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Dettaglio seduta n.43 del 27/05/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Desidero rivolgere un saluto cordiale all'avv. Debenedetti, Assessore al Turismo, rientrato fra noi a svolgere la sua attività dopo un periodo di malattia.
Devo anche informare il Consiglio che un gruppo di cottimisti dell'Opificio militare mi hanno interessato poc'anzi ai loro delicati e gravi problemi, che sono stati evidenziati all'attenzione del Consiglio Regionale da una interrogazione a suo tempo proposta dai Consiglieri Lo Turco e Franco Revelli e che verrà portata in discussione nella prossima tornata di lavori del nostro Consiglio Regionale. E' un problema indubbiamente molto delicato, grave ed urgente, che il Consiglio Regionale penso non mancherà di esaminare in tutta la sua profondità, per far sentire con voce unanime agli organi del potere centrale la necessità di dare soluzione a questo problema che si trascina ormai da anni, così da dare soddisfazione a questa categoria di persone, molte delle quali, molto anziane, si trovano in una situazione tutt'affatto precaria, dalla quale hanno bisogno di uscire. Penso che l'interrogazione potrà essere esaminata e discussa nella prossima riunione del Consiglio.
Ha scusato l'assenza il Consigliere Giovanni Borello.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Mozione del Consiglio Regionale sulla vertenza sindacale Fiat


PRESIDENTE

L'ordine del giorno reca al punto 4: "Mozione vertenza sindacale Fiat".
I Capigruppo dovrebbero aver ricevuto copia delle mozioni che si sono aggiunte a quella già presentata, che costituiva il motivo di questa discussione, e quindi sono a conoscenza dei diversi punti di vista espressi dai vari Gruppi consiliari.
Ha facoltà di parlare per primo uno dei presentatori della prima mozione, per illustrarla. Essa reca le firme dei Consiglieri Bruno Ferraris, Mario Giovana, Adalberto Minucci, Aldo Viglione, Giovanni Furia Nerio Nesi. Il Consigliere Mario Giovana ha fatto sapere che per una indisposizione, che mi auguro di poco conto, non può essere oggi presente ai lavori del Consiglio.
Chiede di parlare il Consigliere Minucci. Ne ha facoltà.



