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Dettaglio seduta n.53 del 29/07/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni - Presidente della Giunta Regionale

Adempimenti di cui all'art. 32 Statuto: a) Presentazione e discussione del documento con cui si propongono al Consiglio le linee politiche ed amministrative, il Presidente e la lista degli Assessori


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Oggi abbiamo un unico punto all'o.d.g., "adempimenti di cui all'art. 32 dello Statuto".
Do lettura, per ricordarne il contenuto ai signori Consiglieri, dell'art.
32: "Elezione del Presidente e della Giunta. Il Presidente e la Giunta sono eletti dal Consiglio nel suo seno, con votazione per appello nominale.
L'elezione avviene a seguito gli presentazione di un documento sottoscritto da almeno un terzo dei Consiglieri assegnati alla Regione, con il quale si propongono al Consiglio le linee politiche ed amministrative, il Presidente e l'intera lista degli Assessori.
Sulle linee politiche ed amministrative proposte si svolge un dibattito al termine del quale il Consiglio procede con votazioni successive all'elezione del Presidente e quindi della Giunta. E' proclamato eletto Presidente il Consigliere che ha conseguito la maggioranza assoluta dei voti dei Consiglieri assegnati alla Regione.
Ove non sia raggiunta la maggioranza richiesta, l'elezione è rinviata ad altra seduta da tenersi non prima di otto e non oltre quindici giorni.
Se in questa seconda votazione nessuno dei Consiglieri designati alla Presidenza ha riportato la maggioranza assoluta richiesta, si procede ad un'altra votazione a seguito della quale viene proclamato eletto chi ha riportato il maggior numero di voti.
Avvenuta l'elezione del Presidente il Consiglio procede all'elezione della Giunta a maggioranza semplice, con votazione della lista ad esso collegata".
Mi è pervenuto un documento di proposta al Consiglio Regionale delle linee politiche ed amministrative, del Presidente e della lista degli Assessori, ai sensi e per gli effetti dell'art. 32 dello Statuto Regionale.
Questo documento porta il numero regolamentare di firme. Esso è presentato e sottoscritto dai seguenti Consiglieri: Armella avv. Angelo, Bertorello cav. Domenico, Bianchi avv. Adriano, Beltrami geom. Vittorio, Borando geom.
Carlo, Calleri di Sala dott. Edoardo, Chiabrando geom. Mauro, Dotti dott.
Augusto, Falco dott. Giovanni, Franzi rag. Piero, Giletta cav. Giuseppe Menozzi cav. Stanislao, Oberto Tarena avv. Gianni, Paganelli avv. Ettore Petrini comm. Luigi, Soldano prof.ssa Albertina, Vietti prof.ssa Anna Maria, Visone dott. Carlo, Benzi Germano, Debenedetti Mario, Cardinali Giulio, Vera Fernando, Gandolfi Aldo.
Il testo di questo documento è stato distribuito ieri sera ai Capigruppo dei vari Gruppi consiliari. Non è stato distribuito, viceversa il testo contenente il Presidente proposto e la lista degli Assessori proposti. Ne do' ora lettura: Presidente proposto dott. Edoardo Calleri di Sala; lista degli Assessori proposti in numero di dodici: Armella, Borando Cardinali, Chiabrando, Debenedetti, Falco, Franzi, Gandolfi, Paganelli Petrini, Vietti Anna Maria, Visone Carlo.
Se nessun Consigliere insiste per la lettura di questo documento già distribuito ai Capigruppo, si potrebbe darlo per letto. Vi è alcuna richiesta di darne lettura in aula? Non essendovi tale richiesta si pu procedere al primo adempimento, che consiste, a termini dell'art. 32 dello Statuto, nel dibattito sulle linee politiche ed amministrative proposte nel documento al quale ho fatto testé cenno.
E' iscritto a parlare il Consigliere Oberto, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, varrà forse la pena di prendere le mosse, per l'illustrazione delle ragioni che hanno indotto a presentare il documento e la lista dei candidati, dalla ragione per cui siamo entrati nell'occhio del ciclone di questa crisi, che si dice, da taluna parte, essere essenzialmente una crisi avente degli aspetti amministrativo- giuridici, più che non degli aspetti politici, e si dice d'altra parte, invece, avere insieme dei motivi giuridico-amministrativi e dei motivi squisitamente politici. Si deve respingere, e la respingiamo come Gruppo, la tesi di coloro i quali affermano che si tratta di una forma pretestuosa, essendo pretestuoso l'affermare che le avvenute elezioni del Consiglio di Presidenza sono illegittime, pur sottovoce da tutte le parti consentendo essere praticamente e sostanzialmente vero che di una illegittimità si tratta.
Il Consiglio Regionale era stato convocato il 2 luglio con questo o.d.g.: "Durata del mandato dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale ed eventuali deliberazioni". Consiglio Regionale, legittimamente allora approvò, così come era stato collocato nell'o.d.g., la determinazione della durata del Consiglio di Presidenza, depennando dal periodo di durata successiva l'anno precedente. Di talché si disse - e si era perfettamente in legalità - che la durata avrebbe dovuto essere quella prevista dal nostro Statuto, di trenta mesi, a decorrere evidentemente dalla data di scadenza del Consiglio di Presidenza in carica. Poi, un poco tutti forse sollecitati, ed io fra gli altri, dal desiderio di fare in fretta, dimenticando il vecchio adagio delle nostre nonne che il fare in fretta qualche volta vuol dire far nascere i micini ciechi, ma animati da quel proposito, pensammo di interpretare l'espressione che accompagnava l'argomento all'o.d.g. con la dizione "eventuali deliberazioni", nel senso di procedere seduta stante alla nomina del Consiglio di Presidenza. E procedemmo di fatto. Vi furono delle espressioni che il Presidente Vittorelli disse dettate da una specie di complesso freudiano perché da taluna parte si affermò non elezione ma "rielezione", come di fatto in concreto si verificò. Nessuno eccepì nulla, addivenimmo a quelle elezioni.
Successivamente uno dei Consiglieri assenti alla seduta, il Presidente della Giunta Calleri, eccepì, nella seduta del 5 luglio, l'irregolarità l'illegittimità di tale elezione. Ed effettivamente "melius re perpensa" e sentito anche talun giudizio di esperti in diritto amministrativo, in diritto costituzionale, ci avvedemmo che la fretta non ci aveva accompagnati bene, perché si verificavano situazioni di questo genere: di un Consiglio di Presidenza che era ancora in carica, fino al 13 di luglio di un Consiglio di Presidenza che non aveva rassegnate le proprie dimissioni: (anche se taluni amministrativisti propendono a ritenere che l'atto della pubblica amministrazione può anche consistere in un comportamento omissivo ma sintomatico della sua volontà). Quindi, non avendo presentato le dimissioni delle quali si doveva comunque da parte del Consiglio prendere atto, non era possibile addivenire alla elezione del nuovo Ufficio di Presidenza.
Superammo il tutto; possiamo essere accompagnati non soltanto dalla buona fede, dalla buona volontà che ci ha animati; possiamo essere confortati anche da un'altra considerazione, e cioè che la nomina del Consiglio di Presidenza è uno di quegli atti amministrativi che vengono definiti come "interna corporis", per cui quando non siano sollecitate delle eccezioni hanno valore, proprio per quella sovranità che il Consiglio ha, ma che non possono essere più tali quando vi sia la possibilità, da parte di talun Consigliere di eccepire l'illegittimità della nomina, o quando tale illegittimità in stato potenziale, potrebbe essere eccepita anche all'esterno, pur non essendo quello della nomina dell'Ufficio di Presidenza un atto soggetto ad approvazione esterna. Ma è chiaro che il signor Presidente del Consiglio Regionale, a norma dell'art. 45 del nostro Statuto, è tenuto a trasmettere le leggi approvate dal Consiglio Regionale e successivamente promulgate, al Commissario del Governo, il quale Commissario del Governo in quel momento, terzo finché si vuole, pu eccepire e può richiedere: il Presidente del Consiglio che mi trasmette queste leggi e regolarmente, legittimamente nominato o meno? Ecco l'intervento del terzo. Ma soprattutto mi pare di poter dire che vi è un'altra ragione interna al Consiglio: se in quel giorno 2 luglio fossero stati presenti i 50 Consiglieri che costituiscono il Consiglio Regionale se cioè ci fosse stata la presenza totale dei componenti il Consiglio, essi nella loro sovranità, indipendentemente dall'essere o dal non essere all'o.d.g. l'argomento "elezione" questa poteva avvenire perch automaticamente il Consiglio nella sua totalità investiva il Presidente della messa all'o.d.g. di questo argomento e poteva procedere tranquillamente e legittimamente. Tutto questo in realtà non è avvenuto per cui l'eccezione di illegittimità è qualche cosa di concreto, di valido da non prendere sottogamba; è un motivo formale che è stato preso non a pretesto, ma come occasione per determinare una presa di posizione da parte di taluni dei raggruppamenti politici che fanno parte dell'attuale composizione della Giunta Regionale. Quindi non pretesto; semmai occasione occasione fondata, occasione legittima, occasione che dovrà far meditare il Consiglio stesso in futuro per i rimedi che dovranno essere presi anche in questa direzione.
Aspetto, dicevo, di carattere procedurale iniziale che valeva la pena di essere affrontato perché certamente da parte di qualche Gruppo potrà in seguito essere sollevato.
E veniamo al merito. E' stato presentato un documento, è stata presentata una lista. Il documento è di per sé molto eloquente, merita tuttavia una qualche puntualizzazione perché non vogliamo nasconderci ponendo il dito dinanzi all'occhio, in quanto certamente il Gruppo Comunista in testa, il Gruppo dello P.S.I.U.P. e gli stessi Socialisti direbbero che noi non sviluppiamo il discorso politico, disattendiamo la realtà politica di questa situazione di crisi e quindi deve essere affrontato.
Io non sono un patito della televisione, semmai ho delle riserve da fare sui programmi della televisione e ho soprattutto da fare delle riserve sul grande spazio vuoto che la televisione lascia per quelli che sono i problemi regionali. E prendo anzi l'occasione per dire che effettivamente dovremmo sottolineare questo aspetto.
Ma il richiamo televisivo è fatto da me per spiegare la ragione per cui, come più anziano del mio Gruppo, ho accettato di prendere la parola.
Devo proprio al fatto di avere assistito alla trasmissione in cui il Segretario del P.S.I. On. Giacomo Mancini venne, la settimana scorsa, alla ribalta televisiva intervistato da due giornalisti, se sono stato determinato, se ho avuto la spinta a dire qualche cosa in ordine all'aspetto politico della situazione nella quale ci troviamo. L'On.
Mancini è stato chiarissimo e forte nel respingere accuse che anche personalmente gli si muovono, estremamente chiaro ed esplicito. Poi è tornato l'uomo politico - mi si consenta, non è irriverente per nessuno di noi -, l'uomo politico che sta ad un certo livello, che parla in termini e in modo per cui è estremamente difficile captare la sostanza del pensiero individuare l'essenza di quello che si dice e di quello che si vuol dire.
Il linguaggio ermetico dei politici qualche volta consente un'interpretazione bivalente e qualche volta addirittura trivalente specialmente, così come è avvenuto quella sera, questa è stata la mia impressione, quando si è parlato per esempio dei liberali. Era un discorso tenuto sempre in chiave di assoluto riserbo - (io non sono un politico, amo parlare chiaro, trasparente, semplice, non diplomaticamente, dico quindi le cose come le sento e come le penso) - e quella sera fu un discorso rivolto ai liberali, dicendo esplicitamente da quella tribuna all'uditorio, che era costituito dalla grande massa del popolo italiano, che i liberali non avevano avuto alcun riconoscimento, sollecitando addirittura questo riconoscimento da parte di qualcuno perché erano stati negletti ed abbandonati dopo il risultato elettorale del 13 giugno. Comunque si collocava un discorso diretto, sostanziale, non polemico e non critico, ma anzi di apertura nei confronti dei liberali. E noi questo discorso lo abbiamo sempre fatto, ed io credo di poterlo fare anche quest'oggi, perch nonostante che siamo stati ricacciati da parte di forze di estrema sinistra nell'area reazionaria tutte le volte che abbiamo dato atto che i liberali sono nell'area democratica, che sono stati componenti dei CLN, che vengono dalla vicenda della Resistenza, che hanno contribuito alla creazione della Costituzione, facciamo un'affermazione che Mancini, per implicito, ha fatto quella sera parlando alla televisione. Facciamo poi ancora un discorso, se mi è consentito e non si adontino i colleghi Consiglieri Liberali presenti in aula, non voglio stabilire assolutamente una linea gotica, non intendo di fare una marcatura differenziatrice tra Nord e Sud, ma certamente credo di poter affermare che i liberali del Nord sono, dal punto di vista di avanzamento sociale e politico, una realtà molto diversa da quella di altri componenti di questo partito. E del resto la cosa è stata evidenziata nell'ultimo e recente congresso del Partito Liberale dove vi sono.



NESI Nerio

E Benedetto Croce?



