po' meno, la Francia per niente? Non si tratta di dichiarare la guerra a nessuno, ma di avere a cuore gli interessi del Paese, gli interessi dell'Europa. E se una critica debbo rivolgere a questa Giunta, in questo senso, è questa: di non avere la coscienza della sintesi politica che rappresenta. Io so come la pensa il Presidente della Giunta: che bisogna agire nell'ambito delle leggi, così come esse sono, e non correre il rischio di brutte figure come quelle fatte da altre Giunte. Questo concetto può avere una sua logica in certi casi, ma non in questo.
Per cui, io invito ancora una volta, dai banchi dell'opposizione, il Presidente della Giunta ad avere la coscienza del potere politico che ha la Regione contrattualmente. Avevo già avanzato la proposta di indire una conferenza degli operatori economici piemontesi. La ribadisco, a nome del Gruppo Socialista. E' infondato, creda, dott. Calleri, il suo timore che le conferenze non siano che spostamenti di persone e tante parole dette al vento, che lasciano il tempo che trovano. Una Giunta che abbia la coscienza di rappresentare la collettività piemontese ha una enorme forza contrattuale, e lei lo sa bene. La esorto pertanto a prendere in mano com'è suo dovere, la situazione, non sul piano decisionale che, sfugge ancora al potere della Regione, ma sul piano politico generale. Perch abbiamo il dovere di rappresentare quelle che sono in questo momento le reali gravi difficoltà, che Sanlorenzo e Viglione hanno illustrato molto bene, dell'industria piemontese.
Non siamo dei pazzi che si propongano di smantellare il sistema vigente sulla base della teoria del "tanto peggio tanto meglio". Non lo siamo noi socialisti, né lo sono i comunisti.
Siamo uomini responsabili, che ritengono che bisogna produrre, come è stato detto anche in una recente deliberazione di un grande Partito politico. Ma dobbiamo anche dire che bisogna dare ai lavoratori la garanzia del posto di lavoro, la garanzia che i loro sacrifici non sono inutili, la garanzia che c'è un organismo politico che li difende. Perché in questo momento, è vero, si sta trasformando la situazione di questa nostra Regione: stiamo assistendo ad allarmi che hanno un margine di realtà ed un margine di strumentalità, e la Regione ha il dovere di difendere attraverso la sua Giunta la classe lavoratrice. Per questo io ripropongo una conferenza economica del Piemonte, che prenda lo spunto dall'attuale congiuntura ma che allarghi il suo orizzonte. La Giunta ha un grande spazio per fare questo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi, che parlerà naturalmente nella sua veste di Consigliere del Partito Repubblicano Italiano. Data la gamma di opinioni che può esistere, in sede nazionale come in sede regionale, su un argomento di questo genere, mi è sembrato opportuno far sentire al Consiglio la voce delle varie componenti politiche di questo Consiglio.
Parli pure, Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Mi sembra che i dati sui quali dobbiamo basare le nostre riflessioni al di là delle impostazioni propagandistiche, in questo problema della crisi del dollaro siano sostanzialmente due, e abbastanza distinti fra di loro. Da un lato c'è la crisi dei sistemi di pagamento internazionali, che con la non convertibilità del dollaro in oro ha messo in sostanza in crisi i vecchi accordi, presi nel '44, e sui quali si era retta la prodigiosa espansione del commercio internazionale, che è alle radici della prosperità anche attuale delle economie sviluppate del mondo occidentale. Direi infatti, che la specializzazione della produzione, l'aumento del volume degli scambi internazionali e l'abolizione del protezionismo doganale sono stati all'origine dello sviluppo economico del mondo occidentale in questi venticinque anni. Su questo piano, a che cosa bisogna mirare, con tutta una serie di aggiustamenti e di accordi che sarà certo difficile, arduo raggiungere ma che credo sia nella volontà e nell'interesse di tutti? A garantire la flessibilità e la rapidità degli scambi, ad eliminare la speculazione monetaria internazionale, ad affrancare gli scambi internazionali dalla dipendenza da un'unica moneta, una moneta nazionale, e in sostanza, come si è verificato in questi anni, dalla dipendenza dal deficit della bilancia dei pagamenti americani, che era quello che garantiva una liquidità in dollari sufficiente ad alimentare gli scambi internazionali. Dall'altro lato c'è il problema della parità valutaria, o meglio dei livelli di scambio delle monete.
Direi che non è privo di significato il fatto che i due problemi siano stati posti sul tappeto contemporaneamente dal Presidente americano.
