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Dettaglio seduta n.38 del 26/04/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego un Consigliere Segretario di dar lettura del verbale della seduta precedente.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura del processo verbale dell'adunanza pomeridiana del 22 aprile 1971.



PRESIDENTE

Se non vi sono osservazioni il verbale si intende approvato. Non vi sono osservazioni, quindi è approvato.
Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Bertorello, Carazzoni Franzi e Simonelli, ai quali credo si debba aggiungere il Consigliere Debenedetti, ancora indisposto.


Argomento: Varie

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Informo il Consiglio Regionale che, in seguito ai fatti incresciosi verificatisi al Consiglio Regionale lombardo alcuni giorni or sono, ho inviato al Presidente del Consiglio Regionale lombardo, avv. Gino Colombo il seguente telegramma di solidarietà, a nome del Consiglio Regionale piemontese: "A conoscenza dei gravi fatti avvenuti alla riunione di ieri del Consiglio Regionale lombardo, esprimo la ferma riprovazione e la decisa condanna per la provocazione e la violenza di gruppi fascisti contro un'assemblea elettiva come quella regionale. L'indegno episodio è tanto più grave e preoccupante in quanto esso costituisce non un fatto episodico bensì la continuazione di un crescendo di violenze squadriste compiute in Milano. E' doveroso, perciò, che tutte le forze democratiche, non solo lombarde ma di tutta Italia, aumentino la vigilanza e chiedano senza indecisione il rispetto delle leggi e l'adozione di severi provvedimenti contro tutti coloro che lanciano sfide aperte e palesi alle istituzioni democratiche del nostro Paese".
Non credo di dover commentare questo telegramma, il quale, tra l'altro si riferisce estensivamente ad altri fatti della stessa natura, oltre a quello teppistico nei confronti del Consiglio Regionale lombardo, che si sono verificati nei giorni scorsi.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Seguito della discussione del programma della Giunta


PRESIDENTE

Passiamo al terzo punto all'ordine del giorno: "Seguito della discussione del programma della Giunta".
E' iscritta a parlare la Consigliera Soldano. Ne ha facoltà.



SOLDANO Albertina

Signor Presidente, signori Consiglieri, nel corso del presente dibattito sulle dichiarazioni programmatiche del Presidente e della Giunta attraverso autorevoli interventi sono stati richiamati alla nostra attenzione i problemi più importanti e significativi della nostra realtà regionale. Mi sia permesso ora puntualizzare quello che, a mio avviso, pu essere considerato, per così dire, un filo conduttore, e che ha assunto oggi una peculiare importanza sia per le tensioni che esso provoca di riflesso nella società, sia per le conseguenze che esso determinerà nello sviluppo futuro della società stessa. Affido tale problema alla benevola attenzione della Giunta, affinché, nel graduale avvio della sua complessa attività, voglia tenerlo nella dovuta considerazione, nei limiti imposti dalle contingenze.
Intendo fare riferimento in senso globale al mondo della scuola, oggi turbato da gravi, complessi problemi, da quelli relativi alla preparazione dei docenti a quelli relativi al rinnovamento dei contenuti e delle strutture, ivi compreso quello della partecipazione degli studenti e delle famiglie alla vita della scuola, cioè alla organizzazione, al governo della scuola stessa.
La scuola italiana, in sintesi, sta prendendo coscienza che la società cui essa dovrebbe adeguarsi è una società che sta cambiando. Anzi, si pu asserire che l'agitazione in atto nella scuola ha certamente una radice profonda nella crisi dello Stato democratico. In tale situazione, a me pare doveroso che, nell'ambito delle sue competenze, la Regione consideri responsabilmente anche questo aspetto della realtà in cui viviamo. D'altra parte, numerosi problemi in questa sede già menzionati in particolare, cioè quelli della montagna, e in senso più ampio delle zone depresse del Piemonte, con specifico riferimento ai problemi dell'agricoltura, del turismo, dell'artigianato, del commercio, della sanità e della sicurezza sociale, non potranno essere affrontati decisamente in sede regionale se non saranno opportunamente ancorati in un'ampia visuale di coordinamento e di equilibrio economico e sociale che deve iniziare dal mondo della scuola e dalla formazione e qualificazione professionale.
L'art. 117 della Costituzione, ampiamente ripreso dal nostro Statuto stabilisce limiti abbastanza precisi all'azione della Regione nel campo della formazione-istruzione, con accenni ai seguenti aspetti: istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica, musei e biblioteche di enti locali. In verità, tali accenni pongono alla nostra attenzione dei quesiti cui occorrerà dare una risposta, in un quadro generale di coordinamento e di azione.
Anzitutto, sono da chiarire le competenze specifiche della Regione in materia di istruzione professionale. L'istruzione professionale, in sintesi, mira alla preparazione delle maestranze qualificate e dei vari prestatori d'opera dei quadri intermedi delle forze del lavoro. Attualmente tale preparazione è curata dagli istituti professionali che, com'è noto sono subentrati alle preesistenti Scuole tecniche, disciplinate dalla Legge 15 giugno 1931, n. 889, di durata biennale, le quali avevano il compito di completare la specifica preparazione pratica dei giovani licenziati dalle Scuole Secondarie di Avviamento professionale. Tali scuole tecniche, a seguito della progressiva accelerazione dello sviluppo economico e delle conseguenti rapide trasformazioni del mondo del lavoro, si dimostrarono inadeguate, sia per i contenuti didattici, sia per la rigidità delle strutture, a contribuire, con la formazione di maestranze idonee, allo sviluppo dell'economia del Paese. Dal 1950 in poi, la sempre più crescente espansione scolastica, accentuata nel 1963 a seguito della istituzione della nuova Scuola Media, le mutate esigenze dell'economia e la necessità di adeguare la preparazione dei giovani alle richieste degli organismi economico-produttivi in una società in rapida evoluzione tecnologica sono stati i motivi determinanti per l'istituzione di nuovi tipi di scuole, cioè degli Istituti professionali di Stato secondo i vari indirizzi della produzione. Com'è noto, attualmente, oltre al Ministero della Pubblica Istruzione, altri organi statali, spesso in concorrenza con tale Ministero enti pubblici diversi dallo Stato, alcune imprese ed aziende private promuovono l'istruzione o la riqualificazione professionale dei lavoratori.
Si tratta, cioè, dei corsi di addestramento, di qualificazione e di specializzazione.
Non intendo, a questo punto, esporre gli aspetti negativi derivanti da questo frazionamento di iniziative e di energie: occorre piuttosto, a mio avviso, riconoscere i motivi positivi che possono aver determinato l'attuazione di certe iniziative. Allo stato attuale, rimane comunque da considerare che, nel rispetto delle competenze dello Stato, la Regione dovrà svolgere una chiara opera di coordinamento, in collaborazione con gli Enti locali, particolarmente con le Province ed i Comuni, al fine di programmare e attuare una sana ed unitaria politica di sviluppo sociale ed economico, che dovrà tener conto di tutti i mezzi a disposizione ed evitare ogni forma di concorrenza inopportuna e deleteria. In tale azione di coordinamento, mi pare essenziale affermare che il compito dell'istruzione professionale spetta alla scuola, la quale tuttavia dovrà agire in stretta collaborazione con gli enti pubblici e le imprese private, al fine di garantire una seria azione di completamento, indispensabile per fornire alle forze del lavoro una preparazione specifica e capillarmente qualificata, e per salvaguardare altresì un adeguato rapporto fra qualificazione professionale e occupazione. E' auspicabile che una legge organica disciplini al più presto, nei suoi vari aspetti ed implicazioni questo particolare ramo dell'istruzione pubblica nell'ambito di una più vasta riforma della scuola. Nell'attesa, che potrebbe purtroppo risultare vana ancora per qualche tempo, pur nella schematica elencazione delle materie annoverate all'art. 117 della Costituzione, si abbia il coraggio e la volontà di corrispondere alle esigenze di carattere formativo-educativo che sorgono spontanee ed indilazionabili dalla vita reale di ogni angolo di terra piemontese. Si tratta di affrontare problemi non soltanto socio economici, ma anche profondamente umani.
Nel quadro generale dell'assistenza scolastica può rientrare, a mio avviso, quello di garantire a tutti i cittadini l'osservanza dell'obbligo scolastico: problema che sintetizza, in un certo senso, tutti i problemi dell'assistenza. Ma tale asserzione, oltre al carattere coercitivo e burocratico, acquista in senso più ampiamente positivo il significato di garantire a tutti i giovani, indistintamente, il diritto allo studio, cioè la possibilità di scegliere la scuola nel rispetto delle singole attitudini ed aspirazioni e di proseguire nella via degli studi senza dover subire condizionamenti economici o sociali. Oggi il diritto allo studio non viene soddisfatto neanche nei confronti di tutti coloro che frequentano la Scuola media e lo dico con una certa amarezza; ciò, perché, al di là delle intenzioni in base alle quali è stata voluta la Scuola media, troppo spesso il diritto allo studio viene frustrato da una scuola che non riesce a colmare la carenza di formazione prodotta da situazioni socio-culturali molto depresse. Si aggiungano poi i problemi connessi all'acquisto dei libri di testo: il numero di buoni-libro assegnati con i fondi dello Stato risulta tuttora insufficiente. Si tengano presenti le difficoltà relative al funzionamento dei servizi di trasporto, nonché l'urgenza di corrispondere alle gravi esigenze di carattere edilizio.
Nell'ampio arco che va dalla Scuola materna sino all'Università è chiaro che esistono attribuzioni e doveri specifici dello Stato. Tuttavia la Regione può diventare, in un certo senso, il centro propulsore, il punto di coordinamento, di promozione umana, culturale, civile. Tra i mezzi più idonei per svolgere tale azione mi pare doveroso annoverare quello della "partecipazione", considerando in tale ampia accezione tutte le componenti interessate al complesso problema: dagli Enti pubblici e privati ai docenti, agli studenti, alle famiglie.
Mi sia permesso, a questo punto, un accenno alla recente bocciatura, in sede parlamentare, della legge-ponte, la quale, pur nei suoi limiti, di per sé non era priva di coordinamento con quanto già innovato nella scuola e con quanto si tenta di riformare nei vari settori di essa. Cioè, tale legge poteva divenire uno strumento di connessione fra il presente e il divenire fra ciò che la scuola è oggi e ciò che dovrebbe diventare domani. Lo strumento è stato dichiarato inidoneo. Ma a mio avviso è più grave il fatto che a farlo bocciare non siano state pressioni di una base studentesca docente, sociale, che forse a ragione avrebbe potuto intervenire nel dibattito politico, dopo essere stata tante volte interpellata, o inascoltata; ma siano state divergenze di ben diverso genere da quello democratico o partecipativo a far sì che da oggi vada di nuovo delineandosi, in sede centrale, una tendenza pericolosa al contenimento di ogni iniziativa nel campo della scuola. Mi pare, questa, una lezione da acquisire da parte nostra, sia dal punto di vista dei contenuti, sia da quello del metodo di lavoro e conseguentemente di impegno politico, quale base per una risposta alle domande incalzanti che urgono dal tessuto connettivo della nostra società.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, queste dichiarazioni programmatiche portano in copertina la firma del Presidente, ma a norma dello Statuto esprimono la responsabilità solidale di tutta la Giunta. Si tratta, al solito, di una solidarietà per così dire particolare, come ha ancora dimostrato nelle scorse riunioni il tono sostanzialmente critico degli interventi dei colleghi Nesi e Viglione.
Per quanto riguarda il Gruppo liberale, dirò anzitutto che le dichiarazioni programmatiche della Giunta presentano, nella loro prima parte, alcune indicazioni di orientamento politico che vorrei, se mi è consentito, definire liberali: non per indebita ingerenza ma perché non è possibile classificare con un altro aggettivo i principi della distinzione dei poteri, della ribadita fiducia nella democrazia rappresentativa rispetto alle mitologie dell'assemblearismo, del pluralismo come requisito di una effettiva partecipazione democratica.
Va anche notato che la Giunta di Centro-Sinistra ha improntato la parte politica della dichiarazione ad una polemica abbastanza aperta nei confronti del Governo, il quale ritarda gli adempimenti necessari ad instaurare la potestà legislativa delle Regioni. Negli anni scorsi il Governo di Centro-Sinistra ha puntato molte delle sue carte sulla via di questo tipo di regionalizzazione frettolosa ed incerta, ed oggi tenta, come l'apprendista stregone, di recuperare il dominio di un mutamento che esso ha provocato e che ora sfugge al suo controllo.
Per questo aspetto noi liberali ci dichiariamo senz'altro favorevoli al salto di qualità che le dichiarazioni programmatiche sollecitano. Non c'è dubbio che a questo punto conviene accettare la scommessa, con tutti i rischi che essa comporta. Le Regioni non possono più limitarsi ad un semplice esperimento di decentramento amministrativo e burocratico: devono costituire un nuovo spazio politico istituzionale. Ma siccome questo discorso non può essere definito se non nei termini impiegati nelle dichiarazioni programmatiche, cioè come "rivendicazione di poteri" io non mi soffermerò su questi indirizzi di politica generale, e cercherò di esprimere subito la nostra valutazione sul solo potere che la Giunta Regionale già detiene senza bisogno di rivendicarlo: il potere di proporre al Consiglio ed alla comunità regionale, se non un programma, quanto meno le intenzioni del proprio lavoro, a cominciare dal metodo di questo lavoro stesso, cioè dalla programmazione.
Il capitolo relativo alla programmazione regionale ed ai suoi rapporti con la programmazione nazionale riproduce, con qualche aggiunta, la mozione che abbiamo discusso e votato per la formazione della Giunta. Mi sia perci consentito, per ragioni di brevità, rinviare ai giudizi espressi dal nostro Gruppo in occasione di quel dibattito. Aggiungo che anche su questo punto molte delle indicazioni di principio e di metodo ci trovano consenzienti.
Mi sembra, ad esempio, corretto considerare la pianificazione regionale su tre diversi orizzonti temporali: vale a dire, il piano di lungo periodo per la definizione degli obiettivi, il piano operativo quinquennale e la verifica annuale degli andamenti.
Il problema che qui si pone, e che certo in gran parte esula dalla nostra competenza, è quello della connessione fra questo tipo di programmazione regionale e la programmazione nazionale. L'attuale maggioranza politica, essendo nel contempo favorevole sia alla programmazione sia alla regionalizzazione, anche se gli esiti pratici di entrambe non sono finora stati adeguati alla mole della letteratura teorica sull'argomento, tende a sottovalutare le obiettive difficoltà e le frequenti contraddizioni che si verificano tra il momento del decentramento politico e quello della pianificazione.
Per restare nella sfera di nostra diretta competenza regionale, dir che il Gruppo liberale riconosce l'opportunità, come qui è proposto, di studi specifici sulle localizzazioni industriali, sulle tendenze di sviluppo o di depressione dei diversi comparti produttivi, sui livelli di occupazione e sui fenomeni migratori. Ad essi andrebbe anzi aggiunto, vista la difficoltà in cui si dibatte l'edilizia residenziale, uno studio di settore a medio termine per lo sviluppo edilizio nell'area ecologica torinese.
La questione principale che intendiamo sollevare è però quella del metodo in cui deve essere organizzato il confronto politico in materia di programmazione. E' evidente, in questo senso, l'importanza decisiva della fase preliminare di studio, di reperimento e di elaborazione dei dati, la quale finisce con il condizionare tutte le fasi successive. Poiché su questo punto le dichiarazioni programmatiche della Giunta si limitano a confermare per la terza volta l'assegnazione di incarico all'Ires, a noi non resta che confermare per la terza volta che il nostro consenso a questa proposta è subordinato alla presentazione dello schema di riforma statutaria di quell'istituto, che del resto è stato già sollecitato, mi pare, dal collega Nesi in questo stesso dibattito.
C'è poi un punto di grande attualità ed importanza, che non trovo affrontato nelle dichiarazioni della Giunta: quello dei cosiddetti disincentivi. Questo Consiglio non conosce, a quanto mi risulta, la linea che il Presidente della Giunta ha sostenuto giorni fa, nell'udienza presso il Senato su questa materia.
Le dichiarazioni programmatiche, mentre denunciano il rallentamento del processo di sviluppo industriale piemontese, non esprimono, però, un esplicito indirizzo sulla questione della disincentivazione, che pure ha una priorità evidente, quanto meno in termini di urgenza, ed è in questo momento, del resto, al centro di convegni e di dibattiti tra le forze politiche locali. Ho visto, ad esempio, che il documento preparatorio per la conferenza economico-regionale del Partito comunista, che si è tenuta in questi giorni, richiede un aggravamento dei disincentivi rispetto alle misure previste dal progetto di legge governativo. Ho anche visto che nella relazione dell'Assessore al Lavoro del Comune di Torino, Fantino presentata anch'essa in questi giorni, si accettano i disincentivi in via di principio, ma si pongono alcune condizioni cautelative.
E' evidente che su questo problema ciascuna forza politica deve assumersi chiare responsabilità. Per quanto concerne il Gruppo liberale, mi permetterò perciò di aggiungere alcune osservazioni sommarie a quanto ho già avuto occasione di dire in proposito in questo stesso Consiglio durante il dibattito per la formazione della Giunta e nelle discussioni su alcuni episodi di crisi industriale.
Devo premettere che un aspetto del tutto assente dalle dichiarazioni programmatiche è quello della connessione della nostra politica regionale con i problemi dello sviluppo economico europeo, nel quale, peraltro, il Piemonte è integrato, e in posizioni non secondarie, per ovvie ragioni anche geografiche. In linea generale, io penso che la Giunta, nella formulazione del suo programma di interventi economici e territoriali avrebbe potuto trarre utili suggestioni dagli studi che la Commissione della Comunità Economica Europea per i problemi delle Regioni va compiendo da tempo, e alcuni dei quali sono stati pubblicati recentissimamente.
Questo confronto con le principali aree industriali del MEC sarebbe stato sufficiente a dimostrare quello che il Partito al quale mi onoro di appartenere va sostenendo nelle diverse assemblee: che per la stessa conurbazione torinese non si può propriamente parlare di congestione derivante da un eccessivo addensamento di impianti produttivi. I fenomeni di congestione, che pure sono evidenti, hanno una causa diversa, cioè la carenza di servizi sociali e il ritardo nell'adeguazione delle infrastrutture pubbliche agli insediamenti industriali e residenziali.
Ho voluto richiamare questa valutazione, che noi avevamo espresso già nel nostro programma per le elezioni regionali del '70, per richiamare l'attenzione del Consiglio sulla via da seguire se si vuole efficacemente contrastare la tendenza alla congestione. La via, a nostro avviso, è quella di impegnare il potere pubblico a fare di più, non quella di costringere l'iniziativa privata a fare di meno. Perché da questo punto di vista la disincentivazione non va a beneficio né del Nord né del Sud: disincentivare le iniziative possibili, infatti, non equivale ad incentivare le iniziative auspicabili. L'equivoco sorge forse dal concetto di riequilibrio, che non è appropriato per definire la tematica dello sviluppo economico dal momento che, ad esempio, un riequilibrio ottenuto con l'abbassamento delle posizioni più sviluppate non garantisce affatto l'innalzamento delle condizioni sottosviluppate.
D'altra parte, sarà bene attenersi ad una valutazione realistica delle condizioni di sviluppo della nostra stessa Regione. Se non ricordo male (cito un dato a memoria), le stime del prof. Tagliacarne sul reddito delle Province italiane dimostrano che almeno due delle sei Province piemontesi sono al di sotto, in termini di reddito, della media nazionale. E io non credo che le popolazioni cuneesi ed astigiane sentano come esigenza prioritaria quella di essere disincentivate. Bisogna mettere in conto anche il costo che l'economia piemontese paga per le agitazioni sindacali, nella nostra Regione più pesanti che altrove.
A questo proposito l'Assessore Fantino, un amministratore di estrazione sindacale, credo possa essere considerato come una fonte non sospetta.
Ebbene, avrete rilevato, dalla sua relazione sulla situazione economica della Provincia di Torino, che nel periodo da gennaio a settembre, mentre in tutta Italia le ore di sciopero sono diminuite, nel '70 rispetto al '69 di oltre un terzo, in Piemonte si è verificato nello stesso arco di tempo quasi un milione di ore di sciopero in più.
La stessa area ecologica di Torino, che il collega Garabello ritiene satura, e che certamente corrisponde ad uno dei poli di massima industrializzazione del nostro Paese, ha le sue difficoltà da risolvere.
Alcune di esse sono state, del resto, discusse in questa stessa sede su richiesta dei lavoratori, che vedono compromessa la stabilità della propria occupazione. Il rapporto preliminare sull'area ecologica di Torino preparato dall'Ires indica che tra il '61 e il '69, nelle unità locali con più di dieci addetti, l'occupazione è diminuita di quasi duemila unità nel complesso della Valle di Susa, di circa settecento unità nelle Valli di Lanzo, di circa millequattrocento unità nel Canavese occidentale.
Ecco perché, nel dibattito sulla mozione per la elezione della Giunta il Gruppo liberale ha sostenuto che la Regione deve chiedere al Governo di essere consultata in merito alla determinazione delle cosiddette aree omogenee in cui le misure di disincentivazione dovrebbero attuarsi in base al disegno di legge in discussione. Senza di ciò sarà impossibile attuare una programmazione regionale di decentramento verso le aree depresse suscettibili di ulteriore sviluppo, che costituiscono gran parte del territorio regionale. Il decentramento verso il Mezzogiorno può essere utilmente contrattato dagli organi della programmazione regionale per quanto riguarda le grandi imprese, ma è assurdo pensare che una media azienda la quale si impegni in un programma di ampliamento per un centinaio di addetti in più possa realizzare il suo programma istituendo una sezione staccata a molte centinaia di chilometri di distanza. E la forza dello sviluppo industriale del Piemonte risiede essenzialmente nelle piccole e nelle medie imprese.
Tutto questo discorso, peraltro, rischia di restare nel vago per mancanza di adeguati strumenti statistici e conoscitivi. Secondo il disegno di legge governativo, la delimitazione delle cosiddette aree omogenee ad elevata concentrazione industriale richiede delle serie regionali di dati sulla immigrazione e sulla occupazione nei diversi settori; dati che, per quanto mi risulta, non sono, allo stato attuale, disponibili con le necessarie garanzie di certezza e di aggiornamento. Ad esempio, per la popolazione dei singoli comuni, se, come sarebbe necessario, ci si deve riferire alla popolandone effettiva, e non a quella ufficialmente residente, che molte volte è tutt'altra cosa, occorre fare rinvio al censimento del '61, un documento di importanza ormai prevalentemente storica. Vorrei quindi cogliere l'occasione per segnalare al Presidente della Giunta Regionale l'opportunità che il prossimo censimento, previsto per ottobre, sia organizzato con il concorso della Regione nelle forme più idonee a consentire l'aggregazione regionale dei dati che dovranno servire alla politica di programmazione economica.
Ho già detto che decentrare e programmare sono due procedure la cui integrazione è di per se stessa problematica. Il problema si pone non solo nel rapporto fra programmazione regionale e regionalizzazione, ma anche in quello fra programmazione regionale e autonomia degli Enti locali. Sotto questo riguardo, l'impostazione delle dichiarazioni programmatiche mi sembra poco chiara. Da un lato esse esaltano l'autonomia degli Enti locali come protagonisti delle scelte del loro sviluppo. D'altro lato, si indica alle Commissioni di controllo una estesa competenza di merito attraverso il giudizio di compatibilità tra gli interventi degli Enti locali e gli obiettivi del piano regionale, che tra l'altro sono tuttora da definire e penso non saranno definiti tanto presto.
Occorre dire che questa estensione del controllo sugli Enti locali potrebbe arrivare ad esautorarli dalle funzioni e dalle competenze ad essi riconosciute dall'art. 128 della Costituzione, che, com'è noto, stabilisce che "le Province ed i Comuni sono Enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni".
Ora, l'impostazione che le dichiarazioni programmatiche conferiscono all'esercizio dei controlli rivela, a nostro avviso, una esorbitanza dal ruolo politico regionale, che discorda quanto meno dall'ordinamento vigente, il quale assegna allo Stato la disciplina della funzione di controllo, lasciando alla Regione solo il compito di esercitarla. E se ci vale per il controllo di legittimità, a maggior ragione deve valere per il controllo di merito, sul quale, del resto, anche il nostro Statuto all'art. 69, stabilisce che esso può essere esercitato soltanto nei casi determinati dalla legge dello Stato; tanto più che gli organi di controllo sono, nella vigente legislazione, solo in parte designati dal Consiglio Regionale.
Vengo ai contenuti di programma. Le dichiarazioni sviluppano, in realtà, un unico settore di intervento: quello della tutela dell'ambiente naturale e del rapporto fra l'ambiente e l'uomo. Si tratta di un problema che almeno nell'ultimo biennio è stato oggetto di una grande pubblicistica e che concerne con tutta evidenza le grandi aree urbane, dove il problema della contaminazione e degli inquinamenti è più grave. E' noto, purtroppo come alla vastità di questa letteratura sull'argomento faccia riscontro l'inadeguatezza della nostra legislazione. Se noi potessimo oggi riscrivere la Costituzione della Repubblica, certamente dovremmo aggiornare, fra i principi fondamentali, l'art. 9, quello che circoscrive il problema dell'ambiente alla tutela del paesaggio. Tuttavia si è fatto osservare da parte di alcuni, che proprio in quel principio costituzionale risiede il primo e quasi embrionale fondamento di una politica ecologica, perché il paesaggio non è altro che la natura condizionata dalla presenza e dall'opera degli uomini. E in questa accezione risulta anche evidente che il paesaggio in Italia è un concetto di dimensione tipicamente regionale, o sub-regionale, così come il livello della Regione è senza dubbio quello meglio adeguato per la tutela dell'ambiente e per la lotta contro gli inquinamenti. Solo, le poche norme oggi esistenti in materia sono insufficienti, anche per la propensione deleteria a stabilire competenze amministrative concomitanti che danno luogo a cumulazioni di interventi e di pareri e finiscono con il ritardare l'intervento pubblico. Se lo Stato non provvederà a delegare alle Regioni le funzioni amministrative in materia, avvalendosi dell'art. 118, la nostra competenza sul problema ecologico potrà essere sostenuta solo ricorrendo ad interpretazioni evolutive di alcune materie di competenza costituzionale, principalmente l'urbanistica, e all'interpretazione estensiva di altre, come l'agricoltura e foreste, la polizia locale e forse anche le opere pubbliche di interesse regionale, nelle quali potrebbero rientrare i grandi impianti di depurazione.
Noi, comunque, condividiamo l'impegno che la Giunta Regionale intende assumere in materia di difesa idraulica, di sistemazione forestale, di regimazione delle acque, di acquisizione di aree verdi destinate al riequilibrio ambientale. Ma si tratta di impegni che saremo in grado di onorare solo se l'iniziativa regionale troverà corrispondenza in adeguati interventi del Governo e del Parlamento. E' singolare, se mi è permessa una osservazione pedantesca a questo proposito, che le dichiarazioni programmatiche lamentino la mancanza di regolamentazione specifica contro l'inquinamento atmosferico prodotto dagli impianti industriali. Per l'esattezza, il relativo regolamento di attuazione della legge 615 del 1966 è stato pubblicato da quasi un mese; è un regolamento che peraltro attribuisce poca o nulla importanza all'attività regionale, ed è emanato con cinque anni di ritardo. Pare, d'altronde, che neppure oggi il Governo abbia fretta, perché per l'attuazione delle norme regolamentari è previsto un termine di quattro anni. Nello stesso giorno in cui veniva pubblicato il regolamento in questione i giornali davano la notizia che l'Amministrazione degli Stati Uniti impiegherà meno di un anno ad apprestare per la lotta contro gli inquinamenti il lancio di un satellite spaziale.
Noi prendiamo comunque atto del positivo sforzo di indicazioni settoriali che la Giunta ha compiuto in materia ecologica.
Se si è voluto prendere posizioni precise su una materia di competenza regionale incerta, è poi sorprendente l'assoluto silenzio sulle materie di competenza diretta. Non ripeterò il rilievo che è già stato mosso in questo dibattito dal collega Gerini e da altri colleghi anche della maggioranza.
Certo, c'è da chiedersi se sia proponibile un programma che non dice una parola in fatto di sanità, di agricoltura, di istruzione, di trasporti.
Per non sostituire la Giunta in un compito che essa non avrebbe dovuto eludere, non entrerò nella illustrazione delle singole politiche settoriali per queste e per altre materie, che del resto sono già state, o saranno oggetto di trattazione da parte di miei colleghi di Gruppo. Vorrei solo aggiungere qualche parola sul tema dell'assistenza sociale, che l'inefficienza palese dell'attuale assetto rende di urgenza inderogabile.
Anche in connessione con l'indagine sull'assistenza avviata dalla Camera dei Deputati, indagine che attiene direttamente al ruolo delle Regioni nell'organizzazione dell'unità locale dei servizi sociali, il Gruppo liberale sollecita la presa in esame della proposta avanzata in una sua mozione per una indagine conoscitiva sui modi, sui costi, sulle carenze e sui controlli dell'assistenza sociale all'infanzia in Piemonte.
Signori Consiglieri, le dichiarazioni programmatiche della Giunta presentano una contraddizione anche troppo chiara: quella di rivendicare alla Regione una latitudine di poteri che per alcuni aspetti è superiore a quella ad essa assegnata dalle leggi vigenti, proponendo nel contempo un programma, se così si può chiamare, che si sottrae alla individuazione di indirizzi di lavoro precisi per le stesse materie che ricadono già oggi secondo l'ordinamento attuale, sotto la sua competenza. Le ultime righe della relazione del Presidente Calleri parlano di "estesi spazi di silenzio". Non so fino a qual punto questa espressione poetica, che forse è stata estratta dall'ultimo atto dell'"Amleto", in cui essa ricorre quasi con le stesse parole, ma più a proposito, si addica ad un Ente incaricato di concrete incombenze operative. Certo, le difficoltà da superare non sono lievi, e la Regione, a quasi un anno dalla sua istituzione, rimane in gran parte una incognita. Non vi è dunque da meravigliarsi se il Presidente della Giunta assume come propria insegna il motto di Guglielmo d'Orange: "Non è necessario sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare" insegna che richiama, per analogia, il motto che fu della Casa d'Este: "Nec spe nec metu", senza speranza e senza timore. Saremo anche noi liberali coerenti con questa insegna: senza la speranza che la voce di una minoranza critica prevalga sul peso quantitativo della maggioranza, senza il timore di proseguire nella linea di critica costruttiva alla quale abbiamo improntato la nostra azione in questo Consiglio fin dal primo giorno, in coerenza con la funzione democratica che oggi compete alla minoranza liberale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Furia, ne ha facoltà.



