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Dettaglio seduta n.44 del 17/06/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Non essendo pervenuti, per un disguido, i verbali delle sedute precedenti, non mi è possibile sottoporli immediatamente all'approvazione del Consiglio. Mi riservo di farlo nel corso della seduta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Desidero fare alcune comunicazioni.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri Giletta, Paganelli e Calleri.
Il Presidente Calleri mi ha pregato di informare il Consiglio che non può assistere alla seduta odierna, nella quale risponderanno a nome della Giunta gli Assessori competenti, poiché deve partecipare a Roma ad una serie di riunioni in preparazione della Direzione della Democrazia Cristiana.


Argomento: Gruppi consiliari

Gruppi consiliari. Variazioni


PRESIDENTE

Il Gruppo Socialdemocratico comunica che a rappresentare il Gruppo come Capogruppo è stato nominato il Consigliere Vera.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni permanenti. Variazioni


PRESIDENTE

Il Gruppo della Democrazia Cristiana informa che, con il consenso dei Consiglieri interessati, il Gruppo della D.C. ha designato il Consigliere Stanislao Menozzi a sostituire il Consigliere Giovanni Borello nella Commissione VI, Agricoltura e Industria. Il Consigliere Borello sostituisce il Consigliere Menozzi nella Commissione IV. I due indicati Consiglieri resterebbero pertanto assegnati alle seguenti Commissioni: Menozzi Stanislao, Commissioni VI e III, Borello, Commissioni IV e V. Di questa comunicazione, nella mia veste di Presidente del Consiglio, do atto e dispongo affinché vengano fatti i necessari mutamenti.
Il Gruppo Comunista comunica che il Consigliere Giovanni Furia è impossibilitato per motivi di lavoro a svolgere il proprio mandato nella Commissione speciale per gli insediamenti Fiat a Crescentino e prega di sostituirlo con il Consigliere del Gruppo Comunista Pietro Besate. Di questa richiesta viene dato atto al Gruppo Comunista e dispongo affinché si proceda alla variazione.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Disegni di legge e documenti. Annuncio e assegnazione alle Commissioni


PRESIDENTE

Comunico di aver assegnato alla III Commissione, per l'esame in sede referente sul progetto di parere, il decreto delegato sull'istruzione artigiana e professionale. Tale assegnazione è avvenuta in data 8 giugno.
Comunico di aver ricevuto comunicazione dal Presidente della Giunta Regionale che la Giunta medesima ha approvato un disegno di legge regionale riguardante il tema: 'Ordinamento degli uffici della Regione, qualifiche e contingenti numerici provvisori del personale per il primo funzionamento'.
Il disegno di legge, che sarà trasmesso alla Presidenza del Consiglio unitamente alla relazione, per la distribuzione ai Consiglieri, è in corso di allestimento. Lo stesso disegno di legge è già pronto: manca soltanto materialmente la relazione affinché io possa assegnare il disegno di legge corredato di relazione, alla competente Commissione.
La Giunta chiede la procedura d'urgenza per l'esame in sede referente da parte della Commissione competente di questo disegno di legge. Vi sono obiezioni alla procedura d'urgenza, che decorrerà evidentemente dal giorno dell'assegnazione alla Commissione? Se non vi sono obiezioni, si pu intendere approvata la procedura d'urgenza, ciò che obbligherà la Commissione competente, quando il disegno di legge le sarà comunicato (e si tratta della Commissione VIII) a presentare la propria relazione al Consiglio su questo disegno di legge entro quindici giorni dalla data del ricevimento dello stesso.
Il Presidente Calleri ha altresì assicurato la trasmissione dei disegni di legge sull'intervento dello Stato nel Mezzogiorno con il parere che il Presidente della Giunta Regionale ha espresso alla Commissione competente del Senato. Anche per questa trasmissione mi è stato assicurato che è in corso di copia il testo della dichiarazione fatta dal Presidente della Regione; ciò che mi consentirà, nel corso delle prossime ore o dei prossimi giorni, di assegnare, per la elaborazione di un parere, alla Commissione competente, questo disegno di legge, che tuttavia è già all'esame della Commissione competente del Senato. La Commissione dovrà quindi approntare questo progetto di parere con una certa celerità affinché esso giunga prima che la legge stessa abbia compiuto il suo iter davanti al Senato.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale (seguito)