MINUCCI Adalberto

Signor Presidente, egregi colleghi, il Gruppo Comunista ha proposto insieme ad altri Gruppi - quello del Partito Socialista Italiano e quello del Partito Socialista di Unità Proletaria - questa mozione, che credo sia stata letta da tutti i colleghi, per due ragioni essenziali. La prima è che la vertenza sindacale in atto alla Fiat da oltre un mese apre indubbiamente una serie di implicazioni di ordine sociale, economico e politico il cui rilievo va ben oltre i limiti stessi della vertenza e ben oltre anche i confini del Piemonte, ma che indubbiamente investono in modo particolare gli interessi e le stesse prospettive della nostra Regione. Per questo il Consiglio Regionale non può restare estraneo ai problemi che la vertenza propone, e credo che sia gli organi della Regione sia le forze politiche presenti nel Consiglio debbano assumersi una precisa responsabilità, che è in primo luogo responsabilità politica. La seconda è che la piattaforma rivendicativa avanzata dai lavoratori della Fiat e dal movimento sindacale unitario si rivolge direttamente non soltanto alla dirigenza aziendale sollecitando all'azienda stessa una serie di modificazioni che investono le strutture produttive ed i metodi di gestione aziendale, ma anche ai poteri pubblici, alle assemblee elettive e segnatamente alla Regione stessa, per richiedere misure di riforma e l'approntamento di piani e strumenti operativi collegati alle misure di riforma, in particolare per ciò che concerne la strutturazione del nuovo servizio sanitario nazionale, la sua dimensione regionale, i suoi contenuti, i suoi collegamenti organici con l'ambiente di lavoro, cioè con il problema che i lavoratori della Fiat pongono al centro della loro vertenza, e - per ciò che riguarda anche le strutture e gli strumenti operativi che la Regione dovrà affrontare - in un ambito, fra l'altro, direttamente sottoposto alla sua facoltà legislativa quello dell'istruzione professionale, cioè della formazione della forza lavoro.
Sotto entrambi questi profili le vicende della Fiat rappresentano, a nostro avviso, un banco di prova di grande importanza per la politica regionale e per le forze politiche che sono rappresentate in questo Consiglio. E noi ci auguriamo che nel corso di questa discussione possano maturare elementi tali da consentire alla maggioranza dei Consiglieri, ed in particolare alle forze democratiche, alle forze che tendono a sottolineare in questo momento i ruoli, i compiti dell'istituto regionale di raggiungere fra di loro punti di contatto e convergenze che rendano utile e di grande significato la presa di posizione della Regione e favoriscano in questo modo una soluzione positiva della vertenza Fiat.
Vorrei soffermarmi soprattutto sui problemi collegati al primo ordine di fattori che ho accennato, cioè a quelli di ordine politico sociale ed economico generale; sul secondo gruppo di problemi, che attengono con maggiore specificità alle funzioni operative della stessa Regione, si soffermerà poi il Presidente del mio Gruppo, collega Berti.
Vorrei intanto notare - e credo che la cosa abbia un interesse per tutto il Consiglio Regionale, anche per i colleghi degli altri Gruppi - che questo dibattito si svolge in un clima che in qualche modo è mutato, ed è mutato in meglio, almeno dal punto di vista dei lavoratori della Fiat, dei movimenti sindacali e politici che si richiamano ai lavoratori, rispetto a periodi precedenti, rispetto anche a qualche settimana fa. I colleghi che seguono le lotte, i travagli del mondo del lavoro, sanno benissimo che quando il movimento sindacale unitario, ed anche il movimento operaio in genere nelle sue espressioni politiche, posero già nell'autunno '69, nel famoso "autunno caldo", e poi con sempre maggior chiarezza e precisione di termini nei mesi successivi, nel corso dell'anno '70, in questa prima metà dell'anno '71, il problema, l'esigenza, la necessità sempre più stringente di una trasformazione dell'organizzazione del lavoro e del complesso di rapporti aziendali che caratterizzano non soltanto la realtà della Fiat ma anche delle altre aziende, della maggioranza delle aziende italiane; quando appunto questo problema fu posto al centro della lotta di classe, della lotta politica nel nostro Paese, si reagì da parte del grande padronato, in particolare della Direzione della Fiat, dei suoi organi di stampa, di tutta quella serie di forze che possiamo in qualche modo rapportare o identificare con il grande mondo padronale italiano, con una campagna che assunse in certi momenti toni di scandalo, di allarme esasperato ed anche di isterismo vero e proprio: qui si vuol sabotare la produzione, si vuol impedire il corretto o normale funzionamento delle strutture aziendali porre in crisi le aziende e naturalmente determinare la rovina della Patria, della Famiglia, del Paese e così via.
Attorno a questo tema hanno fatto le loro prime prove i vari comitati tricolori, sempre patriottici quando si tratta di difendere i profitti del padrone, e tutta quella serie di movimenti e submovimenti di tipo apertamente reazionario o qualunquistico che in questi mesi, e soprattutto nel corso degli ultimi due anni, hanno fatto le loro prove. Qualcuno più ben educato - mi riferisco in questo momento soprattutto al Presidente dell'Intersind, Glisenti, che è uno dei personaggi televisivi di questo periodo politico -, anziché assumere il tono del crociato e confondersi che so io, con i padroni più retrivi o con i fascisti, ha adottato atteggiamenti ironici, tendenti a smantellare le rivendicazioni del movimento operaio attraverso la sottovalutazione, la battuta. Molta stampa gli si è accodata su questa strada - ma come, si vuol cambiare l'automobile? C'è un altro modo di fare l'automobile? Si vuol fare l'automobile con tre ruote, o con cinque, e così via, o con le ali? - per creare per questa via, appunto, un clima quanto meno di sottovalutazione o di ostilità alle lotte operaie.
Io credo che i colleghi che hanno seguito in questo periodo le stesse polemiche di stampa si renderanno conto che qualcosa ha cominciato a cambiare nelle ultime settimane e che oggi il problema si pone al centro delle discussioni, oltre che delle lotte, in un modo tale che è sempre più difficile alla stampa qualunquista e reazionaria orchestrare su di essa le sue campagne reazionarie o tentar di confondere le idee alla grande opinione pubblica.
Che cosa sta avvenendo oggi? Che da più parti si riconosce ormai ai Sindacati ed ai lavoratori non soltanto il diritto, la legittimità di esporre le proprie idee, ma anche l'esattezza di quello che vanno sostenendo. Anche nelle dichiarazioni degli esponenti della Fiat e di altri ambienti padronali si nota un cambiamento di tono in questo senso: sì certo, i lavoratori sostengono cose giuste, e sarebbe molto bello poter fare quel che propongono i Sindacati, ma è difficile, bisogna aspettare, in questo momento non è possibile accogliere tutte le loro richieste; vedremo ci vuol buon senso, si deve dar tempo al tempo; e così via. Non si tratta solo di una sfumatura. Il velo delle menzogne, della campagna artificiosa dell'allarmismo, che noi per primi abbiamo denunciato fin dal suo inizio oggi comincia a essere lacerato e si è costretti a scendere sul terreno di discussione che il movimento operaio ha voluto si determinasse. La verità cioè, comincia a farsi luce, ed io credo sia difficile che non riesca a venire in piena evidenza. Perché non stiamo parlando dell'araba fenice o di qualche oggetto misterioso, ma di una realtà strutturale, sociale, che è sotto gli occhi di tutti. Quando si parla della Fiat, delle altre grandi aziende del nostro Paese, stiamo parlando di cose che riguardano direttamente centinaia di migliaia di lavoratori, che riguardano mezza Torino in modo diretto ma direi tutta Torino in modo indiretto. Chi nella nostra città - sia pure il più isolato, aristocratico personaggio della nostra città - non conosce un operaio della Fiat, non conosce i suoi problemi, non conosce quella grande fetta di realtà che la Fiat rappresenta nella nostra città? Ecco perché l'entità e la qualità reali dei problemi posti dal movimento operaio e dalla lotta nella grande azienda automobilistica non possono essere né nascosti né mistificati, e sempre più, soprattutto in questo periodo, emerge la verità, emergono i contenuti reali dei problemi che si son venuti ponendo.
Voi ricorderete, ad esempio, che da vario tempo a questa parte soprattutto negli ultimi mesi, la campagna contro le lotte operaie ha coniato alcuni termini che sono diventati ormai popolari anche fra la gente semplice (ci ha pensato "La Stampa" a popolarizzarli a suo modo). Uno di questi termini nuovi è "assenteismo". Ci si scandalizza per il fatto che 18.000 lavoratori al giorno su 185.000 del Gruppo Fiat non si presentano a lavorare per ragioni di piccola malattia, come vengono definite: nevrosi esaurimenti, fenomeni di stanchezza eccessiva e così via. Si parla di crescita della produzione di scarto e di un certo calo del rendimento individuale denunciati dalla Direzione della Fiat, e denunciati, per la verità, anche dal movimento sindacale. In un primo tempo si è detto: tutto questo avviene perché i lavoratori improvvisamente sono diventati svogliati, non hanno più voglia di lavorare (chissà perché prima sì, oggi no), forse perché i lavoratori hanno preso coraggio e rivelano la loro atavica pigrizia, per il fatto che i Sindacati sono diventati troppo prepotenti, contano troppo, incoraggiano appunto questa svogliatezza o l'anarchismo sociale insito nella classe operaia; o forse il Parlamento è stato così sventato da approvare una legge come quella che si chiama statuto dei diritti dei lavoratori, che apre le maglie a chissà quali libertà, ad eccessi e licenze da parte dei lavoratori? In realtà, questa campagna, che ha assunto questi toni, che ha sempre insistito su questi elementi artificiali, si sta spuntando anch'essa sempre di più, ed oggi da parte di tutti, degli stessi ambienti padronali, si riconosce che fenomeni come l'assenteismo e l'aumento dello scarto nella produzione (cioè l'aumento del numero dei pezzi difettosi che debbono essere scartati) sono fenomeni dovuti ad una sorta di reazione spontanea ed oggettiva a determinati processi che avvengono in fabbrica. In altre parole, l'aumento di assenteismo, che effettivamente ha toccato punte anormali ed allarmanti (io non so se è vero, e in base a quali criteri, a quali calcoli scientifici, la Direzione della Fiat sostenga che il numero delle assenze normali quotidiane dovrebbe essere del 4 per cento e non del 12-13 per cento com'è attualmente, ma è indubbio che un assenteismo del 12 13 per cento, a lume di buon senso, appare estremamente elevato ed abnorme), ed i fenomeni ad esso connessi sono sempre più visti, anche da coloro che si sono schierati e si schierano contro il movimento operaio come un limite, oggettivo e direi storico, di un modello di organizzazione del lavoro, di un modello di gestione delle aziende.
Vi è cioè, ed io credo che si possa consentire su questo punto, un elemento oggettivo che va preso in esame prima di tutto se vogliamo capire qual è la realtà che dobbiamo analizzare e fronteggiare: c'è un modello di organizzazione aziendale, di rapporti aziendali che io definirei ventennale, perché in fondo è nato (richiamandoci alle aziende maggiori alle aziende-pilota, come la Fiat) all'incirca vent'anni fa, dopo la ricostruzione post-bellica, e si è fondato su determinati criteri che alcuni avranno apprezzato, noi abbiamo invece sempre denunciato, quali, ad esempio, il criterio di una facile disponibilità della mano d'opera a buon mercato, il criterio del conseguimento di nuovi livelli di produttività attraverso una continua intensificazione del lavoro.
Intendiamoci bene, non intendiamo dire che manchino le innovazioni tecnologiche. Anche alla Fiat, anzi, proprio alla Fiat, c'è stata, in determinati periodi in questi vent'anni una intensa attività di investimento, di innovazione tecnologica. Ma le innovazioni tecnologiche sono state sempre viste in funzione di un'accresciuta intensità del lavoro cioè sono state viste come basi, come occasioni per intensificare lo sfruttamento dei lavoratori. Si è trattato di una linea di sviluppo tecnologico che ha puntato tutte le sue carte sullo sviluppo del processo cosiddetto di parcellizzazione del lavoro, sulla scomposizione, cioè, delle operazioni lavorative portata fino all'estremo, fino alla esasperazione appunto, per raggiungere per questa via maggior fluidità ed una maggiore velocità della linea produttiva, il che vuol dire appunto intensificare il lavoro umano applicato alla linea produttiva.
Credo che ognuno di noi abbia potuto rendersi conto, comunque attraverso la lettura di inchieste giornalistiche, di inchieste sociologiche, di saggi e così via, oltre che attraverso denunce del movimento sindacale, del movimento politico dei lavoratori, come questo abbia portato a processi continui di dequalificazione del lavoro (oggi, per esempio, la manovalanza comune alla Fiat, formata dagli appartenenti alla famosa terza categoria, che è una sorta di limbo, rappresenta addirittura il 75 per cento della maestranza, con il 57-58 di vent'anni fa, cioè è aumentata enormemente questa fascia di lavoro dequalificata); voi tutti sapete, anche perché il collega Lo Turco ha fatto più volte il quadro della situazione di fabbrica sotto questo profilo, quali siano i rischi, le condizioni cui è assoggettata la salute fisica dei lavoratori, conoscete il tipo di sfruttamento psicofisico adottato nei confronti dei lavoratori (oggi persino la televisione è costretta a fornirci in certi servizi il quadro di una situazione drammatica, ed io invito i colleghi che non hanno occasione di farlo solitamente ad andare ad assistere all'uscita degli operai da certe fabbriche, per esempio l'Officina 2 alla Mirafiori, dove lavorano gli addetti alle carrozzerie, o le Ferriere: vedrete sul loro volto il segno di quel che hanno patito nelle otto ore trascorse alla linea di montaggio).
Tutto questo non ha soltanto colpito la forza-lavoro operaia: ha colpito anche i tecnici e gli impiegati, spersonalizzando enormemente la loro funzione, dequalificandola. Non voglio andare ai casi limite in cui il tecnico, il capo viene ridotto ad una sorta di sorvegliante e qualche volta di aguzzino degli operai: parlo del tecnico nell'accezione più generale di questa espressione. Inserito in una gerarchia sempre più parcellizzata dove la specializzazione diventa veramente perdita di ogni cognizione del lavoro che si fa, della funzione che si ha nel complesso produttivo diventa un puro ingranaggio di un meccanismo.
Tutto questo ha significato anche, e sta significando sempre di più una remora alla stessa struttura produttiva, allo stesso processo produttivo, visto non dal punto di vista operaio, in questo caso, ma dal punto di vista, se volete, del padrone o della collettività in generale.
Perché, per esempio, alla Fiat c'è questo cosiddetto "turn-over", o ricambio della mano d'opera, così intenso, irrazionale ed antieconomico? Che cosa significa quello che lo stesso Agnelli ci viene a dire: che il 50 per cento degli operai assunti nel 1970 alla Mirafiori ha abbandonato la fabbrica entro l'anno? L'assenteismo stesso, e tutti i fenomeni ad esso connessi, di fatto si ritorcono contro questo sistema produttivo, contro questo modello di organizzazione del lavoro.
Ebbene, a cosa assistiamo oggi? Ad una serie di fenomeni che rappresentano un limite oggettivo a questo tipo di organizzazione del lavoro, a questo tipo di gestione aziendale. Oggettivo - insisto su questo termine - nel senso che al di là della sacrosanta ribellione degli operai a questo sistema di sfruttamento c'è un limite invalicabile, oltre il quale non è possibile andare. Fino ad oggi, vedete, la Fiat ha ottenuto dei veri e propri salti di produttività attraverso questo metodo di organizzazione perché aveva di fronte a sé degli spazi, dei margini che le consentivano intensificando il lavoro, di raggiungere livelli nuovi di produttività.
Oggi, questi spazi, questi margini non ci sono più. Io non dico che non sia ancora possibile alle linee di montaggio della Mirafiori scomporre ulteriormente in qualche misura le operazioni di lavoro così da arrivare ad una velocità della catena ancor maggiore; ma queste possibilità sono diminuite, non offrono più, cioè, quei margini, quei traguardi di produttività, di sviluppo produttivo che hanno offerto in passato. Cioè, ci si trova di fronte ad un vero e proprio plafond, ad un tetto oltre il quale non è possibile andare. E voi sapete, per esempio, che proprio alla Mirafiori, e direi nel complesso del Gruppo Fiat, le linee di montaggio sono il punto di riferimento della produttività complessiva: dipende dalla velocità delle catene di montaggio il sistema di produttività per tutte le altre officine collegate.
Accanto a questo limite oggettivo, che segna la crisi di un modello di organizzazione, indubbiamente c'è anche una crisi dei rapporti aziendali nel loro complesso, del rapporto fra lavoratori e gerarchia aziendale della collocazione dei quadri dirigenti stessi all'interno del processo produttivo. E tutto questo è indubbio merito (qualcuno dirà colpa) delle lotte dei lavoratori in questi due anni, della maturità nuova del movimento sindacale, dei nuovi organismi di democrazia e poteri e capacità di intervento e forza contrattuale che il movimento sindacale e il movimento operaio hanno conquistato negli ultimi due anni, in un processo di lotte che ha avuto nell'autunno caldo il suo punto più alto ma che è proseguito ed oggi ha in questa vertenza una nuova grande tappa.
E' indubbio che c'è stata una crescita della coscienza dei lavoratori della loro forza organizzata, degli strumenti attraverso cui questa coscienza si esprime: basta pensare all'importanza decisiva dei delegati dei consigli di fabbrica ai fini dell'esercizio di un controllo e di un potere contrattuale che ovviamente impedisce ai dirigenti aziendali di operare quello stesso sfruttamento che operavano in passato e che rappresenta comunque un freno ad andare nella direzione in cui si è proceduto nel passato. Ma voi vedete che questa reazione dei lavoratori che noi abbiamo fatto tutto il possibile perché si esprimesse e puntasse in direzione di un mutamento radicale della condizione operaia nella fabbrica tuttavia si intreccia strettamente ad un limite oggettivo e storico che oggi è presente nell'organizzazione delle fabbriche. Soltanto vedendo insieme questo limite oggettivo e questa nuova forza soggettiva, cioè il punto d'arresto che è rappresentato dalla lotta della classe operaia, si può capire la entità di questo grande travaglio che oggi vivono le aziende italiane e si può anche vedere qual è la strada per cui si può uscire da questo travaglio su una linea positiva.
Vorrei aggiungere che a tutto questo si sommano, poi, anche dei limiti e delle contraddizioni interne alla classe dirigente industriale del nostro Paese e intorno allo stesso staff dirigente della Fiat. Voglio dirlo, non solo per una esigenza polemica cui tengo: sentiamo sempre accusare i Partiti operai, i Sindacati, i lavoratori, di sabotare la produzione, di non saper vedere in prospettiva, di non essere illuminati ecc. ecc., mentre questa classe dirigente, questo padronato ci viene presentato come altamente illuminato, ricco di uffici studi, di grandi trusts di cervelli capaci di rappresentare quasi una sorta di oggettività che non si discute.
Se poi osserviamo bene, non è affatto così: questi signori fanno errori hanno contraddizioni, limiti seri, e a noi interessa anche esaminare questi limiti, questi errori, queste contraddizioni. Noi siamo stati educati dal fondatore del socialismo scientifico, Carlo Marx, a rendere l'onore delle armi ai nostri avversari di classe, ed infatti più volte insieme alla protesta, anche dura, e alla denuncia di quello che ha significato abbiamo reso l'onore delle armi, per esempio, a Vittorio Valletta, in cui abbiamo più volte indicato un grande capitano d'industria, un grande avversario dei lavoratori. Ebbene, dobbiamo dire che il management, o lo staff di direzione della Fiat, seguito ai tempi aurei di Valletta, non ha dimostrato di meritare molti onori delle armi.
Abbiamo avuto, intanto, una errata politica degli investimenti aziendali. Nel decennio '60, soprattutto nel periodo '63-'70, si è rilevata una stasi degli investimenti tecnologici all'interno dell'azienda, mentre si esportavano molti capitali, si investiva molto all'estero. C'è poi stata una operazione del tutto sbagliata - ed oggi, se ben ricordo, questo errore è stato riconosciuto anche da settori importanti del gruppo dirigente Fiat: l'operazione Rivalta, questo nuovo stabilimento che ha accentuato tutti i costi di congestione che deve sopportare anche la Fiat, è fra l'altro una operazione errata anche sotto il profilo della politica di decentramento della Fiat, perché dimostra che non è una politica di decentramento quella che tende soltanto a decentrare le operazioni terminali della produzione dell'auto in quanto se si continua ad avere tutto il cuore dell'azienda a Torino, non si eliminano quegli elementi di crisi che questo sistema ha comportato in tutti questi anni.
Ma anche dal punto di vista della razionalizzazione produttiva interna ci sono cifre ufficiali riconosciute dalla stessa Fiat: sappiamo, per esempio, che il costo orario del lavoro è di 6 dollari alla General Motors e 2,5 alla Fiat, poco più della terza parte, pensate quale dislivello. Ci dicono, e non ho esitazione a crederlo, che le tecnologie produttive, cioè gli impianti, le macchine e così via, sono press'a poco allo stesso livello. Da che deriva allora questa diversità? E come mai quando si tenta di elevare questo costo del lavoro, che per raggiungere, o anche solo avvicinare, i livelli altissimi della General Motors ha ancora tanto spazio davanti a sé, voi cominciate a strillare, dite che l'azienda viene messa in pericolo e così via? Allora non siete capaci, non siete capaci di razionalizzare, non siete neppure capaci di fare il vostro mestiere. Perch tutto questo? Per un limite culturale. Eh sì, perché forse sapevano far meglio i ragionieri come Valletta degli ingegneri laureati al Politecnico di Torino. Non dobbiamo dimenticarci che anche i limiti culturali forse contano. Ma non si tratta solo di questo. Qui c'è una classe dirigente che per vent'anni ha gestito l'azienda avendo come criterio fondamentale quello che dicevo prima, cioè l'alta intensità del lavoro umano: quando si tratta di passare alla nuova fase, in cui invece si deve puntare sull'alta intensità del capitale, cioè su investimenti tecnologici di nuovo tipo allora non sanno più fare i conti con se stessi; non potendo più far leva sul ricorso alla disciplina spietata, alla disciplina ferrea, ci si trova impreparati ad affrontare i nuovi obiettivi.
Ecco, io credo che intanto questa lotta dei lavoratori della Fiat ha un grande merito, non soltanto per il Movimento operaio, per noi comunisti, ma credo per chiunque abbia appena appena a cuore lo sviluppo moderno del nostro Paese: quello di scoperchiare questa pentola, di mostrare questi limiti, di metterli a nudo e di aprire il discorso su come vanno superati.
A prescindere, vorrei dire, dalla qualità del processo nuovo che bisogna iniziare, almeno su questo mi sembra che la lotta operaia ci dovrebbe trovare tutti d'accordo, sul fatto che è necessario aprire una fase nuova.