OBERTO Gianni

Benedetto Croce è morto, io parlo dei liberali di oggi, parlo di Mancini, anche se ricorderò forse qualche morto che ha parlato invano ed il cui insegnamento non è stato assolutamente raccolto. Io parlo dei liberali attuali, di quello che hanno fatto nelle Amministrazioni comunali e provinciali, anche in mia collaborazione, in una Giunta che ricordo come efficace, attiva, avanzata in tutti i settori soprattutto della scuola e della sanità, quelli che maggiormente premevano.
Ma il discorso di Mancini a che cosa tende? Se li vuole accaparrare? Li vuole nella sua area? E' disponibile a fare la chitarrata nella speranza che possa essere aperta la finestra e che il Partito Liberale si affacci per raccogliere l'invito che viene proposto? E' un uomo politico Mancini quindi non può essere una battuta, quello che ha detto deve avere un contenuto di validità; l'interpretazione di questo discorso è nella mente di ciascuno di noi, è nelle possibilità di giudizio di ciascuno di noi. "E' certo che lo spazio elettorale - ha detto Mancini - che essi hanno perduto costituisce un'area democratica, è uno spazio che conseguentemente deve essere occupato nelle prossime elezioni del '73 ancora da elementi e da forze democratiche".
Vorrà dire allora che il P.S.I. è disponibile a tutti gli approcci? Vuol dire che ha la canna da buttare nel lago con più ami, in maniera che chiunque possa abboccare? E' un interrogativo che trova già la sua risposta, perché a seconda dei casi il P.S.I. è disponibile per fare Giunte con il Partito Comunista Italiano, fare Giunta con la D.C., magari con un gustoso contorno liberale. Ecco, questa è la visione allora della collaborazione vista a livello nazionale e calata nella realtà di quella che è la situazione regionale: visione di un Centro Sinistra che mi pare si possa dire davvero singolare. E la risposta che Malagodi ha dato (Malagodi contestatissimo al Congresso del Partito Liberale) è altro motivo di profonda meditazione da parte nostra.
E a noi si dice e si contesta e si ripete, in quest'aula, fuori di quest'aula, sui giornali, nelle riunioni di partito, che - siamo lontani da una concretezza di politica e di equilibri più avanzati. Ecco il punto, la tematica sulla quale dobbiamo dire qualche cosa. Da ragazzino, nella mia piccola città non c'erano grossi spettacoli; ricordo che qualche volta andavo nella piazza grande, detta "della granaglia", dove venivano dei funamboli; tiravano una grossa fune da una parte all'altra della piazza, e un uomo partiva esitando, faceva poi qualche passo all'indietro, poi si reggeva bene in equilibrio con il bastoncino che aveva tra le mani, e poi di corsa attraversava sulla fune la piazza, determinando uno stato d'allarme in tutti coloro che guardavano lo spettacolo e arrivava al termine della fune tesa. Qualche volta non ci arrivava, non toccava la meta dell'equilibrio più avanzato, era la suspense, era il grido di allarme degli spettatori; l'equilibrista cadeva giù e sotto c'era una rete che lo raccoglieva. Ecco: se cadeva c'era la rete. Di fronte a questo programma politico di equilibri più avanzati, per restare sempre in quella chiave televisiva alla quale mi sono ancorato quest'oggi, direi che siamo proprio di fronte ad un rischio che corriamo e che potremmo definire "senza rete" o meglio, una rete c'è, ed è questa la cosa che preoccupa maggiormente, la rete c'è pronta ad accogliere la caduta, il fallimento, la bancarotta del Centro Sinistra, che significherebbe il crollo della democrazia; e questa rete ha un nome molto chiaro: Partito Comunista Italiano; se non addirittura quella che scavalca il P.C.I. a sinistra, quella che contesta oggi anche il P.C.I., ormai in grande misura e in grande parte del Paese dei gruppuscoli che sono incontrastati ed incontrollabili.
Mi permetterei di ricordare l'episodio dell'occupazione della sede della Regione avvenuta a Firenze pochi giorni addietro, e la cacciata degli occupanti studenti con i quali i comunisti avevano precedentemente aperto chiaramente un dialogo; espulsi ad opera delle milizie comuniste che sono state prontamente fatte accorrere, non essendosi voluto accettare l'intervento della polizia, di quella che è la polizia di tutti gli italiani. E' un fatto indubbiamente assai eloquente di per sé, ma acquista un valore veramente pregnante, significativo quando si voglia tenere presente e conto che il Presidente Socialista di quella Regione, l'avv.
Lagorio, affermava in quella occasione, (come riferisce e non c'è stata nessuna smentita, il Capogruppo della D.C. Butini alla Regione, e come pubblicato sul n 275, virgolettato, della rivista "Panorama" e quindi da smentirsi dall'avv. Lagorio se la notizia non è esatta e da smentirsi rapidamente) il Socialista Lagorio affermava che "l'ordine pubblico è problema di competenza della Regione". Il che significa affermare, come linea di principio, che la Regione è contro lo Stato, che la Regione pu costituirsi un elemento di propria difesa, disattendendo l'intervento della polizia di Stato. E questa, ripeto, è una Regione a conduzione mista socialista e comunista, di equilibri avanzati: ma chi fa il discorso è chiaramente un socialista.
Siamo arrivati a questo. Ma poi siamo andati avanti, con la contestazione del comunista prof. Ragionieri nei confronti del quale il Partito ha dovuto intervenire, eliminando i contestatori. E quello che viene, almeno come eco, da Bologna, è motivo di altra grossa ragione di meditazione Quando gli amici socialisti ci invitano ad "equilibri più avanzati", vogliono dire questo? E allora, se vogliono dire questo io ritengo che la D.C. in questa direzione non è disponibile, e non riceve l'invito, perché non vuol trovarsi nella rete, o senza rete, per questo equilibrismo che disattende. Equilibrio avanzato che vorrebbe dire abbraccio al P.C.I., o abbraccio dal P.C.I. che forse sarebbe anche un abbraccio più stretto e più violento. L'abbiamo del resto avvertito anche qui...



RIVALTA Luigi

Non siamo dei pagliacci, siamo persone serie.



OBERTO Gianni

Queste sono le solite battute che si dicono quando non c'è un contenuto sostanziale da esprimere. Quando si fanno di quelle sortite vuol dire che manca la sostanza, perché all'insulto si arriva soltanto in quelle condizioni.
Del resto, dicevo, lo abbiamo avvertito anche qui in quest'aula, lo abbiamo avvertito nelle Commissioni che il P.S.I. è effettivamente sotto tutela del P.C.I., che ha i contatti con il P.C.I. e soltanto per salvare la faccia fa qualche volta il salto della quaglia, diventa il Pierino primo della classe e cerca in qualche maniera di emanciparsi con delle iniziative che non sono poi condivise neanche totalmente all'interno del raggruppamento.



CURCI Domenico

Avete impiegato dieci anni a capirlo.



OBERTO Gianni

Non ha nessuna importanza, ciò che importa è arrivare a tempo. D'altra parte voi non avete ancora capito niente neanche dopo 25 anni.



PRESIDENTE

Prosegua Consigliere Oberto e per cortesia non raccolga le interruzioni.



OBERTO Gianni

E anche nelle Commissioni, perché anche in queste quando si consultavano i terzi da parte di Consiglieri del P.C.I. si stimolavano i partecipanti e si provocavano e i socialisti davano spazio. Del resto il P.C.I. fa il suo gioco, è naturale, logico, noi lo sappiamo, non ci sorprende niente. Avete certamente questo grande merito, di dire sempre sapendolo, dove volete andare e che cosa volete fare. Noi il vostro schieramento sotto l'aspetto della chiarezza e della sincerità lo conosciamo in termini precisi. Ma i socialisti presenti in queste Commissioni andavano a nozze con questa provocazione determinata dai comunisti, sui consultati, per determinare dei motivi di crisi interna alla Regione, in maniera da modificare l'essenza e la struttura del nostro Statuto e del nostro Regolamento circa "la partecipazione", che noi riaffermiamo anche oggi qui in questo documento che è stato presentato come valida nei giusti limiti.
E Mancini in quella trasmissione ha ancora detto che con gli equilibri più avanzati (ma non ha spiegato che cosa siano) non si vuole cambiare struttura formale, non andando, per ora, con il PCI che non è ancora disponibile. Anche questo è un discorso che diventa non più ermetico ma chiaro: noi camminiamo in questa direzione, ma la meta che vogliamo raggiungere è quella, di andare con i comunisti. Ed in Regione, nonostante gli impegni che sono stati presi, che cosa si è fatto in un anno dalle elezioni? Si era preso un impegno, che penso sia stato anche sottoscritto di evitare le Giunta frontiste nella Regione piemontese. Si parlava in quel momento di Nichelino, di Castellamonte, di Caluso; è passato un anno e nemmeno in uno di questi centri si è sbarcato il PCI. Si è mancato quindi alla parola e all'impegno preso; ed è ragionato e giusto che noi rileviamo questo inconveniente.
Ora dobbiamo dire chiaramente - e il documento che è stato presentato lo riconferma - che le riforme si possono portare avanti benissimo anche senza il PCI; che volere sempre l'ottimo contrasta che si faccia il bene, e ci si pone di fatto contro l'attuazione delle riforme, come anche nei giorni passati si è verificato, per esempio con la non approvazione della legge sull'obiezione di coscienza, così come avviene sempre, dicendo: no si dovrebbe andare più in là. Più in là, impedendo che si arrivi ad un traguardo positivo e concreto.
La riforma della casa. E' un problema che abbiamo affrontato come Unione Regionale delle Province Piemontesi, che ha una documentazione amplissima esistente a Palazzo Cisterna e a disposizione di tutti, che non ha potuto trovare il momento del dibattito unicamente perché lo si sarebbe fatto in prossimità delle elezioni regionali, provinciali e comunali e avrebbe potuto quindi essere preso a pretesto di talune indicazioni propagandistiche più che non di sostanza; un problema che assilla veramente quanti vivono nelle "bidonville", o in qualche cosa del genere, attorno a Torino, nei paesi della cintura, che assilla i baraccati, che è un problema nostro, italiano, ma non nostro soltanto, ma anche di quel grande Paese che a 50 anni dalla rivoluzione bolscevica non è riuscito a risolverlo perch anche là vi sono le coabitazioni, anche là vi sono le limitazioni di mq, a disposizione di ciascun cittadino. Vi sono delle difficoltà che devono trovare la loro possibilità di soluzione, in una gradualità di impegno che deve essere assunto.
Noi non vorremmo adeguarci, come tema di equilibri più avanzati quando ci si porti innanzi il problema della casa, al modello bolscevico, vorremmo risolverlo diversamente. Anche noi abbiamo riconosciuto, e non da oggi, che l'insegnamento sociale cristiano, anche della Chiesa, ha sempre parlato di una limitazione dell'esercizio del diritto di proprietà; la limitazione dell'esercizio del diritto di proprietà in funzione sociale, non evidentemente una espropriazione senza indennizzo, non un appiattimento completo di quelle che possono essere le esigenze di tutti e di ciascuno di noi e che vengono particolarmente sentite dai ceti medi e se mi è possibile aggiungere, dai ceti più vasti che hanno faticato una vita a risparmiare qualche cosa, per comperare magari un terreno per costruirsi una casa e che dovrebbero oggi sentirsi minorizzati alle speculazioni che negli anni passati si sono in realtà compiute.
Mancini ha anche invocato l'adempimento della Costituzione, ha consentito anche sugli artt. 39 e 40 ammettendo quindi "la regolamentazione dell'esercizio del diritto di sciopero", ma ha aggiunto: "Ma se ci avvenisse in un momento di convulsioni politiche, non troverà mai l'assenso del PSI". Ecco, le convulsioni politiche si possono provocare dalla mattina alla sera, in un battibaleno e allora gli artt. 39 e 40, proprio nel momento in cui il Presidente del Consiglio On. Colombo li riporta alla ribalta e all'esame del Centro-Sinistra governativo, viene televisivamente respinto dal Segretario del PSI. Agitare è facilissimo; vuol dire dunque contrastare in una forma bivalente l'argomento, dicendo noi lo contrasteremo se lo contrasterà la piazza, e muovere la piazza non è assolutamente difficile; anche se incomincia a diventare anche un poco difficile se si pone orecchio a quello che avviene nell'ambito dei Sindacati, se incominciamo ad avvertire in tema di unificazione, dei grossi problemi che li rendono perplessi e responsabili perché certe confusioni e certe commistioni non possono portare frutti positivi.
E allora, chi è nell'area del quadripartito dissente su di una ipotesi di applicazione della Costituzione? E c'è da chiedersi perché. L'errore politico è stato e sarebbe ancora oggi quello di dare ad una formula e non ad un programma il carattere di irreversibilità. Nessuno di noi ignora che il P.R.I. è fuori dalla composizione governativa, ma nessuno di noi ignora però che il P.R.I. resta fedele al programma, pure con dei frequenti richiami, qualche volta un poco sussiegosi, anche se nella sostanza realistici, all'aspetto della vita economica del nostro Paese, che è altro argomento del quale dobbiamo tenere ben presenti le condizioni, se non vogliamo andare al fallimento e alla bancarotta fraudolenta. Noi partecipiamo in qualche misura, ma voi partecipate in misura anche maggiore all'eventualità del verificarsi di questa bancarotta fraudolenta. Quindi mi sembra che sia veramente il momento di dire: basta con delle affermazioni platoniche che invocano continue verifiche, quando vi sia la disistima tra coloro che devono reciprocamente verificarsi. Contano i fatti e non le parole. La coabitazione è già una cosa molto difficile, la convivenza lo è ancora di più, specialmente quando non si è sinceri; quando gli equilibri più avanzati possono giungere anche al trasferimento di voti. Allora si bara al gioco e allora è difficile convivere; quando si resta nell'equivoco non si può convivere; quando lo scontro è di ogni momento, di ogni caso non si può camminare insieme; quando le norme che ci siamo date vengono diversamente interpretate, distorte e dilacerate, non è possibile camminare insieme. Noi affermiamo e l'abbiamo detto nel documento scritto, che siamo per le riforme, per le riforme razionali, ragionate, calibrate, graduate e responsabili. Non è vero che non si possono fare senza la presenza nelle Giunte o nei Governi anche dei Socialisti; nel nostro caso sono stati i Socialisti che si sono sentiti umiliati, ed umiliati non furono, e lasciarono il campo della discussione, abbandonarono quel dibattito che avrebbe potuto portare ad un chiarimento che noi auspichiamo possa venire nel tempo per fare altro tratto di cammino insieme; ma con chiarezza, con sincerità, con coerenza, avendo occhio, soprattutto, alla grave situazione economica e produttivistica del nostro Paese.
Noi vogliamo uno sviluppo armonico dell'economia attraverso le riforme sì uno sviluppo armonico. In primo luogo vogliamo l'ordine costituzionale applicando la Costituzione che ha in sé i semi del socialismo, ma non soltanto quelli. Si possono sradicare le ingiustizie sociali ed affrontare i grandi problemi irrisoluti del Paese; ma quando noi parliamo di ordine costituzionale, ci sentiamo contrapporre subito il termine di repressione e ci si qualifica, amici delle repressione. Noi diciamo subito che non vogliamo l'ordine che regna a Varsavia, non rifacendomi al regno di un secolo fa, no, no, rifacendomi agli episodi di qualche mese fa; e vorrei rispettosamente dire che chi invoca l'ordine costituzionale, chi crede in questa possibilità di riforme graduali, non sono soltanto io, io non ho niente da aggiungere a queste dichiarazioni, le ha fatte un uomo della vostra parte, comunisti; è Pecchioli, che tutti noi conosciamo, che invoca dunque l'ordine, che invoca l'ordine costituzionale, che vuole le riforme in questo spirito, che è seriamente preoccupato di questo sviluppo economico del quale sembra invece che noi troppo poco ci occupiamo e ci preoccupiamo.
Quindi rispetto della legge, esercizio legittimo dell'autorità, che è una cosa assolutamente diversa dall'autoritarismo che noi neghiamo contestiamo e respingiamo. I comunisti contestati a sinistra, - le collusioni alla Stazione Termini tra frange maoiste ed elementi della vostra organizzazione sindacale; l'episodio di Cinisello Balsamo dove "Lotta continua" è contro il Partito Comunista per il verde del parco privato Cipelletti, - hanno bisogno di un'adesione dello PSI perché contano di avere così una specie di copertura. Questo lo ha detto ancora Mancini: "Noi Socialisti valutiamo in modo diverso dagli altri il PCI". Come lo valuta dunque il PSI il PCI? Bisognerà che questo discorso sia fatto aperto, chiaro e responsabile. Sarà il possibile, il probabile compagno di viaggio di domani anche se, ripeto l'espressione di Mancini, il PCI non è disponibile oggi. E' però certamente la frontiera di sinistra, attesa desiderata, agognata, alla conquista della quale si cammina volendo camminare contemporaneamente con la D.C., con i Socialdemocratici e con il P.R.I.
A suo tempo un grande socialista (ecco che ricordo anch'io un morto) Giacomo Matteotti ha chiaramente ammonito, ma ahimè sterilmente ammonito "i socialisti con i socialisti, i comunisti con i comunisti". E Filippo Turati, anch'egli scomparso, avvertendo una certa strana vocazione centrifuga, un'acuta nostalgica propensione alla seconda o terza anima del socialismo amaramente commentava: "Il Socialismo è una gran bella cosa peccato che vi siano anche i socialisti". E oggi vi sono, in conflitto fra di loro, i De Martini e i Lombardi e localmente i loro seguaci che creano della confusione e la creano anche qui, in sede di vostro Gruppo, perch taluni sono schierati in un senso e altri in un altro, e ci sono le dichiarazioni di De Martino che sono accettate da taluno e le dichiarazioni di Lombardi che sono accettate da talun altro...