PRESIDENTE

Comunico che, in seguito ad una serie di riunioni fatte con i Presidenti delle otto Commissioni, si è rilevata l'urgenza di preparare la creazione di una biblioteca centrale del Consiglio Regionale. A questo fine, il Regolamento prevede la creazione di una Commissione per la biblioteca. La formazione di questa Commissione verrà pertanto posta all'ordine del giorno della prossima seduta.
Altra comunicazione: la 'Gazzetta Ufficiale' del 14 giugno, cioè di tre giorni fa, ha pubblicato, insieme con gli altri Statuti, lo Statuto della Regione Piemonte. Entro quindici giorni da tale pubblicazione, cioè da fine mese, il nostro Statuto entra quindi in vigore come legge della Repubblica.
Da tale entrata in vigore, conseguono anzitutto la estensione alla Regione Piemonte della competenza legislativa, in secondo luogo una serie di adempimenti, fra i quali vi è anche la decisione, che dovrà prendere il Consiglio, circa la durata del mandato di questo Ufficio di Presidenza, che per la legge anteriormente in vigore era di un anno, per lo Statuto e di due anni e mezzo. Il Consiglio, quando questo argomento sarà iscritto all'ordine del giorno, nella prossima seduta, dovrà quindi deliberare se estendere la durata di questo mandato come dice lo Statuto a due anni e mezzo o se procedere ad una nuova elezione dell'Ufficio di Presidenza. E' comunque materia che potrà essere esaminata soltanto quando sarà posta all'ordine del giorno. Ne ho voluto dare comunicazione perché è uno degli adempimenti che scattano con l'entrata in vigore dello Statuto.
Comunico pure che è pervenuta a questo Ufficio di Presidenza una proposta, che non credo di poter definire proposta di iniziativa popolare perché non soddisfa tutte le condizioni che sono previste dal nostro Statuto per una tale definizione, che giunge dal Consorzio dei Comuni della zona biellese, per la creazione, ad opera del nostro Consiglio Regionale che comunque non avrebbe potuto provvedervi finora non avendo ancora potestà legislativa - del Circondario e del Comprensorio di Biella. Questa proposta è stata approvata in una riunione di rappresentanti dei Comuni aderenti al Consorzio. Tuttavia non adempie a tutte le condizioni previste dallo Statuto per l'esercizio dell'iniziativa degli Enti locali. Infatti sono previste le seguenti condizioni perché una proposta di legge di iniziativa degli Enti locali sia valida: prima condizione: tale proposta deve essere presentata da Consigli comunali in numero non inferiore a cinque, oppure, in alternativa a questa prima condizione, da uno o più Comuni rappresentanti non meno di 25.000 elettori, oppure, terza alternativa, da un Consiglio provinciale; secondo i termini adoperati dall'art. 51 dello Statuto, occorre quindi che l'iniziativa della proposta parta da Consigli comunali o da Consigli provinciali, i quali devono procedere all'approvazione della proposta di legge; questa proposta, non emanando da Consigli provinciali e comunali, ma da un'assemblea di Sindaci o di delegati di Sindaci, evidentemente non adempie a questa prima condizione seconda condizione: occorre che venga presentato un progetto di legge che, ai termini dell'art. 52, dev'essere redatto in articoli e inviato all'Ufficio di Presidenza; questa condizione, a rigore, sarebbe adempiuta perché a questa lettera è allegata una proposta di legge redatta in articoli terza condizione: la proposta deve essere corredata da una relazione; e questa relazione accompagna il progetto di legge quarta condizione: devono essere inviate le deliberazioni relative dei Consigli presentatori della proposta; queste non vi sono quinta condizione: dev'essere allegato pure il verbale delle discussioni in questi medesimi Consigli; evidentemente, dato che la proposta non è partita dai Consigli, non poteva essere redatto un verbale delle relative sedute dei Consigli.
In virtù dell'art. 52 dello Statuto, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio è competente ad esprimere il giudizio preliminare sulla ricevibilità ed ammissibilità formale di questa proposta. Ho pertanto investito di tale competenza l'Ufficio di Presidenza, che è giunto alla conclusione che vi ho testé comunicato. Di questa conclusione mi riservo di dare comunicazione al firmatario della lettera del Consorzio dei Comuni della zona biellese ed a tutti i Sindaci o delegati di Sindaci che hanno partecipato alla riunione che ha formulato questa proposta.
Signori Consiglieri, si sono verificate in questi giorni tre ricorrenze, che altri Consigli Regionali ed altre assemblee hanno ricordato: due più note e una meno nota, finora non ricordata. Quelle più note sono il venticinquennale della proclamazione della Repubblica e l'annuale della creazione delle Regioni, con le elezioni del 7 giugno 1970 che non abbiamo avuto occasione di celebrare in questo Consiglio perché lo stesso non si era fin qui riunito se non in date anteriori a quelle da commemorare.
Una terza data, che ricorderò per prima, e che nessuno ha fin qui ricordato, ma che ritengo sia giusto ricordare nel Consiglio Regionale del Piemonte, è il centocinquantenario dei moti popolari del 1821, che hanno preso origine nella nostra Regione. Sono infatti trascorsi esattamente 150 anni da quando, proprio sulla terra piemontese, nel 1821, maturano i primi aneliti di libertà e di vita democratica, che, con l'aspirazione febbrile all'indipendenza ed a nuovi ordinamenti costituzionali, diedero origine ai moti insurrezionali che segnarono per tutti gli Italiani l'alba del primo Risorgimento.
La rivoluzione piemontese iniziatasi con i moti studenteschi del gennaio 1821 era culminata nel marzo con la rivolta delle guarnigioni di Alessandria e della cittadella, seguita da altri moti popolari in Piemonte in Liguria ed in altre regioni, mentre venivano richieste da ogni parte liberali istituzioni. 'I piemontesi sentono di non vivere sotto la tutela delle leggi quando le leggi sono confuse, o derogate, alterate, rimutate ad arbitrio', si scriveva in quei giorni in un manifesto affisso sui muri di Torino, affermando che un simulacro di Costituzione non poteva soddisfare le esigenze di una società in via di trasformazione e di evoluzione. Per quanto riguarda l'organizzazione politico-amministrativa, è da ricordare che l'idea di una struttura regionalmente decentrata dei nostri ordinamenti andava sviluppandosi contemporaneamente agli sforzi per l'unificazione. Ma nel periodo più intenso e significativo del processo unitario nazionale il richiamo di Roma capitale accantonò, sia pure temporaneamente, le prime istanze regionalistiche che venivano portate innanzi da Cavour e da Minghetti, nei progetti legislativi di riforma che seguirono la conclusione vittoriosa delle guerre d'indipendenza.
Oggi l'idea regionalista, espressione di un rinnovamento civile e democratico, del resto sempre presente nelle forze politiche progressiste anche durante i periodi più oscuri del centralismo monopolista, è, dopo molte attese, una realtà concreta ed operante, sanzionata dalla Costituzione e dallo Statuto della Regione Piemonte, approvato con legge dello Stato. In questa realtà, il Consiglio Regionale, che ha approvato lo Statuto oggi in vigore, si sente impegnato, nell'esigenza di rinnovamento di ideali, di pensiero, di iniziative nella vita sociale di ogni giorno nel rispetto della Costituzione repubblicana, nella convinzione della validità del nuovo ordinamento amministrativo italiano, nella fede agli ideali ed ai valori della Resistenza, che si ricollegano agli aneliti di libertà, di vita democratica, di giustizia sociale, maturati nella terra piemontese nel primo Risorgimento.
E' a queste origini che dobbiamo far risalire il moto che si è concluso venticinque anni or sono con la fondazione della Repubblica. E noi che, con la creazione delle Regioni, siamo figli della Costituzione repubblicana che ha dato vita all'istituto regionalistico, non possiamo non ricordare solennemente la data del 2 giugno 1946, da cui parte la fondazione della nostra Repubblica e parte quell'assemblea costituente che doveva elaborare la Costituzione nella quale sono contenute le norme relative alla creazione delle Regioni.
Proprio in questi giorni ritengo si debba ricordare lo spirito con il quale è stata fondata la nostra Repubblica. Che non è una Repubblica qualunque, ma una Repubblica creata a conclusione di un lungo processo, in una lotta di liberazione che prima tese a dare al nostro Stato un ordinamento democratico, poi, attraverso la lotta antifascista e la Resistenza, a restituire al nostro Stato istituzioni democratiche che nell'ordinamento repubblicano, dovevano trovare conforto e stabilità di fronte a qualunque pericolo di risurrezione di forme totalitarie come quelle che avevano calpestato il suolo del nostro Paese durante i ventitre anni precedenti.
Da queste origini scaturiscono anche le Regioni, che proprio in questi giorni hanno compiuto un anno di vita. Un anno di vita certamente travagliata. Un anno nel quale le Regioni hanno elaborato i propri Statuti i propri regolamenti; hanno discusso, nel primo conflitto con lo Stato l'approvazione di questi Statuti da parte del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati; sono riuscite, proprio in questi giorni, ad ottenere - e mi è di conforto di aver potuto annunciare oggi stesso che, ad un anno dalle elezioni regionali del 1970, lo Statuto della nostra Regione è diventato legge della Repubblica - tale approvazione; hanno quindi compiuto i primi passi necessari alla funzionalità nel nostro Paese di un istituto che non è soltanto di decentramento amministrativo ma che si sta già rivelando, attraverso le consultazioni che sono già state iniziate dalle varie Commissioni del Consiglio Regionale, una forma idonea a soddisfare quella esigenza di partecipazione popolare che costituisce certamente una delle principali innovazioni introdotte dalla creazione delle Regioni nella qualità della vita democratica del nostro Paese.
Le lotte che le Regioni hanno dovuto intraprendere fino a questo momento per ottenere l'approvazione degli Statuti sono però lungi dall'essere terminate. Infatti, non basta disporre di uno strumento elaborato dai Consigli Regionali ed approvato dal Parlamento, diventato legge della Repubblica, che fissa i modi nei quali le Regioni esercitano le loro funzioni ed i loro poteri, perché automaticamente da questo Statuto scaturiscano funzioni e poteri. La Costituzione della Repubblica e le leggi dello Stato prevedono infatti una complessa procedura di attribuzione di funzioni e di uffici alle Regioni, procedura che è soltanto ai suoi esordi e che ha fatto nascere in tutte le Regioni d'Italia a Statuto ordinario serie preoccupazioni circa gli intendimenti dello Stato di dare realmente vita entro un breve periodo di tempo ad istituti regionali capaci di funzionare appieno.
Di questa preoccupazione i Presidenti dei quindici Consigli Regionali delle Regioni a Statuto ordinario hanno inteso ieri far parte al Presidente della Commissione interparlamentare per le questioni regionali, sen. Oliva in un incontro che si è svolto a Roma. Nel corso di questo incontro ho personalmente illustrato, a nome dei colleghi degli altri Consigli Regionali, un duplice ordine di preoccupazioni che si sono andate manifestando in tutti i Consigli Regionali in rapporto all'attribuzione delle funzioni: il primo riguardante la lentezza con la quale i decreti delegati vengono trasmessi alle Regioni, il secondo la lentezza ancora maggiore con la quale il Ministero per la riforma burocratica trasmette i progetti di attribuzione di uffici, attribuzione che dovrebbe essere concomitante con quella dalle funzioni.
Su ambedue queste serie di schemi di decreti delegati, quelli riguardanti l'attribuzione delle funzioni e quelli riguardanti il passaggio degli uffici periferici dello Stato, le Regioni hanno facoltà di esprimere il proprio parere entro un termine di sessanta giorni. Questo termine estremamente breve, è un termine perentorio, che quindi subordina la continuazione dell'iter della emanazione di questi provvedimenti al passaggio di questo primo periodo di due mesi. La stessa Commissione interparlamentare per le questioni regionali, che non ha termini, ritiene di aver bisogno di un altro paio di mesi per esaminare anch'essa, secondo il disposto della legge, gli schemi di decreti delegati relativi alle funzioni e relativi agli uffici, ed è prevedibile che il Consiglio dei Ministri, per ottenere il definitivo concerto dei Ministeri competenti abbia anch'esso bisogno di almeno un altro paio di mesi per poter coordinare tutto questo materiale derivante dal parere delle quindici Regioni e dal parere della Commissione interparlamentare per le questioni regionali.
Basta fare mentalmente un rapido calcolo per rendersi conto che il giorno di scadenza, 31 dicembre, arriverà tosto se i decreti delegati non verranno trasmessi tutti alle Regioni, come non è prevedibile avvenga entro la fine di questo mese. Ed è importante che sia rispettato il termine del 31 dicembre, perché la legge dispone che le Regioni potranno esercitare le funzioni ad esse delegate a decorrere dal 1^ gennaio successivo all'approvazione dei decreti delegati da parte del Consiglio dei Ministri il che equivale a dire che se questa procedura non dovesse concludersi entro il 31 dicembre di quest'anno, le funzioni che non fossero a noi delegate, per non avvenuta emanazione dei decreti, entro il 31 dicembre comincerebbero ad essere esercitate dalle Regioni non più il 1^ gennaio 1972 ma il 1^ gennaio dell'anno seguente, il 1973.
Per questa corsa contro il tempo, che interessa il Consiglio Regionale piemontese ed i suoi singoli componenti, il Consiglio stesso sarà costretto a passare una seconda estate in trincea, dopo l'estate del 1970, in cui numerosi Consiglieri Regionali, membri della Commissione per il Regolamento o della Commissione per lo Statuto, hanno dovuto trascorrere buona parte della stagione estiva ad elaborare Regolamento e Statuto. Per la ristrettezza dei termini e per le dilazioni cui è stata sottoposta la trasmissione dei decreti delegati non è prevedibile che il Consiglio Regionale possa andare in vacanza per un lungo periodo di tempo, poich ogni giorno perduto dal Consiglio Regionale, questo o altri, verrebbe perduto ai fini del tentativo di ottenere l'emanazione dei decreti delegati entro il 31 dicembre. Provvederemo, ovviamente, ad organizzare i nostri lavori in modo da disporre egualmente di ferie estive ed eventualmente di prolungarle anche in una parte dell'anno che normalmente non è dedita a ferie.
Siamo in questo momento investiti del compito di esaminare tre gruppi di decreti delegati, tutti quanti assegnati alle Commissioni. Non ne sono ancora giunti altri, perché non ne sono stati trasmessi altri da parte degli organi competenti del Governo centrale.
Debbo rilevare, poiché mi è stato fatto rilevare dal Presidente della Commissione interparlamentare per le questioni regionali, che, a causa delle dilazioni provocate dagli scioperi postali o da altre ragioni, noi siamo l'unica Regione che non abbia ancora espresso il parere sui primi due gruppi di decreti delegati: quelli relativi ai trasporti e quelli relativi alle circoscrizioni e alla polizia locale, cioè urbana e rurale. Le Commissioni competenti dispongono evidentemente di termini che non sono stati abbreviati ed hanno certamente bisogno, per completare l'iter di questo esame e per procedere alle consultazioni necessarie, di un congruo numero di giorni.
Faccio tuttavia presente che la Commissione di cui è Presidente il sen.
Oliva è già stata convocata in seduta plenaria mercoledì prossimo 23 giugno per iniziare l'esame del decreto sui trasporti, e che, per mercoledì 30 giugno, sempre in riunione plenaria, è previsto l'esame del decreto relativo alle circoscrizioni e alla polizia locale. E' evidente che tale esame non si esaurirà in una sola seduta, ma è altrettanto evidente che se il Consiglio Regionale non fosse in grado di esprimere il suo parere entro un periodo relativamente breve di tempo, questo parere non verrebbe preso in considerazione dalla Commissione interparlamentare competente, e quindi sarebbe praticamente nullo e come non espresso.
Desidero quindi raccomandare ai Presidenti della 2^ e della 8 Commissione ed ai componenti delle Commissioni medesime - e lo faccio sotto forma di raccomandazione e non sotto la forma della proposta di una abbreviazione di termini, perché so che essi hanno un complesso programma di consultazioni da svolgere prima di poter consegnare le loro relazioni al Consiglio - di adempiere il loro mandato entro i termini più brevi possibili. Per quanto mi compete come Presidente del Consiglio Regionale mi riservo di convocare il Consiglio anche in termini brevissimi, con procedura di urgenza, non appena avrò ricevuto le relazioni delle due Commissioni competenti, per consentire al Consiglio di esprimere il suo parere su questi due argomenti.
Per quanto concerne l'istruzione professionale, viceversa, abbiamo ricevuto lo schema di decreto delegato più o meno nello stesso tempo delle altre Regioni; quindi, possiamo attendere tranquillamente la decorrenza del termine, perché il periodo di sessanta giorni vale per noi con la stessa data di inizio di quella in cui ha inizio la decorrenza di tale periodo per gli altri Consigli Regionali. Per i due primi decreti, torno a ripetere dovremo agire con estrema rapidità per riuscire ad adempiere i nostri compiti.
E' stato fatto anche rilevare, nell'incontro dei Presidenti dei Consigli Regionali svoltosi ieri con il Presidente della Commissione interparlamentare - e tali rilievi saranno fatti presenti in un successivo incontro dei quindici Presidenti dei Consigli Regionali con il Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Colombo, che dovrebbe aver luogo fra giorni che, oltre i ritardi assai gravi nella consegna dei decreti delegati, vi è anche da deplorare un vuoto legislativo ed istituzionale per quello che riguarda la determinazione della procedura della consultazione delle Regioni, che ha fatto sorgere in quasi tutte le Regioni problemi di conflitti di attribuzioni fra Presidente della Regione, Giunta e Consiglio Regionale; conflitti che scaturiscono non dalla cattiva volontà degli organi delle singole Regioni ma dalla imprecisione delle nostre norme legislative e dalla confusione che discende da queste norme, in quanto la procedura della consultazione, quando fu ideata, non lo fu come una consultazione avente carattere almeno moralmente vincolante ma come una specie di soddisfazione da dare all'esigenza popolare e all'esigenza degli Enti locali di essere ogni tanto ascoltati, salvo poi a non tenere in nessun conto i pareri che da questi Enti fossero stati espressi.
La procedura della consultazione, che noi stessi abbiamo instaurato nei confronti dei nostri Enti locali, sta diventando, dopo la creazione delle Regioni, una procedura autorevole e sempre più vincolante; ed è per questa ragione che essa non può più essere abbandonata all'arbitrio dei vari componenti del potere esecutivo o del potere legislativo, che convocano come e quando vogliono chi vogliono a Roma per sentire distrattamente un parere e per giungere perfino, com'è accaduto nel campo dell'istruzione professionale, a baratti e ad accordi, che certamente non si possono approvare, tra un Ministro ed Assessori di alcune Giunte per la rinuncia da parte delle Regioni ad un compito che l'art. 117 della Costituzione conferisce alle Regioni medesime.
Non può essere certamente barattata da un gruppo di Assessori e un Ministro la rinuncia da parte delle Regioni ad una delle funzioni essenziali dell'istruzione professionale, e cioè il trasferimento alle Regioni degli istituti professionali attualmente dipendenti dallo Stato.
Questa è certamente una questione sulla quale il Consiglio Regionale avrà occasione di pronunciarsi non appena la Commissione competente avrà trasmesso allo stesso il progetto di parere che il Consiglio Regionale dovrà esprimere su questo schema di decreto delegato, in allegato al quale si trova una lettera dalla quale risulta questa specie di rinuncia fatta sotto banco ad una parte di competenze costituzionali delle Regioni.
Per tutte queste ragioni, si è ritenuto in questo incontro - e lo si farà nuovamente nell'incontro con il Presidente del Consiglio - di dover illustrare agli organi dello Stato l'urgenza, mentre è in corso la procedura di consultazione prevista per i decreti delegati anche da leggi dello Stato, che questa procedura sia regolata meglio di quanto non lo sia stata finora. Ed è pura coincidenza se tutte le Regioni, per disposti dei loro Statuti e non delle leggi dello Stato, abbiano ritenuto di dover far esprimere il parere sui decreti delegati ai propri organi deliberanti e non ad altri organi della Regione; ma è una coincidenza fortuita che in tutti gli Statuti si preveda, come nel nostro, che quando le leggi dello Stato attribuiscano poteri genericamente alla Regione tali poteri si debbano intendere attribuiti ai Consigli Regionali; è coincidenza che quindici Statuti regionali contengano una norma dello stesso tipo.
Ma se tale norma non ci fosse questi pareri potrebbero essere legittimamente espressi da altri organi della Regione, a meno che nell'ambito dei Consigli Regionali non venga altrimenti disposto. Una simile confusione non può evidentemente continuare, anche perché tutta una serie di problemi sono sorti in questo periodo ed è stato quindi ritenuto opportuno di suggerire al Governo di presentare una apposita legge sulle procedure della consultazione che, oltre a regolare in modo rigoroso tali procedure, dia ad esse quella certezza e quella solennità che valgano a fare della consultazione medesima una estensione ai rapporti fra Stato e Regioni di quell'istituto della partecipazione popolare che nostri Statuti hanno contemplato per quello che riguarda i rapporti fra le Regioni e gli altri Enti locali nonché le organizzazioni a carattere regionale.
Devo ancora comunicare, in ultimo luogo, che, a decorrere dal 15 giugno c.a., il Comitato regionale di controllo ha iniziato l'esplicazione dell'attività di controllo sugli atti di tutti gli Enti ospedalieri del Piemonte.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Essendo ora giunti finalmente i verbali delle sedute precedenti, si pu tornare al primo punto dell'o.d.g. Prego quindi il Consigliere Segretario che mi sta a fianco di darne lettura per l'approvazione.