Credo che dalle cose che ho detto qui, ma soprattutto da quanto tutti i colleghi avranno potuto apprendere dalla lettura e dalla conoscenza dei fatti, attraverso gli stessi giornali, sia facilmente deducibile che non è in gioco la sopravvivenza dell'azienda. Come dicevo all'inizio, oggi per fortuna su questo terreno si comincia ad insistere meno. I lavoratori non pongono affatto in gioco la sopravvivenza della Fiat, la sua efficienza produttiva: questa è una delle solite mercanzie molto deteriorate, per così dire, che la destra italiana rispolvera fuori ogni qual volta siamo di fronte alle lotte operaie. Tutta la storia sta ad indicarci che gli unici che possono avere in certi momenti interesse a mettere in gioco la stessa esistenza di una fabbrica sono i padroni, i quali, investendo altrove o vendendo, possono guadagnare più di quanto guadagnano tenendo aperta una fabbrica. Non ci capita tutti i giorni di avere esempi di ciò? La Marta non è qui a dimostrarci che è il padrone a voler chiudere una fabbrica, anche se si tratta di una fabbrica che produce, che ha ordinazioni e non è affatto in deficit? E tanti altri casi di aziende vengono a confermarcelo.
Gli unici ad avere interesse a che una azienda viva sono i lavoratori perché vi lavorano e dal lavoro dipendono la loro vita, la vita delle loro famiglie, le loro prospettive; essi non hanno capitali da spostare all'estero, possono solo andarsi a cercare un lavoro all'estero, purtroppo con sofferenze e con disperazione. Non è in gioco, dunque, la sopravvivenza dell'azienda; lo sono, invece, il suo sviluppo e la qualità del suo sviluppo. Il problema, cioè, è se si deve continuare con il vecchio modello o se si va verso una fase nuova e verso un nuovo modello. Se la Fiat ha di fronte a sé una prospettiva che insista sulle vecchie tendenze (intensificazione del lavoro, dello sfruttamento, parcellizzazione estrema del lavoro) o se invece va verso una nuova organizzazione, per esempio con fasi nuove di ricomposizione del lavoro, con minore sfruttamento della mano d'opera, con un assetto produttivo nuovo che faccia leva su un piano di investimenti tecnologici per elevare per questa via la produttività. Questo è il problema vero che oggi sta di fronte a noi. E mi sembra che sia reso più drammatico dal fatto che in realtà la prima ipotesi, quella di continuare sulla vecchia strada, non ha sbocchi di fronte a sé ed ogni insistenza da parte dei dirigenti aziendali perché si prosegua per quella strada, si respinga il discorso del movimento sindacale, è una insistenza davvero destinata a sabotare l'azienda ed a rappresentare un pericolo per l'economia torinese e nazionale.
Io capisco che a questo punto qualsiasi interlocutore che non sia della mia parte mi possa domandare: ma tu ritieni davvero che i padroni abbiano l'ingenuità di insistere su una strada così chiaramente senza sbocchi, così apportatrice di conseguenze negative? Perché non li consideri almeno così intelligenti da capire che la strada che indica il movimento operaio, la strada che richiede un innovamento di metodi e di organizzazione è in fondo una strada che converrebbe anche a loro? Io credo che da un lato ci sia anche questo aspetto: di chi, anziché avere la testa rivolta al futuro guarda al passato, gira la testa sulle spalle; ci sia anche questo riguardo, ci sia anche una grettezza politica, ci siano anche interessi in gioco all'interno del gruppo dirigente Fiat fra conservatori, rinnovatori.
Ma questo, se volete, è di interesse contingente, e, tutto sommato limitato. Il problema vero è un altro: è che se la posta in gioco non è la sopravvivenza dell'azienda, una posta in gioco molto alta c'è, ed è il peso che i lavoratori, il movimento sindacale avranno nel nuovo modello di gestione delle aziende; cioè, la posta in gioco è se la Fiat può continuare ad essere diretta sulla base di un potere padronale esclusivo, di un arbitrio esclusivo, di un uso indiscriminato e non controllato della forza lavoro, o se invece si sta affermando una linea in cui il movimento operaio diventa un reale interlocutore, ha un potere reale di intervento, e discute e condiziona e determina il modo di usare la forza lavoro. Questo è il vero problema. Noi non abbiamo la dabbenaggine né la pretesa di indicare con ci al signor Agnelli un nuovo paradiso tecnologico, ma diciamo al signor Agnelli: tu danneggi l'azienda. Sono i lavoratori a volere uno sviluppo reale dell'azienda, ma se i lavoratori vinceranno il tuo strapotere diminuirà ed aumenterà la facoltà, il potere d'intervento dei lavoratori.
Questo è il discorso vero.
Ma anche su questo io vi domando, colleghi Consiglieri: a questo discorso siamo davvero interessati soltanto noi comunisti ed i compagni socialisti, o non è interessata tutta la democrazia italiana, non sono interessate tutte le forze che si sono riconosciute, tanto per rifarci ad una grande tradizione comune, nella Resistenza, nel patto costituzionale? Non è interesse di tutti che i lavoratori contino di più, che i margini di decisioni unilaterali, di arbitrio, di prepotenza scompaiano, sia pure gradualmente, dalla società? Non è un interesse comune? Credo di sì, e credo che tutto questo sia un discorso che non può non essere recepito, non può non essere fatto proprio da una istituzione democratica e da un'assemblea come la nostra, che sul terreno di uno sviluppo della democrazia si colloca, direi, storicamente ed istituzionalmente.
In realtà, che cosa succede oggi? Perché lo scontro è così duro? Perché, nonostante le severe lezioni ricevute dal movimento operaio in questi ultimi due anni, vi sono ancora dei dirigenti industriali che si illudono di poter ricacciare indietro il movimento operaio, di potere, per esempio, fare sul piano dell'organizzazione produttiva e dei destini dell'azienda le stesse operazioni che hanno fatto agli inizi degli anni Cinquanta. Ricorderete che anche allora la Fiat per prima, seguita poi da altri complessi industriali, si trovò a dover fare un salto tecnologico, a dover aprire una nuova fase del proprio sviluppo, un ampliamento dei propri impianti, diciamo pure una nuova fase della sua storia di grande industria.
E allora come operò? In modo da eliminare ogni possibilità di influenza del movimento operaio. Sfruttando tutta una serie di motivi politici generali e, se volete, anche di errori del movimento operaio - incapacità ad intervenire sui problemi dello sviluppo aziendale -, la Fiat riuscì ad emarginare il movimento operaio, a provocare la sconfitta del movimento sindacale, ad instaurare una politica di discriminazione, tutto quello che sapete, e che trovò la sua espressione più grave nella sconfitta del movimento sindacale di classe del 1955; la Fiat ebbe in quel modo mano libera per poter organizzare la fabbrica come voleva, per poter costruire questo modello di organizzazione, i cui criteri di fondo ho indicato prima.
E tutto questo, secondo me, è stato pagato dai lavoratori, dalla città di Torino e dalla collettività nazionale. Perché tutto questo ha dato luogo ad un tipo di sviluppo del tutto unilaterale, monoculturale, come si dice, i cui costi sociali sono stati largamente pagati dalla collettività. Cioè, si è avuto un intenso sviluppo industriale ed economico, che non si è tradotto in progresso sociale, che non si è tradotto nel beneficio necessario e possibile per i lavoratori stessi e per la collettività.
Questo è il gioco che vuol fare la Fiat. Da ciò deriva la resistenza ad aprire la strada alle rivendicazioni dei lavoratori. I calcoli sono per sbagliati, perché il movimento operaio, facendo anche i conti con i propri errori, ha acquistato una nuova maturità, che oggi si misura sul terreno dell'organizzazione del lavoro, sul terreno dello sviluppo dell'industria nel contesto dell'economia nazionale, e su questo terreno addirittura lancia una sfida al grande padronato, che oggi il grande padronato si dimostra incapace di affrontare positivamente.
Ecco, ma si dice: se la piattaforma rivendicativa, le richieste del movimento sindacale dei lavoratori della Fiat possono avere una legittimità e produrre addirittura una spinta propulsiva allo sviluppo dell'azienda non si tiene conto - questa è la obiezione, un'altra trincea di obiezioni che viene scavata - del fatto che questa lotta, queste richieste si inseriscono in un contesto economico nazionale difficile. Non si tiene conto che non siamo più in periodo di sviluppo, di piena espansione, ma in un periodo di difficoltà, di vera e propria recessione, che non si pu tirare troppo la corda, ma bisogna pazientare. Anche su questo punto signor Presidente, io credo che la verità cominci, tutto sommato, a farsi strada, nonostante la grande ondata allarmistica, e, non esito a dire, in questo senso anche ricattatoria cui si è dato vita (basti pensare che il Presidente della Confindustria, nell'assemblea annuale del Sindacato degli industriali, ha dichiarato che se si continua con la lotta per le riforme con le rivendicazioni operaie, si arriverà ad una recessione, si giungerà alla disoccupazione). Il fatto che un certo sciopero degli investimenti ci sia oggi è riconosciuto da tutti. Anche la cortina fumogena di questa campagna allarmistica, che ha teso ad intimidire il movimento operaio, a dividere la classe operaia dagli altri strati sociali (quanto hanno giocato le famose "marce silenziose" sui piccoli commercianti, sugli artigiani sugli strati intermedi, proprio per aizzarli contro gli operai, per far fare la guerra tra i poveri), comincia però a lacerarsi. E badate bene che noi comunisti dicendo che l'allarmismo e la campagna intimidatoria o ricattatoria sulle difficoltà economiche vanno respinte, non intendiamo affatto sostenere che la situazione economica sia attualmente rosea. Anche qui, però, si tratta di distinguere fra la vera e la falsa crisi.
Io credo sia chiaro a tutti - e si renderà certo sempre più chiaro che vi è una caratteristica specifica nelle difficoltà economiche di cui tanto si discute nel nostro Paese oggi. E' indubbio, per esempio, che vi è una differenza qualitativa fra l'attuale situazione di stagnazione produttiva, soprattutto nell'industria, di difficoltà in certi settori industriali, a cominciare dall'edilizia, e il periodo della congiuntura difficile del '63-'64, o anche di basse congiunture precedenti. Qui non ci troviamo di fronte ad una recessione produttiva vera e propria né ad un abbassamento della domanda di beni; se mai, l'elemento caratteristico, in generale, è una riduzione della domanda di investimenti, che è un'altra cosa e che, se mai, può avere conseguenze molto negative per il prossimo futuro. Si tratta di esaminare il perché, di vedere quanto incida, per esempio, in questa situazione difficile della politica di investimenti, in questa stagnazione, con tendenze addirittura alla riduzione dell'ultimo anno, una situazione politica generale, la mancanza di una politica economica chiara da parte del Governo, la volontà ricattatoria degli stessi gruppi privati che non investono, e così via, e che poi magari continuano tranquillamente a trasferire i loro capitali all'estero. Resta il fatto che una cosa è la recessione produttiva, la crisi economica in senso classico altra cosa è un processo di disinvestimenti più o meno dovuto, connesso, a scarsa chiarezza di prospettive, crisi di prospettive, se vogliamo dire così, o ad una politica di ricatto, di intimidazione che si vuol portare avanti.
Dal punto di vista degli indici fondamentali dello sviluppo noi abbiamo nell'ultimo anno un aumento del reddito nazionale, del resto abbastanza sbandierato dal Governo stesso, di oltre il 5 per cento: fra tutti i Paesi capitalistici europei, il nostro è, se non sbaglio, insieme alla Francia quello in cui il tasso di aumento del reddito è più alto. La stessa Fiat che tanto si è lamentata del difficile anno 1970, ha avuto un aumento del fatturato complessivo del 26 per cento, che certo non è fra i più bassi del suo sviluppo. Vi sono certamente alcune difficoltà settoriali, di cui anziché fare dell'allarmismo generico, sarebbe bene andare a vedere le cause specifiche, i rimedi specifici. Posti di fronte ad una crisi del settore edilizio, non possiamo non vederne la causa fondamentale in un ritardo della riforma urbanistica, della politica della casa, e in tutto quello che sappiamo. Quando vediamo in difficoltà certe piccole e medie aziende e andiamo poi a parlare con i piccoli industriali, ci sentiamo dire che le difficoltà maggiori le incontrano in una politica creditizia che ha avuto quanto meno delle contraddizioni nel corso dell'ultimo anno: le strette creditizie del primo semestre del '60, gli allargamenti dei cordoni della borsa oggi, nel momento in cui queste aziende sono ormai entrate in difficoltà, e così via. Quando cerchiamo di comprendere i motivi della crisi del settore chimico, di individuare le cause, ad esempio, delle difficoltà in cui si dibatte la Montedison, che rappresenta il 60 per cento del settore chimico in Italia, vediamo che in primo luogo è in atto una crisi di direzione aziendale, con quel gioco del tiro al piccione ai Presidenti che ha portato a cambiarne tre in un anno, per manovre di governo e di sottogoverno, e così via; non è certo determinata, la crisi dal fatto che manchi un mercato per la chimica in Italia. E potremmo proseguire ancora a lungo in questa elencazione.
Ciò che mi sembra di poter dire per non tediare troppo i colleghi e per concludere rapidamente è questo: noi incontriamo oggi anche qui, in analogia con quanto detto prima circa l'organizzazione del lavoro e dei rapporti aziendali, dei limiti storici e una crisi del modello di sviluppo dell'economia nazionale, questa è la verità. Non c'è una recessione produttiva, non c'è una crisi classica e direi che in questo senso la crisi è meno drammatica e più drammatica insieme di quelle classiche, perché è una crisi che non conclude, i sei-sette anni di un ciclo economico regolare, ma investe un tipo di sviluppo ventennale. Anche qui ci troviamo di fronte un modello che ha avuto criteri fondamentali su cui si è organizzato, su cui si è strutturato (e tutti i colleghi lo sanno) quel processo che ha portato da un lato a una certa struttura del mercato del lavoro Nord e Sud, che ha portato a una concentrazione estrema dello sviluppo industriale in alcune aree ristrettissime. A me è capitato di recente di andare nel Sud, in Sicilia e di sentirmi indicare come l'esponente di una Regione sviluppata. Andiamo a fare i conti: in questi vent'anni che cosa è successo? Non si è sviluppato il Piemonte, si è sviluppata l'area metropolitana di Torino che è piccolissima rispetto al Piemonte, credo che sia la 40^ parte della regione. E' qui che c'è stato quell'impressionante aumento di popolazione che ci ha portati dal '51 al '70 al più che raddoppio della stessa. Ma andiamo a vedere nel resto del Piemonte, ci sono stati dei processi di spopolamento che non hanno solo investito le vallate alpine, ma intere plaghe, intere province della regione, un processo di concentrazione esasperato unilaterale che si è coinnestato, è stato in parte il prodotto di un processo di estrema specializzazione produttiva di pochi settori trainanti, l'auto in primo luogo, alcune industrie di beni di consumo durevoli e il sacrificio di interi settori nello stesso campo industriale.
Oggi possiamo prendere atto tutti (lo riconoscono anche i giornali padronali) che c'è un ritardo spaventoso della ricerca scientifica, che la chimica secondaria non si è sviluppata, che tutti i settori riconducibili al termine "impiantistica" sono, salvo eccezioni, al di sotto delle esigenze del nostro Paese del suo inserimento nel mercato mondiale. Io citerei un esempio, visto che ieri è passata la nuova legge della casa: pensiamo all'industria delle costruzioni edilizie, all'assenza di una moderna industria del prefabbricato, alle difficoltà che incontreremo in quel campo. Lo stesso processo di liberalizzazione degli scambi, che è stata una grossa boccata di ossigeno per questo tipo di sviluppo negli anni passati, oggi comincia a far venir meno le sue influenze benefiche, sul mercato internazionale ci troviamo addirittura di fronte a dei limiti seri quali quelli rappresentati dal dominio del dollaro di carta ed è tutto quello che sappiamo. Ebbene, a che cosa siamo giunti? Ad un processo le cui tendenze di fondo, i cui fattori propulsivi non sono più in grado di agire come tali, si stanno esaurendo, stanno perdendo di peso; e con questo non voglio dire che l'automobile non si svilupperà nei prossimi anni, no, si svilupperà, ma non potrà più essere l'unico settore trainante che è stato in questi vent'anni. Dobbiamo mettere in moto un meccanismo nuovo che permetta di eliminare il vero male dell'economia italiana, che è quello che ha portato a una sotto utilizzazione delle risorse del Paese, risorse umane, risorse materiali di capitali e così via. Anche oggi, su un piano strettamente congiunturale (il Presidente della Regione è un esperto) noi abbiamo un eccesso di liquidità bancaria, un'immensità di risorse che non vengono utilizzate e una crisi degli investimenti. Anche qui non c'è una contraddizione di un sistema se non riesce ad utilizzare le risorse di cui può disporre; sotto utilizzazione delle risorse da un lato, distorsione nell'uso delle risorse dall'altro; e anche la distorsione è macroscopica lo sviluppo estremo del consumismo privato, i consumi privati di cui la Fiat è l'alfiere, la crisi, il disservizio nel campo dei consumi pubblici.
Questo è stato il modello di sviluppo. Chi può negarlo. Da quale parte politica si può avere il coraggio di negare queste realtà che sia pure in modo impreciso, sommario, schematico (certo qui non siamo in sede di analisi scientifica ma di dibattito politico) ho cercato di ricordare ai colleghi, che del resto le conoscono meglio di me? E guardate che una voce autorevole e almeno dal mio punto di vista insospettabile, ha praticamente detto le stesse cose. Noi abbiamo fatto molte critiche al recente Consiglio nazionale della D.C., però mi ha colpito, nel rapporto dell'on. Forlani, la dichiarazione (il collega Bianchi potrà dire se ho colto esattamente il senso di questa affermazione) che non si può andare sulla base del vecchio modello di sviluppo. Ha usato proprio questa espressione. Certo che è impressionante come un uomo politico che dichiara finito il vecchio modello di sviluppo e l'esigenza di andare verso uno nuovo e poi il Consiglio nazionale del suo partito prenda una posizione che di fatto appoggia proprio le forze che vorrebbero proseguire sulla linea del vecchio modello di sviluppo, si schiera cioè con le forze conservatrici che hanno interessi opposti rispetto alle nuove esigenze. In realtà l'esigenza di una nuova fase di sviluppo, di nuove tendenze, della ricerca di nuovi fattori propulsivi, è un'esigenza da cui non si può uscire e se c'è un merito nella lotta dei lavoratori (dei lavoratori della Fiat in particolare) è proprio quello di porre con forza in faccia a tutta l'opinione pubblica del Paese il problema.
Io credo che non si inventi niente quando si dice che un nuovo modello di sviluppo deve partire appunto da nuovi criteri di organizzazione aziendale, da un nuovo tipo di ricerca della produttività; credo che non si inventi niente quando diciamo che un nuovo modello di sviluppo deve fondarsi su un nuovo rapporto fra Nord e Sud, per esempio su una collocazione delle regioni sviluppate diversa da quella del passato, che non sia orientata unilateralmente verso una saldatura con le aree forti dell'Europa, ma si muova soprattutto in funzione di uno sviluppo del Mezzogiorno. Abbiamo visto che non c'è sviluppo neppure per il Piemonte se non si eleverà il reddito nazionale, se non si eleverà il reddito delle popolazioni meridionali.
Io non capisco per esempio come un uomo che indubbiamente ha dei numeri, come si suol dire, che ha delle capacità, che dirige una grande azienda, come l'avv. Agnelli, possa porsi l'obiettivo di raggiungere un parco vetture di 18 milioni entro il 1980. A parte il fatto che io mi spavento all'idea di dove saranno collocate queste vetture (forse inventeremo il sistema di farle stare una sull'altra) ma perché c'è oggi un ostacolo al passaggio da un parco vetture di 12 milioni a 18 milioni come ipotizzato dall'avv. Agnelli? In Piemonte abbiamo raggiunto la media di una vettura ogni 2,9 abitanti, in Lombardia ogni 3, in Emilia siamo grosso modo allo stesso livello e anche nel Lazio, poi arriviamo agli otto abitanti per vettura della Puglia, ai 10-11 abitanti per vettura della Lucania e della Sicilia e così via. Il problema vero che oggi sta di fronte a tutto il Paese è quello dell'elevamento del reddito della popolazione meridionale sia se vogliamo porre fine al fenomeno del congestionamento delle aree industriali, dello spopolamento di queste regioni, sia se vogliamo garantirci nuovi livelli di espansione nel mercato nazionale. Io credo che nessuno possa prescindere da questi dati obiettivi. Quindi un nuovo modello di sviluppo non può non avere come elemento fondamentale lo sviluppo del Mezzogiorno, le riforme sociali. Se vogliamo non solo impiegare meglio le risorse attuali, ma dar vita a un processo di formazione di nuove risorse per esempio attraverso l'eliminazione della rendita fondiaria, attraverso una produttività sociale dei servizi e delle strutture civili più avanzate occorrono queste scelte fondamentali. Ma se è così bisognerebbe stare molto attenti, collega Bianchi, nell'uso di certe espressioni. Io apprezzo il fatto che la mozione presentata dal Gruppo della D.C. ricalchi in larga misura le cose che abbiamo detto nella nostra, però con molta sincerità vorrei dire ai colleghi della D.C.: attenti, se imponete della salvaguardia dei livelli di produzione come la pone "24 Ore", riecheggiando una frase, o come la può porre oggi la direzione della Fiat per ragioni polemiche commettete un errore grave, perché il problema non è quello di garantire la salvaguardia di un meccanismo che invece è in crisi, si tratta di trovarsi d'accordo sul modo come si va oltre questo meccanismo. Io capisco, collega Bianchi, che il modo in cui la stampa o certi dirigenti padronali dicono che bisogna salvaguardare le condizioni della produttività, e il modo come lo dice il suo Gruppo (lei in prima persona) è molto diverso, probabilmente siete agli antipodi, ma le parole hanno un suono e si rischia di dare un aiuto polemico alla campagna di coloro che non vogliono cambiare niente che vorrebbero usare anche le parole contro i lavoratori. Io chiedo con molta sincerità ai colleghi della D.C. di rivedere questo problema (mi scuso per la lunghezza eccessiva del mio intervento, ma sono ormai alla conclusione). Con questo non voglio dire che il nostro documento è perfetto e il loro no, siamo sempre disposti a discutere per trovare, se è possibile, dei punti di convergenza, ma almeno sulle questioni essenziali bisogna avere le idee chiare. Così come è necessario che, proprio perché la realtà è quella che dicevo prima e perché ci troviamo di fronte a una crisi che ha una portata storica di vecchi modelli, sia sul terreno dell'organizzazione di fabbrica, sia sul terreno dello sviluppo economico generale, è necessario che il valore della lotta alla Fiat sia sottolineato con molta forza. I lavoratori, il movimento sindacale unitario con forza con responsabilità e per certi aspetti anche con una crescente chiarezza di idee, si pongono come protagonisti di questa lotta per superare vecchi limiti e per andare verso nuove fasi di sviluppo. Ma se è così, allora credo che non si possa inquinare il riconoscimento del valore di questa lotta che pure è contenuto anche nella mozione dei colleghi della D.C., con delle frasi che riecheggiano un certo tipo di propaganda. Oggi si dice "basta con le violenze", ma credo che si possa dire che siamo tutti contro le violenze; questo però è uno slogan di chi poi fa davvero le violenze. E non è un caso che siano proprio le squadracce fasciste coloro che si battono contro le violenze e che chiedono la loro fine.