Probabilmente, nessuno dei due elementi sarebbe entrato in crisi se non si fossero verificate condizioni che hanno fatto sì che la crisi si presentasse nello stesso tempo per entrambi. Il discorso dei rapporti di cambio fra le monete, delle parità valutarie eccetera, dei cambi fissi che cosa nasconde, in realtà? Non è più il problema del modo con cui pu crescere lo scambio internazionale e del modo con cui lo scambio internazionale commerciale si può reggere in relazione alle scelte monetarie che si possono fare. Il problema dei livelli di cambio delle monete, invece, è un problema strettamente correlato alla forza economica dei vari Paesi. E quindi sui due piani bisogna cercare di fare e di avere valutazioni abbastanza distinte, capaci di cogliere l'essenza dei problemi.
Se vogliamo condurre avanti questo dibattito, come lo si è cominciato attraverso l'analisi del problema distinguendo da un lato la politica americana e dall'altro la situazione italiana, dobbiamo tener presenti questi due elementi.
Sul piano della valutazione del gesto americano, siamo ben lontani dal difenderlo.
Direi che c'è stata molta brutalità ed un notevole egoismo, certamente non in armonia con il tipo di responsabilità che il Governo americano ha avuto ed ha tuttora nel mondo. Però, non mi pare si possa accusare il Governo americano di aver fatto con questo una mossa a sfondo imperialistico. A mio avviso, anzi, l'atteggiamento del Governo americano denota la consapevolezza che gli Stati Uniti non sono più in una posizione imperialistica, che si stanno modificando notevolmente anche gli equilibri internazionali. E non è senza significato che una decisione di questo genere sia stata presa dopo che si era aperto il famoso discorso degli equilibri multipolari, cioè dopo che il Governo americano si era sentito in condizione di non dover più difendere posizioni o rapporti di forza estremamente rigidi di due blocchi contrapposti ma di poter avere una posizione alquanto più elastica e dinamica, che non pesi più per intero esclusivamente sugli Stati Uniti, nella quale gli Stati Uniti possano cercar di ripiegare un poco da posizioni che potremmo anche definire imperialistiche, chiamando in sostanza dei partner ad una responsabilità diretta di partecipazione ad un confronto strategico così complesso e così complicato. Certo, il termine "imperialismo" non è molto appropriato nei riguardi delle decisioni statunitensi: se volessimo analizzare, comunque questa situazione e questi dati in tale maniera, direi che certamente, se fosse lasciata piena libertà di scelta, tutta l'Europa, sia quella dell'Ovest che quella dell'Est, preferirebbe l'imperialismo finanziario dagli eurodollari piuttosto che un imperialismo che fa perno sui carri armati. Si dovrebbe, quindi, essere più cauti nel dare giudizi di questo tipo. Possiamo criticare le decisioni degli Stati Uniti per la loro unilateralità, possiamo imputare ad essi forse una carenza di senso di responsabilità e di rispetto di certi rapporti internazionali, ma non direi che possiamo impostare il discorso sul piano di un giudizio di imperialismo o di tentativo di prevaricazione sulle autonomie nazionali.
Sul piano, invece, della valutazione dell'atteggiamento del Governo italiano e della situazione interna italiana, direi che il discorso si sposta completamente. L'Italia non è un Paese che possa portare sul piano internazionale il peso e la forza di una situazione finanziaria economica come quella tedesca, ricercando posizioni di prestigio. Può anche essere discutibile che tenti di fare da mediatore in una situazione in cui, tutto sommato, l'Italia dimostra di essere in una situazione economica difficile.
I fatti che si sono verificati, in particolare il discorso dei livelli di scambio fra le monete, delle parità valutarie, che interessa particolarmente l'Italia, soprattutto per l'attenzione che bisogna avere alla situazione economica nostra interna - perché l'Italia si trova in una situazione del tutto particolare, cioè con una situazione della bilancia dei pagamenti da un po' di tempo abbastanza favorevole (e ciò in quanto tutto sommato, per tutta una serie di ragioni, si assiste ad una flessione della domanda interna, sia di beni di consumo che di beni di investimento che ci mette oggi in una condizione di favore dal punto di vista della bilancia commerciale, che al limite giustificherebbe una richiesta da parte degli altri Paesi di rivalutazione della nostra moneta, come in effetti ci chiedono gli Stati Uniti rispetto al dollaro - portano a concludere che quella italiana è una situazione di condizioni strutturali estremamente debole, che nella misura in cui riprendesse una certa spinta espansiva nostra metterebbe subito in mostra da un lato tendenze inflazionistiche e dall'altro certamente una tendenza al peggioramento in fatto di bilancia commerciale. Nella situazione che si è determinata, l'Italia è indubbiamente abbastanza favorita dal fatto che, pur magari rivalutandosi lievemente rispetto al dollaro, la moneta italiana si svaluta in pratica rispetto alle monete europee; quindi, globalmente, la nostra economia viene a trovarsi in una situazione di vantaggio dal punto di vista delle possibilità di esportazione.