MENOZZI Stanislao, Segretario



PRESIDENTE

Se non vi sono osservazioni su questi processi verbali essi si intendono approvati. Non vi sono osservazioni: sono quindi approvati.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente (seguito)


PRESIDENTE

Desidero fare un'aggiunta alle comunicazioni già fatte prima, in relazione ad un documento che mi è pervenuto in questo momento soltanto. Si tratta di una lettera inviatami dal Comitato di collegamento dei Comuni dell'Alto Novarese, a firma del sindaco di Verbania, Pietro Mazzola, del seguente tenore: 'Venuti a conoscenza che il Consilio Regionale dovrà esprimere il proprio parere sui disegni di legge concernenti gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e nelle aree del Centro-Nord, riteniamo cosa utile trasmettere gli atti del Convegno svoltosi a Verbania, promosso dal Comitato di collegamento dei Comuni dell'Alto Novarese il 15 maggio scorso sul tema: 'Proposte di legge per l'intervento pubblico nel Mezzogiorno e funzione della Regione per uno sviluppo equilibrato del Piemonte'. Le saremmo grati se detti atti potessero essere portati all'attenzione del Consiglio Regionale e delle Commissioni che si occuperanno della materia al fine di far conoscere il parere che i Comuni dell'Alto Novarese hanno espresso in merito ai disegni di legge in questione'.
Non appena assegnerò alla Commissione competente l'esame di questo disegno di legge allegherò a questo esame anche gli atti di questo Convegno e tutto l'altro materiale che può avere riferimento alla questione medesima.
Sulle comunicazioni che ho fatto mi ha chiesto di parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Le comunicazioni del Presidente inducono il nostro Gruppo ad alcune considerazioni.
Dobbiamo anzitutto far rilevare all'Assemblea che il nostro Gruppo ha ripetutamente chiesto alla Giunta, in assemblea e in riunione di Capigruppo, l'impegno, per quanto riguarda il decreto delegato sui trasporti, ad operare perché esso venisse immediatamente trasmesso alla Commissione, portando anche a conoscenza di chi pareva non lo fosse che alle altre Regioni il decreto era stato inviato il 6 aprile. Ci è stato ripetutamente fatto osservare che ufficialmente qui non era pervenuto, a causa dello sciopero delle Poste, e tuttavia era già all'attenzione, da quei giorni, dell'Assessore ai Trasporti, il quale si stava, tra l'altro muovendo per avere delle informazioni.
Emerge, alla luce di quanto ha detto il Presidente oggi, circa la estrema ristrettezza dei termini di tempo a noi concessi, che la Commissione interparlamentare inizierà i suoi lavori senza aver avuto modo di conoscere il nostro parere, le nostre osservazioni, mentre con una maggior sensibilità si sarebbe potuto fare i passi opportuni - per esempio anche attraverso le permanenze a Roma di qualche influente personaggio del nostro Consiglio Regionale, che trascorre molto più tempo nella capitale che non qui, nel Consiglio, in Piemonte - per avere, comunque, questo decreto delegato assai prima, il che ci avrebbe consentito di operare quanto meno al livello delle altre Regioni. Credo che tutta l'Italia rida del fatto che la Regione Piemonte ha lascito passare quarantacinque giorni senza provvedere ad andarsi a prendere il decreto delegato.
Ho voluto fare questa precisazione perché il Gruppo Comunista non intende assolutamente essere considerato corresponsabile di questi ritardi che sono colpevoli e che vanno inquadrati nella volontà di ritardare l'attività delle Regioni. Dobbiamo poi aggiungere tutte le remore, le carenze, le dispute sui poteri Esecutivo-Consiglio che hanno impedito di fatto alle Commissioni di iniziare rapidamente il proprio lavoro. E va denunciata all'opinione pubblica la pretesa, fortunatamente poi rientrata per le pressioni che da tutti i Gruppi sono venute, del Presidente della Giunta in particolare di trattenersi a livello di Giunta i decreti delegati, com'è avvenuto poi per quello relativo ai Trasporti, per un periodo di tempo non indifferente, che pertanto è stato sottratto al tempo assegnato alla Commissione, costretta oggi a rivedere i suoi tempi di lavoro, il che in sostanza vuol dire rivedere essenzialmente le consultazioni. Credo che da questa esperienza debba essere definitivamente sepolta ogni volontà residua della Giunta o del suo Presidente di interporre ostacoli di qualsiasi genere alla massima estensione dell'attività e della funzionalità delle Commissioni.
Devo aggiungere che è tuttora sul tappeto - e si presenta come elemento di ostacolo e ritardo - la questione di chi invia le lettere di convocazione agli organismi esterni, risolta abbastanza grottescamente per quanto riguarda le convocazioni della II Commissione, quasi che il prestigio si misuri con la firma di lettere di convocazione, e non con gli atti che si fanno e con le argomentazioni che si svolgono. Pare che oggi certe lettere di convocazioni relative all'attività dell'VIII Commissione che è stata sollecitata or ora dal Presidente ad intensificare la sua attività, non siano ancora state spedite ai destinatari perché il Presidente della Giunta, che pretende di firmarle, perché è di sua competenza il farlo e lo considera questione di grosso prestigio, non è presente nella Regione Piemonte, e quindi, tutto sommato, le consultazioni che noi desideriamo si svolgano con la massima serietà, dovranno subire rinvio.
Io invito il Presidente del Consiglio a provvedere, con l'autorità che gli deriva dall'essere Presidente del nostro consesso e quindi responsabile della sua attività e del suo funzionamento, in carenza della presenza di colui o dell'organismo che si ritiene competente in materia, a che le convocazioni siano immediatamente comunicate e i destinatari delle relative lettere siano posti in condizione di rispondere concretamente alle sollecitazioni ed agli inviti che le Commissioni rivolgono.
Ultima questione. Noi comunisti abbiamo presentato, come le risulterà signor Presidente, una richiesta di riunione di conferenza dei Capigruppo prospettando - in una lettera che credo sia stata consegnata a tutti gli altri Presidenti di Gruppo - un calendario che prevede tempi abbastanza ravvicinati per non impedire la discussione in Consiglio di alcuno degli importanti argomenti politici che sono stati proposti e che attendono di essere approfonditi dagli interventi di tutti i Consiglieri, in assemblea.



PRESIDENTE

A nome della Giunta ha chiesto di parlare il Vicepresidente Cardinali.
Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Il mio intervento è in riferimento a quanto ha testé dichiarato il Capogruppo del Partito Comunista, Consigliere Berti.
La Giunta anzitutto respinge, ovviamente, le supposizioni, non dico insinuazioni, che vi siano volontà deliberate di ritardare le procedure di approvazione o di discussione dei decreti delegati.
Per quel che riguarda il decreto delegato per i Trasporti, che è stato il primo di cui ci si è occupati, vi sono stati equivoci sulla interpretazione delle date, poi chiariti e rimossi con spostamenti delle date da parte degli stessi Ministeri che inviavano i decreti. Si è trattato però, in sostanza, di un problema di rodaggio, che ha riguardato questo primo decreto delegato.
Quanto alle convocazioni, che sono di competenza del Presidente della Giunta, provvederò a far partire oggi stesso le relative lettere, nella mia qualità di Vicepresidente, autorizzato a norma di Statuto a sostituire il Presidente in caso di impedimento di questo.
Accogliamo, dunque, la sollecitazione ad una maggior funzionalità, ma respingiamo l'accusa, se la si è voluta adombrare, che si tenda da parte della Giunta a sottrarre al Consiglio ed alle Commissioni la possibilità di fare le più ampie consultazioni possibili.



PRESIDENTE

In relazione all'intervento del Consigliere Berti per quel che riguarda il programma dei nostri lavori, anticipo l'annuncio della convocazione dei Presidenti di Gruppo dopo questa seduta.
L'avrei comunque effettuata perché abbiamo un calendario abbastanza pesante, che comporta, come ho già detto prima, alcune scadenze.
Dobbiamo, infatti, esprimere, non appena le Commissioni ci porranno in grado di farlo, quattro pareri, sui tre decreti delegati e sulla Legge sul Mezzogiorno; ma dobbiamo anche fissare con i Presidenti delle Commissioni competenti delle date che ci consentano di sapere con esattezza quando provvederemo a questi adempimenti.
Dobbiamo, d'altra parte, prendere in esame - quando la Commissione competente, con la procedura urgente adottata, avrà completato i suoi lavori - il disegno di legge sull'organico della Regione, che presenta anch'esso un notevole carattere d'urgenza, specie per quel che riguarda l'organico del Consiglio, che non può certamente continuare ad avvalersi con otto Commissioni funzionanti, dei soli cinque o sei eroici funzionari con i quali opera da un anno a questa parte.
Vi sarà poi da varare, quando la Commissione competente, che è la prima Commissione, ci avrà riferito in materia, il disegno di legge di approvazione del bilancio consuntivo, per mettere a posto i nostri conti e cominciare a funzionare con una certa regolarità.
Ed a questo riguardo vorrei sollecitare la Giunta e gli Assessori competenti a contemplare il problema dei futuri bilanci della Regione.
Anche se continuiamo a vivere in regime di contabilità speciale, questo è certamente un problema che interessa l'intero Consiglio e sul quale in un modo qualunque la Giunta dovrebbe prendere una iniziativa che consenta al Consiglio Regionale di avere uno scambio di idee prima di arrivare alla elaborazione del vero e proprio disegno di legge sul bilancio della Regione.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dimissioni del Consigliere Regionale Cesare Rotta


PRESIDENTE

Se non vi sono altre osservazioni o richieste di parola, passiamo ora al punto terzo dell'o.d.g. che reca: 'Dimissioni del Consigliere Regionale Cesare Rotta'.
Mi è pervenuta, in data 31 maggio 1971, la seguente lettera del collega Rotta: 'Nel lasciare, con grande rincrescimento, la mia carica di Consigliere Regionale per il mandato parlamentare al Senato della Repubblica, desidero esprimere a Lei ed a tutti i Colleghi del Consiglio il mio rammarico per dover abbandonare il Consiglio Regionale, ove ho trovato soddisfazione di lavoro e amichevoli sentimenti.
Mi è di conforto il pensiero e l'impegno di poter proseguire nel mio nuovo incarico l'attività iniziata per la soluzione dei problemi che interessano l'Italia e la nostra Regione.
Nella fiducia che il mio lavoro al Senato possa tornare utile alla nostra Regione e nella speranza che Ella voglia considerarmi a sua disposizione per tutti i problemi che interessano la Regione, La ringrazio per la fiducia e la cordialità dimostratemi durante la mia attività di diretto Suo collaboratore quale Segretario del Consiglio di Presidenza e La prego di voler comunicare al Consiglio la mia decisione, con i sentimenti che qui ho espresso.
Accolga l'espressione dei miei migliori sentimenti'.
Il collega Rotta ha inviato nella medesima data al collega Presidente della Giunta delle Elezioni, Consigliere Paganelli, una lettera nella quale comunicava al medesimo, che aveva investito la sua Commissione dell'esame del caso di incompatibilità tra la carica di Consigliere Regionale e di Senatore della Repubblica del Consigliere Rotta, che, essendo stato proclamato Senatore della Repubblica, aveva deciso di rinunciare alla carica di Consigliere della Regione, chiudendo quindi l'esame che in seno alla Giunta per le elezioni era stato fatto di questo caso di incompatibilità. La Giunta delle Elezioni, nella seduta del 4 giugno 1971 successivamente all'invio di questa lettera, dunque, si è riunita, ed ha esteso il seguente verbale: 'La Giunta delle Elezioni prende atto che il Consigliere Regionale sen.
Cesare Rotta ha optato per la carica di Senatore rinunciando a quella di Consigliere Regionale e che pertanto la procedura iniziata ai sensi dell'art. 13 del Regolamento provvisorio del Consiglio è da ritenersi chiusa'.
Se la Giunta delle Elezioni non desidera illustrare il suo verbale posso per parte mia esprimere anzitutto il mio rammarico e quello del Consiglio di vedere il collega Rotta lasciarci, come è suo diritto attraverso l'opzione per la funzione di Senatore della Repubblica, ed in secondo luogo ringraziarlo, a nome di tutto il Consiglio, per i servigi che egli ha reso come Segretario dell'Ufficio di Presidenza e come Consigliere Regionale. Io avevo già conosciuto il collega Rotta al Senato della Repubblica; so che certamente disimpegnerà questo suo mandato in maniera egregia, come ha dimostrato di saper fare per il mandato di Consigliere Regionale. Abbiamo avuto qui spesso, in Consiglio Regionale, l'occasione di vedere come il collega Rotta esercitasse le sue funzioni anche in veste di Consigliere Regionale.
Essendo le dimissioni del collega Rotta derivate da incompatibilità tra il mandato parlamentare e il mandato di Consigliere Regionale, non possiamo, come sarebbe stato certamente nostro desiderio, addivenire alla decisione di respingere queste dimissioni, imposte dalla legge e dal dovere di optare fra le due cariche. Perciò al Consiglio Regionale non rimane, se non vi sono altre proposte in merito, che prendere atto con rammarico delle dimissioni stesse. In mancanza di osservazioni, sono quindi tenuto a porre in votazione la presa d'atto delle dimissioni presentate dal Consigliere Regionale Cesare Rotta.
Chi è d'accordo su questa presa d'atto è pregato di alzare la mano.
E' approvato.
Assegno quindi alla Giunta delle Elezioni l'esame delle conseguenze che scaturiscono dalle dimissioni del collega Rotta, affinché nella prossima seduta il Consiglio Regionale possa procedere alla proclamazione del Consigliere che subentrerà al collega Rotta. Verrà quindi posta all'ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio Regionale la proclamazione del successore del collega Rotta. Non vi sono osservazioni.