(Rispondendo ad un'interruzione del Consigliere Sanlorenzo)



OBERTO Gianni

Avrà tutto il tempo di rispondere collega Sanlorenzo, ed io le assicuro soltanto questo: che la ascolterò come sempre l'ho ascoltata pazientemente, attentamente, senza interromperla. Se noi vogliamo essere veramente un Consiglio Regionale civile, dobbiamo adottare questo sistema di parlare, di lasciar parlare, di consentire, di dissentir, ma in modo civile.



(Proteste dalla tribuna del pubblico)



PRESIDENTE

Prego gli spettatori di osservare il più perfetto silenzio, altrimenti chiunque intervenisse sarebbe immediatamente espulso dall'aula. Questo è un Consiglio ordinato e andrà avanti ordinato e ogni oratore avrà il diritto di esprimere pienamente la propria opinione.
Prosegua pure Consigliere Oberto.



OBERTO Gianni

E se l'on. Mancini rispondendo alla televisione a Gorresio e a Vecchiato affermava che "la D.C. non deve modificare il programma comune per gli obiettivi più avanzati" aggiungendo anche in via di ipotesi che i socialisti ritengono che il Centro Sinistra si è logorato sui punti più importanti del programma, è poi una dichiarazione che viene da voi, siete voi che affermate che c'è questo logoramento, siete voi che denunciate delle situazioni politiche nei confronti delle quali debbono aversi dei chiarimenti.
E se De Martino rincara la dose spregiudicatamente noi allora non abbiamo da restare sorpresi se anche in questo Consiglio si sono levate molte volte delle voci non soltanto di dissonanza critica, ma di un vero e proprio contrasto che debbono essere oggetto di chiarimento e di precisazione. Al che il documento che è stato presentato invita ed io illustrandone l'essenza, rinnovo questo invito. Ma tenendo fede alla parola data "pacta sunt servanda" è latino facile, non è quello dell'imbroglio di Don Abbondio a Renzo e a Lucia, lo sappiamo tutti; e i fatti si chiamano Caluso, Castellamonte e Nichelino, che restano senza risposta da oltre un anno. La scacchiera socialista non può avere dei pezzi interscambiabili altrimenti dobbiamo dire che gli equilibri che si vogliono sono questi: irreversibili e premessa anzi per altri casi. Tanto, si dice, la D.C. è disposta a subire, un anno è passato, passeranno anche gli altri e noi faremo i nostri comodi: con la D.C. dove ci conviene, con il P.C.I. dove ci conviene.
Il fatto si aggrava anzi adesso, si aggrava con il proposito della crisi nella Provincia di Torino e anche al Comune di Torino, proprio nel momento in cui invece, alla Provincia di Asti per esempio, dove si sono chiarite le situazioni e le posizioni, si è fatto il quadripartito. Queste dissonanze e queste divergenze meritano una chiarificazione. Non si pu essere con la D.C. ad Asti e con il P.C.I. a Torino.



(Nuove interruzioni dalle tribune del pubblico)



PRESIDENTE

Prego il pubblico di tacere e di non applaudire.
Il Consiglio Regionale è riservato ai Consiglieri Regionali, il pubblico può assistere e non partecipare.
La prego di proseguire.



(I Consiglieri del P.S.I. abbandonano l'aula)



OBERTO Gianni

Guardi, Consigliere Nesi, se anche lei vuole fare uscire il suo Gruppo io sono già abituato a queste cose; non mi adonto assolutamente; vuol soltanto dire che non si hanno orecchie per intendere, che si rifiuta il dialogo, che ci si allontana, come vi siete allontanati al momento delle trattative, dal banco delle trattative stesse. E' il vostro costume, dovrei allora concludere e aggiungere.



RASCHIO Luciano

E' una provocazione continua la tua, caro Oberto.



OBERTO Gianni

Dire la verità è dunque provocare? Il nostro elettorato, nonostante l'usura del tempo, ci è però rimasto sostanzialmente fedele, in questo scorcio di venticinque anni di vita democratica. Ma esige da noi ulteriore impegno di coerenza, e lo esige anche da coloro che noi scegliamo come nostri compagni di viaggio. Noi non possiamo portare sulle nostre spalle la responsabilità che ci deriva dall'avere determinati compagni di viaggio; non dobbiamo calare il nostro numero di voti, cedere la nostra responsabilità di pilone in questo momento delicato della vita democratica del nostro Paese, dopo che non l'abbiamo fatto come partito di De Gasperi, Partito Democratico, che ha abbattuto gli steccati proprio quando avrebbe potuto renderli più alti, con la forza e con il consenso dei voti, vittorioso in una guerra perduta, ricostruttore di una Italia rovinata nelle cose e negli spiriti. Ed europeista. Che ha indicato le caratteristiche del nostro partito, che noi ribadiamo, anche nella formula di Centro Sinistra e nel documento che abbiamo presentato come partito con queste essenziali caratteristiche, irrinunciabili, di partito popolare, al quale partecipano artefici del riscatto nazi-fascista di natura popolare, di centro, che muove verso sinistra, ma che certamente non ha la voluttuosa aspirazione ad essere inglobato da altre forze. Una sinistra viva, vigile, responsabile, che c'è anche all'interno del nostro partito, avanzato rispetto ad altre forze che compongono la realtà interclassista e pluralista di quel partito che nel 1948 ha dato la misura più alta e civile del senso di responsabilità, del senso del limite, della misura, nei confronti di tutti.
A questa sinistra interna, interna e collaterale (penso al tormento delle Acli, che si impongono una riconsiderazione critica, che recedono decisamente dall'impostazione della credibilità di una ipotesi di scelta della società socialista affermata proprio qui, a Torino, e poi a Vallombrosa) si fanno le frequenti chitarrate da parte del P.C.I., del P.S.I.U.P., con manifesti solenni, grandiosi, quasi a dimostrare l'esistenza attuale anche a Torino ancora dello P.S.I.U.P., e del Partito Socialista Italiano. Noi rispettiamo profondamente questi nostri amici della sinistra democristiana, ed apprezziamo il loro atteggiamento anche quando non lo condividiamo. Sono contrapposizioni interne, utili e necessarie. Le nostre sono aperte, pubbliche, forse non troppo capite nel loro spirito e nel loro valore. Sono amici liberi di esprimere giudizi, e lo hanno fatto anche in quest'aula, non conformi a quelli degli altri. E' la forza della nostra posizione che ci fa rispettosi della personalità libera di ogni uomo; è l'espressione prima della libertà. Non possiamo accettare che chi ha in casa propria, più o meno contenuti, o frenati, o soffocati fermenti di dissenso, a volte rasentanti l'odio, cerchi di attraversare il nostro partito per scinderlo e dividerlo con la forza rabbiosa delle proprie lacerazioni, creando un solco che noi non abbiamo se non nel dialogo e nelle prospettive di azione, non certo nella sostanza del programma e del patrimonio ideologico. Questo è costume politicamente inaccettabile, ed è inveritiero seminare, e continuare a seminare a piene mani zizzania, affermando che il resto della Democrazia Cristiana è arroccato su posizioni di estrema destra, nel vano tentativo di isolarla mortificandola. Ho sempre detto, parlando nei comizi elettorali, in questi venticinque anni, ai socialisti che votassero per i socialisti, ai liberali che votassero per i liberali; ho sempre rivolto la mia parola a quegli altri che non hanno una vocazione di partito, proprio per il rispetto che debbo a coloro che sono portatori convinti di una propria opinione, di una propria idea, che apprezzassero il nostro pensiero, il nostro programma.
C'è la grande massa di coloro i quali subiscono oggi un inquinamento dell'informazione, che deve essere illuminata, e verso la quale le parole debbono essere indirizzate in termini chiari ed inequivoci.
Uno degli esponenti nostri più qualificati - amici della sinistra che restando nello spirito del programma presentato, che altro non è in definitiva che il programma condiviso nella precedente edizione della Giunta, e che avete ritenuto responsabilmente di rimanere fuori dall'impegno dell'organo esecutivo in questo periodo - ha detto in questi giorni: "I democristiani sono peraltro consapevoli - è l'on. Bodrato ad affermarlo - che il Paese richiede la concreta collaborazione tra partiti che ne rappresentano le tradizioni democratiche popolari, per respingere le avventure estremistiche e le tentazioni autoritarie che porterebbero indietro la storia italiana, senza risolverli, ma anzi aggravandoli, i problemi sociali ed economici. L'alleanza democratica è espressa dalla maggioranza di Centro Sinistra, che rappresenta la garanzia di un corretto confronto con le opposizioni, nell'intransigente fedeltà ai principi di libertà". Ecco, io non saprei veramente come dire meglio, che cosa aggiungere, se non precisare che se il Centro Sinistra va avanti a livello di Governo senza la presenza del Partito Repubblicano Italiano, che è una delle componenti della formula quadripartita, proprio non si vede perch questo non possa avvenire alla Regione senza la componente del Partito Socialista Italiano; senza quei socialisti che sono troppe volte oscillanti, e che hanno lasciato il tavolo delle trattative ed hanno lasciato oggi l'aula del Consiglio.
Questo, in attesa di quel chiarimento, nei fatti, prima di tutto, che quanto prima verrà tanto meglio sarà. Voglio però aggiungere che noi non crediamo che il Centro Sinistra sia pulito soltanto se ne fanno parte i quattro componenti: noi diciamo che il Centro Sinistra è pulito quando datosi un programma, tende alla realizzazione di questo programma. Quello che deve essere evitato, piccola o grande che sia, è la strana avventura della cosiddetta "salsa cilena", dove Allende è arrivato al potere, dove presiedono le assemblee i Democratici Cristiani e dove Allende pretende dalla Democrazia Cristiana che collabori all'approvazione del programma di Governo, senza dar voce nella gestione della riforma, Noi vogliamo idee chiare e vogliamo chiarite le idee di avere compartecipi alla gestione quanti condividono programma e idee nostre.



