Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.49 del 06/07/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego il Segretario Consigliere di dar lettura del verbale della seduta di ieri mattina.



GERINI Armando, Segretario

Dà lettura del processo verbale dell'adunanza antimeridiana 5 luglio 1971



PRESIDENTE

Se non vi sono osservazioni, il verbale si può intendere approvato. E' approvato.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dimissioni del Consigliere Regionale Giovanni Borello e provvedimenti conseguenti ai sensi degli artt. 16 e 17 della Legge 17 febbraio 1968 n. 108, Dichiarazione di immediata eseguibilità ai sensi dell'art. 49 della Legge 10 febbraio 1953 n, 64


PRESIDENTE

Non ho particolari comunicazioni da fare al Consiglio questa mattina.
Passiamo quindi al punto 3 dell'o.d.g. che reca "Dimissioni del Consigliere Regionale Giovanni Borello e provvedimenti conseguenti ai sensi degli artt.
16 e 17 della Legge 17 febbraio 1968 n. 108. Dichiarazione di immediata eseguibilità ai sensi dell'art. 49 della Legge 10 febbraio 1953 n. 64".
Come già comunicato al Consiglio, il Consigliere Regionale Giovanni Borello, con lettera in data 25 giugno '71, pervenuta alla Regione il 5 luglio '71, ha espresso l'intenzione di rassegnare le dimissioni da Consigliere, motivate da incompatibilità di questa carica con quella da lui rivestita di Presidente della Camera di Commercio di Asti. Su queste dimissioni il Consiglio si deve pronunciare. Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Intervengo, signor Presidente, semplicemente per proporre che il Consiglio proceda alla presa d'atto delle dimissioni.



PRESIDENTE

Vi è, pertanto, una proposta di presa d'atto delle dimissioni del Consigliere Borello, rassegnate per incompatibilità dallo stesso dichiarata, proposta sulla quale il Consiglio deve votare.
Pongo pertanto ai voti la presa d'atto delle dimissioni da Consigliere Regionale del Consigliere Giovanni Borello. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità.
Dovrò adesso sospendere per alcuni minuti la seduta, per poter procedere alla surrogazione, in quanto mi occorre una riunione della Giunta delle Elezioni che mi comunichi che cosa risulta dal verbale della circoscrizione di Asti, dove fu eletto il Consigliere Borello. La seduta è sospesa per alcuni minuti. E' convocata la Giunta delle Elezioni.



(La seduta, sospesa alle ore 10,25, riprende alle ore 10,45)



PRESIDENTE

La seduta è aperta. La Giunta delle Elezioni mi ha comunicato il verbale della riunione che ha tenuto poco fa, di cui dò ora lettura: "La Giunta delle Elezioni viene riunita il giorno 6 luglio 1971 alle ore 10,30, nella sala del Consiglio Regionale, con la presenza dei Consiglieri Paganelli, Besate, Giletta, Petrini, Marchesotti, Giovana Benzi; sono assenti Fonio, Vietti, Lo Turco, Simonelli, Rossotto.
Il Presidente Paganelli riferisce che, in relazione alle determinazioni adottate dal Consiglio Regionale in data odierna in ordine alle dimissioni del Consigliere Regionale Giovanni Borello, occorre procedere, ai sensi dell'art, 16 della Legge 17 febbraio 1968 n. 108, alla surrogazione del Consigliere dimissionario. Ai sensi del citato articolo, il seggio che rimanga vacante per qualsiasi causa, anche se sopravvenuta, è attribuito al candidato che nella stessa lista e circoscrizione segue immediatamente l'ultimo eletto. La stessa norma si osserva anche nel caso di sostituzione del Consigliere proclamato a seguito dell'attribuzione fatta dagli Uffici centrali regionali.
Dal verbale dell'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Asti risulta che all'ultimo eletto nel Gruppo del Partito della Democrazia Cristiana nella circoscrizione di Asti, Giovanni Borello, segue immediatamente il signor Carlo Visone, al quale deve essere attribuito il seggio vacante.
La Giunta delle Elezioni esprime pertanto l'avviso che il Consiglio possa prendere atto che al Consigliere Borello subentra, ai sensi dell'art.
16 della citata Legge n. 108, il signor Carlo Visone. La Giunta è d'avviso altresì che la predetta deliberazione relativa alla surrogazione del Consigliere Borello con il signor Carlo Visone sia dichiarata immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della Legge 10 febbraio 1953 n. 62".
Fatta questa lettura del verbale della Giunta delle Elezioni, ai sensi dell'art. 16 della citata Legge del 17 febbraio '68 n. 108, occorre ora procedere alla surrogazione del Consigliere Borello, surrogazione alla quale possiamo addivenire tenendo conto delle indicazioni contenute nel verbale della Giunta delle Elezioni. Ai sensi del citato articolo, "il seggio che rimanga vacante, per qualsiasi causa, anche se sopravvenuta, è attribuito al candidato che nella stessa lista e circoscrizione segue immediatamente l'ultimo eletto, la stessa norma si osserva anche nel caso di sostituzione del Consigliere proclamato a seguito dell'attribuzione fatta dagli Uffici centrali regionali".
Dal verbale dell'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Asti, esaminato dalla Giunta delle Elezioni, risulta, come si è detto che all'ultimo eletto del Gruppo della Democrazia Cristiana nella circoscrizione di Asti, Giovanni Borello, segue immediatamente il signor Carlo Visone, al quale deve essere attribuito il seggio resosi vacante.
Pongo quindi ai voti la proposta che il Consiglio prenda atto che al Consigliere Borello subentra, ai sensi dell'art. 16 della citata Legge n.
108, il signor Carlo Visone. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La proposta è approvata all'unanimità.
Propongo ora che la presente deliberazione, relativa alla surrogazione del Consigliere Borello con il signor Carlo Visone, sia dichiarata immediatamente eseguibile, ai sensi dell'art. 49 della Legge 10 febbraio 1953 n. 62. Faccio presente che la predetta proposta dev'essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio Regionale. Pongo quindi ai voti la proposta di immediata eseguibilità. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata con 32 voti, cioè con la maggioranza richiesta dalla Legge 10 febbraio n. 62.
Per quanto attiene alla convalida della elezione del signor Visone propongo che essa venga devoluta, ai sensi dell'art. 13 dello stralcio di norme del Regolamento approvato dal Consiglio Regionale, alla Giunta delle Elezioni, la quale accerterà che non sussistano nei confronti del neo consigliere cause di ineleggibilità e di incompatibilità. Ad esame compiuto, la Giunta delle Elezioni riferirà al Consiglio.
Se il Consigliere Visone è nelle vicinanze del Consiglio Regionale prego un suo collega del Gruppo al quale penso aderirà di pregarlo di entrare in aula.



(Entra in aula il Consigliere Visone)



PRESIDENTE

Formulo a nome del Consiglio i migliori auguri al Consigliere Visone certo che anch'egli recherà un contributo positivo ai lavori del nostro Consiglio Regionale.



VISONE Carlo

Grazie.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni

Parere sullo schema di decreto delegato concernente il trasferimento alle Regioni a Statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale navigazione e porti lacuali (seguito della discussione)


PRESIDENTE

Mi si dice che è in corso di distribuzione il documento sul decreto delega relativo ai trasporti. Possiamo allora procedere regolarmente alla continuazione dell'esame indicato al punto 4 del nostro ordine del giorno odierno: "Progetto di parere sullo schema di decreto delegato concernente il trasferimento alle Regioni a Statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di 'Tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale, navigazione e porti lacuali'".
Abbiamo esaurito ieri sera la discussione generale. Abbiamo ascoltato la replica del relatore e le dichiarazioni fatte da due Assessori a nome della Giunta. Siamo quindi adesso in sede di deliberazione attorno al documento che vi è stato distribuito con le modifiche che erano state concordate in Commissione ieri sera. Non so se queste modifiche debbano essere illustrate.
Ha chiesto di parlare l'Assessore Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo, Assessore ai trasporti e comunicazioni

Semplicemente per far osservare che sono necessarie ancora due correzioni, ma di carattere puramente formale.
A pag. 1, dove è scritto: "Non ci si potesse limitare", va detto "non ci si poteva limitare", in conformità ai tempi usati poi anche nel comma successivo; a pag. 8, dove è detto: "Questo atteggiamento è peraltro condiviso nelle sue finalità dalla Commissione", è importante correggere "dal Consiglio" anziché "dalla Commissione".



PRESIDENTE

Io proporrei, anzi, che in sede di coordinamento del documento, ad evitare che il Consiglio debba perdere tempo in questi controlli formali si affidasse al relatore il compito di rivedere il testo insieme con il Presidente della Commissione, per eliminare eventuali errori linguistici che potessero sussistere, e specialmente sviste nel senso di parlare di Commissione anziché di Consiglio.
Vi sono altre osservazioni su questo documento? Mi occorrerebbe sapere ora se da qualche parte del Consiglio si intenda richiedere la votazione del documento che è sottoposto all'approvazione del Consiglio medesimo per divisione o se viceversa il Consiglio con le sue varie componenti ritenga di poterlo votare in blocco. E' evidente che se qualche Gruppo avesse da suggerire emendamenti o da votare in maniera differenziata si dovrebbe procedere alla votazione per divisione. Non siamo tenuti, non trattandosi di disegno di legge, a votare il documento articolo per articolo, anche perché non è redatto in articoli, ma in questo caso comma per comma.
Siccome il documento stesso è frutto del lavoro di una intera Commissione che mi sembra sia stata abbastanza concorde nelle conclusioni raggiunte probabilmente non verranno proposte di questo genere. Però, se ve ne sono vorrei venissero subito. Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Potrei già fare una dichiarazione di voto, o devo limitarmi a rispondere alla sua proposta?



PRESIDENTE

Se non ci sono richieste nel senso da me indicato di votare per divisione, possiamo procedere al voto, e le operazioni di voto devono essere precedute dalle dichiarazioni di voto di chi intendesse esprimere i motivi per i quali vota rispetto a questo argomento. Non ci sono proposte: passiamo quindi alle operazioni di voto. Ha chiesto di parlare il Consigliere Berti per dichiarazione di voto. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Annuncio il voto positivo del nostro Gruppo su queste osservazioni della Regione Piemonte al decreto delegato del Governo, dichiarando la nostra approvazione per il modo in cui la Commissione ha lavorato, per le conclusioni pressoché unitarie cui è pervenuta, per i contenuti che le osservazioni di carattere generale hanno assunto, contenuti che a nostro giudizio sono il frutto di un confronto molto aperto all'interno della Commissione, e affermano in modo molto concreto ed energicamente i diritti della Regione di vedersi trasferiti tutti i poteri, e per materie organiche, nel settore dei trasporti. Abbiamo anche approvato gran parte delle osservazioni agli articoli del decreto delegato del Governo. Avverto però che permangono in noi alcune riserve relativamente agli articoli 5, 6 7, 9, 10 e 14, il merito delle quali si ritrova nell'intervento del Consigliere Rivalta.



PRESIDENTE

Qualcun altro intende fare dichiarazioni di voto? Ha facoltà di parlare il Consigliere Giovana.



GIOVANA Mario

Desidero semplicemente richiamarmi all'intervento che ho fatto ieri, e che conteneva già le mie dichiarazioni in materia. Anch'io ritengo perci di dover votare il documento, con le riserve espresse e inerenti agli articoli che nell'intervento di ieri ho specificatamente citato.



PRESIDENTE

Mi fa osservare il Vicepresidente Oberto un'altra piccola correzione formale da apportare: bisogna precisare, nella prima riga, "nella seduta del 6 luglio", anziché del 5 luglio, perché il documento viene preso in esame oggi.
Possiamo quindi procedere al voto. Prima vorrei però fare un suggerimento, sul quale non so se il relatore sia d'accordo. Dato il ritardo con il quale questo documento giunge alla Commissione parlamentare sarebbe opportuno agevolare il lavoro di questa affiancando al testo proposto, come nel progetto che era stato elaborato dalla Giunta, il testo originario del Governo. So che non c'è alcuna corrispondenza fra il testo nuovo e quello vecchio, ma anche per constatare che non c'è corrispondenza occorre che chi legge abbia immediatamente sott'occhio gli articoli originari e quelli nuovi: è una questione di pura disposizione tecnica, che potrebbe essere curata poi dai nostri Uffici, poiché si tratterebbe solo di trascrivere a fianco degli articoli di cui si propone l'emendamento gli articoli originari dello schema di decreto delegato inviato al Governo.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano, relatore

Concordo perfettamente sull'adozione, diciamo, della tecnica tipografica degli atti parlamentari, in quanto questa rende evidentemente più agevole e più facile il lavoro.



PRESIDENTE

Benissimo. Allora, anche questa proposta e accolta.
Pongo ai voti il progetto di osservazioni del Consiglio Regionale della Regione Piemonte sullo schema di decreto delegato in materia di "Tramvie e linee automobilistiche di interesse regionale, navigazione e porti lacuali", trasmesso dal Ministro per l'attuazione delle Regioni e pervenuto il 10 maggio 1971. Chi e favorevole al testo a tutti noto e largamente distribuito, è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Esame del disegno di legge del Governo sul finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno per il quinquennio 1971-'75 e modifiche ed integrazioni al Testo Unico delle leggi sugli interventi sul Mezzogiorno - disegno di legge n. 1525 - e del disegno di legge dei Senatori Abenante ed altri concernente "Norme sull'intervento pubblico nel Mezzogiorno" - disegno di legge n. 1482


PRESIDENTE

Possiamo quindi passare al punto 5 dell'o.d.g. che reca "Esame del disegno di legge del Governo sul finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno per il quinquennio 1971-'75 e modifiche ed integrazioni al Testo Unico delle leggi sugli interventi sul Mezzogiorno disegno di legge n. 1525 - e del disegno di legge dei Senatori Abenante ed altri concernente "Norme sull'intervento pubblico nel Mezzogiorno" - disegno di legge n.
1482" (relatore Nesi).
Il Consigliere Nesi ha facoltà di illustrare l'opinione della Commissione su questi disegni di legge.