Argomento: Elezioni - Ineleggibilita' - Incompatibilita'

Proposta di ordine del giorno: diritto di voto agli elettori residenti all'estero


PRESIDENTE

Passiamo allora al punto 4 dell'o.d.g. che reca: 'Proposta di ordine del giorno: diritto di voto agli elettori residenti all'estero'.
E' stato presentato, e successivamente iscritto all'o.d.g. il seguente ordine del giorno, a firma dei Consiglieri Curci e Carazzoni, di cui do lettura e che verrà ora messo in discussione: 'Il Consiglio Regionale del Piemonte premesso che i lavoratori italiani all'estero che hanno mantenuto la cittadinanza italiana sono più di cinque milioni che gli stessi, nella maggior parte dei casi, non hanno diritto al voto, o comunque non sono in grado di esercitarlo considerato che la lontananza dalla Patria non può eliminare un diritto fondamentale che appartiene costituzionalmente e moralmente a tutti gli italiani che il prospettare infatti una discriminazione proprio nei confronti dei nostri emigrati risulta assurdo, poiché i nostri connazionali, i quali inviano in Italia le loro rimesse nell'ordine di oltre seicento miliardi di lire all'anno, sono i più intrepidi assertori all'estero dei valori permanenti della Patria, nel cui territorio rimangono le loro famiglie ed i loro interessi considerato che le proposte di legge presentate in Parlamento anche nelle passate legislature non sono state neppure messe in discussione fa voti perché venga concesso il diritto di voto ai nostri connazionali all'estero e sollecita pertanto il Presidente del Senato e il Presidente della Camera dei Deputati a portare all'esame del Parlamento le proposte di legge formulate in merito dai vari Gruppi politici'.
Ha facoltà di parlare per illustrare questo ordine del giorno il Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'ordine del giorno ci sembra formulato in termini abbastanza chiari, sicché noi ci limiteremo a brevi e concise sottolineature.
Sono, come ricordato, più di cinque milioni gli italiani che vivono all'estero, in molti casi abbandonati senza protezione diplomatica, senza assistenza né sicurezza sociale, privi di fatto dei diritti politici. Noi pensiamo sia tempo di ricordarsi di questi connazionali; ed è per questo che abbiamo desiderato portare all'attenzione di questa Assemblea il nostro ordine del giorno, perché anche dal Piemonte salga una voce di auspicio affinché il Parlamento nazionale affronti finalmente il dibattito attorno alle proposte di legge presentate.
Il diritto al voto è un diritto costituzionale. L'art. 48 della Costituzione dice esattamente: 'Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale, eguale libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile e nei casi di indegnità morale indicati dalla legge' Eppure, i cinque milioni di italiani all'estero, certamente non per incapacità civile o per altre cause ostanti, sono impediti di fatto, nella maggior parte, ad esercitare questo diritto, che è al tempo stesso un dovere riconosciuto dalla Costituzione. Possono infatti rientrare in Patria in occasione di elezioni solo quegli italiani che sono in grado di assentarsi per lunghi periodi di tempo dall'attività di lavoro o che possono sobbarcarsi le non indifferenti spese di viaggio.
Tuttavia, come già affermato, noi non pensiamo che la lontananza dalla Patria debba costituire di fatto una discriminazione tra i cittadini mettendone una numerosa e qualificata rappresentanza nella impossibilità di esprimere il loro diritto-dovere nel voto. E non lo riteniamo proprio per le ragioni dette, cioè che si tratta innanzitutto di italiani che all'estero qualificano e rappresentano la Nazione, che sono rimasti sempre validi e tenaci assertori di questi valori di italianità, che sono soprattutto, poi, legati ancor oggi all'Italia, dove hanno mantenuto la maggior parte dei loro interessi di carattere sociale o di carattere economico, nella Patria dove vivono le loro famiglie, dove ogni anno inviano consistenti rimesse economiche.
Alla luce di queste considerazioni noi pensiamo che Parlamento e Governo non possano e non debbano più disattendere l'esame delle proposte di legge in argomento. Oltre alla proposta di legge che il Movimento Sociale Italiano è andato presentando nel corso di tutte le legislature che si sono finora susseguite, infatti, ve ne sono altre, presentate anche da altri schieramenti politici, come per esempio la proposta di legge della Democrazia Cristiana, firmata dal sen. Pella, o la proposta di legge del Partito Socialista Italiano, firmata dal sen. Zannier. Altri Paesi già hanno risolto il problema, riuscendo, con il ricorso a sistemi diversi, a consentire ai loro connazionali all'estero di esercitare il diritto di voto: così la Danimarca, la Francia, l'Inghilterra, la Norvegia, l'Olanda il Sud Africa, l'Australia e gli Stati Uniti.
Crediamo con questo di aver inquadrato in un'ottica esatta quanto sia moralmente importante questo problema. Potremo allora concludere richiamandoci alle considerazioni che sono esposte in una relazione accompagnatoria di una delle diverse proposte di legge, in cui si dice (e ci pare sia questo il concetto sintetico finale) che 'non si possono tener lontani oltre cinque milioni di connazionali dalla vita politica e legislativa del Paese. Gli italiani all'estero hanno diritto di essere considerati come una forza viva, in stato di assoluta parità con i fratelli che vivono in Patria'.
Il riconoscimento del diritto di voto agli italiani all'estero rappresenta un problema di giustizia che è, oltre che attuale, anche profondamente sentito, anche perché arriverà, se sarà accolta questa proposta, a costituire un nuovo vincolo tra i connazionali all'estero e la Patria. Noi ci auguriamo che il Consiglio Regionale del Piemonte abbia la sensibilità di considerare proprio dovere pronunciarsi unanime per la soluzione di questo problema attraverso la votazione dell'ordine del giorno che ci siamo permessi di presentare.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Garabello. Ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, a nome dei Gruppi di maggioranza le chiederei una brevissima sospensione della seduta, per poter concordare un'azione comune.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa per alcuni minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 11,30 riprende alle ore 11,45)


Argomento: Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

Proposta di inversione dell'o.d.g.


PRESIDENTE

La seduta è riaperta.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Garabello.
Ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, nel ringraziarla per aver concesso la breve interruzione che avevo richiesto, comunico a lei ed al Consiglio che i Gruppi della maggioranza consiliare ritengono su questo argomento si debba approfondire il discorso al di là dei temi che sono stati trattati stamane e pertanto rendono noto di avere in preparazione una mozione sui problemi dell'emigrazione che dovrebbe allargare il dibattito stesso.
Pertanto, la maggioranza consiliare chiede uno spostamento dei punti all'ordine del giorno tale da consentire la presentazione in seduta del documento anzidetto.



PRESIDENTE

Il documento sarà pronto comunque per la presentazione e la discussione in questa stessa seduta o in quella di oggi pomeriggio?



GARABELLO Enzo

Senz'altro.



PRESIDENTE

Vi sono obiezioni all'inversione dell'ordine del giorno? Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, noi ci opponiamo alla richiesta di inversione dell'o.d.g.e chiediamo che venga senz'altro messo in votazione l'ordine del giorno sul voto agli italiani all'estero.



PRESIDENTE

E' stata avanzata una proposta di inversione, alla quale il Gruppo del Movimento Sociale Italiano fa opposizione. Pongo in votazione la richiesta di inversione dell'ordine del giorno presentata dal Consigliere Garabello.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'inversione è approvata.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione - Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati

Interrogazione urgente del Consigliere Sanlorenzo sulla situazione nel settore edilizio a Torino e nella regione (annuncio)


PRESIDENTE

Passiamo pertanto all'esame delle interpellanze ed interrogazioni.
Riprenderemo successivamente in esame la questione di cui all'ordine del giorno presentato dai Consiglieri del Movimento Sociale.
Verranno discusse le seguenti interpellanze: 1) Viglione-Nesi sulla situazione nel settore edilizio a Torino e nella Regione 2) Ferraris-Raschio-Menozzi ed altri sulle difficoltà finanziarie della Cantina Sociale dell'Alto Monferrato 3) Berti, non ancora letta in Consiglio ma che la Giunta è disposta a discutere, sui criteri di classificazione della Infermeria di Canelli in Ente ospedaliero.
Ricordo che per le interpellanze si prevede una illustrazione preventiva degli interpellanti, una risposta della Giunta ed una replica degli interpellanti per dichiararsi soddisfatti o meno.
La prima in ordine di presentazione è quella dei Consiglieri Viglione e Nesi.
Chiede di parlare il Consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Senza entrare nel merito dell'interpellanza che verrà adesso discussa devo dire che è accaduto che una delegazione di lavoratori edili si incontrasse con l'Ufficio di Presidenza e con il Vicepresidente della Giunta Cardinali e che alla fine di questo incontro si addivenisse ad un'intesa reciproca per promuovere un'iniziativa in sede di Consiglio tendente a trasformare l'interpellanza in mozione.
In relazione a questo, io ho presentato un'interrogazione urgente che tratta la stessa questione. Se la Giunta fosse disposta a rispondere contemporaneamente all'interpellanza dei Consiglieri Viglione e Nesi e alla mia interrogazione, si eviterebbe di fare due volte la stessa discussione.



PRESIDENTE

Ne do lettura, in modo che anche i Consiglieri la possano conoscere e il Vicepresidente Cardinali vedrà se è in grado di rispondere contemporaneamente anche a questa. 'Il sottoscritto Consigliere Regionale interroga la Giunta per sapere se non ritenga opportuno, in seguito alle preoccupanti risultanze dell'incontro avvenuto il 15 giugno fra gli Assessori Conti e Cardinali, il sottoscritto in qualità di Vicepresidente dell'Assemblea e le tre organizzazioni sindacali addivenire: a) entro il 29 giugno ad un incontro preliminare tra organizzazioni sindacali e Giunta Regionale b) entro il 10 luglio a prospettare al Consiglio le linee e gli interventi della Giunta rispetto alla realtà e alle prospettive della crisi edilizia c) entro il 15 luglio a promuovere un incontro presso la Regione fra i principali Comuni della Regione stessa, la Gescal, gli IACP locali e le organizzazioni sindacali, le organizzazioni cooperative, in modo da dare sollecita attuazione a un piano di interventi coordinato. F.to Sanlorenzo'.
Il Vicepresidente Cardinali ritiene di poter rispondere a questa interrogazione?



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Il Consigliere Viglione comunque illustra la sua interpellanza?



VIGLIONE Aldo

Sì.



CARDINALI Giulio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Risponderemo contemporaneamente allora.



VIGLIONE Aldo

Siccome manca Nesi, il quale voleva parlare su quest'interpellanza, se il Presidente ritiene di rinviarla al pomeriggio per me va bene. Io non ho difficoltà a discuterla subito perché il fatto che ha dato luogo all'interpellanza è partito da Cuneo.



PRESIDENTE

Poiché abbiamo molte interrogazioni possiamo rinviarla, però ho anche informato i singoli Consiglieri che sarebbero state discusse nella seduta odierna le loro interpellanze. Abbiamo introdotto anche qui un perfezionamento tecnico che si ha al Senato e alla Camera allo scopo di mettere i Consiglieri in condizioni di saperlo e di venire.


Argomento: Norme generali sull'agricoltura - Cooperazione - Opere di bonifica e consorzi

Interpellanza dei Consiglieri Ferraris, Raschio, Menozzi e altri sulle difficoltà finanziarie della Cantina Sociale Alto Monferrato


PRESIDENTE

Rinviamo a più tardi la discussione di questa interpellanza e passiamo alla seconda, presentata dai Consiglieri Ferraris, Raschio, Menozzi e altri sulle difficoltà finanziarie della Cantina Sociale Alto Monferrato.
Ha facoltà di illustrarla uno degli interpellanti. Ha la parola il Consigliere Ferraris.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi spiace che non ci sia il Presidente della Giunta, col quale abbiamo già avuto incontri su questo argomento. Dirò subito che da un più accurato controllo delle informazioni ho potuto appurare che le gravissime difficoltà finanziarie nelle quali versa la Cantina Sociale dell'Alto Monferrato con sede in Tonco, sono in realtà assai più disastrose di quanto mi risultava fossero quando, assieme ai colleghi Raschio, Marchesotti, Menozzi e Chiabrando, presentammo l'interpellanza che ora sto per illustrare.
I dati e le cifre, come del resto i colleghi avranno già avuto modo di rilevare dalle notizie apparse su vari organi di informazione, su 'La Stampa' e sulla 'Gazzetta del Popolo', danno una situazione debitoria che arriva a circa 600 milioni, a fronte dei quali non vi è altro che lo stabile, gli impianti, i macchinari, un credito di circa 117 milioni che però il commercialista che sta revisionando la contabilità ritiene esigibile nella misura non superiore al 10 per cento, quindi poco più di 11 milioni. Quindi non solo di gravissime carenze di liquidità finanziaria si tratta, ma di un vero e proprio stato fallimentare o prefallimentare. Come se non bastasse, la situazione è complicata da una forte esposizione verso privati fornitori, oltre che da un indebitamento verso le banche e gli stessi soci della Cantina. Tra interessi e sconti passivi durante l'esercizio del '69-'70 la Cantina ha dovuto corrispondere la somma di 34 milioni e 500.000 lire.
Ho detto più sopra che ci troviamo di fronte ad uno stato prefallimentare e quindi ad una prossima liquidazione coatta della cooperativa, con tutte le conseguenze del caso, se non vi sarà un intervento. Purtroppo, con altrettanto realismo devo io stesso (non so se il mio pensiero è condiviso dagli altri firmatari) riconoscere che allo stato attuale delle cose ho molti dubbi che gli interventi indicati e sollecitati nell'ultimo capoverso della interpellanza possano, da soli sortire l'effetto desiderato, quello di salvare la Cantina Sociale nella sua attuale entità giuridica e soprattutto, ciò che più conta, conseguire il risultato di impedire la dispersione dei soci, di conservare stabili impianti, macchinari, che sono fra i più moderni e razionali, al servizio della vinificazione associata.
Tanto pessimismo (non vi stupisca colleghi) non mi impedisce però di sostenere e di chiedere con ragionata consapevolezza e con forte convinzione, alla Giunta, al suo Presidente, al Consiglio tutto, l'esigenza di un rapido intervento, lo studio di proposte concrete per raggiungere gli scopi di cui parlavo prima, cioè la conservazione di questo stabilimento alla vinificazione associata. Occorre impedire la dispersione di una parte almeno dei 580 soci di questa Cantina (vi è la possibilità di salvarne almeno 250/300) capace di vinificare per circa 100.000 quintali di uva, in una zona a cavallo di due province, con tre e forse più centri di raccolta disseminati nei paesi vicini. Si tratta di impedire che uno stabilimento di questo tipo, nell'attuale situazione astigiana e direi nel contesto generale della crisi che investe il movimento delle Cantine Sociali, abbia a fare la fine di altri stabilimenti, di altre Cantine Sociali, per essere più precisi, di alcune di quelle coinvolte nel famoso fallimento della consociazione Asti-Nord che vennero poste in liquidazione coatta e acquisite a poco prezzo da industriali del vino.
Io qui sorvolo sulle responsabilità di questo dissesto, che del resto sono più o meno le stesse emerse nel caso della consociazione Asti-Nord solo che qui la mascheratura ha resistito più a lungo, o la dissennatezza e la violazione sistematica di ogni prassi cooperativistica sono iniziate più tardi. Certo che sarebbe troppo comodo e semplicistico prendersela sempre e soltanto con lo scarso spirito cooperativistico ed associativo dei contadini piemontesi, con la loro immaturità ecc. Così come sarebbe immorale e diseducativo coprire i responsabili in prima persona soprattutto quando non mancano forti sospetti che a tanto sfacelo non sia del tutto estraneo il tornaconto privato di qualcuno. Ma, responsabilità per responsabilità, allora ci sono anche quelle degli organi di vigilanza e di controllo, quelle degli organismi di rappresentanza e quelle degli organismi ministeriali che trovarono sempre tutto in regola, fino a due mesi or sono.
Infine ci sono le carenze e le responsabilità governative, cioè la non corresponsione alle Cantine Sociali dei contributi, pure previsti dalle leggi varate da quegli stessi Governi che poi non le hanno applicate.
Tornando al caso specifico della Cantina Sociale di Tonco, concludo affermando che la nostra insistenza nel richiedere un intervento (e su ci sono certo che concorderanno tutti i firmatari dell'interpellanza) per impedire in qualche modo la dispersione del patrimonio, cioè dello stabile di quella Cantina Sociale, oltre al rilevante problema specifico dei soci e dell'economia di quella zona, investe un problema di ordine più generale.
La nostra insistenza si nutre ed è rafforzata da un'altra gravissima preoccupazione: mi riferisco alle conseguenze psicologiche e frustranti che l'attuale dissesto e una liquidazione 'tout court', con tutte le conseguenze che si possono immaginare, potranno avere sulle sorti del travagliato, ma ancora consistente e pertanto risanabile movimento cooperativistico agricolo piemontese, e sugli sforzi che nell'astigiano in particolare si stanno compiendo, in modo unitario da parte delle maggiori organizzazioni agricole e delle forze politiche democratiche, per unificare le varie proposte e dare finalmente corso ad un vero piano di risanamento e di ristrutturazione delle Cantine Sociali. Piano che se questo consesso vorrà mantenersi coerente e conseguente con la lettera e lo spirito dello Statuto regionale, presto o tardi (speriamo presto) dovrà pure decidersi ad acquisire, a rielaborare, per poi procedere alla sua realizzazione. A mio parere bloccare il dissesto o trovare uno sbocco positivo e cooperativistico, fondato naturalmente sul consenso dei soci, rappresenta l'occasione propizia per dare prova di volontà politica e può soprattutto segnare il punto di arresto di un processo di crisi e rappresentare, di conseguenza, l'avvio ad un processo di ripresa e di risalita da una china che non fa certo onore a nessuno, ma soprattutto non fa onore alla classe dirigente, o meglio, dominante, del Piemonte.