BERTI Antonio

Allora bisogna mutare anche in Cile.



OBERTO Gianni

Molto meglio la riva bianca e la riva nera, ma chiara, netta, distinta precisa, senza timore della gratuita taccia di una involuzione a destra. Lo sappiamo che voi ci volete provocare in questa direzione: uomini della destra, della destra retriva, conservatori, uomini che non sanno camminare.
Basterebbe guardarsi un poco indietro, ripensare a quello che è avvenuto qui e fuori di qui, ad opera di uomini della Democrazia Cristiana che hanno il peso, da portare innanzi, di questa Regione, per convincerci che non è certamente collocarsi in un involucro di destra l'affermare, su piano regionale come su piano nazionale, che le riforme vanno fatte tenendo conto che non si gioca al "rischiatutto". Qualcuno può avere interesse a questo gioco. Ho imparato da lei, Consigliere Giovana, (rispondendo ad una interruzione) che ha sempre queste battute così spumeggianti. L'area democratica vuole la casa, vuole la scuola, vuole gli ospedali, ma vuole anche le strade, vuole anche le autostrade, vuole anche i trafori (e qui possiamo sottolineare oggi, molto lietamente, in questa sede di Consiglio Regionale, che proprio ieri l'altro il CIPE ha approvato il via per il traforo del Frejus, al che abbiamo collaborato lealmente, sinceramente amichevolmente, amici della Democrazia Cristiana, Socialisti, compreso il Presidente Vittorelli, al quale do atto di questa partecipazione alla soluzione del problema; seguiranno poi - accolgo il suggerimento Consigliere Revelli - a grado a grado quelli che stanno a cuore al Presidente Falco, del Ciriegia, del Croce). Perché, amici, sappiamo tutti che se si esce da quest'aula, al sabato e alla domenica, e si va in giro per questo nostro Piemonte, per questa nostra Italia, non si può non rilevare lo stato di congestione sulle strade e non sentire la necessità di adottare le necessarie soluzioni. Io vado anche all'ospedale, mi rendo conto che vi sono problemi da risolvere in campo ospedaliero; vado alla scuola, e riconosco che a certe questioni si deve trovare urgentemente rimedio; ma non chiudo gli occhi dinnanzi alla mobilità estrema del popolo italiano, al quale bisogna fornire in misura adeguata il servizio di una snella viabilità, incrementando quel turismo che è stato ora contenuto con una perdita secca di fior di miliardi sul nostro bilancio, per l'eccessivo numero di scioperi che sono stati fatti, che hanno anche impedito agli stranieri di trovare ospitalità negli alberghi e nei ristoranti del nostro Paese.
L'area democratica vuole che ci sia una efficace difesa contro i delinquenti armati paurosamente; vuole una giustizia rapida, veramente non di classe, che non induca il cittadino a chiedersi: ma vado dinnanzi ad un giudice che è giudice o che è uomo di parte? Vuole la libertà del lavoro. E noi in questo settore, Presidente Calleri, abbiamo fatto, mi pare parecchio; tu, nella tua posizione responsabile di Presidente della Regione, hai fatto parecchio. Ricordiamo la Magnadyne: se possono sorgere oggi contestazioni, ciò non è più addebitabile alla Regione, ma il problema è stato affrontato, abbiamo ricevuto gli operai, abbiamo espresso la nostra disponibilità, abbiamo dato il nostro appoggio per risolvere questo problema. Così abbiamo fatto sempre - amico Berti, questo vorrà consentirlo anche sei anni fa, allorché iniziai la mia responsabile azione di Presidente della Provincia di Torino con quel grosso fatto che è stato il crac del Cotonificio Valle di Susa, nel quale svolsi un'azione di cui i Sindacati mi espressero viva riconoscenza. Ricordiamo la presa di posizione in occasione dell'insediamento della Lancia nel Biellese, con tutte le implicazioni critiche che possono venire, ma accettato anzi voluto da quelle popolazioni, da quei partiti, e per contro deprecato da appartenenti agli stessi partiti qui in Consiglio Regionale, accettato dai Sindacati accettato dai lavoratori.
L'area democratica vuole ancora la possibilità di difesa del sudato risparmio: quello della gente semplice, della gente umile, quella che non trasferisce i capitali in Svizzera ma che deposita le sue somme nelle nostre banche, che paga le tasse, e ha diritto di poter contare sulle centomila lire, sul milione, che ha risparmiato.
Tutti questi punti base dell'area democratica sono in effetti gravemente minacciati, ora. Noi vogliamo che cessi la violenza eletta a sistema, la prepotenza che tende a sostituirsi alla ragione e al libero dibattito; che la moneta continui ad avere la sua capacità di acquisto; che siano affrontati presto e bene i problemi di competenza della Regione, con l'affidamento di attribuzioni ampie, come anche nel documento passato e in questo il nostro Presidente designato chiede all'organo centrale; e come ha chiesto con contatti diretti in passato; come è stato sollecitato dal Consiglio e portato innanzi dal Presidente del Consiglio, perché si smuovano finalmente le remore centrali e si ponga a nostra disposizione lo strumento necessario per far sì che la nostra politica regionale non venga meno, tenendo presente che la politica regionale non è, non può, non deve essere una politica come le altre.
Veniamo alla proposta di soluzione. Non si poteva, colleghi Consiglieri, parcheggiare, come solitamente si dice quando le crisi arrivano a questa stagione; non si poteva nemmeno fare una Giunta balneare anche perché le acque sono tremendamente inquinate e quindi si sarebbe avuto svantaggio; non si poteva fare un monocolore perché non c'era e non c'è nessuna ragione di disistima nei confronti di coloro che assumono con noi la responsabilità della conduzione di lavoro, in questo momento, i socialisti democratici ed i repubblicani; e non si poteva surgelare, anche se oggi questa è una pratica di moda, la situazione che esisteva con le discrepanze interne alle quali ho accennato.
Dovevamo fare una Giunta. Non so se ciò sarà possibile già oggi o se sarà necessario un rinvio a fra otto giorni: dipenderà evidentemente dal meccanismo del nostro Statuto e del nostro Regolamento per quanto attiene alla votazione.
E' certo, però, amici Consiglieri - lo dico con la fede, non di oggi ma di sempre dello spirito regionalistico -, che noi non possiamo dire: agosto, Regione, non ti conosco! Anche in agosto bisognerà lavorare intensamente, proficuamente, ciascuno lungo le sue linee di possibilità e di azione, perché non si perda tempo e si realizzi in concreto quello che noi vogliamo: maggioranza costituita, eventuale maggioranza di attesa che noi aspettiamo, e minoranza. La Regione non può perdere di credibilità n di incisività. La Democrazia Cristiana, come Gruppo di maggioranza relativa, deve svolgere appieno il suo responsabile ruolo di attrazione e di attuazione. Noi non avremo certamente a nostra disposizione un ping-pong e neanche qualche altro gioco delle ombre cinesi. Ma dobbiamo anche noi nelle linee segnate dal programma, determinare un nuovo sviluppo, superando la critica, qualunquistica o della diffusa indifferenza, che i partiti e la cultura dei loro uomini sono lontani dai problemi reali. Non possiamo baloccarci con lo yo-yo, calando e rialzando la pallina. Siamo in una situazione di crisi. La zona canavesana a Rivarolo nei giorni scorsi ha denunciato una situazione che dopo le ferie può diventare pericolosa perché manca il lavoro, mancano le commesse dall'estero, manca la possibilità di ripresa. Vi è stato per converso il vice-sindaco di Chivasso che ha detto: per carità, crisi edilizia, neanche per idea: noi abbiamo qui lavori per 400-500 milioni e non troviamo alcuno disposto a realizzarli.
Ecco il dramma: non troviamo alcuno che voglia farli. Perché manca il credito, perché non si assumono più lavori responsabilmente, perch iniziato un lavoro c'è la proclamazione dello sciopero, perché intervengono troppi fattori che distruggono la possibilità della costruzione e ciò in aggiunta alle troppe remore burocratiche. Ecco la vera risposta, che non è stata evidenziata da quel vice-sindaco, al colloquio fatto a distanza con gli industriali responsabili del Rivarolese.
Ho detto che mi pare non bello entrare in casa altrui e farvi la critica. Ma una considerazione dall'esterno può, mi sembra, essere fatto.
Mi spiace che gli amici socialisti siano fuori; vorrei dire loro che i 180 mila voti che il 13 giugno sono stati perduti dal Partito Comunista Italiano e dal Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria sono verosimilmente, in gran parte affluiti al Partito Socialista Italiano.
Questo dovrebbe dar loro il senso della responsabilità che questo partito deve assumere, piena, di un'autonomia completa: i socialisti con i socialisti. Noi non abbiamo tendenze corrosive, ma non vogliamo certamente essere compromessi nelle nostre linee di tenuta, che fanno della Democrazia Cristiana il partito che da oltre venticinque anni regge il peso responsabile dello sviluppo democratico del Paese, che difende la libertà per tutti, a differenza di quello che avviene in altri Paesi, ove le maestranze operaie che alzano per un momento il dito vengono soffocate e represse. Questa difesa della libertà, che il nostro Partito della Democrazia Cristiana, che i Governi democratici espressi dal pilastro centrale della Democrazia Cristiana hanno garantito, ed ancora garantiscono, in una parentesi di pace, di serenità e di benessere nonostante tutte le code che si fanno alle elucubrazioni di un benessere logorativo e di una situazione crisaiola di carattere permanente.
Noi riaffermiamo ancora questa nostra linea di impegno centrale, di lotta contro quanti vogliono gli estremismi, che sono destinati fatalmente a diventare autoritarismi per trasformarsi e tramutarsi inevitabilmente in dittature. A chi ci accompagna in questo non facile viaggio chiediamo l'impegno alla chiarezza ed alla sincerità. Non vorremmo certamente trovarci sulla strada di Budapest, di Praga, di Varsavia. Certe disinvolture ci sconvolgono. Che la comunista Bulgaria sia la prima a riconoscere la Grecia dei colonnelli, che Papadopulos si disponga al viaggio a Bucarest, che la Russia intensifichi i rapporti con la Spagna che la Cina litighi e guerreggi con la Russia e giochi a ping-pong con l'America, sono certo cose che fanno seriamente pensare. Sono molto lontane dalla Regione Piemonte. Ma noi non possiamo collocarci al di fuori di una realtà concreta della vita che tutti insieme viviamo, non possiamo dimenticare che potremmo essere coinvolti in una immane rapina, come già altra volta siamo stati, come festuca al vento. La sudditanza opaca e l'affidamento subordinato ai comunisti dei socialisti non ci rassicurano non soddisfano né rassicurano il nostro elettorato, che il 7-8 giugno '70 ha fatto una scelta: una scelta che noi non possiamo scordare, che non possiamo disattendere, che non possiamo tradire. E' per questo che responsabilmente, nell'attesa dei chiarimenti che abbiamo invocato, abbiamo presentato una lista, capeggiata ancora dal dott. Calleri come Presidente della Regione Piemonte, con i nomi dei Consiglieri Democristiani Socialdemocratici, Repubblicani.
Chiediamo al Consiglio Regionale di voler accettare le linee del programma che è stato comunicato nel testo ieri sera distribuito; chiediamo a tutti coloro i quali hanno vigile il senso di responsabilità di aiutare favorire la realizzazione concreta e precisa di questo programma nell'interesse delle popolazioni piemontesi, che attendono qualche cosa dalla nostra Regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



(Rientrano in aula i Consiglieri del PSI)