(Il Consigliere Curci batte le mani)



MINUCCI Adalberto

Non renderti più ridicolo di quanto già ti renda ridicolo l'essere fascista nel 1971.
A mio avviso c'è un fatto specifico da tenere in considerazione: che il clima di violenza che si voleva creare è una cosa che si è sgonfiata (vorrei sottolinearlo al collega Bianchi e agli altri colleghi della D.C.) e credo sia un fatto di cui tutti prendiamo atto con piacere. Si è tentato propagandisticamente di rimontarlo, ma non si è riusciti perché ci si è trovati di fronte a un movimento operaio che, facendo tesoro delle sue stesse esperienze del '69 e del '70 ha messo in campo una maturità crescente. Per quanto io ne sappia ne hanno trovati pochi violenti in queste settimane alla Fiat. So che hanno arrestato tre operai e senza mettermi in condizioni di essere denunciato per offesa alle istituzioni, ma rifacendomi a un solo magistrato, a colui che si è reso responsabile di quegli arresti, credo francamente che non torni ad onore di quel magistrato l'averli ordinati; uno di quei tre operai è mio amico oltre che compagno di partito ed è un uomo mite, sereno. Questi tre nostri compagni della Fiat Lingotto sono stati arrestati a un anno di distanza da un delitto che avrebbero commesso allora picchiando un altro operaio. Ma le testimonianze con cui si è montata questa accusa sono state raccolte adesso interrogando soltanto alcuni capi della Fiat e nessuno dei loro compagni di lavoro. E' una vergogna per il Pubblico Ministero questa impresa; ha lasciato una donna e due bambini senza pane in questi giorni. E' una vergogna perch quello è chiaramente un complotto di tipo fascista organizzato dentro la fabbrica per colpire la lotta. La Magistratura non può accettare queste cose.



CURCI Domenico

Ma quanti fascisti ci sono!



MINUCCI Adalberto

Quali violenze allora? Prendiamo per buono il manifesto che ha affisso l'OCI, quello delle maggioranze silenziose sulla firma di 700 impiegati alla SPA di Stura e andate a sentire come sono state raccolte; andate anche a sentire perché più della metà degli impiegati della SPA di Stura, sebbene chiamati nell'ufficio del capo del personale a firmare la lettera contro gli operai violenti, non l'hanno voluta firmare. Essi hanno avuto molto coraggio di fronte al capo del personale non firmandola. Perché si è fatto alla SPA di Stura? Perché proprio lì la partecipazione degli impiegati e dei tecnici allo sciopero ha raggiunto le vette più alte e qui si vuole stroncare questa unità, questa solidarietà fra gli operai, i tecnici e gli impiegati. Del resto, perché in questi giorni, così come si era montata questa campagna, si è improvvisamente afflosciata? Perché improvvisamente gli operai sono diventati saggi? Perché queste campagne vengono orchestrate a seconda di certi interessi, a seconda del tipo di opinione pubblica che si vuole creare. Io vorrei pregare i colleghi della D.C., pur nell'autonomia di giudizio che distingue tutti i nostri partiti, di non cogliere anche nel luogo comune qualcosa che aiuti una propaganda interessata e di andare al sodo delle cose, di andare a vedere quali sono i veri problemi che oggi ci stanno di fronte. E i veri problemi, lo dicevo prima e lo ribadisco, sono l'esaurirsi della crisi vera e propria di un tipo di organizzazione aziendale, di rapporti aziendali, di sviluppo economico. Io credo che si debba anche dire che in qualche misura queste due grandi crisi coincidono con la crisi di un regime politico. Ci sarebbe un grosso discorso da fare che io non faccio, ma è chiaro che anche qui ci sono dei nodi che ormai vengono al pettine, basterebbe leggere le cronache dei giornali di oggi per vedere quali maggioranze e minoranze si formano sui grandi problemi di riforma nel Paese e per capire che qualcosa di nuovo viene avanti. Questo qualcosa di nuovo bisogna esorcizzarlo, ricacciarlo indietro con delle battute polemiche o addirittura determinare un clima politico che favorisca un gioco eversivo e pericoloso per la democrazia e non bisogna invece fare tutto il possibile perché, sia pure con la gradualità necessaria (niente cambia in un momento) si vada verso soluzioni nuove, verso un rinnovamento profondo della società italiana, anche a livello politico? Credo che questo sia nell'interesse di tutte le forze democratiche, di tutte le forze che vogliono far contare la Regione, il Consiglio Regionale, le istituzioni democratiche nella società italiana.
Non si può andare contro la logica della storia e io credo che mai come oggi le lotte del mondo del lavoro coincidano con la logica della storia la spingano avanti, ne accelerino il corso.
Se anche i colleghi e gli altri Gruppi, se il Consiglio nel suo complesso prenderà una posizione che sottolinei il valore positivo della lotta alla Fiat, il valore propulsivo di nuovi livelli di sviluppo sia sociale, sia economico, sia civile che la lotta degli operai ha oggi, se il Consiglio prenderà delle posizioni che contribuiscono in modo concreto anche attraverso le facoltà legislative, operative che la Regione ha collegandosi per questa via alle richieste e alle rivendicazioni dei lavoratori, se tutto questo avverrà contribuiremo a far fare questo salto allo sviluppo del Paese, e raggiungere questa nuova fase oggi più che necessaria per andare avanti.



PRESIDENTE

Debbo informare il Consiglio che è pervenuto, su questo argomento un altro o.d.g. a firma dei Consiglieri Regionali Domenico Curci e Nino Carazzoni. Chiedo a un Segretario di volerne dare lettura, mentre - come per le altre mozioni - ho disposto che sia fatta una copia fotostatica da consegnare a ciascun Gruppo.