PRESIDENTE

Ha facoltà di rispondere, a nome della Giunta, l'Assessore Franzi.



FRANZI Piero, Assessore all'agricoltura e foreste

L'interpellanza dei Consiglieri Ferraris, Raschio, Menozzi, Chiabrando e di un quinto di cui non si riesce ad interpretare la firma, riguarda uno degli aspetti in cui si trovano molte Cantine Sociali della Regione Piemonte. L'illustrazione del Consigliere Ferraris però, sposta completamente i termini dell'interpellanza. Alla luce dei nuovi elementi che scaturiscono dagli accertamenti di carattere amministrativo, penso comunque di interpretare il significato dell'interpellanza stessa.
La Cantina Sociale dell'Alto Monferrato, sorta circa dieci anni or sono, ha avuto una gestione piuttosto personale nella quale si è riscontrato un sensibile disinteresse dei singoli viticoltori, il che nel tempo ha originato una modificazione allo spirito cooperativo, perdendosi il carattere determinante che è quello della mutualità. Si è puntato invece su principi di più ampia commercializzazione di tipo industriale, il che non ha certo giovato ai principi cooperativistici.
Il reimpegno dei viticoltori, attraverso la ricostituzione di una democratica amministrazione (avvenuta mi pare un anno fa) ha posto i nuovi amministratori nella condizione di dover richiedere un accertamento amministrativo sulle gestioni passate. Ne è derivato, come primo dato, un risultato di indebitamento per oltre cento milioni, che ad oggi già superano i 300 (gli accertamenti sono ancora in corso).
La situazione si presenta quindi difficile anche perché il richiesto finanziamento non assicura un confortante presupposto economico. Come per altre situazioni analoghe, che non danno la possibilità di sbloccare autonomamente, il peso dell'indebitamento deve portare il Consiglio Regionale a trovare soluzioni d'intervento diverse da quelle tradizionali.
Tale indicazione può concretizzarsi in un supporto pubblicistico da realizzare attraverso una modificazione degli interventi pubblici e da strutturare in forme di corresponsabilità anche sul piano mercantile.
Per quanto riguarda specificatamente l'oggetto dell'interpellanza, si dà assicurazione che si interverrà presso gli Istituti Finanziatori per evitare la liquidazione coatta della Cantina Sociale dell'Alto Monferrato anche perché trattandosi di società a responsabilità limitata, coloro che ne verrebbero maggiormente a scapitare sarebbero proprio i viticoltori che già versano in condizioni di economia fortemente disagiate.



PRESIDENTE

Ha facoltà di replicare, per dichiararsi soddisfatto o insoddisfatto uno degli interpellanti.
La parola al Consigliere Ferraris.



FERRARIS Bruno

Prendo atto di quanto ci ha detto l'Assessore Franzi. Sono d'accordo circa la gestione personale commerciale della Cantina, alla quale va anche addebitata la responsabilità di quanto è avvenuto.
Sono soddisfatto dell'impegno preso di intervenire, ma con la massima sollecitudine, presso gli istituti finanziatori che sono poi la Cassa di Risparmio e l'Istituto Federale di Credito agrario presieduto dal Presidente della Giunta, affinché si trovi una soluzione che salvi quello stabilimento, acquisendolo alla vinificazione associata.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Interrogazione del Consigliere Berti circa i criteri sulla classificazione dell'Infermeria di Canelli in Ente ospedaliero


PRESIDENTE

Mi è stata presentata un'interpellanza che in realtà è un'interrogazione (se però la vuole mantenere come interpellanza, non sollevo obiezioni di carattere formale) dal collega Berti, che la Giunta ha accettato di discutere questa mattina, ma che non è stata ancora letta in Consiglio e di cui do adesso lettura: 'Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente della Giunta per conoscere quali criteri, in mancanza di piano, lo abbiano indotto a decretare per l'Infermeria di Canelli, la classificazione in Ente ospedaliero in ordine alla quale il disciolto CRPO aveva ritenuto di non procedere'.
Se continua a ritenerla interpellanza ha facoltà di illustrarla, se no ha facoltà soltanto di dichiararsi soddisfatto o insoddisfatto. Credo che chieda un'informazione essenzialmente.



BERTI Antonio

La trasformo in interrogazione.



PRESIDENTE

Essendo trasformata in interrogazione ha allora facoltà di rispondere a nome della Giunta, l'Assessore Armella.



ARMELLA Angelo, Assessore alla Sanità

Il Presidente della Giunta ha emesso decreto in data 27/3/1971 con il quale, su delibera della Giunta, l'Infermeria 'Ospedale civile con sede in Canelli' è dichiarata Ente ospedaliero. Mi permetto di leggere le premesse che precedono la parte dispositiva, perché mi pare che chiariscano i termini sulla questione: ho infatti motivo di ritenere che l'interpellanza sia frutto di equivoco.
'Il Presidente della Giunta, vista la deliberazione 6 /1/1971, con la quale il Consiglio di amministrazione dell'Ospedale civile di Canelli ha stabilito di chiedere il riconoscimento dell'infermeria in Ente ospedaliero; visto il decreto del Prefetto di Asti 14/10/1969 con il quale l'Ospedale civile di Canelli è stato classificato infermeria per malati acuti a' sensi del R.D. 1938; vista la nota 25/1/1971 con la quale il Medico provinciale di Asti ha espresso parere contrario alla classificazione di ospedale generale di zona, basando il proprio parere sulla circostanza che l'infermeria in argomento non è, allo stato attuale in possesso dei requisiti per essere classificata fra gli ospedali previsti dal Titolo III della Legge del 1968; considerato che l'Ente anzidetto alla data dell'entrata in vigore della legge 132 provvedeva al ricovero e alla cura degli infermi affetti da malattie curabili e urgenti, in conformità dell'art. 2 dello Statuto approvato con decreto del 1933; vista la deliberazione della Giunta Regionale 24/3/1971 n. 2; vista la Legge; visto l'ultimo comma dell'art. 65 (ai fini della costituzione del Consiglio di amministrazione gli Enti ospedalieri in questione sono equiparati agli Enti ospedalieri comprendenti ospedali di zona); decreta l'Infermeria Ospedale Civile con sede in Canelli di cui alle premesse è dichiarato Ente ospedaliero e il Consiglio di amministrazione composto come segue.'.
E qui si ripete la disposizione di legge.
Dicevo che l'interpellanza mi pare frutto di equivoco perché il riconoscimento di Ente ospedaliero è un atto dichiarativo con cui si accerta e si dichiara che un determinato istituto, al momento dell'emanazione della legge ospedaliera, esercita un'attività di ricovero e cura di infermi. Si riconosce così che è Ente ospedaliero, su delibera della Giunta, con decreto del Presidente della Regione. In via transitoria quando la Regione non esisteva ancora (e anche dopo la sua costituzione, il Ministero ha continuato a fare emettere dei decreti, uno dei quali è comparso sulla Gazzetta Ufficiale proprio in questi giorni) il riconoscimento era effettuato dal Capo dello Stato, su proposta del Ministero di Sanità di concerto con quello dell'Interno.
Il riconoscimento non è una classificazione, è unicamente il riconoscimento di un Ente ospedaliero. La Regione può costituire nuovi Enti ospedalieri; qui ha riconosciuto un Ente ospedaliero esistente.
Si è posta la questione se l'ospedale di Canelli potesse essere classificato; ospedale generale di zona o provinciale o regionale; non è stato classificato 'ospedale generale di zona' perché non ne possiede i requisiti, è una infermeria che ha un certo numero di posti letto, che esercita il ricovero e la cura, che è oggi sufficientemente attrezzata per l'attività che svolge, ha ottenuto anche un finanziamento statale di 90 milioni per un ampliamento che sta portando a termine, ma non ha ancora i requisiti necessari e sufficienti per essere classificata 'ospedale generale di zona'. A questo proposito soccorre l'art. 65 della legge che dispone che 'gli Enti ospedalieri riconosciuti e costituiti a' sensi della presente legge alle cui dipendenze sono istituti di ricovero e cura e infermerie che non posseggono i requisiti per essere classificati tra gli ospedali previsti dal Titolo III (cioè le classificazioni or ora dette) possono ottenere, a domanda, e sempreché il piano regionale ne ravvisi l'opportunità e la possibilità dal punto di vista tecnico, sanitario logistico e territoriale, l'autorizzazione del Medico provinciale a trasformarli entro otto anni in uno dei tipi di ospedale previsti nella presente legge. Gli istituti di ricovero e cura e le infermerie per i quali non venga ravvisata tale opportunità del piano (e che sono Enti ospedalieri, ma per cui non venga ravvisata l'opportunità e possibilità di trasformazione) non potranno esercitare l'attività ospedaliera a partire da un anno dall'entrata in vigore del piano regionale'.
Mi pare che i termini della questione siano sufficientemente chiariti: trattasi di un Ente ospedaliero che aveva il diritto al riconoscimento. In precedenza aveva chiesto di essere classificato come ospedale di zona; non ha allo stato attuale i requisiti per essere classificato tale, potrà averli in futuro. Non si può fare cessare un'attività di ricovero e cura che l'Ente sta egregiamente svolgendo in Canelli, zona in cui il numero degli addetti all'industria è fortemente aumentato. Si tratta di un diritto dell'Ente e per questo è stato riconosciuto 'ente ospedaliero' senza provvedere a classificazione alcuna.