FURIA Giovanni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io credo che sia difficile una prima constatazione: il dibattito che si sta svolgendo è ricco interessante, ma per essere tale ha dovuto andare ben al di là dei contenuti della relazione che ci è stata presentata.
Abbiamo letto con molta attenzione la relazione, e abbiamo riletto con molta attenzione anche il primo documento, quello che l'ha preceduta crediamo con più attenzione di quanta la Giunta e il suo Presidente abbiano dedicato a quanto noi abbiamo sostenuto nei dibattiti precedenti, anche se nella relazione si dice che è stato compiuto uno sforzo per cogliere i contributi di tutte le parti del Consiglio.
Nel merito delle cose dette nella relazione il Gruppo comunista esprime un giudizio articolato; vi sono cose giuste che vanno sostenute, ve ne sono altre ambigue che vanno chiarite e altre ancora che sono, a nostro avviso profondamente errate e che vanno decisamente respinte. Ma prima ancora che nel merito della relazione è necessario, a noi sembra, un giudizio complessivo e il nostro (lo ha già detto il compagno Rivalta) è un giudizio critico negativo molto severo.
E' già stato detto che mancano, nella relazione, troppe cose. Il quotidiano l'"Unità" commentandola ha scritto che "il Piemonte è il grande assente nel programma della Giunta Regionale". E' un giudizio esatto, che coglie per intero il fatto che nella relazione della Giunta mancano i problemi reali e le esigenze delle popolazioni piemontesi. Ci è stato detto che si è dovuto compiere una scelta. Nella relazione è scritto "troverete estesi spazi di silenzio". Il Consigliere Garabello, con molta generosità ha accettato come inevitabile questa scelta: la Giunta non poteva fare altrimenti, o affrontare le cose concrete oppure fare dichiarazioni di fondo. Salvo poi a dimostrare, nel suo stesso intervento, che non era affatto impossibile affrontare congiuntamente le varie questioni.
Ciò che lamentiamo, sia ben chiaro, non è che nella relazione manchino le nostre impostazioni. Sarebbe persin troppo agevole obiettarci che al di là della dialettica o del confronto, la maggioranza ha una sua linea e l'opposizione ne ha un'altra. Ciò che noi comunisti lamentiamo è che manca persino la materia per un preciso confronto. Avevamo già criticato il primo documento, ma ora a noi sembra che si sia addirittura compiuto un passo indietro. Che cosa ne è stato dell'affermazione che la Giunta vuole anzitutto "assicurare una guida che possa affrontare con vigorosa iniziativa l'ampio ventaglio dei problemi aperti nella comunità regionale ed ai quali, pur negli attuali limiti di competenza effettiva e di possibilità finanziarie, la Regione è chiamata in forza della sua rappresentatività politica e delle sue possibilità di pressione, a dare pronta ed adeguata risposta"? Non se ne ritrova traccia.
Ciò che risulta più inaccettabile poi, è il fatto che il Presidente della Giunta, mentre gratifica il Consiglio di "estesi spazi di silenzio" è di una singolare solerzia, invece, nell'entrare nel merito dei problemi quando concede interviste ai giornali. Ritorno su questa questione perch nell'attuale fase essa è una questione centrale. Il fatto che si tratti di una scelta compiuta volutamente a nostro avviso non attenua minimamente le responsabilità del Presidente Calleri, della Giunta, dell'attuale maggioranza. In altre parole, quello che noi contestiamo non è il diritto di compiere delle scelte, ma il fatto che si sia scelta la strada di eludere i problemi; quello che noi contestiamo non è il grido di allarme che ritroviamo nella relazione, e che condividiamo, sui pericoli che incombono sulla Regione, ma il fatto che non vi siano delle scelte conseguenti e che sia stata elusa la sola scelta possibile e necessaria per fronteggiare la situazione, cioè quella dell'iniziativa politica immediata che chiami a raccolta tutte le forze regionaliste e si inserisca nell'azione a cui partecipano tutte le altre Regioni italiane. Un tale grido di allarme può persino apparire un artificio se la Regione Piemonte continuasse a caratterizzarsi come una Regione che non partecipa attivamente a questo processo.
Ecco perché per parte nostra dichiariamo, senza incertezze, che siamo in presenza di una relazione sbagliata, di una scelta che è pericolosa e nociva agli interessi della nostra Regione, sia sul piano del metodo perch non è concepibile una separazione tra linee di fondo e problemi concreti sia sul piano della sostanza perché i problemi urgono e rispetto a tale urgenza, se pericoloso può essere un atteggiamento velleitario ben più pericolose possono essere l'ignavia ed il disimpegno. Ma tale scelta è gravemente sbagliata e pericolosa per un'altra ragione che noi consideriamo di fondo. Nella relazione si parla della seconda fase di costruzione della Regione, ma la nostra impressione è che non vi sia piena consapevolezza n di che cosa essa realmente rappresenti, né del contesto politico, economico e sociale entro cui si colloca.
Dura e lunga, lo sappiamo tutti, è stata la battaglia per l'istituzione delle Regioni a Statuto ordinario, e non è un caso che essa si sia conclusa vittoriosamente proprio quando, nel nostro Paese, sono cresciute le lotte dei lavoratori e le loro conquiste, quando le istituzioni democratiche sono venute qualificandosi a fianco dei lavoratori, quando nel Paese si è manifestato un più marcato spostamento a sinistra. Senza l'autunno caldo forse non saremmo giunti a questo traguardo. La prima fase di vita della Regione è stata, secondo noi, ancora caratterizzata da questa positiva ventata di rinnovamento portata dalle lotte dei lavoratori; pur tra ostacoli, difficoltà, resistenze di vario genere, abbiamo sentito tutti che con l'avvento della Regione erano maturate condizioni nuove e più favorevoli nel rapporto tra le istituzioni e le masse lavoratrici (e credo che dobbiamo ringraziare i lavoratori ed esaltare il fatto che essi abbiano intravisto nella Regione un interlocutore valido per affrontare e risolvere i loro problemi), nel rapporto tra le stesse forze politiche regionaliste nello sviluppo della democrazia nel Paese. Sono queste le principali ragioni che ci hanno portati a valutare positivamente la prima fase di vita delle regioni.
La seconda fase - dobbiamo averne coscienza - si presenta più difficile e complessa anzitutto perché più complessa e difficile è la situazione generale del Paese. Lo scontro politico e sociale si fa più acuto, si inasprisce; alla volontà dei lavoratori e delle forze democratiche di andare ancora avanti, come è giusto, sul piano della conquista di nuovi diritti, si contrappone la controffensiva delle forze padronali economiche, politiche, conservatrici e reazionarie le quali, nel disperato tentativo di difendere i loro privilegi e di sbarrare il passo al progresso democratico del Paese, ricorrono persino alla provocazione, alla violenza fascista.
La direzione politica del Paese risulta incapace di fronteggiare la controffensiva delle destre, mostra incertezza nel colpire mandanti ed esecutori delle violenze, ne agevola obiettivamente l'azione, ostacolando il cammino all'azione riformatrice che pure è essenziale non solo per soddisfare le esigenze immediate dei lavoratori, non solo per superare i gravi squilibri e la crisi del Paese, ma per consolidare e sviluppare il nostro regime democratico.
L'ultimo Consiglio nazionale della D.C. ha marcato ancora di più il carattere moderato e conservatore del centro sinistra, così come esso è oggi, una formula che sopravvive a se stessa, che approfondisce sempre di più il distacco tra la spinta esistente nel Paese e la sua direzione politica.
E' in questo contesto, cari colleghi, che si apre la seconda fase della costruzione della Regione e da esso non è possibile prescindere. La relazione giudica superfluo e scontato qualsiasi riferimento a motivazioni di carattere più squisitamente politico, lasciandole alla fantasia di ciascuno di noi, ma in realtà queste sono le questioni centrali di cui dobbiamo avere piena consapevolezza. Se riteniamo che la seconda fase di costruzione delle Regioni debba realizzare per davvero e per intero una profonda rottura dell'accentramento dello Stato, una profonda modifica nei rapporti di potere e nel modo stesso di far politica, un'estensione del processo di sviluppo della democrazia, allora non ci sarà difficile capire che l'arresto che si vuole imporre alla costruzione dell'ordinamento regionale è una delle componenti principali della controffensiva delle forze conservatrici e reazionarie. Non cogliere questi elementi caratterizzanti della situazione può significare, a nostro avviso collocarsi in un'ottica completamente errata o per lo meno insufficiente ed inefficace. Ed è proprio questo che debbono evitare tutte le forze democratiche regionaliste.
La relazione riconosce che la battaglia del regionalismo è ben lontana dall'essere vinta, ma subito dopo ci ammonisce ad evitare impazienze ed a lavorare con il senso della gradualità, il coraggio dei tempi lunghi e delle lente maturazioni. No, signori della Giunta, non è questa la risposta che dobbiamo dare a coloro che tentano di ostacolare il cammino delle Regioni, non è questa la prospettiva che dobbiamo offrire a coloro che nella Regione hanno creduto e credono, alle masse popolari, alle forze politiche regionaliste democratiche e a noi stessi. Dalla nostra Regione assieme alla denuncia della situazione, deve partire un appello alla mobilitazione di tutte le forze popolari politiche e sociali piemontesi per affrontare e vincere questa battaglia. E' qui, in questa prospettiva, che scopriamo allora una netta coincidenza tra le lotte dei lavoratori e la nostra lotta, ed è qui che la tensione ideale, politica, morale e culturale che anima le lotte dei lavoratori, può trovare nella Regione un punto di riferimento essenziale per la costruzione di un nuovo blocco sociale capace di portare avanti ed imporre un'effettiva politica di rinnovamento del Paese.
Il programma della Giunta e della maggioranza non rispecchia queste esigenze. E' dunque, a nostro avviso, un programma che dobbiamo modificare.
La Regione Piemonte ha bisogno di un programma ben più ricco ed incisivo di quello che ci è stato presentato. Siamo d'accordo anche noi che in primo piano debbono essere poste le questioni dell'attribuzione dei pieni poteri spettanti alle Regioni. Condividiamo le preoccupazioni che sono state espresse sul pericolo che alle Regioni vengano attribuite solo facoltà amministrative e non anche le facoltà legislative. E siamo d'accordo con l'esigenza prospettata che la nostra Regione respinga fermamente qualsiasi concezione restrittiva e si proponga di operare perché alle Regioni siano sollecitamente attribuite le potestà legislative costituzionalmente previste. Ma dobbiamo dire altresì che se si vuole vincere questa battaglia occorre che si dica chiaramente come si propone di fare in concreto per conseguire tale risultato. Noi riteniamo che in tal senso possa esserci una volontà unanime del Consiglio Regionale. Per parte nostra abbiamo presentato un documento che sottoponiamo alla discussione e all'approvazione come prova della volontà del nostro Consiglio di battersi in questa direzione. Chiediamo che siano sollecitati i decreti delegati sulla riforma sanitaria, sulla riforma urbanistica, sull'agricoltura e chiediamo alla Giunta di dirci quando verranno portati alla discussione del Consiglio i decreti delegati sui trasporti e sulla politica urbana che dovrebbero già essere giunti anche da noi. Chiediamo a tutte le forze un impegno di coerenza tra ciò che sosteniamo qui e ciò che facciamo a Roma al Parlamento e nel governo centrale. Chiediamo infine che vi sia un preciso impegno a lavorare di concerto e in unità con le altre Regioni, ad incominciare dalla partecipazione al Convegno sull'attuazione regionale che si terrà a Venezia il 3 e 4 maggio ed al quale la nostra Regione deve essere rappresentata non solo dalla Giunta, ma da una delegazione consiliare.
Nel frattempo però non dobbiamo starcene con le mani in mano, in attesa dei decreti delegati, ma muoverci subito e fare quanto è possibile, e non è poco, noi crediamo, per affrontare i problemi concreti che ci stanno di fronte; dobbiamo cioè sapere che vinceremo questa battaglia solo se avremo il sostegno delle masse popolari e che questo sostegno ci sarà solo se la Regione scenderà al loro fianco e si caratterizzerà come uno strumento indispensabile per il successo delle loro lotte.
Consideriamo anche noi importante la costituzione e il funzionamento delle Commissioni, ma respingiamo la visione restrittiva che circa il carattere delle Commissioni emerge dalla relazione. Prendiamo atto della riconfermata volontà di un rapporto dialettico e costruttivo tra tutte le forze del Consiglio, ma sottolineiamo che non è solo problema di correttezza formale tra maggioranze e opposizione, ma è problema di sostanza. Prendiamo atto dall'affermazione secondo cui la Regione dovrà andare via via scoprendo, costituendo nuovi spazi e nuovi modi di presenza dei suoi cittadini nella determinazione delle decisioni che più da vicino li riguardano, ma anche qui non possiamo non rilevare che nella relazione non viene avanti una sola proposta concreta e che anzi, non è difficile scorgere diffuse reticenze. Siamo ancora d'accordo sul concetto di rifondazione degli Enti locali per dare loro più autonomia, maggiori poteri, maggiori mezzi; siamo anche interessati e lo diciamo chiaramente ad un approfondimento del discorso concernente i Comprensori e il ruolo nuovo delle Province, nella convinzione che deve essere creato un organismo intermedio per il collegamento tra Regioni e Comuni; sottolineiamo per l'esigenza di un giusto rapporto tra Regioni ed Enti locali. Ad esempio noi non riteniamo affatto che la verifica di compatibilità tra scelta comunali e piano regionale possa essere risolta dal Comitato di controllo, ma debba invece essere risolta sulla base di un rapporto politico tra Regione ed Enti locali.
In tutta questa parte della relazione rileviamo un accoglimento, almeno parziale, delle proposte che abbiamo formulato a più riprese. Tutto ciò è importante e non saremo certo noi a sottovalutarle. Ma noi riteniamo che non basti, perché la Regione sia davvero aperta alle esigenze dei lavoratori e della Regione piemontese, occorre che essa si impegni subito per la soluzione dei problemi più urgenti.
Il primo terreno di impegno è quello che riguarda la lotta per le riforme. Noi diciamo che non si deve attendere l'affidamento di poteri speciali per fare sentire il peso politico della Regione piemontese nella lotta per la riforma urbanistica e la casa, per la riforma sanitaria tributaria, per la scuola, per i trasporti. Con lo sciopero del 7 aprile la stragrande maggioranza dei lavoratori ha confermato il suo grado di maturità e la sua volontà di battersi a fondo per attuare le riforme ed a nessuno, credo, può sfuggire il significato del fatto che mentre le forze padronali ed il governo hanno ostacolato lo sciopero ed hanno impostato le riforme in modo da escluderne per tutto quanto è possibile le Regioni, i lavoratori con lo sciopero hanno chiesto, per la prima volta, che alle Regioni vengano affidati compiti e funzioni importanti in tutta la politica delle riforme. A questo punto non vi possono essere dubbi per la nostra Regione, essa deve compiere una precisa scelta di campo, non può essere neutrale; se vuole assolvere un ruolo positivo deve far propria la piattaforma che ci viene offerta dalle lotte dei lavoratori e sostenerla con tutte le sue energie.
Un altro terreno di impegno è quello dello sviluppo economico. La relazione della Giunta affronta ampiamente la questione, ma numerose e gravi anche qui sono le lacune, sia per ciò che riguarda l'analisi della situazione, sia per ciò che riguarda la linee di intervento ed in particolare per ciò che si riferisce ai necessari interventi immediati.
Manca un qualsiasi riferimento ai caratteri delle difficoltà economiche in cui si dibatte il Paese. Noi respingiamo la campagna allarmistica di talune forze politiche ed economiche e respingiamo l'attacco che viene portato alle lotte dei lavoratori. Secondo i padroni le colpe delle difficoltà attuali sarebbero dei lavoratori e solo se si smorzano le loro lotte, potrà esserci una ripresa. Si tratta di una campagna chiaramente falsa e calunniosa. Le difficoltà non nascono dalle lotte dei lavoratori, ma dalla politica che è stata imposta per molti anni dai grandi gruppi monopolistici e dal governo. Certo, le lotte dei lavoratori non sono passate invano, esse hanno scosso profondamente tutti i vecchi equilibri su cui si è fondato quel tipo di sviluppo che tanto danno ha arrecato al nostro Paese. Ma se così è, allora deve essere chiaro che dalle difficoltà attuali non si potrà uscire alla vecchia maniera; se la ripresa avesse le caratteristiche volute dai padroni essa avverrebbe sulle vecchie basi e manterrebbe del tutto intatte le condizioni per il riprodursi della crisi; se la ripresa avverrà invece sulla base delle rivendicazioni dei lavoratori, essa assumerà le caratteristiche di una ripresa fondata su nuove basi, nell'interesse di tutta la collettività e dello sviluppo della democrazia. Qui sta, a nostro avviso, il valore delle battaglie sindacali che stanno conducendo i lavoratori e qui emerge dunque la necessità di batterci come Regione perch non si ritorni a prima dell'autunno, a meno di una sconfitta non solo dei lavoratori, ma della democrazia. Questo è l'elemento di fondo da cui si deve partire per affrontare in modo positivo anche le questioni dello sviluppo economico regionale, nella consapevolezza del peso che una Regione come il Piemonte può avere nella determinazione di una politica di programmazione economica nazionale. Ne discende allora l'esigenza di rivendicare con forza non solo un rapporto dialettico tra piano nazionale e piano regionale, ma una fattiva partecipazione delle Regioni all'elaborazione del piano nazionale e alla determinazione dei caratteri stessi che tale piano deve avere. Noi riteniamo sia necessario sostenere che la Regione Piemonte è contraria ad una programmazione per progetti, che sia sostitutiva di una programmazione economica globale. Una programmazione che non voglia ridursi a semplice razionalizzazione dell'intervento pubblico, deve avere come suo asse portante non solo la pianificazione della spesa, e quindi progetti operativi soltanto, ma la modificazione delle strutture economiche e sociali. Non respingiamo dunque l'esigenza di progetti particolari, ma essi vanno visti e collocati nell'ambito di una programmazione complessiva, la quale per essere efficace deve superare i vecchi concetti secondo cui doveva essere o indicativa, o concertata, o contrattata, per caratterizzarsi invece come una programmazione democratica e vincolante.
In questo quadro discende una seconda esigenza, quella che nell'elaborazione del piano regionale vi sia assoluta chiarezza sugli obiettivi di fondo che dobbiamo perseguire, che non possono, secondo noi che essere in primo luogo lo sviluppo del Mezzogiorno, tale da bloccare l'esodo dei lavoratori del Sud; lo sviluppo dell'agricoltura; lo sviluppo diffuso a tutto il Piemonte, che vuol dire certo una diversa politica delle localizzazioni industriali, ma che vuol dire anche l'arresto dell'esodo dalle campagne e quindi come la Regione interviene per la riforma agraria e per fare andare avanti una conduzione agricola più avanzata, legata alla piccola proprietà.



BORANDO Carlo

Se non c'è l'esodo delle campagne, l'agricoltura non può svilupparsi e ammodernarsi.



FURIA Giovanni

Se l'esodo avviene come è avvenuto sino ad ora non può che provocare un indebolimento dell'agricoltura e gravi problemi dove i contadini affluiscono.



BORANDO Carlo

L'agricoltura moderna non può pretendere più del 15 per cento degli addetti.



FURIA Giovanni

Ma come intervenire concretamente su queste questioni? Io non voglio riprendere l'analisi della situazione, dei danni che il tipo di sviluppo seguito in questi anni ha portato sia in Torino che in Piemonte e in Italia. Per molti anni siamo stati quasi soli a denunciare la situazione ma negli ultimi tempi vi sono stati riconoscimenti da più parti. Perch allora, non si è fatto ancora nulla per modificare realmente e radicalmente la situazione? Perché si sono mantenute le critiche all'interno del meccanismo di accumulazione e del relativo modello di sviluppo che domina l'economia regionale; perché anche quelle forze che già hanno compreso la necessità di cambiare, non hanno avuto né la capacità né il coraggio di mettere in discussione la collocazione e il ruolo della Fiat, come soggetto fondamentale o unilaterale delle scelte che sono state compiute. Tutto il discorso sulla programmazione e sullo sviluppo economico contenuto nella relazione della Giunta risente, purtroppo, di questa impostazione: non si parla della Fiat, sembra che la Fiat sia tabù e che le sue scelte siano oggettive e non ci si rende conto invece che in un meccanismo modellato da una sola grande impresa, com'è quello piemontese, non è possibile modificare nulla se non viene chiamata in causa questa forza trainante.
Occorre invece che la Fiat sia posta al centro della nostra analisi e della nostra iniziativa se vogliamo realmente diventare promotori e protagonisti di un nuovo tipo di sviluppo. Certo, la Fiat, per il potere di cui dispone sia sul piano economico che sul piano politico, è un osso duro, lo sappiamo benissimo, ma questa consapevolezza non deve indurre alla rassegnazione deve caso mai stimolare ad agguerrirci, a prepararci meglio, ad utilizzare tutte le armi di cui possiamo disporre.
La prima cosa che la Regione deve fare, secondo noi, è quella di riconoscere intanto il valore della lotta che i lavoratori della Fiat stanno portando avanti in questi giorni. Mercoledì vi sarà il primo sciopero, contro la resistenza padronale ed il nostro augurio è che esso abbia un grande successo. Noi chiediamo che la Giunta esprima chiaramente la propria adesione e il proprio sostegno ai lavoratori della Fiat. La loro lotta non è importante soltanto perché interessa 185.000 lavoratori, essa è importante per i contenuti che riguardano la creazione di una nuova organizzazione del lavoro. Già è in atto una campagna speculativa per isolare i lavoratori della Fiat, si dice che essi pretendono altri 120 miliardi (e questa è una fandonia) e che quindi la classe operaia pensa solo a se stessa, assorbe tutte le risorse e impedisce interventi in altri settori. Si tratta di falsità che anche noi, come Regione, dobbiamo contribuire a respingere. La battaglia dei lavoratori della Fiat è una battaglia che proprio per i suoi contenuti si caratterizza come una battaglia per una nuova politica economica, per lo sviluppo del Mezzogiorno, per lo sviluppo diffuso in tutto il Piemonte, perché essa tende a cambiare la politica di investimenti della Fiat. La vittoria dei lavoratori Fiat è decisiva, secondo noi, perché tocca uno dei punti centrali di una politica di programmazione e cioè tocca il problema del controllo del più grande complesso monopolistico italiano.
Ci sembra che proprio in questo momento perciò sia necessario che la Regione promuova un incontro con il Comitato dei consigli dei delegati della Fiat e con i Sindacati per l'esame della vertenza in corso e che chieda di avere, al più presto, una riunione con la Commissione bilancio e programmazione del Parlamento, per discutere a fondo non solo sugli investimenti ma su tutta la politica della Fiat. Se non si interviene sulla politica della Fiat e degli altri grandi gruppi monopolistici, ogni volontà di determinare un diverso tipo di sviluppo rimarrebbe pura velleità.
Il dr. Calleri ha dichiarato al "Corriere della Sera" che l'apertura di nuove vie e trafori verso i Paesi europei potrebbe da un lato favorire una diversificazione economica del Piemonte, con lo sviluppo del settore terziario, commerciale e turistico, e dall'altro lato favorire il dirottamento al sud di insediamenti industriali. Credo di avere interpretato esattamente il suo pensiero. Noi comunisti non respingiamo aprioristicamente un discorso sulla diversificazione, è da anni anzi che lo andiamo sostenendo, ad esso siamo interessati ancora oggi, ma abbiamo il dovere di dire che l'ipotesi del dr. Calleri nell'attuale situazione è, per un verso illusoria, perché nessuna infrastruttura, come dimostrano le esperienze di questi ultimi anni, ha mai risolto di per sé i problemi dello sviluppo economico; e per altro verso, al di là delle intenzioni, questa ipotesi risulta persino mistificatoria, perché tende a mettere in ombra i reali problemi di fronte ai quali ci troviamo. Uno di questi è certamente quello delle localizzazioni industriali, dei disincentivi e delle autorizzazioni. Noi vorremmo intanto sapere (lo ha chiesto anche il collega Zanone) che cosa è andato a dire il Presidente Calleri nell'incontro che si è avuto a Roma. Per parte nostra, e l'abbiamo già detto, siamo d'accordo sulla necessità di concentrare gli investimenti al Sud del Paese, abbiamo anche detto però che ciò non deve e non può significare blocco dello sviluppo nel Nord, ma deve invece significare un mutamento generale della struttura dell'industria, in tutta l'Italia. Certo occorrono delle misure concrete per favorire il decongestionamento di talune aree; i disincentivi a nostro avviso, possono avere un ruolo, ma a certe condizioni: prima di tutto che siano individuate esattamente le aree da decongestionare (nessuno afferma che tutto il Piemonte o tutta l'Italia del nord è area da decongestionare, conosciamo benissimo gli squilibri interni della nostra regione) e poi che i disincentivi siano una cosa più seria, se davvero vogliono essere efficaci, di come li prevede il progetto governativo. Qui sono in polemica con Zanone: noi sosteniamo che il milione di penalizzazione previsto è cosa ridicola, insufficiente, che non risolverebbe alcun problema, aggiungiamo però, subito, che i disincentivi non bastano ma occorre che siano accompagnati dall'istituzione di un regime di autorizzazione. Le Regioni devono avere il potere di dire di no, in accordo con lo Stato e con gli Enti locali, quando un dato insediamento risulti non collimare con gli interessi della comunità. Se non c'è questo diritto possiamo intervenire, possiamo infliggere delle multe, ma i problemi non li risolviamo. Sono d'accordo quindi con Garabello che una politica di pianificazione può essere attendibile solo se è improntata ad una ferrea disciplina, per ciò che riguarda le localizzazioni industriali.
In questo quadro vorrei porre alcune questioni specifiche: quella di Crescentino, che verrà con ogni probabilità approfondita da un collega del mio Gruppo. Quando la Giunta convocherà la commissione d'inchiesta per redigere una relazione? Quando se ne informerà il Consiglio? Quando la Giunta ritiene di promuovere la riunione dell'area intorno a Crescentino? A questo bisogna dare una risposta precisa.
Un'altra questione è quella dell'Indesit. Noi abbiamo presentato un'interpellanza, ma credo che possiamo affrontare il problema nell'ambito di questo dibattito. Non è il caso di fare la storia di quello che è successo nel Sud. Credo che tutti sappiano che ciò che voleva costruire l'Indesit ad Aversa erano otto stabilimenti per 10.000 dipendenti. Credo che tutti sappiano che l'Indesit aveva già realizzato un accordo preciso per l'acquisto delle aree (aveva già persino versato una cauzione di 75 milioni di lire). Quali sono, allora, le ragioni del dirottamento in provincia di Cuneo? Si è parlato di un ritardo del CIPE di oltre un anno.
Certo, da questo punto di vista, le critiche al CIPE non possono essere molto benevole. Si è parlato anche di seri contrasti tra le clientele democristiane, di conflitti tra Bosco, De Mita e via dicendo. Ma solo questo sta alla base delle scelte di dirottamento dell'Indesit? O c'è qualcos'altro? Io mi sono anche chiesto se sotto sotto non vi possa anche essere una speculazione dato che a certa gente può interessare di creare nel Sud altre situazioni come quella di Reggio Calabria. Ad ogni modo a proposito di questo noi chiediamo: 1) che si dica chiaramente, come Regione, che l'Indesit deve mantenere gli impegni assunti ad Aversa e si intervenga presso il Governo per farli rispettare; 2) che la Regione convochi immediatamente l'Indesit perché la stessa informi dettagliatamente circa le sue intenzioni; 3) che si promuova tempestivamente una riunione alla quale partecipino la Regione, la Provincia di Cuneo, i Comuni dell'area di Cavallermaggiore e i Sindacati dei lavoratori. Nulla deve essere fatto sulla testa delle popolazioni interessate.
Noi comprendiamo appieno - e lo voglio dire in Consiglio - le esigenze delle popolazioni del Cuneese, ma siamo certi di trovare la loro adesione quando affermiamo che gli interessi di sviluppo del Cuneese non possono essere contrapposti a quelli dei lavoratori del Sud, quando diciamo che gli interessi dei lavoratori cuneesi non possono diventare oggetto di oscure manovre reazionarie sotto il patrocinio della Indesit o di altre forze.
Troppo elevato è il senso antifascista e democratico delle popolazioni del Cuneese, perché non vi possa essere la certezza che esse saranno al nostro fianco in una battaglia che è economica, sociale e democratica insieme.
L'Indesit chiarisca le sue intenzioni, mantenga i suoi impegni nel Sud e noi stessi opereremo per esaminare le condizioni per eventuali insediamenti nel Cuneese, che corrispondano alle esigenze di sviluppo di quella provincia e dell'intero Piemonte. Vogliamo però anche dire ai lavoratori cuneesi di guardarsi dai falsi profeti. Essi devono richiedere a tutte le forze politiche un assoluto impegno di coerenza. A nessuno deve essere consentito di venire a predicare qui cose opposte a quelle che si predicano al Sud. Noi comunisti siamo orgogliosi di presentarci ovunque, al Nord come al Sud, con la stessa faccia, perché siamo convinti che la lotta dei lavoratori del Sud e del Nord è un'unica lotta e la divisione fa solo il gioco dei padroni.
Vorrei chiedere poi che sulle questioni dell'area metropolitana torinese si chiarisse al Consiglio Regionale in quale modo verrà preparato il convegno che dovrebbe tenersi ai primi di giugno, che è già stato concordato con il Comune e la Provincia di Torino, in modo da garantirne una preparazione e uno svolgimento cui possano democraticamente partecipare tutte le forze politiche e sociali interessate.
Chiediamo quando si vogliono convocare le conferenze di Comprensorio almeno nelle aree in cui si pongono problemi urgentissimi: nell'area del Tortonese, nell'Alto Novarese, nella zona del Biellese.
Per ciò che riguarda gli strumenti chiediamo alla Giunta: 1) di ritirare la proposta dell'ufficio del piano di cui noi continuiamo a non vedere la necessità dal momento che per le scelte politiche avremo la Commissione programmazione e bilancio e per le scelte tecniche conseguenti alle scelte politiche, dovremo disporre di un apposito apparato di tecnici a disposizione dell'Assessorato alla programmazione; 2) di chiarire come e quando andremo ad un rinnovamento e ad una ristrutturazione dell'IRES, la cui utilità riconfermiamo; 3) di dirci quali sono le caratteristiche politiche ed economiche che si vogliono dare alla Finanziaria pubblica che si vuole costituire; 4) di dirci, infine, se la Giunta ha già esaminato dato che la Regione deve essere anche organismo promozionale, l'opportunità di costituire un Ente regionale per lo sviluppo industriale in grado di favorire lo sviluppo dell'artigianato e delle piccole e medie imprese, sia sul piano tecnologico che sul piano commerciale.
Prima di concludere (scusatemi se porto via gli interi tre quarti d'ora) poche parole sulle questioni riguardanti i rapporti tra i vari organi della Regione. Io vorrei intanto respingere, come una forzatura inaccettabile, l'asserzione contenuta nella relazione, secondo cui vi sarebbe una obiettiva coincidenza nella visione amministrativa della Regione, tanto da parte di chi distingue i poteri del Consiglio regionale da quelli dell'esecutivo, quanto da parte di chi negli organi centrali vuole affidare alle Regioni solo poteri amministrativi. Noi abbiamo già detto e ripetiamo che non pensiamo affatto ad un regime assembleare, che non pensiamo affatto ad alcuna confusione tra maggioranza ed opposizione che non pensiamo affatto di frapporre ostacoli al funzionamento di nessuno degli organi della Regione. Noi siamo per il pieno riconoscimento dei tre organi della Regione: Consiglio Regionale, Giunta, Presidente della Giunta.
Ma questo non vuol dire - a meno di rivoluzionare lo Statuto - che essi siano sullo stesso piano. Il Consiglio è sovrano, lo stabilisce chiaramente lo Statuto, alla Giunta e al Presidente nessuno intende negare momenti di autonomia esecutiva, ma nell'ambito delle decisioni del Consiglio, al quale dunque Giunta e Presidente debbono essere subordinati ed al quale debbono rispondere, come prevede chiaramente lo Statuto.
Non è vero, dr. Calleri, che la Costituzione, nel disegnare le strutture delle Regioni, abbia inteso riprodurre le strutture legislative ed esecutive proprie del sistema parlamentare; a meno che si voglia anche qui cambiare il senso della Costituzione e del nostro Statuto. Sono necessari dei margini di autonomia per ragioni di efficienza e di funzionalità dell'esecutivo? D'accordo, non li neghiamo; ma sono forse mancati questi margini di autonomia alla Giunta nei mesi trascorsi? E' mai stato elemento paralizzante nei confronti della Giunta il Consiglio Regionale? O non è vero invece che troppe volte la Giunta ha dovuto essere stimolata all'attività da parte del Consiglio? Quando non è successo - come denunciava lo stesso compagno Nesi - che la Giunta ha disatteso delle precise decisioni del Consiglio Regionale.
Si rifletta, dunque, sull'esperienza di questi mesi e credo che allora ci si potrà convincere che non è possibile derogare minimamente dalle linee che su queste questioni abbiamo fissato nello Statuto. In ogni caso è bene che il dr. Calleri e quanti condividano le sue opinioni, sappiano che nel Gruppo comunista troveranno costantemente uno strenuo difensore delle prerogative della sovranità del Consiglio.
Sono questi, signor Presidente e colleghi Consiglieri, alcuni dei problemi di fondo (altri verranno illustrati da compagni del mio gruppo) che un programma della Regione Piemonte deve contenere, se vuole assolvere pienamente le sue funzioni e non deludere le aspettative che sono state create intorno ad essa. Naturalmente non abbiamo la presunzione di convincere tutti e subito della validità delle nostre proposte, ma certo a chiunque credo sia difficilmente contestabile che i problemi e la realtà con cui la Regione si dovrà misurare, non siano quelli che noi abbiamo indicato. Sfuggire alla realtà come ha fatto la Giunta, come ha fatto la maggioranza nella relazione che ci è stata presentata è già una scelta ed è una scelta grave. Forse non poteva essere che così, data la precarietà della maggioranza di centro-sinistra e gli orientamenti conservatori che ancora prevalgono nella D.C. e nella socialdemocrazia, ma noi avvertiamo anche che le contraddizioni all'interno della maggioranza si fanno ogni giorno più stridenti, come dimostra il fatto che la relazione della Giunta sia collegiale sino ad un certo punto (e non ne faccio una questione formale, ma una questione di sostanza politica) e come dimostra il fatto che dal dibattito siano emerse, sia da parte socialista che in campo D.C.
considerazioni assai più vicine alle nostre che non a quelle della relazione che ci è stata presentata.
Noi auspichiamo dunque, anzi chiediamo che la Giunta tenga conto nella replica, delle indicazioni e delle proposte che abbiamo formulato. In ogni caso è certo che per affermarle ci sentiamo impegnati a fondo a lavorare al fine di creare le più estese convergenze con tutte le forze democratiche e regionaliste dentro e fuori del Consiglio; con tutte quelle forze cioè che vogliono che la Regione piemontese sia un reale strumento per cambiare le cose e far sì che il nostro Paese marci speditamente, come vuole la stragrande maggioranza della popolazione, sulla via del rinnovamento politico, economico e sociale.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Dotti, ne ha facoltà.
Informo il Consiglio che dopo il Consigliere Dotti sono iscritti ancora altri nove Consiglieri sulla discussione generale.



BERTI Antonio

Questa informazione, a qual fine?



PRESIDENTE

Affinché ciascuno sappia regolarsi nella economia della discussione.
Solo questo.