ROTTA Cesare, Segretario

Dà lettura di una mozione pervenuta alla Presidenza.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, io ho ascoltato con grande interesse le osservazioni fatte dal compagno ed amico Adalberto Minucci sulla mozione che i Gruppi Socialista e Comunista hanno presentato sulla Fiat e devo dire che concordo con alcune cose che egli ha detto mentre vorrei fare osservazioni su altre sulle quali il mio pensiero è diverso pur arrivando alle stesse conclusioni.
Io non voglio fare delle considerazioni accademiche e di politica generale sul problema della Fiat perché questa non è un'indagine di carattere scientifico, ma è un'indagine politica e deve arrivare a dei risultati politici.
Io non credo - e questo per sgomberare il terreno su un punto che mi pare non di primaria importanza ma sul quale vorrei precisare alcune cose che ci sia stato un peggioramento della classe dirigente, degli uomini che detengono il potere nella Fiat da Valletta ad Agnelli. Cioè non è che Valletta fosse meglio di Agnelli o Agnelli peggiore di Valletta (il compagno Minucci è troppo acuto conoscitore dei problemi storici del movimento dei lavoratori per contraddirmi). Io credo che sia cambiata la Fiat. Il capitalismo italiano, così come quello internazionale, è profondamente e molto rapidamente cambiato in questi anni; si è passati da una fase paleocapitalistica di capitalismo a livello terriero per arrivare al capitalismo industriale caro al prof. Valletta, per arrivare a ciò che rappresenta adesso il Gruppo Fiat che non è altro che l'appendice italiana di un grande gruppo finanziario mondiale. Questa è la ragione per la quale i problemi di carattere industriale probabilmente sono visti dagli uomini della Fiat con minore interesse di quanto poteva vederli il prof. Valletta al quale va dato atto, come giustamente diceva Minucci, di una sua logica di comportamento in quel momento storico. La realtà è che il grande capitale internazionale ha ora implicazioni e interessi molteplici e complessi. Chiunque abbia seguito le vicende del dollaro in questi ultimi mesi, sa che i cinque miliardi di dollari arrivati sul mercato tedesco sono in parte notevole la mossa di manovra dei grandi gruppi internazionali. E' quindi un discorso diverso che bisogna fare. E' in crisi un sistema finanziario a livello mondiale, è in crisi quindi un sistema anche industriale a livello mondiale. Ora tutta questo ha delle conseguenze e non potrebbe non averle. Le conseguenze sono un modo diverso di concepire la lotta di classe, anche a livello delle grandi aziende. Se esaminiamo la relazione di bilancio della Fiat (il documento ufficiale dell'azienda) leggiamo che ci sono degli elementi positivi nella situazione generale degli investimenti, ci sono delle situazioni positive nei consumi e nello stesso andamento della produzione. Se facciamo un'analisi interna del gruppo Fiat, riscontriamo che la sua produttività è molto maggiore ad esempio, di quella dell'Alfa Romeo, l'altra grande azienda automobilistica che pure ha presentato quest'anno un bilancio positivo. L'Alfa Romeo ha una percentuale di operai qualificati molto maggiore della Fiat; in quest'ultima c'è una saturazione, vale a dire in rapporto alla prestazione effettiva col tempo di lavoro, maggiore di quello di altre aziende automobilistiche. La Fiat è forse una delle poche aziende italiane, anzi europee, che può trasferire immediatamente, a livello di prezzi, l'aumento dei costi generali. Nella dichiarazione - che ho qui davanti a me dell'avv. Agnelli agli azionisti (quindi il documento più ufficiale che abbiamo) si sostiene che "l'aumento contenuto del tre e mezzo per cento in tutti i prezzi delle nostre vetture, consente di compensare (e naturalmente bisogna prenderlo per quella che é, con tutti i dati di soggettività che può contenere una dichiarazione di questo genere) l'aumento del costo della manodopera, l'aumento del costo del prodotto". Ma se andiamo a esaminare i dati di bilancio della Fiat e facciamo un confronto negli ultimi anni vediamo che il grado di ammortamento degli impianti, anche nel periodo '69 che è stato caratterizzato "dall'autunno caldo", cioè il momento più brutto dal punto di vista industriale, è stato il più alto che si ricordi dal 1960 in poi; 73 per cento nel '66, 73 per cento nel '67, 74 per cento nel '68 75,5 per cento nel '69. Dobbiamo dare atto ai dirigenti della Fiat di aver fatto degli ammortamenti eccezionalmente rapidi, ma dobbiamo anche dire che c'erano ampiamente i mezzi per farli, anche nel '69 che per gli investimenti, per l'aumento dei costi e la diminuzione di produttività nascente dell'autunno caldo, è stato per riconoscimento generale l'anno peggiore per l'industria automobilistica; basterebbe fare altre indagini di questo genere, come non è difficile fare in possesso come siamo ufficialmente di dati abbastanza esatti, basterebbe considerare l'andamento degli immobilizzi industriali lordi, dell'utile netto, dei dividendi distribuiti per azione, per avere la sensazione che c'è stato in questi ultimi anni un crescendo modificato e mitigato probabilmente soltanto nel '69, per arrivare poi di nuovo a un recupero quasi totale nel 1970.
Con questo non voglio sostenere la tesi abbastanza facile, direi troppo facile, che tutto può essere chiesto al capitale Fiat, perché non è una tesi che il movimento operaio possa sostenere con facilità. Le logiche sono diverse; io credo che la maturità del movimento operaio del nostro Paese sia determinata proprio dal senso di responsabilità che il movimento operaio assume come elemento che diventa di governo nella misura in cui non chiede più soltanto dei miglioramenti quantitativi, ma si pone come interlocutore nell'interno e fuori dell'azienda con gli organi della programmazione nazionale e internamente con gli organi che dirigono le aziende. Dobbiamo darne atto al collega e compagno Minucci; si sente chiaramente che il taglio del mio discorso è diverso da quello che si poteva sentire alcuni anni fa, il taglio di chi si pone su posizioni di responsabilità e quindi di governo, è un atteggiamento sul quale dobbiamo riflettere, sia noi che i colleghi della maggioranza.
Io ho voluto dire queste brevi cose per sgomberare il terreno da alcune osservazioni che mi sembrano semplicistiche, cioè che i Sindacati chiedono tutto senza responsabilizzarsi in niente, che la classe operaia non si pone mai i problemi dell'altra parte. Quello della Fiat, bisogna intendersi bene, è un problema che non riguarda soltanto la classe operaia della Fiat ma riguarda Torino e tutto il nostro Paese; entro certi limiti riguarda gran parte dell'Europa, proprio per quello che la Fiat rappresenta nel contesto europeo. Pensiamo soltanto a questo semplice dato: gli investimenti lordi della Fiat tendono a diminuire in Italia per aumentare all'estero; fino all'anno scorso c'è stato il rapporto di uno a quattro questo investimento diventerà nel 1980 del 65 per cento per arrivare poi al 60 per cento in Italia e al 40 per cento all'estero, il che contribuisce a dare sempre più un carattere internazionale a questo grande complesso industriale che tende a caratterizzarsi come un grande complesso finanziario. Basta pensare al gruppo che esso comprende, ai rapporti con la Citroen e a tutti i rapporti finanziari che esso realizza attraverso l'Istituto Finanziario Industriale; si pone quindi l'esigenza di vedere il problema in un modo completamente diverso.
Io credo che di questo non possiamo non tener conto anche in presenza di altri fatti e cioè che ciò che accade oggi in Italia non è episodio isolato perché ciò che avviene alla Fiat in questo momento è avvenuto anche alla Ford sei mesi fa e alla Renault qualche settimana fa; la vertenza alla Renault si è chiusa recentemente con dei risultati che sono molto avanzati anche rispetto a quelli che i lavoratori e la classe sindacale della Fiat stanno chiedendo, per quanto non si sia ottenuto molto sul piano di una nuova organizzazione del lavoro. Questo dimostra che un modo diverso di intendere la vita aziendale, di intendere il rapporto all'interno dell'azienda non riguarda più soltanto alcuni settori, alcuni territori, ma tutto il mondo industriale.
Aveva ragione, bisogna dire la verità, un uomo credo al di sopra di ogni sospetto, Luigi Einaudi, quando diceva: "Da cosa deriva il grande boom economico italiano? Dal fatto che c'è una massa di persone nel nostro Paese che consumano pochissimo (questo lo diceva a noi studenti intorno agli anni '52/'53): tutta l'Italia meridionale mette a disposizione della industria del Nord una gran massa di lavoro a pochissimo prezzo, il che induce i Sindacati ad avere poco potere contrattuale, permette alle grandi aziende di tenere bassissimi i loro prezzi e così nasce la possibilità di competizione a livello internazionale". Il grande boom italiano è nato anche da questo. Ma io domando: poteva questo continuare all'infinito? Potevamo seriamente pensare che le classi lavoratrici meridionali quando avessero preso coscienza della loro forza, una volta arrivate nel Nord o anche sindacalizzate nei centri industrializzati dell'Italia meridionale si sarebbero accontentate di consumare pochissimo per mettere a disposizione dei grandi industriali del Nord una forza-lavoro a basso prezzo e consentire di esportare tanto? E' chiaro che non poteva continuare e sarebbe stato anche dannoso che continuasse, non soltanto in termini di giustizia sociale, ma in termini economici, perché - e questa è una delle regole fondamentali che ci hanno insegnato gli economisti moderni - un grande Paese di 50 milioni di abitanti non può reggersi soltanto sull'esportazione.
Il Governatore della Banca d'Italia ogni anno ci racconta - e lo farà fra poco, il 31 maggio - che tutto va male nel nostro Paese perché i politici non capiscono niente ecc. (questa è la tesi del Governatore della Banca d'Italia) però c'è un fatto sempre positivo, che si esporta moltissimo e questo è un correttivo al fatto che i politici rovinano il Paese. E' chiaro però che un Paese di 50 milioni di abitanti non pu reggersi sulla sola esportazione. Questo lo può capire anche il Governatore della Banca d'Italia: se non c'è una domanda interna così forte da sostenere la produzione e la domanda interna non c'è - questo ce l'ha insegnato Keines molti anni fa, ma credo che valga ancora adesso per molti aspetti - non si può pensare che un Paese di 50 milioni di abitanti abbia in sé non soltanto la forza economica, ma la forza politica di esportare tanto, tenendo basso il consumo interno. E' una contraddizione in termini e i nodi sono venuti al pettine tutti insieme e creano una situazione praticamente insostenibile, ma non per le grandi aziende. Se andiamo a esaminare non soltanto il bilancio della Fiat, ma i bilanci delle dieci grandi aziende che costituiscono il tessuto connettivo, il sistema portante dell'economia italiana, riscontriamo nelle loro relazioni di bilancio che il '70, nonostante tutto, non è stato un anno cattivo. Perché questo? Perché le grandi aziende hanno in sé la possibilità di riportare, di scaricare sui prezzi il maggior costo sopportato attraverso un miglioramento degli investimenti, una migliore organizzazione della produzione; è un modo diverso di recuperare i costi maggiori. Va male oggi una certa fascia della piccola e media industria la quale, soprattutto in Piemonte dove in genere ha pochissimi clienti costituiti proprio dalla grande industria, non può aumentare i prezzi che quest'ultima le impone quindi i costi maggiori non possono essere trasferiti e debbono essere scontati dalla piccola industria. E' questa la crisi che dobbiamo risolvere, non è certamente quella della grande industria che in realtà è una crisi non facile ma risolvibile. Noi dovremmo prendere coscienza di questo. Io credo che se il Governo vorrà attuare delle misure in questo senso (che poi saranno misure difficili perché dovranno essere pagate da tutto il corpo dei cittadini italiani) esse dovranno riguardare soprattutto anzi esclusivamente questo settore. Dovremo poi anche andare a esaminare (ha ragione Minucci) i motivi per i quali tanti settori vanno male; va male l'industria tessile ma credo che siano tutti d'accordo nel ritenere che non va male per ragioni congiunturali, bensì profondamente strutturali; va male l'industria edilizia e sappiamo perché; va male una fascia della piccola industria e il Presidente della Giunta sa bene chi sono questi piccoli e medi industriali nati nel contesto del boom economico, industriali degli anni facili che non hanno probabilmente né la tenuta di riserva personale né la tenuta di struttura per affrontare momenti difficili. Questo non è il caso della grande industria, specialmente della Fiat.
Ho voluto inserire queste argomentazioni per spiegare le ragioni per le quali il Gruppo Socialista ha ritenuto suo dovere formulare, insieme al Gruppo Comunista, questa mozione che noi sosteniamo anche e proprio perch ci sono delle ragioni di carattere morale che ci inducono a farlo. E' troppo facile la demagogia in questo campo, quando si conoscono le condizioni di lavoro degli operai della Fiat, quando si sa chi sono; ed io vorrei, visto che ne ha parlato Minucci, ricordare che uno dei tre che è in prigione in questo momento per fatti successi un anno fa è un compagno socialista con moglie e tre figli. Come spiegheremo ai nostri giovani la forza della giustizia in una situazione di questo genere? Che cosa andremo a dire? Come spiegheremo le ragioni per le quali una persona può essere arrestata un anno dopo, sulla testimonianza estremamente vaga di due persone? Come avremo la forza e il coraggio di denunciare queste cose? Anch'io vorrei dire al collega Bianchi che ho letto con attenzione la sua mozione e la condivido in larga parte perché dice praticamente le stesse cose che diciamo noi, ma c'è una parte che riguarda la violenza sulla quale bisogna fare una discussione seria e sulla quale naturalmente siamo pronti a fare qualsiasi discorso perché credo che dovremo arrivare alla conclusione con un documento comune; sarà un grande fatto se ci riusciremo. Io lamento che il Consiglio Regionale non abbia pubblicizzato questo grosso fatto che riguarda il Piemonte. Penso che non ci sarebbe stata nessuna parte politica che avrebbe perduto in una maggiore pubblicizzazione; anche i Sindacati probabilmente non debbono richiudersi in una sorta di pan-sindacalismo, ma riconoscere che non si può lasciare la classe operaia sola, perché tutto il contesto di una regione come il Piemonte deve muoversi. Quando c'è una questione così grossa come quella della Fiat, dobbiamo dire ai nostri sindacalisti che non si può soltanto fare le conferenze economiche dei Sindacati, giustissime interessantissime, necessarie, ma bisogna discutere anche nel Consiglio Comunale, nel Consiglio Provinciale, nel Consiglio Regionale perché una lotta come questa, che investe tutto uno strato della popolazione lavoratrice tutta un'intera regione, deve essere portata a livello dei Consigli in quanto è una lotta che riguarda tutti. E io credo di avere le carte in regola per fare questo appunto affettuoso e amichevole ai nostri sindacalisti, a quelli che appartengono ai partiti della classe lavoratrice, ai partiti di sinistra. Noi dovremmo arrivare a una maggiore pubblicizzazione di questi nostri lavori e dovremmo trovare tutti insieme (se i fascisti non lo vogliono firmare tanto meglio) un accordo generale su un problema come questo, che ci riguarda tutti direttamente.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta, ne ha facoltà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, io credo che il dibattito sulle vertenze sindacali in corso alla Fiat non abbia soltanto come oggetto la Fiat ma dal taglio degli interventi che sono stati fatti, mi sembra di cogliere qualche cosa di ben più grande dietro a tutto ciò, una posizione ed un indirizzo cioè ai quali si richiamano molte forze culturali mondiali.
Vi è una posizione culturale che sta smantellando i vecchi miti dello sviluppo meramente quantitativo, quello che Galbraith ha chiamato "il mito del reddito nazionale lordo" e che sta portando avanti delle concezioni nuove. Nella presentazione (che da taluni è stata considerata scarna) del programma della Giunta, si possono cogliere questi elementi, si pu cogliere come la Giunta Regionale intenda collocare la propria posizione come una posizione di supporto e di traino rispetto a questo grande indirizzo culturale. Pochi giorni fa, in un incontro con un gruppo di giovani diplomatici italiani che attraverso un corso culturale del Ministero degli Esteri hanno preso contatto con la Regione, ho avuto l'occasione di sostenere che le grandi battaglie sindacali, nella misura in cui esaltano uno sviluppo qualitativo dell'economia e in cui collocano la loro lotta, indubbiamente portano avanti un discorso culturale rispetto al quale noi non dobbiamo rimanere insensibili, rispetto al quale ci collochiamo come un elemento interlocutorio e come un elemento che tende ad agevolare le soluzioni.
Questo è lo spirito della mozione che il Gruppo della D.C. ha sottoposto alla cortese attenzione dei colleghi Consiglieri ed è una posizione che, come Presidente della Giunta Regionale, non da oggi vado sostenendo. Certamente il problema della Fiat in questo senso è esemplare è un tema che si presenta macroscopicamente alla nostra attenzione e che va ricercando altri valori che non siano meramente quelli dell'incremento quantitativo del reddito e della sua distribuzione e che tiene conto di altri valori, soprattutto di quello che un grande economista tedesco chiamava "il fattore uomo"; con questo tipo di lotte il Gruppo della D.C. è solidale. Ed è solidale questo tipo di indirizzo culturale a livello internazionale che trova nei Gruppi che fanno capo ai democratici americani, che trova nei Gruppi della giovane sinistra americana gli aspetti di individuazione, di esaltazione della rivalutazione dell'uomo nell'organizzazione industriale, che combatte contro questo tipo di alienazione (la parcellizzazione), che il lavoro ripetitivo necessariamente comporta e che è stato utilizzato in un'ottica di minimizzazione dei costi aziendali dalla politica di tutte le aziende a livello internazionale.
Io vorrei che noi vedessimo - e pregherei i colleghi degli altri Gruppi di vedere - la questione in questa prospettiva e in questa ottica. Il problema non è soltanto italiano, ma internazionale, lo dobbiamo appoggiare, ci trova solidali, però ci pone molti interrogativi che partono da una prima considerazione: le informazioni, lo sviluppo della cultura a livello internazionale estremamente rapido. Noi collochiamo questa battaglia nel nostro Paese, questa scelta di qualità in una realtà economica estremamente diversa, in ritardo rispetto ad altre economie. Si ricordava ad esempio in una relazione del sen. Cifarelli, a commento degli interventi sul Mezzogiorno previsti con la nuova legge, come anche là dove parliamo di aree ad alto reddito industriale, in realtà ci riferiamo alle zone settentrionali nelle quali abbiamo uno sviluppo che come parametro è considerato eguale a 212 ed è di un punto inferiore alla quota più bassa che esiste nell'area del Mercato Comune, quella di un'area ecologica del Belgio che è a 213. Cioè ci troviamo a portare avanti questa battaglia che è sicuramente dura, destinata per forza di cose a creare dei vuoti produttivi in un sistema economico in cui i vuoti che si creano hanno degli squarci largamente superiori a quelli che battaglie analoghe possono creare in strutture economiche più forti.
Ed ecco perché la crisi sotto questo profilo è da noi molto più sentita, cioè ha dei risvolti, porta a delle conseguenze particolarmente pesanti. Il collega Minucci ne ha ricordate alcune e certamente molte delle considerazioni che egli ha fatto, così come quelle del collega Nesi, sono esatte. Ma credo che tutti quanti noi quando parliamo di crisi della media e piccola industria, che, come rilevava il dr. Nesi, è sostanzialmente fornitrice della grande industria e molto meno di questa è in condizione di trasferire gli aumenti dei costi in aumenti di prezzi, ci rendiamo conto che essa vede ridurre le proprie riserve, le proprie possibilità di resistenza in modo assai più macroscopico di quanto la media e piccola industria di altri Paesi, economicamente più sviluppati, più forti, non siano in grado di risentire.
Ecco allora che se vogliamo fare un discorso che si muova da una considerazione che è senza dubbio storicamente valida, e cioè questo tipo di contestazione qualitativa allo sviluppo che viene portato avanti in queste battaglie sindacali, se vogliamo prendere spunto da questo e dalla maturità che si dichiara essere più presente che non in altri tempi e da una maggiore coscienza delle reazioni che si producono in una battaglia di questo genere, qui si colloca la nostra osservazione in ordine ai problemi relativi alla violenza. Certamente sono motivi che possono essere anche largamente sfruttati, largamente propagandati, sono motivi che si possono strumentalizzare, però se dobbiamo partire da un punto di vista di analisi oggettiva dobbiamo tenere conto di questo come dei dati reali che esistono in un certo contesto di lotta sociale. E se abbiamo acquisito tutti una sufficiente maturità per fare un'analisi spassionata e serena, dobbiamo dire che dobbiamo evitare le violenze a cui può condurre una lotta di questo tipo, se vogliamo raggiungere i risultati di un diverso sviluppo qualitativo.
Noi sottolineiamo questo aspetto, perché una lotta di questo genere che non vede i lavoratori protagonisti di una lotta nell'interno delle aziende soltanto per dei miglioramenti retributivi, ma per dei sostanziali miglioramenti di carattere normativo, trova ormai larghi strati di forze sociali perfettamente consapevoli dell'esigenza di modificare una certa logica di sviluppo. E allora dobbiamo fare attenzione se vogliamo veramente uno sviluppo in questa direzione di non ricacciare queste forze sociali che combattono, magari isolatamente, le loro battaglie, questi ceti medi che hanno tutto l'interesse e sono culturalmente preparati per portare avanti un discorso di questo genere; dobbiamo fare attenzione a non creare in essi delle preoccupazioni non perché non siano in grado di difendersi come agglomerato di forza sociale, ma proprio perché non avendo delle organizzazioni consistenti si trovano più isolati di fronte al fatto sociale e complessivo e quindi hanno bisogno di una struttura statuale che difenda un certo livello di ordine e combatta la violenza.
Io credo che di queste cose siamo tutti perfettamente consapevoli e certamente le esperienze del mondo dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali, ma in generale l'esperienza storica del nostro Paese, così come di altri Paesi, ci dimostra che al di là di una certa soglia ciò che si vuole ottenere in realtà non si ottiene, non solo, ma si hanno delle reazioni contrarie che compromettono, e per lungo tempo spesse volte, il raggiungimento di obiettivi che tutti insieme intendiamo perseguire.
Noi poniamo in evidenza questo e colleghiamo il problema dell'ordine ad una certa crisi di investimento che si può anche chiamare lo sciopero degli investimenti. E' vero che le banche rigurgitano di denaro, è vero che la collocazione di domanda di credito è relativamente modesta, ma ci sono molte motivazioni psicologiche a tutto questo e direi che sono superiori alle motivazioni di ordine economico. E questa è una delle ragioni per cui vogliamo richiamare l'attenzione su un discorso sereno, che si inserisce in un'ottica nella quale la Regione intende avere una sua precisa posizione d'altronde non è la prima volta che dico queste cose in Consiglio, non è la prima volta che dico come in fondo la Regione, proprio perché si trova in un momento di autonomia, di pluralismo e quindi di articolazione sociale di articolazione di potere, di contrapposizione di potere, sposa questa causa di miglioramento delle condizioni qualitative dello sviluppo. E proprio in ordine ad un certo tipo di sviluppo disorganico sbagliato di cui certamente una grande azienda come la Fiat si è resa perfettamente conto collochiamo delle proposte precise, quelle del decentramento, che non è certo il decentramento da Torino a Rivalta, ma lo spostamento di investimenti verso il Mezzogiorno, il decongestionamento della nostra area urbana e metropolitana. Noi collochiamo tutto questo in una esigenza di diversificazione della produzione di questa monocoltura così come è stato reiteratamente detto, ma lo collochiamo proprio per quelle ragioni di cui abbiamo parlato, di questo essere noi, come economia, in ritardo rispetto alle altre economie del MEC, colleghiamo l'esigenza di valorizzazione del Mezzogiorno con la valorizzazione di questo momento comunitario, di Mercato Comune Europeo che dalla fase della mera unione doganale deve passare alla fase dell'unione finanziaria, monetaria, per approdare all'unione politica.
Noi siamo convinti che soltanto con lo stimolo, soltanto in un largo mercato riusciamo contemporaneamente a modificare il tipo di sviluppo creando però quel volume di capitali indispensabile per fare una politica di investimenti nel Mezzogiorno, di consistenza tale da crearvi un fenomeno autopropulsivo di sviluppo, capace di accelerare non soltanto in termini quantitativi, ma esaltandone i termini qualitativi.
Ecco le ragioni per cui abbiamo accolto gran parte delle considerazioni, che peraltro già erano state fatte in numerosi dibattiti in Consiglio, in ordine al problema della condizione dei lavoratori nelle fabbriche, all'organizzazione del lavoro, alle localizzazioni industriali.
E io vorrei ricordare che proprio sulla diversa disposizione delle localizzazioni industriali mi sono intrattenuto nel primo intervento che ho fatto in questo Consiglio Regionale dopo le elezioni. Siamo tutti consapevoli che se la Regione ha un significato lo ha in questa direzione siamo tutti consapevoli che essa si colloca in una scelta e in una esaltazione di valori e che è in questa direzione che dobbiamo e vogliamo camminare. Ma noi non facciamo dell'accademia culturale, né ci collochiamo in una realtà guardandola dall'alto, senza parteciparvi, tutti quanti vogliamo essere inseriti in una realtà le cui reazioni, le cui interconnessioni dobbiamo essere in grado di cogliere nel momento giusto non soltanto per capire gli obiettivi, ma anche per comprendere immediatamente i riflessi. Ed è per questo che manifestiamo la nostra preoccupazione, non perché non si condividano le tendenze di carattere generale di questa battaglia sindacale, non perché pensiamo che i Sindacati vogliano tutto e subito e non collochino le loro richieste in termini di gradualità, perfettamente consapevoli che i Sindacati hanno tutto l'interesse che l'azienda possa svilupparsi e sia in condizione di potere comunque permanentemente assicurare migliori e stabili condizioni di lavoro. Ci preoccupiamo però che i danni che possono derivare in termini psicologici, in termini sociali, i risvolti che possono determinare fenomeni di violenza in ceti largamente rappresentativi del nostro Paese vanifichino questi obiettivi, li allontanino dalla realizzazione e diano spazio a tutti coloro che, forse per pigrizia mentale più che per interesse perché probabilmente in termini di interessi economici farebbero delle scelte cattive, - per un certo senso di inerzia si esimono spesse volte dal fare lo sforzo di fantasia di creare modi e qualità diversi di organizzare il lavoro. Queste cose noi le dobbiamo dire per motivare la ragione per cui vogliamo riferirci anche a questo quadro psicologico, di carattere se volete magari anche emozionale in cui si colloca in questo momento la lotta sindacale alla Fiat.
Noi non vorremmo che un momento di questo genere, che può approdare a dei risultati largamente positivi, che può cominciare a realizzare un migliore grado di avanzamento verso il raggiungimento di quegli obiettivi qualitativi, possa essere vanificato, possa essere sostanzialmente ricacciato indietro. Noi vogliamo invece che questi problemi si possano risolvere e la Regione è partecipe di questa esigenza e appoggerà la più pronta soluzione di questa direzione. Noi queste cose le sosteniamo anche perché vogliamo un tipo di economia che sia fatta per l'uomo e non gli uomini fatti per l'economia. Credo che il movimento democratico cristiano non da oggi vada difendendo e propagandando queste posizioni. Di fronte ad uno sviluppo che è esploso, ci siamo trovati nel dopoguerra con delle strutture inadeguate e forse anche tutte le forze politiche del Paese erano inadeguate a controllare un tipo di sviluppo di tale ampiezza e di tale impatto. Basta ricordare che uomini di grande valore come Ezio Vanoni dissertavano ancora nel 1953 di un tipo di economia completamente diverso dall'economia che poi nel '55/'56 è esplosa. Si parlava allora, in quel famoso piano Vanoni, di uno sviluppo totalmente diverso. Questo sta a dimostrare che ci siamo trovati tutti impreparati di fronte a questo problema. Adesso ci accorgiamo che occorre trovare un modello nuovo di sviluppo, occorre cambiare da un'eccessiva propensione verso i consumi privati ad una maggiore propensione verso i consumi pubblici. Credo che molte delle riforme che vengono portate avanti, sia pure con tutte le difficoltà che ciò comporta, in fondo stiano a dimostrare questo. In questa direzione credo che possiamo davvero essere solidali. Non credo invece che convenga insistere sulla riorganizzazione di lavoro all'interno dell'azienda Fiat di cui in modo specifico stiamo parlando, perché potremmo incorrere in errori di valutazione; io non mi sento di fare delle valutazioni in ordine ai costi interni, alle potenzialità ancora da sfruttare dal punto di vista dell'utilizzazione degli impianti. Credo debba essere comune consapevolezza delle forze politiche così come delle forze sindacali, che non si deve superare assolutamente quella soglia al di là della quale difficilmente si può presumere di trovare degli sbocchi che siano autenticamente, permanentemente e realmente positivi. Possiamo trovare dei punti di convergenza e mi pare che ne esistano tanti nelle mozioni che sono state fin qui discusse, possiamo tutti insieme fare uno sforzo, comprendendo reciprocamente le posizioni e i valori che si vogliono portare avanti. Tutti quanti insieme siamo preoccupati di collocare la nostra Regione in un'ottica ed in un indirizzo di questo tipo, per fare anche di essa uno dei protagonisti di uno sviluppo nuovo, di questo tipo di sviluppo di valori di cui indubbiamente è testimonianza la lotta sindacale che si conduce in questo periodo per il miglioramento delle condizioni di lavoro, delle condizioni generali dello sviluppo della personalità umana del lavoratore.
Come Presidente della Giunta intendo riaffermare in un dibattito di questo tipo e di questo taglio, che la Regione Piemonte vuole essere portatrice di questi valori, vuole partecipare, vuole portare avanti anch'essa una battaglia di miglioramento qualitativo e di diversificazione dello sviluppo della Regione stessa, proprio in termini di qualità, di progresso sociale, di autentica crescita della personalità umana.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Berti, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