NESI Nerio, relatore

Signor Presidente, anche per la delicatezza di alcuni punti che sono stati oggetto dì particolare esame da parte di tutti i membri della Commissione, penso che la cosa migliore sia che io dia lettura del testo integrale della relazione.
Il Consiglio Regionale, nella seduta del 6 luglio 1971, esaminati il disegno di legge governativo n. 1525 e il disegno di legge Abenante ed altri n. 1482, concernenti provvedimenti a favore del Mezzogiorno, approva le osservazioni secondo il testo contenuto nel documento che segue.
Il Consiglio Regionale rileva innanzitutto che il metodo delle consultazioni delle Regioni da parte del Parlamento, riguardo agli interventi pubblici nel Mezzogiorno, dev'essere giudicato positivamente questa consultazione assume particolare importanza per la Regione Piemonte per quanto essa rappresenta sul piano economico e per essere la stessa insieme alla Lombardia - la regione nella quale il fenomeno dell'immigrazione dal Meridione ha avuto la rilevanza maggiore, e per la portata ad esso riconosciuta dallo Statuto della Regione Piemonte stessa.
Il problema dell'Italia meridionale viene periodicamente posto all'attuazione del Paese da avvenimenti drammatici, mentre rimangono irrisolti i problemi fondamentali che hanno costituito un obiettivo ostacolo allo sviluppo organico dell'economia e della politica nazionale dal dopoguerra fino ai giorni nostri. Infatti: 1) il divario fra l'Italia del Nord e del Sud in termini di reddito pro capite non è diminuito 2) l'occupazione complessiva dell'Italia meridionale non ha registrato incrementi risolutivi 3) l'emigrazione verso l'Italia del Nord e verso l'estero è continuata 4) l'aumento degli investimenti nell'Italia meridionale è stato di gran lunga inferiore a quello preventivato nel primo piano di sviluppo nazionale.
Questi fenomeni sono di tale portata da superare di gran lunga l'interesse immediato delle regioni del Sud: il problema meridionale riguarda l'Italia nel suo complesso, la Comunità Economica Europea e gli altri Paesi al cui sviluppo economico l'Italia appare più direttamente interessata, nel quadro di un tendenziale spostamento del baricentro di alcuni fondamentali settori dell'economia italiana.
Il Consiglio Regionale pertanto ritiene che da queste considerazioni non possa che scaturire la necessità di un profondo mutamento della politica seguita fino ad ora per far fronte alle necessità delle regioni meridionali.
Nonostante la varietà degli strumenti che ha utilizzato (incentivi di carattere fiscale, incentivi di carattere finanziario, partecipazioni statali) e la mole ingente di risorse che ha avuto a disposizione, questa politica non ha raggiunto gli scopi che si proponeva, perché si è basata su concezioni che si sono dimostrate erronee: la territorialità e la straordinarietà degli interventi e la verticalizzazione delle decisioni.
Gli incentivi e gli interventi sono stati infatti indirizzati alle regioni meridionali in quanto tali senza alcuna modifica del meccanismo dello sviluppo generale del Paese, sono stati diretti da organismi centralizzati (Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, Ministro per la Cassa del Mezzogiorno, Cassa del Mezzogiorno), ed hanno avuto come base l'attribuzione di una certa aliquota degli investimenti compiuti nell'intero Paese da parte dell'industria di Stato.
Questa politica deve essere cambiata: si dovrà, cioè, tendere a trasformare gli interventi da straordinari in ordinari, a considerare gli interventi nel Sud come una parte organica della politica di piano per l'intero territorio nazionale, a far partecipare gli organismi democratici ed elettivi dell'Italia meridionale alle decisioni che li riguardano; in questo quadro assume particolare importanza la piena attuazione dell'ordinamento regionale.
L'analisi delle proposte di legge in esame deve partire da questi presupposti: I) Il progetto governativo contiene norme di carattere congiunturale e norme aventi natura innovativa delle strutture attuali degli strumenti di intervento: queste ultime avrebbero potuto trovare collocazioni più idonee in un organico progetto di riforma generale di tutta la politica meridionale. Tale organico progetto si auspica possa trovare successivamente una pronta attuazione.
II) Limite primario del progetto è la mancanza di riferimenti costanti ad una politica generale di piano.
III) Non sono precisati abbastanza la natura ed i caratteri dei progetti speciali nonché i loro collegamenti con le politiche settoriali.
Non si fa cenno alla possibilità del CIPE di avviare un programma di settore, e perciò il pubblico potere può rivelarsi ancora una volta incapace di imprimere indirizzi settoriali e territoriali adeguati alle esigenze dello sviluppo economico.
A tal proposito, la carenza di impegno sul piano della programmazione settoriale può impedire la riforma dell'agricoltura (di competenza regionale) e gli indispensabili collegamenti tra produzione, distribuzione e lavorazione industriale, mentre l'agricoltura, come provano anche le esperienze di altri Paesi, può e deve svolgere - in una economia che si sviluppi in modo equilibrato - una funzione centrale. Non si riscontra infatti, sviluppo stabile e duraturo senza equilibrio tra il settore agricolo e quello industriale: pertanto, tale carenza appare doppiamente grave per il Mezzogiorno.
IV) Le Regioni assumono un ruolo estremamente limitato, sia in ordine alle decisioni relative alla contrattazione programmata degli investimenti industriali, sia in ordine alle decisioni riguardanti la politica delle infrastrutture.
V) Vengono introdotti dei disincentivi nelle Regioni settentrionali che appaiono inutili per quanto riguarda le grandi aziende e punitivi per quanto riguarda le piccole e medie aziende.
Il meccanismo proposto appare insufficiente ad indurre le grandi aziende a spostare una quota dei loro investimenti al Sud. Invece, la tassazione può ingenerare ulteriori difficoltà e "disaffezione" per le piccole e medie aziende.
Il Consiglio Regionale ritiene necessario: 1) attribuire pienamente alle Regioni i poteri istituzionali previsti per esse, consentendo loro di dare un contributo rilevante alla formazione del piano generale.
Per quanto riguarda gli investimenti industriali, è necessario che le Regioni vengano istituzionalmente ed organicamente interessate per la valutazione e la predisposizione di tutti quegli interventi (infrastrutture primarie e sociali, istruzione professionale, ecc.) che si devono accompagnare ad uno sviluppo razionalmente programmato, anche a livello regionale.
2) Istituire la Commissione dei rappresentanti delle Regioni, evitando così il collegamento di prima istanza degli organismi centrali con le singole Regioni meridionali.
Occorre, infatti, evitare che vengano portate in primo piano spinte particolaristiche contro l'organicità del pubblico intervento.
3) Integrare il CIPE con i rappresentanti delle Regioni, affinch l'autorizzazione per i nuovi insediamenti produttivi associ anche le Regioni e gli Enti locali, in quanto tali insediamenti sono elemento determinante per la politica dell'assetto del territorio.
4) Il rifinanziamento della Cassa del Mezzogiorno deve essere accompagnato da idonee iniziative che portino alla sua rapida trasformazione da centro decisionale in strumento tecnico-esecutivo subordinato agli organi nazionali della programmazione e controllato dalle Regioni meridionali, consentendo a queste di dare attuazione coordinata ai rispettivi piani.
5) Introdurre un efficace indirizzo delle localizzazioni nell'intero Paese, mediante l'istituto dell'autorizzazione per gli insediamenti produttivi con le necessarie garanzie giuridiche e di controlli democratici.
Solo in tal modo pare possibile ottenere, in relazione alla carenza tipica del Mezzogiorno, di infrastrutture e fattori di autoriproduzione quel grande spostamento di investimenti verso le aree meridionali che è condizione imprescindibile di un più rapido sviluppo delle stesse.
L'autorizzazione per gli insediamenti produttivi dovrà essere rilasciata a livello regionale in stretto rapporto con il tasso di incremento dello sviluppo regionale, mentre per le grandi imprese dovrà essere di competenza del CIPE integrato dalle Regioni.
In tal modo la contrattazione programmata diventerà realmente una effettiva contrattazione, poiché gli Enti pubblici saranno posti in una condizione tale da poter dirigere lo sviluppo economico verso obiettivi di equilibrio territoriale.
Signor Presidente e signori Colleghi, questo è il testo della nostra relazione. Sento il dovere di ringraziare il Presidente della Commissione Consigliere Garabello, e tutti i Colleghi che mi hanno aiutato nel lavoro di stesura: abbiamo lavorato, mi pare di poter dire, in piena unità di intenti, all'elaborazione di questo testo, che penso riscuota il consenso di una larghissima maggioranza della I Commissione. Mi auguro che su di esso si svolga una discussione efficace e sono pronto anche a verificare se vi sono cose che si possono cambiare. Grazie.



PRESIDENTE

Ringrazio vivamente il Consigliere Nesi, relatore su questa materia, il Presidente della I Commissione ed i suoi colleghi che, dopo aver richiesto la procedura urgentissima, ci hanno consentito di superare almeno parzialmente le gravissime conseguenze derivanti dai ritardi con i quali il Consiglio Regionale è stato posto in grado di affrontare una questione così importante anche per la nostra Regione, qual è la legge sulla Cassa per il Mezzogiorno. Grazie al loro lavoro diligente, il Consiglio Regionale pu oggi stesso deliberare in merito: anche il Piemonte può quindi finalmente dire la sua parola su una questione di questo genere.
Ha inizio adesso la discussione generale. E' iscritto a parlare per primo il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, penso che il parere del Consiglio Regionale su questo disegno di legge sia importante non tanto per gli effetti pratici che il nostro, parere potrà avere, visto che il documento è già in discussione al Senato della Repubblica (dove, come ci informano i giornali di stamane, fin dal primo articolo la maggioranza governativa, seguendo una consuetudine ormai ampiamente consolidata nella prassi, si è divisa); quanto per la definizione che esso ci consente di dare di un nostro indirizzo di politica meridionalistica.
Penso infatti che il Consiglio Regionale del Piemonte debba avere un proprio indirizzo di politica meridionalistica. Non solo perché, come è detto nel documento della I Commissione, il problema del Sud non è un problema locale ma è un problema nazionale ed europeo; anche e soprattutto perché uno dei più rilevanti (forse il più rilevante) temi di politica sociale in Piemonte è quello dell'immigrazione, e l'immigrazione interna è essenzialmente, in Italia, un aspetto della questione meridionale.
Su tale questione, che è stata oggetto di una vastissima letteratura vi è una definizione che si può ricavare interpolando nel giudizio di un settentrionale dell'Ottocento, Cattaneo il giudizio di un meridionale del Novecento, Nitti. Mettendo insieme queste due definizioni dei Sud, si ricava la visione di un Meridione "vasto ed infermo regno, senza strade e senza città". Ora, nel Meridione molte cose sono cambiate: si sono costruite le strade e dilatate le città; ma il Sud è rimasto economicamente, e, come dimostrano i risultati elettorali del 13 giugno anche politicamente, un "regno infermo"; e questo disegno di legge 1525 rappresenta l'ennesimo medicamento alle infermità del sottosviluppo meridionale.
Il parere testé letto dal collega Nesi non ci trova del tutto concordi anche se riconosco che il documento predisposto dalla I Commissione comprende una serie di punti a nostro avviso apprezzabili. E' apprezzabile che in questo parere si faccia una critica al fallimento di molti obiettivi della politica meridionalistica, che in fondo è una ulteriore dimostrazione di come la programmazione finora sia stata più proclamata che attuata. E' anche apprezzabile che si ponga in rilievo come questo disegno di legge non garantisca collegamenti adeguati fra la politica regionale e la politica di programmazione. E devo dire che in una certa misura siamo favorevoli anche all'impostazione che qui viene data alla vexata quaestio dei disincentivi anche se dalla lettura del documento (non faccio parte della Commissione che lo ha redatto) ho avuto l'impressione che il punto d'incontro sulla questione dei disincentivi sia stato raggiunto, se mi è consentito di dirlo, con una certa dose di ambiguità; soprattutto per quanto riguarda il problema dei disincentivi a carico delle grandi imprese, dove si dice che sono "insufficienti", senza far ben capire se vengono respinti perch inefficaci o solo perché proposti dal disegno di legge governativo in misura troppo limitata.



NESI Nerio, relatore

Sono inutili.