Ma direi che il problema fondamentale per l'Italia, per poter essere in condizione di trattare seriamente sul piano internazionale, sia un altro: questa crisi di carattere monetario internazionale cade in un momento estremamente difficile per l'economia italiana e rischia quindi di aggiungere difficoltà a difficoltà. Il problema fondamentale per il nostro Paese è oggi non tanto quello di fissarsi dei grossi traguardi sul piano internazionale e nelle discussioni che si faranno a livello europeo e a livello mondiale sul piano dei rapporti, della messa in moto di un organismo diverso di carattere monetario, ma di riflettere seriamente alla condizione economica interna del nostro Paese, che è fortemente colpita da questi problemi, ed in modo più grave rispetto agli altri Paesi d'Europa perché mentre questi hanno manifestato tendenze piuttosto decise all'espansione economica in questi anni, l'Italia è giunta ad una situazione di stallo della sua economia. La crisi di carattere internazionale si sovrappone pertanto ad una crisi di carattere strutturale del nostro Paese.
Il problema che noi dobbiamo avere di fronte è pertanto il problema del rilancio dell'economia italiana, come condizione anche per poter impostare correttamente ed avere dignità di rapporto sul piano internazionale. Nel dibattito che si è aperto in queste ultime settimane su questi problemi vi sono certamente degli accenni interessanti, delle possibilità di approfondimento di un discorso che almeno da parte del Partito Repubblicano da alcuni mesi si era cercato di impostare. Cioè, mi sembra che, ad esempio, da parte degli economisti del Partito Comunista, con il numero della scorsa settimana di "Rinascita", e da parte del Ministro socialista Giolitti, ci sia un'attenta considerazione della connessione fra questi problemi monetari e di scambio internazionali e la nostra situazione economica interna, e la consapevolezza della necessità di legare questo discorso al discorso di un rilancio dell'economia.
Gli economisti comunisti hanno per la prima volta da un lato accettato in maniera esplicita un discorso ed una prospettiva di carattere europeo dall'altro portato innanzi quel discorso che il Consigliere Sanlorenzo oggi ha svolto in Consiglio di un processo di programmazione globale da realizzare nel nostro Paese come condizione per evitare crisi di questo genere, ponendo delle condizioni, cioè sottolineando la necessità di una politica di riforme come garanzia e contropartita per questo. C'è l'ammissione, in sostanza, della necessità di graduare le rivendicazioni rispetto, però, mi sembra, ad un cambiamento di carattere qualitativo del nostro sviluppo economico. Tutte tesi che le forze più consapevoli del centro-sinistra hanno sempre cercato di far accettare, urtando per costantemente contro l'incapacità globale di tutte le forze politiche comprese quelle di sinistra e quelle sindacali, di adattarsi alle conseguenze logiche di questo discorso. Quali conseguenze? Quelle che il Ministro Giolitti indicava: che evidentemente il Governo di un'economia moderna, nella misura in cui si vuol arrivare ad un processo di programmazione globale, deve comportare da parte dei sindacati l'accettazione non del blocco ma della programmazione delle rivendicazioni evidentemente di fronte a contropartite adeguate, che vanno trattate al tavolo della programmazione. Questo è certamente il tipo di discorso sul quale dobbiamo riuscire concretamente a misurarci, ma che sottintende l'ammissione, mi sembra non si possa negare - ed evidentemente su questo piano si sono commessi enormi errori negli anni scorsi - che a determinare l'impasse in cui oggi ci troviamo è stato l'aumento spropositato in termini percentuali dei costi di produzione della nostra industria. Si è determinato, cioè, uno sviluppo dei redditi, uno sviluppo retributivo, di fronte al quale non c'era evidentemente una contropartita per lo sviluppo di consumi sociali, che poi si è tradotto in aumento dei costi di produzione, in aumento dei consumi individuali, con una pericolosa caduta delle possibilità di investimento della redditività degli investimenti da un lato e delle possibilità d'investimento, in consumi ed investimenti sociali dall'altro.
Su questo tipo di considerazioni si vanno, mi sembra, trovando delle convergenze che possono determinare anche degli sbocchi per il futuro in termini di una politica economica più consapevole. Ed è, mi sembra, anche la logica nella quale il nostro Governo ha cominciato a muoversi, a prendere alcuni provvedimenti che possono essere tecnicamente o parzialmente anche criticati, ma che non possono essere certo oggetto di una contestazione di tipo globale.