DOTTI Augusto

Signor Presidente, signori Consiglieri, dalle dichiarazioni programmatiche del 15 corrente del Presidente della Giunta ai signori Consiglieri, si rileva la formulazione di principi relativi all'urbanistica, all'assetto del territorio, alla tutela dell'ambiente utili all'individuazione dei massimi obiettivi a livello strategico obiettivi che la Giunta richiede per il loro successivo conseguimento tramite la programmazione.
Il Presidente della Giunta, così attentamente preciso nel determinare le competenze degli organi regionali, ha voluto indubbiamente sollecitare il Consiglio ad esprimersi sugli orientamenti di base che dovranno presiedere alla pianificazione regionale.
In questo dibattito cercherò di dare un contributo al riguardo.
Orbene, l'istituzione dell'Ente Regione ripropone i temi delle politiche di intervento nello sviluppo economico e sociale del Piemonte non soltanto in relazione ai compiti istituzionali dell'amministrazione regionale, ma anche come concreta possibilità di realizzazione, in tempi ragionevoli, di alcuni fondamentali obiettivi, quali sono venuti delineandosi da vari studi e ricerche condotte dall'IRES, da altri istituti di ricerca, dagli Enti locali, dalle Camere di commercio.
Con l'istituzione dei Comitati regionali di programmazione economica e con la redazione del primo programma quinquennale di sviluppo economico e sociale della Regione, agli studi si sono aggiunte le prime indicazioni degli interventi programmati a livello regionale. Questi primi risultati pur considerati insoddisfacenti, possono formare una premessa "non illogica" ad uno sviluppo più coordinato della Regione negli anni '70 attraverso una guida più positiva e stimolante dell'operatore pubblico nel campo economico, territoriale e sociale. La Regione potrà anche avvalersi dell'attività della Somea che ha intrapreso la compilazione di atlanti regionali, strumenti di consultazione di nuovo tipo sui problemi dell'assetto territoriale, sostenuti da una periodica revisione dei dati.
L'amministrazione regionale non dovrebbe comunque provocare una soluzione di continuità delle iniziative in corso essendo necessario evitare il grave pericolo di ulteriori ritardi irrecuperabili in alcuni settori e con effetto di portata notevole, tali da compromettere il futuro della Regione per un periodo tutt'altro che breve.
Allo stato attuale la Regione, in mancanza di sufficienti strumenti legislativi, difficilmente potrebbe esplicare un'azione incisiva di intervento; essa può tuttavia, fin d'ora, proporre traguardi fondamentali al cui raggiungimento sembra siano disponibili mezzi non inefficienti. La Regione può subito sostenere concretamente le attività degli Enti locali sentite le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori, sempre che esse siano rivolte alla soluzione dei problemi di fondo.
La programmazione per progetti.
La Regione piemontese è stata ispezionata da un numero di indagini conoscitive non inferiore a quello di altre regioni; anzi, per molti aspetti si può considerare che le esigenze conoscitive siano attualmente molto avanzate sia pure in misura non ancora soddisfacente per alcuni settori.
Per quanto riguarda i "programmi strategici", necessari a livello regionale per definire gli ordini di grandezza dei fattori di sviluppo (investimenti produttivi, redditi, occupazione, livelli retributivi investimenti sociali, bilancio economico, sviluppo tecnologico decentramento amministrativo, decongestionamento delle aree sovraffollate) essi non sono sufficienti per realizzare sia gli interventi caratteristici di una politica economica a medio termine, sia gli interventi di una politica economica di pronto soccorso.
Si è così delineata la necessità di introdurre la programmazione per progetti, che a livello regionale è lo strumento essenziale per realizzare le grandi infrastrutture sociali ed urbane necessarie a sostenere lo sviluppo produttivo e dell'occupazione. Mentre da un lato sarà necessario continuare l'elaborazione dei piani globali, per i quali si rileva un ritardo notevole in relazione alla scadenza della presentazione dei piani quinquennali 1971-1975, dall'altro appare necessario stimolare al massimo la programmazione dei progetti che può dare risultati concreti e porre rimedio a situazioni insostenibili.
Per quanto riguarda i piani strategici l'avvio più concreto a livello regionale appare quello dell'organizzazione del territorio, su cui mi soffermerò in modo particolare, fondata sulle grandi linee dello sviluppo produttivo ed urbano della Regione in collegamento con il resto del Paese e con la più vasta area europea.
L'interdipendenza del Piemonte con le altre Regioni, con gli altri Paesi europei, con gli altri continenti è un fatto reale al quale non è possibile né conveniente sottrarsi, anzi, l'assetto del territorio deve essere rivolto a rendere sempre più efficienti queste interdipendenze Ne elencherò tre delle principali: in primo luogo per quanto riguarda gli scambi di popolazione con le altre Regioni italiane ed all'interno della nostra Regione le esigenze dello sviluppo produttivo "spontaneo" - e qui l'aggettivo non è certo migliorativo - hanno condotto ad elevatissimi flussi migratori e ad un ancor più elevato ricambio della popolazione.
In secondo luogo la Regione piemontese, inserita nella più vasta area padana, richiede un efficiente sbocco portuale; a questo scopo sarà indispensabile rendere sempre più adeguato alla domanda dei servizi il sistema portuale ligure e gli altri porti settentrionali.
In terzo luogo, la Regione piemontese richiede una maggiore integrazione con le altre Regioni limitrofe, con la Svizzera, con la valle del Rodano, sia attraverso migliori e veloci comunicazioni, sia attraverso integrazioni di iniziative a livello produttivo, culturale e sociale.
La programmazione del territorio piemontese non può dunque limitarsi alla regolazione del tessuto urbano ed agricolo a livello delle aree ecologiche, ove indubbiamente si richiedono interventi coordinati ed efficienti, ma deve inserirsi nella realtà della più ampia integrazione interregionale ed internazionale. La pianificazione territoriale del Piemonte non può essere intesa come semplice operazione di razionalizzazione delle attuali strutture urbanistiche, ma deve costituire una vera e propria grande iniziativa dell'imprenditore pubblico regionale.
Con l'avvento della Regione, signori Consiglieri, Ente autonomo territoriale per antonomasia, la signoria del territorio passa alla Regione. Il Presidente della Giunta alle pagg. 28, 29 e 30 delle sue dichiarazioni programmatiche, ha illustrato, per la pianificazione regionale, i concetti della moderna metodologia del Planning Programming Budgeting System che vuole semplicemente dire "il sistema della pianificazione, della programmazione e del bilancio", cioè il sistema del passaggio dagli obiettivi strategici, propri del nostro Consiglio, alle realizzazioni programmatiche pluriennali di competenza della Giunta, al bilancio annuale di controllo o di revisione ed agli interventi solleciti ed urgenti dei tempi brevi.
Questa metodologia è già in atto nei paesi ove l'amministrazione pubblica è di gran lunga la forza traente numero uno dello sviluppo sociale.
L'esigenza di queste nuove tecniche di pianificazione e di bilancio è avvertita ormai a livello nazionale. In recenti dichiarazioni al CIPE il Segretario generale della Programmazione ha esplicitamente ribadito la intenzione di adottare il Planning Programming Budgeting System nell'elaborazione del nuovo piano quinquennale 1971-1975: tale piano - dice il Segretario - dovrebbe articolarsi secondo azioni programmatiche o progetti e trasformarsi da messaggio a processo di decisione vero e proprio.
La programmazione della pubblica spesa, locale o nazionale, fatalmente afferra diversi esercizi, per cui si propone anche per la Regione piemontese l'opportunità di una visione poliennale di bilancio. La discussione sulla possibilità ed utilità di bilanci pluriennali dura da parecchi decenni nella dottrina finanziaria nostra ed estera. In ogni caso il bilancio annuale dovrebbe rappresentare una sezione temporale del più ampio ed organico bilancio pluriennale.
Il piano strategico interviene ad enunciare in modo concreto le finalità generali della collettività rispetto ad obiettivi specifici. E questo spetta al Consiglio. Questi obiettivi ispirano poi la fase successiva di elaborazione dei programmi, il cui momento centrale è rappresentato dalla scelta tra vari programmi alternativi, di cui sono definiti i risultati ed i costi. Questi ultimi vengono quindi sintetizzati nei documenti tipici del processo di bilancio: i piani finanziari pluriennali, dai quali si passa infine alla formulazione del bilancio preventivo annuale, che rappresenta così l'articolazione nel breve periodo di una programmazione a medio e lungo termine. Nella cosiddetta programmazione di bilancio degli Enti pubblici trova ormai estesa applicazione il calcolo economico sotto forma di analisi dei benefici e dei costi delle spese pubbliche.
Le conclusioni non sono del tutto negative: alcune delle difficoltà appaiono superabili se l'applicazione della tecnica, anziché essere tentata sul complesso delle attività dell'amministrazione, è ristretta soltanto a talune categorie di programmi che, per la loro importanza in termini di spesa, giustificano lo sforzo di ricerca richiesto.
A questo punto ritengo utile introdurre qualche dato relativo allo sviluppo della nostra Regione nel 1970 per meglio inquadrare alcune proposte di programmazione per progetti, aderenti agli obiettivi della pianificazione del territorio.
La popolazione. Per quanto riguarda la popolazione, seguendo lo studio Somogyi, il solo che tratti il fenomeno compiutamente da un punto di vista strettamente scientifico, tenendo conto cioè delle componenti migratorie oltre che delle tabelle di natalità e mortalità, non avremo grandi variazioni da oggi al duemila. Nel duemila il Piemonte non dovrebbe superare i 5.080.000 abitanti, contro le aspettative astronomiche di persone non molto informate sullo sviluppo economico e demografico del Piemonte. Solo la provincia di Torino sarebbe in aumento passando dai 2.282.000 abitanti del 1966 ai 3.120.000 del 2000. Tutte le altre province sarebbero in regresso, salvo quella di Novara stazionaria.
Queste previsioni, pur scarne, sono leggermente ottimistiche in quanto partendo dal 1966 con i rilevati 4.367.000, si sarebbero dovuti già raggiungere oggi, nel 1971, i 4.634.000 abitanti. Questo primo traguardo stando ai dati che oggi conosciamo, non è più realizzabile in quanto siamo già in ritardo di 200.000 individui per le affievolite immigrazioni. In proposito non si dimentichi che in quell'armonia di equilibri Nord-Sud che tutti auspichiamo, la Regione avrà grandi responsabilità.
Le cifre che ho citato sono fondate sull'ipotesi di un flusso immigratorio che concorre mediante il 60 per cento all'aumento annuale della popolazione e che diventa la radice stessa del saldo attivo biologico. Ricordo che senza flussi migratori attivi per il Piemonte, le ipotesi che partono dalla popolazione del 1961 rilevata in 3.914.000 abitanti, indicano per il 2000 solo 3.853.000 abitanti invece dei 5.080.000 sopra ricordati. Sarebbe una vera catastrofe, un'ecatombe ed il decadimento irrefrenabile della nostra Regione. Oggi il Piemonte ha due primati, la più alta mortalità in Italia, e la più elevata percentuale dei suicidi.
Il reddito lordo ai prezzi di mercato in miliardi è aumentato nel 1970 del 6 per cento sul '69, raggiungendo i 5.743 miliardi.
Per quanto riguarda il reddito per abitante, netto al costo dei fattori, cioè dedotti gli ammortamenti e le esportazioni, è stato di lire 1 milione e 6 mila, superiore del 26 per cento alla media nazionale.
Correggendo quanto detto dal Consigliere Zanone, abbiamo per le diverse province piemontesi questo reddito per abitante: solo Asti è inferiore alla media nazionale con 752.000 lire di reddito per abitante; Alessandria con 804.000 per abitante è pari alla media nazionale; invece la provincia di Cuneo, caro Zanone, è superiore del 7 per cento alla media nazionale con 857.000 lire per abitante, così anche Novara è superiore e anche Vercelli infine Torino con 1.148.000 lire per abitante è superiore del 43 per cento alla media nazionale.
Volendo parlare dell'assetto del territorio in agricoltura, dirò del reddito agricolo delle diverse province: nel 1969 Alessandria aveva un reddito agricolo di 55 miliardi, pari al 13 per cento del reddito complessivo della provincia; Asti 36, pari al 21 per cento del reddito complessivo lordo della provincia; Cuneo 94 miliardi, pari al 19 per cento Novara 32 pari al 7; Vercelli 44 pari al 7; nella provincia di Torino il reddito agricolo è di 67 miliardi, ma cade al 2,5 per cento come partecipazione al reddito globale nella provincia.
Ho voluto ricordare come le province meno prospere in Piemonte siano proprio quelle meno industrializzate ed anzi quelle dove meno sono sviluppate le attività terziarie.
Parliamo adesso del settore primario: l'assetto territoriale in agricoltura. Già diversi oratori sono intervenuti, ma di cifre precise non ne abbiamo ancora sentite. Il territorio agrario della nostra Regione, è valutato in 1.750.000 ettari, parlo di territorio agrario effettivamente utilizzabile. I dati catastali ufficiali al 1970 davano ancora 2.039.000 ettari; il territorio è prevalentemente montano e collinare, la pianura rappresenta solo un quarto dell'intera superficie. Per quanto concerne la zona montana e collinare i problemi agricoli e forestali sono sostanzialmente gli stessi, però sia in montagna che in collina assistiamo ad un precipitoso allontanamento degli agricoltori verso altri campi di attività con problemi di ristrutturazione immediata delle aziende e dei terreni abbandonati. Questo è un campo dove l'amministrazione regionale dovrebbe subito intervenire perché i pericoli conseguenti alla degradazione del suolo sono spesso funesti nelle zone di influenza dei bacini imbriferi a valle e lungo il corso dei fiumi.
In montagna la Regione dovrà favorire il ritorno ad un nuovo equilibrio forestale, con larghi investimenti di essenze legnose. La praticoltura andrà ricondotta ad attività economica almeno dove vi sono prospettive di utilizzazione dei pascoli. La montagna andrà inquadrata in una nuova economia silvo-pastorale, fatta eccezione per alcune plaghe veramente limitate, con particolare vocazione per prodotti tipici (vino, frutta e patate). Nell'economia forestale e agricola montana la Regione dovrà porre l'accento su altre attività del settore secondario e terziario, in particolare il turismo. Tali iniziative, se in molti casi possono considerarsi oggi ancora complementari, assumeranno sempre maggiore importanza nel futuro della vita sociale ed economica delle popolazioni alpine.
Per quanto riguarda l'agricoltura della collina, il Piemonte presenta aspetti estremamente diversi da zona a zona; da condizioni di netta inferiorità per un'equilibrata economia agricola si passa ad ambienti decisamente favoriti, nelle zone tipiche di produzione viticola. Dove le condizioni ambientali sono più difficili, sembra inevitabile dover ricondurre i terreni a bosco con piantamenti di essenze pregiate. I fattori limitanti dell'agricoltura collinare sono diversi: alcuni comuni ad altre zone, altri propri della collina; tra questi ultimi ricordiamo la carenza di acque irrigue, le difficoltà di meccanizzare le operazioni culturali pure frenate dal notevole frazionamento e polverizzazione della proprietà terriera.
Fatta eccezione per le zone di produzione tipica di alto reddito e per le superfici ancora atte ad un'intensa foraggicoltura, rimangono scarse possibilità di iniziative agricole. In tali casi la Regione dovrà incoraggiare un tipo di agricoltura silvo-pastorale. L'allevamento zootecnico infatti, costituisce sempre una risorsa economica da potenziare per le piccole e medie aziende collinari.
L'agricoltura nella pianura piemontese è caratterizzata da terreni fertili, soprattutto là dove l'acqua irrigua è abbondante. Si può affermare che le disponibilità di acqua per l'irrigazione suddivida la pianura piemontese in due agricolture: quella vercellese, novarese ed in parte alessandrina, dove è intensa la coltura del riso e quella con minore disponibilità di acqua dove predomina l'azienda cerealicolo-zootecnica; in ogni caso ci troviamo di fronte a un'agricoltura che presenta notevoli possibilità di ristrutturazione e di sopravvivenza nella competizione economica dell'agricoltura europea.
I compiti della pianificazione regionale in materia di agricoltura sono due: la ricomposizione fondiaria ed il riordino delle utenze irrigue. Per quanto riguarda la ricomposizione fondiaria ricordiamo che le aziende agricole al 31 dicembre 1970 erano ancora in Piemonte 288.393 di cui 274.000 a conduzione diretta. Gli occupati in agricoltura sono scesi dai 285.000 del 1969 ai 280.000 del 1970, con una riduzione percentuale del 12,3 per cento.
Il reddito per occupati in agricoltura - e qui forse la situazione è ancora peggiore di quella che aveva indicato il Consigliere Viglione - è di sole lire 1.170.000 all'anno, inferiore non solo alla media nazionale, ma inferiore del 50 per cento a quello della vicina Lombardia e della Liguria.
L'avanzamento tecnico ed economico dell'agricoltura piemontese indipendentemente dalla zona altimetrica, va tuttavia perseguito oltre che con un potenziamento delle produzioni e degli allevamenti nelle zone decisamente più idonee, cioè favorite dall'ambiente pedoclimatico, anche attraverso la composizione di interventi di carattere tecnico che vanno dalla preparazione professionale dell'imprenditore agricolo al coordinamento dell'assistenza tecnica ed amministrativa all'associazionismo, alla valorizzazione del prodotto.
Riordino delle utenze irrigue. L'eccessivo numero di consorzi irrigui è già stato ricordato, esistenti in Piemonte concorre ad aggravare le deficienze che si riscontrano nell'utilizzazione delle acque. Ricordiamo che la superficie irrigua del Piemonte ammonta a circa 485.000 ettari, pari al 28 per cento della superficie agraria della Regione. Il 45 per cento di detta superficie irrigua compete a quattro grandi consorzi che voi tutti conoscete: l'Ovest Sesia, l'Est Sesia, quello dalla Baraggia Vercellese e quello della Sinistra Stura nella provincia di Cuneo. Sulla restante superficie irrigua di 270.000 ettari operano 900 Consorzi di irrigazione.
Si è un po' troppo insistito su una pretesa abulia del mondo rurale quale elemento frenante lo sviluppo dell'agricoltura; ma questo non è proprio il caso in quanto il 41 per cento dei piccoli consorzi, come un'accurata recente indagine ha rilevato, ravvisa l'utilità di raggrupparsi dando vita ad organismi più ampi ed efficienti estesi ad organiche unità idrografiche. Altro inconveniente è che il continuo aumento di fabbisogno d'acqua per usi industriali e domestici impone, per la salvaguardia stessa delle disponibilità irrigue, una più razionale utilizzazione delle risorse esistenti e la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento da effettuarsi con visione intersettoriale.
Un esame sulle caratteristiche tecniche ed economiche di interventi atti a garantire la parziale regolazione di vari corsi d'acqua alpini della nostra Regione, ha indicato la possibilità di realizzare, con una spesa di 80 miliardi, considerata non eccessiva dato il numero degli utenti, un complesso di serbatoi per una capacità globale di almeno 300 milioni di mc.
che garantirebbero per la durata di quattro mesi una maggiore portata di 30 mc. al secondo.
Le soluzioni intersettoriali, che finiscono per essere quelle più economiche, vanno comunque trattate con una certa prudenza. Ricordiamo il progetto della Stura di Viù, cioè sbarramento sopra Lanzo, derivazioni in parte per produzione di energia elettrica e successivo utilizzo a scopo potabile e altra derivazione a scopo irriguo. Infatti ogni alterazione nel regime dei corsi e nella quantità d'acqua totale che li percorre, pu portare ad un abbassamento delle falde idriche ed a sensibili diminuzioni di portata delle risorgenze che da secoli rappresentano la più costante fonte di approvvigionamento di molte irrigazioni pedemontane.
Per quanto riguarda l'Enel, è meglio in questa sede consiliare regionale essere piuttosto precisi. Il riciclo delle acque, cioè le stazioni di pompaggio, sono la massima economia idrica che oggi si possa realizzare nella produzione dell'energia elettrica: vi sono dei paesi come il Lussemburgo, il primo ad istituire queste stazioni di pompaggio, che non avevano una produzione idroelettrica; hanno potuto attuarla ripompando le acque da un bacino inferiore a un bacino superiore, mediante il supero dell'energia termica notturna. Così l'Azienda Elettrica Municipale di Torino ha completato ed ha tuttora in esercizio un impianto di pompaggio nella Valle dell'Orco che nulla sottrae a quelle che sono le immissioni quotidiane dell'acqua fluente nei corsi. Quindi ripeto, caro Consigliere Viglione, il vantaggio che l'Enel può dare all'agricoltura è quello di non sottrarre più acqua di quella che si consuma per evaporazione.
Pertanto l'amministrazione regionale dovrà affrontare lo studio di piani organici per l'accrescimento della disponibilità idrica e per il più razionale proficuo impiego delle acque, in modo da arrivare a soluzioni tecniche adeguate, il più possibile, all'assetto idraulico del Piemonte.
Veniamo ora ai settori secondario e terziario e trattiamo degli strumenti di azione regionale per il conseguimento dei traguardi strategici. La Finanziaria pubblica dovrebbe rendere disponibili aree sufficientemente attrezzate e dotate di servizi quale strumento essenziale di intervento per una strategia di localizzazione industriale e residenziale. Le scelte di localizzazione di nuove unità produttive dipendono dalla possibilità di acquisire terreni dotabili di infrastrutture e dall'esigenza di realizzare l'avvio dell'impianto nel più breve tempo possibile unitamente alla costruzione di abitazioni, ove è possibile.
Finora in assenza di un'efficiente politica di aree industriali non è stato possibile ottenere apprezzabili progressi nella determinazione degli insediamenti industriali, ai quali sono in genere collegati la maggior parte degli insediamenti residenziali. Si possono prevedere anche aree industriali ad indirizzo prevalentemente specializzato, sempre da mettere a disposizione da parte della Finanziaria pubblica, cioè aree di raffinazione dei prodotti petroliferi, aree per l'industria petrolchimica, aree siderurgiche contigue a porti industriali.
Per quanto riguarda il sistema degli incentivi, all'occupazione e all'industrializzazione delle zone a scarso sviluppo industriale, oltre alla disponibilità di aree industriali potrà giovare la cessione, sempre da parte della Finanziaria pubblica, in uso del fabbricato e dell'impianto industriale. Questo sistema di incentivo, in generale stimola la capacità imprenditoriale che verrebbe "premiata" soltanto al termine previsto quando diventerà possibile l'acquisizione della proprietà dell'area, del fabbricato e dell'impianto a condizione che l'impresa sia in vita ed abbia raggiunto l'ordine di grandezza previsto di produzione, di organizzazione e di occupazione di manodopera.
Parimenti la Finanziaria pubblica potrà attrezzare aree di commercializzazione all'ingrosso ed aree di vendita al grande e piccolo dettaglio. I principali problemi che si devono affrontare in questo campo sono i seguenti: decentramento dell'area urbana dei servizi di distribuzione all'ingrosso, di manipolazione e di conservazione. Pertanto sono realizzabili progetti di trasferimento all'esterno del concentrico urbano di mercati ortofrutticoli; dei fiori, del pesce, macelli ed impianti di conservazione delle carni, magazzini di merci, terminale di autotrasporti a lungo raggio.
Sempre la Finanziaria pubblica potrà mettere a disposizione aree per il grande ed il piccolo dettaglio da collocarsi alla periferia delle aree urbane e facilmente accessibili. Questo appare uno strumento importante di intervento a fianco di quelli legislativi, per attenuare il grave fenomeno della polverizzazione dei punti di vendita a basso livello di efficienza.
E' una nuova formula di distribuzione al dettaglio, dove supermercati sono insediati in un'area comune accanto a numerosi negozi specializzati. Allo stesso tempo sembra necessario dover limitare al massimo l'insediamento delle grandi unità di vendita nel centro urbano.
Tramite i Comuni e le amministrazioni provinciali la Regione potrà incentivare l'offerta di aree e di servizi turistici. In generale la domanda di servizi turistici (a breve, a medio e lungo raggio di spostamento; di varia durata di permanenza; estivi, invernali; balneari montani, climatici, termali, artistici) si dirige ove già esiste un'offerta ben definita. Occorre rilevare che l'incremento della domanda di servizi turistici è di entità notevole e soggetto a notevoli variazioni qualitative. E' ragionevole prevedere anche nella nostra regione, entro un periodo non lungo, il raddoppio della domanda di servizi turistici da parte degli europei, degli italiani ed in particolare dei piemontesi.
A realizzare questo incremento servirà l'introduzione di alcune variabili sociologiche e di reddito che l'amministrazione regionale potrà concorrere a determinare: scaglionamento delle vacanze, settimana corta accumulazione di una parte delle festività infrasettimanali, diminuzione del tempo di lavoro, esigenza della seconda casa con trasferimenti a breve raggio, turismo a lungo raggio per effetto dell'estensione dell'impiego di mezzi aerei veloci con tariffe collettive, l'estensione della rete autostradale. Attualmente, purtroppo, in assenza di una politica coordinata di interventi, la domanda di servizi turistici generalmente produce effetti negativi di notevole portata: utilizzazione marginale delle attrezzature congestione delle aree turistiche; sfruttamento inadeguato e nel medesimo tempo un decadimento delle risorse naturali per effetto dell'eccesso di concentrazione territoriale, stagionale della domanda turistica.
Da queste prime osservazioni discende l'opportunità di un sistema di intervento dell'amministrazione regionale nel settore del turismo attraverso uno specifico piano territoriale.
A. - Incentivazione allo sviluppo industriale per singole aree. Ne ha parlato poco prima lo stesso Consigliere Furia.
In molti Paesi viene svolta una notevole azione di intervento nel campo dello sviluppo industriale; questi interventi però riguardano settori specifici dell'industria in aree nelle quali si vuole portare l'industria o elevare il grado di industrializzazione. Cioè si sviluppa il concetto non di provvedimenti generali a favore dell'industria in tutte le aree, ma a favore di specifiche industrie in specifiche aree, in quanto appare utile individuare le singole politiche di intervento da attuare nelle zone prescelte per lo sviluppo di specifici settori di attività industriale e terziaria. Per questo è opportuno approfondire la conoscenza delle politiche di sostegno allo sviluppo dei singoli settori in determinate zone, facendo riferimento anche alle iniziative plurinazionali ed in particolare alla Comunità Europea.
A questo punto mi sembra doveroso dover rivolgere un ringraziamento all'amministrazione civica di Torino perché in questi giorni è intervenuta per un accordo con la Fiat, al fine di ottenere l'eliminazione dello smog nelle Ferriere piemontesi. Da parte mia rivolgo un invito alla Giunta perché prenda contatto con l'amministrazione civica e con la Fiat, in relazione al preannunciato investimento di 17 miliardi. Non si tratta solamente, in questo caso, di demolire dei forni Martin e di sostituirli con forni elettrici, ma anche di incrementare la produzione siderurgica nel concentrico urbano torinese. Richiamo quindi l'attenzione della Giunta per vedere se effettivamente tale progetto riscuota anche la sua Approvazione.
Altrettanto rilevante è il confronto tra gli indirizzi nazionale di incentivazione all'industrializzazione di aree arretrate e gli indirizzi di politica regionale proposti dalla Comunità.
Si è parlato anche di diversificazioni industriali. Nel nostro Piemonte le crisi di alcuni settori produttivi, come le crisi del settore tessile sono diventate croniche ed i rimedi per il risanamento delle singole aziende proposti finora dallo Stato, non sono sempre efficaci per il settore in quanto l'offerta di tutte le aziende risanate finisce per essere di nuovo esuberante non solo sul mercato nazionale, ma anche sui mercati esteri e contribuisce ulteriormente a deprimere il settore e i prezzi. La Regione dovrà quindi orientare gli imprenditori verso nuove attività che abbiano maggiori possibilità di sviluppo. Non si vuole con ciò negare la validità di una specializzazione tradizionale, ma affermare la necessità di tracciarne le economiche dimensioni; parimenti la Regione dovrà indicare e sostenere le produzioni ancora carenti ed in grado di assorbire la manodopera esuberante dei settori in crisi.
B. - Problemi dell'occupazione nelle aree di sviluppo industriale.
Le esperienze più recenti confermano l'aggravamento del problema della scarsa disponibilità di mano d'opera (e ve ne ho dato in sintesi alcune indicazioni, citando i dati dello sviluppo della popolazione in Piemonte) nella maggior parte delle aree del Settentrione, mentre non è più possibile mantenere un elevato flusso migratorio verso queste aree. Appare, quindi opportuno definire le ipotesi quantitative e qualitative sul fabbisogno della mano d'opera delle imprese.
La valutazione delle disponibilità di mano d'opera può costituire un'indicazione essenziale per le scelte di localizzazione più efficienti e per scoraggiare le soluzioni meno efficienti. Questo scoraggiamento è già attuato in Francia con il pagamento annuale da parte dell'impresa al Governo locale di un premio, una redevance, per l'ampliamento o la costruzione di stabilimenti in aree congestionate.
C. - Trasporti di superficie, trasporti aerei e trasporti urbani a breve e lungo raggio.
L'evoluzione dei mezzi di trasporto e la diffusione dei nuovi mezzi per i trasporti aerei ed in superficie a breve, medio e lungo raggio richiedono un intervento crescente da parte dell'operatore pubblico.
L'intervento della nostra Regione consisterà nel coordinamento delle imprese erogatrici del servizio con gli utenti, con le imprese e gli enti utilizzatori e con le amministrazioni pubbliche interessate. Tuttavia non è da escludere l'istituzione di un solo Ente regionale dei trasporti che gestisca tutto quanto sarà trasferito dallo Stato alla Regione, che comprenda anche i trasporti urbani autofilotramviari, purché assistito dal contributo dello Stato.
Numerosi esempi di coordinamento sono già stati attuati in vari Paesi e pertanto appare di grande utilità un primo approccio al problema particolarmente nella Regione piemontese, in relazione agli indirizzi già adottati.
Un settore che verrà trasferito alla Regione è quello dei trasporti collettivi su gomma. Ci saranno certamente altre competenze relative alle tramvie ed alle ferrovie in concessione; ma quello delle autolinee sarà senz'altro lo strumento più importante attraverso il quale la Regione potrà direttamente operare.
La Regione dev'essere un organismo di indirizzo, di coordinamento e controllo, ampliando la funzione legislativa anche alla emanazione di norme di gestione tecnica ed amministrativa. La Regione dovrà sollecitare, previa ampia e democratica consultazione, la costituzione di enti di gestione pubblici aventi dimensioni di bacino di traffico attraverso l'associazione di tutti gli enti interessati.
La Regione assicurerà la massima integrazione fra servizi su gomma e servizi su ferro, occupandosi anche dei problemi connessi agli impianti di trasbordo, parcheggio e collegamento.
Le linee secondarie delle FF.SS. potrebbero essere utilizzate nel quadro di un piano di sviluppo di linee metropolitane. La Regione si preoccuperà di ottenere l'integrazione, con il piano regionale, dei trasporti, delle iniziative volte a realizzare la Metropolitana torinese ed a potenziare l'assetto aeroportuale. In particolare, il progetto delle linee metropolitane va seguito per garantire che sia posto al servizio di un piano di decongestionamento dell'area torinese.
Non va poi dimenticato il problema delle comunicazioni su strada, che deve tener conto dell'obiettivo di realizzare una salda compenetrazione tra i sistemi di trasporto del Piemonte e quelli delle Regioni limitrofe.
La politica dei trafori alpini rappresenta per il Piemonte una esigenza indifferibile, nel quadro del riassetto di un territorio concepito a contesto europeo. La politica dei trafori diventa, infatti, una scelta d'obbligo una volta che si sia imboccata la strada dell'Europa unita e la strada dell'economia aperta, ossia di un'economia competitiva fortemente integrata con le altre economie, segnatamente con quelle dell'Europa del Mercato Comune.
Parliamo brevemente, ora, anche delle infrastrutture, in quanto i compiti della Regione non sono solo quelli dei trasporti, dell'agricoltura e dell'industria, ma anche di venire incontro soprattutto ai poli esterni al capoluogo regionale attraverso un'organica programmazione dei lavori pubblici.
Potrebbero formare oggetto di legge regionale le materie che interessano: a) la classificazione delle strade b) la materia della tipologia tecnica stradale c) le riserve di strade provinciali e comunali che la Regione volesse disporre a favore di se stessa.
Qualche incertezza resta circa il problema delle autostrade. La legge istitutiva dell'A.N.A.S. riserva le autostrade alla competenza dello Stato il quale le può affidare in concessione ad enti pubblici ed a privati. La Regione potrebbe comunque diventare concessionaria essa stessa dello Stato.
Sempre nel settore della viabilità, occorre non commettere l'errore di credere che la grande viabilità rappresenti la sola chiave di volta per il riequilibrio della Regione. Senza un altrettanto adeguato supporto di viabilità secondaria, qualunque sforzo ed intervento nel primo settore risulterà insufficiente.
La Regione dovrà indirizzare le sue attenzioni anche ad altri settori infrastrutturali. In particolare, in materia di acquedotti e fognature essa dovrà determinare un ordine di priorità fondato sulle effettive necessità dei Comuni o consorzi di Comuni (al riguardo ricordo che il primo piano acquedottistico nazionale, che era la somma delle esigenze dei singoli Comuni, aveva portato a considerare un fabbisogno per 150 milioni di abitanti! ).
Ovviamente, la Regione non potrà neanche disinteressarsi delle altre esigenze infrastrutturali in materie ad essa attribuite: questo vale per i settori dell'edilizia residenziale, scolastica, ospedaliera, così come per altri interventi operativi in tema di opere idrauliche, di sistemazione idrogeologica, di bonifica montana.
La Regione si propone pertanto, sin da questo momento, la funzione di promozione, di indirizzo e di ordinamento del territorio per la formulazione del piano di sviluppo del Piemonte, attraverso la consapevole presenza e partecipazione di tutti gli enti pubblici territoriali.
Presenza e partecipazione dovranno essere sollecitate ed articolate in base alla configurazione di idonee aree comprensoriali, rappresentate nei modi opportuni dai pubblici amministratori e dalle categorie interessate.
Signor Presidente, signori Consiglieri, mi avvio ad illustrare brevemente un ultimo punto, già toccato nelle dichiarazioni programmatiche dal Presidente della Regione: quello dell'ambiente, di un programma di insieme per la salvaguardia dell'ambiente.
La protezione della natura, il miglioramento dell'ambiente in cui si vive, fanno parte integrante dei compiti che attendono la nostra Regione.
La protezione dell'ambiente è diventata una delle preoccupazioni maggiori dell'amministrazione pubblica. Ormai, oltre agli obiettivi puramente quantitativi, come l'aumento della produzione e dei redditi, è nostro compito ricercare obiettivi qualitativi. Bisogna sottolineare il fatto, cioè, che l'attuazione di una politica dell'ambiente è inseparabile da quella dell'assetto del territorio. Le soluzioni tecniche e regolamentari per assicurare la protezione e la promozione dell'ambiente assumono tutto il loro valore solo se collocate in un quadro globale territoriale, altrimenti esse diventerebbero dei palliativi inefficaci a lungo termine.
Non si può costituire, qui o là, una riserva naturale, o conservare qualche luogo pittoresco, mentre l'insieme del territorio si avvia ad una industrializzazione ed urbanizzazione intensiva. Lo sviluppo economico e la salvaguardia dell'ambiente sono i due aspetti complementari di una stessa aspirazione: migliorare le condizioni di vita. La volontà della Regione è determinante a questo riguardo, in quanto essa deve decidere, nel medesimo tempo in cui sviluppa il territorio, di dominare l'ambiente. La Regione dichiara la lotta contro le polluzioni, protegge la natura, migliora i paesaggi urbani e rurali.
La legislazione regionale - ed in questo settore ritengo vi siano ancora ampi spazi di azione legislativa - sarà di importanza primordiale: dovrà essere proibito l'uso di detergenti non bio-degradabili; dovrà essere varata una legge-quadro sui rumori; dovranno essere stabiliti i termini per la classificazione degli stabili pericolosi ed insalubri, aumentate le ammende nel campo dei disturbi di ogni specie; dovranno essere rafforzati i regolamenti delle discariche pubbliche, definiti i provvedimenti relativi alla raccolta ed alla distruzione degli autoveicoli e dei rifiuti solidi urbani.
La Regione promuoverà azioni pilota per mostrare che la lotta contro gli inquinamenti può avere successo, bonificando, per esempio, con la partecipazione delle Amministrazioni locali, dei cittadini e degli utenti un fiume già inquinato.
Infine, i Parchi regionali. La Regione dovrà attuare una politica di salvaguardia e di promozione di spazi naturali là dove esistano una fauna ed una flora particolarmente ricche. La creazione di un parco regionale non può risultare che dal consenso della popolazione e dall'impegno del potere pubblico di favorire la zona limitrofa ad esso quale contropartita delle limitazioni imposte all'interno del parco stesso. Pertanto, protezione ed assetto del territorio sono due espressioni complementari nella zona destinata alla creazione di un parco.
I Parchi regionali andranno attrezzati anche per infoltire la fauna e la flora e per crearvi le condizioni indispensabili alla loro protezione bisognerà predisporre, infine, quanto necessario per attirare visitatori regionali e forestieri, che dovranno essere accolti, ospitati e consigliati nella scoperta del parco.
Ricordiamo che in Francia già esistono 16 parchi regionali, con una superficie di 1.750.000 ettari, pari alla intera superficie agraria del Piemonte.
Signor Presidente, signori Consiglieri, la nostra Regione si avvia ad assumere un ruolo primario nell'assetto che il Piemonte dovrà avere nel prossimo futuro, conservando quanto la tradizione ha di meglio e sviluppando al massimo quanto il genio della gente piemontese è in grado di creare.
Il Consiglio Regionale ha fiducia che la Giunta, dopo l'attuale ampio dibattito, si ripresenterà al Consiglio con precisi schemi di azione nei diversi settori, almeno per quanto riguarda la parte conoscitiva di essi in modo da permettere al Consiglio una valutazione dei benefici delle varie alternative al fine di una scelta programmatica prioritaria. Non sarà tempo perduto, in attesa dell'approvazione dello Statuto e del conferimento delle deleghe.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Besate. Ne ha facoltà.