PRESIDENTE

Ha facoltà di replicare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

La mia insoddisfazione per la risposta nasce non tanto da considerazioni in ordine a quanto stabilisce la legge e che ci era noto quanto da considerazioni di politica sanitaria che mi inducono ad una prima constatazione circa il sistema adottato che ricorre sovente per dirigere la nostra Regione. La classificazione, sia pure in Ente ospedaliero e non in ospedale generale di zona, ha una sua validità in quanto è inserita in una visione più organica; non a caso nella legge si parla di piano ospedaliero dopo otto anni. Queste classificazioni furono oggetto di discussione nel disciolto Comitato Regionale per la programmazione ospedaliera (mi spiace non ci sia l'avv. Oberto che potrebbe confermare quanto sto dicendo) in quanto negli ultimi mesi della sua attività vi furono numerose richieste di classificazione, ogni piccola infermeria tendeva ad ottenere il riconoscimento di ospedale generale di zona, o quanto meno di Ente ospedaliero perché questo le avrebbe di fatto consentito, nel giro di alcuni anni, di trasformarsi sino ad ottenere la classificazione in ospedale generale di zona. Questa facoltà di attrezzarsi per essere 'ospedale generale di zona' equivaleva di fatto ad una istituzionalizzazione. Il piano non è stato fatto in quanto le richieste erano molte, diverse e in concorrenza fra di loro (è tipico il caso della provincia di Torino: nel giro di 15/20 km, c'erano quattro infermerie ognuna delle quali pretendeva di essere considerata 'ospedale generale di zona' o almeno 'Ente ospedaliero' per poter avanzare in futuro dei diritti). In considerazione di questi fatti, il Comitato Regionale per la programmazione ospedaliera aveva deciso di non accedere ad altre richieste se non nel quadro di un piano che sarebbe dovuto venire e che non c'è ancora, purtroppo.
Ecco perché riteniamo questa autorizzazione oltre che ingiusta (visto che le richieste sono molte) inorganica, data la carenza assoluta di pianificazione sanitaria, di pianificazione ospedaliera, e concessa comunque, non in osservanza di un metodo che intanto vuole che problemi di questo tipo, in quanto investono la organizzazione ospedaliera sanitaria della Regione, siano quanto meno discussi dalla Commissione. Se poi colleghiamo questa autorizzazione a ciò che ha fatto l'ospedale di Canelli presieduto dal Presidente della Gancia, e cioè all'elaborazione di un libro che collegava il riconoscimento dell'ospedale in Ente ospedaliero alla funzione storica che Canelli ha avuto (rifacendosi ad anni addietro, sino agli spagnoli) ciò stante l'autorizzazione finisce per cadere nel ridicolo.
Anche perché dal punto di vista di assistenza agli ammalati (che è poi la questione essenziale) il riconoscimento a 'ente ospedaliero' non cambia assolutamente niente, l'unico elemento che cambia è la facoltà, questa volta data per legge, agli amministratori di attrezzarsi per trasformarsi in 'ospedale di zona'.
Quindi sono insoddisfatto della risposta e chiedo che per il futuro anche se la competenza di emanare decreti è del Presidente, sentita la Giunta, i problemi che investono l'assetto ospedaliero e sanitario della Regione siano portati all'esame della Commissione competente.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare l'Assessore Armella.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Non per replicare al Consigliere Berti, ma in quanto le sue parole hanno investito problemi generali, mi pare opportuno di esprimere un pensiero e anche una precisazione.
La redazione del piano ospedaliero interessa tutti gli organi della Regione, non soltanto la Giunta e il suo Presidente, ma ovviamente (mi pare persino inutile l'affermarlo) l'intero Consiglio.
Per quanto riguarda invece la questione del riconoscimento in 'Enti ospedalieri', non si tratta di classificazioni, ma di riconoscimenti dovuti. Con decreto del Presidente della Repubblica, sono stati riconosciuti abbastanza recentemente alcuni Enti ospedalieri che non hanno neppure più le caratteristiche di cura dei malati acuti, hanno soltanto quelle di assistenza di anziani (infermi in quanto anziani? 'Senectus ipsa est morbus!'), e che riguardano Enti che si trovano in comuni come Gavi e Strevi. L'ultimo decreto uscito sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 7 aprile 1971, riconosce con decreto del Presidente della Repubblica del 20.10.71 n. 102 'Ente ospedaliero' l'ospedale Fondazione Piemontese industriale operaia per la lotta contro la tubercolosi con sede in Torino. Non contiene classificazione alcuna.
Il Comitato Regionale per la programmazione ospedaliera non è entrato nel merito né poteva farlo, perché per il riconoscimento degli Enti ospedalieri bastava constatare che in quel momento l'Ente provvedeva al ricovero e alla cura di infermi e la competenza a farlo era del Capo dello Stato, del Ministero Sanità proponente, e attualmente è del Presidente della Regione. Il piano provvederà a stabilire quanti Enti ospedalieri debbano avere un ospedale provinciale; quanti debbano avere un ospedale di zona, dove questi ospedali dovranno sorgere; a dare il tempo necessario perché si attrezzino quelli che non sono attrezzati e quelli di nuova costituzione.
Si tratta di provvedimenti diversi. Questo è l'indirizzo che la Giunta seguirà perché non può fare diversamente, basandosi su disposizione di legge, e anche perché corrisponde a un'opportunità pratica e logica di consentire la utilizzazione delle attrezzature esistenti dove c'è la necessità di posti letto e questa necessità è dimostrata dal fatto che vi sono ricoveri e cure in determinati ospedali, attrezzati in misura adeguata e non.
Per l'ospedale di Canelli va detto, con l'occasione, che c'è un contributo dello Stato per la somma di 90 milioni che l'Ente sta spendendo per una costruzione che è quasi terminata, cosa di cui bisogna tener conto.
E non è il solo contributo dello Stato ad infermerie.



BERTI Antonio

Non c'è ancora un piano, non si sa cosa fare e questi hanno ricevuto 90 milioni perché sono Enti ospedalieri.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Li hanno avuti tre anni fa, non adesso.



BERTI Antonio

Dunque non accetta che eventuali altre autorizzazioni come ho chiesto siano portate all'esame della Commissione.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Non riguarda me questo.



BERTI Antonio

Però lei ha risposto a nome del Presidente, risponda anche a questa mia richiesta.



PRESIDENTE

Consigliere Berti, siccome c'è stata una coda di risposta, se vuole replicare può farlo.



BERTI Antonio

Evidentemente non ci siamo capiti. I problemi bisognava vederli sempre in fase politica. Se non si parte dalla constatazione che nel periodo in cui si è continuato a parlare di pianificazione ospedaliera sono stati concessi una serie di contributi, sono sorti ospedali senza nessuna organicità, senza nessun rapporto con un nuovo indirizzo dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, in maniera tale da compromettere il futuro assetto ospedaliero e sanitario del Piemonte, se non si parte dal fatto che tutte le classificazioni di fatto legalizzano una certa posizione. Invece bisogna prendere atto di questa situazione così carente e dire come Regione che ci battiamo, che prendiamo politicamente posizione; adesso lo possiamo fare, e lo facciamo con piena coscienza perché fino ad oggi coloro che hanno concesso autorizzazioni non hanno avuto di fronte a sé questo quadro.
Il modo nuovo è operare per avere il piano sanitario del Piemonte entro cui collocare tutti gli interventi. Questo è acquisito dalla cultura sanitaria.
Ecco perché dico che l'autorizzazione concessa (che tra l'altro abbiamo appreso dal bollettino della Regione) contrasta con un metodo che invece si vuole affermare, di rapporti con il Consiglio, e di azione nuova per una politica sanitaria. La Giunta probabilmente dimostra di non voler percorrere questa strada, che in realtà è la strada percorsa da tutti coloro che credono veramente in una politica sanitaria.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione - Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati

Interpellanza dei Consiglieri Viglione e Nesi ed interrogazioni dei Consiglieri Benzi e Vera e del Consigliere Sanlorenzo sulla situazione nel settore edilizio a Torino e nella regione


PRESIDENTE

Passiamo ora all'esame dell'interpellanza che era stata rinviata alla fine di questo scorcio di seduta riservato alle interpellanze, quella presentata dai Consiglieri Nesi e Viglione.



VIGLIONE Aldo

Avevo pregato di rinviare la discussione per cortesia verso il Capogruppo, che però mi ha delegato a rispondere.



PRESIDENTE

Allora passiamo all'interpellanza Viglione-Nesi.
Ha facoltà di illustrarla il Consigliere Viglione, risponderà il Vicepresidente Cardinali e replicheranno il Consigliere Viglione, e per quel che riguarda la sua interrogazione, il Consigliere Sanlorenzo.
Siccome però l'interpellanza riguarda una materia composita alla quale sono interessati vari Assessori, la risposta a nome della Giunta verrà data per una parte dell'Assessore Cardinali e per un'altra dall'Assessore Conti.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Visto che l'interpellanza è composita e molti oratori interverranno sarò brevissimo e sintetico.
Il fatto cha ha dato origine all'interpellanza è partito proprio dalla nostra Provincia, quella di Cuneo. Infatti in San Giacomo di Robourent, in relazione alle costruzioni che sono nell'area turistica, vi era tutta una serie di problemi attinenti al cottimo, alla manodopera importata attraverso mediatori dal Sud e che veniva tassata un tanto al metro quadro.
Praticamente si era arrivati al concetto che il lavoratore dovesse corrispondere al cottimista (che poi in definitiva non lavorava, era soltanto un intermediario parassitario) un tanto al metro quadro.
Sulla mancata corresponsione di queste somme, il 1^ maggio, durante lo svolgimento della ricorrenza della Festa del Lavoro è avvenuto un fatto di sangue che ha provocato la morte di quattro persone e il ferimento di altre. Questo è stato il lato più appariscente della vicenda che non riguarda soltanto la provincia di Cuneo, ma l'intero arco del Piemonte che ha decine di migliaia di lavoratori che vengono (con una sorta di cattura) importati dal Sud e anche dalle zone periferiche della Regione, nelle località in cui sono in corso costruzioni industriali, turistiche residenziali per essere ammessi al lavoro senza libretti, senza tutela senza mutua, facendo loro credere che questo lavoro (quasi a carattere artigianale) sia maggiormente redditizio, che consenta maggiore libertà di carattere contrattuale e pertanto attirandoli in una rete che non li vede protetti a nessun livello, né mutualistico, né ospedaliero, n previdenziale.
In sostanza, è una situazione abnorme che ha delle radici profonde nella immigrazione, che ancora oggi non riesce ad essere fermata. Che cosa può fare la Regione? Giunti a questo punto dobbiamo porci degli obiettivi e dare delle risposte. La Regione può operare direttamente a questo livello? Evidentemente no, perché non ha ancora gli strumenti necessari per farlo.
Si è già mossa la Pretura di Torino, abbiamo visto il Pretore Capo Consigliere Brunetti operare un'azione assai profonda in quella direzione sono stati visitati quasi tutti i cantieri di Torino e dell'area, sono state elevate contravvenzioni, sono state sporte denunce all'autorità giudiziaria che a quanto abbiamo letto (per ora non abbiamo delle statistiche) hanno colpito oltre cento imprenditori, i capi di questi lavoratori che vengono dal Sud e dalle zone periferiche del Piemonte.
La soluzione che proponevamo non era soltanto quella di insistere presso il Ministero del Lavoro, al fine di ottenere un maggiore controllo perché su 50 mila aziende che operano nel campo edile nell'arco del Piemonte, vi sono appena trenta ispettori i quali non possono controllarle tutte, senza contare quelle che operano in altri campi e che si prestano a questo tipo di sfruttamento. Come già era stato fatto per l'insediamento industriale (e come già è stato fatto da parte del Parlamento) chiediamo che la Giunta assuma l'iniziativa di nominare una Commissione d'inchiesta regionale sulle condizioni di vita degli immigrati nell'intera Regione.
Questo fatto clamoroso del 1^ maggio ha messo in tutta evidenza una situazione veramente assurda che se dovesse protrarsi nel tempo porterebbe a condizioni veramente disastrose. Pensiamo soltanto agli infortuni sul lavoro, pensiamo a quanta gente lavora e non ha tutela di sorta, lavora 4/5 mesi all'anno e per altri sei mesi non ha più occupazione! Il problema è di importanza fondamentale.
Noi chiediamo che la Giunta promuova quest'inchiesta sulle condizioni di vita degli immigrati dell'intera Regione, inchiesta che, partendo dal campo edile, si estenda a tutti gli altri campi, come oggi sta facendo l'autorità giudiziaria a mezzo del Consigliere dirigente della Pretura di Torino dott. Brunetti, come già ha fatto l'Ispettorato del lavoro, che per avendo solo trenta ispettori non può assolutamente arrivare a un controllo completo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di rispondere il Vicepresidente Cardinali.



CARDINALI Giulio, Assessore all'urbanistica e assetto territoriale

La Giunta ritiene di dover scindere la risposta all'interpellanza dei Consiglieri Nesi e Viglione in due parti, (alle quali si aggiunge oggi anche l'interrogazione del Consigliere Sanlorenzo) una relativa al problema dell'intermediazione nel settore edilizio (che competerà al collega Assessore Conti) l'altra sulla questione occupazionale, che è argomento del presente intervento.
In un recente incontro con i sindacati del settore, è emersa la preoccupazione per la continua emorragia dell'occupazione edilizia nella zona torinese, fenomeno del resto meno rilevante ma ugualmente generalizzato in tutta la regione. Trattasi di una situazione difficile soprattutto in prospettiva, essendo in corso il rallentamento dell'edilizia sia nel settore privato che in quello pubblico, con conseguenze di crisi incipiente anche nei settori collegati. I dati in possesso della Giunta consentono di rilevare che la situazione disoccupazionale non ha, per il momento, aspetti drammatici. Le domande di disoccupazione sono state, per i primi cinque mesi del 1971, attorno alle duemila mensili per la provincia di Torino, contro una media di circa 1600 per il 1970. Le aziende che hanno chiesto l'intervento della Cassa integrazione guadagni per i primi cinque mesi del '71, sono state 1208, contro le 469 del '70. Tale dato, che non si è potuto riferire al preciso numero dei dipendenti per cui è stata richiesta l'integrazione, è d'altra parte stato influenzato per il 95 per cento da cause stagionali e meteorologiche.
Il problema diventa molto più preoccupante se visto in prospettiva sulla base di un evidente ristagno di iniziative nel settore. La questione che interessa tutta la regione, potrebbe costituire argomento di un'ampia discussione in questo Consiglio. Da parte sua la Giunta ritiene, a seguito degli incontri già avuti, di poter condurre un ulteriore approfondito discorso con i Sindacati, per una valutazione degli interventi suscettibile di scongiurare l'approfondirsi di una crisi nel settore. E' evidente che un contributo alla ripresa dell'attività sarà rappresentato dai provvedimenti di cui alla legge 1.6.71 n. 291 in cui le possibilità operative, nel settore privato, dovranno avere come unico limite le norme urbanistiche adottate nei piani regolatori di fabbricazione, ai sensi dell'art. 4 della citata legge.
Per quanto concerne il settore pubblico, la Giunta ritiene, anche sulla base delle competenze configurate dalla legge di riforma della casa in corso di approvazione in Parlamento, di poter promuovere il censimento delle disponibilità immediate dei vari enti operanti nel settore e di sollecitare conseguentemente la rapida attuazione dei piani edilizi già approvati per la costruzione di case economiche popolari, per i quali sono già stati reperiti gli appositi finanziamenti.
A questo si inserisce quanto aveva richiesto nella sua interrogazione il Vicepresidente del Consiglio Sanlorenzo. Mi pare che ci sia già una risposta implicita come concetto generale. Per quel che riguarda i tempi anche se è evidente che la presentazione di date a tamburo battente e soprattutto così lapidarie presuppone non dico una forzatura, ma qualcosa di simile, noi possiamo rispondere come Giunta che non abbiamo nulla in contrario anche a far sì che si rispettino questi termini, per due ragioni: in primo luogo perché riteniamo che il problema sia molto acuto, in secondo luogo perché sappiamo che solo intervenendo oggi si può impedire per il prossimo autunno quella massiccia disoccupazione che si potrebbe configurare se non provvedessimo tempestivamente.
Quindi credo che possiamo rispondere anche all'interrogazione (per quel che riguarda i tempi) del Vicepresidente Sanlorenzo, dicendo che la Giunta può impegnarsi al rispetto di queste scadenze, trattandosi, ripeto, di scadenze che già erano state viste in quella riunione con i Sindacati ed il cui calendario ha tutte le caratteristiche della logicità e della possibilità attuattiva.



