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Dettaglio seduta n.37 del 22/04/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta


PRESIDENTE

Prego un Segretario Consigliere di dar lettura del verbale della precedente seduta.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura del processo verbale dell'adunanza pomeridiana del 20 aprile '71.



PRESIDENTE

Se non vi sono osservazioni il verbale s'intende approvato. Non vi sono osservazioni: il verbale è approvato.


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Borello, Giovane Nesi, Carazzoni e Debenedetti.


Argomento:

Sull'ordine del giorno


PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Bono.



BONO Sereno

Pregherei la Presidenza di dare la precedenza alla discussione dell'ordine del giorno presentato dai Consiglieri di Novara sul processo della Rhodiatoce, perché, essendo la sentenza prevista già per domani o dopodomani, l'ordine del giorno stesso perderebbe qualsiasi valore e significato se non venisse votato nella seduta odierna.



PRESIDENTE

Personalmente, non ho difficoltà ad accogliere la proposta di invertire l'ordine di trattazione fra i punti 3 e 5 all'ordine del giorno. Se non vi sono obiezioni la proposta può essere accolta, data la giustificazione che ha.



BIANCHI Adriano

Non conosco l'oggetto dell'ordine del giorno.



PRESIDENTE

Fu presentato nella seduta precedente un ordine del giorno sottoscritto dai Consiglieri regionali della provincia di Novara, di tutti i Gruppi, che si riferisce ad un procedimento giudiziario di cui è prevista per domani la conclusione. Era stato iscritto all'ordine del giorno di oggi per essere effettivamente discusso e deliberato oggi. Se si seguisse l'ordine proposto per i nostri lavori odierni, dato che certamente non si potrà esaurire il punto 3 dell'o.d.g.: "Seguito della discussione ecc." non si giungerebbe di sicuro alla sua discussione e votazione, essendo inserito al punto 5. E' stato pertanto richiesto di dare la precedenza all'esame di questo punto 5, ad evitare che venga vanificato l'intento di tempestività che ci aveva indotti ad iscrivere l'argomento all'ordine del giorno dei nostri lavori odierni.
Vedo che non vi sono osservazioni. Allora la richiesta del Consigliere Bono è accolta.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno del Consiglio Regionale circa la questione dei lavoratori della Rhodiatoce


PRESIDENTE

Prego un Consigliere Segretario di dare lettura dell'ordine del giorno dopo di che qualcuno dei presentatori, se lo crederà opportuno, potrà illustrarlo. Si procederà poi alle deliberazioni in merito.



ROTTA Cesare, Segretario

Do lettura del seguente ordine del giorno: "Il Consiglio Regionale preso atto che il processo di disinvestimento industriale nell'Alto Novarese ha generato, e continua a generare, profonda tensione sociale nelle fabbriche ed in tutti gli strati socialmente attivi della popolazione, riconosce che le lotte popolari e sindacali hanno sempre teso a svolgersi nell'ambito di una corretta prassi democratica, rispettando interamente lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana esprime la propria solidarietà ai 49 lavoratori della Rhodiatoce che per essersi battuti per migliori condizioni di lavoro e per la difesa dell'occupazione e dello sviluppo di Verbania sono ora sottoposti ad un procedimento giudiziario auspica un equo giudizio della Magistratura, che riporti la serenità nelle famiglie dei lavoratori verbanesi e che riconosca la funzione sociale e di difesa del patrimonio nazionale che viene esplicata dalle lotte cittadine in difesa dell'industria e dell'economia locali. Bono, Borando Fonio, Sanlorenzo, Cardinali".



PRESIDENTE

Desidera illustrarlo, Consigliere Bono? Ha facoltà di parlare.