In questo quadro così elevato, vorrei introdurre una questione che costituisce elemento più qualificante della piattaforma Fiat, affinché gli orientamenti, le intenzioni, le dichiarazioni emerse, possano concretizzarsi verificandoli. Il dibattito che stiamo conducendo è importante non soltanto per i contenuti, ma perché si svolge nel pieno di una battaglia sindacale che vede mobilitati i lavoratori Fiat su una piattaforma della cui importanza nazionale mi sembra testimonino le cose dette, che vede mobilitate maestranze di altre importanti fabbriche, come la Indesit (che mi pare abbia proprio in questi giorni concluso positivamente la propria richiesta) e la Bertone.
Inizio il mio intervento assolvendo ad un impegno che mi sono assunto l'altro giorno con i lavoratori della Bertone, i quali sono venuti qui sono pronti ad esporre essi stessi quanto io mi sono assunto il compito di dire in quanto testimone di una scena che ha visto la polizia scagliata con violenza contro gli operai che conducevano da mesi una lotta sindacale legittima di cui nessuna forza politica contesta la validità, alla quale il padrone ha risposto con ritardi, con carenze, con la provocazione (il distacco della luce elettrica, della forza motrice) e infine con la chiamata della polizia. Ho potuto personalmente constatare la violenza del padrone che risponde con provocazioni, della polizia che entra di forza nella fabbrica spezzando le vetrine, inseguendo gli operai nei reparti manganellandoli mandandone tre all'ospedale. E per fortuna che il senso di responsabilità degli operai della Bertone li ha portati a non reagire con atti che forse avrebbero potuto provocare conseguenze ben più gravi. Questo però ci consente di dire con piena sicurezza che la violenza è quella ed io a nome degli operai della Bertone (ma credo di interpretare la volontà di tutta la classe operaia torinese) presento qui una precisa istanza: dalla scena politica torinese sia allontanato un personaggio che è ormai diventato specialista in queste azioni di provocazione e di rottura, il Vicequestore Goria. Credo che la sua presenza a Torino sia incompatibile con la forza del movimento operaio torinese, con una lotta che esprime contenuti di altissima capacità e responsabilità; questo individuo mi sembra di averlo davanti agli occhi in questa e in altre occasioni, con quello sguardo bestiale con il quale si scaglia contro gli operai (forse pecora in privato, ma leone nel momento in cui è alla testa di centinaia di poliziotti armati) e si sente investito della responsabilità di battersi magari da solo contro gli operai disarmati. Questo personaggio si è ormai imposto tristemente sulle scene sindacali, nelle lotte politiche della nostra regione, della nostra provincia e noi chiediamo al Presidente della Giunta di volersi fare interprete presso gli organismi della Questura torinese (non credo sia la prima volta che ciò avviene) perché l'individuo in questione, non abbia più a farsi vedere nei luoghi in cui si lotta perché egli non rappresenta la polizia, rappresenta la versione bestiale della polizia che poi trasmette ad alcuni suoi uomini. Può sembrare una questione marginale, particolare dato che investe una sola persona, ma è il Vicequestore ed è la testimonianza di come la polizia si scagli contro gli operai per difendere gli interessi padronali, interessi che in questo caso sono provocazioni, come quella, in modo inconfutabile, della Bertone.
Questa è una richiesta che faccio a nome degli operai e mi risulta che essi stessi la vorrebbero esporre al Presidente della Giunta o comunque agli Assessori o ai rappresentanti dei Gruppi che li volessero ricevere.
Fatta questa premessa, entro nel merito della questione, quella della difesa dell'ambiente di lavoro dalle nocività. Si potrebbe fare un lungo discorso (l'ha già fatto Lo Turco, lo ha fatto anche Minucci) sul grado di responsabilità della classe operaia che oggi si esprime nel rifiuto della monetizzazione, del rischio, per assumere un'altra ben più consapevole posizione, quella di difendere adeguatamente la propria condizione di lavoro e di salute, queste di intervenire nel meccanismo di produzione per esercitare una funzione dirigente ed un maggior potere di intervento nel ciclo produttivo (come del resto nella nostra mozione è ben spiegato). Il Presidente della Giunta, si è riferito ad un uomo politico tedesco che collocava il fattore uomo come elemento centrale; credo che una risposta precisa a questa affermazione venga proprio da come la Regione opera per affrontare concretamente i problemi che la questione "uomo" oggi pone all'interno della fabbrica e per i quali le forze sindacali e i lavoratori oggi si battono.
Io ho qui il documento delle tre organizzazioni: CISL, UIL e CGIL, con il quale si espongono le rivendicazioni nei confronti della Fiat e d'altre aziende, si esprimono criteri e si suggeriscono gli strumenti necessari per un controllo permanente della nocività ambientale, per un miglioramento nell'ambito del servizio sanitario nazionale, nel rapporto tra unità sanitaria locale e luoghi di lavoro. Infine espone la posizione del Sindacato nei confronti di strutture sanitarie aziendali. E questo è uno dei problemi su cui ci dobbiamo misurare. Oggi siamo di fronte a un problema preciso che è parte la più qualificante della rivendicazione quella della salute dei lavoratori nella fabbrica. Giustamente la mozione nostra, come quella del Gruppo D.C., rileva come ci sia un collegamento stretto tra questo tipo di rivendicazione e gli articoli 4 e 6 dello Statuto in cui i problemi vengono esposti nella loro estrema importanza. I Sindacati, proponendo una linea, ne prospettano una gradualità di applicazione, ma respingono lunghi momenti di pausa in attesa di una riforma sanitaria in cui si spera siano presenti elementi normativi per la difesa dell'ambiente di lavoro. Questa posizione dei Sindacati di respingere lunghi tempi di pausa, trae spunto da quanto si sa circa il provvedimento di riforma sanitaria che il Governo si era impegnato a portare al Parlamento entro il 15 marzo, adesso parla del 10 giugno, ma probabilmente andremo molto più in là, forse a settembre, ottobre o chissà quando; le vicende politiche ci dimostreranno che le cose possono avere tempi corti, ma anche tempi politici (mi riferisco alla politica delle riforme). Il fatto è che il progetto di legge del Governo, o la versione conosciuta, non accenna minimamente a questo elemento fondamentale della nocività nella fabbrica; occorre eliminare a monte le cause delle malattie che minano la salute dei lavoratori.
Si parla in quel progetto di legge (non ci risulta che la cosa sia rientrata) di controllo dell'ambiente di lavoro ma essenzialmente dei servizi igienici della mensa, ecc. Ma non c'è nessun accenno alla prevenzione che intervenga nel sistema di produzione, in modo che la collocazione del lavoratore sia completamente nuova. Da questa presa d'atto negativa della volontà politica esistente, i Sindacati traggono lo spunto per negare momenti di pausa, e propongono una linea che noi Regione Piemonte riconosciamo valida perché l'abbiamo inserita nel nostro Statuto richiedono ai vari Enti, tra cui la Regione, delle iniziative che tendano a risolvere i problemi che i lavoratori pongono, ma non raccolti dalla proposta di legge che il Governo si appresta ad emanare. E' quindi importante rilevare, proprio perché questo ci consente di verificare la nostra volontà politica, che la posizione delle tre organizzazioni sindacali è nuova per certi aspetti. C'è stato un periodo in cui c'era una certa contestazione delle istituzioni, quando la non delega alle istituzioni era una specie di rivolta contro istituzioni che non hanno sino ad oggi concretamente risposto ai problemi che la classe operaia (forse ieri in modo meno evidente di oggi) ha continuamente posto. Oggi invece i lavoratori colgono negli Enti locali, ma in particolare nella Regione l'interlocutore a cui rivolgersi per avere interventi che si dimostrino in grado di affrontare finalmente i problemi che consentano di risolvere dentro la fabbrica questioni che i lavoratori affrontano con la loro forza con la loro organizzazione, con la loro capacità di ricerca e di elaborazione.
Quali sono gli elementi qualificanti di questa piattaforma? L'elemento fondamentale si riferisce alla definizione di obiettivi rivendicativi tesi a conquistare criteri, conoscenze dei dati, potere di contrattazione e strumenti al fine di determinare una diversa condizione ambientale di lavoro: gli strumenti sono i registri dei dati, i libretti sanitari, il giudizio del gruppo operaio e altri di cui abbiamo già avuto modo di occuparci e che non voglio ripetere per non far perdere molto tempo.
Un secondo elemento invece (questa è la cosa nuova rispetto a ieri) si riferisce al modo come dati, giudizi, gli strumenti e i mezzi contribuiscono a determinare, in un rapporto dialettico tra criteri generali e posto di lavoro, i poteri delle strutture del servizio sanitario nazionale, quindi delle unità sanitarie locali sui luoghi di lavoro.
Credo emerga, da questa impostazione dei Sindacati, un contributo di estremo interesse su quel tema tanto dibattuto che è la formazione delle unità sanitarie locali di cui vengono enunciate le linee di formazione generale ma i contenuti delle quali sono tuttora oggetto di vari dibattiti senza conclusioni capaci di rispondere in modo articolato alle esigenze che in particolare il mondo del lavoro pone. Il Sindacato questo problema lo pone in un modo diverso, nuovo, preciso e colloca al centro della ricerca le esperienze che i gruppi omogenei all'interno della fabbrica compiono attraverso il libretto sanitario, il libretto di rischio, la raccolta dei dati biostatistici ecc. che forniscono, il materiale che consente di prevenire e difendersi dalle malattie.
Le direzioni verso le quali si orientano i Sindacati sono essenzialmente due: una si riferisce alla definizione degli obiettivi rivendicativi che riflettono la linea d'azione dei Sindacati nei confronti delle direzioni aziendali, cioè quello che occorre conquistare all'interno della fabbrica per consentire all'operaio individualmente, all'operaio nel gruppo omogeneo, di farsi questa ricerca all'interno.
La seconda direzione - e in questa mi pare di riconoscere un salto di qualità che apre prospettive di estremo interesse all'azione della Regione è il rapporto tra il servizio sanitario nazionale, unità sanitarie locali con le loro ramificazioni sui luoghi di lavoro e organismi dei lavoratori a livello di fabbrica; a questo punto emerge il rapporto dialettico tra l'azione ad opera dei lavoratori all'interno della fabbrica e il modo come questi problemi vengono raccolti, elaborati e risolti, con l'intervento determinante degli organismi esterni. I Sindacati risolvono questo problema oggi vedendo nella Regione, oltre che nei Comuni e nelle Province, questo elemento esterno fondamentale. Ed è per questo che ritorna una proposta (che già abbiamo fatto): e noi vogliamo essere conseguenti con lo Statuto che ci impegna in modo preciso in questa direzione fissata dai Sindacati e dai lavoratori, che impone un rapporto nuovo con i Sindacati. Direi che al di là delle consultazioni di cui sempre si parla, è oggi opportuno necessario che la Regione raccolga l'invito che viene dalle organizzazioni sindacali e stabilisca con le stesse un rapporto permanente per iniziare un intervento immediato di cui si possono intravedere certe linee, ma che certamente in modo molto più aderente alla realtà può essere fatto discutendo continuamente con le masse dei lavoratori e per esse con i loro Sindacati. Mi risulta che a giorni i Sindacati faranno pervenire alla Regione una richiesta di incontro, ma noi rinnoviamo qui l'invito a non attenderla, a farci noi stessi promotori di questo incontro nel momento in cui ravvisiamo nella piattaforma rivendicativa della Fiat un collegamento immediato con le norme statutarie; noi dobbiamo promuovere delle iniziative che ci consentono di operare subito.
La nostra proposta è questa: preliminarmente un incontro con i Sindacati per formulare da parte della Giunta una serie di proposte operative da sottoporre alle Commissioni e al Consiglio. La mozione nostra e dei compagni Socialisti si conclude con una frase che non ritroviamo nella mozione della D.C.; dopo avere formulato alcune proposte operative la nostra conclude dicendo "invita a tal fine la Giunta ad assumere le tempestive iniziative di sua competenza". Nell'o.d.g. della D.C., mentre si ripropongono alcune questioni di interesse generale, si ripropongono anche alcuni elementi di intervento, però non c'è nessun impegno preciso, non c'è questa frase e la cosa non è marginale. Sarebbe esattamente grave se noi facessimo discorsi in cui si riaffermano cose importanti, la volontà di essere al fianco del moto di rinnovamento del Paese ecc. in cui si dice che la Regione vuole interpretare queste esigenze di rinnovamento quando è posta da una grande forza quale è oggi quella del movimento operaio, se poi non si conclude dicendo ciò che è possibile fare. Siamo tutti convinti che carenze di legge oggi ne esistono, ma pensiamo che in questa fase alcune cose si possono comunque attuare.
La piattaforma rivendicativa della Fiat e le esperienze in essa contenute ci consentono di formulare ancora un invito a costruire con i Sindacati le proposte di intervento immediato. Noi sappiamo per esempio che i lavoratori della gomma, i ceramisti, la CEAT, la Indesit, hanno conquistato una piattaforma rivendicativa, contrattuale in cui la difesa dell'ambiente dei lavoratori dalle nocività ha un posto molto importante.
Si conferisce ai lavoratori il diritto di costituirsi in gruppi omogenei all'interno della fabbrica, di avere il libretto di rischio personale, di avere la raccolta dei dati biostatistici per reparto, di avere un libretto individuale. Ho una copia di questo documento da dare a tutti i Capigruppo e al Presidente della Giunta, quindi non entro nel merito, ognuno potrà leggerlo e trarre le dovute considerazioni. L'importante è vedere come noi forze politiche della Regione ci atteggiamo nei confronti di queste richieste che vengono dal mondo del lavoro.
La domanda che pongono i Sindacati è: chi raccoglie questi dati? Anzi la prima domanda che fanno è: chi deve effettuare i rilievi ambientali? Essi dicono che il problema è politico prima che tecnico. Chiunque sia a compiere i rilievi, questi devono venire effettuati come, quando e dove indicano i lavoratori del gruppo operaio interessato ed il loro delegato.
Tutto ciò presuppone un organismo che non sia il padrone. Difatti i Sindacati escludono l'intervento di organizzazioni padronali, il rapporto deve essere immediato tra i gruppi organizzati dei lavoratori e gli strumenti esterni che domani sarà l'unità sanitaria locale che oggi non possono che essere il Comune, la Provincia e soprattutto la Regione, che tra l'altro avrà dei compiti primari in relazione alla riforma sanitaria.
Sui tecnici che compiono i rilievi, dicono ancora i Sindacati, è opportuna una distinzione che è necessaria in quanto l'iniziativa sindacale per la definizione di precisi criteri e metodi, comporta delimitati e distinti campi di iniziative. Vi sono tecnici della rilevazione dei dati ambientali le cui conclusioni alle quali giungono sono il frutto di una condizione misurabile e definibile in ogni momento, rilevazione dei rumori polverosità, luminosità, ecc. Riteniamo abbia un valore altrettanto obiettivo, riconosciuto come tale, il giudizio espresso dai lavoratori non solo sui tre fattori ambientali, ma anche sul quarto gruppo di fattori misurabile solo attraverso il giudizio espresso dal gruppo operaio interessato. Si tende ancora a costituire un tipo di rapporto permanente tra coloro che continuamente accertano le condizioni di lavoro e tra coloro che devono rilevare i dati ambientali affinché queste rilevazioni corrispondano perfettamente al tipo di ricerca, di lavoro, di impegno, che i lavoratori singolarmente o col gruppo omogeneo conducono.
La metodologia proposta si muove nella direzione ampiamente acquisita che la salute deve essere salvaguardata direttamente dai lavoratori tramite l'accordo tra i lavoratori impegnati nella fabbrica e i gruppi esterni, le équipes di medici o chi sarà comunque che dovrà rilevare i dati dell'ambiente, rapporto che consenta di far partecipare direttamente i lavoratori alla definizione degli obiettivi, oltre che naturalmente degli strumenti che occorrono per intervenire.
I vari campi di iniziative però confluiscono tutti in un unico orientamento che sintetizzando, dicono i Sindacati, si può così riassumere: attuare la prevenzione attraverso la rilevazione e lo studio di tutti i dati ambientali e sanitari, per giungere a proposte tecnologiche di organizzazione del lavoro sulla base di una diagnosi preventiva che permetta l'eliminazione del rischio e quindi delle fonti di nocività. In relazione a chi deve effettuare i rilievi il contratto della gomma per esempio precisa: "La rilevazione dei dati ambientali e delle concentrazioni delle sostanze nocive, viene effettuata da medici o tecnici professionalmente qualificati, appartenenti ad enti specializzati di diritto pubblico, ovvero altri enti specializzati scelti di comune accordo designati rispettivamente dalla direzione aziendale e dalle rappresentanze sindacali aziendali".
Se entrassimo nel merito di questo, ci accorgeremmo che a fianco di indicazioni interessanti, quali per esempio quelle designate da rappresentanze sindacali aziendali, si ritrova anche la designazione da parte della direzione e, qualora avvenisse, non potrebbe essere valida se non alla condizione di essere integrata con le rappresentanze operaie all'interno della fabbrica, per non ritornare al concetto iniziale che sia la fabbrica a proporsi come elemento mediatore della rilevazione tra gli organismi esterni che devono attuare gli interventi e gli operai all'interno della fabbrica che fanno queste ricerche e rilevazioni sulle condizioni di salute. I rappresentanti delle organizzazioni sindacali giudicando limitati alcuni strumenti attuali, negativi altri, respingono la possibilità che questi strumenti possano essere per esempio l'Ufficio d'igiene e sanità del Comune non in grado di intervenire, l'Ispettorato del lavoro, l'ENPI, l'Istituto di medicina del lavoro dell'Università ecc.
perché oltre a non essere attrezzati per fare questi rilievi, svolgono la loro attività con criteri e orientamenti non rispondenti alle linee politiche espresse dai Sindacati. Chiedono cioè interventi nuovi e dicono chiaramente che li deve fare la Regione.
Io ritorno sempre al vincolo che ci siamo assunti con gli articoli 4 e 6 dello Statuto. L'art. 6 dice che la Regione "promuove e attua un'azione ecc. legislativa e regolamentare intesa a creare ed organizzare gli strumenti più efficaci per un preciso intervento a tutela della salute dei cittadini, e specificatamente: a) costituisce organismi sanitari ed altri strumenti di intervento e di controllo nei luoghi di lavoro per tutelare la salute e prevenire le cause che le provocano danno b) favorire la partecipazione dei comitati di fabbrica, dei lavoratori delle categorie professionali alla gestione degli organismi degli strumenti antinfortunistici di medicina preventiva, di igiene generale, di igiene mentale nonché di medicina curativa e riabilitativa".
Non a caso ho citato gli impegni statutari che sono conosciuti da tutti, perché è da questi due impegni statutari che emergono per noi le proposte di lavoro.
La prima domanda è quindi quali sono gli strumenti che la Regione intende costituire per intervenire sui luoghi di lavoro: dobbiamo aspettare la riforma sanitaria che probabilmente non ci assegnerà compiti di questo tipo, come già abbiamo rilevato in un'altra occasione e lo stesso Presidente della Giunta ha avuto occasione di affermare indispensabile invece avere, o non dobbiamo invece, porci all'opera per incominciare a costruire, a formulare delle ipotesi e anche a tentare interventi che mentre rispondono positivamente alla richiesta dei Sindacati sono dei contributi positivi alla formazione di un vero e moderno servizio sanitario nazionale? Credo che nella risposta che daremo a questi due punti dello Statuto, risponderemo alle esigenze che i Sindacati pongono. La Regione pu intanto intervenire, per quanto è possibile, verso l'istituto per l'asbestosi che è una delle realizzazioni più importanti della Provincia di Torino nel corso dei cinque anni precedenti, importante perché preceduta da una indagine sui luoghi di lavoro, per le conclusioni a cui è pervenuta, e per avere anche costruito uno strumento di intervento, per un tipo di malattia professionale che da quell'indagine emergeva. Risulta che questo istituto ha oggi una vita alquanto stentata, che non riesce ad esercitare quei compiti che si era ripromesso e che erano nella volontà delle forze politiche. Noi chiediamo alla Giunta di fare in modo che questo istituto per l'asbestosi sia posto nella condizione non solo di funzionare, ma di ampliare il suo terreno di ricerca verso le fabbriche che dimostrino elementi di morbilità di questo genere. Ciò presuppone una presa d'atto di quanto è stato compiuto dall'istituto sino ad oggi, presuppone, alla luce di questo accertamento, contatti coi delegati di fabbrica, con i Sindacati per avere la possibilità di ampliare il campo di ricerca. Ma non possiamo arrestarci all'asbestosi; noi sappiamo che più grave ancora è la silicosi che interessa tutte le fonderie. Di fronte a questo grosso problema la Provincia di Torino si arrestò anche per certe resistenze incontrate, ma oggi la lotta delle fabbriche, i contratti già conquistati consentono di aprire un discorso anche nei confronti della silicosi, malattia che mina la salute di migliaia di operai. Non occorrono leggi subito, occorre volontà politica, volontà di intervenire in stretto contatto con i sindacati per vedere qual è il gruppo delle fabbriche su cui orientare il nostro intervento, costituire organismi della Regione, dei Sindacati, della Provincia, del Comune, dei comuni interessati per vedere di fare sulla base di quanto fatto per l'asbestosi, anche un discorso per la silicosi. Credo di dover sottolineare l'esigenza dell'incontro con i Sindacati, non soltanto per consultarli in materia di politica sanitaria in generale; noi sappiamo che alla Fiat Mirafiori, alla Lingotto, alla Grandi Motori ci sono l'officina 54 delle Carrozzerie Mirafiori, le officine 16 e 5 della Grandi Motori che hanno compiuto esperienze attraverso le quali sono giunte a indicare elementi di intervento che per ottenere soluzioni positive hanno bisogno di interventi esterni; chi raccoglie i dati, chi li elabora, chi propone gli strumenti di intervento che per il momento possono essere di carattere politico, ma verrà il momento in cui li imporremo con una legge.
L'importante è che in questa fase di lotta dei lavoratori che propone problemi di interesse nazionale in quanto tende a intervenire sul processo produttivo, a controllare la politica delle grandi industrie ed esercita una funzione di controllo essenziale, si affermino elementi di estremo interesse quali quello della salvaguardia della salute dell'uomo dentro la fabbrica. Se noi vogliamo far corrispondere l'azione alle parole che scriviamo negli o.d.g. (e sono convinto che arriveremo ad un o.d.g.
unitario su questa questione) dobbiamo però concludere con un impegno.
Avevamo detto nel nostro primo documento di demandare alle Commissioni il compito di studiare, di promuovere, abbiamo rinunciato a questo per non introdurre elementi che possono dividerci, abbiamo dato alla Giunta il compito di proporre alle Commissioni delle iniziative di intervento.
Questa è la proposta che noi facciamo e chiediamo che l'o.d.g. si concluda con l'invito alla Giunta di raccogliere gli elementi emersi dal dibattito, di incontrarsi con i Sindacati per averne ancora e di proporre alla luce di questi dei possibili interventi, alcuni dei quali sono stati qui indicati.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, una norma regolamentare che dovrà essere opportunamente emendata per adeguarla a quella più idonea che regola l'analoga materia nei due rami del Parlamento, ci ha costretti ad adottare la forma dell'o.d.g. e non della mozione per illustrare un aspetto particolare, ma non meno importante, dell'argomento in corso di discussione, quello della violenza.
In questo Consiglio più volte si è parlato della violenza, qualificando come tale la reazione legittima che i giovani appartenenti alla nostra parte politica esercitano, sono costretti alle volte ad esercitare nei confronti di chi, sempre, con la violenza, tende ad impedire loro l'esercizio di diritti sanciti dalla Costituzione.
Dobbiamo esprimere il nostro rammarico che il Presidente della Giunta poco fa, parlando di questo argomento, sia ricorso a delle circonlocuzioni e non abbia osato esprimere una ferma, aperta condanna su quanto avviene nei vari stabilimenti della Fiat e di altre aziende della città di Torino e del Piemonte, dove gli aderenti, gli attivisti appartenenti alla trimurti sindacale, quotidianamente, con le intimidazioni, con il picchettaggio, con la forza impediscono il lavoro e quei lavoratori (e sono la grande maggioranza) che non intendono associarsi a certe particolari forme di agitazione sindacale. Lavoratori picchiati, lavoratrici malmenate. E non dimentichiamo che il 7 aprile due lavoratori sono morti, per infarto è stato detto, ma guarda caso l'infarto li ha colpiti subiti dopo che erano riusciti a superare sbarramenti dei famosi, dei famigerati picchetti.
Questo è il bilancio quotidiano della attività degli attivisti aderenti alla CGIL,alla CISL, alla UIL: impiegati costretti ad abbandonare con la forza gli uffici, come è stato denunciato dai 625 firmatari di quell'esposto presentato alla procura della Repubblica e che il Consigliere Minucci ha dichiarato essere stato firmato soltanto dalla metà degli interessati; però l'altra metà l'ha firmato e guarda caso i firmatari sono proprio coloro che sono stati oggetto e vittime delle violenze degli attivisti rossi.
Io ho l'onore di rappresentare in questo Consiglio non soltanto il partito al quale appartengo, ma anche l'organizzazione sindacale alla quale sono iscritto, la CISNAL. Ebbene, devo dichiarare, assumendomene la responsabilità, che i lavoratori della CISNAL (che nel complesso Fiat certo non sono la maggioranza, sono alcune migliaia) hanno fatto sapere che d'ora in avanti si raggrupperanno là dove possibile per tutelare, per difendere la loro libertà di autodecisione, reagendo, se è il caso anche con la violenza alla violenza.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi, ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, mi sembra che i temi che sono stati introdotti nel dibattito, siano di troppa importanza perché non mi corra l'obbligo di portare in questa sede la posizione della forza politica che rappresento. E credo anch'io che sugli argomenti che abbiamo cominciato a discutere occorra fare una distinzione fra tre ordini di problemi: il significato della piattaforma rivendicativa che stanno portando avanti i sindacati nella trattativa con la Fiat, il modo in cui l'azione sindacale che si sta svolgendo in molte aziende metalmeccaniche si inserisce invece in un contesto di politica sindacale di carattere più ampio (quindi gli aspetti più generali della politica sindacale di questi ultimi anni), per ultimo il modo in cui questa politica sindacale e lo sviluppo della stessa si è andato inserendo nella situazione socio-economica nazionale e in particolare nei suoi riflessi di carattere politico.
E cominciando dalla piattaforma rivendicativa devo confermare anch'io giudizio, che è stato dato ormai da molte parti politiche, dell'importanza del rilievo che molte delle proposte portate avanti dai sindacati hanno nel contesto dello sviluppo di un'azione rivendicativa di respiro, nel senso di un miglioramento delle condizioni qualitative del lavoro nelle nostre aziende. Direi che tutta la storia sindacale, da un secolo a questa parte porta avanti uno sviluppo lineare, coerente di certe posizioni. Ma nella piattaforma rivendicativa c'è qualcosa di più e non vorrei riferirmi soltanto ad alcuni elementi, ultime le considerazioni di Berti sui problemi della salute, delle condizioni igieniche nel posto di lavoro. Aggiungo, a quanto è già stato detto da altri, alcune considerazioni su uno degli elementi di questa piattaforma rivendicativa, che è il discorso della ricomposizione delle mansioni e del superamento della dimensione che si pu definire tayloristica dell'organizzazione del lavoro. Giustamente lo ricordava il Presidente della Regione, non è certo un problema della situazione italiana, è un problema che investe oggi le punte, le situazioni tecnologicamente più avanzate, è il problema delle società industrialmente più avanzate, dove dopo decenni di dibattito nel campo soprattutto della sociologia del lavoro, poco per volta è andato investendo i settori dell'organizzazione industriale e poi i settori più propriamente e più strettamente tecnici. Uno sviluppo dell'organizzazione del lavoro che inverta il senso di marcia verso la parcellizzazione, che vada verso la ricomposizione del lavoro e quindi verso una possibilità di ricreare momenti di lavoro professionalmente qualificati e qualificanti, è il risultato di decenni di studi, di analisi, di polemiche che oggi dal livello culturale scendono a livello di trattativa sindacale. Ed è estremamente positivo che oggi i Sindacati utilizzino questi strumenti scoprano queste cose, le portino sul terreno concreto della trattativa sindacale. Siamo in una situazione in cui c'è tutto da inventare e c'è soprattutto molto da sperimentare, dove il discorso del contrasto alla parcellizzazione e quindi della organizzazione del lavoro di tipo completamente diverso, ha delle grossissime difficoltà, tanto maggiori quanto è il livello di intensità di capitale dell'azienda, dell'importanza dell'impianto e della organizzazione dell'automazione. E' un discorso che oggi ha un suo rilievo nei paesi industrialmente più avanzati e nelle aziende tecnologicamente più avanzate che deve comportare soprattutto una profonda meditazione a livello di concezione di soluzioni tecniche e di progettazione dei prodotti, perché è solo attraverso una progettazione di tipo nuovo che si possono creare condizioni diverse per il futuro.
Detto questo e dato questo riconoscimento alla piattaforma che le organizzazioni dei metalmeccanici portano avanti nel nostro Paese, non possiamo non sottolineare il collegamento di questa azione sindacale con quella di questi ultimi anni. E dobbiamo farlo avendo ben presenti gli obiettivi di sviluppo economico e sociale del Paese, che sono quelli che il Presidente della Giunta ricordava: la necessità di una politica che abbia una visione soprattutto meridionalistica da un lato e una visione europeistica di mercati dall'altro e che trovi la possibilità di collegare queste necessità in una concezione che abbia una sua coerenza e dei suoi obiettivi. E se sul fronte della politica meridionalista dobbiamo dolerci che non siano stati creati in passato strumenti di carattere urbanistico nuovi, come le licenze di insediamento per bloccare la concentrazione in certe aree e favorire gli insediamenti industriali in altre, sempre nel campo della politica meridionalista non dobbiamo dimenticare che esiste un problema fondamentale, per lo sviluppo del Mezzogiorno, che è l'accumulazione dei capitali e l'indirizzo degli stessi verso le zone depresse.
E qui c'è un discorso che investe la dimensione della grande industria ma anche della piccola e della media, quella che rappresenta oltre il 50 per cento dei livelli di occupazione. Va ricordato il discorso della situazione psicologica di questi piccoli e medi industriali, che è il discorso della violenza e che ha un'incidenza soprattutto su questa dimensione industriale; certi margini di utile non sono recuperabili dalla piccola e media industria, ma soltanto dalla grande industria. Il tipo di azione sindacale e quindi di blocco e di riduzione di certe possibilità produttive, ha un peso che è enormemente accresciuto. La violenza la riferiamo non alle centrali sindacali, ma ai gruppi extra sindacali, extra parlamentari che all'interno della politica sindacale di questi anni hanno inserito un'azione che non possiamo non disconoscere e nemmeno dimenticare o sottacere quando parliamo di queste cose, perché ha assunto un peso obiettivo come forza di ricatto sulle centrali sindacali, le quali, non essendo riuscite a bloccare questa azione che aveva tendenze e obiettivi completamente diversi dai loro, hanno permesso lo svilupparsi di un'agitazione che soprattutto sul piano psicologico, ma anche nelle incidenze di carattere produttivo, ha avuto ed ha quel peso che oggi denunciamo quando diciamo che ci sono grosse disponibilità finanziarie e una scarsissima propensione ad assumere delle responsabilità di tipo imprenditoriale. E qua vorrei affrontare il discorso che investe le responsabilità delle centrali sindacali nel loro contesto e approfondirlo.
La piattaforma rivendicativa di oggi si inserisce in una politica sindacale che si va sviluppando da alcuni anni e che ha ripreso oggi. Noi registriamo aspetti molto interessanti e molto importanti, ma è una cornice che in effetti non è molto coerente perché se, come abbiamo detto e sosteniamo, individuiamo come tema fondamentale quello dell'accumulazione e dell'indirizzo dei capitali verso le aree depresse del Sud, dobbiamo anche domandarci se nel complesso l'azione rivendicativa portata avanti dai Sindacati in questi anni non sia stata invece un'azione che abbia determinato, involontariamente, ma di fatto, un enorme sviluppo di consumi sociali a sfavore di consumi collettivi o di investimenti di carattere produttivo. E' vero che i Sindacati, in questi ultimi mesi in particolare hanno discusso con energia la questione delle riforme, ma viene da domandarsi se il discorso delle riforme non doveva essere preliminare mentre in realtà lo scopriamo dopo anni di un'azione rivendicativa che nella misura in cui è stata condotta su tutti i fronti, in tutte le situazioni nel settore pubblico come nel settore privato, è andata a vantaggio di uno sviluppo di consumi individuali e non di uno sviluppo di consumi sociali e di investimenti. Questo è il problema che dobbiamo affrontare: come e perché oggi l'azione rivendicativa generale in tutto il settore metalmeccanico sia un'azione sul merito della quale possiamo anche essere concordi, ma proprio perché ha una storia sulle spalle e risponde a una certa situazione economica e congiunturale, evidentemente offre dei momenti di preoccupazione e di riflessione.
Tutto questo si aggiunge a una situazione sociale e politica che non può non preoccuparci, al di là dei dati che possiamo giudicare più o meno gravi sui sintomi di recessione economica, sulla riduzione dei tassi di investimenti dello Stato e del settore pubblico, una situazione politica nazionale che si aggiunge a questi elementi di contraddizione che con molta difficoltà trovano una loro coerenza sul piano dello sviluppo economico. E' una situazione politica difficile e complessa dove c'è, come componente fondamentale, l'azione politica del Partito Comunista che facendo leva su queste contraddizioni cerca di portare avanti un suo disegno politico quello dell'inserimento a tutti i livelli di una politica di gestione del potere, che è un elemento contraddittorio perché non si rende conto, pure se in buona fede e ritenendo di servire l'interesse dei lavoratori, che ci sono certe divergenze fondamentali di indirizzi e di orientamenti che al di là delle strumentalizzazioni o delle possibilità strumentali che vengono offerte da certi settori del Partito Socialista o anche della D.C., non hanno possibilità di svilupparsi; sono divergenze che separano ancora larga parte dello schieramento politico dal Partito Comunista, investono problemi di fondo come l'orientamento che le forze democratiche da 25 anni a questa parte ha sviluppato verso l'unificazione politica europea o verso una politica che non può abbandonare le alleanze tradizionali del nostro Paese fino a che non si creino condizioni diverse di equilibrio e soluzioni contrattate tra i due grandi blocchi internazionali. E' questo un elemento di incertezza, di equivoco politico che va addebitato forse di più alle componenti politiche all'interno dei due grossi partiti di centro sinistra che avallano la credibilità di prospettive frontiste a lunga e anche a breve scadenza e aggiunge incertezza ed equivoco a una situazione estremamente difficile.
Direi che non si possono non condividere gli accenni che il Presidente della Giunta faceva poco fa sulla necessità di dare un giudizio sulla azione rivendicativa della Fiat. Gli obiettivi di fondo, quelli dell'industrializzazione del Sud da un lato e possibilità di accumulo di capitali in una situazione concorrenziale internazionale (estremamente delicata, che vede tutta la nostra industria impegnata in una concorrenza estremamente difficile, complessa a livello internazionale, che è condizione di sviluppo per il nostro Paese), devono equilibrarsi e trovare un raccordo organico e graduale nel tempo; di qui tutti quegli elementi di preoccupazione che il Presidente della Giunta ci consegnava e che non possiamo non condividere, che ritroviamo nella mozione del Gruppo D.C. che riteniamo di poter condividere ed alla quale, se al termine del dibattito non ci saranno novità di impostazione e di discussione tra i gruppi, io darò il mio voto.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'ora e lo svolgimento del dibattito mi esimono da un intervento molto lungo. Non avrei niente di nuovo da dire perché su questo argomento credo che cose nuove sia molto difficile trovarne, ma farei alcune considerazioni succinte.
Minucci ricordava un noto personaggio televisivo di questi tempi, il Presidente dell'Intersind, il quale qualche giorno fa in un dibattito, con presentazione di ipotesi di lavoro e di impostazioni politiche di varia sfumatura, ha detto una cosa che ritengo valida e cioè che i lavoratori oggi, nel porsi di fronte alla controparte padronale, si pongono non soltanto come lavoratori, cioè come persone che hanno un rapporto all'interno della fabbrica, ma anche come cittadini. Mi pare che in questa rapida definizione ci sia la sostanza di tutto ciò che sta avvenendo nel nostro Paese e che il dibattito di oggi (che per la verità è stato forse uno dei più elevati di tono da quando esiste il Consiglio Regionale) ha confermato: sfumature, particolarità, angoli visuali diversi evidentemente però il riconoscimento di alcuni aspetti di fondo che non sfuggono ormai più a nessuno che voglia collocarsi nella realtà del nostro Paese. Potremmo dire, con un'altra immagine, che oggi i lavoratori della Fiat come delle altre industrie stanno conducendo un tipo di lotta sindacale che intende abbassare i miti della fabbrica, perché cose che sono proprie della vita civile, al di fuori delle mura delle fabbriche, entrino nella fabbrica e esigenze ed aspetti di vita fondamentali dell'interno della fabbrica vengano recepiti, fatti propri, interpretati dopo un'analisi seria e costituiscano oggetto di determinazioni al di fuori, nella società civile.
E' evidente che di fronte a un panorama di questo genere (io non lo approfondisco perché con molto interesse abbiamo seguito molti colleghi che ne hanno parlato) nessuno che non voglia guardare soltanto al passato non può non rendersi conto di questa realtà. E questa primavera fredda segue come sviluppo logico e naturale, l'autunno caldo. In altri termini, si fanno ulteriori passi avanti. Il mondo operaio, attraverso una faticosa faticata ma certamente maggiore solidarietà e unità interna, ha posto dapprima alla controparte in modo tradizionale, in senso strettamente sindacale oggi, attraverso la nuova vertenza contrattuale i suoi problemi e li pone alla società civile e quindi a noi, agli organi pubblici, allo Stato nelle sue articolazioni e sono problemi che vanno risolti perch nella loro soluzione troviamo l'avanzamento effettivo del popolo italiano sul piano economico, sociale, umano.
Ed è significativo che come portato riassuntivo della piattaforma che i Sindacati pongono alla Fiat oggi, vengano posti alcuni problemi che sono dell'interno della fabbrica, ma che impegnano in prima persona la società civile, in prima persona la Regione e sono quelli che riguardano la salute non soltanto quella fisica, ma quella mentale, quella intellettuale, quella spirituale che riguarda l'uomo nella sua integrità; parallelamente a questi, in una maniera non disgiunta, anche se stasera poco è stato rilevato in proposito, c'è il problema della formazione e della riqualificazione professionale permanente. Io ne ho voluto parlare non perché ci fosse molto da aggiungere, ma perché le due mozioni fondamentali esposte, una delle quali ho firmato e che personalmente ritengo, proprio per la natura ed il livello di questo dibattito, possono trovare un punto di incontro ed io chiedo alla Giunta Regionale che sta muovendo i primi passi di assumere qualche impegno concreto in proposito.
E' stato rilevato che oltre alcune differenze, di natura puramente lessicale, dei due documenti, sarebbe stato saltato nel nostro documento un chiaro invito di impegno alla Giunta. Noi non abbiamo nessuna difficoltà nel dire questa cosa, non c'è niente di particolare in questo, soprattutto quando si sono fatte affermazioni di fondo che toccano la sostanza. Ed allora, nel fare un invito alla Giunta di operatività in questa direzione colgo anch'io un rilievo che è già salito dai banchi dell'opposizione, che è un dato di fatto inequivocabile. Si parla nell'ambito della riforma sanitaria, di quello che dovrà essere l'elemento fondamentale di tutela della salute dei cittadini, cioè l'unità sanitaria locale, la quale per il momento è poco più che una definizione, anche perché molto probabilmente non sarà una soluzione unitaria e assolutamente bloccata in tutto il Paese e anche in ogni regione. Però ritengo che oggi la nostra capacità di inventiva deve concentrarsi lì ed è per questo che rivolgo un caldo e cordiale invito alla Giunta a voler tentare delle ipotesi concrete di soluzione del problema, delle ipotesi organizzative che ci colleghino ad una possibilità di discussione nelle Commissioni, seguendo una linea logica, anche se non fossimo ancora nella condizione di maturazione, per aver già pronta la soluzione definitiva, al fine di avere una soluzione unitaria anche soltanto nella nostra Regione. Il nostro Statuto, con l'art.
6 più volte ricordato anche nella nostra mozione, proprio per aver stabilito che l'unità sanitaria locale deve trovare un punto di incontro con l'ambiente di lavoro, determina una notevole differenza con le unità sanitarie che potranno farsi nella città, nella cintura di Torino e in altre zone industrializzate a diverso grado. E' evidente che ci sarà tutta una gamma di sfumature e noi fin d'ora dovremmo cercare di identificare la soluzione base partendo proprio dalle zone industriali nelle quali, con le indicazioni che riceviamo oggi non solo dalla piattaforma Fiat, ma dai già citati contratti di lavoro stipulati in questi ultimi tempi, alcuni aspetti del problema della salute sono stati opportunamente definiti.
Rilevo che la necessità di un'attuazione urgente è dovuta al fatto che noi vogliamo attuare il nostro Statuto, il quale all'art. 6 parla di organismi e strumenti antinfortunistici, di medicina preventiva, di igiene generale, di igiene mentale, di medicina curativa e riabilitativa ecc. In realtà in Italia vi sono dei gradi diversissimi di esperienza e di possibilità di trovare immediatamente le persone idonee, perché per alcuni aspetti della medicina, dell'igiene come qui definita, vanno bene tutti i medici o gran parte, per altri mancano i medici e quegli ausiliari dell'attività sanitaria che sono pure così necessari. E' per questo che abbiamo urgenza, non basta aspettare la legge della riforma quasi fosse da sola la panacea, la legge non potrà essere altro che un quadro entro cui con molta difficoltà, per quanto riguarda il potere decisionale della Regione, potremo inserire delle concrete iniziative. Quindi cominciamo presto.
E collego i problemi della formazione professionale. Perché li collego? Alcuni motivi li ho già detti e per dire alla Giunta (che lo sa ma è bene ripeterlo) che oggi in ambienti qualificati del servizio sociale largamente inteso, si ritiene la concezione di unità sanitarie locali una concezione parziale che deve essere superata da una visione di unità locale dei servizi. Se accettiamo questa impostazione, che fa dell'attività sanitaria soltanto una parte e secondo me lo è soltanto in parte e altri servizi sociali possono e devono concorrere per considerare l'uomo nella sua integrità, tutta la famiglia e la comunità nella sua integrità, è chiaro che anche le iniziative di istruzione professionale in particolare in rapporto al discorso di quest'oggi devono tenere conto di questa realtà.
Il nostro Assessore all'istruzione e alla formazione professionale ha larga competenza in materia, però ritengo che anche qua dobbiamo scoprire inventare qualche cosa di nuovo se vogliamo dare una risposta seria. E' una discussione che sarà durissima con gli organi centrali dello Stato non soltanto per avere in un'interpretazione seria, moderna della Costituzione il massimo di materia destinata al potere, alla responsabilità delle Regioni, ma anche nel superamento di una visione degli strumenti di istruzione, di formazione professionale come visti finora, tutto sommato casualmente collocati sul territorio, non sempre rispondenti ad un esatto collegamento fra il mondo del lavoro di quel determinato posto e le scuole che devono provvedere a formare gli operai, a qualificarli e eventualmente anche a modificare la qualifica, qualora ce ne fosse bisogno.
Io non so se dovremo seguire la strada della vicinanza al luogo di lavoro, oppure se dovremo tenere più conto del fatto che molte volte gli operai abitano altrove e quindi hanno altri punti di riferimento. Io direi che finché regge un sistema di industria così accentrata e non avremo razionalizzato questi stati di congestione, bisognerà probabilmente seguire la prima strada, proprio perché le ore libere sono molte volte utilizzate sui treni, sui mezzi di trasporto e non creano le condizioni psicofisiche necessarie per ricercare ed ottenere quella certa qualificazione.
All'inventiva della Giunta le proposte.
Chiedo soltanto, concludendo, agli Assessori competenti alla sanità all'istruzione, alla sicurezza sociale, di ritenersi, rispetto a questi problemi, un gruppo di lavoro, in modo tale che le proposte, pur con le naturali sfaccettature di carattere più squisitamente tecnico, abbiano per un animus comune, che è quello che abbiamo qui riaffermato: volere una Regione che risponde a problemi veri della comunità se risponde ai problemi di fondo dell'uomo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Vera, ne ha facoltà.