ZANONE Valerio

Sono inutili? Su questo vorrei dire il mio parere. Noi siamo d'accordo che i disincentivi di carattere fiscale, cioè in forma di contributo obbligatorio per le spese di urbanizzazione, sono inutili, come dice Nesi nel quadro di una politica meridionalistica: che i disincentivi non sono uno strumento di politica meridionalistica. Però non sono inutili, forse come strumento di sostegno delle Amministrazioni locali delle aree metropolitane dove ci sono forti insediamenti industriali. In questo senso i disincentivi possono essere un primo strumento finanziario al servizio di quel governo metropolitano che e il vero obiettivo al quale deve tendere la politica regionale in Piemonte. E devo dire che noi Liberali non abbiamo obiezioni di principio da muovere contro questo tipo di strumento fiscale che forse è stato reso impopolare soprattutto dal suo nome, perché non di disincentivi si sarebbe dovuto parlare ma solamente di una forma aggiornata dell'istituto tradizionale del contributo di miglioria; perché non riteniamo giusto che il calcolo delle convenienze di localizzazione possa prescindere, com'è avvenuto in questi anni, da costi di urbanizzazione che venivano e vengono quasi totalmente addossati alla collettività.
Certamente, una politica concreta sui disincentivi richiede però alcuni chiarimenti preliminari: ad esempio, bisognerebbe arrivare ad un certo grado di certezza sul costo in infrastrutture e in servizi pubblici per ogni nuovo abitante nelle zone industrializzate. Ci sono molti dati a questo proposito, e, come spesso avviene, questi dati non sono concordi fra di loro: il piano regolatore milanese, se non ricordo male, calcola il costo di ogni nuovo abitante, escluse le aree, in un milione e 400 mila lire; la Svimez, che ha fatto uno studio molto accurato sul costo delle infrastrutture in servizi pubblici, sia pure in lire del 1965, arrivava invece ad una cifra di 670 mila lire. Quanto costi un nuovo abitante nelle zone industrializzate, in realtà, è qualcosa che non è stato ben definito e che noi affidiamo, per la relativa indagine, alle cure dei programmatori.
Mi pare si sia parlato di quattro milioni per addetto, tenendo conto che l'addetto ha evidentemente con sé una famiglia; quindi, si ritorna su parametri di un milione, un milione e mezzo.
Su questo punto direi che il documento noi potremmo approvarlo.
Viceversa, ci sono poi degli aspetti che, forse per il poco tempo che ci è stato concesso per l'esame e la stesura, non ci sentiamo di approvare nel modo in cui sono stati formulati. Vi sono in alcune parti richiami nebulosi, direi, a grandi scelte di politica economica che sarebbe stato necessario precisare meglio per sapere a pro di quale modello di sviluppo economico si vota. Quando si parla della "modifica del meccanismo dello sviluppo generale del Paese", se si vuol dare un senso a questa espressione, bisogna almeno indicare la direzione in cui si guarda, cioè se si guarda ad un meccanismo che serva a meglio finalizzare ad obiettivi sociali il modello di mercato, oppure ad un meccanismo che superi il modello di mercato per arrivare a forme di gestione palesemente dirigistiche. Dico questo perché il punto a nostro avviso più problematico di questo parere che stiamo per dare sul disegno di legge 1525, è quello dell'autorizzazione generalizzata. Questo obbligo di autorizzazione imposto ai privati equivale evidentemente ad un diritto di interdizione da parte del potere pubblico. Ed anche qui non si tratta di una contrarietà di principio: in fondo, anche oggi qualsiasi insediamento produttivo deve superare una serie di autorizzazioni, se pure di tipo più antiquato di quello che viene proposto. Però, noi riteniamo che questa limitazione della libertà costituzionale di iniziativa, proprio per il suo carattere limitativo ed in qualche modo eccezionale, dovrebbe giustificarsi, allo stato della legislazione attuale, soltanto in casi di contrasto comprovato con l'interesse generale.
Devo ricordare che il Ministro Giolitti, nella relazione previsionale e programmatica per l'anno 1971, aveva posto il problema dell'autorizzazione in termini molto attenuati rispetto alla posizione che il documento della I Commissione Regionale assume, perché aveva sostenuto che il Governo dovrebbe proseguire attraverso tutti gli strumenti di cui dispone la localizzazione di nuovi impianti industriali nel Mezzogiorno. "Solo se tali strumenti si rivelassero insufficienti - scriveva il Ministro -, il Governo si vedrebbe costretto a ricorrere, nell'ambito di certe zone congestionate del Paese, all'introduzione di misure amministrative di autorizzazione alla localizzazione degli impianti di rilevante dimensione".



NESI Nerio, relatore

Si sono già rivelate insufficienti.