BESATE Piero

Signor Presidente, io interverrò su un tema specifico, concreto. Vorrei però premettere una considerazione. Mi è stato fatto rilevare, questa mattina, che ci sono Ministri che riescono a parlare per ore per presentare progetti di legge su materie di competenza delle Regioni senza menzionare la Regione né citarla nel progetto di legge: non posso più stupirmene dopo aver sentito ora il collega Consigliere Dotti parlare per un'ora dei problemi economici del Piemonte senza far menzione della Fiat.



DOTTI Augusto

Non è esatto, l'ho menzionata, e con un accenno abbastanza importante.



BESATE Piero

Evidentemente l'hai fatto così di sfuggita che non ce ne siamo neppure accorti. Rileggerò comunque il tuo intervento, anche per approfondire meglio la tua dissertazione, perché questa vera e propria somma teologica dei problemi regionali, in apparenza così completa, a me è parsa qualcosa di molto disarticolato, molto settoriale e nient'affatto organico.



DOTTI Augusto

Guarda però che il mio intervento concerneva solo l'assetto del territorio.



BESATE Piero

Intervengo in questo dibattito, alla sua quarta puntata, perch nonostante la disarticolazione che questa diluizione nel tempo determina noi comunisti non ci disaffezioniamo: vi prendiamo parte con tenacia, tesi ad una ricerca unitaria, confortati anche dalla constatazione di una volontà, che si appalesa negli interventi di tutti i Consiglieri naturalmente fatta astrazione dei contenuti e dei punti di vista, di far operare subito la Regione sul piano delle sue funzioni e del suo ruolo attuale di organo ispiratore, organizzatore e portatore di unità e di lotta sulla strada della soluzione dei problemi in cui si dibattono i piemontesi una strada che, a quanto pare, a detta di tutti i Consiglieri, è anche la più proficua per realizzare la fase costituente, radicandosi nella coscienza della gente e nella realtà del Piemonte.
A fronte di questa volontà, che non è casuale, ma ispirata alle esperienze ed ai contatti, alla partecipazione permanente di ognuno di noi ai fatti reali, sta la dichiarazione programmatica del Presidente, sul cui carattere, a tutti noto, non ritorno: la critica specifica ed esplicita che è venuta dai compagni Rivalta, Furia, Nesi ed altri, e quella implicita che traspare chiaramente dal tipo di discorso sviluppato da tutti gli altri oratori, costituisce un indirizzo preciso del Consiglio, che l'organo esecutivo ha l'obbligo, politico in primo luogo ma anche istituzionale signor Presidente e signori Assessori, di seguire senza discostarsene appunto in quanto organo esecutivo del Consiglio.
Noi siamo pienamente d'accordo sull'orientamento che emerge dal dibattito a far operare subito la Regione, e farla operare intorno ai temi vitali dell'oggi, effettuando scelte precise e qualificanti per l'attività regionale. Noi, signor Presidente, confessiamo che non siamo dei coraggiosi, non abbiamo il coraggio dei tempi lunghi; soprattutto perché il coraggio dei tempi lunghi non l'ha la gente, e i problemi sul tappeto non ammettono tempi lunghi. E poi, quello dei tempi lunghi, è un errore politico, che favorisce le manovre degli antiregionalisti: anche solo l'enunciazione di una dichiarazione di questo tipo equivale a dare spazio a manovre antiregionaliste ed antiautonomiste. Noi ci siamo battuti per l'operatività immediata, e non da oggi, perché siamo stati fin dai primi giorni di vita regionale iniziatori, unitariamente con altri Gruppi, o seguendo l'iniziativa di altri Gruppi, di proposte, di linee di azione, di interventi della Regione sui problemi concreti. E quello che è più importante è che su questa strada la parte regionalista del Consiglio, le sue grandi componenti popolari hanno sempre saputo trovare una convergenza notevole: così è stato per l'agricoltura, per la piccola industria, la caccia, la scuola e gli altri problemi, ed anche e soprattutto per le questioni istituzionali della rivendicazione dell'operatività effettiva di tutti i poteri costituzionali di controllo sugli enti locali assegnati alle Regioni.
Nel corso di questo dibattito, pur così diluito nel tempo - ma forse ciò conferisce ancora maggiore importanza al fatto politico rilevantissimo che sto per rilevare, perché significa che esso è avvenuto meditatamente e non per impulsività -, è emerso il profondo contrasto fra la visione attendista del Presidente e l'energica, insistentemente ribadita, volontà del Consiglio di operare subito: non una volontà in astratto, non cioè velleità, ma riferita a temi concreti, persino con le indicazioni dei modi.
E' il Piemonte, il Piemonte vivente, delle città e delle campagne, che entra in quest'aula attraverso i Consiglieri di tutte le parti democratiche, consapevoli che la fase costituente non può risolversi soltanto nell'agitazione aulica della rivendicazione dei poteri.
Circa il passaggio di poteri alle Regioni, signor Presidente, nella sua relazione si parla appunto di "rivendicazione decisa e drastica", di "rivendicazione insistita e ribadita", e si fa anche la similitudine dell'organo che si atrofizza perché non esercita la funzione. Ma, signor Presidente, visto che lei ha partecipato nei giorni scorsi al Consiglio nazionale della D.C., ha messo a parte Forlani di questo suo tormento biologico? Lei incoraggia una agitazione contro lo Stato come se lo Stato fosse qualcosa di impersonale, lo Stato con la iniziale maiuscola. Ma in realtà sappiamo benissimo che lo Stato in Italia è stato plasmato soprattutto dalla Democrazia Cristiana, che ha detenuto il potere negli ultimi venticinque anni. Quindi, sia che si tratti di responsabilità politiche che sono primarie, sia che si tratti dell'alta burocrazia c'entra pur qualche cosa chi dirige la Democrazia Cristiana, c'entrano almeno i gruppi dominanti della Democrazia Cristiana. Non è quindi un orfano politico l'attacco che viene alle Regioni, non è un fatto impersonale, che piove dall'alto, ma ha una ben precisa paternità politica: la paternità politica di coloro che hanno impedito alle Regioni di nascere per ben ventitre anni, facendo uso di quell'anticoncezionale, da sempre permesso, che è stato la Democrazia Cristiana, che è stato il centrismo, il Centro-Sinistra, per cui ci son volute le lotte dei lavoratori dell'autunno caldo, la convergenza delle forze politiche, una spinta ben decisa e ben precisa, per poter far venire al mondo le Regioni..
Quando si parla di queste cose, bisogna avere le idee ben chiare rendersi ben conto - e lei certo ha questa consapevolezza - che si tratta di un fatto politico. E' anche mia opinione che questo attacco fallirà, ma sarà costato sofferenze, preoccupazioni, spese, ritardi nella soluzione dei problemi dei lavoratori, dei problemi della povera gente che lavora, dei problemi dei giovani; fallirà, ma sarà una prova ulteriore di miopia politica, dell'incapacità di certi gruppi dominanti della Democrazia Cristiana e di certi partiti che la sostengono - o di altri che sono ancor più a destra forse - e di certe forze sociali che hanno però una forte presa politica, di capire verso quale direzione sta muovendo l'Italia sotto la spinta delle lotte della gente, del ceto medio e dei giovani. Per questo noi, e con noi tutti gli oratori che sono intervenuti, ci piace e ci conforta rilevarlo, chiediamo che la Regione intervenga subito con scelte operative precise, fissando i punti di intervento in rapporto al tipo di problema e alla esistenza di forze reali che chiedono l'intervento e sono suscettibili di sviluppi per sbocchi positivi.
Non so se la parola abbia tradito il suo pensiero, signor Presidente ma le sue dichiarazioni danno la sensazione che lei pensi che senza l'esercizio della funzione legislativa la Regione non possa far nulla e che perciò non debba fare altro, per ora, se non rivendicare dai sordi dell'antiregionalismo e dell'antiriforma, quei tali cioè di cui abbiamo detto prima, i poteri alle Regioni. Che lei abbia denunciato il pericolo dell'attacco alle Regioni è positivo; e lo è anche che lei abbia pure sottolineato il pericolo di limitare i compiti delle Regioni alle funzioni amministrative, che lei abbia sottolineato tutta l'importanza decisiva della funzione legislativa. Su questo noi siamo d'accordo, ci troverà sempre d'accordo; non saremo certo noi a sottovalutare nemmeno il significato politico di una tale denuncia fatta da un esponente qualificato della Democrazia Cristiana in Piemonte. E' lo sbocco che lei dà a queste denunce, però, che non trova d'accordo nessuno, a quanto pare.
Da queste denunce lei ricava in primo luogo tutta una contorta filastrocca sulla divisione dei poteri, la cui punta di lancia, in realtà è diretta contro ipotetici obiettori delle funzioni dell'organo esecutivo.
Si tratta di funzioni che, se concepite ed attuate nei limiti e nei modi statutari, nessuno, non ne dubiti, signor Presidente, si sognerà di intaccare. Ma non deve andare oltre, sia ben chiaro. Dalle sue dissertazioni sulla riproduzione regionale dei rapporti fra Parlamento potere esecutivo, eccetera, si ricava un indirizzo pericoloso, almeno così a noi pare: sembrerebbe che si prefiguri una specie di mini-presidente dei Ministri del Consiglio Regionale, con una specie di mini-Governo regionale e di mini-Parlamento regionale: cioè, una specie di rapporto per cui il potere esecutivo - in questo caso l'organo esecutivo - si ritira in un suo terreno riservato, una specie di rapporto che in Parlamento è riservato al voto di fiducia, che qui non c'è. Ma non starò a dissertare su questo.
Intanto, questo indirizzo (che io deduco da quanto ha detto lei, signor Presidente: se non ho inteso bene lei me lo preciserà) è velleitario utopistico ed anche provincialistico. E' utopistico, e letteralmente "in nessun luogo", perché in nessun luogo si può trovare un tipo di ordinamento, come quello da lei scritto sostenuto e, quindi, questa agitazione, apparentemente avanzata, non fa altro che il gioco degli antiregionalisti è velleitario perché non ha possibilità politiche di realizzarsi, sia in rapporto all'ordinamento statuale costituzionale, sia in rapporto all'organizzazione ed ai rapporti statutari regionali, sia soprattutto in rapporto alla non rispondenza della volontà delle forze politiche regionali presenti nel Consiglio, le quali non permetteranno prevaricazioni ed è provincialistico perché contiene una buona dose di semplificazioni, riducendo questo complesso problema al livello di un efficientismo del tipo "non parlate al manovratore", un manovratore che non vuole aprirsi alla partecipazione di alcuno, che vuol far rispettare la sua privacy rispetto al Consiglio ed alla partecipazione. Mentre occorre proprio l'opposto, signor Presidente, e l'opposto non è quello che lei artificiosamente si è costruito come facile bersaglio di comodo l'assemblearismo: l'opposto è collegarsi con le masse, fare ed agire, e come ha detto Garabello, non sulla base di un elenco indiscriminato di problemi, che si risolverebbe poi in un rivendicazionismo impotente ed inconcludente.
Lei, signor Presidente, sembra non avere fiducia nell'azione immediata.
Ma pensi un attimo ad alcuni esempi che sono sotto i nostri occhi. Pu sembrare una banalità, ma anche il ping-pong, con tanto di palline e di palette, oggi, in una situazione difficilissima, ben più complessa dei problemi regionali, si è rivelato di una certa utilità. Anche se non si è giunti ancora a risolvere il problema dell'ammissione all'Onu, né quello di Formosa, né altri più gravi ancora, si è afferrata questa occasione, delle palline e delle palette, per avviare un discorso che va in una certa direzione, positiva, per tutto il mondo.
E del resto, se i nostri genitori avessero aspettato, a conferirci responsabilità di uomini, a lei ed a me, che avessimo raggiunto l'età prevista dalla legge, oppure il completo sviluppo biologico, per rimanere nel campo della biologia, che a quanto pare le si attaglia particolarmente certamente lei non sarebbe ora Presidente della Regione né io sarei Consigliere regionale: forse impareremmo adesso a compitare. Invece, lei è Presidente della Regione, e a quanto dicono partecipa a tante altre attività ..... Non vuol essere partecipato ma è partecipante: è questione di tempi del participio, lei lo preferisce al presente, non al passato....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Vuol dire, insomma, che siamo dei ritardati, lei ed io...



BESATE Piero

Niente affatto, voglio dire invece che ci han fatto camminare in fretta, ed è così che bisogna fare, altrimenti chissà quando comincerà a camminare la Regione.



VIGLIONE Aldo

Ma quale sarebbe questo ping-pong regionale?



SANLORENZO Dino

Bisogna essere in due a giocarlo.



BESATE Piero

Signor Presidente, le considerazioni che ho fin qui svolto sono strettamente funzionali e connesse al tema sul quale intendo far sfociare queste premesse. Che altrimenti con segno opposto ricadrei nella stessa situazione di vuoti, come giustamente ha detto Garabello, della dichiarazione del Presidente.
E' un tema, quello che intendo sviluppare in questo mio intervento concreto, urgente, scottante: quello di Crescentino. Non vi inganni la denominazione comunale: attorno a questo problema si annodano le questioni di chi decide il tipo di sviluppo, gli insediamenti dei rapporti con gli Enti locali, del modo d'essere della Regione nella fase attuale, del modo di agire per conquistare alla lotta per i poteri della Regione la popolazione lavoratrice del Piemonte, del modo di condurre a realizzazione positiva, e con quali contenuti, la fase costituente.
Abbiamo scelto questo tema, noi comunisti, non solo per denunciare un pericoloso ritardo, ma perché riteniamo che sia più che mai possibile porre in essere un'azione capace di incidere fortemente sulla situazione regionale, non vista nell'ambito della zona, perché andando ad incidere là si hanno immediatamente dei contraccolpi a livello regionale. Le nostre proposte non saranno, quindi, né utopistiche né propagandistiche, ma realistiche, in quanto si fondano su bisogni oggettivi da una parte e su forze reali in movimento dall'altra, che sono già in atto ed hanno forza e chiarezza e unità notevoli. E' soprattutto una scelta di unità, ancora quella che noi proponiamo, signor Presidente, al Consiglio, e di unità alla base, coerenti e consapevoli che la ricerca unitaria è e dev'essere una costante non per un atto di fede ma per consapevolezza che essa è necessaria per i lavoratori, per la democrazia ed anche lo sviluppo della Regione.
Ecco di che si tratta, in sostanza. Nei suoi piani, la Fiat - ne sono informati gli Assessori? penso lo siano almeno alcuni di essi, essendo stata effettuata una inchiesta dalla Giunta - aveva previsto la costruzione di una grande fonderia. Primo problema: dove insediarla? Occorreva la compresenza di vari fattori ecologici: si rendevano necessarie situazioni favorevoli in rapporto a tipo di terreno, elettrodotto, metanodotto distanza dal rifornimento eccetera.
Cominciamo dal parlare dell'acqua. Cominciamo con l'acqua non in generale ma in rapporto alla situazione idrica di questa zona. Alla falda cui dovrebbe attingere la Fiat si allacciano ben quaranta Comuni del Monferrato, oltre a Chivasso, Trino, Crescentino, Saluggia, Verolengo Livorno Ferraris, cioè i maggiori centri di quella zona. Ad impianto Fiat completato, cioè una volta che siano stati inseriti nella lavorazione i duemila lavoratori previsti, il prelievo da parte dell'azienda sarà di oltre mille metri cubi l'ora. Questa enorme sottrazione d'acqua quali conseguenze avrà sul rifornimento idrico delle popolazioni della vastissima, e popolatissima, zona interessata? La risposta della Fiat non può essere che rassicurante. In realtà, però, quali studi sono stati compiuti? Quelli, rigorosi, effettuati per l'insediamento degli impianti nucleari di Saluggia: a questi ci si deve riferire. Io non anticipo niente sono atti ufficiali: si vada a vedere e si traggano le conclusioni. Ecco quindi un primo caso in cui un intervento della Regione, unitamente agli altri enti locali della zona, va effettuato. E' un intervento che non costa niente, che non richiede personale: basta farsi dare quegli studi ed esaminarli, ricavandone un giudizio peritale obiettivo. Si noti che anche solo un abbassamento della falda costringerebbe quei comuni a trivellare enormi pozzi, con ingenti spese in rapporto alle finanze locali. Chi pagherebbe? E ciò nel migliore dei casi, ché se poi il pompaggio Fiat avesse conseguenze più gravi allora non ci sarebbe altro da fare che ricorrere alla depurazione dell'acqua del Po per il rifornimento idrico delle popolazioni, reso una fogna aperta dallo scarico del residuo sporco di fonderia di oltre mille metri cubi all'ora di acqua prelevati nella falda: cioè, alla ghisa andrebbe l'acqua di falda, alla gente l'acqua dorata. Non dico che questo avverrà sicuramente; però potrebbe anche avvenire, e perciò chiedo: si facciano gli accertamenti.
Ma anche ammesso che ci fosse acqua per tutti, cosa che noi ci auguriamo, non vi sono altri rischi? C'è il problema della mano d'opera.
Nei comuni direttamente interessati non c'è mano d'opera maschile disoccupata, mentre c'è una forte disoccupazione femminile. Crescentino Verolengo, Saluggia, quei comuni che sono nell'occhio del tifone, contano complessivamente circa ventiseimila abitanti, di cui 8319 sono occupati in proprio (artigiani, commercianti, coltivatori diretti eccetera), altri 6634 lavorano alle dipendenze di terzi, e di questi 6634 solo 1793, vale a dire il 27 per cento, sono donne, mentre le donne sono il 52 per cento della popolazione. La Fiat conta di dare occupazione a mille operai e 250 impiegati per il 1974 e di raddoppiare il contingente di mano d'opera per il 1978, portando a duemila il numero degli operai. Ma di questi duemila soltanto una cinquantina saranno donne. Ecco qui il primo grave rilievo: mentre la disoccupazione esistente in quella zona è solo in campo femminile, il tipo di insediamento così scelto produrrà soltanto occupazione maschile. Di più, la Fiat prevede di assumere in prima occupazione soltanto mano d'opera dai 21 ai 35 anni, di cui il 60 per cento con qualifiche di manovalanza (rilevo per inciso che proprio stamattina c'è stato un convegno, promosso lodevolmente, glie ne do atto, dall'assessore Conti, con la partecipazione dei parlamentari piemontesi, sulla questione della formazione professionale. Ma non è questo il momento di entrare in questo campo: sarebbe stato molto utile, certo, che questo argomento assessorato per assessorato, fosse stato dibattuto qui). Ecco chi decide poi della formazione professionale, della qualifica, del riconoscimento delle qualifiche: il 60 per cento manovalanza, così ha stabilito la Fiat.
Ora, nella zona considerata ci sono, sì e no, settecento lavoratori pendolari, ma pochissimi di essi si sono detti disposti anche solo a prendere in considerazione l'eventualità di un impiego in fonderia: l'operaio qualificato, o addetto ad un lavoro di un certo tipo, è assai poco propenso, infatti, a trasformarsi in manovale di fonderia.
Nell'agricoltura, l'agricoltura formata da piccole proprietà nella zona asciutta e da risaie invece verso Vercelli, sono rimaste poche forze, e comunque in età in prevalenza al di sopra dei 35 anni.
E allora? Allora non c'è altra strada che lo spostamento di masse enormi dal Mezzogiorno. Per quante unità? Per raggiungere le duemila unità solo di elementi maschili, considerato l'arco di età di prima assunzione, e considerato che la Fiat prevede un ricambio di mano d'opera del 30 per cento, il cosiddetto "turn over", al primo anno di assunzione, del 18 per cento nel secondo anno, per assestarsi su un ricambio del 12 per cento annuale, si arriva, calcolando in difetto, a quindicimila immigrati. La popolazione della zona passerebbe, pertanto, dagli attuali 26.000 a ben 41.000 abitanti; quella attiva da 15.000 a 17.000 soltanto; cioè la popolazione attiva, che oggi costituisce il 57 per cento della popolazione totale, scenderebbe al 42 per cento della popolazione totale. Ecco il bel risultato di un insediamento in quella zona. Questo è un vero crimine.
Tutti voi comprendete ora che cosa vuol dire un investimento di 14 miliardi da parte della Fiat: che si spenderanno 34 miliardi (sommando a questi 14 i 20 che occorreranno per le necessarie infrastrutture) per far diminuire in una zona la popolazione attiva rispetto alla popolazione totale, in più con un aumento percentuale in assoluto della disoccupazione.
La composizione per sesso della mano d'opera vedrà la percentuale di donne occupate scendere al 20 per cento, e la disoccupazione femminile, come minimo, calcolando per difetto, aumentare di 2500 unità. E questo è un fatto regionale, perché questo fatto della disoccupazione femminile è uno dei dati più rilevanti e caratterizzanti della situazione del Piemonte.
Inoltre, la corrente immigratoria trascinerà con la famiglia molti giovani, che essendo in età inferiore ai ventun anni non verranno assunti dalla Fiat. Cosa faremo fare a questi giovani che verranno e non troveranno occupazione presso la Fiat? Li manderemo tutti alle scuole secondarie superiori fino ai ventun anni? Ecco quali piccoli particolari la Fiat ha trascurato nel fare i suoi piani di insediamento. Per essa, una volta verificata la esistenza delle condizioni ecologiche ottimali per impiantare la fonderia e per ricavare un lauto profitto, il resto - sofferenze umane, conseguenze sull'occupazione o la disoccupazione eccetera - è cosa trascurabile.
Non solo, quindi, l'insediamento progettato dalla Fiat non è valido dal punto di vista programmatorio e delle aree congestionate, ma più ancora non è valido per il tipo di lavorazione e di occupazione richiesta. Esso è un vero e proprio delitto sociale, perché il suo effetto è quello di aumentare, come dicevo, non solo, e grandemente, il numero dei disoccupati in assoluto ma anche in percentuale, con gravissimo peso. Se lo stesso investimento fosse stato effettuato nel Mezzogiorno avrebbe assunto invece un segno socialmente positivo. Qui avremo inoltre il paradosso che l'aumentata disoccupazione femminile e giovanile creerà le condizioni perché ci siano le spinte per altri insediamenti per l'occupazione di mano d'opera di quel tipo, cioè di mano d'opera femminile, aggravando la congestione in una zona ai limiti dell'area ecologica torinese.
Se il fatto occupazionale è primario, da esso discendono conseguenze strettamente connesse. Non mi ci voglio ora addentrare. Sappiate soltanto che nel piano di fabbricazione di Crescentino è prevista, per la zona della legge 167, la costruzione di alloggi per 1100-1200 abitanti nuovi, vale a dire per 300 operai, quelli di primo avviamento della fabbrica. Bisognerà anche stare attenti che non ci siano quegli insediamenti abitativi di tipo segregativo che sono i cosiddetti villaggi fine a se stessi autosufficienti (che sono stati demistificati come il non plus ultra delle brutture dell'insediamento abitativo). Oltre a queste costruzioni assolutamente inadeguate, si prevedono soltanto due aule per le elementari tre aule, mi pare, per le scuole materne. Al di là di questo, buio assoluto. Anzi, mi pare che Verolengo non abbia neppure il piano di fabbricazione, se è esatto quanto mi è stato detto. Occorrono invece ben 2500 nuovi alloggi nel complesso della zona, non limitati naturalmente solo a Crescentino e Verolengo; e occorrono scuole, eccetera. La spesa calcolata si aggira sui 20 miliardi di infrastrutture, contro i 14 che la Fiat spende per la fonderia di sua proprietà e l'acquisto del terreno.
C'è poi da considerare il pauroso aspetto dell'inquinamento atmosferico, che verrà ulteriormente aggravato. Basti considerare come sia già alta la percentuale di impurità introdotta nell'atmosfera della zona attraverso la radioattività di Saluggia e della Centrale elettronucleare di Trino, le lavorazioni della Pirelli a Livorno Ferraris, dei cementifici di Morano Po e di Trino Vercellese e della nuova ampliata centrale dell'Enel di Chivasso, la cui combustione equivarrà al totale inquinamento di una giornata invernale di Milano. A proposito della Centrale dell'Enel di Chivasso, che ho appena citato, non c'è da tenere presente solo il fatto che essa contribuisca all'inquinamento dell'aria: è logico pensare che la decisione di tale ampliamento sia venuta a seguito di assicurazioni che l'energia prodotta verrà utilizzata entro limiti di trasporto convenienti.
Non è credibile, sia pur tenendo conto che certamente il trasporto dell'energia elettrica sarà stato semplificato con nuovi accorgimenti (parlo da profano, non conosco il lato tecnico del problema), che si sia deciso di fare a Chivasso una centrale elettrica di questa importanza per trasportare l'energia prodotta in Basilicata, o in Sicilia, o in Calabria.
E' dunque in programma qualche altro insediamento, che noi fino a questo momento ignoriamo? La Regione deve saperlo, e dal momento che è in questione un ente pubblico come l'Enel, ha modo di informarsi direttamente chiedendo all'Enel che precisi dove e come conta di utilizzare l'enorme quantità di energia prodotta.
Ho tracciato uno schizzo, ridotto all'essenziale, di ciò che sta avvenendo, o avverrà. Non è facile, lo so, seguire la esposizione di dati elaborati, ma al di là di questi elementi probanti resta il fatto politico e sociale che da essi emerge in tutta la sua ampiezza. La gente della zona le forze politiche, i sindacati, i comuni sono in forte apprensione: molto avevano sperato quando avevano saputo che la Regione si disponeva all'inchiesta; poi sono subentrati la delusione e lo scetticismo nei riguardi della Regione. Che se ne farebbe, infatti, la gente, di una Regione che disserta, e si lamenta sul ritardo del passaggio dei poteri ma che non interviene là dove viene chiamata per coordinare, dirigere, lottare contro il monopolio che dissesta vaste zone del Piemonte e dissangua ulteriormente il Mezzogiorno? I Comuni, le popolazioni chiedono, esigono che la Regione si faccia promotrice della costituzione di un potere contrattuale di controllo sociale nei confronti della Fiat, per imporle di rispettare i suoi doveri: non deve essere il predone che va a saccheggiare le ricchezze di una zona e le crea problemi enormi. La Fiat deve, a questo punto, essere posta con le spalle al muro. E' sconcertante anche il modo in cui essa ha presentato il suo progetto: dapprima ha parlato di 5000 unità lavorative; di fronte alla levata di scudi ha ridimensionato la cifra diminuendola notevolmente. Ancora adesso, per la verità, non sappiamo bene quali sono i piani veri della Fiat per quel tipo di produzione.
Dicevo, la Regione deve poter richiamare la Fiat ai suoi doveri. Noi proponiamo pertanto che si richieda: 1. che la costruzione della fabbrica avvenga a misura dell'uomo, di guisa che non accada che insieme alla ghisa essa produca silicotici clienti degli ospedali, clienti degli ambulatori eccetera; la Fiat deve accettare controllo del modo in cui viene costruito all'interno questo stabilimento 2. che sia provveduto, con la Fiat, ad insediamenti abitativi diffusivi nella zona e non in villaggi segregativi, ed a tutte le infrastrutture in termini moderni, sotto pubblica direzione 3. che venga assicurato alla popolazione rifornimento idrico di falda non di Po, e questo rifornimento sia dimensionato non sugli attuali 26.000 abitanti ma sui 15.000 in più previsti, e sia prioritario rispetto alle esigenze della fonderia 4. che la costruzione preveda i depuratori degli scarichi delle acque di fonderia e dei fumi e delle polveri, ad evitare l'ulteriore inquinamento della zona, e questo vale anche per Chivasso 5. che il collocamento sia sottratto al giudizio degli strumenti della Fiat e che sia subito prevista una moderna ed efficace struttura di formazione professionale, basata sulla conoscenza, anzitutto, come dice l'assessore Conti, dello Statuto dei lavoratori e del contratto di lavoro perché un lavoratore che conosce i suoi diritti è un lavoratore che difende la sua salute ed è tanto più utile non solo come lavoratore ma come uomo attivo, che difende i valori più alti della società.
Tutto questo, se sarà fatto, non potrà che riparare soltanto in parte all'enorme guasto prodotto dalla Fiat.
E qui, signor Presidente, ecco il primo impegno che deve prendere la Regione. Abbiamo detto alcune cose, cercando di rispecchiare quello che viene fuori da quella zona, dalle esigenze, dagli studi che sono stati compiuti, da un modo di studiare che è un modo di studiare insieme con la gente, con i comuni, con i lavoratori, con i sindacati, con le forze sociali e politiche della zona e delle due province di Vercelli e di Torino, ma non pretendiamo certo di aver saputo cogliere tutti i particolari del problema. Si parla da tempo di comprensorio: ebbene, signor Presidente, cominciamo col metterci all'opera con un comprensorio.
D'accordo che le funzioni del comprensorio si stabiliscono con legge regionale. Ma per intanto vediamo di individuare un comprensorio volontario, un comprensorio di lotta, un comprensorio di forze che chiamino la Fiat al tavolo delle trattative, a contrattare questo suo modo di insediarsi. Perché la questione dei disincentivi comprende anche questa componente. Se, di fronte ad insediamenti che non sono utili socialmente, o che comunque non sono nella direzione delle previsioni programmatorie, i poteri pubblici lasciano fare, se si consente che la Fiat faccia quel che vuole, e così le altre grandi industrie, è chiaro che tutti i discorsi sui disincentivi e sul milione per unità lavorativa in più delle cento, quando sono quattrocento milioni ecc. a che servono? Soltanto a permettere una discriminazione nei confronti delle piccole e medie industrie a favore della Fiat, che facendo un investimento di 14 miliardi, che comporta 20 miliardi di spese per le infrastrutture, al massimo ne paga 2 alla Regione lasciando a carico della collettività gli altri 18 miliardi.
Occorre, dunque, imporre alla Fiat il rispetto dei suoi doveri; doveri che non sono forse sanciti in alcun documento ma che sono scritti nella coscienza della gente, di quell'uomo politico, di quell'uomo statale di tipo nuovo, collettivo, che è fatto dall'insieme della collettività, dei comuni. Oggi, andando a parlare anche in comuni come Verolengo Crescentino, o come, in quella zona sempre a Torrazza, ci si trova di fronte a gente - anche lei, signor Presidente, ed anche voi, signori colleghi Consiglieri, avrete avuto modo di constatarlo - preparatissima, ad un uditorio che non vuol più ascoltare storie ma che ci chiede come noi agiamo, che ha tanta fiducia nella Regione, sa che la Regione non ha ancora questi poteri, ma chiede e vuole che la Regione si organizzi. Per una Regione che si muove, che si organizza e lotta, sì che la gente è disposta a battersi perché abbia i poteri, e subito. E' questa la sola strada, la condizione necessaria per far sì che coloro che tentano di portare un attacco antiautonomistico alle Regioni ed ai Comuni vengano battuti.
Non aggiungo altro, signor Presidente. Ho richiamato alla vostra attenzione questo problema perché concreto, e perché su di esso c'era unità, nel luglio 1970; ho portato questo problema perché c'è convergenza di vedute, nella zona, fra tutte le forze politiche, fra tutti i Comuni; ho portato questo problema perché credo ci sia unità anche nel Consiglio nell'intento di operare subito; e perché si basa su forze reali che sono in movimento, perché ha possibilità reali di vedere uno sbocco positivo perché affrontare questo problema vuol dire dare un colpo a coloro che vogliono fare della nostra Regione una riserva di caccia per i loro esperimenti programmatori privati.
Ecco la salvaguardia di cui si parla nella sua relazione, signor Presidente. E non si tratta che in parte di razionalizzazione, ora che i buoi sono scappati: perché quell'insediamento, lo sappiamo, non andava fatto lì; soprattutto si tratta di lotta per dare un segno diverso a questo insediamento. Sappiamo che c'è poi la questione della Indesit, come ha detto Furia, e c'è anche la questione della Lancia, verso Biella, a nord dell'autostrada Torino-Milano, si dice in una zona baraggiva, desertica dove di adatto all'insediamento da fare c'è solo la presenza dell'asse della Torino-Milano, collegato con la Voltri-Sempione-Santhià eccetera, con i trafori e con il futuro braccio della Biandrate-Sempione, e quindi con il mare: al di fuori di questo niente, né strade, né abitazioni. Chi provvede a queste cose? Chi decide in merito? Il "caso" di Crescentino è importante, importantissimo, perché se si interverrà immediatamente si darà l'esempio concreto di quello che deve fare la Regione anche in questa situazione di disponibilità di poteri ancora limitati: si può già intervenire, dando una dimostrazione concreta di mobilitazione nei rapporti con gli Enti locali e le popolazioni influire su tutto lo sviluppo del nostro Piemonte.
Mi auguro, anche riallacciandomi a certe considerazioni che sono contenute nella sua dichiarazione a pag. 13, ove si dice che la Regione deve e può muoversi subito, che così realmente avvenga. Il giudizio nostro rimane quello dato da Furia e da Rivalta: noi ribadiamo che comunque quello su cui possiamo raggiungere una base ampia di accordo noi lo vogliamo sviluppare, con cura, con forza, che noi non ci "disaffezioniamo", e lo dimostriamo anche con queste proposte concrete, che credo ci possano trovare unanimi nel consenso.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Menozzi. Ne ha facoltà.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, nel corso di precedenti interventi è stata evidenziata ancora una volta la preoccupazione che la Regione sia forzatamente costretta a dilazionare sine die la sua totale e completa funzione legislativa riconosciutale dalla Costituzione, e ciò in conseguenza di correnti antiregionalistiche le quali non si lasciano sfuggire occasione alcuna per bloccare, o comunque ritardare, il corso degli eventi.
Sia chiaro, colleghi comunisti, che nel dire queste cose non faccio soltanto riferimento ai vostri interventi. A tal proposito anche lei Presidente Calleri, in un passo della sua responsabile relazione programmatica, ha espresso analoga preoccupazione con la seguente affermazione: "In realtà, non credo davvero che possiamo realisticamente sperare che la vittoria del regionalismo ci venga consegnata come un grazioso dono accompagnato da inchini e da compiaciuti sorrisi. Siamo anzi certi che essa è una conquista delle cui difficoltà ed implicazioni è tanto più necessario essere consapevoli quanto più ciò può servire alla giusta scelta di campo.
Ciò che maggiormente preoccupa è il constatare che le maggiori titubanze e remore si manifestano più accentuatamente da parte di alcuni Ministeri, e tra questi quello dell'Agricoltura, operante al vertice di un settore il quale più di ogni altro attende con impazienza l'entrata in funzione di una seria e decisa azione legislativa regionale".
Ad avvalorare queste preoccupazioni, se ce ne fosse stato bisogno, vi è stata la dichiarazione rilasciata ultimamente dal ministro Eugenio Gatto in una conferenza stampa al Viminale. Egli, dopo aver precisato che "conditio sine qua non" perché le Regioni siano in grado di amministrare nelle materie di propria competenza a partire dal 1 gennaio 1972 è che l'iter di tutti i decreti delegati sia ultimato entro il 31 dicembre 1971; altrimenti il relativo trasferimento dei poteri alle Regioni sarebbe ritardato di un anno. Ha concluso proprio dichiarando che i problemi più delicati sorgeranno per il trasferimento delle importantissime funzioni ora proprie del Ministero dell'Agricoltura, del Ministero dei Lavori pubblici e del Ministero della Sanità. E scusatemi se è poco. Per la verità, ha poi attenuato la dichiarazione, aggiungendo, anche se in forma interlocutoria che grosse difficoltà non dovrebbero sorgere proprio perché la prima importante prova nei rapporti Stato-Regione è stata superata brillantemente. Ed è quanto noi fervidamente ci auguriamo.
Professando nuovamente il nostro credo su questo nostro istituto dobbiamo avere la consapevolezza che la Regione non può più rinviare alle calende greche la tangibile e concreta dimostrazione della sua ragion d'essere, e ciò soprattutto per evitare che i notevoli e positivi entusiasmi suscitati al momento della nascita delle Regioni non abbiano a tramutarsi in amare, ed in quanto tali, negative, delusioni se l'attuale situazione di stallo dovesse prolungarsi oltre misura. Sarà proprio nella misura in cui testimonieremo la nostra volontà e disposizione a batterci per il celere superamento delle difficoltà e degli ostacoli, d'altro canto previsti, che incontra la Regione nella sua fase di avvio, che contribuiremo a sviluppare e a far maturare o meno l'essenziale spirito regionalistico nella nostra società.
Pertanto, evitiamo alla Regione di dover sentir ripetere l'amaro adagio: "Se ci sei batti un colpo", perché non sarebbe più il pettinato concetto di un qualsiasi Concetto Pettinato ma piuttosto l'accorata invocazione dell'opinione pubblica, e cioè sarebbe ben altra cosa. Sia comunque chiaro che le nostre sollecitazioni vengono avanzate per la fiducia che nutriamo nell'istituto regionale, il quale tra l'altro è patrimonio storico e politico della Democrazia Cristiana, e non anche del P.C.I. che lo postula per motivi falsamente tattici e strumentali. Ed anche perché siamo veristicamente ed umilmente consci di non militare in un partito infallibile (e qui mi sia consentito di fare un po' di amaro umorismo) ed in quanto tale ispirantesi, tra l'altro, ad una ideologia ineccepibile, anche sotto il profilo democratico, come quello del collega Besate. Collega Besate, lamenti il ritardo con il quale è stata introdotta nel nostro Paese la Regione, nella sua più vera e più viva espressione politica, ma penso sia il caso di appellarci al detto "meglio tardi che mai". E proprio perché ieri si è festeggiata la ricorrenza del ventiseiesimo anniversario della Liberazione non può sfuggirmi il fatto che altri popoli, di Europa e no, ventisei anni or sono conobbero la stessa Liberazione, sentirono profondamente le ansie, le attese che sentì il nostro Paese e che sentimmo con esso tutti noi, ma purtroppo - altro che Regione! - non hanno ancora conosciuto le più elementari espressioni del vivere democratico.
Ciò premesso, pur comprendendo i motivi cautelativi e responsabili per i quali il Presidente della Giunta ha definito la sua relazione non un programma di cose, o un inventario di esigenze, bensì un indirizzo ed una scelta su alcuni temi importanti per il presente della nostra esperienza regionale, che sono e saranno certamente decisivi per il futuro della nostra Regione, riteniamo ugualmente necessario far calare il nostro dire su alcuni problemi concreti, convinti come siamo che la concretezza del linguaggio, soprattutto se spoglio di demagogia e sorretto da profondo senso di responsabilità, contribuisca a far aumentare, e non anche a diminuire, la credibilità sulla necessaria, per non dire insostituibile funzione della Regione.
A tal proposito è nostro intendimento soffermarci particolarmente su un problema interessante l'agricoltura piemontese, problema che, per la sua attuale ed urgente importanza, non esitiamo a definire prioritario, insieme ad altri cui è stato accennato, e cioè l'Ente di sviluppo agricolo, quale strumento operativo della Regione ai fini dell'attuazione di una nuova e più incisiva politica agraria, più consona alle sempre più pressanti esigenze della produzione e soprattutto dei produttori. Ente di sviluppo agricolo che, come avevamo già avuto occasione di affermare in un nostro precedente intervento, lo intendiamo quale strumento promozionale per gli interventi nel settore agricolo, sia per l'attuazione dei piani zonali sia per la creazione delle necessarie infrastrutture, sia per una nuova politica creditizia e soprattutto per il rilancio della cooperazione e dell'associazionismo, nei cui organi direzionali debbono trovare equa rappresentanza i produttori agricoli, onde far sì che i medesimi diventino protagonisti, e cioè soggetto e non oggetto, di decisioni, e quindi più propriamente inteso come nuovo canale di partecipazione delle categorie agricole alle scelte che le riguardano.
Ed è proprio sulla cooperazione e sull'associazionismo, paurosamente carenti nella nostra Regione, che intendiamo soffermarci. Al 1968, ultimo dato preciso in nostro possesso, il numero delle cooperative di produzione e vendita risultava essere pari a 173, di cui 24 di produzione, e precisamente 12 per la lavorazione dei terreni, 8 per la produzione, 4 stalle sociali e 149 cooperative di trasformazione e vendita dei prodotti agricoli, delle quali 92 cantine sociali, 37 latterie e caseifici e 20 cooperative ortofrutticole. Molte di queste di aspetto cooperativo hanno soltanto il nome, in quanto è invalsa anche in questo settore la deleteria abitudine di camuffare sotto l'etichetta della cooperazione certi interessi di natura prettamente speculativa, alla stregua di quanto avveniva nel campo delle società anonime. Per cui trattasi di dati deficitari, salvo casi eccezionali, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo.
E si viene altresì per rilevare che l'attività maggiore è stata svolta nel campo delle Cantine sociali, le quali costituiscono la più antica forma di cooperazione, ed ebbero proprio nel Piemonte la loro culla, anche se di fronte alla situazione attuale ciò può sembrare strano: le prime, infatti sorsero ad Oleggio nel 1891, ed anche in provincia di Asti, ove se ne annovera il maggior numero, la loro nascita è molto remota. Abbandonandoci ad una reminiscenza di carattere storico, ricordiamo che il primo provvedimento legislativo assunto dallo Stato italiano diretto ad incoraggiare gli impianti di Cantine sociali lo troviamo nella Legge dell'11/7/1904 n. 377, la quale all'art. 1 contemplava lo stanziamento di 700.000 lire per sostenere lo sviluppo di detti organismi, per far fronte alla crisi vinicola di quegli anni. A circa settant'anni di distanza ci troviamo nella triste condizione di dover affermare che registriamo nuovamente una crisi vinicola, senza lo sviluppo delle Cantine. E questa è proprio una delle cause della crisi medesima. E' veramente preoccupante che la produzione di uno dei più importanti comparti produttivi, quale quello vitivinicolo, occupante 140.000 ettari di superficie prevalentemente a cultura specializzata, con dieci milioni annuali di prodotto uva e per un valore oscillante dai 90 ai 100 miliardi, sia quasi totalmente alla merc dello strapotere dei settori commerciali e industriali. Infatti, le 92 Cantine sociali esistenti, pur con una capienza superante i 2 milioni di ettolitri, da alcuni anni a questa parte ritirano e trasformano una quota di prodotto uva di poco superiore ai 900.000 quintali di ciò, in conseguenza del fatto che oltre una decina sono in fase di liquidazione coatta e le restanti conoscono conferimenti oscillanti sul 50 per cento delle citate capienze.
Altro aspetto negativo è dato anche dal fatto che detti organismi sono rimasti fermi al puro e semplice processo di trasformazione, e quando alcuni anni or sono venne effettuato un tentativo di cooperazione di secondo grado per affrontare i problemi della commercializzazione, questo miseramente fallì, con le conseguenze a tutti ben note. La stragrande maggioranza degli enti in parola sono sorti nel quinquennio che va dal 1955 al 1960, dando la sensazione della esplosione di uno spirito di cooperazione praticamente inesistente. Principalmente, le Cantine sono sorte su un presupposto economico non adeguatamente accompagnato da un sufficiente spirito mutualistico e solidaristico, tra l'indifferenza degli organi preposti al finanziamento, alla vigilanza ed alla tutela della cooperazione.
In questo quadro anarcoide hanno trovato facile inserimento individui senza scrupolo alcuno, che hanno perseguito determinati fini speculativi tradendo le dichiarazioni iniziali, con le quali si erano impegnati a bene operare. Analoghi episodi, anche se minori per squallore e dimensioni, si erano verificati in altre Regioni del nostro Paese: infatti, con la cessazione delle ostilità ed il ripristino del regime democratico, venute a cadere le pregiudiziali negative derivate dalla concezione politica del fascismo, vi è stata in questo dopoguerra una nuova ondata di cooperativismo ad oltranza, ma purtroppo, com'era già accaduto nel 1918-19 e in precedenza, si è dovuto nuovamente assistere al corteo di utopisti confusionari, tecnici astratti e di non pochi speculatori, o comunque di individui il cui zelo verso la cooperazione nasceva non tanto dal desiderio di servirla quanto di servirsene.
Molte altre tristi cose si potrebbero elencare sulle paurose disfunzioni in essere, ma quanto evidenziato riteniamo basti per sufficientemente dimostrare che è indispensabile prefigurare fin da ora lo strumento capace di riportare la cooperazione nel suo alveo naturale e nel contempo assicurarne il rilancio e favorirne lo sviluppo, considerato che la cooperazione, razionalmente e rettamente concepita, costituisce il sentiero obbligato al di fuori del quale torna problematico scrutare in prospettiva la risoluzione degli annosi e gravi squilibri dell'agricoltura piemontese nelle sue attuali componenti socio-economiche.
Lo strumento non può che essere il più volte auspicato Ente di sviluppo agricolo, che ha trovato anche eco, con nostro profondo compiacimento nelle dichiarazioni programmatiche fatte a nome della Giunta dal Presidente Calleri. Gli stessi irrinunciabili orientamenti volti a conseguire uno sviluppo globale e programmato dell'agricoltura piemontese, con positivi riflessi interessanti tutta l'economia regionale, quali la ricomposizione fondiaria, il brevetto professionale, il premio di fedeltà o salario differito, la difesa del suolo, la difesa dei prodotti dalle avversità atmosferiche, l'aggiornamento contrattuale, la sistemazione idrogeologica la lotta agli inquinamenti, l'irrigazione, la valorizzazione delle zone montane e collinari, il decentramento industriale, la ristrutturazione dell'istruzione e riqualificazione professionale, il credito agrario e l'aggiornamento delle strutture ed infrastrutture in genere, correrebbero senz'altro il rischio di modificare solo formalmente, e non anche sostanzialmente, la posizione dei singoli operatori, se in via prioritaria non si riuscisse, attraverso una consona quanto tempestiva azione politica della Regione, a fornire gli opportuni indirizzi e concreti stimoli ed incentivi onde anche la nostra agricoltura, possa disporre, nel più breve tempo possibile, di un sistema di organizzazione cooperativistica ed associazionistica orizzontale e verticale, che comprenda in sé i vari aspetti della produzione, trasformazione, conservazione commercializzazione e distribuzione, e non ultimo i servizi e la stessa autogestione del sudato risparmio. Organizzazione economica della produzione in mano ai produttori, convenientemente sorretta, come invocato dal pubblico potere, per consentire ai primi di diventare finalmente gli attori protagonisti, e non gli inermi spettatori, del collocamento della loro sofferta produzione, e ciò per condizionarla e non anche per continuare perennemente a vedersela condizionata da un sistema di mercato cui sono tuttora estranei a causa del permanere del secolare fenomeno dell'intermediazione, reso sì maggiormente grave dalla presenza di forti concentrazioni commerciali interne ed internazionali, la quale continua imperterrita ad accaparrarsi nella quasi totalità l'aberrante divario di costi tra la produzione e il consumo, con l'ovvio danno equamente distribuito dei produttori da una parte e dei consumatori dall'altra.
Infatti, non possiamo ignorare che nel nostro Paese, mentre il valore alla produzione viene stimato sui 4500-5000 miliardi annui, il costo al consumo della stessa produzione è valutabile ad oltre diecimila miliardi. Ecco la grave, principale lacuna dell'economia agricola, conseguenza proprio della sua debole, per non dire inesistente, organizzazione e per sua atavica tendenza individualistica.
Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, dispensandoci dal soffermarci ulteriormente sull'analisi intrapresa, sorvolando, solo per non abusare del tempo a disposizione, sulla necessità di un migliore e più confacente inquadramento giuridico dell'istituto della cooperazione, desideriamo concludere con l'augurio, anzi, con la certezza, che la Giunta, con il necessario conforto del Consiglio, in coerenza al disposto dell'art. 4 dello Statuto, vorrà sentirsi impegnata al massimo onde la nostra Regione possa, quanto prima, disporre dell'Ente a favore del quale siamo intervenuti e perché esso abbia, con quei compiti e funzioni che anche da altri sono stati prefigurati, a costituire il massiccio supporto per il rilancio e per un armonico sviluppo di quella cooperazione piemontese nella quale, nonostante tutto, abbiamo sempre creduto e continuiamo a credere: indirizzo, promozione, sostegno della cooperazione attraverso la contemporanea formazione e sensibilizzazione dell'uomo alla vita associativa; cooperazione la quale, per essere utile e duratura, dovrà estendersi, svilupparsi e potenziarsi nei vari settori della produzione e del lavoro, come esaltazione dei più autentici e sostanziali significati della libertà e della democrazia e conseguentemente come elevazione, oltre che socio-economica, dei diretti interessati, anche della loro stessa dignità umana.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Fassino. Ne ha facoltà.