BIANCHI Adriano

Signori, io mi limiterò, di fronte alle molte polemiche esterne e interne a questa assemblea, a tentar di ricordare, più che agli altri a me stesso, quali siano la linea e il quadro politico entro i quali la Democrazia Cristiana intende operare e fuori dei quali, a mio sommesso avviso, la sua identità e la sua funzione storica verrebbero snaturate.
Vorrei così in modo diretto ribadire, anche se in termini semplici e modesti quali mi sono consentiti, l'impegno che ci caratterizza e la direzione su cui intendiamo marciare, ed in modo indiretto, senza polemica rispondere a chi, da un momento di difficoltà e di ricerca di più efficaci ed articolati ruoli dei partiti che nel tempo presente realizzano la coalizione di centro-sinistra, vuol far discendere affrettate conclusioni sulla sorte di una politica cui sono ancora largamente legate, secondo il mio avviso, le sorti della nostra democrazia.
Dirò cose ovvie, ma che in certi momenti forse vanno ripetute. La linea che la Democrazia Cristiana si è sforzata, con lunga coerenza, di attuare la linea che ha dato vita al centro-sinistra, la linea che deve salvaguardare, in ogni caso, la sostanza di questa politica, si esprime innanzitutto nel pluralismo politico e sociale, che presuppone e valorizza tutte le componenti culturali, sociali, in cui si integra la tradizione democratica e popolare nel nostro Paese. Questo pluralismo della Democrazia Cristiana, questo pluralismo che in sede di rapporti fra i partiti si realizza, forse incompiutamente, nel centro-sinistra, è programmatico prima di essere la risultante di un dato obiettivo. E' programmatico, cioè a dire, è un punto di arrivo, oltre che essere un presupposto reale di una situazione di sviluppo della nostra società. Questo pluralismo e essenziale alla democrazia, come sanno oggi i popoli che si affaticano con dolore a dare volti umani al socialismo, a sistemi e metodi di governo che si fondano su una ideologia rigidamente classista, che la realtà dello sviluppo sociale, economico, ed anche culturale, credo abbia superato.
Si realizza, questa linea, nell'azione costante contro ogni tendenza alla radicalizzazione e alla spaccatura del Paese in blocchi contrapposti in cui verrebbero travolte ed annullate differenze, pluralità culturali tradizioni che costituiscono, pur con tutte le difficoltà che recano, la ricchezza del nostro Paese, la sostanza della sua democrazia.
Noi sappiamo che le coalizioni comportano, a livello di efficienza dell'azione di governo, gravi difficoltà. C'è un limite, è vero, al di là del quale non è tollerabile, dalle esigenze fisiologiche di una società, il condizionamento che può derivare dalle coalizioni. Ma noi sappiamo che un sistema teoricamente perfetto di bipartitismo nel nostro Paese nell'attuale realtà culturale e politica, sarebbe solo lo sbocco finale per uno scontro e per la liquidazione di uno dei due termini, non per una dialettica ed una alternativa fra i due termini.
Questa lotta per salvaguardare il pluralismo sociale e politico, per cooptare ed impegnare la più larga fascia di realtà sociali emergenti impone la ricerca costante di un rapporto sempre più esteso con i ceti popolari, con i nuovi, vasti ceti che emergono dallo sviluppo economico sociale e che sfuggono alle definizioni tradizionali, che non sono interpretabili con vecchi schemi ideologici, che sono percorsi e caratterizzati da moti di sviluppo e di aggregazione secondo costumi culture nuove, secondo aspirazioni non più riconducibili ad una gestione rigida.
In sostanza, il problema che resta, che permane valido anche nei momenti di concitazione, anche nei momenti emotivi, è il problema dell'allargamento della base democratica dello Stato. E' uno slogan, un termine che si è consumato, come si consumano tutti in politica, ma non si è consumata l'esigenza e la realtà, se si crede veramente, effettivamente nello sviluppo democratico. Questo è il problema di fondo: quello dell'allargamento della base democratica dello Stato, dell'ampliamento del consenso, da far esprimere - l'abbiamo detto nel nostro Statuto perfettamente convinti - sempre più in termini di partecipazione, oltre che in termini di mera delega fiduciaria; la delega fiduciaria che senza il raccordo partecipativo, senza l'allargamento di questa base, significa progressivamente frattura fra la classe politica e il Paese, frattura fra il mondo politico e il mondo sociale, che cammina avanti e finisce con il sopravanzarlo.
La risposta politica, economica e sociale è quindi in termini di equilibrio e di progresso, di mobilità sociale e di stabilità civile. Ecco il dramma, il problema del nostro tempo e del nostro momento: come garantire la massima mobilità sociale, il massimo di progresso sociale, la possibilità dell'ingresso, giorno per giorno, nell'esercizio e nel controllo del potere dei più vasti e nuovi ceti che, ho già detto, non sono definibili secondo schemi ormai superati, e nello stesso tempo rispondere e corrispondere all'esigenza di stabilità civile, di stabilità costituzionale, di ordine nello sviluppo.
La risposta migliore, di fronte a tutte le impazienze, non può che venire da una interpretazione pluralistica, che ha trovato ad un certo momento, storicamente, nel termine e nella realtà del centro-sinistra una sua estrinsecazione. Questa linea, in mezzo a tante difficoltà, e la costante di tutta una serie di scelte di fondo che sono risultate giuste sulle quali il nostro Paese, pur tumultuosamente, fra carenze ed errori, ha camminato ed ha progredito.
Questa linea viene confermata, o può essere compromessa, questo ruolo e questa iniziativa centrale, che corrisponde con ben maggiore attualità storica alla vasta centralità dei tradizionali ma soprattutto dei nuovi ceti, interessati allo sviluppo democratico; questa linea, che non prescinde né può prescindere, in prospettiva, dall'apporto di tutte le forze, di tutte quelle forze che traggono ispirazione dai principi e dai metodi della democrazia, si scompone, o si rafforza, a seconda che i partiti che sono chiamati a realizzarla si arroccano e si chiudono in una difesa gelosa e ristretta degli interessi anche elettorali di parte, o si pongono invece alla ricerca di un più vasto ruolo comune di interpretazione delle esigenze di ceti o gruppi sociali, dai lavoratori agli imprenditori che svolgono un ruolo costruttivo ed attivo, nel quale la realtà di base è la cooperazione, anche dialettica, piuttosto che il conflitto. Anche la biologia ha dimostrato che non è il conflitto, la lotta, la condizione normale, ma è la cooperazione e la collaborazione: il conflitto è un momento della cooperazione. Le forze democratiche o avanzano tutte insieme o sostanzialmente tutte insieme regrediscono, come ci è stato più volte, ed anche recentemente e spesso non troppo utilmente, insegnato.
Quindi, ogni qualvolta questa linea o tarda ad adeguarsi agli sviluppi della società civile, alla domanda di partecipazione di corresponsabilità democratica, alla richiesta di modificazioni istituzionali, economiche ed in termini di assunzione alla corresponsabilità nell'esercizio del potere dei cittadini, si addensano nubi sull'orizzonte economico: ecco il perch del disordine attuale, sociale e politico nel Paese. Ogni volta che, di fronte alle gravi ma momentanee difficoltà di una società in rapida trasformazione, in un mondo in cui il termine di crisi è divenuto la costante, e non solo nel suo significato di mutamento e di crescita, si attenua la fiducia nella possibilità risolutiva che alla gestione di questa linea è connessa, ogni volta che questa sfiducia ed impazienza, anche rispettabili, spingono a ricercare integrazioni ed ausili, appoggi o supplenze esterne, nell'una o nell'altra direzione, presso forze che, per la loro struttura e metodologia, la loro finalità e la loro concezione del potere, a questa linea contraddicono o questa linea combattono, si hanno crisi di identità, crisi che si traducono e si trasferiscono nel Paese in termini di insufficienza dell'azione di arbitrato e di guida governativa.
Questa centralità, articolata ed aperta, che costituisce nell'attuale fase storica il centro-sinistra, che cammina e può camminare su una linea politica valida, costituisce per i partiti, per le forze politiche che la sostengono, un termine di riferimento permanente: non una gabbia, non un condizionamento paralizzante. Ma impone che ciascuna forza accetti come momento qualificante di coerenza e di efficacia rispetto allo scopo del bene comune che è perseguito il limite, innanzitutto, che è assegnato per il rispetto della dignità, della credibilità e della possibilità per ognuna delle forze di svolgere, in funzione del suo peso, il ruolo affidatole dalla rappresentanza politica che essa esprime. E' illusoria la ricerca di un maggiore spazio in polemica e in contraddizione con lo spazio che è comune e che è determinante per il successo della linea politica.
La via della massima compatibilità ed omogeneità e del massimo risultato comune è quella essenziale. In sostanza, o ha il valore di una scelta storico-culturale e può ottenerne i risultati conseguenti, pu riscuoterne, se ha pazienza e se ha coerenza, il premio, o si abbassa alla sua parodia. Ed allora, contribuendo a svalutare, davanti alla sensibilità dei cittadini, il significato della formula, rende solo più visibili i limiti, i difetti, le remore paralizzanti ogni azione di governo ed amministrativa, di coalizioni in cui le forze partecipanti non mettono insieme l'energia propulsiva della realtà umana, sociale e del retroterra culturale che la esprime, ma solo lo scetticismo riduttivo, tipico di ogni effimera operazione di potere che mal nasconde l'ostilità reciproca delle forze che vi concorrono.
Ed allora, se di questa linea, che porta a rispettare la dignità di ogni forza politica, di questa coerente compatibilità comune non si sa tener conto, si concorre ad aprire la via non tanto ad altri schieramenti ma in prospettiva alla cosiddetta messa in liberta di ingenti forze guidate in direzioni opposte dal semplicismo emotivo ed irrazionale, che portano ad altre aggregazioni, in cui i partiti e le forme storiche della democrazia entrano tutti in crisi evolutiva. Eventi che possono avere lenta e sotterranea maturazione, o possono precipitare molto rapidamente.
Di questo la Democrazia Cristiana è consapevole. Questo costante rischio è stato sentito da De Gasperi come un tormento politico - e non si fa politica senza vera sofferenza e vero tormento -, come un tormento morale, che non paralizza ma sprona all'azione e induce alla pazienza spinge a guardare sempre più in là del contingente, a diffidare dei bilanci a breve termine e della concretezza spicciola e pragmatica che non esaurisce e non realizza neppure il fare politica. Per questo la Democrazia Cristiana, per parte sua, riafferma, anche in un momento di difficoltà e di polemica, di crisi e di separazione, la sua volontà di procedere su questa linea, che interpreta certo le più profonde e vaste aspirazioni del Paese che non tollera perdite, che è tanto più qualificante in termini di libertà; ma che vuole sia essa stessa non solo compatibile ma frutto di una ordinata operosità nel Paese. Una linea che disprezza ed emargina i fannulloni, i facilisti, e soprattutto quanti credono di coprire il vuoto delle coscienze e delle intelligenze con la sollecitazione e il ricorso alla violenza.
Questa situazione investe e coinvolge, in qualche modo, tutte le formazioni politiche democratiche. Il successo di questa linea politica coinvolge, utilizza e porta sul piano democratico l'apporto anche dialettico di tutte le altre forze democratiche, inducendole ad esprimere il meglio di sé ed a rappresentare nel modo più autentico il proprio ruolo che invece viene distorto dalla contrapposizione più violenta. E' quindi una politica che richiede pazienza, perseveranza e profonda fede nell'esistenza nel nostro Paese di una larga base per lo sviluppo di una politica democratica. E' una politica che suggerisce anche la soluzione migliore ai problemi dei rapporti con l'opposizione. Si è già parlato qui dei problemi del rapporto con il Partito Liberale. Ho detto ieri sera, in una riunione del mio Gruppo, che è stata una deformazione storica, non la collocazione o il passaggio all'opposizione del Partito Liberale, ma il modo come, per contributo prevalente della vis polemica di Malagodi, si sia giunti ad una chiusura così rigida, ad una impossibilità di comunicazione e di utilizzazione di quelle forze politiche. Il che ha portato ad un certo momento a verificare come possano entrare in crisi insieme, come si diceva prima, tutte le forze democratiche, siano esse al Governo o all'opposizione. Occorre quindi una strategia molto più accorta, sotto questo profilo. Perché nel nostro Paese le basi della democrazia sono ancora fragili. Credo che qui ci siano stati degli errori, e non mi bastano le forze per andare ad identificare chi ne abbia commessi di più. Con questo nulla respingo di ciò che in modo valido ha portato ad una distinzione dialettica, ad una precisazione di diversità di ruoli, quando si è passati all'avvio della politica di centro-sinistra.
Voglio dire anche qualcosa in merito ai rapporti con il Partito Comunista. Non vorrei che le mie parole fossero interpretate in modo diverso da quello consentito dall'animo che mi ispira queste parole. Il rispetto verso tante persone che ho imparato a conoscere del Partito Comunista, verso la serietà del loro impegno, verso anche la soggettiva volontà di contribuire ad una costruzione comune, al raggiungimento di mete, di risultati comuni ed utili al progresso del nostro Paese, non pu essere elemento di confusione. E non mi è impedito, questo rispetto, dalla nozione di quella che è la reale natura, la reale essenza, il metodo di fondo di azione politica del Partito Comunista. Non mi fa illudere minimamente su quello che sarebbe, nell'attuale fase storica, nell'attuale situazione di rapporti internazionali, nell'attuale struttura del Partito Comunista, il suo ruolo ove si confondessero i limiti fra maggioranza e opposizione, ove venisse in qualche modo surrettizio inserito il P.C.I.