E qui dobbiamo registrare per obiettività come dato politico una notevole divaricazione di atteggiamenti, di giudizi, in seno al Partito Socialista, d'altronde caratteristica di questo schieramento e che pertanto non sorprende. In queste ultime settimane, mentre un responsabile del livello dell'on. Giolitti, ministro della Programmazione, teneva un discorso in perfetta sintonia con le decisioni del Governo, precisando in ogni momento dell'azione del Governo l'unanimità con cui venivano adottati certi provvedimenti, dall'altro una parte almeno del Partito Socialista ha criticato duramente queste decisioni, sulla base di valutazioni che sono poi quelle che il Capogruppo Nesi oggi ha esposto in Consiglio, fortemente discostantisi da quelle di quasi tutto il resto dello schieramento politico.
Ancor più singolare il fatto che questo tipo di valutazione parta da una analisi di carattere internazionale monetario, di rapporti politici e di potenza a livello internazionale, ma rifiuti di fatto di addentrarsi in un discorso di carattere interno e sulla situazione economica interna. E' questo un altro dato non scevro di significato, che noi dobbiamo rilevare.
Ho detto questo per cercar di chiarire le posizioni, per vedere come questo discorso, che è a nostro avviso un discorso di politica economica nazionale, non certamente regionale, può svilupparsi, può progredire, nei prossimi mesi, con sbocchi produttivi per il nostro Paese. Cosa intendo per "sbocchi"? L'avvio concreto, dopo tante tergiversazioni, di un processo di programmazione globale, che impegni tutti, sindacati ed imprenditori, ma che leghi ad una politica coerente, senza più questa tendenza continua a sganciarsi da qualsiasi discorso globale che ha caratterizzato le forze economiche, sia quelle imprenditoriali che quelle sindacali, negli scorsi anni; quindi, politica dei redditi, politica di riforme, naturalmente graduate, commisurate alle possibilità concrete di investimento del nostro Paese; politica anche di controlli - ne abbiamo già parlato qui, in Consiglio Regionale - sugli investimenti in termini di localizzazioni, di creazione di condizioni diverse di sviluppo nel nostro Paese. In questa logica devono rientrare anche le forze di sinistra e le forze sindacali.
Veniamo ora a considerare la situazione piemontese. Evidentemente l'industria piemontese, specialmente nel settore dell'industria meccanica di precisione elettronica ed in quello automobilistico, è fortemente colpita dai provvedimenti americani. Possiamo augurarci, e pensiamo, che questi siano provvedimenti provvisori, determinati dalla necessità di avviare un "braccio di ferro" specialmente con il Giappone e con la Germania in merito al problema dei cambi. Ma possono anche essere provvedimenti destinati a protrarsi per parecchi mesi. In questa situazione, cosa sarebbe logico? Che, al di là dei provvedimenti già annunciati dal Governo - il rimborso accelerato dell'Ige e via dicendo si intervenisse, se necessario, anche con provvedimenti specifici di sostegno delle aziende esportatrici verso il mercato nord-americano; nel senso che solo parzialmente le perdite che possono risentire le nostre aziende sul mercato americano trovino compenso in aumenti di vendite sui mercati europei. Noi siamo in un regime, come quello del Mercato Comune, in cui vigono norme precise che impediscono di prendere decisioni unilaterali sul piano commerciale, ma con una ferma azione in sede di Mercato Comune il nostro Governo mi pare che dovrebbe riuscire a far rapidamente varare, se necessario, dei provvedimenti, ovviamente temporanei, quali sono indispensabili per molte aziende esportatrici verso il mercato nord americano. In tal senso il nostro Consiglio Regionale potrebbe e dovrebbe far sentire la propria sollecitazione.
Non voglio intrattenermi su altri aspetti, visto che sul terreno specifico delle proposte di iniziativa per la Regione prenderà posizione la Giunta, attraverso il suo Presidente.


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Prima di togliere la seduta, desidero fare alcune comunicazioni.
Anzitutto, vi è una richiesta di congedo, pervenutami nel corso della seduta, da parte del Consigliere Rivalta per ragioni di malattia e del Consigliere Visone per improrogabili impegni.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni permanenti - Modifica nella Presidenza


PRESIDENTE

Un'altra comunicazione riguarda modifiche nella Presidenza di alcune Commissioni permanenti: in data 27 agosto '71 la IV Commissione ha eletto Presidente, in sostituzione dell'avv. Paganelli, eletto Assessore, il Consigliere Beltrami in data 2 settembre '71 la VI Commissione ha eletto Presidente, in sostituzione del geom. Chiabrando, pure eletto Assessore, il Consigliere Menozzi.
Mi riservo di comunicare all'inizio della seduta del pomeriggio il testo della deliberazione con la quale è stata costituita la Commissione di controllo sugli atti della Regione.
La seduta riprenderà con lo stesso ordine del giorno questo pomeriggio alle ore 16.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,45)



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