FASSINO Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, un assiduo frequentatore del nostro Consiglio mi diceva, non più tardi di ieri, che per l'avvenire non sarà più così assiduo, perché, facendo eccezione per la parentesi veramente attiva in occasione della discussione dello Statuto, da mesi non ha sentito ripetere altro che inviti dalla maggioranza a contribuire ed inviti delle minoranze di opposizione ad operare! Ed aggiungeva: non c'è cosa che non sia stata detta e ridetta, ma ben poche cose sono state fatte! Necessità prima è, dunque, quella di operare. E per operare, ha detto il Presidente della Giunta, non basta fare un elenco di cose, è più necessario predisporre gli strumenti necessari a tal fine.
In questo concordiamo con il Presidente, perché, una volta preparati gli strumenti necessari, se gli uomini saranno onesti e competenti non mancherà di certo la buona volontà politica da parte di tutti, così come è già avvenuto.
A nostro avviso, però, si tratta un po' di fare in campo politico ci che fa l'imprenditore in campo privato. Egli, infatti, prima decide i suoi programmi, poi fa sorgere l'azienda, indi nomina gli amministratori ed i tecnici, sceglie valide maestranze, ed infine inizia a produrre e ad operare.
D'accordo anche con il collega Garabello sul fatto che un programma di cose minaccia di far trasferire dal centro "soltanto delle cose" e non già la piena potestà legislativa; ma dobbiamo pur richiamarci a ciò che in realtà deve essere un programma per avere esso il diritto di essere definito tale.
Se programmare significa infatti conoscere, intuire, scegliere, ne deriva che: "si conosce" rilevando dati noti, "si intuisce" estendendo per analogia i dati rilevati, "si sceglie" comparando situazioni note ed intuibili, per determinare la priorità delle iniziative.
Ma allora le dichiarazioni programmatiche del Presidente, che abbiamo sentito molto attentamente, ed altrettanto attentamente abbiamo meditato in questi giorni, non ci pare che del nostro Piemonte, ed in questo caso della sua economia, abbiano del tutto approfondito né la conoscenza di quanto è né l'intuizione di quanto potrà essere, né soprattutto le scelte che dalla conoscenza e dall'intuizione dovranno necessariamente derivare.
Ma procediamo all'esame del documento.
Poiché all'ordine del giorno della seduta del 15 aprile figurava la "presentazione del programma organico della Giunta", stante il significato della parola "organico", noi, sfogliando il programma stesso, fummo colti da momenti di perplessità, fin che non giungemmo all'ultima pagina, dove si ammettono i già citati "amletici estesi spazi di silenzio" e si confessa che quello presentato, così come ho già detto in apertura, "non è, e non può essere un programma di cose....", ma "è un indirizzo e una scelta su alcuni temi importanti e decisivi per il futuro della Regione"...
Lungi da noi ogni intenzione ironica o retorica, ci permettiamo di affermare subito che se tale pagina avesse occupato il primo posto anzich l'ultimo noi ci saremmo predisposti alla lettura con animo meno curioso e con minor trepidazione, ponendoci, invece, un serio interrogativo.
E' la pagina nella quale non solo si ammettono gli "estesi spazi di silenzio", ma dove, in modo significativo e solenne, si dichiara che questi estesi spazi di silenzio "sono spazi voluti". Voluti da chi? Ci domandiamo noi.
La risposta che ci dà il Presidente è "da nessuno, in quanto il programma non può essere ancora un programma".
Ma davvero questo non poteva essere "un programma di cose" "organicamente sistemate", dopo tutte le cose che sono state dette da più parti, in sede di dibattito preliminare per la elezione della Giunta e in tante altre occasioni? Ci rendiamo conto che lo spazio legislativo delle Regioni è ancora vuoto, ma questo non giustifica gli "spazi vuoti del programma" in quanto se, come viene detto, il momento legislativo è così determinante e necessario come in effetti è, tanto valeva fare una semplice dichiarazione di attesa.
Vero è che il documento vuole esprimere un indirizzo ed una scelta su alcuni temi importanti e decisivi per il futuro della Regione, ma altrettanto vero è che altri temi non meno importanti e decisivi sono stati ignorati.
In ogni caso, non ci sembra che il programma presentato sia l'espressione "conseguente e coerente" del dibattito preliminare per l'elezione della Giunta, in quanto allora furono dette tante cose che qui non si trovano specificate e organicamente ampliate.
Né sono stati sentiti successivamente i Gruppi, così com'era stato preannunciato dal Presidente: il nostro, almeno, non ricevette invito alcuno.
La verità è che questo non poteva, e non può, essere "un programma di cose", in quanto si limita ad una semplice ripetizione di principi statutari e non trasforma questi principi in precisi disegni operativi.
Non doveva importare, e non importa, quando e quanto la Regione potrà pienamente legiferare, poiché un preciso disegno ed una precisa volontà hanno molte maggiori probabilità di successo di nessun disegno e di poca volontà.
Sì, nel programma, o meglio, nel documento, c'è l'impegno della Giunta "ad operare perché alle Regioni sia sollecitamente attribuita l'intera potestà legislativa costituzionalmente prevista", ma ci sono anche note pessimistiche sull'iter parlamentare delle leggi-cornice e, in assenza di queste, sulla possibilità di operare in base ai principi generali delle leggi vigenti.
Ecco: è forse questo pessimismo che ha trattenuto il Presidente della Giunta e gli ha impedito di riempire gli spazi vuoti.
Ma questo pessimismo non gli ha impedito, però, di fare affermazioni di politica e di diritto amministrativo, sottolineando, sì, la preminenza del momento legislativo sul momento amministrativo, ma soprattutto i due momenti peculiari e istituzionali di ogni sistema parlamentare.
Bene, se la distinzione tra i due poteri (il legislativo e l'esecutivo) può essere tecnicamente e praticamente accettata in buona misura per garantire all'esecutivo, speriamo, "certezza di diritti, rapidità di decisioni, prontezza di esecuzione ecc. ecc..."; se è al momento legislativo che il nostro Statuto riferisce gli istituti della consultazione e della partecipazione, ci sia lecito ricordare che quello che generalizza la volontà popolare è non tanto il numero dei voti quanto l'interesse comune che li unisce e che, in mancanza di qualche punto su cui tutti gli interessi si accordino, nessuna società può esistere.
Non per nulla un celebre scrittore affermava che: "Ogni azione libera ha due cause che concorrono a produrla: la volontà e la forza. Quando io cammino verso un oggetto bisogna anzitutto che vi ci voglia andare, in secondo luogo che i miei piedi mi ci portino!".
Ecco: noi ci auguriamo che si voglia e si possa andare a quell'appuntamento che abbiamo preso con la volontà popolare.
Rientriamo in argomento, per lasciare la critica generale sull'inesistente e soffermarci, visto che un documento c'è, sull'esistente.
Diamo atto, tuttavia, al Presidente che buona parte dell'inesistente come il problema della sanità, potrà diventare esistente solo quando a Roma decideranno di considerarci figli "legittimi" e degni di succedere: è un dovere precipuo, visto che di queste Regioni sono i padri, occorre quindi sollecitarli.
Ciò posto, per quanto riguarda le Commissioni, concordiamo sul fatto che, in sede di Commissione Regolamento, la materia dei trasporti sia stata assegnata (almeno nella proposta) alla Commissione competente anche in materia urbanistica, mentre non approviamo che in sede di delega delle funzioni agli Assessori non sia stato seguito tale criterio: ciò in quanto secondo noi, il trasporto non deve seguire lo sviluppo nel territorio, ma condizionarlo e strutturarlo, anche perché, allo stato attuale delle cose la domanda, arrivando puntualmente in ritardo, crea problemi di costo e di traffico preoccupanti.
Per quanto riguarda gli Enti locali, nel programma si parla di un sicuro processo di "rifondazione" delle Province, e si dice che "la Provincia rappresenterà il primo preciso punto di raccordo tra le articolazioni amministrativo-funzionali sovracomunali (consorzi, zone comprensori, aree ecologiche) e la Regione".
Senza voler prendere posizione pro o contro tali dichiarazioni, noi ci limitiamo a richiamare l'attenzione su un recente studio dell'ILSES lombardo, ove la posizione nei confronti delle Province è meno sicura di quella del Presidente per varie considerazioni, soprattutto in relazione alla possibilità che abbiano a crearsi tre livelli di programmazione (regionale, comprensoriale e comunale) e tre livelli di governo per la produzione di beni pubblici e quindi l'attribuzione del piano (regionale provinciale e comunale).
Per quanto concerne poi la programmazione, in merito alla quale è già intervenuto con molta acutezza il collega Zanone, che si è soffermato sui periodi di lungo, medio e corto respiro, e sull'Ufficio del Piano, nel documento si accenna al "problema della partecipazione degli Enti Locali alla programmazione regionale e sub-regionale", che per noi, come ha detto il collega, è il più importante in quanto permette di semplificare e razionalizzare le procedure della programmazione nel modo da noi così percepito: la cooperazione democratica per la formulazione del Programma regionale deve avvenire attraverso una formula valida a tutti i livelli, ossia attraverso una formula a "cerchi concentrici" che dall'esterno affluiscono all'interno per espandersi nuovamente all'esterno. In base a tale formula: a) i Comuni o Consorzi di Comuni segnalano alla Regione i problemi locali ed una generica priorità degli stessi b) la Regione studia e specifica i problemi, le soluzioni e le priorità c) la Regione stessa stabilisce una gerarchia dei bisogni individuali (comunali e provinciali) e collettivi (regionali), previa consultazione con gli enti interessati, provvede allo studio ed alla realizzazione delle opere anche attraverso la costituzione di società finanziarie (pubbliche o miste); demanda agli Enti locali o ai loro Consorzi le funzioni amministrative relative ad opere e problemi di interesse strettamente locale.
Tale formula è valida a tutti i livelli, ossia anche nei rapporti: a) tra Comune e Consigli di quartiere b) tra Stato e Regioni evitando procedure discordanti tra i diversi livelli di Governo e permettendo così programmi veramente democratici.
In più, tale formula permette di ridurre i compiti dei vari istituti di ricerche a semplici compiti di coordinamento, di elaborazione e di studio di dati reali segnalati direttamente dalla fonte, e di evitare così anche gli inconvenienti delle cosiddette indagini campione ed i tempi della ricerca dei dati.
Ovviamente, tale formula comporta la segnalazione da parte degli Enti locali anche dei dati di bilancio, da riunire in un bilancio consolidato onde permettere una graduale e realistica soluzione dei problemi.
Aggiungiamo, inoltre, che essendo e dovendo essere prevalente l'elemento umano, la programmazione deve tendere a dare precedenza agli ospedali, alle scuole, ai parchi, ai campi sportivi, ai trasporti pubblici ai mercati, in quanto questi problemi investono direttamente e quotidianamente i soggetti, le famiglie e le comunità e rispondono ai bisogni vitali, reali, urgenti, irrinunciabili, denunciabili, pubblici e privati, divisibili ed indivisibili.
In sostanza, noi chiediamo che si stabilisca una gerarchia dei bisogni individuali e collettivi che chiedono una priorità nel piano delle spese pubbliche, pur essendo tutte utili e necessarie! A questo punto, mentre non possiamo non apprezzare la parte programmatica dedicata all'ecologia, dobbiamo invece associarci a chi ha rilevato l'assoluta mancanza di indicazioni sui compiti che dovrebbero svolgere la Finanziaria pubblica, l'Ente di Sviluppo Agricolo e l'Ente Regionale Trasporti.
In merito all'Ente Regionale Trasporti, vorremmo illustrare brevemente quali, a nostro avviso, dovrebbero essere i primi compiti dell'Ente stesso.
Non si tratterà, infatti, di promuovere esclusivamente un'azione di coordinamento riferito agli attuali investimenti ed a futuri programmi di potenziamento delle infrastrutture.
Una più ampia visione della problematica ci induce a valutare l'opportunità che siano iniziati studi sui criteri di scelta degli investimenti, sui metodi che possono indirizzare quelle determinate scelte sulle possibilità di ripiegare su forme nuove di trasporto e sulle tendenze della domanda, ovverosia del modo in cui essa può condizionare il potere di decisione.
Tutti noi sappiamo quale sia la realtà dei trasporti nella nostra Regione, e quindi a nostro avviso dovremo occuparci di vedere con quale indirizzo e in quali condizioni deve svolgersi l'esercizio dei vari sistemi di trasporto, e conseguentemente, in un futuro più lontano, come deve avvenire il loro sviluppo. Intendiamo con ciò riferirci a quello che sarà il modello per meglio assicurare il progresso del sistema dei trasporti di vario tipo per il migliore soddisfacimento delle esigenze della nostra popolazione, esigenze che si pongono come condizione per il progresso sociale e per quello, infine, economico.
Nelle dichiarazioni programmatiche neppure si accenna alle serie preoccupazioni che dovrebbero derivare dal fatto che la competenza della Regione è basata su di una unità geografica e non su di una entità economica, per cui solo alcuni problemi di carattere generale potranno avere un loro utile collocamento, sempre che, naturalmente, non operino certe preponderanze: i problemi generali, ad esempio, della produzione e distribuzione agricola, sui quali abbiamo sentito, a cominciare dal collega Gerini, molti interventi, gli insediamenti universitari, quelli industriali, quelli relativi al turismo, all'artigianato, all'istruzione professionale.
Dell'artigianato, poi, così importante per il Piemonte, o almeno per una parte della nostra Regione, non troviamo alcun cenno, e così dell'istruzione professionale. Ecco perché riteniamo doveroso, sia pur brevemente, parlarne, per iniziare così un discorso che potrà in seguito meglio articolarsi.
E' risaputo, ad esempio, che alle Regioni la Costituzione demanda compiti specifici, quali l'istruzione professionale ed artigiana l'assistenza sanitaria, insieme ad una più generica indicazione: artigianato che, purtuttavia, potrà assumere una maggiore o minore importanza a seconda delle impostazioni che le singole assemblee regionali sapranno elaborare e concretare in concomitanza ed in armonia con le leggi quadro che il Parlamento delibererà, rapportate naturalmente alle esigenze che emergeranno.
E' evidente che una politica regionale per l'artigianato non potrà prescindere da una regolamentazione generale che, sia pure elasticamente affidi al nuovo organismo investito di quella competenza l'assunzione di iniziative che abbiano il fine di tutelare e potenziare ad un tempo l'artigianato.
Dato per scontato, quindi, che la normativa in favore dell'artigianato debba rivestire un carattere generale per quanto concerne i criteri, con un aggiornamento della legge 1960, oggi indispensabile per dare alla stessa il contenuto di "legge cornice" nell'ambito della quale le successive leggi regionali possano trovare il loro indirizzo e il loro limite, non vanno dimenticati fin d'ora i problemi più importanti, quali quello della casa e del laboratorio, delle mutue, dell'apprendistato, del fisco, del credito della previdenza, dell'indebita concorrenza non qualificata, o della stessa regolamentazione democratica che deve essere data alla Camera di Commercio.
E tutto ciò, dal vertice dello Stato alla base regionale, naturalmente attraverso la partecipazione di tutti gli organi rappresentativi, dovrà attuarsi tenendo presente la complessa situazione del settore, la sua consistenza non soltanto per quanto concerne i titolari di impresa ma anche per le maestranze occupate, ed infine l'individualità dell'artigianato stesso.
Non si dimentichi che l'opera che esce dalle sue mani esperte presuppone in lui una volontà, un gusto personale, un'iniziativa libera, e che la gloria dell'artigianato italiano e piemontese deriva appunto da questa libertà lasciata alla sua iniziativa, al suo talento, al suo gusto.
Un'altra competenza, che in parte è anche collegata con quanto si dovrà fare nel campo dell'artigianato e in parte no, è quella dell'istruzione professionale, congiunta alla più generica, anche se non meno importante assistenza scolastica.
Fin da quando si discusse in Parlamento il disegno di legge governativo sulla sperimentazione degli istituti professionali, che divenne poi la legge n. 754 del 27 ottobre 1969, la nostra parte politica aveva posto in risalto i motivi di profonda contraddizione insiti nell'anzidetta legge, la quale istituiva, a titolo sperimentale, corsi speciali diretti ad accentuare la componente culturale nel primo biennio professionale, ne estendeva la durata a cinque anni e prevedeva l'esame di Stato per la maturità professionale, valida a tutti gli effetti, sia per l'ammissione a pubblici impieghi come ai corsi universitari di laurea. In tal modo l'istruzione professionale perdeva la sua peculiare connotazione per avvicinarsi talmente all'istruzione tecnica da finire con il confondervisi.
Gli istituti professionali correvano il rischio - ed oggi questa è una realtà - di subire un ulteriore deperimento, poiché gli studenti avrebbero avuto interesse a scegliere, data l'equivalenza pressoché completa fra i due tipi di studi, quelli di maggior prestigio o comunque più tradizionali.
Ecco perché, dunque, l'istruzione professionale, della quale ben presto dovremo occuparci, tanto che è stato costituito un apposito Assessorato così come sarà costituita nei prossimi giorni una specifica Commissione versa in gravissima crisi. Si pensi che nel 1970, anziché il previsto 33 per cento, ha assorbito appena il 10 per cento, e per di più scarso, della popolazione scolastica nazionale.
Per comprendere le ragioni di questo fallimento, al fine, naturalmente di porvi sollecitamente rimedio, è indispensabile considerare ciò che accade a monte ed a valle del sistema.
A monte sta la scuola media obbligatoria, concepita ed attuata fra difetti e pregi in modo da ingenerare nella massa degli alunni e delle famiglie la convinzione che essa sia semplicemente introduttiva alle facili carriere collegate con la scuola secondaria (ragionieri, geometri, maestri periti ecc.) o ai successivi sviluppi universitari.
La tendenza, quindi, a rendere facili i titoli, facili le promozioni facili i passaggi da una scuola all'altra, facile l'accesso all'Università avvalora questa convinzione di base, da cui deriva ovviamente una declassificazione dell'istruzione professionale.
A valle del sistema c'è il progresso civile e tecnologico della civiltà odierna in rapidissima espansione: essendo stata fino ad oggi (ora purtroppo va diminuendo) notevole la richiesta di forze e di quadri direttivi, di professionisti, e quindi di laureati e di diplomati, si pu comprendere l'illusione collettiva di una sistemazione per tutti attraverso la scuola secondaria tradizionale e l'Università.
Ma ciò rende difficile far comprendere quanto sarebbe assurdo allestire un esercito di soli ufficiali, senza quadri intermedi. Convegni recenti (come quello di Frascati) non hanno suggerito soluzioni valide, anzi si sono lasciati prendere la mano e sono sconfinati nell'avveniristico, che non tiene conto della effettiva situazione del nostro Paese.
La stessa recente caduta della cosiddetta "legge ponte" ripropone indirettamente il problema dell'istruzione professionale, che deve essere riesaminato non solo al centro bensì anche alla periferia, e cioè nei Consigli regionali, cui tale competenza specifica è stata affidata dalla Costituzione.
Non si dimentichi che il necessario prolungamento della scuola dell'obbligo fino ai 16 anni e la suddivisione dei cinque anni di scuola media superiore in un biennio unico e in un successivo triennio, così come almeno si preannuncia, non lasceranno all'istruzione professionale che un solo anno! Poco, troppo poco per produrre l'indispensabile tipo di qualificazione richiesta.
In tal caso, il nostro Assessore, oberato, e molto, certamente, dai problemi del lavoro, avrebbe in proposito ben poco da fare per l'istruzione professionale ridotta a quel solo anno.
Non è certamente questa la sede né il momento per approfondire la questione, ma la premessa è quanto meno utile, a nostro avviso, a sollecitare l'attenzione su di una competenza non meno importante di altre.
Occorre quindi seguire, e farlo subito, i lavori preparatori per la riforma della Scuola media superiore, che tutti definiscono imminenti, onde inquadrare nella stessa, come dev'essere inquadrata, l'istruzione professionale, che dovrà essere tale non soltanto nell'aggettivo che la distingue dall'altra! E, parallelamente, promuovere un'azione che permetta la corresponsione di un salario, anche minimo, a quei giovani che vi si indirizzano, preferendo una valida qualifica professionale o mestieristica ad un diploma inflazionato! Signor Presidente, signori Consiglieri, concludendo, ragioni di obiettività ci spingono a dichiararci allo stesso tempo a favore e contro il programma presentato: a favore per quel poco che vi è contenuto, contro per il molto che non è stato considerato. E naturalmente il parere negativo è prevalente su quello positivo, per le ragioni dette all'inizio, anche se obiettivamente, riconosciamo il ristretto campo di operazioni in cui la Regione può muoversi. Nulla però impediva alla Giunta di formulare un programma completo ed organico pur nella carenza di leggi e di mezzi. Ma non l'ha fatto! Per questo, sia pur modestamente, ma speriamo costruttivamente, abbiamo cercato di dare il nostro contributo, magari parziale, perché non disponiamo degli stessi strumenti di chi si accinge a governare la Regione Piemonte, che tutti insieme costruiamo, o, con una punta di polemica, che tutti insieme inventiamo giorno per giorno! La sua funzionalità, la sua efficienza sono, secondo noi, al di là di tutto, legate alla scomparsa di un retrivo campanilismo, sia da parte delle cinque Province periferiche, come da parte del capoluogo. Se prevarrà lo spirito "piemontese", il senso della Regione su quello provinciale, se più che cuneesi, torinesi, alessandrini, vercellesi, novaresi o astigiani ci sentiremo piemontesi, se non parleremo di concorrenza ma di collaborazione allora questa nostra Regione la potremo certamente costruire meglio.
Soprattutto, poi, se la sapremo costruire non già senza speranza e senza timore, ma con buon senso, sia pure non dimenticando che il buon senso senza numeri è insufficiente così come, tuttavia, i numeri senza buon senso sono dannosi!