ZANONE Valerio

Si sono già rivelate insufficienti prima che ci fossero,però. Siamo sempre di fronte a questa situazione: che superiamo le questioni non perch esse vengono risolte con procedure insufficienti ma perché vengono soltanto avanzati degli schemi che non sono attuati e che vengono superati da un punto di vista sempre e soltanto teorico.
Il quadro che poneva il Ministro Giolitti aveva due condizioni: che si trattasse di autorizzazioni in zone particolarmente congestionate e per impianti di rilevanti dimensioni. Viceversa, la proposta della Commissione è che l'autorizzazione sia un istituto generale e che si estenda anche, per usare une immagine demartiniana alle "botteghe dei barbieri". Ora, questo istituto, in fondo è già stato ampiamente sperimentato nel periodo fascista, e proprio in quegli anni si è dimostrato che il pericolo del meccanismo dell'autorizzazione, del resto fin troppo evidente, e la grande possibilità di favoritismi che esso implica. A meno che non si metta a punto un sistema in cui siano chiaramente stabiliti i parametri in base ai quali le autorizzazioni possano essere concesse o negate e si precisi quali sono i diritti del richiedente in caso di denegata autorizzazione a tutelare i propri interessi. Perché, senza un adeguato sistema di garanzie e di controlli, noi attribuiremmo a quella che si chiamava anticamente la "mano del principe" una facoltà d'imperio troppo discrezionale. Ed è certamente troppo discrezionale un parametro che sia solo quello della coerenza con gli obiettivi della programmazione; obiettivi che non sono stati rispettati in questi anni neppure dalle aziende pubbliche, neppure dalle amministrazioni dello Stato, e che hanno evidentemente un carattere di flessibilità estremamente accentuato.
Vorrei aggiungere un dato di fatto che è sgradevole, anche perché è ampiamente sostenuto dal giornalismo reazionario del Paese, ma che è reale e la verità è spesso sgradevole: le attuali condizioni della moralità pubblica sconsigliano l'adozione di misure del genere, cioè di poteri amministrativi troppo discrezionali, se non si istituisce nel contempo un meccanismo di controlli e di garanzie politiche e giuridiche adeguate. E dobbiamo impedire che l'autorizzazione ai lavori privati avvenga nello stesso modo in cui viene l'aggiudicazione dei lavori pubblici.
Sono convinto che quando, poco fa, il collega Nesi leggeva quel punto del documento in cui si dice che "attraverso l'autorizzazione la contrattazione programmata diventerebbe realmente una effettiva contrattazione" non vi era nel suo animo malizia alcuna. Però, stiamo attenti, perché la classe politica italiana non è forte di fronte alle tentazioni. E noi non dobbiamo indurla nella tentazione che attraverso l'autorizzazione nasca l'istituto della contrattazione al 5 per cento.
Nel complesso, quindi, questo documento ci pare poco chiaro su alcuni punti essenziali e discutibile su altri. Per queste ragioni, il Gruppo Liberale si asterrà dalla votazione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana. Ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, credo sia stato pertinente il richiamo testé fatto dal Presidente del Consiglio alla gravità del fatto che ci siamo trovati ad affrontare il problema di esprimere un parere come Consiglio della Regione Piemonte sui disegni di legge per il Mezzogiorno in condizioni di estrema ristrettezza di margini di tempo. Devo aggiungere che soltanto il ricorso ad una aggettivazione estremamente moderata può farci dire che è deplorevole che la Commissione che doveva essere investita in prima istanza dell'esame dei due disegni di legge abbia potuto affrontare il suo compito soltanto nel momento in cui, per iniziativa del Gruppo Comunista, uno dei due disegni di legge è stato presentato alla Presidenza del Consiglio con richiesta di assegnazione alla Commissione competente, e nella misura in cui, devo dargliene atto, il Presidente della Commissione collega Garabello, ha fatto quanto era nelle sue possibilità per rendersi parte attiva al fine di una discussione, anche se estremamente sintetica ed affrettata, dei disegni di legge stessi.
E' un fatto estremamente grave e deplorevole non soltanto in linea formale - anche perché non è il primo caso di questo genere, e si collega a tutto un modo di comportamento, che richiama in primo luogo le responsabilità del Presidente della Giunta, qui già largamente stigmatizzato, e che immagino nelle prossime ore ci sarà ancora modo di considerare per la serietà e la pesantezza degli atti che ha fatto gravare sui modi di lavoro del Consiglio Regionale del Piemonte -, ma perch riducendoci in angolo a cercar di esprimere un affrettato parere su questo grande tema, noi abbiamo dimostrato di disattendere un impegno che era, che doveva essere, in primo luogo svolto da noi della Regione Piemonte. Questo per i motivi, a tutti noti, della strettissima interdipendenza esistente fra i problemi dello sviluppo, ed anche del sottosviluppo, della nostra Regione e i problemi del Mezzogiorno; per il quadro generale nel quale non possono non essere visti i dati generali che caratterizzano la situazione economica nelle congestioni che qui registriamo e nel decremento permanente che il Sud registra; ma vorrei aggiungere anche, se mi è permesso, per un debito antico che abbiamo, proprio come gente del Piemonte, di fronte alla gente del Mezzogiorno, che oggi è in larga misura anche gente del Piemonte.
Se faccio richiamo alla storia non è certo per il gusto di incorrere magari nel reato di leso Piemonte, ma perché, se avessimo potuto svolgere nei modi in cui avremmo dovuto svolgerlo in questa sede il dibattito interpellando le forze che avremmo dovuto, ma non abbiamo potuto interpellare e ascoltare, ciò ci sarebbe servito in quanto, attraverso il riesame critico del passato della storia di cui il Piemonte è stato parte precipua nel processo per l'unità d'Italia, avremmo potuto dare alle genti del Sud, all'Italia tutta ed anche a quella parte del Piemonte che disgraziatamente conserva in se in modi espressi e talvolta latenti istinti razziali che non sono altro se non il retaggio di una sottocultura artatamente coltivata, il senso che la maturità di comprensione storica del problema del Mezzogiorno si unisce inscindibilmente nelle nostre coscienze alla volontà reale del superamento in una visione nazionale ed unitaria del processo di degradamento cui il Mezzogiorno stesso è andato e va soggetto.
In quest'aula, dal giorno in cui noi vi siamo entrati come Consiglieri sono stati fatti parecchi richiami a uomini e vicende illustri del Piemonte: a Camillo Benso di Cavour - il Cavour autentico, tanto per togliere di mezzo le confusioni che qualche giornale a suo tempo ha cercato di ingenerare -, a Massimo d'Azeglio, anche a Gozzano, il cui decadentismo egregio collega Oberto, malgrado tutto, io preferisco al decadentismo estetizzante di un D'Annunzio. Credo che non abbiamo niente da ripudiare delle cose migliori e grandi che anche il Piemonte ha prodotto da questo punto di vista. Però, abbiamo il dovere, se non vogliamo rimanere fermi al Manaresi, cioè ad una concezione della storia, che può anche appagare qualche parte del Consiglio ma che non appaga certo la coscienza critica e culturale di un Paese che si rispetti, di dar conto del ripensamento critico delle vicende d'Italia alla luce delle responsabilità, di cui certamente noi non abbiamo e non ci facciamo carico, che il Piemonte ha avuto nei modi e nei termini con i quali la questione meridionale si è presentata nel corso di questo secolo e a tutt'oggi ci si presenta. Sono stati i modi di una conquista militare sabauda dello Stato italiano che non hanno certo incoraggiato la volontà di emancipazione delle genti e dell'economia del Mezzogiorno dai nodi antichi e pesanti della arretratezza, ma sono equivalsi ad una colonizzazione del Mezzogiorno attraverso i carabinieri e gli agenti del fisco. La storia del Mezzogiorno reca i segni dei piemontesi soprattutto per le imprese degli emuli di Bava Beccaris, per i generali Pallavicini, per le repressioni che hanno colpito fenomeni che erano, sì, di banditismo (anche se alcuni avevano forti radicalizzazioni in tradizioni di natura politica) ma erano in primo luogo il prodotto di una condizione di enorme, antichissima arretratezza sociale. Abbiamo portato laggiù carabinieri e fisco; abbiamo portato laggi una mentalità non episodica, da colonizzatori, nella misura in cui quella classe dirigente economica che nel Piemonte ha trovato uno dei suoi momenti (positivamente anche per la realtà italiana) di espressione dei modi di affermazione della borghesia italiana, ha concepito il Sud come il grande serbatoio della mano d'opera, come la grande riserva per il ricatto permanente al mercato del lavoro, come il grande terreno per le alleanze reazionarie di tutti i tempi, di tutti i modi, con le vecchie forme di proprietà agraria e baronale. E abbiamo avuto, non certo con la prima avventura africana, in cui questi elementi erano ancora non di totale adesione dei gruppi più avanzati della borghesia, ma sicuramente con la seconda, quella libica, andata pure sotto l'egida di uno statista piemontese, Giovanni Giolitti, il momento di precisa scelta della borghesia italiana rispetto ai problemi del Sud, da non risolversi in termini di unificazione economica, sociale e culturale, ma da 'evitarsi distraendo il Paese verso scelte di colonialismo che peraltro sarebbero state sempre più scelte di colonialismo straccione, come poi la fase culminante sotto il fascismo ha ampiamente dimostrato.
Ecco, io credo che, accanto ai modi con i quali anche legittimamente noi ci lusinghiamo delle cose di non poco conto che uomini illustri del Piemonte hanno saputo fare e dare alla realtà dell'Italia unita, noi abbiamo il sacrosanto dovere di offrire alla gente del Mezzogiorno questa testimonianza di un debito che è morale ma che è soprattutto politico; e quindi la possibilità per essa di valutare che nel momento in cui noi compiamo questo ripensamento critico della storia del Mezzogiorno affermiamo anche che abbiamo acquistato una coscienza nuova e piena dei problemi del Mezzogiorno come problemi di tutto il Paese, non soltanto a livello della realtà dello sviluppo economico ma al livello più generale del riscatto umano, sociale e civile delle genti del Sud.
Avremmo dovuto avere modo e tempo per approfondire questo discorso, per offrire più largamente questa testimonianza, in sede storica, in sede di esame dei problemi economici e sociali. Siamo stati posti, invece, nella condizione, ripeto, quanto mai deplorevole, di arrivare buoni ultimi, come in altre faccende, in questo periodo recente della storia degli istituti regionali, anche su questo importante, primario problema della realtà del Mezzogiorno.
Nonostante questo, nonostante gli effettivi ed artatamente imposti intralci alla possibilità di una discussione e di un esame della Commissione del Consiglio intorno a questo problema, la Commissione che ha lavorato attorno ai due disegni di legge ha cercato, come sottolineava giustamente il collega e compagno Nesi, di penetrare con coscienza e senso nuovo i problemi reali del Mezzogiorno, così come si devono collocare in un'ottica che non continui a fare di quella parte del Paese un'appendice che attende assistenze sparse o che pure è ceduta a speculazioni politiche a pacchetti che vengono venduti per ragioni elettoralistiche, e di baronia politica. La Commissione ha cenato - e in questo si è trovato, come sottolineava già il collega Nesi, un largo momento di convergenza - di porsi, dal punto di vista del problema del Mezzogiorno come problema centrale della realtà italiana, come momento globale che coinvolge tutti i dati e gli aspetti delle scelte di sviluppo della società italiana, del suo meccanismo economico e produttivo. E lo ha fatto, fortunatamente, in una chiave e con una serietà che altri apporti esterni alla Commissione non hanno mostrato di possedere, facendo sì che se mai fossero rivissuti per un momento fra di noi uomini che hanno avuto una concezione illuministica del processo di emancipazione delle genti meridionali, come Deviti Demarco Guido D'Orso, Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, essi non avrebbero dovuto subire un collasso cardiocircolatorio leggendo pagine nelle quali si danno per scontati problemi di organicità, di omogeneità e di risoluzione dei problemi del Mezzogiorno che nessuno è seriamente in grado di sostenere e che neppure il relatore che ha presentato il disegno di legge del Governo, e neppure il Senatore di maggioranza, se non vado errato, che ha espresso i pareri sui due disegni di legge, si è sentito certamente inserire nei suoi documenti.
Abbiamo affrontato positivamente in Commissione questi aspetti; abbiamo individuato la centralità del problema del Mezzogiorno come problema generale del processo di sviluppo della realtà e delle prospettive economico-produttive del Paese. Abbiamo constatato come tutto questo avrebbe trovato ben diversa e più organica possibilità di collocazione, per il momento dell'oggi e per le prospettive del domani, se avessimo avuto a disposizione il quadro programmatorio nazionale. Ci siamo trovati ad avere come elemento di riferimento quel libro dei sogni che è stato la programmazione Pieraccini, libro dei sogni rispetto al quale, invece - è una battuta, ma non è, credo, del tutto infondata - va avanti il "libro dei Togni", in una realtà italiana in cui ci sono magari trecento uomini, che non sono giovani e forti ma che vogliono dimostrare, che non sono morti non soltanto per tutelare delle loro prerogative politiche ma per rappresentanza, al di fuori dei... fiumicini, ma nei letti dei torrenti interessi ben precisi di conservazione e di reazione che sono ancor oggi la grande ipoteca che pesa sulla realtà non solo del Mezzogiorno ma di tutto lo sviluppo economico italiano, per scelte di natura nuova. Noi abbiamo individuato - lo ha letto nella sua relazione, che io condivido, il collega Nesi - alcuni punti molto precisi per una inversione di cammino che possa collocare il problema del Mezzogiorno in una diversa prospettiva.
La fine della politica degli interventi speciali, grande elemento di frantumazione e di accelerazione di processi di corruzione già così vasti e profondi nel tessuto del Sud; la necessità di togliere all'intervento centralizzato e centralizzatore i suoi strumenti, che, me lo consenta il collega Zanone, sono stati non solo nelle settimane e nei mesi che corrono ma per tutto il tempo che ci sta alle spalle, l'elemento traente di quella immoralità che ha dilagato e dilaga nel Sud non certo a livello dei braccianti meridionali, non certo a livello delle stentate professioni liberali del Sud, ma a livello dei grandi interessi industriali, dei grandi interessi della speculazione edilizia, della grande conservazione agraria.
Abbiamo individuato, in ciò riaffermando anche un elemento prioritario delle esigenze nostre, il problema che sia dato alle Regioni del Sud un momento prioritario di potestà sulle scelte da farsi a livello settoriale regionale nel quadro delle loro realtà, proprio per ricondurre ad una forma di controllo democratico e di diretta e adeguata aderenza ai problemi del luogo, senza tuttavia cadere nel localismo e nel municipalismo, la possibilità di mutare profondamente il quadro delle attuali condizioni del Mezzogiorno stesso.
Per non dilungarmi troppo, credo che abbiamo davvero, in quel documento che il collega Nesi ha letto, prospettato le linee di un modo nuovo di affrontare il problema del Mezzogiorno, che ci danno legittimità di parlare di una visione nuova anche della funzione della Regione nostra, del modo nostro di comportarsi rispetto ai problemi antichi che il centralismo statale ed i vecchi modelli di sviluppo tuttora vigenti ci obbligano ad assumere.
Io ho - l'ho già dichiarato nella Commissione e desidero ripeterlo qui come un elemento di dichiarazione di voto - una perplessità molto forte che riguarda, nella relazione approvata dalla Commissione, soltanto il fatto che si dia ancora per scontata la possibilità del prosieguo della propria attività del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno e del Ministro per il Mezzogiorno. Ho sentito altri colleghi, che pure avevano riserve meno profonde delle mie, dire che anch'essi condividevano il punto di vista, che questa competenza è non soltanto inutile ma già si è dimostrata dannosa e può continuare ad essere gravemente dannosa. Vorrei quindi che i colleghi avessero un momento di ripensamento su questo aspetto e, per quanto mi concerne, devo esprimere subito una riserva, perché nel documento che abbiamo approvato è ribadito ancora il riconoscimento dell'esistenza di questo Ministero.
Non entro più a lungo nel merito del documento stesso. Ho voluto dire alcune cose di carattere generale perché mi pare che, pur arrivando proficuamente, con una posizione che ha trovato larghe convergenze, a portare di fronte al Consiglio un lavoro che immagino troverà qui le stesse convergenze che ha trovato nella Commissione, rimane il rammarico di essere stati costretti a condurre questo esame, questa discussione in tempi strozzati, in modi sommari, non avendo occasione né opportunità di sentire le realtà del Mezzogiorno che abbiamo così a ridosso della nostra vita quotidiana di piemontesi.
Mi auguro fatti del genere non abbiano a ripetersi, perché non ne va soltanto del nostro decoro di singoli uomini politici, di singole parti politiche: ne va del senso stesso delle funzioni alle quali dobbiamo assolvere non come Regione Piemonte, chiusa nei suoi confini geografici, ma come Regione Piemonte partecipe, possibilmente elemento trainante e dinamico, per nuove scelte che portino avanti l'economia nostra e insieme riscattino il Mezzogiorno.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Desidero aggiungere l'apprezzamento del Gruppo Comunista a quello del Presidente del Consiglio, Vittorelli, ed a quello testé espresso dal collega Giovana circa il fatto che il parere della Regione Piemonte arrivi fra gli ultimi pareri delle Regioni d'Italia su un argomento che avevamo unanimemente considerato fra i primi e che dobbiamo porre senz'altro al primo posto, dopo i risultati elettorali del 13 giugno, per cui non sappiamo nemmeno se arriveremo in tempo massimo, dato che la Commissione Finanze Tesoro del Senato ha concluso in questi giorni l'esame degli emendamenti gia ai due progetti di legge, per cui il nostro parere arriverà quando il dibattito sarà già nell'aula del Senato.