PRESIDENTE

Ha facoltà di rispondere ora l'Assessore Conti.



CONTI Domenico, Assessore all'istruzione e al lavoro

Signor Presidente, signori Consiglieri, annuncio che con la mia risposta intendo anche rispondere all'interrogazione presentata dai Consiglieri Benzi e Vera, per affinità di argomento.
I clamorosi e delittuosi avvenimenti del 1^ maggio, conclusosi con l'uccisione di quattro persone, hanno portato a conoscenza dell'opinione pubblica, in tutta la sua gravità, una situazione da tempo esistente nel settore edile, la quale oltre a violare fondamentali disposizioni della legislazione sociale, presenta anche aspetti penalmente rilevanti.
Per comprendere nelle sue origini e nei suoi sviluppi il fenomeno dell'intermediazione, che pare esteso anche ad altre regioni, occorre puntualizzare alcune situazioni esistenti in particolare nella provincia di Torino. Le imprese edili si sono organizzate in modo tale da trovare più conveniente affidare in sub-appalto a ditte specializzate, per lo più artigiani, varie fasi di lavorazione che tradizionalmente venivano eseguite dalla stessa appaltatrice, ragguagliando il compenso ad unità di misura (metro quadrato, metro cubo, ecc.). Ciò è dovuto al fatto che anche nell'edilizia si assiste ad una crescente specializzazione delle varie lavorazioni. La legge n. 765 e il D.L. n. 1150, mentre da una parte hanno prodotto il boom edilizio, dall'altro hanno messo in difficoltà le imprese a causa della rarefazione della manodopera disponibile, avendo costretto a concentrare tutte le opere in uno spazio di tempo molto breve per fruire di certe agevolazioni, anche fiscali, previste dalle norme sopra citate.
Gli imprenditori quindi sono stati indotti ad affidare in sub-appalto i lavori di muratura, intonacatura, carpenteria e posa in opera di pavimenti ad operai specializzati che nel frattempo si erano iscritti all'albo delle imprese artigiane. I predetti artigiani offrono il proprio lavoro e le poche attrezzature di mestiere, mentre il materiale, l'organizzazione e il resto delle attrezzature vengono fornite dall'appaltatrice. Detti imprenditori artigiani, per lo più immigrati, che non sempre partecipano manualmente al lavoro, riescono a procurarsi la manodopera occorrente retribuendola a 'cottimo'. L'incentivazione spinge i lavoratori a disattendere le norme relative all'orario di lavoro e a preferire l'occupazione alle dipendenze dell'artigiano cottimista.
Al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sulle parti, queste si accordano per violare le leggi sulle assicurazioni sociali obbligatorie, o espongono sul libro-paga salari irrisori per beneficiare della tutela previdenziale.
Va rilevato a questo punto che la disciplina normativa sul divieto di intermediazione di manodopera, recepita nella legge n. 1369 del 1960, viene spesso violata e presta forse il fianco, nella sua attuale formulazione, al verificarsi di situazioni contrastanti con i fini che essa si propone di conseguire. Conviene a questo punto soffermarsi brevemente su questa legge conosciuta come legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro. Tale norma, all'art. 1, da una parte sancisce il divieto dell'imprenditore di affidare in appalto o sub-appalto l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta o retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono, dall'altra considera i prestatori di lavoro occupati in violazione dei divieti posti dallo stesso articolo, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzate le loro prestazioni.
L'art. 3 della legge pone a carico degli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, pulizia e manutenzione ordinaria degli impianti, l'obbligo in via solidale con l'appaltatore, di garantire ai lavoratori, da quest'ultimo dipendenti, un trattamento minimo inderogabile retributivo e il parallelo obbligo, sempre in via solidale con l'appaltatore, di adempiere a tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza.
L'art. 5, però, stabilisce che le disposizioni di cui all'art. 3 (che sancisce l'obbligo solidale e dell'appaltante e dell'appaltatore a garantire il trattamento minimo retributivo ai lavoratori dipendenti dell'appaltatore e il correlativo obbligo di adempiere agli obblighi contributivi) non si applicano, tra l'altro, agli appalti per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti e agli appalti che si riferiscono a particolari attività produttive le quali richiedono, in più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa, sempre che tale impiego non abbia carattere continuativo.
Il Ministero del Lavoro con circolare n. 12828/17 del 1961, ha poi precisato che è da evitare un'interpretazione rigida e letterale della legge che comporterebbe il divieto di qualsiasi forma di appalto, incluso l'appalto di taluni lavori, che per ragioni tecnico-organizzative, vengono tradizionalmente appaltati specie nel settore dell'edilizia. In detto settore, infatti, continua la circolare, i lavori di escavazione intonacatura, decoratura, coloritura, pavimentazione, vengono spesso affidati dai costruttori ad imprese specializzate che svolgono con continuità i lavori stessi trasferendo il proprio personale da un cantiere all'altro a seconda delle esigenze.
Per alcune di queste operazioni, il cui prezzo è per lo più ragguagliato a unità di misura (metro quadrato, o metro cubo) non di rado le attrezzature occorrenti sono di scarso rilievo, per cui l'esecuzione dell'opera è basata prevalentemente sull'impiego di manodopera; è inoltre consuetudine che la maggior parte delle materie occorrenti siano fornite per ragioni prevalentemente economiche, dall'appaltante.
La circolare mette poi in evidenza che occorre anzitutto accertare, ai fini della sussistenza o meno di un reale contratto di appalto e dell'applicazione della legge n. 1369, che i predetti lavori vengano svolti da una impresa la quale rivesta in effetti tale fisionomia sia dal punto di vista tecnico che da quello economico ed organizzativo, con esclusione quindi di mere prestazioni di manodopera fornite da organismi che dell'impresa abbiano la veste formale ma non i caratteri essenziali.
La questione della liceità o meno dell'appalto di lavoro da parte dell'appaltante si risolve perciò accertando la reale sussistenza del carattere di imprenditore all'appaltatore. E' indubbio che tale carattere sussiste quando l'appaltatore conferisce capitali, macchinari ed attrezzature suoi propri; perplessità sorgono allorquando l'appaltatore disponga di soli capitali e non anche di macchine ed attrezzature che verrebbero quindi fornite dall'appaltante.
La circolare ministeriale reputa al riguardo che non sia il possesso di tutti i requisiti suddetti (capitali ed attrezzature) da parte dall'appaltatore a conferirgli la qualità di imprenditore che pu sussistere anche se l'appaltatore apporti uno solo dei due requisiti purché si tratti di volta in volta di conferimenti adeguati e siffatti da non generare speciose situazioni poste in essere al fine di eludere la legge.
Di fatto, come è stato rilevato all'inizio di questa risposta, a causa del boom edilizio degli anni passati, le imprese appaltanti hanno dovuto appaltare singoli lavori a degli operai specializzati, che nel frattempo si erano iscritti nell'albo delle imprese artigiane, conseguendo così la qualifica di imprenditori. L'accertamento della reale sussistenza del carattere di impresa di molte imprese artigiane risulta in fatto alquanto difficoltoso anche perché, alla stregua della circolare sopra menzionata un'impresa è tale anche se modeste sono le sue dimensioni e se disponga di soli capitali. Diviene perciò sottile, e possibile di non uniformi interpretazioni, la linea che divide l'appalto ad impresa artigiana della mera prestazione di manodopera.
A questa obiettiva difficoltà che rende estremamente problematica l'individuazione dei casi di intermediazione di manodopera con il relativo divieto dell'appalto sancito dall'art. 1, si aggiunge quella derivante dal comportamento dei soggetti interessati, compresi i lavoratori dipendenti che si chiudono molto spesso in un ermetico silenzio per tutelare quelli che essi ritengono il loro interesse economico. Tale situazione rende difficile anche l'accertamento della violazione della vigente legislazione sociale in materia di contributi previdenziali in quanto spesso l'appaltatore ed i lavoratori sono concordi nel registrare nel libro-paga una retribuzione inferiore alla reale evadendo così in buona misura il versamento dei contributi assicurativi.
Il fenomeno, così inquadrato, non è sfuggito all'attenzione dell'Ispettorato che, dal novembre 1968, compatibilmente con altre esigenze di servizio, ha disposto una particolare vigilanza per stroncare, o quanto meno contenere, con severi interventi, le violazioni della legge n. 1369 al fine di assicurare ai lavoratori subordinati ogni tutela di legge. A tale riguardo rilevo che l'Ispettorato del lavoro di Torino, nel periodo dal 22.11.68 al 31.3.71 ha elevato 125 contravvenzioni sul divieto di intermediazione sulle prestazioni di lavoro a carico di 261 persone tra imprenditori e intermediari per l'impiego di 723 operai per complessive 39.899 giornate lavorative (ammende previste L. 159.596.000). Sono stati inoltre redatti undici rapporti giudiziari per vari dubbi a carico di ventidue persone (11 appaltanti e 11 appaltatori). Sono state infine elevate n. 1188 contravvenzioni per violazione di leggi varie e sono stati recuperati valori per complessive L. 19.789.125 a favore di lavoratori dipendenti. Tutti i lavoratori interessati sono stati considerati alle dipendenze delle imprese principali con il recupero di L. 347.299.955 per contributi assicurativi evasi.
Va rilevata l'estrema difficoltà che si incontra al fine di acquisire le prove del reato di intermediazione in quanto i soggetti interessati, ivi compresi i lavoratori, si chiudono in un ermetico silenzio per tutelare quello che essi ritengono il proprio interesse economico.
A seguito dei delittuosi fatti del 1^ maggio, l'Ispettorato del Lavoro di Torino, di concerto con l'autorità giudiziaria, ha disposto ed eseguito un particolare servizio al fine di stroncare il così detto racket della manodopera e i casi di intermediazione della stessa: l'11 maggio sono stati ispezionati 64 cantieri siti in città e nella cintura nei quali erano interessate circa 130 imprese sub-appaltatrici. Nel 90 per cento di queste sono stati rilevati casi di intermediazione di manodopera ed evasioni contributive e si è proceduto alla denuncia alla Magistratura.
Ho qui alcuni dati circa gli effetti di questa azione dell'11 maggio.
Per quel che riguarda il rilascio dei nulla-osta per edili, ho questa statistica da presentare al Consiglio: marzo '71 nulla-osta rilasciati ai locali 703, agli immigrati 965; nel mese di aprile ai locali 671, agli immigrati 896; nel mese di maggio ai locali 913 e 2.674 agli immigrati nella prima quindicina di giugno 422 ai locali e 1144 agli immigrati. Altri dati relativi all'esito di quella prima azione repressiva sono stati riscontrati presso 14 cantieri 30 appalti, di cui ben 17 irregolari alla luce della legge 23.10.60 n. 1369. Per tali irregolarità sono stati contestati quattro verbali di contravvenzione a carico di quattro ditte principali e quattro intermediarie, interessanti 27 lavoratori per giornate lavorative 437 (penalità previste 1.748.000); sono stati redatti quattro rapporti giudiziari a carico di quattro ditte principali e 13 intermediarie, interessanti 257 lavoratori per giornate lavorative 9.521 (penalità 38 milioni e 4.000). Sono state inoltre elevate 15 contravvenzioni per violazioni della legge sul collocamento, due per violazione legge INAIL, due per violazione leggi minori, due per violazioni leggi varie. Le predette pratiche sono state esaminate solo dal punto di vista delle leggi sopra citate, mentre occorre ancora approfondire l'aspetto circa le eventuali evasioni contributive, aspetto che richiede l'impiego di maggiore tempo per l'elaborazione dei dati. Sono stati ripresi ed esaminati i verbali di interrogatorio di circa mille lavoratori trovati nei cantieri ispezionati nel giorno 11 maggio u.s. Si è provveduto a trasmettere all'autorità giudiziaria la maggior parte dei verbali di contravvenzione elevati in ordine alle infrazioni riscontrate.
L'Ispettorato mi ha comunicato che si prevede che entro la corrente settimana possa essere ultimato il lavoro e di essere quindi in grado di comunicare anche a me i risultati definitivi dell'azione svolta. Le indagini da parte dell'Ispettorato continuano, come abbiamo appreso anche dai giornali stamattina (compresa l'indagine da parte della Magistratura) pur nei limiti consentiti dall'insufficiente organico di funzionari.
Mentre, se pur con le difficoltà ed i limiti denunciati, è possibile se non stroncare almeno ridurre il fenomeno della intermediazione della manodopera, più difficile si presenta la repressione del così detto racket il quale, secondo le voci correnti, si concreterebbe sia nel procacciamento e sfruttamento della manodopera, sia nel procacciamento dei sub-appalti dando luogo ad una vera e propria estorsione a favore del procacciante.
Gli elementi, però, acquisiti dall'Ispettorato del Lavoro in ordine a tale fenomeno non sono, sino ad oggi, sufficienti per poterne asserire con sicurezza l'esistenza e tanto meno l'estensione le quali, in ogni caso, in quanto concreterebbero precise fattispecie penali restano di competenza di altri organi di Stato.
Il Ministero del Lavoro ha già da tempo prospettato la necessità di un aumento dell'organico degli ispettori del lavoro per realizzare una più severa vigilanza sull'osservanza di detta legislazione sociale; tale aumento non è stato ancora possibile realizzare perché dev'essere attuato nell'ambito del riassetto generale dell'amministrazione statale.
Nell'ultimo quinquennio sono stati indetti numerosi concorsi per 400 posti del personale direttivo degli Ispettorati del lavoro. Tali concorsi, per il livello basso delle retribuzioni previste, sono andati pressoché deserti e si sono avuti complessivamente 122 vincitori di cui 47 non si sono presentati e dieci sono risultati successivamente dimissionari. Il Ministero del Lavoro, avvalendosi del Decreto Presidenziale n. 10775 che prevede nuove norme per le categorie tecniche, sta organizzando concorsi a carattere regionale per 2000 funzionari. Il suddetto Ministero, secondo i dati che ho richiesto, intende anche avvalersi per l'aumento del personale dell'Ispettorato del Lavoro, delle norme sull'igiene e sulla sicurezza del lavoro attualmente all'esame del Parlamento. Intende pure ristrutturare gli Ispettorati del Lavoro riducendone alcuni compiti a vantaggio di quelli più peculiari concernenti appunto la vigilanza sul lavoro.
Da parte mia ho ancora interessato, credo con esito positivo, il Ministero del Lavoro appoggiando la richiesta del Direttore dell'Ispettorato provinciale del lavoro di Torino perché, in attesa di una ristrutturazione generale, gli venisse assegnato un aumento di otto ispettori di cui tre tecnici, di dieci carabinieri e di cinque impiegati proprio per consentire il potenziamento dell'azione repressiva contro il racket dell'edilizia. La Regione, consapevole della gravità del fenomeno ritiene anzitutto necessaria una modificazione legislativa che estenda, in deroga all'art. 5 della legge n. 1369, l'obbligo della solidarietà sancito dall'art. 3 anche nei casi previsti dallo stesso art. 5. Occorre poi inasprire le sanzioni (oggi troppo tenui) a carico di chi viola le varie disposizioni della legge 1369 nella quale deve anche essere fissato un più rigoroso concetto di impresa.
Di tale necessità si farà interprete la Regione presso i competenti organi centrali. Si ritiene, però, che una radicale repressione del fenomeno sia possibile soltanto oltre che modificando l'attuale legislazione in subiecta materia, rimuovendo nel quadro della programmazione, le cause economiche che ne hanno determinato la nascita e l'estensione. Occorre anche - e la Regione se ne farà promotrice - una più stretta collaborazione tra l'Ispettorato del Lavoro e i Sindacati i quali in quanto tutori dei diritti dei lavoratori con i quali sono in continuo contatto, possono denunciare i casi di violazione della legge n. 1369 e delle altre disposizioni vigenti oltre che suggerire l'opportunità di nuove norme.
Circa la richiesta di una Commissione d'inchiesta sulle condizioni di vita degli immigrati, posso dire che la Giunta sta ancora vagliandola perché il fenomeno dell'intermediazione e il problema delle condizioni di sicurezza, igienico-sanitarie dell'ambiente di lavoro, non riguardano i soli immigrati e anche per non intralciare l'attività dell'Ispettorato del lavoro e della Magistratura, azione che a quanto pare si fa sempre più incalzante ed efficace.