nell'area di responsabilità di Governo. Con questo riaffermo quanto forse incompiutamente ho detto prima: che c'è una larga possibilità, per una coalizione profondamente ancorata a finalità democratiche, di utilizzare una larga carica di vitalità che è presente nelle forze sociali e che noi non possiamo lasciarci precludere dallo sbarramento che l'organizzazione l'efficienza, la capacità di gestione in proprio del Partito Comunista rappresenta. Quindi, il rispetto che noi abbiamo per le persone, la possibilità di confronto e di dialogo con le persone là dove siamo chiamati ad assumere delle responsabilità, nelle Commissioni, e in questa assemblea non c'impedisce di svolgere la nostra politica, la nostra azione, perché il contatto con le realtà sociali che ci sono nel Paese avvenga nelle forme più rapide, più dirette, più dinamiche, nel rispetto dei ruoli reciproci.
Questa linea politica che la Democrazia Cristiana riconferma e non pu non riconfermare, pena lo snaturamento del suo carattere, consente, anzi è la condizione unica, in questa fase storica, per la realizzazione delle riforme nel nostro Paese: delle autentiche riforme, non degli sbandieramenti di iniziative utili al cachet politico di questo o di quel partito E qui, in questa sede, senza voler evadere troppo in una sfera nazionale od internazionale, piace a me riconfermare la volontà della Democrazia Cristiana la mia modesta, personale, fermissima volontà di spingere avanti nel modo più efficace la riforma regionale; che è riforma condizionante una serie di altre riforme, perché attraverso questa passa la riforma dello Stato, passa la riforma in agricoltura, nell'urbanistica, e quindi il problema della casa, della città, dei trasporti, come l'abbiamo discusso e presentato (e riconfermiamo le valutazioni che a questo riguardo abbiamo fatto). Certo, dovranno essere dissipati degli equivoci, delle debolezze anche, dei cedimenti che ciascuno di noi, in direzioni diverse ha avuto rispetto a certe mode che sono emerse - del Paese senza meditazione e senza aggancio alle realtà sociali. E' certo che noi non possiamo accedere io non mi sento, per educazione ricevuta, per esperienza di vita e per meditazione modesta sul significato degli atti politici - a questa nuova etica che emargina un'etica fondamentale secondo la quale non si hanno conquiste vere senza duro lavoro: l'etica di un lavoro redentivo, applicato a redimere e a modificare il Paese. In questo senso, su un piano morale noi crediamo di dover emarginare, richiamandoci alle origini, alle basi popolari autentiche della gente che ha la mente fina e i calli sulle mani certe forme snobistiche pseudo-intellettualistiche, di studenti che non hanno studiato, di studenti che non si applicano a lavorare, o di altri che credono di fare la rivoluzione sempre che sia fermo il week-end e siano salve le ferie. Quindi, una nuova etica, da riaffermare. E qui la Democrazia Cristiana ritrova la sua natura, ritrova sicuramente la sua fisionomia.
Allora ecco che sul piano dei rapporti civili si è portati più facilmente a respingere le suggestioni, le tentazioni, le strumentalizzazioni, che sono possibili sull'onda di certe emozioni che possono percorrere il Paese di fronte a difficoltà, a respingere i rischi di contaminazioni o di subordinazioni mediate o immediate della Democrazia Cristiana a fini politici che non sono i suoi. Verso la destra autoritaria.
Direi meglio così. Perché io penso sia bene che la finiamo di parlare in termini storici, cioè con il capo retroverso, di fascismo. Perch rappresentandoci il fascismo nei suoi termini folkloristici, - e in genere è un folklore di tipo piuttosto funereo, che non mi piace tanto evocare parlando soltanto di fascismo nella sua incarnazione storica quale è stata conosciuta, c'è da rischiare - ed è un rischio sicuro, poiché la storia non si ripete con ritorni pedissequi - di non scorgere il coagularsi o il formarsi di altre, ben più valide, forme di autoritarismo di destra, che in modo più insinuante, e contro il quale più difficilmente ci si possa difendere, possano far deteriorare la situazione politica italiana.
Non attardiamoci, dunque, a combattere verbalmente, o con ordini del giorno, il fascismo storico, fatto dei fez, o dei pennacchi o di un nazionalismo superato. Stiamo attenti ad esercitare tutte le responsabilità civili sul piano dell'ordine pubblico, della concezione morale da offrire al Paese per guidarlo sulle vie della ripresa economica e civile, sulla concezione dell'autorità dello Stato da sorreggersi con un consenso costantemente ricercato in mezzo ai cittadini. Vigili a respingere ogni sollecitazione, ogni promessa illusoria, per chi si sentisse stanco, di trovare facili approdi che risolvano in un modo o nell'altro problemi per i quali la nostra rissosità di partiti, il nostro far prevalere di italiani la polemica e il particolare - ci impediscono di condurre fino in fondo l'azione che ci è commessa.
Io giudico questa fase della crisi regionale come una fase dura fortemente spiacevole, una fase che non sarà di un giorno o di una settimana soltanto. Ma se mediteremo tutti seriamente su questi dati, sul ruolo che ai partiti democratici è affidato, se avremo veramente fiducia se ciascuno di noi non cercherà di evadere in altre direzioni, dando per scontata la fine di un disegno politico che ripeto, tanto per capirci, è stato il tormento di De Gasperi, è stato l'approdo di Nenni, è stato la ragione di tante crisi di coscienza - leggete Silone, leggete la parte migliore della pubblicistica italiana di questi anni-; se saremo fedeli a tutto questo respingeremo i pericoli dell'autoritarismo di destra, che non è altro che la storica illusione delle scorciatoie, l'insofferenza di fronte alla vita politica, a tante inadempienze e incompetenze della classe politica, alle difficoltà obiettive, il desiderio di fare piazza pulita.
Queste tentazioni sono presenti nel Paese, nell'elettorato di tutti i partiti; tentazioni che attraverso la nostra coerenza, attraverso l'azione di guida che i partiti devono svolgere saranno senz'altro respinte. I partiti hanno perso negli anni scorsi, tutti insieme, a partire dall'estrema sinistra - si pensi alla stasi dello PSIUP, ai problemi che il Partito Comunista ha al suo interno, a quelli della Democrazia Cristiana la leadership nel Paese. I Partiti sono stati premuti e subordinati da altre forze le quali, senza meditazione e senza preparazione storica e politica, hanno assunto dei ruoli che poi non hanno saputo e potuto condurre fino in fondo, per cui hanno lasciato un vuoto. C'è quindi un vuoto da colmare, che solo la nostra volontà, la nostra capacità di analisi della situazione reale, fatta con impegno, con profondità, con chiarezza può redimere e portare ad una svolta positiva.
Penso che si passerà attraverso una fase faticosa e dura. Per quanto mi riguarda, senza debolezze, con piena coerenza con piena fedeltà - e credo di aver cercato, in qualche modo informe, di testimoniarla con le poche considerazioni che ho esposto - al mio partito, mi adoprerò costantemente per il perseguimento di questi risultati; secondo forme meno manichee, meno esclusive, meno legate agli schieramenti, meno immiserite da polemiche su questioni che nulla hanno a che vedere con la validità di una linea politica di fondo, per la quale ritengo di dover confermare la fiducia mia e quella della Democrazia Cristiana.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Presidente Calleri, ne ha facoltà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, di questa crisi regionale sono state date molte interpretazioni. Si è visto in essa un disegno di carattere generale che assegna alla destra retriva e conservatrice della Democrazia Cristiana, la destra dorotea, un compito di rottura di uno schema di indirizzo politico che da dieci anni vi è nel nostro Paese. Si è assegnato, con uno schematico verbale che purtroppo fa parte della sottocultura politica del nostro Paese, a questa forza della Democrazia Cristiana, un disegno conservatore, un disegno antiriformista.
Credo che, proprio perché oggi non discutiamo solo delle prospettive verso le quali la Democrazia Cristiana, insieme agli altri partiti che intendono formare la nuova Giunta, cammina, ma parliamo anche del passato tocchi a me, prima che ad ogni altro, respingere questo tipo di interpretazione. Senza la forza centrale della Democrazia Cristiana, senza questo nucleo, che interpreta in modo coerente la centralità della Democrazia Cristiana, del suo vasto elettorato, delle forze popolari, che nella Democrazia Cristiana esistono, e dei ceti medi, che la Democrazia Cristiana collega alle forze popolari in un disegno di avanzamento e di crescita sociale, nessun serio disegno politico sarebbe, a mio avviso possibile nel nostro Paese. E sono convinto che il nostro Paese si troverebbe di fronte ad una rottura e ad una dura contrapposizione senza questa opera di mediazione costante ed interpretativa che la Democrazia Cristiana da venticinque anni esercita nel nostro Paese, in una prospettiva che si allarga, che guarda in avanti e attraverso il Mercato Comune e attraverso l'ideale dell'Europa unita tenta di dare a questa società occidentale, a questa civiltà occidentale un nuovo ruolo nel mondo; il ruolo profondamente cristiano senza il quale la personalità, senza il quale alcuni valori fondamentali della società, come il pluralismo sociale, la forza dell'individualità, altro non sarebbe se non parole vane.
Ebbene, se da un lato vi è questa forza di idealità, vi è questo disegno globale all'interno della Democrazia Cristiana, di tutta la Democrazia Cristiana, non vi può non essere la profonda consapevolezza storica che a certi risultati ed a certi obiettivi si approda solo nella misura in cui vi sia, accanto all'idealità, il senso della realtà ed il pragmatismo, in mancanza di che nessuna forza politica può essere realmente autentica interprete della società, del movimento di crescita e di sviluppo della società stessa.
Quando De Gasperi, che era interprete di questa centralità, parlava della Democrazia Cristiana come partito di centro che guardava e camminava verso sinistra, non intendeva parlare di una sinistra astratta o di una sinistra prefigurata: intendeva parlare di ciò che solitamente si assegna alla sinistra come fatto di interpretazione delle esigenze più profonde dei ceti rimasti in arretrato rispetto allo sviluppo di altri ceti e che tutta la società deve aiutare a crescere, ad emergere, ad emanciparsi, a camminare verso un loro sviluppo ed una loro crescita.
Ecco allora che in politica le grandi idealità si sposano con la capacità di far politica, cioè di tradurre nella concretezza della realtà le esigenze che emergono da una società in sviluppo. E allora idealismo e pragmatismo si sposano in una visione che, senza perdere nulla dell'ideale è tuttavia ancorata in modo reale, a ciò che si esprime nella evoluzione della società.
E noi dobbiamo dire anche, con l'umiltà che ci deriva dal fatto di conoscere poco (perché si sa sempre troppo poco) la storia, che non è stata la Democrazia Cristiana a scoprire il Centro-Sinistra; che altre forze politiche, nel nostro Paese, assai prima che la Democrazia Cristiana intorno agli anni 1896, e poi successivamente, hanno scoperto l'esigenza di portare avanti, insieme alla crescita della nostra società, la forza delle classi popolari e dei ceti lavoratori, facendo loro assumere la responsabilità di guida insieme alle forze politiche più strettamente interpretative dei ceti medi. E' stato Giolitti uno dei primi teorizzatori di questa esigenza, il primo ad offrire al P.S.I. posti e responsabilità di governo; con la piena consapevolezza d'interpretare così in modo realistico, pragmatico se volete, un grande disegno reale: il disegno dell'avanzamento e della crescita di tutti i ceti verso quella redemptio che costituisce uno dei punti fermi delle encicliche sociali dei nostri pontefici, al quale si ispira costantemente la Democrazia Cristiana.
Ma bisogna che siamo tutti accorti nel portare avanti questo disegno consapevoli di ciò che in questo disegno è possibile realizzare con immediatezza e di ciò che questo disegno, ove sia intempestivo, ove si collochi in tempi non idonei, ove voglia essere forzato, può significare come grande rischio per il rafforzamento stesso di questa linea di avanzamento della nostra società. Ed allora io mi richiamo ancora, proprio perché non si può prescindere dall'esperienza storica, alle considerazioni che faceva Giolitti nel 1904, dopo aver offerto a Turati e a Bissolati di entrare nel Governo, ottenendone un rifiuto motivato dal fatto che le classi popolari non avrebbero compreso un tale passo. Proprio il radicarsi di convincimenti di questo tipo determinò poi talune grosse difficoltà al nostro Paese, fece sorgere quelle spinte nazionalistiche che ci portarono alla guerra di Libia prima, alla grande guerra poi, e ci regalarono il nazionalismo revanscista che si vestì di camicia nera, causando le conseguenze note nella storia del nostro Paese. Il che dimostra come certe affermazioni, o certe considerazioni, o certe conclusioni, tratte fuori tempo, siano in realtà deleterie, suscettibili di provocare effetti molto differenti da quelli sperati.
Noi oggi, signori Consiglieri, dobbiamo esaminare, al di là dei verbalismi e dei nominalismi, se la concretezza della nostra realtà storica piemontese ed italiana è tale da consentire di realizzare effettivamente le riforme di cui parliamo, o se invece proponiamo qualcosa che non è possibile, qualcosa che si colloca in una realtà immaginata, non effettiva.
Voglio qui ricordare ai colleghi comunisti una raccomandazione, che mi è rimasta molto impressa, del collega Minucci, oggi non presente: il creare nell'opinione pubblica un'atmosfera di aspettativa di provvedimenti che poi non si realizzano può provocare delle reazioni assolutamente incontrollate e si correrà obiettivamente il rischio di avere invano fatto nascere delle speranze, senza avere la capacità di dare adeguate risposte.