E' un fatto grave, questo, il più grave di tutti quelli che abbiamo già esaminato e di quelli che esamineremo ancora in questa tornata di sedute del Consiglio Regionale. Ma i Consiglieri sanno che così è stato non per responsabilità del Consiglio, o dell'intero Consiglio: essi sanno che se le cose sono andate così, e se si è potuto tuttavia, in qualche modo, superare l'impasse in cui era stato posto il Consiglio Regionale (il collega Giovana lo ha detto, e di ciò lo ringrazio) è stato per iniziativa del nostro Gruppo, ma anche per senso di responsabilità del Presidente della Commissione, collega Garabello, che ha permesso alla Commissione I di cominciare a funzionare ed ha obbligato ad un certo punto la Giunta ad esprimere comunque un parere.
Il problema dovrà poi tornare ancora in discussione, credo in altra sede. Abbiamo presentato una mozione che tende a definire una, volta per tutte il funzionamento delle Commissioni. Ma qui dobbiamo sottolinearlo.
Una Regione davvero sfortunata la nostra: può accadere che i decreti, per arrivare da Roma a Torino, impieghino quaranta giorni, ma se per caso da Torino qualcuno va a Roma, e ci va espressamente per prendere i decreti di legge su cui esprimere poi un parere come Assemblea regionale, allora non bastano nemmeno i quaranta giorni, nemmeno i due mesi. Non è colpa delle Poste. Qualcuno può pensare che sia colpa dei mezzi di trasporto: il Presidente della Giunta usa l'aeroplano, bisognerà forse consigliargli stante le ultime esperienze, di ricorrere all'automobile, purché sia della Lancia. In questo caso chissà che i documenti non arrivino a casa per tempo.
Tuttavia, alla compilazione del testo proposto siamo arrivati in quindici giorni. Se avessimo avuto a disposizione tutti i sessanta giorni avremmo potuto consultare i Sindacati, gli Enti locali, il Comune di Torino, persino i Ministri: avevamo anche pensato di convocare Giolitti Donat-Cattin, di convocare la Fiat, la Lancia, la Indesit (se si fosse proceduto con i tempi previsti e possibili questo avrebbe coinciso con la decisione che a suo tempo il Consiglio Regionale ha preso a proposito della questione Indesit). Non è stato possibile.
Un parere, comunque, oggi c'è, un documento è stato presentato, ed è certamente un fatto importante che la Regione Piemonte, insieme alla Lombardia, stia per giungere ad approvare un documento largamente unitario sulle modifiche alla legislazione sul Mezzogiorno. Perché in una certa misura ciò acquista un valore nuovo nella presente situazione politica. Non si tratta solo, cioè, di ribadire quello che abbiamo scritto sullo Statuto negli articoli 73, 74, 75, su tutto il capitolo della programmazione; si tratta di avvertire che non c'è spazio, oggi, per i tempi morti fra le dichiarazioni di principio e gli atti concreti che il nostro Paese, la nostra Regione devono compiere, se vogliono trarre gli insegnamenti del voto del 12 giugno, se vogliono affrontare finalmente le condizioni di crescente subordinazione e di inferiorità sempre più pesanti cui il Mezzogiorno è stato e viene tuttora condannato dal generale tipo di sviluppo in atto nella società italiana. Non possono più essere tollerate le ambiguità, le parziali ammissioni nei confronti della politica da condurre per il Mezzogiorno. C'è in gioco, dobbiamo averne coscienza, un problema politico prima ancora che economico, e un prezzo pesante che potrebbe essere pagato da tutta la democrazia italiana, che, lo abbiamo visto, non e stata mai vaccinata una volta per sempre dai pericoli reazionari. Profonde sono le radici della conservazione, della reazione dell'arretratezza delle mafie antiche e recenti su cui si sono innestate, e possono innestarsi domani ancora, le operazioni reazionarie, le svolte utilizzando la corruzione, il sottogoverno, il malcostume e le mafie moderne, che abbiamo visto protagoniste anche dell'ultima fase della lotta politica in Sicilia. Miseria e degradazione: ecco il terreno su cui si pu prospettare il fascismo. La destra avanza nell'ignoranza e nella confusione anche culturale e morale. Non prendere coscienza che occorre cambiare radicalmente la politica che è stata condotta nel Mezzogiorno ci renderebbe complici di tutte le avventure di destra, che si possono sventare solo con una politica di sviluppo democratico e di progresso sociale.
Molti colleghi sono stati, credo, in Sicilia, in occasione dell'ultima campagna elettorale. So che c'è stato Zanone, c'è stato Vittorelli, che in Calabria è stato recentemente anche Nesi. Ebbene, quelli che sono andati a parlare nei paesi e nelle città avranno potuto toccar con mano che cosa c'è dietro le parole che poi abbiamo scritto unanimemente in questo documento: la vita politica del nostro Paese, il linguaggio politico del nostro Paese è spesso arido, qualche volta sterile, sovente incomprensibile. Eppure dobbiamo almeno ricordare, quando facciamo questi dibattiti, che cosa vogliono dire le parole che scriviamo sui documenti. Nel documento c'è scritto: l'emigrazione verso l'Italia del Nord e verso l'estero è continuata. Sembra una dichiarazione, una constatazione, qualcosa che pu essere assimilato ad un qualunque fatto della vita politica italiana; ma dietro queste parole c'è stato e c'è un milione di immigrati solo dalla Sicilia negli ultimi vent'anni. E, quel che è più drammatico, ci sono, e continuano ad esserci, decine di migliaia di giovani, di lavoratori, di uomini che vogliono lavorare, che si apprestano ad immigrare ancora, a prendere il treno del sole, a varcare lo stretto anche senza ponte, per ripercorrere la strada che negli ultimi vent'anni milioni di uomini hanno fatto non solo con il "treno del sole" che attraversa l'Italia, ma con il "treno delle nebbie", che va in Germania e altrove Dietro le parole che abbiamo scritto nel documento c'è il fatto che il divario fra l'Italia del Nord e quella del Sud in termini di reddito procapite, non solo non è diminuito ma è aumentato. Ma non è soltanto una constatazione di politica economica: ci sono le cifre e poi la realtà spaventosa dietro queste cifre.
Chi è stato a Messina per la campagna elettorale, certo, parlava di politica, invitava a votare per qualcuno, ma lo faceva e andava a farlo se lo voleva fare e voleva capire le cose - anche fra i ventimila baraccati di Messina, che sono lì dall'epoca del terremoto, in una città ove ci sono 4000 alloggi sfitti, per i quali è però richiesto un canone di 50-60 mila lire al mese; e non sono passati venti ma settant'anni senza che sia stato affrontato il problema. La maggioranza di questa gente non vota per noi perché nella degradazione economica, nella degradazione anche umana in gente che vive in cinque e sei persone in una stanza, passano ogni sorta di illusioni, di razionalismi, passa anche quello che gli dice: "Se tu mi dai il voto, io, caso mai, potrò farti partecipare alla lotteria che ti permetterà di avere un alloggio fra una settimana o due".
E' scritto nel documento: "L'aumento degli investimenti nell'Italia meridionale è stato di gran lunga inferiore a quello nelle altre zone d'Italia". Sembra che tutto il problema consista nell'aumentare questi investimenti, nel preventivare meglio, nell'investire di più. Eppure non è soltanto questo: c'è soprattutto la necessità di invertire un meccanismo di compiere una svolta, e questo avremmo voluto vederlo scritto più esplicitamente nel documento. Senza questa svolta radicale non si risolverà il problema del Mezzogiorno: ed è solo una svolta politica che riuscirà a render possibile una svolta di carattere economico.
Io non riesco a togliermi dalla mente il ricordo di un bracciante che è venuto al comizio della campagna elettorale in un paesino di montagna della Sicilia, San Teodoro, dove i comunisti non sono numerosi: mi ha voluto mostrare la bolletta da pagare per il consumo d'acqua di un mese, che indicava l'ammontare di 8.260 lire, nell'altra mano aveva uin pezzo di carta su cui era scritto quanto aveva guadagnato quel mese. Aveva guadagnato 15.200 lire e doveva pagarne 8.260 per l'acqua da bere. Perch in Sicilia - dobbiamo ricordarcene, ogni tanto -, l'acqua da bere si eroga in molti comuni due volte al giorno, e tutti sanno - i geologi l'hanno studiato ed i politici lo sanno - che la Sicilia avrà la quantità d'acqua di cui dispone il Piemonte fra cinquant'anni se le cose non vengono affrontate in modo radicale. Quando parliamo di Mezzogiorno e scriviamo giudizi in termini di politica economica guai se dimenticassimo le realtà umane che ci sono dietro: altrimenti, davvero, sarebbe soltanto un documento privo d'effetti quello che licenziamo in questo Consiglio Regionale.
Noi parliamo, nel documento, della necessità di un profondo mutamento nella politica per il Mezzogiorno. Perché? Perché se questo mutamento non si realizza, ed anche in tempi brevi, se non c'è consapevolezza nazionale dell' esigenza di questo mutamento, davvero si ha la sensazione che non cambierà nulla. E qui bisogna allora avvertire l'utilità e la giustezza dell'osservazione del Consigliere Giovana, là dove auspicava che ci fosse nel documento ancor più nettamente esplicitata la necessità di farla finita con la politica della Cassa. Oggi questa consapevolezza è largamente diffusa, in qualche modo c'è persino nelle righe del progetto di legge del Governo. Ma non bisogna più scrivere le cose tra le righe, bisogna prendere coscienza che quella politica è fallita, e bisogna impostarne un'altra. E noi rivendichiamo oggi, come comunisti, il fatto che fin dall'inizio dicemmo di no alla politica della Cassa per il Mezzogiorno, non perché non eravamo rappresentati in seno alla Cassa ma perché avevamo avvertito allora, e pensiamo che il nostro Partito abbia dato un contributo anche teorico alla consapevolezza del problema meridionale, che non si poteva affrontare il problema del Mezzogiorno con interventi straordinari, di cui la Cassa finiva poi con l'essere lo strumento, ma bisognava concepire il problema meridionale come grande problema nazionale.
Tu hai ragione, Zanone, di dire che non c'è stata una integrale saldatura politica fra Nord e Sud. Ma qualche cosa nel profondo è cambiato dal 1946, quando tutte le Regioni del Sud votarono a stragrande maggioranza per la monarchia, al 1971, che pure segna un risveglio di un pericoloso rigurgito fascista: oggi in Sicilia si riscontra, certo, un aumento nel numero dei fascisti, ma a questo fa contrasto mezzo milione di comunisti.
Il Mezzogiorno in tutte le sue parti è cresciuto sul piano democratico, sul piano politico, anche perché uomini come Amendola, come Di Vittorio, come Grieco, come Laconi hanno dato un prezioso contributo culturale e di direzione politica per riscattare le plebi meridionali, per portare la coscienza di popolo, di classe, a svolgere la funzione nazionale che dovevano svolgere. Se la democrazia italiana può sperare che i pericoli di destra non si trasformino in qualcosa di più grave, ebbene, questa speranza è nel mezzo milione di comunisti della Sicilia, nei milioni di braccianti che hanno preso consapevolezza e che non assaltano più le sedi dei partiti democratici, ma le difendono difendendo così anche gli interessi di quelli che oggi stanno invece dalla parte di coloro che le assaltano.
Amendola scriveva due giorni fa sull'Unità un piccolo brano che voglio ricordare perché mi pare che qui si ritrovi il metodo di analisi gramsciana della società meridionale, senza la consapevolezza della quale non possiamo neanche noi svolgere a fondo, e non dico dopodomani, ma persino oggi pomeriggio la nostra funzione meridionalista e nazionale. La Cassa del Mezzogiorno che cosa ha prodotto? E' venuto formandosi un nuovo ceto medio composto non più soltanto delle vecchie professioni umanistiche e dai vecchi notabili educati alle più sottili mediazioni fra proprietari agrari e le popolazioni, ma da nuovi gruppi sociali, direttamente interessati protagonisti di una prepotente cuccagna, sfrenati nel saccheggio del pubblico denaro e nella violazione delle leggi, pronti ad usare senza scrupoli gli strumenti della violenza mafiosa e camorrista, responsabili delle frane del suolo e delle devastazioni del patrimonio artistico naturale, creatori degli impossibili mostri urbanistici, rapaci nell'accaparrare incentivi per un'industrializzazione di rapina a cui non corrispondono investimenti durevoli e tecnicamente seri; sono questi nuovi ceti medi rozzi e avidi di prebende e di potere, pacchiani nell'ostentazione di un lusso male acquisito, privi di ogni pudore, che oggi passano al M.S.I. e ricattano la D.C. per stimolarla a non muoversi in direzione delle riforme; è questa borghesia parassitaria ed incapace responsabile dell'arretratezza meridionale, che cerca di stimolare ed organizzare a proprio profitto la disperazione e la protesta delle plebi meridionali. Questo è stato il risultato della politica della Cassa. E allora, di fronte a questo risultato, bisogna dire no alla politica della Cassa, occorre una nuova politica nazionale. Questa consapevolezza emerge da tutto il documento e dovrebbe essere ancora, se possibile, più netta.
E' una questione di fondo per il nostro Consiglio Regionale che, se fosse stata acquisita anche dalla Giunta, non avremmo avuto nemmeno bisogno di mettere all'ordine del giorno, oggi pomeriggio, il problema della Lancia. Il fatto che è progredito in Italia in questi giorni (è progredito non c'è dubbio, bisogna prenderne coscienza) proprio quel partito antiregionalista, il più antiregionalista d'Italia, che è andato avanti nelle elezioni di Sicilia, non può essere privo di riflessione nella nostra assemblea, nel documento che abbiamo scritto, che crediamo sia un documento razionale e quindi antifascista, perché c'è della razionalità nel fatto che proprio l'MSI sia andato avanti nel momento in cui nascono le Regioni, a meno che ci sia bisogno di una revisione generale degli indirizzi delle Regioni Italiane, ma questo non è, credo, il parere di nessun Consiglio Regionale italiano. Allora dobbiamo avere coscienza che è proprio il modo come ha funzionato la Regione siciliana la causa di questo aumento del M.S.I.
Voglio ricordare solo un aspetto del problema, che ci interessa direttamente: dicevo in Sicilia, nei comizi (credo che dobbiamo ricordarlo anche qui), che in quell'isola, dal 1967 al 1971, sono cambiati sei governi in quattro anni, 362 giorni di crisi, colleghi carissimi. Siamo ad un anno di vita della Regione Piemonte e c'e qualcuno che pensa e sta per proporci già la seconda crisi, non abbiamo ancora molti poteri, ma quelli di cui disponiamo stiamo impiegandoli a dimostrare che non si può andare avanti.
Non sono ancora 362 i giorni di crisi, perché non sono ancora passati quattro anni, ma ci accingiamo forse a farli diventare 70/80 solo nel 1971.
Attenti colleghi, la Regione Piemonte conquista le cinque colonne dei giornali quando il Presidente della Giunta difende i clinici cui poi vengono tolti i passaporti, conquista le cinque colonne dei giornali quando parla con la voce dei padroni della Lancia, quando si dimette perché le cose non vanno bene, pare, a Trofarello, o in altre località del Piemonte.
La china è pericolosa, può essere mortale, non per il Centro-Sinistra che trascina il suo cadavere, ma per la Regione che è appena nata; non pu nascere la Regione mortificando la sua autonomia politica, avvilendo la sua vita in questo modo. Ieri abbiamo visto che siamo già alle necessità di difendere la dignità del Consiglio Regionale; è appena un anno che viviamo siamo già impegnati in qualche cosa che un anno fa, quando scrivevamo lo Statuto, sembrava essere consegnato davvero a una prospettiva che non volevamo nemmeno porci di fronte agli occhi.
Noi voteremo a favore di questo documento, anche se lo avremmo voluto più esplicito in certe parti, più netto nella richiesta di una svolta generale; ma non ci sfugge il valore politico generale di una presa di posizione unitaria, meridionalista, come quella che stiamo vivendo Quando il Consiglio vive nella sua interezza, anche negli ultimi giorni, quando riesce ad esprimere la sua potenzialità democratica, quando il confronto delle idee è reale ed è reso possibile dagli strumenti della vita del Consiglio, funziona bene. Questa nostra Regione sta sommando un massimo di cose positive ed un massimo di cose negative, sta verificando giorno per giorno delle cose estremamente contraddittorie; il documento sulla casa che abbiamo approvato, il modo civile di dibatterlo fra di noi, sembra però che tutto questo sia sempre condizionato all'assenza di un personaggio, sembra davvero che qui dentro si funzioni soltanto quando manca il Presidente della Giunta, è un fatto che ad un certo punto deve farci meditare. Se volete si può, e non è questa la sede, riepilogare tutta la vita di questo anno e verificare che il Consiglio Regionale ha espresso una grande potenzialità democratica fra maggioranza e minoranza, soltanto quando è stato possibile sviluppare un dialogo e un dibattito unitario. Anche su questo documento si è verificato.