PRESIDENTE

Io ho accolto la possibilità che queste risposte fossero congiunte, ma faccio presente, per la regolarità futura dei nostri lavori, che secondo l'art. 48 comma sesto del regolamento, quando il Presidente lo disponga, ad interrogazioni relative a fatti ed argomenti identici e strettamente connessi può essere data risposta contemporaneamente. Quindi compete ai membri del Consiglio Regionale o della Giunta di proporre la congiunzione compete al Presidente di disporla. Non ho avuto il tempo di rispondere che non avevo nessuna difficoltà, visto che anche gli interroganti erano d'accordo; ma sarebbe bene in avvenire che mi si lasci il fiato necessario per poter disporre la congiunzione.
Abbiamo congiunto parecchie interpellanze ed interrogazioni insieme. Ha facoltà di replicare per primo il presentatore dell'interpellanza, il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Mi dichiaro soddisfatto delle risposte della Giunta e dei suoi Assessori. Circa la risposta data dal Vicepresidente Cardinali faccio presente che la soddisfazione riguarda particolarmente l'impegno che si è assunto per un colloquio con i Sindacati, attraverso il quale potranno sorgere interessanti iniziative. La recente legge sulla casa concede alle Regioni amplissimi poteri; le assemblee regionali diventeranno gli arbitri delle somme da assegnare, quindi il problema si fa più importante.
Rilevo anche dalla risposta dell'Assessore Conti che è molto significativa la serie dei dati portati, però rilevo che le risposte date dal Ministero del Lavoro e dall'autorità giudiziaria sono ancora assai esigue rispetto all'entità del problema, perché le 125 denunce fatte dall'Ispettorato del Lavoro non corrispondono alle violazioni. Oggi i lavori sono dell'ordine di qualche centinaio di miliardi, quindi l'impegno preso dall'Assessore a nome della Giunta di volersi fare interprete di questa situazione e di cominciare a fare un'analisi dettagliata è importante, perché va rilevato che questa indagine va fatta su tutta la fascia del mondo del lavoro dell'edilizia. L'impegno preso dalla Giunta quindi, attraverso i suoi due rappresentanti, ci lascia soddisfatti.



PRESIDENTE

Ha facoltà di dichiararsi soddisfatto o insoddisfatto il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Io sono soddisfatto delle parole dette dal Vicepresidente della Giunta attendo il 16 luglio per dichiararmi soddisfatto anche di quello che avrà fatto la Giunta; Cardinali perdonerà la riserva, ma viviamo in una Regione dove alcuni esponenti della Giunta le cose non le dicono per non doverle fare, qualche volta le dicono soltanto, sovente dopo averle dette passano dei mesi prima che si facciano e altre volte non si fanno per niente. La riserva ha questa motivazione di fondo che è perenne, su tutto, e che vale anche per questa questione.
Rispetto all'imperiosità delle date scritte nell'interrogazione, mi permetto di ricordarle e di tenerle presenti perché sono motivate; entro il 29 giugno e non prima l'incontro tra la Giunta e i Sindacati, perché i Sindacati hanno detto di non essere disponibili essendo a Roma nella settimana entrante. D'altra parte la riunione è indispensabile abbia luogo prima di quella del Consiglio, se la Giunta intende arrivare ad un progetto di delibera su cui aprire la discussione attraverso la procedura, ormai instaurata, delle Commissioni. Ecco l'urgenza di fissare una data. Entro il 10 luglio prospettare al Consiglio le linee di intervento della Giunta questa proposta è coerente con la proposta generale che il nostro Gruppo ha fatto sui lavori del Consiglio, che verrà fra poco discussa dai Capigruppo entro il 15 luglio promuovere presso la Regione un incontro fra i principali comuni della Regione stessa, la Gescal, l'Icap, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni cooperative, anche perché io sono meno fiducioso di voi che la legge sulla casa passi tranquillamente nel testo attuale. E' probabile che il Presidente della Giunta sia in questo momento occupato a Roma a elaborare il modo per farla cambiare un pochino, per contribuire a modificare qualche cosa nell'assetto politico del Paese e forse per far cambiare casa anche a qualche alleato di Governo (è probabile che le sue cure in questi giorni siano rivolte in questa direzione) quindi la data del 15 luglio è opportuna perché può darsi che coincida con la fase in cui il dibattito parlamentare sulla casa servirà a richiamare a tutti l'utilità di insistere in una direzione che possa migliorare la legge, ma non la peggiori.
Detto questo, oltre alle scadenze che sono state ricordate e che la Giunta si era impegnata a rispettare, voglio fare presente (non anticipando la discussione che faremo in Consiglio) che ci muoviamo su un terreno minato, dove è possibile che la pressione dei Sindacati e le giuste preoccupazioni qui rilevate siano strumentalizzate dall'iniziativa e dagli speculatori privati, per spingere in una direzione esattamente contraria a tutti gli interessi di pianificazione, a tutti i problemi di programmazione, a tutti gli indirizzi che abbiamo sancito nello Statuto e in più documenti.
La mia raccomandazione alla Giunta è di fare in modo di attuare le convergenze di tutte le forze interessate al problema, tenendo ben presente, ben fermo l'indirizzo generale che dobbiamo avere su questa materia, costringendo tutti gli interlocutori attorno ad un tavolo, facendo assumere alla Regione un ruolo promozionale in questo incontro, non presentandosi come una parte neutra, ma come una parte che ha un ruolo politico ben definito da svolgere, ruolo che difficilmente sarà di natura finanziaria, ma potrà essere di enorme rilevanza sul piano politico.
L'ultima raccomandazione è che all'incontro con i Sindacati sia abbinato (congiuntamente o successivamente) l'incontro con il movimento cooperativo che in più occasioni nell'anno in corso ha fatto presenti piani, suggerimenti, idee in questo campo e che può essere un interlocutore estremamente valido anche per controbilanciare spinte che tendono a esagerare la crisi edilizia per poi derivare delle conseguenze di natura tutt'altro che corretta da parte della Regione e da parte dell'intervento pubblico. Questa richiesta delle cooperative è già stata fatta per i canali tradizionali, la ripeto qui perché sono stato sollecitato a farlo dalle stesse, ancora ieri; prego la Giunta di tenere conto nell'inviare le lettere di convocazione.



PRESIDENTE

Hanno facoltà di dichiararsi soddisfatti o insoddisfatti i presentatori dell'interrogazione a firma dei Consiglieri Benzi e Vera.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Benzi.



BENZI Germano

Signor Presidente, signori Consiglieri, ringrazio l'Assessore Conti per l'esauriente risposta che ha dato, ciò che rincresce è che bisogna arrivare, per far muovere l'Ispettorato del Lavoro, carabinieri e polizia a un delitto con quattro morti per avviare un'azione che da anni stiamo aspettando.
La situazione della manodopera dei cantieri di Torino e provincia era conosciuta, da tutti noi che frequentiamo certi ambienti, almeno da quattro o cinque anni e se non c'era un delitto il 1^ maggio forse si andava ancora avanti per altri mesi. Nel 1970 su 45.000 dipendenti dei cantieri solo 22.000 erano iscritti alla cassa dell'edilizia, perciò 23.000 lavoravano in condizioni che io chiamo disumane, facendo 12/14 ore al giorno, con delle paghe al di sotto dei minimi contrattuali. Inoltre, nei vari incidenti mortali che capitano nei cantieri edilizi, il 50 per cento di quelli che lasciano la pelle non sono assicurati. Io vorrei sapere cosa succede alle famiglie di quei disgraziati quando il loro congiunto muore sul lavoro senza assicurazione. Noi dobbiamo rendere responsabili le ditte che fanno questi appalti, quando assumono sub-appaltatori (che sappiamo tutti chi sono) si facciano portare i libretti di lavoro per poterli controllare, si facciano portare i libri-paga per vedere che cosa denunciano. E' troppo comodo dire che si faranno altri concorsi. Io vorrei vedere quante cose sono sfuggite alle ispezioni, quanti operai sono scappati per i campi per non farsi acciuffare nei cantieri. La Regione ha il dovere di tutelare i diritti di questi lavoratori, ha il dovere di intervenire; gli interventi di questi giorni sono nati dal fatto che quattro poveracci sono morti perché un altro li ha sfruttati, ma quanti altri sono in quelle condizioni? L'Assessore Conti ha fatto una relazione veramente molto interessante e gli do atto dello sforzo che ha compiuto, però non è sufficiente, occorre intervenire decisamente per eliminare questo sfruttamento. Le ditte appaltatrici siano rese responsabili, controllino i libretti di lavoro quelli delle marche assicurative, questo devono fare, non imbrogliare chi lavora onestamente, perché arriviamo a questo assurdo: chi lavora onestamente in Italia rimane danneggiato dai farabutti; questo non lo possiamo accettare.


Argomento:

O.d.g. della prossima seduta


PRESIDENTE

Rinviamo la discussione delle interrogazioni a questo pomeriggio. La conferenza dei Capigruppo è convocata in questa sede alle ore 15. Il Consiglio è convocato in questa sede alle ore 16 con il seguente o.d.g.: 1) Comunicazioni del Presidente 2) Comunicazioni della Giunta delle Elezioni sulle conseguenze da trarre dalle dimissioni del Consigliere Rotta e deliberazioni conseguenti 3) Proposta di ordine del giorno: diritto di voto agli elettori residenti all'estero 4) Proposta di mozione Garabello ed altri sui problemi dell'emigrazione 5) Interrogazioni e interpellanze 6) Proposta di mozione Chiabrando e altri sul progetto di costituzione di un Centro piemontese di commercializzazione dei prodotti alimentari elaborato dal Comune di Torino.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,45)



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