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Ferraris. Ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, francamente, nel pensare ad un nuovo intervento sulle dichiarazioni programmatiche della Giunta, con particolare riferimento al problema dell'agricoltura, non ho trovato alcuno spunto nella relazione presentataci dal Presidente. A questa carenza, che è già stata definita grave da altri, hanno però rimediato parecchi altri colleghi, colmando così almeno a livello del dibattito quei vuoti, o "spazi di silenzio", come lo stesso Presidente ha voluto definirli. L'intento quindi, di questo mio intervento, a parte l'esigenza di formulare poi alcune proposte concrete, è quello di stabilire subito, anche se l'aula semivuota non presenta più le condizioni ideali per farlo, un dialogo anche se polemico, un confronto di posizioni con i Colleghi che sono intervenuti, e numerosi, su questi problemi.
In primo luogo, cogliendo uno spunto offerto alla considerazione di tutto il Consiglio da parte del collega e compagno Nesi, chiedo formalmente un chiarimento al Presidente della Giunta, e se del caso allo stesso compagno Nesi, in questo momento assente egli pure. Il compagno Nesi si è soffermato, anche se fugacemente, su idee e progetti in corso per la creazione, come egli ha detto, di "un potente Centro di commercializzazione che dovrebbe costituire l'asse attrezzato del sistema commerciale dell'intera Regione", affermando che la dislocazione, l'ampiezza, la natura di tale Centro sono materie nelle quali il Consiglio non potrà intervenire a posteriori. Certo, sarebbe assurdo che si dovesse verificare il contrario di quanto ha prospettato il collega Nesi. Ma di questo passo...



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma di quale Centro si tratta?



FERRARIS Bruno

Ah, non lo so, il collega Nesi però ha parlato testualmente della creazione di "un potente Centro di commercializzazione che dovrebbe costituire l'asse attrezzato del sistema commerciale dell'intera Regione" ed ha sollevato l'esigenza che se ne discuta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non ha detto dov'è. Io non ne so nulla.



FERRARIS Bruno

Sta a lei scoprirlo. E lei, Presidente, sa quanto e come io abbia ragione di porle questa precisa richiesta, perché ricorderà che fin dal luglio dello scorso anno mi ero premurato di segnalarle con una lunga lettera che mi constava di una iniziativa del genere, quella ora denunciata forse?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma quella che lei denunciava è poi tramontata, non se ne è più parlato.



FERRARIS Bruno

Stavo appunto per precisare che mi si rispose a suo tempo che quel progetto - per il quale era stato elaborato un piano preciso, e c'erano addirittura anche opzioni per l'acquisizione di terreni in quel di Trofarello, erano verificate tutte quelle caratteristiche, insomma, che avevo denunciato - era stato abbandonato. Però, di fronte alla notizia data dal collega Nesi, che per far parte della maggioranza ed anche per altre autorevoli posizioni che detiene nella vita pubblica e finanziaria del capoluogo penso sia persona bene informata, credo sia giusto e necessario per soddisfare una esigenza non mia soltanto ma di tutto il Consiglio, che ci si dica qualcosa di preciso. E' l'iniziativa di Piemonte-Italia che torna a galla, o è qualche altra iniziativa di un altro magari più potente gruppo privato?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Forse dovremmo in proposito chiedere notizie al Comune di Rivoli.



FERRARIS Bruno

Non credo proprio che il Consigliere Nesi si riferisse al Comune di Rivoli.
Comunque, io qui non intendo riprendere né le cose che scrivevo nella lettera citata né le cose che ho già avuto occasione di dire sulle strutture mercatali e questioni connesse. Ciò che dovrebbe essere un punto ben fermo per tutti, a mio parere, a parere del nostro Gruppo, è che nessuna iniziativa di questo genere dovrebbe andare avanti, non solo senza una preventiva discussione, ma al di fuori, direi, del capitale pubblico, e della Regione e ciò per il ruolo che può e che deve assolvere un centro commerciale del tipo che è stato qui descritto.
Ho ascoltato con interesse l'intervento del collega Chiabrando. Egli come del resto poi successivamente il Consigliere Menozzi ed altri, ha ripreso argomenti già portati in Consiglio da me stesso e dal Presidente sottolineando la resistenza, che io definisco sorda, che l'alta burocrazia centrale, con a capo il Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, frappone al passaggio dei poteri, delle funzioni e degli organismi periferici alle Regioni. Ma è proprio solo un problema della burocrazia romana, o non è anche un problema di forze politiche? Credo che ormai si tratti di prendere anche atto che la realtà è un po' diversa e che le forze antiregionaliste sconfitte in Parlamento lo scorso anno, stanno tornando all'attacco, e trovano nel Ministero dell'Agricoltura - il più centralizzato, burocratico conservatore - uno dei maggiori punti di forza. Ma da chi è diretto questo Ministero? Ben sapendo che il collega Chiabrando è in partenza, con il collega Menozzi, per il Congresso della Coltivatori Diretti, che è già in corso a Roma, conoscendo i legami forti, potenti che sono sempre esistiti fra la Coldiretti e il Ministero dell'Agricoltura, la Federconsorzi, e lo stesso Ministro, e ben sapendo peraltro che quella grande assise è fatta di uomini, di contadini, che sono fondamentalmente regionalisti, mi auguro che da quella assemblea, da quel congresso, venga una autorevole spinta a far modificare gli orientamenti della alta burocrazia, che è pure legata alla Federconsorzi ed al Gruppo dirigente nazionale della Coldiretti, una spinta di carattere politico, soprattutto.
Il collega Chiabrando, poi, riferendosi all'attuale scoordinamento fra funzioni e competenze in campo agrario ed alla pletora di enti e carrozzoni oggi facenti capo ai più svariati Ministeri, e nell'individuare giustamente l'esigenza di una diversa strutturazione e di un diverso coordinamento dei medesimi (del resto, già io stesso avevo detto che si tratta di ottenere strumenti e funzioni, ma che non dobbiamo, non possiamo poi esercirli o lasciarli come sono) si è limitato ad invocare chiare direttive dall'alto prospettando in caso contrario chissà quali difficoltà. No, collega Chiabrando, questa tua è una tesi inaccettabile, una tesi pericolosissima che bisogna respingere e che noi respingiamo. Lo Stato, cioè il Governo deve, come dicevo prima, procedere a predisporre - e noi dobbiamo esercitare tutta la pressione necessaria affinché lo faccia sollecitamente i decreti delegati per il passaggio alle Regioni dei poteri, delle funzioni, di tutte le funzioni e degli organismi periferici. Dovremo poi essere noi, cioè dovranno essere le Regioni, i Consigli regionali, a provvedere, nel rispetto delle leggi-quadro e soprattutto dell'art. 117 della Costituzione, a ristrutturare, a riorganizzare, ad utilizzare poteri ed organismi in modo appunto che siano conformi e congrui alla realizzazione degli obiettivi, degli orientamenti e degli indirizzi che coerentemente con i principi già stabiliti nello Statuto, ci proporremo di realizzare.
Anche a proposito delle competenze residue che dovrebbero restare al Ministero dell'Agricoltura e Foreste, e quindi al potere centrale, Governo e Parlamento, mi pare debole, anzi pericolosa ed anche qui inaccettabile una posizione come quella del collega Chiabrando, che considera scontata la rinuncia delle Regioni a competenze in materia di sperimentazione agraria e per quanto attiene agli interventi di mercato. Certo, si può e si deve anche ammettere ed accettare che su ambedue queste materie possano e debbano rimanere allo Stato compiti e funzioni di coordinamento eccetera ma occorre affermare subito, e con forza, che in entrambi questi due settori la Regione può e deve assumere un ruolo decisivo e insostituibile.
La politica comunitaria. E' ovviamente una materia che non può restare di competenza del Governo e del Parlamento. Anzi, mi pare che neanche il Parlamento in pratica conti più quanto e come dovrebbe in fatto di politica comunitaria. In ogni caso, però, anche per quanto concerne la CEE e la politica comunitaria, noi riteniamo utile, anzi necessario, che si istituisca un contatto, un reciproco rapporto dialettico, fra Regione Nazione e Comunità europea. E non è certo soltanto per amor di polemica, ma per chiarezza, che dal momento che ho toccato questo tema, su cui si è soffermato il collega Chiabrando, vorrei chiedere a lui se ritenga veramente di poter sostenere, come ha fatto, che l'ultima edizione del cosiddetto "piano Mansholt sarebbe una serie di iniziative" - cito testualmente - "che riguardano quasi esclusivamente il miglioramento delle strutture e l'ammodernamento delle aziende agricole". In verità, e il collega Chiabrando non lo può certo ignorare, si tratta proprio dell'opposto. Forse, nelle originali intenzioni di Mansholt e dei suoi sofisticati eurocrati vi era la consapevolezza che ci si dovesse finalmente muovere in una direzione diversa, cambiare strada, spostando gli enormi finanziamenti (3 milioni di dollari nel '70, per citare solo l'ultimo anno), dalla costosa, inefficiente Sezione garanzie del FEOGA alla Sezione orientamento, per passare cioè da una politica di sostegno dei prezzi, cioè corporativa e parassitaria, ad una politica di riforme delle strutture. Ma tutti sappiamo quant'acqua sia ormai passata sotto i ponti dell'originario progetto Mansholt, peraltro egualmente inaccettabile anche in quella prima formulazione.
Ora, le cinque direttive nelle quali si articola quanto resta dell'originario Piano Mansholt si muovono ancora e sempre nella vecchia direzione. Infatti, tutti sappiamo, ad esempio, che la prima direttiva propone di sviluppare un'azione incentivante su quelle aziende agricole che siano in grado di garantire nell'arco di cinque anni un reddito da 6 milioni e 250 mila a 7 milioni e 500 mila lire per unità attiva, e per almeno due unità. Pertanto, le aziende che potranno beneficiare di tali contributi nell'intera area del MEC saranno non più di 320.000 su 5 milioni e 500 mila (secondo Rossi Doria, Presidente della Commissione dell'agricoltura del Senato, sarebbe addirittura solo 250 mila, qualcosa come il 5 per cento) e capaci di produrre meno di un quarto dell'intera produzione agricola. Infine, a partire dal 1975 sarà fatto divieto agli Stati della Comunità di concedere aiuti alle aziende, che non rispondono alle caratteristiche indicate nella direttiva se non nella forma del concorso al pagamento degli interessi. Ma allora, collega Chiabrando, su 320.000 aziende, quante saranno in Italia quelle che potranno beneficiare di questi contributi? Il ministro Natali ha dovuto riconoscere che in Italia il numero di esse non sarà certo cospicuo. E di quelle poche fortunate - saranno cinquanta, centomila, non lo so - che potranno beneficiare, quante saranno le aziende dei Coltivatori diretti, quelle che noi nello Statuto abbiamo scelto come aziende da favorire e da sviluppare attraverso l'intervento pubblico? Sono questi i notevoli contributi che possiamo ricavare dal Piano Mansholt? No, state tranquilli che l'Italia resterà, com'è stata fino a ieri, con l'agricoltura più povera e più pagante a favore degli altri Paesi del MEC.
Di qui discendono alcune esigenze. Intanto, l'esigenza di un ampio dibattito in questa sede sulla politica agricola del MEC, per chiarirci le idee anzitutto. A mio avviso, ad esempio, è grave che il Governo non abbia ancora sentito l'esigenza di consultare le Regioni sulle direttive di Mansholt. Eppure, nella relazione Natali si dice che, certo, bisogna tener conto che adesso ci sono anche le Regioni. Di qui la riconferma di quell'altra esigenza, e quindi la richiesta da parte della nostra Regione di essere consultata, e il suggerimento di una iniziativa verso le altre Regioni, per concretare la rivendicazione comune di un rapporto, di quel rapporto partecipativo Regione-Parlamento-Comunità di cui dicevo prima, che garantisca appunto un apporto dialettico della Regione alla politica comunitaria per la modifica delle direttive e dei regolamenti di mercato, a partire anzitutto da quello vitivinicolo, che a mio parere definire iniquo è semplicemente poco.
Per quanto concerne, invece, l'Ente di sviluppo ed i piani zonali, sui quali, oltre a Chiabrando, si sono soffermati anche i colleghi Viglione Menozzi e Gerini, mi pare che, fatta eccezione per Gerini, e quindi per il Gruppo liberale, siano emersi buoni punti di contatto per un accordo di fondo. In merito ho già avuto più d'una occasione per esporre le nostre posizioni, e non mi dilungherò. Vi è soltanto un punto che mi sono segnato fra le cose dette ultimamente da Menozzi e che desidero riprendere riguarda il rapporto fra Ente di sviluppo e piano zonale e il problema della partecipazione dei contadini alla direzione dell'E.S.A. Per quanto ci riguarda noi queste questioni le vediamo fondamentalmente incentrate e risolte mediante la partecipazione delle categorie dei produttori interessati alla formulazione del piano di zona e attraverso consulte che controllino l'attuazione da parte dell'E.S.A. dello stesso piano zonale che dovrà essere sostanzialmente elaborato dai produttori e dalle popolazioni interessate mentre l'E.S.A. dovrà essere concepito come un vero e proprio strumento operativo della Regione. Certo, la Regione, e quindi l'E.S.A.
dovranno poter disporre di poteri vincolistici e coattivi, come ha pure riconosciuto lo stesso collega Chiabrando, ed io aggiungo che dovremo poter disporre anche del diritto di esproprio. Un ente così fatto sarà quel martello concepito dal nostro compagno Chiaromonte per colpire e distruggere l'azienda agraria capitalistica di cui ha parlato il collega Gerini? Non lo so, e in questo momento non mi interessa, certo è che l'E.S.A. dovrà essere uno strumento al servizio dell'Azienda contadina, non di quella capitalistica, e dovrà rappresentare anche uno strumento per colpire più a fondo ogni sopravvivenza della rendita terriera, sulla quale si è giustamente soffermato il collega Viglione.
Qui vengono a giocare, però, i problemi della competenza della Regione in materia di diritto privato, per quanto attiene all'agricoltura, alla disciplina dei contratti agrari eccetera. Anche qui il problema è politico oltre che giuridico. Per quanto attiene ai suoi aspetti più spiccatamente giuridici, a parte la ricca letteratura già accumulata in materia, e che evidentemente in parte afferma e in parte nega la possibilità della Regione di intervenire in materia di diritto privato e di contratti agrari, noi riteniamo che il problema vada posto senza schematismi ma se si considera attentamente il contenuto dell'art. 3 della Costituzione (non mi soffermo ad illustrarlo, poiché penso che ognuno lo conosca), e lo si collega al contenuto dell'art. 44 della Costituzione che noi non a caso volevamo che venisse richiamato, per esteso o per accenno, nello stesso Statuto, ebbene se si fanno questi due accostamenti, e quindi l'accostamento all'art. 117 sempre della Costituzione, che collega tutto l'arco dei problemi di diritto e di competenza in materia agraria, sarà ben difficile poter sostenere che la Regione non ha possibilità di intervenire in materia di vincoli sulla proprietà terriera, di diritto di esproprio o in materia di contratti agrari.
Lo stesso ragionamento vale per quanto riguarda i contratti agrari; e del resto in questa materia un certo spazio già esiste. Anzi, io approfitto dell'occasione per chiedere, per esempio, per quanto concerne il collocamento, se il Presidente della Regione ha già provveduto a designare il componente della Regione all'interno della Commissione regionale per il collocamento, quali indirizzi siano stati forniti a questa persona affinch si faccia promotore e strumento del funzionamento della Commissione per il collocamento.
Inoltre, in base all'art. 3 comma terzo della recente legge sull'affitto dei fondi rustici, la Regione può intervenire per l'eventuale fissazione di un coefficiente regionale di moltiplicazione del reddito catastale per la fissazione dell'equo canone; un coefficiente che dev'essere compreso, evidentemente, fra quello minimo e quello massimo fissati dalla legge. E' questa una via per intervenire, per mettere in moto il meccanismo di questa importantissima legge; non soltanto nel senso di un'ampia discussione per arrivare alla fissazione del moltiplicatore, cioè del coefficiente regionale, ma per partire di lì e dare una spinta, un appoggio diretto a mettere in movimento tutto il meccanismo della legge per stimolare ad ottenere la pronta istituzione della Commissione centrale delle Commissioni tecniche provinciali, assicurando insomma il contributo della Regione alla rapida applicazione di questa legge.
Per quanto riguarda la montagna, sulla quale si è ampiamente intrattenuto il collega Oberto, è mio parere che quando la Regione discute di questo argomento in chiave programmatica deve farlo con uno stile e con intendimento assolutamente nuovi. Io rispetto i sentimenti, gli affetti; ma quando affrontiamo questo argomento, peraltro di notevole gravità, noi dobbiamo fare un discorso politico completo. Il primo elemento di un discorso completo - mi spiace che non ci sia più l'avv. Oberto ad ascoltare queste considerazioni - è il giudizio critico, senza equivoci n concessioni, sulla politica passata. Nel suo discorso si ascolta il giudizio ancora elogiativo della Legge 25 Luglio 1952 n. 921, cioè la cosiddetta "legge Fanfani": ebbene, oggi, alla luce di una esperienza di diciannove anni, occorre avere il coraggio di affermare che quella legge porta la gravissima responsabilità di aver concorso alla degradazione dell'economia montana, alla dispersione di valori ambientali, umani culturali, tradizionali presenti nelle nostre vallate alpine.
L'impostazione di quella legge ricalcava, più o meno integralmente, la legge del 1933: essa ha bloccato per quasi due decenni un discorso organico e serio sulla montagna. Ebbene, avevamo sentito, e sapevamo, del resto, che è in discussione, nella sua fase finale, una nuova legge sulla montagna risultato di contributi diversi: ma io non sarei del tutto tranquillo, a differenza dall'avv. Oberto. Ho appreso pertanto con soddisfazione, e la segnalo perché il caso è da prendere ad esempio, la notizia che il Consiglio Regionale lombardo ha preso posizione contro il modo di procedere ancora una volta in questo campo. Perché ancora una volta non c'è stata una consultazione delle Regioni, e se l'economia montana non è di pertinenza della Regione non sappiamo più che cosa è di pertinenza della Regione: ancora una volta, dicono i lombardi, continuando le cose così come stanno andando, non verrebbero esplicitati i poteri della Regione, ma soprattutto vi sarebbe il pericolo di residui dei vecchi metodi, dei vecchi strumenti di cui alla legge 991.
Credo di avere già posto così, fra qualche spunto polemico e qualche precisazione sulle nostre posizioni in materia di politica agraria regionale, alcune cose concrete che già avrebbero dovuto essere fatte, e che si potrebbero, anzi si devono, fare al più presto. Ora, proprio un po' per reazione al metodo fin qui invalso, specie da parte del Presidente, di presentarci sempre solo delle indicazioni di carattere metodologico, spesso astratte, e cioè non finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi o alla messa in moto di analisi, di indagini, di strumenti, ma che in genere non penetrano neppure nei vari settori, nelle materie di nostra competenza, sia per esigenze di concretezza e per cogliere e soddisfare le vere aspettative di coloro che ci hanno affidato il mandato che ci ha portati in questa sede, nell'avviarmi a conclusione chiedo che si passi finalmente a lavorare più concretamente di quanto si è fatto fino ad oggi.
Ad esempio, occorre che noi la smettiamo finalmente di parlare continuamente di Ente di sviluppo e di piani zonali, per dare finalmente inizio alla elaborazione, per esempio, dello Statuto dell'Ente di sviluppo che procediamo, cioè, finalmente, ad elaborare un nostro progetto, per confrontarci, sulla base di questi elementi, con le proposte di iniziativa parlamentare oggi esistenti in materia. In questo modo opereremo concretamente per colmare il vuoto del Governo e affrettare il passaggio dei poteri.
Lo stesso discorso vale per quanto riguarda l'elaborazione dei piani zonali di sviluppo. Cosa ci vuole ad elaborare uno schema con indicazioni di massima, se volete anche solo di carattere metodologico, ed avviare su questa base il movimento delle conferenze agrarie zonali? Ci vuole solo un po' di buona volontà. Alcuni esempi e proposte concrete. C'è un grosso e grave problema, qui in provincia di Torino: riguarda la cosiddetta "zona bianca", i produttori di latte. E' un problema che investe ed interessa i consumatori, in merito al quale si stanno battendo unitariamente i sindacati. La situazione, lo sappiamo, è già grave oggi. Ma cosa succederà proprio a seguito del regolamento comunitario del settore, con il marzo del 1972? E' poco prevedere che le conseguenze saranno disastrose catastrofiche. Ebbene, chi ci impedisce di mettere subito in cantiere le iniziative necessarie per la convocazione delle conferenze agrarie per la zona interessata, di procedere d'accordo con l'Ires, con la Provincia, con il Comune alla elaborazione di un piano zonale di ristrutturazione nel quale vedere i problemi delle necessarie riconversioni produttive, nel quale affrontare anche i problemi dello sviluppo del patrimonio zootecnico? E' stato citato da Nesi, se non sbaglio, il problema dell'acquisizione della ZooPiemonte. Ecco quindi il modo di vedere subito quale funzione quale ruolo preciso questa società pubblica, fatta fra Comune e Provincia può esercitare in questo quadro. E in questo quadro si pongono anche, caro Chiabrando, i problemi gravi che ci hanno portato qui: i margari, gli allevatori transumanati delle vallate alpine. Un intervento in questa direzione cioè per risanamento degli allevamenti può essere studiato e posto in atto anche in assenza dei poteri delegati.
In altra occasione ho già sollecitato l'acquisizione del primo Piano zonale di sviluppo elaborato dall'IRES per conto del CRPE relativamente ad una piccola zona della provincia di Asti. Certo, si tratta di un'opera accurata, pregevole, anche se personalmente posso non condividere alcune indicazioni e alcuni obiettivi. Questa elaborazione è costata qualcosa come dieci milioni: ebbene, perché non si è ancora voluto acquisirla ed avviare su di essa la consultazione e la verifica necessaria per porla in essere al più presto? Potrei continuare di questo passo, con riferimento ai problemi della regimazione e dell'utilizzazione delle acque, che qui sono stati citati, da più colleghi. Devo necessariamente fare un accenno almeno ai problemi del settore vitivinicolo, per il quale, stante la gravissima crisi che lo investe, si dovranno in ogni caso assumere posizioni al più presto promuovere, coordinare interventi, investimenti immediati da parte dello Stato o di altri enti, in primo luogo da parte dell'Istituto federale di credito agrario, di cui ella, signor Presidente, è il massimo esponente.
Per questo settore, oggi, oltre a mobilitare una certa massa di capitali da concedere a basso tasso di interesse, o senza interesse, alle Cantine sociali per gli acconti ai soci e per operazioni di stoccaggio, si tratta di agire sul Governo, sul Parlamento per altri provvedimenti contro la frode e le sofisticazioni, per favorire la distillazione agevolata, ma a prezzo remunerativo e controllato per i viticoltori. Così come si tratta di procedere ad acquisire gli studi, progetti che sono stati elaborati da vari enti, per quanto concerne appunto il risanamento e la ristrutturazione delle Cantine sociali dell'Astigiano. Si tenga presente che la situazione è tale per cui, in assenza di provvedimenti concreti ed immediati, e perdurando l'attuale andamento negativo del mercato, sono prevedibili giustificate esplosioni di sacrosanta collera contadina. E non mi si dica qui che per affrontare questi problemi non abbiamo ancora i poteri, le funzioni, gli strumenti. Certo, se li avessimo potremmo affrontarli in modo assai diverso e più efficace; in ogni caso, però, nessuno ci può impedire di iniziare ad operare in questa direzione. Altrimenti quando avremo poteri e mezzi, ci vorranno altri sei mesi prima di passare alla fase operativa concreta. Succederà poi quello che già si sta verificando nel nostro Paese: che dalle enunciazioni alla elaborazione dei programmi ed alla loro attuazione trascorrono anni e l'intervento pubblico avviene sempre troppo tardi! La Regione deve cambiare stile e modo di lavorare.
Certo è che ad un certo punto però verranno al pettine sia il nodo dei poteri, che il nodo dei mezzi finanziari. Qui non si tratta che di riprendere, sottolineandola con forza, la denuncia già resa nella seduta precedente dal collega Viglione: è veramente di una gravità eccezionale che il Governo, dovendo provvedere a colmare il vuoto, durato anche troppo, in fatto di stanziamenti finanziari in agricoltura, a parte l'inadeguatezza dello stanziamento, non abbia sentito comunque l'esigenza di fare riferimento alle Regioni. Si è voluto respingere la nostra proposta, pur giusta e valida, cioè quella della istituzione di un unico fondo per l'agricoltura da stanziare nel quadro del Ministero del bilancio e da assegnare subito alle Regioni in base a criteri da stabilirsi, per fare immediatamente delle Regioni l'unico canale di erogazione dei finanziamenti in agricoltura. Bene, cioè male, ma volendo si sarebbe potuto (e lo si pu ancora) fare in modo che le Regioni possano avere parte (sia pur nell'ambito di leggi inadeguate, di leggi che hanno fallito i loro compiti) nella erogazione dei 225 miliardi stanziati (178 per contributo in conto capitale, 20 miliardi per la piccola proprietà contadina e 20 per le case).
Basterebbe stabilire nella legge che i fondi stanziati dovranno essere investiti, almeno sulla base di criteri di priorità da fissarsi da parte delle Regioni. Ecco che allora le proposte da me indicate troverebbero la possibilità di finanziamento. In ogni caso la Regione dovrà battersi perch ciò avvenga. Ecco come si può, se si vuole, concretamente operare anche in questa situazione Ed è mia e nostra convinzione che operando in questa direzione si mobilitano le forze sociali, si mobilitano gli interessi a favore della Regione, si mobilitano gli Enti locali e si porta avanti la battaglia per ottenere che la Regione possa avere al più presto pienezza di prerogative e di funzioni.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci.
Prima di dargli la parola tuttavia (scusi Curci) vorrei comunicare al Consiglio che concluderemo questa sera la discussione generale sulle dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta.
Sono ancora iscritti a parlare, oltre il Consigliere Curci, altri tre oratori. Quindi vorrei pregare i Consiglieri di avere la pazienza di ascoltare i colleghi che non hanno ancora parlato fino alla fine della riunione di questa sera. Questo ci permette di meglio regolare i lavori perché concludendo la discussione generale questa sera, il Presidente della Giunta avrà sott'occhio tutto quanto il dibattito sulle dichiarazioni programmatiche e potrà, in modo più razionale, tener conto di tutto quanto è stato detto nel dibattito, senza improvvisare un'eventuale risposta a quegli oratori che parlassero nella giornata di mercoledì.
La conclusione del dibattito questa sera ci consentirebbe quindi di fare replicare il Presidente della Giunta mercoledì e di esaurire il resto del nostro o.d.g. nella stessa giornata, anche perché mi risulta che la sala del Consiglio Provinciale sarà occupata dallo stesso Consiglio Provinciale nelle giornate successive.
Con un piccolo sforzo supplementare questa sera, possiamo arrivare in maniera funzionale al termine dell'o.d.g. che era stato concordato nella conferenza dei Capigruppo.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, all'inizio di questo dibattito sono stati espressi, dai banchi dell'estrema sinistra, dei dubbi sul carattere collegiale del documento programmatico in discussione. Il Capogruppo comunista, cioè, ha sostenuto che il programma sottoposto al nostro esame, non sia che solo in parte, il programma della Giunta, ma sia in gran parte il programma personale del Presidente della Giunta. Il Presidente del Consiglio ha immediatamente e correttamente respinto l'interpretazione comunista, significando che al di là delle vicissitudini personali o di gruppi che possono aver travagliato l'elaborazione di una piattaforma programmatica, una volta che essa è presentata all'assemblea non può che essere considerata come espressione dell'intera compagine di cui il Presidente è il portavoce responsabile.
Per la verità, alla nostra parte farebbe comodo sostenere, se non fosse statutariamente insostenibile, la tesi dell'estrema sinistra; ci farebbe comodo, cioè, distinguere tra il Presidente della Giunta, una parte della Giunta stessa e l'altra parte, attribuendo ad alcuni tutti gli elementi di equilibrio, di ragionevolezza, di ponderatezza che indubbiamente esistono nel programma e agli altri invece tutte le concessioni alla demagogia ed alla moda vuotamente populista che qua e là affiorano nel programma stesso.
Sarebbe, la nostra, un'assai comoda posizione polemica, che tuttavia la corretta interpretazione delle norme statutarie non ci consente di sfruttare.
Mi limiterò pertanto a rilevare come quegli elementi contradditori di cui ho detto, rappresentino, com'era prevedibile, la conseguenza naturale dello scollamento di una formula di governo logora già da alcuni anni e che solo la cecità politica dei dirigenti del partito di maggioranza relativa si ostina a tenere in piedi a livello nazionale come a livello locale.
Basti pensare alle traversie che hanno contrappuntato tutto l'iter della formazione di questa Giunta: la crisi apertasi praticamente con l'approvazione dello Statuto e cioè il 10 novembre dell'anno scorso ufficialmente dichiarata l'8 gennaio di quest'anno, trova soluzione solo il 9 marzo; e quante volte in questo lasso di tempo si è rimesso tutto in discussione: programma, divisione degli Assessorati, rapporti di forza.
Quante volte si è stati sul punto di rompere? Ricordiamo quella seduta, per certi versi drammatica, in cui il Capogruppo socialista denunciò con voce emozionata che l'accordo era naufragato. Lo stesso Capogruppo socialista in quella seduta annunciò addirittura un fatto verificatosi all'interno del nostro Consiglio, che rompeva gli schemi tradizionali dei rapporti fra le forze della maggioranza di centro sinistra. Annunciò cioè la costituzione di una specie di fronte laico che comprendeva PSI, PSDI e PRI in contrapposizione alla D.C. Per un momento sperammo che la D.C. trovasse in sé la capacità di uscire da una situazione insostenibile e la forza di assumersi le sue responsabilità di partito di maggioranza. L'accordo invece fu raggiunto in extremis e la composizione della Giunta, la ripartizione degli Assessorati, taluni passi importanti del programma che ci è stato presentato rivelano come ancora una volta il partito di maggioranza relativa si sia arreso alle esigenze dei suoi alleati marxisti ed alle prepotenze delle sue correnti filomarxiste.
Mentre dobbiamo esprimere il nostro apprezzamento per le considerazioni espresse nel programma riguardo all'autonomia delle province ed al riconoscimento delle funzioni che esse, d'ora in avanti ancor più di ieri dovranno svolgere quali soggetti di un bene inteso decentramento e quali punti di raccordo tra le articolazioni amministrative pluricomunali e le Regioni, d'altra parte devo rilevare che intervenendo nella discussione svoltasi in questo Consiglio sul documento contenente le linee politiche programmatiche della Giunta che dovevamo poi eleggere, io mi auguravo che nella successiva esposizione programmatica la Giunta volesse precisare i modi con i quali sarebbe intervenuta per eseguire un esame obiettivo delle ragioni che hanno determinato gli attuali squilibri nello sviluppo socio economico della Regione ed indicare con quali interventi intende avviare a soluzione i problemi che minacciano il soffocamento del Piemonte, come quelli della montagna, dell'abbandono delle campagne, dell'asfissia dell'agricoltura, dei nuovi insediamenti industriali. La nostra attesa è stata delusa, il programma è del tutto lacunoso a questo riguardo. Poco si dice riguardo anche agli strumenti operativi che verranno costituiti per conseguire il nuovo sviluppo. Soprattutto non è stata dissipata la nostra preoccupazione che scaturisce dalle esperienze già compiute, che hanno visto quegli stessi istituti che da noi si vogliono realizzare, come la Finanziaria pubblica, l'Ente nazionale dei trasporti e l'Ente di sviluppo agricolo, trasformarsi in altrettanti carrozzoni ed in centri di clientelismo politico ed economico.
Pur nutrendo preoccupazioni di tal natura, non vogliamo, come suol dirsi, fasciarci la testa prima di essercela rotta, giudicheremo la Giunta dai fatti, dal metodo e dalle scelte. La nostra sarà un'opposizione intransigente sul terreno politico, costruttiva su quella delle azioni.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana, ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, lo stato di evidente prostrazione di tutti noi dopo quattro ore di dibattito, mi vietano di far carico al Consiglio di un intervento eccessivamente lungo sulle molte cose che si potrebbero dire sia per ciò che riguarda il documento presentatoci dal Presidente della Giunta, sia in merito agli interventi che ho avuto modo di ascoltare.
Devo confessare, con molta franchezza, d'essere rimasto in parte sopraffatto, quasi traumatizzato dal modo in cui questo dibattito è andato avanti. Ero venuto speranzoso che il Presidente della Giunta potesse validamente ricacciare indietro le obiezioni da me rivoltegli dopo l'illustrazione della prima traccia programmatica della Giunta stessa "materializzando" nella nuova parte programmatica i problemi di cui si è avuta largamente eco da ogni settore del Consiglio. E' una speranza invece andata del tutto tradita e dirò poi, nel dettaglio, cercando di essere sintetico, il perché. D'altro canto, ciò che mi ha disorientato, messo in uno stato di incertezza, è il fatto che nel dibattito si siano sentite le interpretazioni più diverse, rese dagli oratori del centro-sinistra nel modo più divergente, più caotico e più contestativo rispetto a un elemento generale di omogeneità politica che dovrebbe esistere nel quadro dell'alleanza di centro sinistra e che invece non esiste, neppure all'interno del partito il quale costituisce il perno di questa alleanza.
Il collega Dotti ha portato una tradotta di argomenti rovesciati sulle incerte trincee della Giunta in un modo da far pensare costituisca, nella sua intenzione, un'indicazione di come non dico si possa formulare un programma di Giunta (perché da questa "tradotta" non viene fuori un programma) ma di come, almeno quantitativamente, si possano depositare di fronte a un Consiglio una massa di problemi, in parte peraltro (almeno nelle loro linee generali) non nuovi e ampiamente ritrovabili, per esempio in pubblicazioni edite da quella associazione che si chiama "Piemonte Italia", ed in altre consimili.
Ho sentito il collega Menozzi muovere una furibonda carica di cavalleria contro la politica agraria di questi 26 anni (si è parlato di "stato anarcoide" della condizione agraria) con enunciazioni anche di posizioni che lo candiderebbero, sia pure alla lontana, ad un avvicinamento ai partiti di classe; se non fosse che il collega Menozzi ha dimenticato di parlarci di alcuni argomenti di fondo (che richiamava prima di me un altro collega del gruppo comunista, trattando dei problemi dell'agricoltura) come la Federconsorzi, la Coltivatori diretti, i rapporti fra questi enti e la Fiat, il non impegno dei Governi (che non sono stati nella sinistra in questi 26 anni). Comunque, l'intervento del collega Menozzi muoveva in una direzione non so quanto compatibile, almeno per la prima parte del suo intervento, con una serie di considerazioni contenute, sia pure in modo estremamente vago, all'interno del documento del Presidente della Giunta.
So che nelle sedute in cui, per ragioni di forza maggiore, non ho potuto essere presente, i colleghi Nesi, Viglione e Garabello hanno svolto interventi in chiave critica, con sfumature diverse, ma in chiave critica rispetto alla relazione del Presidente Calleri. Mi chiedo da che cosa scaturisce questa relazione. Mi chiedo se è il frutto di un personale contributo del Presidente Calleri al Consiglio (il che sarebbe un fatto assolutamente strano per il Presidente di una Giunta avente caratteristiche collegiali) e se i colleghi assessori non hanno fornito alcuna indicazione alcun momento di riflessione collettiva dai quali il Presidente potesse trarre elementi concreti per non riportarci in aula una semplice dilatazione del primo documento programmatico con tutte le sue genericità ma per affrontare invece i problemi della Regione Piemonte attraverso un confronto con gli elementi che sono protagonisti della realtà della Regione, di quel Piemonte che, come è stato detto, è assente dalla sua relazione. Io posso avere, come ho, profonde ragioni di dissenso con una serie di colleghi appartenenti al nucleo assessorile della maggioranza dell'esecutivo, ma non posso credere che questi colleghi abbiano così disatteso i loro impegni e le loro responsabilità da non essersi fatti carico, ciascuno per la sua parte, di tentare di portare dei contributi perché la piattaforma programmatica risultasse meno generica, meno elusiva.
So, ad esempio, che il collega Conti è impegnato seriamente (probabilmente riscontreremo poi dei dissensi nel momento in cui egli metterà in azione, per il lavoro che gli compete, il suo Assessorato) in una ricerca attorno ai problemi dell'assessorato affidatogli; ma non ne trovo quasi traccia nella relazione del Presidente Calleri. Sono convinto che l'Assessore alla Sanità non è rimasto alla vaccinazione preventiva antitubercolare ed a concezioni consimili, ma si è calato nella struttura nuova che questi problemi vanno assumendo, partendo dalla prima e fondamentale questione che in quest'aula ha trovato larga eco e non mi sembrano voci di forte dissenso, almeno per la stragrande maggioranza degli oratori intervenuti: cioè la questione della salute nella fabbrica, del come si interviene in questo campo. Non trovo riportate nella relazione le affermazioni in tal senso fatte non solo dalla minoranza ma anche da Consiglieri della maggioranza nel corso dei mesi di lavoro comune che abbiamo sinora svolto.