Voglio solo più rispondere a una questione sollevata dal collega Zanone, che ha affrontato il problema dei disincentivi e con la consueta profondità ha toccato elementi di riflessione che devono impegnare tutto il Consiglio. C'è qualcosa da respingere, secondo me, in quel che dice Zanone perché se portassimo alle estreme conseguenze il suo ragionamento, il regime stesso dell'autorizzazione non dovremmo comprenderlo nel nostro documento. Ma c'è qualcosa su cui possiamo ragionare. In linea teorica non posso non sostenere che si può benissimo pensare a una politica di disincentivi e di incentivi, che sia diversa però profondamente da quella attuale. Nel nostro progetto di legge questa stessa idea non era stata del tutto scartata; nel primo progetto della Commissione veniva fatta l'osservazione, da parte del relatore, che il progetto di legge comunista non era molto preciso nel sistema di incentivi nuovi che avrebbe dovuto individuare; ma il problema di fondo non è questo, bensì stabilire se il regime delle autorizzazioni, studiato, perfezionato, possa costituire la novità di fondo per intervenire nel processo degli insediamenti industriali, condizionato attraverso un sistema di controlli democratici.
E' un problema nuovo, rilevantissimo, che viene posto nel nostro documento come in quello della Lombardia, come risposta politica al sistema concreto di disincentivi che viene, invece, proposto nel progetto di legge governativo. Si tratta quindi, di fronte a questi documenti che devono passare al Parlamento, intanto di dire di no al sistema che viene proposto perché effettivamente è punitivo verso le piccole e medie aziende e non condiziona un bel niente nell'insediamento delle grandi; affermare con molta nettezza la necessità di un regime di autorizzazione; individuare con chiarezza che il regime delle autorizzazioni ha da essere realizzato con una partecipazione nazionale, regionale e locale degli Enti politici che possono controllare; fissare ancora che le grandi aziende devono per forza essere condizionate a un giudizio della programmazione nazionale, cui partecipa la Regione e che per gli altri insediamenti (la proposta che avevo avanzato in Commissione e che adesso ritorna come emendamento del collega Bianchi e che risolve in fondo la faccenda dei piccoli e dei medi) ci sia un sistema di controllo che veda protagonisti la Regione e gli Enti locali. Ma devo dire, d'altra parte, che la questione è già ampiamente acquisita, sta facendosi strada abbastanza rapidamente fra gli Enti locali perché vi sono comuni dove la necessità di un controllo democratico è stata pienamente intesa; i comuni di Chivasso e di Orbassano hanno posto concretamente il problema di condizionare gli insediamenti al pagamento di tutta una serie di infrastrutture e quindi di controllare l'utilità generale dell'eventuale insediamento; stanno ponendosi la questione di contrattare questi problemi sulla base di un potere che prima non avevano.
Ricordate che per 10/15 anni la caratteristica fondamentale dei comuni del Piemonte e del Nord Italia era quella di regalare la terra a qualsiasi industria fosse venuta ad insediarvisi; guardate che questa tendenza non è ancora del tutto scomparsa, perché nella mia provincia, per esempio, è ancora presente tutta una serie di piccoli sindaci che pensano davvero che il problema del proprio comune possa essere risolto con l'arrivo incondizionato di qualsiasi insediamento industriale.
Siamo in una situazione di maturazione e di consapevolezza, non tocca a noi definire nei dettagli quale deve essere il progetto di legge e l'articolo che fissa questo, dobbiamo avere coscienza che il problema si può porre oggi in termini nuovi, per rispondenza oggettiva e per necessità generale e quindi indicare che il Parlamento legiferi in questa direzione.
Il collega Zanone parlava di parametri. Concettualmente non si pu respingere l'idea che si arrivi a determinare dei parametri, ma non è una cosa che possiamo risolvere nel documento, è una questione aperta al dibattito politico del nostro Consiglio, all'azione politica delle forze che in questo Consiglio dovranno misurarsi concretamente. Se oggi pomeriggio, quando discuteremo della Lancia, avessimo già dei parametri qualsiasi fra le mani, è chiaro che la risposta data dal Presidente della Giunta sarebbe stata diversa, perché un qualunque parametro preso a guida per orientare una politica meridionalista, non avrebbe permesso a nessuno di dire che la Regione Piemonte pagherà. Vorrei sapere con quali soldi forse il Presidente della Giunta ha tali e tante finanze personali da garantire in proprio evidentemente, ma vorrei sapere chi è che pagherà le infrastrutture necessarie per un insediamento come quello che ci viene proposto.
Voteremo quindi a favore di questo documento che è ancora aperto, per per le proposte che sono state avanzate da più parti, a ulteriori modificazioni; voteremo a favore, perché l'asse centrale che lo guida è democratico, meridionalista e interviene nella vita politica del momento con valore. Credo, spero e auspico che i giornali che hanno sempre dedicato tante colonne alla cronaca nera del Consiglio Regionale, domani vogliano invece... La "Stampa" non è presente, il redattore se n'è andato perch l'argomento in sé non l'interessava troppo, ma l'auspicio voglio farlo lo stesso: invece di inventare dichiarazioni che i Presidenti non fanno invece di cambiare le dichiarazioni di quelli che le fanno, invece di dedicare così poco spazio a quell'altra cronaca nera che il Presidente della Repubblica ieri non ha ricordato, ma che qui vorremmo ricordare, a quella che si svolge in guanti bianchi, di quei criminali nascosti che avvelenano l'atmosfera, di quei criminali nascosti che condannano milioni di italiani a scappare dall'Italia, di quei criminali nascosti (ma non tanto) che sono responsabili delle situazioni di cui ci occupiamo oggi provi a dedicare domani un po' di spazio per illustrare la posizione che la Regione Piemonte sta per assumere sulla questione del Mezzogiorno, svolgerà una funzione democratica e senza progresso democratico non si risconfigge l'offensiva reazionaria; non c'è progresso nel Mezzogiorno se non nel quadro di un progresso democratico generale del Paese e non c'è progresso democratico se non si saprà, dopo il 13 giugno, andare avanti con più decisione, con maggior coerenza, non invertendo la direzione di marcia sulla linea delle riforme, sulla linea della completa attuazione delle Regioni, partecipando quindi, come Regione Piemonte, a quel convegno dei Presidenti di Giunta deciso ieri (senza di noi naturalmente) e convocato per i prossimi giorni. Dovremo svolgere quest'azione fino in fondo coerentemente, senza tentennamenti, perché queste, tutte assieme, sono condizioni essenziali perché possano compiersi il riscatto e il progresso del Mezzogiorno e possa avviarsi così a soluzione il problema centrale della democrazia e del progresso del nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, colleghi del Consiglio, la Commissione I ha svolto il suo lavoro nei termini e con i riferimenti che sono stati portati da altri colleghi, in notevoli difficoltà in tempo in quanto la chiusura del dibattito in seno alla Commissione del Senato ci ha costretti a modificare i tempi che in una prima fase del nostro lavoro avevamo identificato come possibili. In tali tempi avremmo potuto, come qui già detto, attuare una serie di consultazioni significative che avrebbero dato maggiore significato al nostro documento e certamente, a prescindere dalle consultazioni, il documento stesso avrebbe potuto risentire di un maggiore approfondimento dei particolari, alcuni dei quali sono stati portati innanzi in questo dibattito e altri forse ne verranno; ma credo di poter interpretare qui, ed è per questo anche che ho parlato, il pensiero dell'intera I Commissione, dichiarandone la disponibilità per un eventuale ulteriore approfondimento di alcune proposte, tale da togliere il più possibile i dubbi e, se è possibile, tale da aumentare il numero dei consensi che già sono emersi in quest'aula.
Nell'esaminare i due documenti che al Senato della Repubblica sono stati discussi e che sono in questo momento in aula, abbiamo preso in considerazione gli aspetti positivi del progetto governativo e le indicazioni positive che venivano dal progetto di iniziativa parlamentare del Gruppo Comunista. Ci è parso, nel complesso, di dare una linea caratteristica alla nostra relazione, che è quella di considerare il Mezzogiorno come il problema di fondo del nostro Paese e tentare quindi un'interpretazione ed una prospettiva che tenda a superare le forme parziali, straordinarie, le forme di terapia di una parte del corpo quando soltanto curando l'intero organismo è possibile guarire quella parte.
Il documento non è semplicemente legato a ciò che sta avvenendo in questi giorni al Senato, ma pone una prospettiva di rinnovamento della concezione di fondo del problema del Mezzogiorno, abbiamo quindi inquadrato la questione nella realtà nuova regionale che ci pare possa rappresentare specialmente se vista come un fattore collegiale, unitario nell'ambito delle Regioni del Sud, un nuovo modo di porsi delle genti e delle strutture democratiche del Sud nei confronti dell'intero Paese. Quindi nell'accettare, come abbiamo fatto, anche parzialmente delle proposte che venivano dal disegno di legge dell'opposizione, ad esempio quella della creazione della Commissione delle Regioni meridionali ed il suo inserimento nel CIPE, abbiamo voluto cogliere questo aspetto unitario, collegiale a superamento di tendenze che sarebbe inesatto chiamare regionaliste, ma che potrebbero essere, come sono state purtroppo in tanti anni nel Sud, dì carattere particolaristico, tali quindi da sfuggire a un disegno generale.
In questo disegno abbiamo lamentato la mancanza del piano generale di sviluppo del Paese, ritenendo che elemento fondamentale prospettivo dello sviluppo unitario del Paese, in particolare del Mezzogiorno, dovrà venire dal piano nazionale, naturalmente con l'inserimento di piani regionali singoli, proprio come esplicitazione del piano nazionale. Quindi avanzamento democratico che viene tramite la Regione; avanzamento unitario che viene attraverso una forma collegiale di intervento delle Regioni e in questo senso, certo, una riduzione di valenza politica per un aumento di valenza tecnica degli organi centrali che attualmente hanno operato e operano per il Sud. Naturalmente debbo dire che il progetto di legge comunista, che abbiamo esaminato, aveva una visione molto più radicale del problema (in questo momento Sanlorenzo ne ha dato testimonianza) praticamente in un certo articolo veniva prevista l'abolizione a scaletta di tutti gli organismi centrali attualmente in vigore per il Mezzogiorno mentre il progetto del Governo ne, prevede una parziale riduzione noi abbiamo ritenuto di inserirci non nella completa logica separata dei due provvedimenti, ma in una nuova visione anche di certi strumenti che sono a disposizione. Ad esempio il progetto comunista richiedeva tout court l'abolizione della Cassa del Mezzogiorno, la Commissione nel suo complesso ha ritenuto che il problema poteva anche essere posto in termini non così radicali, ma in termini di rispondenza a quei principi di filosofia generale che ho annunciato prima e quindi ha pensato che la Cassa debba avere uno sviluppo di natura più strettamente tecnico esecutivo, mentre alle forze politiche rappresentate nelle Regioni del Mezzogiorno occorre parallelamente un avanzamento del potere politico effettivo, tecnico effettivo di questi strumenti.
Mi pare quindi che nel complesso si sia tenuto conto di un'elaborazione fatta dal Governo che per molti versi è positiva, si è ritenuto di spingere un po' di più qualche tentativo un po' troppo timido nella proposta di Governo per andare avanti secondo la linea che abbiamo detto e naturalmente abbiamo sentito il parere e abbiamo utilizzato i punti di vista di tutti.
In particolare dagli amici liberali sono stati portati dei rilievi (e devo dire che è proprio per questo che già altri hanno dichiarato la loro disponibilità per una puntualizzazione del documento) su argomenti nuovi i quali, nel progetto di legge governativo, sono posti in termini tali che parzialmente non abbiamo ritenuto soddisfacenti e che per altro verso avrebbero bisogno di un maggiore chiarimento e di un più approfondito esame.
Disincentivi. Effettivamente la Commissione nel dire che li ritiene inutili per le grandi aziende, punitivi per le piccole e medie aziende, nel temere che tutto sommato anche se funzionassero come disincentivo non è certo che nello stesso tempo riconducano al passaggio verso il Mezzogiorno di aliquote o di grandi imprese che intendono invece sistemarsi nel Nord ha ritenuto che fossero da definire "inutili" più che altro come un meccanismo carente. Difatti il progetto di legge governativo, nel dare un paio di parametri che dovrebbero servire ad identificare le zone da disincentivare, pone delle proposte che a noi sono parse insufficientemente elaborate (lo diceva anche il parere della Giunta) perché potevano essere colpite delle zone del nostro stesso Piemonte che soffrono di crisi di settore, di crisi di riconversione; però per quelle caratteristiche poteva non essere escluso che cadessero in zone da decrementare, mentre noi riteniamo che accanto ad un ordinato sviluppo del Mezzogiorno, sia più che logico che ci sia un ordinato sviluppo, una giusta ristrutturazione di zone depresse sufficientemente radicali da non ritenerle momentanee.
Per questo motivo abbiamo affermato che questo progetto governativo che pure contiene norme e proposte che hanno una loro validità di partenza ci pare sia entrato in una maniera non certamente organica, non certamente con un quadro di approfondimento. E' evidente che sforzi di questo genere possono essere più facilmente collegati a un discorso di programma nazionale che non a un discorso di carattere, almeno in parte congiunturale, come quello previsto per il Mezzogiorno. Pertanto richiediamo qua che l'intero argomento, pur non formando le proposte che ci paiono positive, debba essere integralmente e globalmente ristudiato in modo tale da dare maggiori garanzie.
Una consultazione fatta con l'Ires ha messo in evidenza che non si pu dividere, come si è stati abituati finora, l'Italia semplicemente in due parti: estrema depressione ed estrema industrializzazione. Vi è tutta una sfumatura fra questi due termini che a saperla cogliere probabilmente darà gli elementi per uno sviluppo più organico dell'intero Paese. Veniva riportato dal direttore dell'Ires come proprio il non aver saputo cogliere nei momenti opportuni, in alcune regioni del paese certe potenzialità positive esistenti in quel momento, che con un incentivo economico avrebbero potuto rivelarsi appieno, specialmente nell'Italia centrale, ha portato invece al loro decadimento e alla perdita di certe potenzialità, ad esempio quelle di ordine sociologico, culturale esistenti invece in queste regioni. Pertanto i provvedimenti sono piuttosto grezzi nella loro proposta, accettiamoli per quello che possono indicare di innovativo, per impegniamoci noi anche e soprattutto come forza politica a stimolare, nei confronti dei poteri centrali, Governo e Parlamento, una precisazione, un approfondimento, un chiarimento di questi temi, perché non dovremmo anche qui commettere l'errore che concentrando tutto il nostro interesse giustamente, sul problema del Mezzogiorno, dimentichiamo altri aspetti che pure sono fondamentali, nella vita dell'intero Paese.
Sulle autorizzazioni, per la verità devo dire che il parere della Commissione essendo estremamente scarno da un punto di vista materiale dedicandovi troppe poche righe, ha forse dato un'impressione non completa di quella che è stata la migliore articolazione che nel dibattito si è avuta. Ed è per questo che siamo disponibili per approfondire ulteriormente la questione; il collega Zanone con la sua abilità oratoria ha dato un tono un po' scherzoso all'argomento, però della sostanza dello stesso ce ne facciamo tutti quanti carico essendo certo che non all'arbitrio dobbiamo abbandonare l'autorizzazione e l'economia del Paese, bensì ad una visione organica, ordinata di cui i piani di programmazione siano l'elemento portante e rassicurante per tutti.
Pertanto, se vogliamo possiamo approfondire questi aspetti e ritengo che il documento possa avere una migliore completezza che porti ad un giudizio positivo da parte dell'intero Consiglio Regionale. Io, come Presidente della Commissione, anche se come tale non si ha voce in Consiglio, voglio ringraziare con particolare cortesia e riconoscimento tutti i colleghi della Commissione perché è stato veramente questione di ore di lavoro e non di giornate e con la possibilità di articolare in un certo modo, dopo di averlo previsto del resto, il nostro lavoro. Ringrazio in particolare il collega Nesi che ha saputo rendere bene nel documento ci che è stato discusso, convinto come sono che egli, con uguale disponibilità, si metterà a disposizione del Consiglio per le correzioni che possono migliorare il documento.
Che il problema sia grave - e concludo -, lo ha dichiarato senza mezzi termini, la stessa relazione del Governo al disegno di legge. Infatti accade molto spesso (ce ne siamo accorti anche in altre Commissioni) che sia più facile fare delle dichiarazioni generali nelle parti non dispositive e non sempre sia obiettivamente facile trasformare queste dichiarazioni generali in parte dispositiva e in articoli di legge. Ma quando il Governo, nel portare ristrutturazione dell'azione pubblica nel Mezzogiorno in chiave regionalistica, che l'articolazione politica dello Stato intende svolgere, in attuazione di un preciso interesse nazionale una profonda riforma di struttura del sistema economico, per eliminare le gravi condizioni di insufficiente sviluppo economico e sociale, conseguenza diretta del secolare abbandono dei pubblici poteri nel nostro Mezzogiorno mi pare che anche il Governo si ponga in una visione estremamente realistica del problema.
Non riteniamo, onestamente, come visione generale data in Commissione di avere superato questi limiti, ma di aver cercato di farcene carico per portare avanti delle proposte che abbiano significato concreto, In questo senso quindi, per parte mia, dichiarando a titolo personale disponibilità per un ulteriore chiarimento e approfondimento di punti che qualche collega vorrà evidenziare, penso che nel complesso il lavoro svolto abbia una sua validità e che il documento come tale si raccomandi ad una considerazione positiva da parte del Consiglio Regionale.