VERA Fernando

Anche se il mio Gruppo non ha presentato (dirò poi la ragione) un proprio documento in questo dibattito, desidero esprimere l'interesse che il mio partito ha in più occasioni dimostrato per le istanze rivendicative dei lavoratori della Fiat in lotta e a queste rivendicazioni, a questa lotta hanno partecipato i lavoratori socialisti democratici del settore anche se in certe occasioni, quando la lotta assumeva caratteristiche diverse da quelle più pertinenti ad un sindacalismo democratico, le loro posizioni si sono differenziate.
Noi riteniamo che l'aspetto più interessante, più valido, che non pu sottrarsi all'attenzione degli Enti pubblici, di questa lotta sia la rivendicazione di una condizione umana di lavoro migliore di quella che caratterizza attualmente il processo produttivo. Né pensiamo che valga il considerare che queste caratteristiche alienanti e spesso disumane sono proprie di un tipo di società industriale più avanzato. E' vero che anche nei Paesi che si sono dati recentemente delle strutture industriali avanzate ed anche nelle così dette democrazie popolari, ritroviamo spesso caratteristiche analoghe, ma è altresì vero che le società più civili, più progredite da tempo hanno posto allo studio rimedi a questo tipo di condizione di lavoro, senza attendere quella prospettiva futura, sia pure lontana, in cui il tipo di attività preminenti sarà quello terziario. Noi riteniamo però che vada individuato il momento mediano tra queste validissime rivendicazioni e le esigenze di produttività nel quadro del necessario progresso dell'economia nazionale. E per queste ragioni, se si dovesse da parte del nostro Gruppo fare una scelta tra le mozioni che sono state presentate e che hanno dei punti di concordanza, quella presentata dal collega Bianchi ed altri sarebbe la mozione che individua il momento mediano tra queste due esigenze, in modo più equilibrato. Riconosciamo che anche nella mozione presentata dai colleghi Ferraris, Giovana ed altri esistono molti punti che ci sentiamo di accettare, mentre ne esistono forse altri, probabilmente accettabili ma di cui è difficile a priori una verifica realistica. Vi è inoltre, nella mozione Bianchi e manca nell'altra, la riprovazione per quei fatti di violenza che si sono verificati e che ancora possono verificarsi nel corso della lotta rivendicativa e che noi riteniamo, nell'interesse del movimento della lotta dei lavoratori, non accettabili nell'ambito di forme democratiche di lotta sindacale.
Noi abbiamo rinunciato a presentare un nostro documento, a differenza degli altri Gruppi politici presenti in questo Consiglio, perché anche tenendo presente il discorso estremamente interessante qui fatto dal Presidente della Giunta, così pregno di aperture, di prospettive che la Regione può portare avanti, e le concordanze che esistono tra le varie mozioni presentate, riteniamo che di fronte ad un argomento di questa importanza e di questa prospettiva il Consiglio Regionale dovrebbe fare uno sforzo per arrivare a un documento unitario.
Per questa ragione chiederei, a nome del mio Gruppo, al Presidente del Consiglio, alla fine di questo dibattito di voler eventualmente effettuare una sospensione per consentire ai Capigruppo di concordare un documento comune prendendo dai vari documenti quelle parti che ci uniscono e accantonando quelle che ci possono dividere.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Fassino, ne ha facoltà.



FASSINO Giuseppe

Signor Presidente, signori Consiglieri, dopo tutto quanto è stato detto penso che rimanga poco da aggiungere. Devo, tuttavia intervenire (proprio perché sono presentatore di una mozione, a nome del Gruppo liberale) non fosse altro che per dare qualche chiarimento sulla mozione stessa che non è così particolareggiata, così approfondita come quella presentata dai colleghi di altra parte politica, ma che tuttavia può trovare molti punti in comune. Tralascio di soffermarmi sui tanti particolari che ci sono stati offerti dai colleghi intervenuti prima di me. Il Consigliere Minucci ha parlato a lungo e ci ha ragguagliato sulla vita interna della Fiat, sui sorveglianti che diventano aguzzini, sui tempi e sui metodi di lavoro. E se mi consentite una battuta, mi ha fatto ricordare di aver letto tempo addietro di un certo Poliakoff che ebbe una medaglia d'oro, se non erro in Russia, proprio per avere saputo adeguare i tempi di lavoro di una fabbrica sovietica ai tempi di lavoro della Fiat Mirafiori. Resta una battuta, n voglio essere l'avvocato difensore di alcuno.
I colleghi intervenuti hanno concordato (e noi lo facciamo adesso) sul fatto che quasi tutte le richieste dei lavoratori nella vertenza Fiat siano coincise praticamente alla lettera con le finalità che si è proposto il nostro Statuto regionale, al quale abbiamo anche noi dato la nostra approvazione. Si parla di controlli, ad esempio, da parte delle rappresentanze sindacali, sulle condizioni dell'ambiente di lavoro e ci troviamo perfettamente d'accordo; così come si parla di partecipazione dei lavoratori alle decisioni che riguardano l'organizzazione e la valutazione delle mansioni. Anche dalle esperienze estere abbiamo appreso (e se non vado errato proprio da quella francese) che dei tanti comitati previsti all'interno dell'impresa, solo quelli di stabilimento e di igiene e sicurezza hanno concretamente dato dei risultati veramente validi, senza dubbio più validi di quelli registrati in altri Stati (come la Jugoslavia) in materia di autogestioni, tutt'altro che incoraggianti. Ma la partecipazione dei lavoratori alla vita dell'azienda, cioè a codecidere sulla disciplina, sui metodi, sui tempi, sull'igiene, sulla sicurezza contro gli infortuni, sul riposo, sulle condizioni sanitarie dell'ambiente deve essere libera, cosciente e responsabile, tale, a nostro avviso, da non compromettere le sorti dell'azienda stessa (parlo dell'azienda in genere) a livello nazionale ed internazionale.
L'accenno fatto dal Presidente della Giunta proprio oggi ai grandi problemi (economici o finanziari che essi siano) internazionali, non pu essere sottovalutato in un dibattito che si è mantenuto ad un livello veramente interessante sotto tutti gli aspetti. Non si può e non si deve mantenere la lotta fra capitale e lavoro sul piano di continue rivendicazioni indiscriminate che possono magari servire ad alimentare la fiaccola della rivolta ideologica. Ecco la ragione per cui il concetto della conflittualità permanente (che non è affermazione soltanto nostra, ma proprio in questi tempi è stato espresso da molte parti politiche) non potrà che risolversi con un danno grave per tutti e in particolare proprio per i ceti meno abbienti.
Per citare ancora una volta, oggi, Luigi Einaudi, è vero che solo nella lotta, solo in un perenne tentare, in un perenne sperimentare, solo attraverso vittorie e insuccessi una società, una nazione prospera perch quando la lotta ha fine, ne siamo tutti convinti, si ha la morte sociale e gli uomini hanno perduto la ragione stessa di vivere; è altrettanto vero che tale lotta è necessaria, è feconda, ma deve svolgersi, secondo noi nell'ambito delle leggi onde a tutti venga assicurata la libertà di sciopero da una parte ma nello stesso tempo il diritto al lavoro. E ciò noi affermiamo nella nostra mozione e ci auguriamo che quel clima nuovo a cui faceva cenno Minucci ci sia veramente e ci porti a poter assicurare l'una e l'altra cosa nell'interesse dei lavoratori.
Con questa premessa, tanto più importante in tempi in cui non sempre tale rispetto è stato garantito, ci sembra logico che ogni impresa debba tenere tutte le finestre aperte sulla società in cui opera, stabilire rapporti con l'ambiente istituzionale che tende a condizionarla sempre più tanto più poi se questa impresa appartiene alla comunità, come appartiene alla comunità in quanto frutto della sua cultura, della tradizione, della sua vocazione espresse attraverso il lavoro. Da questo nasce la necessità che abbiamo esposto nella nostra mozione, di una continua consultazione con i Sindacati e con le organizzazioni di categoria.
L'ora e il tempo mi impediscono di dire altro anche perché finirei col ripetere forse cose dette da altri colleghi. Concludo: non nascondiamoci cari colleghi, che i sintomi di recessione ci sono, esistono, è inutile che ci mettiamo dietro a un paravento per negarli. Le previsioni non sono certamente migliori: nel prossimo autunno temiamo che tutto ciò minacci di estendersi dall'edilizia ad altri settori. Questi pericoli teniamoceli di fronte e con quella correttezza che ha sempre alimentato tutti i nostri dibattiti auguriamoci invece che una equa soluzione della vertenza possa in Piemonte, permettere a tutti, a una parte e all'altra, di guardare al futuro con una maggiore serenità.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Molto brevemente. Il dibattito è già concluso, tutto quello che poteva essere detto....