ARMELLA Angelo

Della vaccinazione mi ero proprio dimenticato! E' un buon suggerimento.



GIOVANA Mario

Ne sono lieto, ma penso ci sia qualche cosa che va al di là di questo perché saremmo a uno stadio preistorico, sui problemi della sanità, se stessimo ancora a considerarli da un punto di vista di tal genere.
Politica agraria. Anche qui ricostruiamo affermazioni che, certo ancora una volta ribadiscono la necessità di intervenire in una condizione precaria così generale del quadro dell'economia agraria del Piemonte. Il collega Dotti ha recato dei dati che errano per difetto nel dare un quadro della tragica condizione dell'agricoltura piemontese; ma non vi troviamo punti di riferimento reali, concreti per un discorso serio. Non è possibile venirci a presentare soltanto delle indicazioni di carattere generale sui problemi di una ristrutturazione agraria di cui si parla da anni, su cui si sono scritte biblioteche intere. Il problema dell'operatività, quello di calarsi in un'immediata azione di intervento, richiede un confronto con la realtà, ripeto, "materializzata" dei problemi, visti nella loro entità specifica e concreta.
Questo non è avvenuto, non ne esiste traccia nel documento del Presidente Calleri. Esiste invece un discorso, a mio avviso molto pericoloso su come funziona correttamente una democrazia di tipo rappresentativo tradizionale, nei rapporti fra potere legislativo e potere esecutivo. Alcuni colleghi prima di me, in particolare il collega Furia hanno fatto accenni molto pertinenti in chiave critica al tipo di impostazione fornita dal Presidente Calleri a questo capitolo. E, a buon diritto, il collega Zanone ha potuto dire che in quella prima parte c'è una concezione liberale dei rapporti di democrazia. Infatti, dalla relazione viene fuori una concezione storicamente statica dei problemi della democrazia, considerati in una prospettiva di fossilizzazione storica.
Tutto questo, dal taglio che ha dato il Presidente alla sua relazione appare strumentale per respingere ai margini il tema della partecipazione.
E' qui, a mio avviso, il dato di sostanza che caratterizza il suo discorso col richiamo alla correttezza della divisione dei poteri, allo svolgimento delle funzioni dei poteri in una democrazia rappresentativa (a parte il fatto che - me lo consenta il Presidente Calleri - anche se guardassimo come ci ha chiesto di guardare nel suo documento, alle esperienze parlamentari, la parte politica a cui egli appartiene non ha le carte troppo in regola per un discorso sulla correttezza dei rapporti fra legislativo ed esecutivo a livello di tali organi). Sono vuoti riempiti da elementi che si prospettano come pericolose interpretazioni delle funzioni dell'esecutivo, e in particolare delle funzioni che in esso si riserva il Presidente della Giunta. Non c'è traccia inoltre, nel documento, signor Presidente, di quella grande tensione culturale a cui lei fa richiamo. Essa pare non aver prodotto nulla nel pur lungo momento di riflessione che la sua Giunta si è concessa prima di prospettarci queste definizioni, le quali dovrebbero essere appunto conclusioni di carattere collegiale. Ci sono elementi, ripeto, estremamente rischiosi nel suo discorso circa l'impostazione delle strutture degli organi regionali. Viene ribadito l'affidamento della preparazione della parte programmatoria (anche questo di un'evasività assoluta) alla creazione di un ufficio del piano che, come giustamente il collega Furia obiettava, non si comprende se dovrebbe essere una sorta di superassessorato o che altro, tanto più in quanto è in relazione ad una programmazione la quale vive per ora di tutti gli elementi di genericità già richiamati.
Questa impostazione, ancora una volta, e non casualmente, fa sì che il dibattito, per la maggioranza, ma vorrei dire anche per la minoranza, abbia un carattere estremamente dispersivo, divenga una sorta di accademia nel momento in cui invece si avverte sempre più pressante l'esigenza di non screditare l'Istituto regionale mettendolo in una condizione di stallo che lo fa scomparire dinanzi agli occhi e alle attese dell'opinione pubblica.
E' questo di nuovo, signor Presidente, un dato di responsabilità che pesa in primo luogo sulle vostre spalle come maggioranza, ma che sentiamo anche noi come minoranza. Ed in questo senso sollecitiamo fortemente l'uscita da queste evasioni, da queste genericità. Vogliamo un confronto con dati di operatività sui quali potremo non essere d'accordo ma che comunque possono essere l'indicazione che la Regione muove i suoi passi, anche se in una direzione che consideriamo sbagliata. Su di essi ci riserviamo di dare le nostre indicazioni contrastanti con quelle della maggioranza; ma dovremo in ogni caso prendere atto, noi in quest'aula o la gente fuori, che la Regione cerca di camminare.
Oggi la verità è che noi qui, ma soprattutto la gente fuori, sa che la Regione non cammina, che continua a mordersi la coda all'interno del Consiglio su una serie di dichiarazioni di principio, di richieste che queste dichiarazioni di principio vengano riempite di contenuti e di contenuti che non vengono portati. E' certo che se non vogliamo eludere i problemi reali come accade per un documento di questo genere e per quello che l'ha preceduto, degli stati di dissenso che qui si sono manifestati anche da parte di forze interne alla maggioranza, è certo che è il dato politico preminente sul quale va posta la nostra attenzione; e questo dato è lo scollamento generale della formula di centro sinistra, il suo stato di decomposizione progressiva fortemente aggravato (lo richiamava il collega Furia e io sono d'accordo con lui) dall'ultima testimonianza del Consiglio nazionale della D.C. Ha scritto un'autorevole penna di un autorevole quotidiano socialista ligure che "è stata una svolta moderata"; io mi permetterei di dire che "è stata una svolta moderata in una linea di già accentuata moderazione, con delle punte di estremismo conservatore, per non dire pericolosamente reazionario".
Ed è in questo quadro che la formula di centro sinistra, già così strapazzata da vicende in cui permanentemente i partiti alleati della D.C.
hanno dovuto subire l'iniziativa conservatrice della D.C. stessa, in una fase in cui la D.C. si appresta ad un certo piegamento a destra, più accentuato in vista di scadenze anche elettorali; in questo quadro la formula dicevo, risulta più che mai sbriciolata, impotente a risolvere quella che doveva essere la ragione della sua nascita e della sua esistenza, cioè affrontare e portare a compimento le riforme ed il rinnovamento della società italiana.
Noi (non vuole essere una polemica retrospettiva con i compagni socialisti), quando lasciammo il PSI rifiutando la strada del compromesso con la D.C., non facemmo una profezia; sostenemmo una tesi che ricavavamo dalla valutazione della realtà storica, secondo un patrimonio di analisi largamente acquisito dal movimento operaio. Sostenemmo che nel momento in cui si andava al compromesso, con una forza così intrinsecamente conservatrice qual era ed è quella che costituisce il cuore e il nerbo della D.C., si sarebbero avute due conseguenze: non si sarebbero fatte le riforme e si sarebbero spaventati settori di ceto medio del Paese originando un pericoloso riflusso a destra. Ambedue queste situazioni sono alla base dello stato di progressivo decadimento della formula di centro sinistra.
Ecco perché non è possibile, in Piemonte come sul piano nazionale trovare dei momenti reali di composizione di un contrasto che non verte su elementi tecnici secondari, marginali, ma sull'impossibilità di conciliare delle volontà di riforma (che indubbiamente esistono nel PSI, nella stessa D.C., ne siamo convinti) con resistenze conservatrici di natura estremamente rabbiosa le quali trovano la loro espressione nell'alleanza di maggioranza preposta alla guida della D.C. e nelle componenti socialdemocratica e repubblicana che le ruotano attorno.
Sono queste le ragioni per le quali, signor Presidente, colleghi Consiglieri, non volendo ulteriormente tediarvi ed essendo d'altro canto stati toccati in modo specifico, in particolare dai colleghi e compagni del partito comunista, punti che io condivido e sui quali mi esimo dal ritornare, mi limiterò a concludere - visto che il collega Zanone ed altri hanno fatto riferimenti a molti adeguabili alla situazione - osservando che se un motto si addice oggi a questa formula di centro sinistra, nella Regione piemontese come nel piano nazionale, esso potrebbe essere la parafrasi della dichiarazione di Lutero "Non posso altrimenti". Senonch per Lutero si trattava di una scelta di coscienza, per voi è una scelta di necessità, in ragione degli interessi vincolanti che prevalgono all'interno della maggioranza di questo governo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, non nascondo un certo imbarazzo a prendere la parola (pensavo dovessi rinviare il mio intervento a mercoledì) in queste condizioni, dopo aver anche lasciato, in vista della chiusura della seduta che già si era protratta, smobilitare in parte il mio gruppo. Avverto comunque il dovere di cortesia per i colleghi che sono ancora presenti di cercare di non tediarli; la tentazione sarebbe quella di non parlare del tutto, sarebbe la forma più rispettosa verso gli altri e forse anche verso me stesso, perché si rischia, parlando in modo frettoloso ed incompleto, di essere giudicati per quello che si è detto, non esprimendo il proprio pensiero, od esprimendolo in modo un po' nervoso e drastico. Ma non facciamo preamboli, vediamo se riesco ad esprimere quel poco che ritengo di dover dire, senza passare i limiti della misura.
Dichiaro subito che non voglio assolutamente farmi carico delle risposte che la Giunta, o il suo Presidente per essa, deve dare innanzitutto per ragioni di riguardo e di correttezza nei confronti di chi ha, insieme al dovere, questa responsabilità e poi perché ritengo che ci siano cose da dire da parte di un gruppo come la D.C. sufficienti, senza svolgere questo ruolo.
Abbiamo sentito qui tutta una serie di interventi nel corso dei quali si sono dette cose interessanti, acute, intelligenti, battute di spirito altre che ci hanno depresso lo spirito, altre ancora che ce l'hanno sollevato magari nei momenti più opportuni, ma un po' tutto il discorso ha girato attorno a questa critica: la Giunta, il Presidente ha presentato alcune idee accettabili, alcune impostazioni teoriche accettabili, ha lasciato però dei vuoti (i vuoti sarebbero molto significativi anche dal punto di vista politico) e lì di seguito tutto un processo per dimostrare che questi vuoti sono stati determinati da motivazioni, scelte e finalità politiche precise.
Il Presidente della Giunta ha concluso la sua relazione, la relazione presentata a nome proprio e della Giunta, con queste parole: "Non è e non può essere un programma di cose e non ha voluto essere un inventario di esigenze, è invece un indirizzo ed una scelta su alcuni temi importanti per il presente della nostra esperienza regionale che sono e saranno certamente decisivi per il futuro della nostra Regione".
Io penso che un mese fa, 40 giorni fa, due mesi fa, quando si prospettava l'adempimento di un obbligo quasi statutario della Giunta eletta sulla base di un documento sintetico, con delle linee politiche - di presentare il proprio programma, noi si avesse presente il programma che ogni Giunta nel futuro della Regione avrebbe poi dovuto formulare e presentare, programma organico della sua attività per un'intera legislatura magari, una specie di programma di governo. Forse in parte ci è mancata la previsione del fatto che siamo in una determinata fase della costruzione regionale costituente, ma non operativa. In questo momento quindi il programma o le dichiarazioni della Giunta rispondono anzitutto ad un dovere costituzionale e non potevano non rispondere alla sensibilità e responsabilità che la Giunta deve presentare di fronte al Consiglio identificando i problemi essenziali e ponendo l'avvertenza di non farsi essa stessa portatrice di impostazioni generiche e velleitarie, quasi per riempire con le parole le competenze o le possibilità operative che ancora non sussistono, o quasi per mascherare le difficoltà.
Rileggendo il documento, rileggendolo perché al primo ascolto, per l'inevitabile distrazione poteva nascere qualche perplessità, devo dire che ho trovato espressa una più intensa volontà, una più precisa identificazione dei nodi da sciogliere o da tagliare perché la riforma regionale (la riforma delle riforme è quella regionale), abbia a progredire e a realizzarsi, a dare i frutti e le risposte che la situazione economico sociale reclama, che le attese e le spinte popolari indicano. Io non ho visto certo dei propositi elusivi, ancorché esplicita e voluta sia l'assenza di una trattazione specifica ed elencativa, la mancata redazione di un quaderno delle aspirazioni e dei desideri, quel quaderno che poi abbiamo riempito tutti insieme qui. Questo elenco formato attraverso gli interventi dei Consiglieri ha un significato ed una prospettiva che sarebbe stata diversa se proveniente dalla Giunta in sede di dichiarazioni programmatiche. Il rilievo critico è stato espresso forse per il prevalere magari non del tutto avvertito, di esperienze amministrative locali, di spirito rivendicativo, rilevando un atteggiamento dubitativo, come se il Presidente e la Giunta dubitassero delle possibilità di programmare o di fare le riforme o di realizzare la Regione. Non si può programmare dubitando, ha detto qualcuno, non si può seriamente programmare - diciamo noi - senza i poteri e gli strumenti, gli studi, la partecipazione organizzata. Noi non vogliamo redigere altri libri dei sogni. Oppure la relazione è stata vista come espressione di una volontà guardinga e conservatrice che pensa ai tempi lunghi. Il documento della Giunta, cioè dell'organo di governo che esprime la potestà esecutiva e particolari responsabilità di iniziativa, nel momento in cui la stessa condizionante approvazione dello Statuto, pur imminente, non è ancora avvenuta, non poteva non farsi carico di mettere innanzi tutto a fuoco ed in evidenza i problemi, i passaggi obbligati il cui corretto e tempestivo superamento realizza insieme la coerenza e la concretezza politica, aprendo davvero la via alle possibilità di affrontare non solo esprimendo giudizi, esprimendo voti, votando o.d.g., manifestando solidarietà (che è pure un modo non rinunciabile di svolgere un efficace ruolo politico e in mancanza di molti altri più concreti anche questo può essere sviluppato), ma in modo concreto e decisivo ed operativo, le realtà che possono essere assunte della Regione.
Nel momento in cui il Presidente e la Giunta decidevano di lasciare degli spazi e dei silenzi che potevano pur essere facilmente riempiti, come si è dimostrato nel corso del dibattito, si poteva forse strumentalmente rovesciare la situazione, sarebbe bastato qualche giorno di rinvio per scaricare sul Consiglio oltre alla relazione una serie di allegati più o meno completi, un pacco di carta. Ebbene, nel momento in cui si decideva di lasciare questi spazi, il Presidente, la Giunta si preoccupavano certo che l'urgenza di tante questioni così dette concrete ed il fatto che fossero presentate con le indicazioni di soluzioni dell'organo esecutivo, potessero suscitare attese che non è obiettivamente ancora possibile soddisfare nei tempi necessariamente brevi che sono e devono sempre essere assegnati all'esecutivo e provocare delusioni, con accuse facili di inadempienza o di velleitarismo. E noi non vorremmo un'istituzione che nasca velleitaria e che per le difficoltà dei temi e delle responsabilità che le sono propri assumesse la tendenza a sposare ogni giorno una buona causa che riguarda piuttosto responsabilità, di istituzioni e di momenti che, pur essendo regionali e quindi tutti presenti alla sensibilità di questo Consiglio riguardano meno le sue pur vaste (e che vogliamo interamente realizzate) competenze legislative ed amministrative.
Ma ritengo anche che la Giunta e il Presidente, anziché eludere in questa fase di approccio e di preparazione i temi specifici dell'agricoltura e della sanità, della formazione culturale o dell'Università, degli insediamenti industriali, della casa, della città e delle campagne, del turismo o della montagna, volesse suscitare ancora in questa fase, e giustamente, una discussione com'è avvenuto, ed un confronto nel Consiglio su tutti questi temi, proprio nel momento in cui affrontava essa pregiudizialmente la questione che caratterizza e che dà un significato all'iniziativa e all'azione politica dell'intera Regione l'acquisizione cioè delle potestà legislative, i modi, gli ostacoli, le difficoltà obiettive che si incontrano in questa fase, il contenuto dei decreti delegati per il passaggio delle funzioni amministrative l'occupazione, in sostanza, di tutto lo spazio costituzionale riservato alla Regione e di cui lo Statuto ha realizzato un'interpretazione insieme corretta ed evolutiva. Questo atteggiamento, nell'interpretazione correttamente consentita, nell'interpretazione che ne dà il gruppo della D.C., non esprime scetticismi, non esprime scelta per i tempi lunghi, ma la volontà ferma e seria di continuare a costruire la Regione secondo lo spirito, i contenuti e gli apporti che sono stati dati alla fase statutaria.
La verifica della qualificazione della volontà politica possiamo averla prima, nel modo col quale affrontiamo questa decisiva e delicata fase destinata a dare la giusta dimensione, lo spazio, la fisionomia alla Regione e ai suoi rapporti con lo Stato e gli istituti che lo rappresentano. Dobbiamo costruirci una credibilità, oltre che nei confronti della nostra popolazione, anche nei confronti del mondo parlamentare, di tutte le forze politiche, degli organi di Governo, degli organi e dei ceti amministrativi, di un'opinione pubblica, di un mondo della cultura, di un mondo dell'informazione e della stampa. E quale mezzo migliore è più efficace di quello che ci vede portatori di proposte articolate, di iniziative legislative, di schemi di decreti in cui la volontà e il dovere di conferire alla Regione integrale il suo ruolo si accompagnino alla concreta esclusione di ogni tentazione disarticolante nei confronti dello Stato e delle sue funzioni, alle prove della chiarezza d'impostazione e quindi di capacità, preventivamente dimostrata attraverso questa via, ad assolvere subito e bene ed armonicamente le funzioni che la Regione reclama? E in questa direzione noi camminiamo e alla conclusione di questo dibattito ci troveremo pronti ancora una volta, nel solco di questa attività costruttiva e costituente, ad approvare un documento che sintetizza sostanzialmente il momento politico della Regione, il suo confronto con lo Stato, con realtà politiche, culturali, obiettive, che non è un problema soltanto di cattive volontà, ma di difficoltà che in qualsiasi contesto politico si troverebbero quando si compia una riforma di questo livello. Ed è inutile che andiamo fuori del seminato nel momento in cui questo compito determinante, decisivo per le sorti della Regione è davanti a noi.
E allora io bene ho capito la preoccupazione e l'atteggiamento del Presidente della Giunta e non posso fargli certo un processo alle intenzioni perché non ha parlato di tante importanti e belle cose. Gli era più facile, forse gli era molto più facile parlare di queste altre cose che portare tutti a discutere concretamente, seriamente di quello che è il tema sul quale varrà la nobiltà della Regione e di coloro che ne portano le responsabilità in questo momento. La verifica della volontà politica in ordine ai settori e alle competenze specifiche, dunque, è pure anche questa desiderata e sollecitata (e il mio gruppo ha dato le prove che ha saputo e che ha potuto dare, brillanti nella generalità dei casi). La verifica si è avuta attraverso gli interventi di tutti i Consiglieri della maggioranza anche se abbiamo sentito alcune cose - ad esempio sull'intervento del Capogruppo socialista collega Nesi - che tendono a forzare quello che è il punto di vista di un partito, che ha una sua precisa fisionomia e autonomia, come critica aperta, come una dissociazione di responsabilità.
Io ho riletto l'intervento del Consigliere Nesi e non ho trovato accenti e propositi di questa natura. E anche qui non mi permetto di fare un processo alle intenzioni a chi fa delle nette e precise dichiarazioni. Siamo una coalizione nella quale ci sono partiti con fisionomie così ben distinte e nette che possono dar luogo a momenti anche di tensione e di difficoltà, ma proprio in questo dibattito posso dire che non ho rilevato momenti di sfaldamento, di scollamento, di dissoluzione come si vorrebbero dall'opposizione trovare, confondendo le speranze con la realtà.
Devo invece, per incidente, con tutta cordialità osservare che sono a questo riguardo un poco contradditori alcuni interventi di opposizione i quali, dopo una premessa che è sembrata un po' di maniera e di comodo, sul presunto carattere elusivo, teorico e di principio delle dichiarazioni del Presidente, sono passati alle indicazioni di una serie di problemi e questioni, ora minuti e particolari, ora di maggior rilievo, ma che attengono piuttosto ad una sollecitazione di tipo amministrativo o all'espressione di giudizi e di esigenze politiche, contestative, da processo alle intenzioni, senza l'indicazione, la ricerca l'identificazione degli strumenti, dei mezzi, del quadro giuridico e dei tempi in cui operare. Certo sentiamo e condividiamo la convinzione che l'istituto regionale, come ogni organismo politico vivo, realizza e fa politica concreta ed efficace anche con quell'azione di guida, di indirizzo, di stimolo, di pressione che è capace di muovere i comportamenti umani, da quelli dei singoli a quelli delle organizzazioni sociali, a quelli che si immedesimano negli Enti locali o nelle amministrazioni statali. Ma questa azione di guida e di stimolo, quest'azione trainante che noi sollecitiamo e rivendichiamo per la Regione, ha il suo momento di verità, di identificazione, di autorevolezza, la sua base nella presenza di un'organizzazione cui si possa far riferimento nell'esercizio effettivo e sentito di poteri precisi determinati e riconoscibili; in sostanza la nostra credibilità, anche per quest'azione politica trainante che mi trova perfettamente consenziente, la si ha se possiamo scendere veramente all'operatività e non solo farci declamatori e proclamatori di buone cause.
La dichiarazione programmatica dunque affronta e svolge il problema centrale ed attuale, condizionante ogni futuro sviluppo dell'azione regionale, e sollecita, per la difficoltà e la misura degli ostacoli, una concentrazione di attenzione e di sforzi, proprio perché il passaggio al concreto non sia illusorio, non sia anzi un puro compenso psicologico e verbale ad una frustrazione che ci potrebbe prendere se non sapessimo superare quell'altro momento. Non escludiamo, non rinunciamo, non svalutiamo l'impegno alla specificazione, il lavoro di approfondimento, di studio, di ricerca che gli assessori, che i gruppi consiliari, che i singoli Consiglieri verranno e dovranno fare; per troppi di questi settori ci sentiamo preparati a discutere, ma ancor più a tradurre in provvedimenti, in leggi, in atti le soluzioni che ci vengono dal contatto quotidiano con una realtà che è popolare e democratica e che non ci consente di raccogliere il giudizio di essere rappresentanti della conservazione. Certo non siamo immuni dai momenti di impazienza, anche noi perché avvertiamo l'urgenza, la necessità liberante dell'azione, la necessità di affermare una capacità operativa e decisionale e risolutiva che abbia almeno la velocità delle cose in movimento, delle trasformazioni in atto per le campagne e per le università che scoppiano. E' ben presente la consapevolezza e la volontà, in questi giorni di celebrazione dell'anniversario della Resistenza, che le istituzioni si rafforzano non con gli slogans e la retorica, ma con i contenuti, con il contatto, la partecipazione, il sentimento delle cose comuni che lega un popolo democratico alle sue istituzioni, difese se sono condivise, efficienti se sono provvide. La Regione stessa è una tappa di un popolo che ha ripreso nelle sue mani il proprio destino e che non accetta di esserne confiscato da gruppi, da apparati, da vecchie e nuove classi. E' così che il nostro giudizio positivo, il nostro impegno a far proseguire un'azione costruttiva, diviene anche atteggiamento di fermezza e di ottimismo, nella convinzione che la pace, la libertà e il progresso civile non sono, non possono essere il risultato dei "no" e dei "basta". Ci sono anche i "no" e i "basta", per la violenza che è sempre senza idee e per l'inerzia che ne è il risultato, ma come frutto dei sì, delle scelte e delle decisioni.
Così, quando abbiamo sentito affrontare i problemi che riguardano l'assetto territoriale, l'urbanistica, la programmazione, è venuta anche a noi la sollecitazione a toccare qualche tasto che riguarda la nostra sensibilità personale. Altro che sopprimere l'ufficio del piano, sembra inoltre che ci sia qualcosa da aggiungere e da integrare o da organizzare nell'ufficio del piano, per esempio una robustissima sezione urbanistica che realizzi e manifesti una rivalutazione anche culturale dell'urbanistica, che ha avuto un momento quasi totalizzante in cui gli urbanisti si sentivano gli architetti della società e del mondo, che sembravano assorbire nella propria disciplina tutte le altre attività umane e sono ad un certo momento scaduti sotto questo profilo nei confronti dell'opinione pubblica, quasi nel ridicolo. Ma proprio in questo momento in cui sembra prevalere in modo eccessivo l'aspetto economico della programmazione, io credo che i concetti, i criteri di una disciplina urbanistica, potranno offrire a monte di queste soluzioni, delle indicazioni corrette. E quindi è una sollecitazione personale questa, alla Giunta, che certo troverà facile accoglienza e che si dia un particolare spazio a quest'impostazione.
Si è anche detto: di tanti temi, di tanti argomenti che poteva trattare, il Presidente della Giunta ha trattato solo quello dell'ecologia.
E no, questa trattazione ha avuto un suo significato prima di tutto perch in questo momento drammatico l'argomento si pone a monte di tutti gli altri problemi di programmazione economica e di soluzione di quelli specifici, in secondo luogo perché se c'era da esprimere un indirizzo e un impegno di carattere sociale e morale qualificante in ordine all'attività di programmazione, questo doveva e poteva essere fatto a titolo esemplificativo, proprio partendo da questo elemento, anche se non realizza in sé molte delle competenze che sono attribuibili o conquistabili da parte della Regione Ma proprio attraverso ad una rivalutazione dell'urbanistica che invece materia di competenza regionale è, ecco che l'ecologia troverà tutto il suo spazio.
Respingiamo poi l'accusa che si sia inteso, con una dichiarazione di questo tipo, respingere ai margini la partecipazione e i rischi della partecipazione. Intanto tutto il comportamento del gruppo di maggioranza riguardo al problema della soluzione dell'organizzazione del lavoro del Consiglio e della sua strutturazione nelle Commissioni, dei modi come si atteggeranno queste Commissioni, contraddice ad un processo alle intenzioni di questo genere. Certo l'efficienza, la capacità operativa e l'esercizio dei propri compiti da parte del governo regionale e dell'esecutivo problema che il governo si pone proprio nell'ambito di un'assemblea e di un istituto che ha i poteri legislativi, sono legittime preoccupazioni; non c'è una visione antidemocratica o parapresidenziale. Ecco, queste democrazie, appena devono prendere decisioni, appena hanno bisogno di camminare un pochino svelte, subito sentono il bisogno di allargare, di dissolvere il momento della responsabilità per infiniti rivoli. No, questo non avverrà, non deve avvenire nell'istituto regionale, ma questo non mortificherà affatto i compiti del Consiglio perché se la programmazione è posta al centro, se l'attività legislativa è posta al centro, tutto passa attraverso il Consiglio. Si tratterà di esaltare la capacità e la responsabilità d'iniziativa della Giunta che più direttamente è a contatto con posizioni di sintesi con i problemi. Il rischio non è tanto quello che la Regione si trasformi in un governatorato, quanto quello di un ente che può correttamente e compiutamente informare, che può interpretare e raccogliere stati d'animo e richieste popolari, che le può patrocinare indirizzare, ma che si arresta (il rischio è questo) alle soglie di una concreta capacità operativa diretta ed incisiva, capace di essere riconosciuta come tale, perché è qui che l'istituto regionale conquisterà la sua definitiva credibilità.
Pertanto tralascio una quantità di cose che avevo segnato e che ritenevo di dover sottoporre al Consiglio, mi basta testimoniare davanti al Consiglio qual è lo spirito con cui il gruppo della D.C. intende condurre avanti questa battaglia: piena valutazione e piena valorizzazione dei poteri del Consiglio, piena valorizzazione dei poteri delle Commissioni piena valorizzazione dei rapporti con gli Enti locali, integrale sforzo per mantenere più ampi, i più estesi contatti con le realtà sociali e con l'opinione pubblica, ma corretta e tempestiva assunzione delle responsabilità man mano che si presentano. Non dissoluzione di un rivolo infinito di attività e di atteggiamenti che diminuirebbero il tono della nostra attività regionale. Qualcuno dell'opposizione ha detto: "Noi non abbiamo timore che la Giunta svolga la sua funzione, noi siamo anzi qui a sollecitare; non abbiamo timore che la Giunta prenda le iniziative, anzi ci dispiacciamo se gli organi non funzionano, ma certo respingiamo una funzione, una concezione di questi rapporti tra l'esecutivo ed il legislativo che...". Mi è sembrato di capire questo, "in sostanza, ogni volta che vorrete concordare, stabilire, discutere e definire con noi quello che intenderete fare, andrà bene tutto; nel momento in cui il dissenso dovesse radicalizzarsi non andrà più bene, diventerà un attentato ad una corretta impostazione dei rapporti tra gli organi della Regione".
Non è stato detto e quindi non vorrei fare neanche in questa direzione un processo alle intenzioni, a me è sembrato di capire che sia così. Si respinge da un lato il regime assembleare e dall'altro lo si reclama nei fatti. Questo noi non vogliamo né in diritto né in fatto, ma tutto ciò che abbiamo scritto insieme nello Statuto lo vogliamo con le altre parti. Siamo sicuri che il ruolo di ciascuno dei Consiglieri attraverso le Commissioni attraverso il Consiglio, attraverso il confronto sui problemi concreti sarà pieno, non frustrante, non mortificante, non vanificante. Soltanto affrontando, giorno per giorno, il problema che deve essere risolto guardando lontano ai compiti, alle finalità e alle attese che sono attorno alle Regioni, acquisteremo della credibilità. Effettivamente i discorsi generali e generici, le somme in cui si mettono insieme tutte quante le cose rispondono ad un'urgenza che è dentro di noi ed è quello di poter operare ampiamente di fronte all'urgenza e alla grandiosità e alla complessità dei problemi, ma il modo migliore di contribuire efficacemente a consolidare questa istituzione, a darle un volto, è quello di non eludere sostanzialmente quei problemi, quelle responsabilità che sono immediatamente di fronte a noi.
Commenteremo se sarà il caso, se ci sarà offerta l'occasione, anche il documento che si presenterà (penso, a votare) su quelle che sono le rivendicazioni, l'atteggiamento della Regione in ordine al problema delle deleghe delle funzioni amministrative, della tutela delle potestà legislative, dei rapporti tra Regione e Stato. Siamo anche noi dell'avviso che la Regione Piemonte debba essere vicina e presente con le altre Regioni nel condurre e perseguire questa battaglia, ma non assumendo l'atteggiamento dei cartelli contestativi nei confronti dello Stato, bensì assumendo un atteggiamento costruttivo, che si faccia carico del problema come è visto dall'altra parte, che non è un'altra parte conservatrice rispetto a una parte innovatrice che sarebbe - "guarda se ci è comoda questa veste rappresentata solo da noi", - un altro aspetto di una responsabilità diversa che è quella di condurre a giusti traguardi la democrazia nel nostro Paese.