PRESIDENTE

Non vi sono altri iscritti a parlare? Ha facoltà di prendere la parola il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Brevemente per esprimere l'apprezzamento del mio Gruppo per il lavoro che la Commissione ha svolto in termini così ristretti nel tempo e per la traduzione di questi pareri che il relatore ha fatto con questo pregevole chiaro e semplice documento.
Noi riaffermiamo qui il nostro fermo impegno, il nostro interesse politico e morale a che con nuova, aggiornata visione, si adottino le linee di una politica atta al riscatto del Meridione, senza del quale non si ha riscatto dell'intero Paese, nella consapevolezza che non si potrà avere sviluppo economico senza riscatto civile e non si ha nello stesso tempo riscatto civile senza un parallelo sviluppo economico in quelle Regioni.
Noi sentiamo vivamente le responsabilità anche come classe dirigente per certi ritardi, così come reclamiamo la parte che abbiamo avuto nel far passare il nostro Paese dalla fase nella quale si affrontavano sempre e soltanto con pregevolissime opere di studio questi problemi, alla fase nella quale, pur con errori, manchevolezze e ritorni sono affrontati in concreto i problemi di questa parte della Nazione. Noi sappiamo di avere delle responsabilità come forze politiche in certe parti del Meridione, si è fatto qui riferimento alla Sicilia, ma crediamo che neanche le altre parti politiche siano immuni da responsabilità. Ciascuno mediti serenamente sulle proprie, a partire dai tempi di Milazzo per venire ad oggi. Nessuno ritenga e pensi che vi siano delle persone, dei ceti, delle classi e dei gruppi politici che per definizione possano essere immuni da errori o anche da condizionamenti o da situazioni di involuzione. Guai se potessimo dare delle impostazioni manichee di questo genere, imboccheremmo una strada sbagliata in ordine all'impegno di tutte le energie che occorrono per questo riscatto.
La nostra volontà di collaborazione, il nostro impegno, col voto all'approvazione di questo documento, non ci esime (ed è stato già anticipato) da qualche modestissimo suggerimento che non vorremmo neanche concretare in precise proposte di emendamento, lasciando evidentemente alla competenza della Commissione di suggerire a chi ha già dedicato il proprio tempo ad approfondire questi argomenti. Ma mi sembra che in ordine al 5 punto, mentre è opportuno sia affermato un principio qualificante e politicamente innovatore, cioè quello che si adotti l'istituto dell'autorizzazione in modo ampio ed organico, bisogna far subito attenzione a che questo concetto politico non scada in una visione più restrittiva e di tipo burocratico che rischia di dare l'impressione che si imboccano delle strade non da tutti condivise o ritenute efficaci.
A queste già pensavo, ed era stato messo prima tra parentesi, ma le argomentazioni così brillanti e vivaci di Zanone hanno aggiunto sostanza a queste valutazioni, suggerirebbero nel 5° punto di cancellare quella dichiarazione generalizzata per ogni insediamento, completando il periodo con "introdurre un efficace controllo delle localizzazioni nell'intero Paese mediante l'istituto dell'autorizzazione opportunamente inquadrata in un sistema di garanzia e di controllo".
E poi vorrei, nel secondo comma, la soppressione dell'aggettivo "piccole" rispetto alle imprese perché sappiamo qual è la realtà: quali sono le piccole imprese che vorrebbero essere messe nelle condizioni di chiedere un'autorizzazione? Sono quelle artigiane che passano dal piccolo laboratorio all'officinetta che integra e realizza una piccola impresa. La moltiplicazione di queste pratiche di tipo burocratico, le difficoltà psicologiche di chi passa insensibilmente dalla sfera artigiana alla sfera dell'impresa sono tali che uno strumento di questo genere, senza aggiungere nulla all'efficacia dello strumento dell'autorizzazione, bene applicato a livello nazionale per le grandi imprese, opportunamente applicato dettando dei criteri obiettivi, dei parametri, dei sistemi di controllo a livello regionale, può invece essere lasciato a tutti gli altri strumenti indiretti, dalla politica finanziaria, da quella che può svolgere l'Ente finanziario regionale, alla politica urbanistica, a tutti gli altri strumenti che in modo meno burocratico, meno dirigistico e magari più efficace possono egualmente completare il quadro.



PRESIDENTE

Non vi sono altri iscritti a parlare.
Dovrebbero adesso avere facoltà di prendere la parola il relatore per la replica e il rappresentante della Giunta. Se ho bene inteso, la richiesta del Presidente della I Commissione è quella di consentire alla Commissione di prendere in esame il testo per poterlo proporre nuovamente al Consiglio in forma tale da accogliere eventualmente i più larghi consensi.
Vorrei sapere dal relatore e dal rappresentante della Giunta se ritengano di poter più utilmente parlare prima della riunione della Commissione o dopo.



NESI Nerio

Personalmente preferirei parlare prima.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare, per la replica, il relatore.



NESI Nerio, relatore

Signor Presidente, ringrazio innanzi tutto i rappresentanti dei vari Gruppi che hanno dato la loro adesione al documento che ho avuto l'onore di presentare a nome della I Commissione. Vorrei dire brevemente alcune cose in risposta alle osservazioni che sono state fatte.
Al collega Zanone, che ha svolto un intervento interessante, vorrei dire che bisogna distinguere. Mi pare che tutta la discussione si sia incentrata su alcuni punti fondamentali. Innanzi tutto sul regime dei disincentivi e sul regime delle autorizzazioni. Devo però fare una premessa di carattere generale: non credo ai piani indicativi, io penso che anche sulla base dell'esperienza di tanti anni di politica così detta di piano ormai nel nostro, come negli altri Paesi, gli unici piani degni di questo nome sono quelli in forza dei quali l'autorità pubblica cioè il Parlamento può dare degli ordini; altrimenti si può parlare di qualcos'altro, ma certamente non di politica di piano.
Devo dire al collega Zanone che l'unica cosa nel suo ragionamento che non mi è piaciuta sul piano generale (vorrei dire che non è degna della sua intelligenza) è il riferimento al fascismo. Qui veramente dovrei dare un giudizio molto duro su un ragionamento che mette lo Stato in paragone al fascismo; sarebbe come dire che chiunque auspica che i treni vadano in orario fa riferimento al fascismo. A parte che l'obbligo dell'autorizzazione non è nuovo nel nostro Paese e in Europa per insediamenti industriali di un certo tipo vige già in un Paese come la Francia ed è stato introdotto dai laburisti in Inghilterra da alcuni anni.
Io ricordo che dovendo occuparmi di una fabbrica di semiconduttori, dovendo discuterne col rappresentante del Governo francese, questi mi disse: "Se volete fare la fabbrica dei semiconduttori, la fate in quella zona del Paese e soltanto lì, se no non la fate" e questo quando c'era ancora il Presidente De Gaulle. Non si possono fare riferimenti di questo genere. Se dovessi farli dovrei pensare a cose molto diverse, come ai vantaggi che sono venuti alle classi ricche italiane nel 1922 e nel 1923 Allora bisognerebbe dire (mi spiace doverlo ricordare) che la prima legge, anzi il primo decreto legge che ha fatto il fascismo è stato quello relativo all'abolizione della nominatività obbligatoria di titoli azionari, cosa che non era certamente richiesta dalle classi popolari italiane.
Detto questo, devo dire che non sono pregiudizialmente sfavorevole a ritoccare, purché non incida sul concetto generale, il punto 5 a pag. 7 del documento della I Commissione, là dove si parla delle autorizzazioni togliendo le parole "per ogni insediamento" che, come diceva il collega Zanone, potrebbe far pensare anche ai barbieri; però vorrei dire al collega che quando si parla di imprese industriali anche piccole, si escludono sempre le aziende artigiane che hanno tutte una loro collocazione anche sul piano giuridico, come egli sa, e che hanno tutte una loro logica anche sul piano del credito; quindi non c'è nel nostro Paese alcun pericolo che ci possa essere l'autorizzazione per il barbiere o per altre attività di questo genere. Vi sono in Italia già adesso delle forme di autorizzazione di carattere comunale, provinciale, amministrativo, contro le quali nessuno ha niente da dire: sappiamo tutti che per aprire certi negozi bisogna rispettare le distanze da altri negozi, nessuno ha mai sentito in questo però nessun richiamo al fascismo; per avere una licenza di tabaccaio si deve avere l'autorizzazione perché è logico che in una città non ci devono essere tanti tabaccai o tanti macellai. E' per questo che dico: non mettiamo le cose su un piano drammatico quando esiste già in campo amministrativo un regime di autorizzazione contro il quale nessun liberale ha mai sentito il bisogno di ribellarsi perché non incide sulla libertà dei tabaccai o di altri. Noi diciamo che è logico che in ogni Regione non ci debba essere un conglomerato industriale più forte di quello che già c'è semmai c'è una differenza molto più forte a favore della nostra tesi. Per questo non allarmiamoci inutilmente...



FURIA Giovanni

Il fatto è che oggi le autorizzazioni valgono per i piccoli, non per gli altri.



NESI Nerio

E' questo il problema fondamentale, valgono soltanto per quelli e non per i grandi imprenditori.
Io non ho molte altre cose da dire anche perché tutta la problematica si è incentrata su questi argomenti. Voglio ricordare soltanto che proprio ieri è successo un fatto significativo: noi avevamo inserito nella nostra relazione l'istituto della Commissione formata dai Presidenti delle Giunte Regionali dell'Italia meridionale; si era discusso molto se la Commissione doveva essere composta dai Presidenti delle Giunte Regionali di tutta Italia o dell'Italia meridionale (sostenendo il Consigliere Garabello, ed è stato fatto in questo modo nel nostro progetto, che la Commissione doveva essere composta dai Presidenti delle Giunte di tutta Italia e non solo delle Giunte meridionali). Orbene, ho letto che i giornali di oggi dicono che al Senato nel primo articolo è stato votato un emendamento proposto dal Gruppo Socialista che pone proprio l'esistenza di questa Commissione, il che vuol dire che la nostra relazione si basava anche su delle problematiche di carattere nazionale che non potevano sfuggire.
Un'ultima cosa vorrei ricordare molto brevemente (perché implicherebbe un discorso molto grosso) al collega Zanone quando egli mi chiede giustamente, che cosa vuol dire "nuovi meccanismi di sviluppo". Certo, la relazione si basa su questo concetto fondamentale e mi pare che l'abbiamo chiarito abbastanza bene nella stesura, (non mi sembrava di essere stato oscuro. Tutta la relazione si muove su questa filosofia), che lo Stato, in termini quantitativi, non si può dire abbia fatto poco in questi ultimi dieci anni per il Mezzogiorno. Se poi facessimo la somma degli stanziamenti fatti, la somma delle risorse di carattere finanziario erogate dai vari multiformi e variegati organismi che operano nel Sud, vedremmo che si tratta di cifre imponenti; ma abbiamo anche la consapevolezza che questo tipo di politica sia stato sbagliato. Perché? Lo diciamo nella relazione: perché questo tipo di politica si basava sui pacchetti, si basava sugli interventi di carattere straordinario e su decisioni di carattere verticistico. Aveva queste caratteristiche: si fa il pacchetto per la Calabria, il pacchetto per la Campania, il pacchetto per la Puglia, si fa naturalmente periodicamente a ridosso o sulla sollecitazioni di avvenimenti drammatici che riguardano la Calabria, la Campania e la Puglia, si fa sulla base di decisioni prese centralmente a Roma; anche gli istituti finanziari di carattere meridionale, l'Isveimer, per esempio, non hanno alcun potere decisionale, tutto viene deciso da un Ministro o da un Ente con sede centralizzata. Secondo noi e secondo la maggioranza della Commissione è stata una politica sbagliata e che fosse una politica sbagliata lo dimostrano i risultati. Alcuni colleghi hanno già ricordato qual è la situazione attuale dell'Italia meridionale. Io non voglio dare nessun dato sarebbe troppo facile farlo, ne darò uno solo: l'unico settore economico dell'Italia meridionale che sia aumentato in questi anni è quello terziario. Che cos'è il settore terziario? Non è altro che il settore dei sottoccupati che non hanno trovato ancora posto negli stabilimenti industriali, che sono stati cacciati dal settore agricolo e che fanno i commercianti al minuto. Il settore terziario ha avuto un aumento nell'Italia meridionale di circa il triplo di quello che hanno avuto nello stesso periodo di tempo nell'Italia settentrionale e nell'Italia centrale il che è la dimostrazione in ogni Paese del fallimento di qualsiasi politica economica perché sappiamo bene, e non c'è bisogno dei parametri ministeriali per insegnarcelo, che in un Paese non ci può essere un settore terziario in grande sviluppo se prima non c'è stato un analogo e molto più forte sviluppo del settore primario e secondario.
Soltanto questo dato volevo dare al Consiglio Regionale per non annoiarlo, per dare pero la sensazione che la Commissione ha lavorato con una certa serietà, serietà che debbo dire ci è stato difficile avere. Se mi consentite questa parentesi debbo dire che avrei voluto che la Regione Piemonte desse maggior spazio a questo discorso che andiamo facendo proprio per i debiti (ha ragione Giovana) che abbiamo verso l'Italia meridionale, per quello che l'Italia meridionale rappresenta oggi, non ieri o domani, adesso, nell'economia del nostro Piemonte. Ci è stata impedita qualsiasi consultazione, avremmo voluto consultare quella gente che poi (ha ragione Giovana) era vicinissimo a noi, avremmo voluto chiedere ai meridionali che sono in tutta la cintura di Torino, ai 550.000 meridionali che sono qua ed ai loro rappresentanti che cosa pensano dello sviluppo dei loro paesi di origine. Se non è stato possibile, non è stata colpa né del relatore né del Presidente della Commissione, anzi, debbo dare atto, con molto piacere, al collega Garabello, di aver fatto tutto quello che era in suo dovere e forse ancora di più per dar modo alla Commissione di esprimere il suo parere. Però credo anch'io che questo metodo non possa continuare a lungo.
C'è un ultimo punto sul quale vorrei intervenire, ed è forse il più delicato, relativo alla pesante battuta che il collega Zanone ha fatto (e sulla quale non intendo, proprio per quello che rappresento qui, tacere) sulla mia frase "la contrattazione come metodo di governo". Ha detto il Consigliere Zanone, con una frase che avrei preferito non sentire in questo Consiglio Regionale "che la contrattazione può anche essere quella del 5 per cento". Ciascuno può pensare ciò che vuole, io credo però che tutti noi, tutti i Partiti, tutti i Gruppi abbiano delle responsabilità di fronte al Paese, responsabilità che portiamo sulle nostre spalle, che ci inducono ad avere un'alta coscienza della moralità pubblica.
Zanone ha detto che la moralità pubblica attuale sconsiglia di dare maggiori poteri agli organi dello Stato, sarebbe come dire che da questo momento nessuno pagherà più le tasse perché c'è pericolo che il Ministro o i direttori degli uffici delle imposte siano corrotti. Se i colleghi liberali intendono portare avanti la problematica della corruzione del potere pubblico, poteri pubblici che noi socialisti riteniamo debba essere continuamente esteso (perché questa è la nostra posizione e la portiamo a testa alta) ci sono i Tribunali dello Stato, non i Consigli Regionali.