FURIA Giovanni

Minucci voleva dire soltanto che le riforme bisogna farle.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Sarà lui, se mai a fare questa precisazione. Non mi risulta che tu sia l'interprete ufficiale di Minucci.



FURIA Giovanni

Il senso del discorso era chiaramente quello; l'interpretazione che dai tu è assolutamente fuori luogo.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Credo sia questo, signor Presidente, signori Consiglieri, il significato che noi dobbiamo dare: il significato di una linea politica che evidentemente è andata al di là del segno e che riproduce quella situazione che nel 1904 faceva dire anche a Giolitti: "La verità è che purtroppo le istanze del Partito Socialista sono interpretate, nella loro maggioranza da intellettuali che provengono dalle classi borghesi, che poco conoscono dei reali ed autentici problemi dei ceti lavoratori, e che conseguentemente pongono su un piano di astrattezza ciò che sarebbe assai meglio porre su un piano di concretezza e di buon senso".
Io non mi permetto di fare il processo a quanto accade all'interno degli altri Partiti. Anzi, colgo l'occasione per dare atto ai due Assessori del Partito Socialista, l'avv. Simonelli e l'Avv. Fonio, di avere nell'ambito della Giunta di Centro-Sinistra, operato con capacità, con intelligenza, con volontà e con grande spirito di collaborazione per portare avanti il discorso della Giunta. Da parte nostra non vi è intento polemico nei confronti del Partito Socialista nella sua interezza, ma solo nei confronti di talune posizioni assunte nella Regione Piemonte ed in particolare relativamente agli accordi stipulati nel momento in cui si è formata la Giunta di Centro-Sinistra. Nessuno di noi - lo diciamo anche nel documento - interpreta il Centro-Sinistra come un assoluto concettuale o come qualcosa che debba necessariamente rimanere in piedi a scapito della chiarezza ed a scapito di un disegno politico più generale, che evidentemente autorizza il Centro-Sinistra e dà al Centro-Sinistra una funzione nella misura in cui esso si pone come una chiara linea. Questa linea, pur senza voler dare aspetti di chiusura o di contrapposizione assoluta, è tuttavia una linea che deve essere autosufficiente, capace di trovare in se stessa la sua funzione e la sua autonomia, senza debordare così da dover essere interpretata come un momento d'inserimento nell'area del Governo di uno schematismo classista che vede una parte della classe operaia, quella rappresentata dal Partito Socialista, al Governo, con un'altra parte della classe operaia, quella rappresentata dal Partito Comunista, all'opposizione. A questo tipo di schematismi la Democrazia Cristiana si oppone, perché ritiene che essi rechino solo confusione all'interno del mondo politico italiano e all'interno dell'elettorato e non contribuiscano minimamente a quella spinta di crescita sociale, a quella spinta di sviluppo democratico che era ed è finalità fondamentale cui con sforzo, con sacrificio, con difficoltà, la Democrazia Cristiana e gli altri partiti democratici italiani si sono ispirati nell'avviare questo disegno del Centro-Sinistra.
Sono queste, egregi colleghi, le ragioni che, in un travaglio vissuto da ciascuno di noi nel suo intimo, attraverso difficoltà che ciascuno di noi ha patito nella misura in cui ha creduto e crede in questa grande prospettiva, hanno portato a volere con il Partito Socialista un chiarimento preciso. Un chiarimento che è richiesto dall'elettorato della Democrazia Cristiana, di cui noi pure siamo interpreti, e che dobbiamo sentire in tutte le sue esigenze. Sono queste le ragioni che ci hanno portato a chiedere al Partito Socialista - di cui riconosciamo evidentemente, le difficoltà, difficoltà che esistono all'interno di ciascun partito, perché in una società pluralistica, che si esprima con liberta di opinione, non si può ritenere che all'interno dei singoli partiti non insorgano e non si amplino, talvolta, anche queste difficoltà di risponderci sulla base dei patti assunti e liberamente sottoscritti. La Democrazia Cristiana non può ammettere dilazioni, non può accontentarsi di rinvii a "magnana", di promesse. La Democrazia Cristiana ha atteso con fermezza, per un anno, queste risposte. E già nella formazione della Giunta precedente noi avevamo posto il problema del chiarimento, dell'omogeneità della chiarezza della linea politica come una delle premesse per la collaborazione con il Partito Socialista. A queste premesse erano seguite delle promesse, che però non sono state mantenute.
Ci è stato anche obiettato che, di fronte all'assoluta mancanza di reazione da parte della Democrazia Cristiana, era perfettamente inutile continuare a parlare di queste cose, Ebbene, la Democrazia Cristiana - non emotivamente, e nemmeno con quel linguaggio che Fortebraccio oggi usa nei confronti di un parlamentare piemontese, dell'On. Pella - sa ancora reagire, e ritiene di aver diritto e dovere di tutelare la propria dignità né più né meno del Partito Socialista Italiano. Se le nostre linee, se i nostri punti di vista non collimano, non è per l'astrattezza di un disegno ancorché sia un disegno verso il quale tutti vogliono ed intendono camminare, perché credo che il disegno del progresso sia un disegno che riguarda tutte le forze politiche, ancorché questo disegno ci sia e permanga, e l'abbiamo detto nel nostro documento Noi riteniamo che questo disegno si possa realizzare nella misura in cui esso si realizzi e si cali in una concretezza e in una chiarezza, in assenza delle quali noi crediamo che le forze politiche non siano nemmeno in grado di collocare in termini esatti la propria posizione e le proprie linee di concreta attuazione delle stesse riforme che vogliono promuovere.
Ecco perché respingiamo il disegno che ci è stato attribuito, ecco perché nel nostro documento diciamo che la chiarezza politica ha da essere fondamentale in questo processo di avanzamento che insieme, in un incontro fra cattolici e socialisti, noi intendiamo portare avanti. E non abbiamo alcuna difficoltà a rivolgerci a tutte le forze del Consiglio, tutte quante aventi interesse alla chiarezza delle posizioni politiche, perché esaminino con attenzione questo documento, e anziché ravvisarvi reconditi fini, ne intendano lo spirito e la portata. Ed ecco perché, in particolare, ci rivolgiamo sia alle forze socialiste, sia alle forze liberali, cioè alle forze che sono nell'arco democratico, perché esaminino con approfondita attenzione qual è lo sforzo che la Democrazia Cristiana, insieme al Partito Socialista Democratico Italiano ed insieme al Partito Repubblicano, intende compiere perché si giunga a questo chiarimento, perché vi sia questo rafforzamento delle strutture democratiche nel nostro Paese.
Egregi colleghi, noi sappiamo di esserci collocati - ed io personalmente non ho difficoltà ad ammetterlo - in una posizione sicuramente scomoda, sicuramente esposta ad attacchi da parte di molte delle componenti politiche italiane. Ma non siamo qui alla ricerca di facili o difficili popolarità: siamo alla ricerca di una chiarezza politica, di una risposta a coloro che, avendoci dato la loro fiducia ed un loro mandato, pretendono da noi che questa fiducia e questo mandato siano gestiti nella chiarezza, al fine del rafforzamento delle istituzioni democratiche. Ebbene, questo rafforzamento noi lo vogliamo e lo perseguiamo, e intendiamo volerlo e perseguirlo con lo slancio, con la forza, con la realtà di un partito democratico qual è la Democrazia Cristiana, che non ha mai arretrato di fronte alle proprie responsabilità che non ha paura di dialogare, lo riaffermiamo, con le forze dell'opposizione.
Ha rilevato Bianchi nel suo intervento, ha detto Oberto nel suo discorso, pur contrastato dalle forze di opposizione, come a ciascuno competa di assumere il proprio ruolo, con lealtà verso ciò che rappresenta e verso quelle spinte che avverte e sente di dover rappresentare nelle assemblee popolari come la nostra assemblea regionale; ma sente di doverle interpretare in un quadro politico che non lasci spazio agli equivoci e che quindi non lasci spazio a nulla di ciò che nel nostro Paese si pu verificare, e cioè ad una crescente marea di protesta verso ciò che le forze democratiche, in una confusa e stramba interpretazione della realtà sociale, lasciano fare, creando, o lasciando creare, situazioni di disordine, consentendo che si esprima una società permissiva nel momento in cui si dovrebbe invece incoraggiare il crescere di qualche cosa di diverso nel nostro Paese, far maturare condizioni di vita e di sviluppo che diano veramente significato al tendere di tutte le forze democratiche verso il miglioramento delle condizioni sociali della nostra società nazionale.
Tutto ciò, egregi colleghi, in un quadro che non può ormai essere ristretto alla nostra società nazionale ma deve essere rivolto a guardare con estrema attenzione all'Europa, deve sollecitare tutti noi a sprovincializzare i nostri stessi simboli verbali, deve indurci a lasciar da parte certe facili formulazioni di destra o di sinistra e indicarci invece le concrete vie lungo le quali cammina, o può camminare, il progresso della società internazionale.
Anche un'assemblea come la nostra, pure al di fuori di compiti specifici suoi, ha una responsabilità in questa società pluralistica e democratica: ha la responsabilità di indicare vie di chiarezza, vie di certezza per le popolazioni che in essa hanno avuto fiducia, ed anche e soprattutto per le popolazioni che nel nuovo istituto non hanno avuto fiducia; così da acquisire a questi nuovi estimatori, da fare in modo che questo nuovo istituto regionale sia veramente il simbolo di una società che attraverso l'espressione di assemblee, di forze politiche e sociali, sa confrontarsi, sa dialogare, e sa quindi, nel contrasto forse ma comunque sempre nel confronto dialettico e democratico, creare qualcosa di nuovo qualcosa di moderno e di avanzato.
Noi dobbiamo sfuggire a quella logica che Lincoln definì magistralmente un giorno. Egli disse infatti: "Voi potete ingannare tutti per qualche tempo, qualcuno per sempre, ma mai tutti per sempre". E penso che avesse ragione. Dobbiamo fare molta attenzione a non promettere più di ciò che possiamo mantenere, a non creare nella società inutili attese, a non trasferire complessi di colpa in una stimolazione alle forze sociali verso conquiste che, lungi dall'essere realizzate, finiscono con l'essere frustrate e spesse volte finiscono con il tradursi in qualche cosa di radicalmente opposto a ciò che si voleva raggiungere.
In questo mio intervento ho inteso oggi soltanto respingere certe interpretazioni che sono state date di questa crisi e richiamare tutte le forze politiche, ma in particolare le forze politiche democratiche, allo sforzo che insieme dobbiamo fare perché si rafforzino nel nostro Paese la democrazia ed i suoi istituti; che non sono sbrodolature, né slabbramenti né scollamenti; che non respingono l'autorità in quanto tale ma presuppongono che l'autorità nasca dal consenso e si eserciti nel consenso.
Quella democrazia che è ispirazione fondamentale del partito della Democrazia Cristiana come degli altri partiti democratici, e che noi vogliamo che anche nell'Assemblea Regionale, nei suoi compiti, nelle sue funzioni, nel suo modo di esprimersi e di prendere i contatti con la realtà sociale della nostra Regione, abbia modo di estrinsecarsi e di esprimersi per dare all'Istituto Regionale quella forza e quel vigore che tutti quanti dobbiamo volere e che in particolare debbono volere le forze democratiche.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana, ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, debbo preliminarmente prendere atto che il Consigliere Oberto, il quale si è assunto l'incarico di presentare al Consiglio Regionale il protocollo di mezza estate che i dorotei, con l'aiuto pronto e immancabile e delle solite salmerie socialdemocratiche e repubblicane, hanno qui portato per una nuova Giunta non poteva assolvere a questo incarico. Questo perché egli ha perentoriamente dichiarato di non essere un uomo politico; ed è evidente che, essendo questa un'assemblea politica, qualsiasi cosa egli abbia detto dobbiamo recepire come divagazioni, magari apprezzabili, di un appassionato e forse anche di un competente di parchi naturali e di spettacoli leggeri della televisione italiana, ma non come dichiarazioni politiche.
Migliore illustrazione, non tanto del documento quanto degli umori reali che stanno dietro al documento, ha dato certamente il Presidente Calleri nell'intervento testé svolto. E bene ha fatto a non richiamarsi - e in questo lo sorregge certamente la sua notevole intelligenza e anche il senso dell'umorismo che gli va riconosciuto - bene ha fatto a non attestarsi in un esame analitico di questo cattivo saggio di letteratura politica, cui sono inframmezzati svolazzi deamicisiani sulle lacrime che grondano, il dolore ecc., perché certamente, se così.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Foscolo!