FURIA Giovanni

Il cartello contestativo viene da parte della Regione.



BIANCHI Adriano

Noi dobbiamo saper operare con fermezza, chiarezza di idee, con precisione di proposte perché se questo cartello rischia di costituirsi nei fatti attraverso le situazioni che tutta una storia ha accumulato fin qui noi potremo facilmente smontarlo. Rischieremo invece di irrigidirlo dandogli un contenuto, una sostanza politica se l'atteggiamento delle Regioni, coalizzate insieme, apparisse come un assalto per ripartire delle spoglie senza farsi carico delle conseguenze disarticolanti, distruttive che deriverebbero da un disfacimento della struttura statale.
Preoccupazione questa che può essere seriamente condivisa anche da chi ha responsabilità diverse dalle nostre. Camminando quindi su questa strada, di comune accordo, vorrei sperare possa d'ora in avanti sempre più verificarsi il confronto dialettico su relazioni specifiche. Allora sì parleremo anche dell'agricoltura, non di tutta l'agricoltura, ma di un problema dell'agricoltura; non di tutta l'industria, ma di un problema dell'industria, non di tutta la sanità, ma di un problema della sanità.
Potremo così confrontarci su problemi specifici e precisi e allora si vedrà chi è conservatore e chi non lo è, perché ci sono delle posizioni secondo le quali certi equilibri sarebbero avanzati per definizione, mentre si dà poi il caso, che questi equilibri avanzati per definizione, storicamente finiscano nelle forme più rigidamente reazionarie. Non basta quindi che una determinata soluzione sia patrocinata dal sindacato a) o b) dal gruppo politico a) o b), perché sia quella ideale per gli interessi autentici dei lavoratori. Quanti errori colossali sono stati compiuti su questa strada! Ebbene, scendiamo al concreto e confrontiamoci. Noi siamo sereni sull'esito di questo confronto.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare l'ultimo oratore di questa serata, il collega Berti. Ha facoltà di parlare.



BERTI Antonio

Chi osservasse dal di fuori questo dibattito potrebbe essere tratto in inganno se non lo collocasse in una situazione storica direi, rappresentata da questo primo anno di vita della Regione. E credo che una precisazione vada fatta, almeno per quanto riguarda il nostro punto di vista.
Noi di fatto stiamo discutendo come se ci trovassimo di fronte ad un governo regionale titolare di un indirizzo politico, il che non è vero. Non sviluppo qui tutta la polemica contro quella parte della relazione del Presidente (che tra l'altro altri hanno già fatto, se sarà il caso lo faremo anche noi) relativa al fatto che il costituente ha individuato nella Regione lo stesso metodo del Parlamento, ma mentre l'art. 95 della Costituzione fissa al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di dirigere la politica generale del Governo e ne è responsabile, questo non c'è per la Regione, il cui organo esecutivo (è detto esplicitamente) è emanato direttamente dal Consiglio, non è nominato da un organo esterno e non è affatto titolare di un indirizzo politico. Quindi c'è un vizio di forma e il tipo di discussione, ripeto, potrebbe indurre in errore. Noi stessi saremmo in contraddizione con quanto affermiamo se non ci collocassimo invece nella situazione in cui operano le Regioni impossibilitate a legiferare per i ritardi noti, denunciati nella relazione, ma che comunque erano già alla base delle decisioni del Governo di centro sinistra quando ha ritenuto opportuno ritardare di due anni l'attività legislativa delle Regioni, se all'interno di questo quadro di responsabilità nazionale non si collocassero anche le responsabilità degli Enti locali che per mesi e mesi hanno posticipato la discussione di un indirizzo programmatico che sarebbe stato corretto con le norme costituzionali se si fosse espresso nel primo dibattito generale, là dove il confronto fra le varie politiche ha portato alla definizione di una maggioranza. Pertanto noi ci rivolgiamo alla Giunta perché nella particolare situazione in cui ci siamo venuti a trovare nel lavoro della Regione oggi siamo di fronte a un programma che non poteva che essere emanato dalla Giunta e ancora su problemi di carattere amministrativo perché appunto è carente tutto il resto: non ci sono Commissioni, non c'è potere legislativo, ecc. E' quindi in questo ambito molto delimitato di possibilità di operare che la discussione si svolge ed è in questo senso che discutiamo del programma che la Giunta ed il Presidente hanno preparato.
Riteniamo di dover riprecisare che per quanto ci riguarda questa non è la formula che deve essere acquisita, non ci troviamo di fronte ad un governo titolare di una politica, ma il programma della Regione sarà quello che risulterà dall'attività di tutto il Consiglio Regionale: progetti di legge della Giunta, del Consiglio e delle forze esterne. Da questa capacità di produrre leggi e atti amministrativi, da questa capacità di mobilitare un vero arco di forze si determina un programma generale della Regione di cui è organo esecutivo la Giunta. Questo a nostro avviso, e per dirla in modo molto schematico, è l'assetto operativo entro cui si collocano l'attività della Regione Piemonte e in generale delle Regioni italiane.
Mi pare che questo andasse detto, proprio perché vogliamo far corrispondere a quella parte della relazione del Presidente, abbastanza lunga, in cui la questione viene ripresa a livello di dichiarazione programmatica, una nostra posizione precisa per altro verso già espressa oralmente in altra occasione, che ha il pregio di rifarsi alla Costituzione e quindi ad un testo inoppugnabile.
Fatta questa premessa, il mio compito non è quello di precisare alcuni punti emersi dal dibattito, per trarre delle conclusioni e fare alla Giunta e al Presidente delle domande molto precise a cui vorremmo si rispondesse.
La Giunta e il Presidente hanno il diritto di rispondere e di disquisire se vogliono, su tutti i problemi che ritengono validi, ma in particolare chiediamo che si dica "sì" o "no" a certe questioni che poniamo e che sono emerse dal dibattito.
La prima considerazione è la contraddizione, palese direi, di cui credo il Presidente abbia preso atto, comunque lo invitiamo a farlo, che c'è fra la relazione presentata e il tipo di dibattito. Io non discuto delle questioni di riforma, delle questioni programmatiche, non pongo problemi di carattere operativo, di scadenze, di azioni, di iniziativa, sollevo alcune questioni di carattere di principio generale.
Garabello ha detto che sarebbe velleitario intervenire nel merito perché non essendoci le leggi si farebbe dell'accademia, anche se poi (lo ha già rilevato Furia), intervenendo nel merito ha poi comunque di fatto contraddetto la sua dichiarazione iniziale. Non sappiamo ancora se la relazione è presentata dal Presidente o dalla Giunta, secondo me è ancora da chiarire se è collegiale, abbiamo visto sovente parlottare gli Assessori mentre i Consiglieri intervenivano, ma ancora non abbiamo avuto il piacere di sentirli dire quali sono le loro opinioni. Non so se lo faranno in sede di replica o se avremo altre occasioni per ascoltarli. Noi eravamo autorizzati, personalmente ero autorizzato a pensare che la relazione ponesse questioni concrete, cosa che non ha voluto fare per una scelta che mi permetterò di contestare più avanti. Pensavo per esempio che il Presidente della Regione, che ha partecipato, visibilmente interessato, ad un incontro con i consigli di fabbrica della Michelin e delle Ferriere avendo là assunto un contegno molto interessante e positivo in appoggio alle rivendicazioni degli operai, con l'impegno di introdurre queste rivendicazioni nel programma operativo che si apprestava a preparare introducesse questi impegni nel programma operativo stesso che distinguiamo, non è poi stato un programma operativo, ma un'ennesima dichiarazione programmatica su problemi di carattere generale. Il Presidente sa che noi siamo attenti lettori dei giornali e sull'Avvenire di giovedì 15 aprile abbiamo letto: "Oggi al Consiglio Regionale il piano sanitario. Si discutono le proposte della Giunta". Probabilmente l'Assessore interessato aveva preparato un proprio piano, lo aveva trasmesso ed era talmente sicuro che avrebbe fatto parte della relazione che lo diede al giornale il quale lo pubblicò; naturalmente poi non vide una parola di tutto questo nella relazione del Presidente.
E' per questo che ci sentiamo autorizzati a pensare ad una relazione che (è un problema della maggioranza più che nostro) volutamente non ha tenuto conto degli sforzi che i vari assessorati hanno compiuto; l'esempio del giornale è una dimostrazione palese che quanto meno l'assessorato alla Sanità aveva preparato una proposta di piano, una proposta di politica operativa della Giunta, tanto da darla ad un giornale che l'ha pubblicata.
Il Presidente non ne ha tenuto conto. Ci sentiamo autorizzati quindi a pensare che questa - e riprendo la mia affermazione fatta all'inizio del dibattito - non è una discussione sul programma della Giunta, è un'interpretazione personale del Presidente della Giunta.
La risposta quindi, che verrà dal dibattito, è del Presidente o della Giunta? Noi pensiamo che ci debba essere una risposta precisa possibilmente che risponda alle posizioni di tutte le componenti politiche della Giunta.
Che cosa può avere spinto il Presidente della Giunta (io mi scuso se anche se sono l'ultimo e se è tardi, non rinuncio ad alcune delle questioni che volevo approfondire, spero che almeno l'opposizione rimanga, visto che i sette della maggioranza stanno già diventando sei) che cosa può averlo spinto a questo? Secondo me emerge abbastanza chiaramente, nella posizione del Presidente della Giunta, un tentativo che io vorrei spiegare. Non so se è un tentativo consapevole, fedele ad una linea segreta sua che non emerge ancora in modo esplicito, ma che traspare di fatto se si collegano tutte le cose assieme. Il Presidente della Giunta nella sua relazione, gliene abbiamo dato atto, ha levato un grido di allarme sulla situazione delle Regioni e pare dire: è inutile che stiamo qui ad approfondire i temi, a proporre questa o quell'altra soluzione, la realtà è una sola, che la Regione, per colpa del Governo (non lo dice esplicitamente, ma è implicito) oggi non è in grado di funzionare, noi non potremmo dare una risposta; c'è stata ancora un'eco dell'avvocato difensore d'ufficio Bianchi questa sera sempre brillante ma quasi sempre votato alla difesa di cause perse (almeno in quest'aula, sappiamo quanto sia valente invece nella sua attività professionale); so anche che non corrisponde completamente al suo pensiero quello che ha detto, ma è una... Non voglio assolutamente e mi scuso se ho interpretato male il suo pensiero.
A questo punto il discorso sembra seguire questa linea: la Regione non può operare, quindi viene a mancare l'elemento principale per cui è stata creata, che è quella di legiferare. Se la Regione non può fare delle leggi viene a mancare completamente quella funzione storica di cui lei parla nella relazione che consentirebbe di approdare ad una gestione diversa da quella dello Stato, fondata sulla partecipazione ecc. ecc... Principio validissimo, certamente. Dov'è che la cosa incomincia a sollevare qualche perplessità? In parte ha già detto Furia di questo, parlando di mistificazione, se non erro. A me pare si incominci a teorizzare su questa questione per raggiungere altri obiettivi. Si prende lo spunto da una questione essenziale, certamente, e noi dobbiamo raccogliere questo grido di allarme (farò delle proposte in seguito a questo proposito). Si parte da un elemento giusto della situazione, che deve essere vista nella sua drammaticità, per approdare poi a delle conclusioni che paiono collocare l'attività concreta della Regione Piemonte non in funzione di azione positiva per superare questi pericoli, ma per giungere invece a risultati di ordine amministrativo, quelli possibili oggi, che di fatto (come risulta chiaramente dall'intervento del collega Nesi e da altre cose che sentiamo) praticamente sembrano già impegnare di fatto la Regione in atteggiamenti in attività di riforma che possono rendere vana una futura attività legislativa della Regione. In sostanza il discorso potrebbe essere questo: la distinzione continua che si fa, la teorizzazione, il fatto che si scriva nella relazione, nettamente questa volta, quasi a rimarcare l'efficienza della Regione che ci sarebbe nella misura in cui sono chiari i rapporti dell'esecutivo della maggioranza, tema ricorrente da sempre, dall'inizio di questa attività, nelle relazioni del Presidente della Giunta. E qui mi sembra incominci a rispondere a un suo disegno, o meglio a un suo modo di vedere la vita della Regione, ma che contrasta di fatto con lo Statuto e con quanto a parole si dice di volere accettare, dalle lotte dei lavoratori, dal Paese in generale, cioè il rifiuto di questo stato. Direi che storicamente è sbagliato anche il suo riferimento al tipo, al modello parlamentare che oggi la società civile rifiuta perché incapace di recepire le istanze che vengono dal Paese. Noi non accettiamo questo paragone continuo col Parlamento, perché non si può accettare. Non è valido per l'attività della Regione, bisogna andare oltre bisogna interpretare anche la Costituzione in modo da rispondere positivamente alle cose che sono state il frutto delle grandi lotte sociali del 1968, del 1969 e che hanno permeato la nostra prima fase costituente e il nostro Statuto.
Ma il filo conduttore porta a questo risultato, secondo me molto pericoloso, perché se alla Regione, cioè se al Consiglio tocca il compito di fare le leggi, allora in questo senso si esplicheranno tutte le energie interne ed esterne per fare della Regione quello strumento nuovo come lei dice. Alla Giunta, all'esecutivo toccano le funzioni amministrative. A parte che lo Statuto parla di iniziativa sui temi amministrativi della Giunta, il che implicitamente vuol dire portarli in Consiglio. Noi l'abbiamo già più volte fatto, non credo necessario tornare sulla questione per specificare ancora, ma la cosa comincia a diventare preoccupante quando sentiamo per esempio Nesi parlare della metropolitana, del centro di commercializzazione, quando sentiamo citare la Regione nella montagna negli organi finanziari; sappiamo che rappresentanti della Regione, sia pure a livello di rappresentanti di banca, discutono dei problemi di cui si parla; il Consigliere Dotti ha citato qui lo "shopping center", che è uno di quei primi anelli del nuovo servizio terziario e ha una dimensione molto più estesa, una parte di un disegno che poi Dotti ha espresso molto chiaramente, che è il disegno di "Piemonte Italia", di certe forze economiche e politiche del Piemonte e che pare concretizzarsi nei contenuti degli atti amministrativi che la Giunta invece assume, la Giunta e il suo Presidente. E' qui allora che la cosa comincia ad essere preoccupante perché in carenza di possibilità di atti legislativi da parte della Regione esistendo soltanto possibilità di carattere amministrativo, ecco che la questione emerge in tutta la sua gravità. Se la Giunta si ritiene essa soltanto, il suo Presidente portatore di questa politica amministrativa, da questo punto di vista passato nelle questioni che amministrative non sono ma investono il futuro della Regione. E noi siamo a chiederci perché e come qualcuno può sentirsi autorizzato a parlare di impegno della Regione nei diversi campi della distribuzione, dell'assetto del territorio, o che so io, a definire strumenti, a proporre, senza che di questo mai se ne sia parlato nel Consiglio Regionale.
E l'osservazione di Furia circa il fatto che lei signor Presidente mentre è così parco di contenuti nei suoi interventi in Regione, nei vari convegni esterni parla sempre dei contenuti è giusta. Mi dirà: ma io lo faccio a titolo personale, come rappresentante di partito. No, lei lo fa come rappresentante della Regione non soltanto a parole, ma in quanto già interviene. Cito per tutti il convegno dell'area metropolitana Torino Regione Piemonte. Chi l'ha deciso, su quale linea? La Regione come va a questo convegno? O non è forse il convegno dei comuni dell'area ecologica dell'area metropolitana di Torino, se si vuole? E quindi il Comune, la Provincia e i comuni della cintura torinese devono essere presenti. Ma non bisogna forse andare a un convegno del genere attraverso una ricerca collegiale di tutte le forze rappresentate, anche a livello di governo, nei comuni dell'area ecologica? Oppure i tre personaggi: Presidente della Giunta, sindaco di Torino e Presidente della Provincia si riuniscono e decidono di convocare un convegno? Per cosa? Per raggiungere quali obiettivi? E' lecito chiedersi che iniziative del genere siano discusse nel Consiglio Regionale per andare eventualmente con due relazioni, una di maggioranza e una di minoranza qualora non si arrivasse ad un indirizzo unico. Questo è il metodo corretto; ecco il tipo di rapporto tra esecutivo e maggioranza. Non è, collega Bianchi, che noi saremmo sfavorevoli, ci opporremmo quando il no alle nostre richieste fosse troppo netto, non è questo. Credo voglia farci grazia di pensieri così limitati. Abbiamo detto più volte che cosa è per noi il confronto: il confronto non pretende mai di approdare a risultati unitari, senza di che non è confronto, va fatto su diverse posizioni. Ecco il tipo di discorso che non emerge, è il suo modo signor Presidente, di presentarsi a questa assemblea, dopo otto mesi di attività, dopo i convegni a cui ha partecipato, dopo i convegni a cui hanno partecipato gli Assessori a livello nazionale sulla casa, sulla salute ecc., ignorando di fatto ognuna di queste questioni per proporre dei problemi di carattere generale. Questa è la scelta che, del resto mi consenta, il Consiglio ha rigettato. Lei dovrà pur prendere atto che la sua scelta, della Giunta e personale (è un problema vostro) è stata ripresa dal Consiglio. Il maggior numero dei nostri interventi erano scontati, ma non quelli che provengono dai banchi della maggioranza sui contenuti, parlo di quelli socialisti che si sono contrapposti, quasi a significare ancora (se ce ne fosse bisogno), l'equilibrio molto incerto su cui regge questa maggioranza. Non riprendo il discorso dei nuovi equilibri rifiutati dal Consiglio nazionale della D.C., i nuovi equilibri visti come un tipo di rapporto con i comunisti. No, più avanzati equilibri e rapporti con i problemi del Paese, questo è il discorso. Se lei fosse venuto, signor Presidente, con una relazione incentrata essenzialmente sui temi di riforma della casa, della salute, del turismo, della scuola, ecc. forse avrebbe verificato usi contenenti un altro tipo di maggioranza; questi sono gli equilibri più avanzati, cioè quelli che si stabiliscono dal confronto aperto sui temi che sono oggetto oggi della lotta delle masse lavoratrici.
Ecco i nuovi equilibri verso cui occorre andare, altrimenti non si va avanti e voi D.C. non siete capaci di risolvere questo problema. Questo tentativo del Consiglio D.C. è in parte riuscito, ma voi non riuscite a risolvere i problemi che invece premono e che per essere risolti, così come nella stragrande maggioranza del Paese, portano ad equilibri più avanzati che sono le soluzioni che i lavoratori richiedono per le loro questioni.
Fatta questa premessa che ci ha portati a questo tipo di interventi, io limito quest'ultima parte del mio discorso ad alcune richieste precise: la prima è quella che riguarda i decreti delegati, cioè la parte della relazione che abbiamo giudicato importante, positiva e che ha gettato il grido di allarme. La nostra critica ha tuttavia rilevato che, fatta questa denuncia, occorre andare avanti, ma non vogliamo fare un processo al passato, ci interessa andare avanti anche se sarebbe importante fare un processo. Fatta la denuncia occorre vedere come proseguiamo su questa strada, che cosa opponiamo alle forze che stanno premendo l'attività della Regione. I compiti sono diversi, ognuno opera all'interno del proprio partito, di maggioranza, di centro sinistra e la questione investe la D.C.
i socialdemocratici, i compagni socialisti che sono parte di questo governo di centro sinistra, ma investe anche la Regione. C'è una mozione, di cui ha parlato anche il Consigliere Bianchi, che noi vorremmo si votasse, attesi tutti i contributi che potranno essere portati, per intanto produrre un documento che potrebbe essere inviato a tutti i comuni per esempio, per far sapere come la Regione si muove. Ma noi proponiamo qualcosa di diverso oggi signor Presidente, noi le chiediamo di esercitare un diritto di iniziativa di cui abbiamo parlato diverse volte, che forse può presentare qualche difficoltà ma che colloca la Regione in modo nuovo: le chiediamo di convocare un'assemblea regionale di tutti i comuni, di tutte le province.
Non l'abbiamo mai fatto questo, ma se lei crede veramente a quel grido di allarme che ha gettato, e se crede veramente che ci stiamo giocando la Regione oggi, proprio per le cose che ha detto, lei non può non assolvere a questa funzione di direzione e di iniziativa quanto meno degli Enti locali.
Noi le chiediamo che inviti entro il mese di maggio (se c'è la volontà politica si superano anche difficoltà di carattere organizzativo) tutti i comuni del Piemonte, le province ad un grande incontro, magari al Teatro Alfieri, in cui la Regione ponga il problema dei decreti delegati e prema nel modo politico il più democratico possibile nei confronti di quelle forze ministeriali e burocratiche perché i diritti delle Regioni a legiferare siano rapidamente ottenuti. Questa è la prima richiesta. E le chiediamo, signor Presidente, di dirci sì o no, di non perdere del tempo.
Io potrei citare qui le mozioni presentate, ce n'è una di due mesi fa della mia compagna Fabbris e di Raschio circa la conclusione di un o.d.g. del Consiglio che sul problema dei trasporti si impegnava a convocare una conferenza regionale dei trasporti, un impegno sempre disatteso. Se non lo vuole fare, se ritiene di non poterlo fare dica "no, non lo faccio per queste ragioni". A quel punto noi vedremo come comunque far partecipare i comuni a questa azione da cui non possono esser esclusi. Partecipazione vuol dire non soltanto partecipazione ai diritti, ma anche alle iniziative per ottenere i diritti, in questo caso ciò che vi proponiamo credo possa essere accettato senza produrre rivoluzioni in nessun campo, senza collocarsi in funzione contestativa, ma esercitando un diritto costituzionale, che è quello appunto di contare in questa fase per la costruzione di un nuovo modo di gestire il Paese.
Per i controlli noi abbiamo fatto nella nostra mozione delle proposte precise: che l'istituto dei controlli sia pubblico, che alle riunioni degli organi di controllo sia sempre assicurata la facoltà agli Enti locali di parteciparvi, anche per un eventuale confronto in contraddittorio; che siano organizzate conferenze periodiche alle quali partecipino gli organi di controllo, gli Enti locali, la Regione ecc. e una serie di altre cose che non leggo per brevità. In particolare la nostra mozione propone al Consiglio di deliberare perché sia subito messo in funzione il Comitato regionale per il controllo sugli atti delle province e sugli enti ospedalieri (in questo senso risponde la delibera che ci è proposta), di fissare il momento e le modalità del trapasso delle funzioni; di fornire al Comitato una sede adeguata i cui membri e i dipendenti possano agevolmente lavorare; di convocare una conferenza con gli amministratori degli Enti locali interessati, con la presenza della Giunta e del Consiglio di indire incontri con i funzionari direttivi, il segretario generale e il direttore degli enti sottoposti al controllo regionale, per esaminare compiutamente il problema delle procedure, quantità di delibere da inviare invitando alla loro efficiente semplificazione; di indire incontri con i funzionari dirigenti di uffici periferici statali che potrebbero assicurare pareri all'organo regionale di controllo, in attesa che la Regione abbia al proprio interno strumenti adeguati; di formare un organico snello e qualificato, assumendo su comando personale delle amministrazioni provinciali e comunali; infine di istituire sei sezioni decentrate nei capoluoghi di provincia per il controllo sugli atti.
Noi le chiediamo signor Presidente, sulle questioni di contenuto e soprattutto sulla costruzione delle sezioni decentrate, quando, come e in quali tempi, lei, la Giunta ritiene di rispondere a queste esigenze, come fatto in altre Regioni, al di là dello Statuto (su cui occorrerebbe fare un discorso per vedere a che punto è).
Si è parlato molto dei temi di programmazione, non entro nel merito faccio solo alcune proposte. Osservo che il dibattito in generale si è un po' estraniato dal dibattito politico vero e proprio, i vari interventi peraltro interessanti, salvo quello di Furia non hanno tentato di inquadrarsi nel contesto politico in cui stiamo operando. Si è parlato del Mezzogiorno. Lei ha avuto un incontro a Roma l'altro giorno, ha espresso una opinione, vorremmo sentire quale; la domanda è questa: quando si riunirà il Consiglio (la domanda la facciamo a lei e al Presidente del Consiglio), per esprimere un giudizio sul problema del Mezzogiorno in generale e in particolare sulla legge del Governo sul rifinanziamento della Cassa del Mezzogiorno e sulla questione degli incentivi e disincentivi? Vorremmo una data, possibilmente precisa, da concordare, quanto meno un impegno da prendere con i Capigruppo entro il mese di maggio.
Attesa la grande importanza che ha l'attuale piattaforma rivendicativa della Fiat, di cui ha parlato il compagno Furia, io le chiedo qui, perch lei risponda possibilmente in modo preciso, se non ritiene di invitare come Regione, ad un incontro il consiglio dei delegati Fiat per vedere come la Regione può collocarsi al fianco di una iniziativa che comunque investe i problemi dello sviluppo economico del Paese ed essenzialmente investe la più grande industria motrice, la Fiat, su cui si pongono problemi essenziali di controllo, senza i quali nel nostro Paese si programma niente.
E' stata avanzata una proposta di incontro tra la Regione Piemonte, la Commissione bilancio della Camera e la Fiat, per conoscere preventivamente le scelte di investimento e localizzazioni che la Fiat intende compiere in Piemonte e nel Paese. E' in rapporto con la domanda precedente. Noi sappiamo (leggiamo riviste economiche ecc. abbiamo delle notizie) che i piani della Fiat sono enormi, investono un po' tutta l'Italia, dal Veneto al Centro Sud, al Piemonte, alla Francia in un quadro che sta prendendo forma e di cui parleremo credo presto avendo acquisito tutti gli elementi di questo mosaico che dimostra come, mentre noi parliamo di programmazione di possibilità di intervenire, le forze economiche preponderanti stanno già operando per un loro piano, in tutti i sensi. Lo dimostreremo nel corso di un prossimo dibattito, a meno che la Giunta non voglia anticipare le sue opinioni, se le ha.
In rapporto sempre alla programmazione e ferme rimanendo tutte le questioni che riguardano la programmazione nazionale e l'esigenza che il Consiglio dibatta le questioni che ad essa sono collegate, in rapporto al fatto che occorre aprire il dibattito sul piano di sviluppo economico piemontese, ma soprattutto in rapporto ad alcuni fatti concreti che ci sono, riprendo una proposta qui fatta da vari Consiglieri: le conferenze di comprensorio. Il comprensorio non potrà essere ancora ben definito, ma credo sarebbero interessanti; chiediamo quindi quando possibilmente, come con quale metodo, si potrà arrivare almeno a tre conferenze di comprensorio: del tortonese, di Cavallermaggiore, di Crescentino possibilmente anche del Biellese, dove esistono problemi molto seri. La Regione convoca e va con i comuni, anche quando i comuni non dovessero essere elemento positivo. Ecco l'osservazione che mi si può fare: se facessimo la conferenza di comprensorio dei comuni attorno a Cavallermaggiore forse da quei comuni avremmo una spinta alla ricezione di investimenti di localizzazione industriale. Ma allora a questo punto la Regione non può rinunciare ad esercitare una sua funzione che è anche di scontro, ma per orientamenti giusti. Ecco perché le chiediamo di risponderci possibilmente in modo preciso se è d'accordo di convocare il più rapidamente possibile queste conferenze di comprensorio, quanto meno per le questioni che abbiamo posto.
Infine ci sono ancora i temi collegati alla lotta per le riforme. Noi affermiamo che il modo migliore per battersi contro il pericolo che lei ha denunciato signor Presidente, non è quello di denunciare e poi di ritirarsi in buon ordine, o magari tentare di risolvere all'interno della direzione D.C. i contrasti cui lei fa cenno, ma è quello di collegarsi ai problemi veri. E allora la riforma delle Regioni e che è il più grosso tema, si collega organicamente ai temi specifici e settoriali della riforma. E allora la lotta sua, se la vuole fare, la nostra, andrà avanti con il concorso della lotta che viene dalle masse lavoratrici che non a caso quando parlano di riforma sanitaria, di riforma della casa, dei tributi ecc. collocano sempre la Regione come elemento fondamentale attorno a cui si articola una nuova politica. Il modo per battere le resistenze del Governo è quello di collegarsi con questo elemento di lotta che viene dal Paese, dalle fabbriche per esercitare un proprio diritto di esprimere delle opinioni sui singoli temi o provvedimenti che il Governo sta per varare che in parte ha già varato e che come lei ha detto escludono di fatto un potere legislativo per delegare essenzialmente un potere amministrativo. Ma allora ecco, ritorno all'inizio del mio intervento: la sua relazione è carente perché facendo una scelta lei poi non è stato conseguente, non ha capito che non è un problema di scelta tra la denuncia dei ritardi del Governo e la discussione sui contenuti dei temi di riforma. No, la scelta è una sola, la lotta per le riforme che colloca Regioni e contenuti assieme e dalla stessa parte. E' un grande scontro politico che si svolge nel nostro Paese e che vede insieme tutte le forze, gli organismi, gli strumenti che hanno rapporti con i lavoratori e che vogliono veramente fare avanzare una politica di riforme.
Ecco perché noi chiediamo che il più rapidamente possibile i temi di riforma e in particolare le proposte di legge che il Governo si appresta ad emanare per la casa, per la salute, e comunque ogni altra proposta sia immediatamente portata intanto al vaglio delle Commissioni (che vogliamo siano poste immediatamente in funzione) per una disamina la più serena, la più approfondita possibile o le loro conclusioni siano portate al dibattito del Consiglio Regionale.
Unisco a questo anche l'argomento dei trasporti. C'è stato un convegno ieri, credo che i Sindacati abbiano invitato la Giunta ad un contatto perché dovrebbero esprimere le loro conclusioni. Io vorrei sentire quando la Giunta ritiene di poter prendere questo contatto. Da questo punto di vista pertanto le nostre proposte di rapporti fra esecutivo e maggioranza credo vorrete prendere atto, il ruolo promozionale su queste questioni è della Giunta, alla quale noi lasciamo la più ampia autonomia. Su questi temi noi vogliamo possibilmente una risposta precisa.



PRESIDENTE

La discussione sulle dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta è chiusa.


Argomento:

Seguito della discussione del programma della Giunta

Argomento:

Annunzio di interrogazioni


PRESIDENTE

Vi sono alcune interrogazioni. Prego il segretario Consigliere di darne lettura prima di chiudere la seduta.



ROTTA Cesare, Segretario

Dà lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.



PRESIDENTE

Il Consiglio Regionale è convocato nel palazzo delle Segreterie per due sedute che si svolgeranno mercoledì 28 aprile p.v. alle ore 11 e alle ore 16 con il medesimo o.d.g. della seduta odierna.
Vi sono osservazioni? Non ve ne sono. E' approvato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 22,30)



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