ZANONE Valerio

Più potere, ma più controllo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare, a nome della Giunta, l'Assessore Gandolfi.



GANDOLFI Aldo, Assessore ai trasporti e comunicazioni

Nel chiudere questo dibattito, a nome della Giunta devo ricordare proprio per gli stimoli, le argomentazioni, la profondità di alcuni interventi, qual è stata la storia, la logica in cui si è collocata la politica meridionalista nel nostro Paese dal dopoguerra ad oggi, perch alcune argomentazioni che sono state portate, specie sulla Cassa del Mezzogiorno, veramente mi sembrano troppo epidermiche.
Quella meridionale è la questione che dalla fine del secolo scorso si è portata avanti con contributi di estremo interesse da parte di tutte le scuole politiche italiane, si è in effetti cominciato ad affrontarla concretamente solo nel dopoguerra a partire dal '47/48. Direi che un merito che va ascritto ai Governi centristi è quello di avere concepita l'idea di interventi straordinari per il Mezzogiorno. Il modo con cui questi interventi sono stati gestiti e come ha funzionato la Cassa del Mezzogiorno è un altro discorso, che investe semmai il costume politico e di politica amministrativa, che è stato tipico in questi decenni nel nostro Paese. Ma l'idea di interventi straordinari nel Mezzogiorno a che cosa si legava? Fondamentalmente a due tipi di ragioni che poi era una sola: la ragione prima era che si rendeva estremamente necessario un intervento in campo agricolo nel Mezzogiorno, di qui il discorso della riforma agraria, degli Enti di sviluppo e dei raccordi tra questi, con gli interventi che la Cassa del Mezzogiorno ha fatto; la seconda che per lo sviluppo del Mezzogiorno erano necessari interventi di carattere infrastrutturale che mettessero in condizione tutta la società del Mezzogiorno di accogliere, di incentivare un minimo di decollo industriale. Di qui anche il discorso che sempre è stato fatto dalla Cassa del Mezzogiorno, degli incentivi finanziari e creditizi necessari a sviluppare una politica di questo genere.
I risultati conseguiti con questa politica, tutti lo hanno sottolineato, sono limitati, discutibili, l'elevamento del reddito pro capite del livello di occupazione industriale del Sud c'è stato, ma in misura ancora troppo ridotta. Il problema di fondo dell'avvio di una politica di industrializzazione del Sud che determinasse logiche di sviluppo autonomo di tutta la società meridionale, è un obiettivo che ancora non è stato raggiunto. E se questo è il problema che oggi la classe politica italiana deve risolvere, in questa prospettiva si colloca il discorso dei disincentivi, delle autorizzazioni agli insediamenti e più in generale della politica economica che nella misura in cui il nostro Paese opera e si sviluppa in un mercato internazionale aperto, evidentemente deve essere una politica tesa da un lato a creare condizioni di accumulazione del capitale che vadano a favore del Mezzogiorno d'Italia e dall'altro una politica di investimenti di carattere sociale che limiti il più possibile i consumi individuali su tutto il territorio nazionale.
Per il Sud questo significa che cosa? Qua è fallita in concreto la programmazione, ammesso di avere risolto il problema dell'accumulazione del capitale che invece è il grosso nodo sul quale si scontrano le condizioni del nostro Paese. Di qua nasce il discorso da un lato dei disincentivi dall'altro delle autorizzazioni dell'insediamento. E' stato detto in maniera molto precisa dalla Commissione e da alcuni degli oratori intervenuti che la politica dei disincentivi, così come è stata proposta nel testo governativo, non ha molto senso, rischia di essere controproducente, di ingabbiare troppo le piccole e le medie imprese e che ha senso solo se indirizzata alle aziende di grande dimensione. Ma direi di più, e anche questo mi sembra che la Commissione l'abbia colto e meditato profondamente: è necessario rivedere i paramenti per la politica dei disincentivi relativi alla definizione delle aree congestionate, perch quelli che sono stati proposti nel testo governativo rischiano, ad esempio in Piemonte, di colpire quelle zone che hanno un livello medio-alto di occupazione industriale ma che oggi sono colpite da fasi di ristrutturazione industriale che abbisogneranno fortemente di interventi aggiuntivi di insediamenti industriali nei prossimi anni.
Oggi discuteremo della questione della Lancia e questo discorso ritornerà per intero; non c'è dubbio che il Biellese e tutto l'Alto Novarese sono zone dove il discorso dei disincentivi, col tipo di parametri che vengono proposti, non può essere applicato; nell'Alto Novarese abbiamo sì, un alto livello di occupazione, ma è un'occupazione che in termini quantitativi si va riducendo; oggi il livello è di almeno diecimila unità al di sotto degli indici che erano dati dal piano regionale di programmazione. Evidentemente degli indici che puntino sul livello attuale di occupazione non sono accettabili come identificazione di aree congestionate per le quali devono valere i disincentivi proposti.
Sui disincentivi, come meccanismo, non starò a dilungarmi. E' ineccepibile ciò che è stato sostenuto, cioè che nel momento in cui si propone indiscriminatamente una certa tassa per addetto e per unità di investimento, non si riesce più a distinguere fra aziende ad alta intensità di capitale e a bassa intensità di capitale; si utilizza uno strumento indiscriminato che è veramente troppo grossolano e troppo grezzo per guidare una politica di questo genere.
Il discorso di autorizzazioni di insediamento invece, come si pone? La Giunta è in disaccordo con quanto il collega Zanone a nome del Gruppo Liberale indicava. Se c'è problema che dobbiamo riuscire a risolvere e un'interpretazione che mi sembra non possiamo rifiutare, è che il grosso guaio della politica di sviluppo economico industriale in questi decenni in Italia non è stato tanto di scelte produttive, di scelte di mercato, di indirizzi tecnologici, perché questi l'industria italiana li ha garantiti lo sviluppo industriale italiano è riuscito a dare quel tipo di indirizzi produttivi, di scelte di carattere tecnologico che il Paese aveva bisogno nel contesto dei mercati internazionali. Quello che ha caratterizzato lo sviluppo industriale, che oggi ci fa trovare di fronte a una situazione di congestione, di mancanza di equilibrio, di supercongestione di certe zone industriali al Nord e di depauperamento relativo di certe aree ancora del Nord e di buona parte delle aree del Sud sono errori di insediamento errori che se volessimo considerare una logica puramente industriale sarebbero già molto gravi, ma sono gravissimi nella logica generale dello sviluppo economico e sociale del Paese. Se vogliamo porre termine a una condizione di questo genere non possiamo sfuggire alla necessità di dotare i poteri pubblici di strumenti di indirizzo molto più vincolanti di quelle che possono essere norme puramente indicative contenute nei piani nazionali o regionali. L'autorizzazione di insediamento come strumento urbanistico per guidare gli investimenti verso le aree nelle quali il potere pubblico ritiene di dover indirizzare gli investimenti, è un risultato fondamentale al quale è urgente arrivare in breve tempo.
Un'ultima osservazione a nome della Giunta vorrei fare ricollegandomi a quanto dicevo io all'inizio di questo intervento sulla Cassa del Mezzogiorno. Vorrei chiedere, specialmente agli amici comunisti che qua come del resto con molta coerenza a tutti i livelli, vanno sostenendo la necessità dell'abolizione della Cassa del Mezzogiorno, se pensano realmente che una politica di risanamento delle condizioni del Sud oggi possa essere una politica che non ha bisogno di interventi ancora per molti decenni di carattere straordinario, aggiuntivi rispetto a quelli delle Regioni da parte del Governo nazionale; se si può pensare che un meccanismo che si affidi semplicemente alla programmazione delle singole Regioni sia un meccanismo che rispetti completamente le indicazioni dei piani nazionali, o se non dobbiamo porci altri tipi di problemi che complicheranno e renderanno ancora più necessari certi interventi di carattere straordinario da parte del Governo. Sono i problemi che si legheranno all'avvio di una politica di programmazione di carattere europeo. Quello dell'Italia meridionale deve diventare ed è necessario che diventi un problema di organizzazione di scelte economiche a livello europeo che non potranno non passare attraverso il Governo nazionale e gli interventi straordinari che il Governo deve riuscire a realizzare. Questi interventi, che sono necessariamente integrativi e di sovrapposizione a quelli delle Regioni, si svolgeranno certo nel rispetto delle competenze e dei poteri delle Regioni in stretto coordinamento con queste: si deve però arrivare a una formulazione che sottolinei l'importanza di interventi integrativi, si badi bene, di Governo, perché l'indicazione che mi sembra ci sia nel documento della Commissione al punto 4° parla di centri decisionali, controllo parlamentare, ecc.; non dobbiamo dimenticare che se questa deve essere un'azione di Governo il problema del rapporto tra Governo e Regioni e tra Parlamento e Governo va definito in una forma (e credo di poterlo sottolineare a nome della Giunta) un po' più precisa e concreta di quello che è stato fatto al punto 4°.
Partendo da queste considerazioni, visto che il Presidente della Commissione ha già, in linea di massima, accettato di riunire la Commissione per rivedere alcuni punti di questo schema di delibera, a nome della Giunta chiedo se il Presidente della Commissione e il relatore accettano di rivedere la formulazione dell'art. 4 per ricomprendere questo tipo di discorso in una forma che evidenzi l'esigenza di interventi straordinari, di interventi che siano fatti nel quadro della programmazione decisa dal Parlamento e con uno stretto coordinamento tra Governo e Regione, che sancisca il pieno rispetto delle competenze regionali nelle materie di competenza della Regione.



PRESIDENTE

Faccio rilevare che la discussione generale è chiusa, di norma dall'ultimo oratore che interviene, quindi relatore e rappresentante della Giunta non chiudono il dibattito ma parlano dopo la discussione generale.
Faccio questa osservazione per tenere distinte le varie competenze.
Abbiamo concluso la discussione con la replica e l'intervento del rappresentante della Giunta su questo testo. La Commissione ha chiesto di potersi riunire per adeguarlo alle risultanze della discussione e sottoporre all'approvazione del Consiglio un testo che possa riscontrare il più largo appoggio possibile. Non ho visto partecipare a questa discussione il Presidente della Giunta, che pure in rappresentanza della Regione aveva avuto un incontro con la V Commissione del Senato, dove oltre a fare le dichiarazioni che ha fatto conoscere alla Commissione, probabilmente ha anche ascoltato i pareri della V Commissione. Non so se il Consiglio ritenga di poter fare a meno di questo elemento di informazione prima di passare alle proprie deliberazioni.
Possiamo farne a meno? Va bene.
E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Vorrei soltanto pregare il Presidente di autorizzare la convocazione immediata della Commissione non appena finite le formalità in corso. Alla riunione si chiede la partecipazione della Giunta.


Argomento: Gruppi consiliari

Gruppi consiliari - Adesione


PRESIDENTE

Prima di chiudere la seduta comunico che il Consigliere Carlo Visone ai sensi dell'art. 9 del Regolamento provvisorio del Consiglio, ha dichiarato di intendere far parte del Gruppo della D.C.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni permanenti. Modifica nella composizione


PRESIDENTE

Comunico inoltre che il Presidente del Gruppo della D.C. mi informa che il Gruppo consiliare di quel Partito propone l'assegnazione del Consigliere Carlo Visone alle Commissioni IV e V. Dò atto di questa richiesta al Gruppo della D.C. e assegno il Consigliere Visone a far parte della IV e della V Commissione.


Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

Il Consiglio è riconvocato alle ore 16,30 per la continuazione dell'esame del medesimo o.d.g.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni permanenti. Convocazione


PRESIDENTE

Comunico, prima di chiudere la seduta, la richiesta pervenuta adesso dal Presidente della I Commissione di informare i membri della I Commissione che sono convocati immediatamente per poter presentare questo pomeriggio al Consiglio, alle ore 16,30, il testo definitivo della proposta di osservazioni.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,15)



< torna indietro