GIOVANA Mario

Foscolo? Oh, mi scusi, vede quanto è grande la mia ignoranza! Se così avesse fatto, non avrebbe neppure potuto cercare di sostenere il suo discorso con alcuni tentativi di comoda manipolazione storica come ha fatto nel quadro del suo intervento, andando indietro nel tempo per ritrovare in Giolitti e nei tempi di Giolitti le giustificazioni per la svolta a destra che la D.C. (la sua maggioranza almeno, sul piano nazionale), avendo a battistrada i dorotei piemontesi, ha aperto.
Se invece di andare ai tempi di Giolitti e magari ancora prima (varrebbe certo la pena di fare un lungo discorso sulla sua interpretazione molto facile e di comodo della politica di Giolitti, anche se certamente alcune assonanze, almeno per quel che riguarda l'esperienza del Centro Sinistra, il giolittismo richiama); se invece, dicevo, di andare indietro di tanto tempo facciamo, per venire incontro al suo giusto richiamo alla concretezza, alla chiarezza e alla responsabilità di ciascuna forza politica, un esame della storia soltanto di questi 25 anni signor Presidente, storia più vicina a noi, più carica di problemi che sentiamo palpitare di fronte a noi, che abbiamo modo e misura ai valutare, diventa davvero molto difficile pensare la D.C. in quanto tale qui e in ogni altra sede possa rivendicare non soltanto una sua coerenza e una sua intemerata predisposizione a risolvere i problemi del Paese, ma una sua elementare volontà di porre almeno le basi perché alcuni di questi grandi nodi che ci derivano proprio dalla storia dell'Italia unita, vengano risolti.
Lei sa meglio di me, proprio per l'approfondita conoscenza storica testé dimostrata, che se guardiamo a questa storia limitata nell'arco del tempo, vediamo che c'è un primo episodio il quale, a conclusione delle vicende resistenziali, qualifica subito il modo con cui la D.C. di De Gasperi era partito di centro che diceva di volersi muovere a sinistra; ed è l'operazione che la D.C. di De Gasperi, con i liberali, attuò per liquidare il primo Governo di coalizione ciellenistica. Lei sa meglio di me che dal momento in cui ci fu, per azione deliberata della maggioranza D.C.
una progressiva disgregazione del dato di coesione unitaria (anche con elementi certamente fortemente dialettici interni che aveva retto l'unità resistenziale), da quel momento le forze della D.C. si sono poste autorevolmente e in questo sì, linearmente, come le tutrici della restaurazione capitalistica in Italia. Poiché nel Paese erano così vivi e crescenti i fermenti popolari di rinnovamento che proprio nella Resistenza si erano accesi e certo in misura massima - e questo non c'è nessun storico che possa smentirlo - per il contributo delle forze della sinistra e segnatamente dai compagni comunisti; proprio perché c'era questa forte pressione popolare per un rinnovamento che vedeva anche vive delle grandi forze cattoliche che alla Resistenza avevano partecipato con questi ideali di rinnovamento, proprio in quel momento la D.C. in quanto baluardo al servizio di interessi di restaurazione capitalistica, inforcò la via del centrismo. Nacquero allora le varie esperienze che attraverso il nome dell'On. Scelba, i tentativi dell'operazione Sturzo del 1952, la repressione operaia alla Fiat ma non solo, alla Fiat, costantemente coperti dai governi retti dalla D.C. e aventi in sé la partecipazione socialdemocratica, liberale e repubblicana, furono portate avanti per imporre e far pagare ai lavoratori il costo della ricostruzione del Paese permettendo alle forze del capitalismo privato di lucrare i massimi profitti senza che un solo problema di riforma venisse mai impostato.
Queste non sono illazioni da parte nostra: è la cronaca, è la storia di tutti i giorni e di tutti i momenti delle vicende politiche che hanno visto in questi 25 anni la D.C. portare la massima responsabilità della dirigenza politica del Paese. Come si fa, Presidente Calleri, a venir qui a rivendicare, in atteggiamento di urtata suscettibilità, una coerenza di volontà riformatrice che non ha un solo atto concretamente recepibile nelle vicende della storia del Paese in questi 25 anni? Non a caso ci siamo ancora in questi ultimi tempi misurati qui sui problemi del Mezzogiorno; e che cosa sono i problemi del Mezzogiorno? Ce lo siamo detto tutti quanti nel lavoro della Commissione che ha esaminato quei disegni di legge: che cosa sono se non la cartina di tornasole, l'elemento più qualificante d'indicazione di come nessuno dei grandi problemi di struttura di fondo della realtà italiana è mai stato affrontato con una volontà politica che sapesse piegare la protervia degli interessi privati? Con la D.C. al Governo è avvenuto l'esatto contrario; e quando, nel corso di una lunga esperienza di lotte, nella quale non la D.C. ma i partiti di sinistra, ma forze cattoliche sindacali e politiche, hanno certamente condotto una grande battaglia contro i Governi della D.C. e del Centro-Sinistra; quando sulla scia di questa crescita di maturità e di consapevolezza dei lavoratori, della necessità che la società italiana trovasse nuove vie nuovi sbocchi per uscire dai suoi vecchi limiti, dalle sue vecchie ingiustizie, dalle strettoie che la soffocavano, dagli squilibri che le cagionavano crescenti difficoltà di sviluppo economico produttivo; quando da tutto questo è nata con più forza e in modo più unitario la lotta delle forze operaie che ha avuto un suo grande traguardo nel così detto "autunno caldo", in quel momento la D.C., la maggioranza che guida la D.C., ha cominciato la sua involuzione scoperta verso un disegno che va manifestandosi sempre più chiaramente reazionario. Perché, quando si parla in quest'aula della D.C. come elemento centrale di tutela e di difesa della democrazia italiana nel corso di questo venticinquennio, varrà la pena di ricordare che nel 1960 la difesa della democrazia e della Repubblica Italiana l'abbiamo dovuta affidare alle forze dei lavoratori non già contro l'ex capo redattore della difesa della razza col quale oggi compie i suoi minuetti, quel personaggio da corte rinascimentale che è l'On. Andreotti ma contro un uomo che era espressione dell'interno della D.C. stessa, l'On.
Tambroni. Certo, c'erano anche i fascisti; i fascisti ci sono sempre, come mercenari del capitalismo, ma il nucleo politico dell'operazione di tentativo autoritario che nel 1960 si è sviluppato, partiva dall'interno della D.C. e a spezzarlo non è stata la D.C., sono state forze socialiste comuniste, cattoliche, antifasciste, democratiche, le quali nelle piazze hanno imposto una battuta d'arresto e hanno poi respinto questo disegno.
E dobbiamo ricordare - ci spiace ricordarlo perché noi non facciamo mai le nostre biografie personali.
Esse non contano nulla; siamo militanti anche - collega Oberto - quando si appartiene a una piccola formazione come la mia, ma si è parte integrante di un grande movimento e non di un'armata Brancaleone - dobbiamo ricordare dicevo che non più tardi di alcuni anni fa, nel corso di una fase estiva, lo apprendemmo dopo, erano pronti certi piani...



(Dialogo fra i Consiglieri Furia e Calleri)



GIOVANA Mario

Signor Presidente, io l'ho ascoltata come sempre faccio, in silenzio quindi le sarò grato se lei mi ascolterà in silenzio.



FURIA Giovanni

Chiedeva chiarimenti sull'armata Brancaleone.



GIOVANA Mario

Mi è risultata chiara (e credo sia risultata così a tutti i Consiglieri) la questione dell'armata Brancaleone dal fatto che hanno già parlato tre colleghi della D.C. e ciascuno di loro ha espresso una posizione differente. Signori, la dimostrazione non l'ho data io, l'hanno data questi tre interventi.
Dicevo, dobbiamo ricordare ai colleghi della D.C. che nel 1964, in una fase di calda estate, erano pronti i piani per offrire ai dirigenti del movimento operaio delle vacanze a spese dello Stato in campi di concentramento apprestati non già, ancora una volta, dagli squallidi residui del passato fascista, ma da uomini che la D.C. aveva irresponsabilmente messo alla guida dei gangli più delicati dello Stato.
Dobbiamo ricordarvi queste cose per dirvi che in quel momento se il disegno fallì fu per un puro caso, probabilmente perché ci furono contrasti e reticenze all'interno anche di quelle parti politiche che erano decise a lasciarlo realizzare; ma si trattava pur sempre di un attentato preparato contro la Repubblica e la democrazia e, ripeto, non già all'esterno del Governo e del partito di maggioranza che guidava allora come oggi il Paese.
Se ripercorriamo le tappe di questa storia, la D.C. non ne esce né con coerenza né con concretezza di realizzazioni politiche. E quando noi abbiamo polemizzato e abbiamo rotto coi compagni della comune esperienza socialista per il loro passaggio ad un rapporto di governo con la D.C., (mi è già occorso di ricordarlo, ma credo lo si debba ripetere) noi dicemmo allora che quello non era il dialogo coi cattolici: era il dialogo col partito di potere delle forze egemoni capitalistiche della società italiana. E sosterremo che da quel rapporto politico, oltre ad uscire una frattura del movimento operaio che lo indeboliva, sarebbe uscita non già una prospettiva politica di riforme e di rinnovamento per il Paese, bensì un tentativo permanente da parte della D.C. di coprirsi con forze socialiste nei propri disegni a lunga scadenza di consolidamento e di rafforzamento del potere delle destre; concluderemo che tutto ciò avrebbe dato non ristretto lo spazio alle forze eversive della destra di tipo autoritario e fascista Ed ecco che la storia di questi giorni ci da ragione. Gli eventi del momento che va dall'autunno caldo, dalle bombe di Milano attraverso una sequenza di immagini che se potessimo riprodurre in film (magari per la TV collega Oberto) sarebbero estremamente indicative di come il governo della D.C. ha costantemente coperto tutto il rigurgito destra eversiva, l'unico reale e organizzato eversivo che il Paese vive in questi tempi. Avremmo allora davvero uno spettacolo che suonerebbe non soltanto smentita alle vostre superbe affermazioni, ma andrebbe a dimostrazione di come siete responsabili, voi maggioranza della D.C.; in prima persona, di un gravissimo processo d'involuzione di destra con pericoli fortemente reazionari. E nel momento in cui, per effetto di questa linea, che è la linea del rifiuto delle riforme, che è la linea del tentativo di divisione del movimento sindacale, che è la linea dei provvedimenti polizieschi, che è la linea in cui, come già altra volta dissi, ci si fa rimpiangere quasi che quel figlio (spirituale, naturalmente) di Don Sturzo che risponde al nome dell'On. Scelba, sia stato sostituito dall'On. Restivo; ebbene, questa linea, nel momento in cui ci ha parlato (nella confusione che sempre generano questi stati d'insolenza governativa) a verificare nelle elezioni del 13 giugno uno spostamento di voti verso le forze dell'estrema destra fascista, in quel momento voi, come sempre avete fatto (e anche qui ci soccorrerebbero parecchi esempi della realtà di questi 25 anni, quello della tentata operazione Sturzo ne è uno, ma c'è tutto un lungo periodo di vostre convivenze e connivenze amministrative e politiche con monarchici e fascisti) con una tattica che avete già sperimentato, vi siete posti il problema di operare un radicale mutamento di rotta che consentisse alla D.C. di proporsi come la centralità sì, ma di un blocco d'origine. Questo è il dato reale, significativo, dell'apertura della crisi alla Regione Piemonte; questo è il dato che supera i limiti del fatto regionale. Non a caso stamattina, negli interventi dei Consiglieri democratici, di tutto si è parlato meno che dei problemi della Regione Piemonte. E' la conferma patente che voi siete all'avanguardia di un disegno (tognesco) che viene avanti nel Paese e che come ho affermato, porta con sé quali battistrada i 300 arditi del Parlamento, ma che trascina e trova i Calleri e i socialdemocratici in Liguria come punte di diamante di un'operazione la quale deve portare a una decisa conversione verso destra. Un disegno che deve sfociare in una mitigazione anche di quei timidi e mediocri tentativi di riforma che sono in discussione in Parlamento, a cominciare dal progetto sulla casa, che non è un progetto di riforma ma semplicemente un progetto di razionalizzazione di un quadro estremamente lacerato e scomposto nel settore edilizio. Ecco qual è la realtà di questa crisi. Ecco perché è giustificata la motivazione di coloro i quali affermano trattarsi di una crisi che viene da lontano e guarda lontano. E' una crisi la quale s'inserisce in un piano più vasto ed a largo respiro.
I colleghi liberali possono trarre motivo di compiacimento dai lusinghieri apprezzamenti che il collega Oberto, esperto in quelle materie che poc'anzi citavo, ha loro rivolto nel suo intervento; ma non so come non possano sottrarsi a un senso di disagio, nel momento in cui cercano di darsi delle patenti di rinnovamento, di maggiore ricettibilità delle esigenze nuove del Paese, quando viene loro rivolto un invito a partecipare a uno degli equilibri più arretrati che la storia del Paese in questi anni abbia visto tentare da parte del gruppo dirigente democratico. E sarebbe in ogni modo del tutto illusorio scindere questa vicenda, questa fase che la D.C. ha inaugurato dall'esperienza del Centro-Sinistra. Non si pu sostenere che tutto questo avviene contro e fuori dal Centro-Sinistra. Il Centro-Sinistra è stato il terreno sul quale si sono sparsi i fertilizzanti perché questa operazione crescesse nel nullismo di una politica di riforme spaventando i ceti medi, chiamando a raccolta le forze della destra eversiva, sollecitando e suscitando tutti i terrori irrazionali che sempre ci sono in un paese nel quale certo, Consigliere Calleri, sussistono forti elementi di sottocultura, ma - di cui la vostra scuola venticinquennale porta delle responsabilità di estrema pesantezza, e sul piano della cultura intesa nel senso scolastico e sul piano generale della cultura che avete fornito come uomini politici alla società italiana.
Ecco perché noi, nel momento in cui esprimiamo ovviamente un giudizio del tutto negativo sul documento che qui è stato presentato, sui contenuti reali che stanno dietro a questo documento come prospettiva di un'operazione politica di destra, mentre esprimiamo questo giudizio radicalmente negativo, crediamo sia ancora una volta giusto rivolgere un discorso molto chiaro e molto sereno ai compagni socialisti e agli uomini ai galantuomini della sinistra cattolica che sappiamo realmente, fortemente compresi delle esigenze che il movimento operaio italiano ha portato e porta avanti in questi anni. Diciamo ai compagni socialisti che diamo loro atto con piacere della fermezza e del coraggio con cui hanno respinto i ricatti della D.C. nel quadro del suo disegno di involuzione di destra.
Diciamo però anche ai compagni socialisti che questo non è sufficiente; che il problema di fondo di ricreare una condizione di contrattacco all'offensiva delle forze reazionarie guidate dal disegno democratico è quello di ristabilire un'unità operante di tutte le forze della sinistra operaia, la quale sappia essere momento di richiamo, punto di raccolta per le grandi masse che nel Paese attendono profondi e reali rinnovamenti. E diciamo agli amici cattolici, della sinistra cattolica, che non si pu vivere nella vita politica per lungo tempo ancora (noi crediamo non si possa vivere mai, ma certamente le scadenze oggi sono quanto mai imperative per tutti) esprimendo solo delle riserve di coscienza; le quali sono nobili, trovano un concreto fondamento nelle posizioni dichiarate all'interno anche della D.C., ma devono sciogliere il nodo di un equivoco nel quale essi permangono piegandosi al compromesso con le forze egemoni della D.C. stessa. Essi devono uscire con una chiara posizione che sia di collegamento, di raccordo a quelle prospettive di una forza unitaria di sinistra le quali sono le uniche alle quali il movimento dei lavoratori chiede un'azione decisa, dalla quale attende davvero una svolta per l'avvenire del Paese.



PRESIDENTE

Prima di togliere la seduta di questa mattina, desidero comunicare che la conferenza dei Capigruppo è convocata insieme con i Presidenti delle otto Commissioni permanenti in questa sede alle ore 15,30.
Il Consiglio è convocato alle ore 16 e prego fin d'ora i signori Consiglieri che non partecipino alla prima riunione di scusarci se la seduta di questo pomeriggio cominciasse con qualche minuto di ritardo nel caso in cui la conferenza dei Capigruppo si protraesse al di là delle 16.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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