GIOVANA Mario

Le persone importanti parlano sempre per ultime!



BIANCHI Adriano

Non approfitto - e non sono quasi mai in condizione di poterne approfittare a nessun effetto - di questa specie di privilegio.
Ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi che sono stati fatti oggi in questo dibattito veramente interessante, importante, costruttivo educativo (educativo per me) e tra tutti gli interventi, senza far torto a nessuno, ho ascoltato con particolare interesse quello del collega Minucci per la vastità dell'impegno, per la preparazione di lungo termine che rivelava, per il valore della convinzione e anche per la nobiltà della forma. E' stato un intervento illuminato, un intervento però che oltre ad essere illuminato lo definirei ancor più illuminista che marxista. La realtà si muove, cammina con tale rapidità da indurre uomini intelligenti e in buona fede come Minucci, a dare dei giudizi, delle valutazioni ad assumere degli atteggiamenti che sono fortemente innovativi rispetto ad una tematica, ad un modo schematico che già noi conoscevamo di formulare i giudizi sulla realtà economica e sociale.
Le citazioni, diciamo i termini di una critica e di valutazioni di tipo strettamente classista che io ho avvertito, venivano espressi come una reminiscenza culturale piuttosto che come conclusione dettata da riferimenti di attualità. Si sentiva veramente la necessità di adottare nuovi metodi di esame della realtà e questo è sintomatico ed è molto importante che sia avvenuto. Importante perché siamo di fronte alla realtà in forte movimento ed il Consigliere Nesi lo ha accennato; lo ha ricordato il Presidente della Giunta: siamo di fronte ai colossali problemi determinati dal superamento di una società organizzata e fondata sullo sviluppo meramente industriale e ci affacciamo, mentre ancora abbiamo grosse sacche di sottosviluppo agricolo e quasi medioevale, alle soglie di una società postindustriale. Superiamo, andiamo superando i duri effetti massificanti ed alienanti presenti in tutte le società, quale che sia l'ideologia che ha presieduto la organizzazione dello Stato. Per gli effetti di stimolo e di superamento che vengono dall'esistenza di una dialettica democratica, stiamo passando ad un'epoca che vede la prospettiva che all'uomo, sempre più liberato dagli effetti mortificanti delle necessità essenziali più stringenti, sia aperta la via al discorso per una personalizzazione di ogni aspetto della vita produttiva, della vita economica e dell'organizzazione sociale. E voi immaginate ed immagina il Consigliere Minucci se ci può preoccupare o se non possa invece da noi essere salutata con grande speranza e grande fiducia l'alba di questa nuova epoca, epoca che non nasce da sé automaticamente, ma che vogliamo costruire, accettando e riconoscendo la validità di tutti gli apporti che possono essere dati in questo senso; di un'epoca nella quale l'ispirazione quasi utopistica dell'affermazione del personalismo cristiano vede invece la possibilità concreta e realistica della sua realizzazione anche in termini di valutazioni razionali.
Il Presidente Calleri ha già con efficacia illustrato le motivazioni particolari e generali che stanno dietro i contenuti della nostra mozione così come ha illustrato il ruolo che di fronte a una realtà importante come quella della Fiat, svolge nel mondo dell'industria la Regione che si pone come interlocutore, come guida, come termine di riferimento. Rivendichiamo quindi come uno dei punti positivi anche di questo dibattito, l'assunzione della Regione come momento di giudizio, di indirizzo, di riferimento per la soluzione di questi problemi.
Sottolineo ancora l'aspetto positivo di queste lotte sindacali che segnano il passaggio da fasi più segnatamente rivendicative o di tipo economico a una lotta che si esprime nella ricerca di condizioni di lavoro di vita intese a valorizzare, a dare spazio e responsabilità alla persona del lavoratore cittadino e alle sue organizzazioni.
Io proprio dall'intervento del Consigliere Minucci ho tratto la convinzione che occorrano dei mutamenti del quadro politico per correttamente rappresentare questa realtà e lo stesso suo intervento ne è rivelatore, ma ritengo (e l'esperienza e anche questo dibattito l'hanno fatto emergere) che questi mutamenti saranno efficaci e validi solo se si esprimeranno in capacità di rinnovamento delle forze politiche e democratiche, in possibilità di una presenza viva, di un fronte vivo ed attivo, di una pluralità di forze politiche e sociali dal confronto delle quali può rapidamente emergere la diagnosi sulle situazioni e puntualmente l'adozione delle misure e l'apertura degli spazi necessari alle nuove forze che avanzano e che chiedono più potere politico, più responsabilità economiche. Quindi noi accettiamo questa sollecitazione, ma affermiamo e riteniamo che più che mai di fronte a queste prospettive si afferma l'esigenza di un quadro di riferimento di sicura e garantita ed articolata democrazia.
Del resto quale squallido destino non avrebbe lo stesso potere politico quando fosse egemonizzato, o quale squallido destino non avrebbe anche il Sindacato quando fosse egemonizzatore, trasformandosi da tutore e sollecitatore delle forze sociali, a loro controllore e gestore. E anche se nel quadro politico ed economico generale queste lotte sindacali presentano degli aspetti, proprio per il rischio di superamento delle soglie, anche di comprensione come ha detto il Presidente o di sopportazione psicologica, io ritengo con profonda fiducia che siamo di fronte ad un'evoluzione altamente positiva, da porsi, in prospettiva, sicuramente all'attivo. Il nostro Paese non marcia, come si vuol far credere, verso un'involuzione irrimediabile verso la miseria irrimediabile, verso la sconfitta e il disastro. Certo occorre la responsabilità e la capacità di misurare le conseguenze dei propri atti da parte di tutte le forze in gioco.
E per concludere, senza diffondermi, ancora due parole sul significato del testo della mozione. Malgrado certi aspetti che potevano essere irritanti (nella fase dell'ultima seduta finale c'è stato qualche aspetto sconcertante, dico la verità, sul come si sono svolti i fatti: dopo una garbata trattativa che sembrava giungere alla conclusione della presentazione di una mozione). Ciò nonostante non mi sono lasciato minimamente influenzare da questi aspetti e mi sono assunta la responsabilità di presentare una mozione che sostanzialmente ricalcava quasi letteralmente il testo che si era cercato di costruire per farne una piattaforma comune, con un significato preciso, e cioè quello che la D.C.
su un punto così importante, così qualificante non cercava sicuramente delle distinzioni per motivi di rottura, si faceva portatrice di stati d'animo, si faceva presentatrice di situazioni che riguardano la generalità del Paese. E quanto a certe parole che possono avere un significato letterale, ma che hanno un suono che va al di là dei significati, io voglio far notare che c'è una sfumatura. Nel testo di quella mozione si parte dalla Fiat e poi si allarga il discorso e si parla in genere delle lotte sindacali proprio per non specificare in termini antipatici e strumentalizzabili in questa vertenza, né l'aspetto delle violazioni eventuali dello Statuto dei lavoratori, né l'aspetto del ricorso alle violenze. Ci eleviamo quindi per un momento a considerare un problema che è sentito nel Paese, che è sentito nel mondo operaio - e voi che vivete e siete così vicini e sensibili a tanta parte del mondo operaio lo sapete -.
Esiste in una larga parte del mondo operaio una costrizione, questa situazione per cui molti si sentono oggetto di intimidazione. Vi è uno stato di scoramento, soprattutto nei piccoli e medi imprenditori, in gente che lavora duramente e che oggi è in situazione di disagio. Ebbene, una forza politica responsabile, che condanna gli atteggiamenti infantili rissosi, provocatori di minoranze irresponsabili non ha paura di essere oggetto di equivoco se, elevando il discorso ad un livello generale, dice che sì, è giusto che si prosegua in questa direzione di rivendicazione di nuove condizioni di vita, di difesa della salute, di richiesta di un potere più ampio al fine di decidere sulla organizzazione del lavoro, sulle sue finalità , sulla vita dell'azienda, ma riconosce che tutto ciò è possibile solo in un quadro democratico dal quale devono essere bandite le violenze da una parte e dall'altra, quelle che oggi intimidiscono il Paese e consentono agli speculatori, ai predicatori di sventura di rappresentare la esigenza di ritorni o di svolte che mettano in quiescenza lo sviluppo dell'azione democratica nel nostro Paese.
Quindi il significato della mozione era soltanto questo e noi avevamo anche altre cose da dire, anche un altro taglio potevamo dare per mostrare la nostra disponibilità ad un incontro che non sia un equivoco e un'ipocrisia. Abbiamo presentato quel testo nel quale può essere aggiunto con tutta tranquillità il riferimento, il richiamo alle responsabilità che la Giunta ha nel prendere iniziative e nel sottoporle agli organi referenti del Consiglio.



PRESIDENTE

La discussione è conclusa. Sono state fatte delle istanze che mi pare siano condivise dai diversi firmatari delle mozioni, dai Capigruppo che se vogliono possono ritrovarsi per vedere di dare un testo unitario da proporre successivamente all'esame del Consiglio.
A questo fine sospenderei dieci minuti, credo siano sufficienti: sono le 20,15, alle 20,25 si riprende.
La seduta è sospesa.



(La seduta sospesa alle ore 20,15, riprende alle ore 20,45)



PRESIDENTE

La seduta è riaperta. I Capigruppo hanno qualche cosa da dirci?



BIANCHI Adriano

Avevamo la preoccupazione di non intrattenere la Giunta e il Consiglio ulteriormente, c'è un testo collazionato che realizza una mozione unica dei Gruppi Comunista, Socialista, D.C., P.S.D.I. e P.R.I.



PRESIDENTE

Direi di leggerlo molto lentamente in maniera che la stenografa possa registrarlo esattamente.



BIANCHI Adriano

Chiedo al collega Nesi che mi assista col suo testo. Forse è meglio leggere tutto: "Il Consiglio Regionale del Piemonte prende atto dell'importanza della vertenza sindacale aperta alla Fiat riguardante gli aspetti normativi destinati a regolare le modalità e i ritmi di applicazione della forza-lavoro, le qualifiche professionali, le condizioni ambientali, i diritti sindacali riconosce come valide ed auspica soluzioni normative che tendano a salvaguardare la salute, ad evitare la progressiva dequalificazione delle mansioni, a realizzare e sviluppare le capacità professionali e culturali dei lavoratori, a realizzare forme di partecipazione che eliminino la possibilità di decisioni unilaterali, a conseguire una organizzazione di lavoro e una capacità produttiva più elevate attraverso una piena utilizzazione del potenziale professionale e intellettuale dei singoli e dei gruppi constata che queste soluzioni sostanzialmente coincidono con gli obiettivi che la Regione Piemonte si è data con il proprio Statuto ed in particolare con l'art. 4 per quanto concerne la realizzazione delle 'condizioni atte a rendere effettivi il diritto allo studio, il diritto al lavoro, la piena occupazione e la tutela dei diritti dei lavoratori e lo sviluppo dei servizi sociali con speciale riguardo alla scuola e alla formazione professionale', con l'art. 6 per quanto riguarda gli interventi 'a tutela della salute dei cittadini' e in modo specifico la costituzione di 'organismi sanitari ed altri strumenti di intervento e di controllo nei luoghi di lavoro per tutelare la salute e prevenire le cause che le recano danno' e 'la partecipazione dei comitati di fabbrica, dei lavoratori e delle categorie professionali alla gestione degli organismi e degli strumenti antinfortunistici, di medicina preventiva, di igiene generale, di igiene mentale, nonché di medicina curativa e riabilitativa' prende atto altresì del positivo impegno dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali a operare una saldatura tra i contenuti aziendali delle vertenze e la richiesta di riforma sociale e di un piano di investimenti nelle regioni meridionali, al fine di eliminare le cause dei fenomeni di congestione nell'area torinese e di avviare una nuova fase di sviluppo produttivo economico e sociale nel Paese nel suo complesso riconoscendo, anche in queste finalità una rispondenza con quanto previsto dall'art. 73 dello Statuto regionale.
Il Consiglio Regionale riconosce l'esigenza e dichiara la propria conseguente volontà di operare affinché, sulla base delle necessarie iniziative legislative di carattere amministrativo, comportanti la consultazione delle organizzazioni sindacali, vengano adottati: a) i provvedimenti per mezzo dei quali sia possibile, nel quadro della riforma sanitaria e della costituzione delle unità sanitarie locali realizzare gli interventi più efficaci a tutela della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, secondo lo spirito dell'art. 6 dello Statuto b) i provvedimenti e gli strumenti di intervento in ordine ai problemi della formazione e dell'aggiornamento tecnico professionale secondo lo spirito dell'art. 4 dello Statuto; invita a tal fine la Giunta ad assumere le tempestive iniziative di sua competenza, avendo presenti le proposte emerse dal dibattito; auspica che ogni fase delle vertenze sindacali sia caratterizzata dal rigoroso rispetto della persona sancito dalle leggi della Repubblica e dallo Statuto dei diritti dei lavoratori si impegna a portare avanti una politica di programmazione che risolvendo gli squilibri territoriali e sociali della nostra Regione nel quadro di uno sviluppo diffuso in tutto il Paese, contribuisca al superamento delle attuali difficoltà economiche nell'ambito di una politica tesa a realizzare le riforme strutturali e sociali e a risolvere la questione meridionale".



PRESIDENTE

La mozione quale è stata testé letta e registrata, viene posta in votazione: chi approva è pregato di alzare la mano.
La mozione è approvata all'unanimità dei presenti con cinque astenuti.
C'è adesso da passare alla votazione dell'o.d.g. proposto dai Consiglieri Curci e Carazzoni che è stato in precedenza letto. Ne chiedono la rilettura? No. Chi approva è pregato di alzare la mano: favorevoli 2 contrari 26; astenuti 3.
C'è ancora da votare la mozione presentata dal Gruppo dei Consiglieri Regionali del Partito Liberale. Chi approva è pregato di alzare la mano: favorevoli 3; contrari 26; astenuti 4.


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati

Ordine del giorno del Consiglio Regionale sulla crisi del settore vitivinicolo


PRESIDENTE

E' pervenuto alla Presidenza un o.d.g. sulla crisi del settore vitivinicolo che reca le firme dei Consiglieri: Ferraris, Bianchi, Nesi Viglione, Gerini, Vera, Menozzi, Bianchi. Ne do lettura: "Il Consiglio Regionale della Regione Piemonte, in presenza della grave crisi che ha colpito la vitivinicoltura italiana, con particolare riferimento a quella delle Regioni meridionali e del Piemonte, che si traduce nella difficoltà di collocare il vino ed in particolare il vino da pasto a prezzi remunerativi sul mercato di consumo interno ed estero ed il vino moscato d'Asti presso le industrie dello spumante accertato il grave danno che tutto ciò ha recato e sta arrecando all'economia agricola della nostra regione ed ai produttori che vedono così gravemente compromesso il frutto del proprio lavoro e dei propri investimenti ritenuto di dover assegnare la responsabilità di tale crisi, non tanto e non solo, ad una particolare situazione di congiuntura e alla specifica struttura del settore, ma soprattutto a cause di ordine più generale e particolari quali: la debolezza strutturale e organizzativa dell'agricoltura italiana; i suoi non equilibrati rapporti con gli altri settori produttivi ed in particolare con quello della commercializzazione dominato dal capitale finanziario; un sistema distributivo ormai anacronistico ed antieconomico lo scarso sviluppo, accompagnato da punti di crisi, delle forme associative e cooperativistiche le carenze della politica agricola comunitaria ed in particolare i riflessi negativi del regolamento comunitario per il settore vitivinicolo l'intensificazione delle sofisticazioni e delle frodi nella preparazione e nel commercio del vino invita la Giunta Regionale a sostenere presso il Governo centrale le rivendicazioni dei produttori e segnatamente: prorogare lo stoccaggio con la riserva di erogazione dei relativi contributi ad esclusivo favore dei vitivinicoltori che vinificano direttamente o in forma associata le uve provenienti dai propri vigneti provvedimenti atti ad intensificare il servizio di vigilanza e repressioni delle frodi e delle sofisticazioni nella preparazione e nel commercio dei vini, articolando, con concretezza operativa, il servizio stesso a livello regionale, provinciale e comunale la sollecita concessione alle cantine sociali cooperative di mutui bancari a tasso agevolato, per gli acconti ai soci, e contributi alle stesse cantine sociali sulle spese di gestione l'inizio di trattative in sede comunitaria, per la modifica del regolamento vitivinicolo con particolare riferimento all'aumento della gradazione alcoolica minima dei vini da pasto, ecc., e più in generale per l'armonizzazione delle politiche vitivinicole nazionali.
Il Consiglio Regionale rileva la necessità di acquisire le proposte già da più parti avanzate per la predisposizione di un organico piano di risanamento, ristrutturazione e sviluppo delle Cantine sociali, previa consultazione delle organizzazioni dei produttori e della cooperazione".
Su questo o.d.g. qualcuno chiede la parola? Ci sono dei dissensi? Lo si può considerare recepito dal Consiglio all'unanimità.


Argomento:

Annunzio di interpellanza


PRESIDENTE

C'è ancora un'interpellanza che verrà portata all'o.d.g. di una prossima seduta, se il Consigliere Segretario vuole darne lettura.



ROTTA Cesare, Segretario

Dà lettura di un'interpellanza pervenuta alla Presidenza.



PRESIDENTE

Andra all'o.d.g. della prossima seduta.
Al quinto punto dell'o.d.g. vi è: Proposta di o.d.g.: "Diritto di voto agli elettori residenti all'estero", con allegato.
I Consiglieri presentatori dell'o.d.g. Curci e Carazzoni consentono anche in relazione all'ora piuttosto tarda e in quanto questo o.d.g.
probabilmente ha motivo di ampia discussione, che si sospenda la discussione questa sera rimandando al n. 1 del prossimo o.d.g. lo stesso documento.



BERTI Antonio

Al n. 1?



PRESIDENTE

Siccome è l'ultimo di oggi, diventerà il primo della prossima riunione.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 21)



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