BONO Sereno

Signor Presidente, signori Consiglieri, il processo che si sta svolgendo in questi giorni a Verbania, e che, come è detto nell'ordine del giorno, coinvolge 49 lavoratori, ha mobilitato in segno di solidarietà con questi lavoratori non l'intera città ma tutta la provincia di Novara in modo unitario. Esso parte da fatti che traggono la loro origine dalla gravità della situazione socio-economica dell'Alto Novarese; da quel processo di disinvestimento, continuo e perdurante, delle industrie, che ha provocato gravissimi colpi alla situazione occupazionale ed ha fatto aumentare notevolmente il numero dei lavoratori disoccupati e di coloro che sono costretti, per trovarsi un lavoro, a recarsi all'estero .
Questo processo di smobilitazione industriale ha determinato anche una situazione di pesantezza e di difficoltà per gli altri lavoratori tuttora occupati, i quali sono costretti a lavorare in ambienti che non sempre sono corrispondenti alle norme igieniche, con ritmi di lavoro insopportabili e spesse volte dovendo combattere il mancato rispetto da parte dei padroni delle norme contrattuali. E se i lavoratori protestano, com'è avvenuto recentemente alla Rhodiatoce, si tenta il ricatto con le serrate, con la minaccia di chiusura delle fabbriche, con la minaccia di licenziamento.
In questo contesto generale, tanto carico di tensione politica e sociale, che vede da un lato i lavoratori intenti a difendere la propria ragione di vita e dall'altro i padroni occupati, senza scrupoli, solamente del proprio profitto, è andata maturando, attraverso una serie di sfacciate provocazioni, che si sono determinate in quella zona e nell'intera provincia di Novara, anche la montatura di questo processo.
Ad ogni manifestazione di lotta dei lavoratori della Rhodiatoce ormai è invalsa l'abitudine, da parte della direzione, di dichiarare la serrata.
Infatti, la lotta del settembre del 1970, quella dalla quale sono scaturiti questi fatti, è stata determinata dalla dichiarazione di una serrata da parte della direzione dopo appena dieci minuti che i lavoratori avevano iniziato uno sciopero di due ore. Questa pratica della serrata è stata attuata ancora in occasione dell'ultimo sciopero nazionale del 7 aprile ragione per cui i lavoratori hanno denunciato alla Magistratura la direzione dell'Azienda. Quando, dopo quaranta giorni, la lotta, condotta nei mesi di settembre e ottobre, con la massima disciplina e con il massimo senso di responsabilità da parte dei lavoratori, stava per concludersi con la firma a Roma di un accordo, ecco arrivare le denunce, i mandati di cattura e gli arresti, nei confronti dei lavoratori. In questo contesto generale, in questo susseguirsi di provocazioni, anche aperte, si viene a collocare anche l'ultimo episodio, quello dell'incendio doloso di poche settimane fa, incendio che è servito solamente ai padroni e ad alcuni loro servitori per denunciare il movimento di lotta, i lavoratori.
Con questo ordine del giorno noi non intendiamo interferire nel giudizio della Magistratura, ma solo compiere un atto di doveroso riconoscimento delle ragioni che costringono i lavoratori alla lotta: intendiamo dare atto ai lavoratori della disciplina e della maturità che essi hanno sempre dimostrato nel condurre le loro battaglie, attestare l'alta funzione sociale e stimolatrice di progresso che è propria delle lotte stesse; intendiamo esprimere la nostra totale solidarietà ai lavoratori colpiti ed alle loro famiglie, e contemporaneamente condannare gli atti provocatori di qualsiasi genere, capaci solo di portare inutili inasprimenti della situazione, come atti contrari agli interessi stessi dell'azione dei lavoratori, oltre che allo stile ed al costume delle lotte operaie.
L'ordine del giorno che abbiamo presentato è sottoscritto da tutti i Gruppi democratici inviati in questo Consiglio Regionale dai lavoratori della provincia di Novara: siamo convinti che su di esso otterremo anche l'adesione di tutti quegli altri Gruppi democratici che sono presenti in questo Consiglio anche se non in rappresentanza diretta della nostra provincia.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Pur non avendo conoscenza diretta e personale della vicenda della Rhodiatoce, mi associo volentieri all'espressione della più ampia solidarietà nei confronti del mondo del lavoro di una zona che è esposta ad una situazione di notevoli difficoltà, che inaspriscono inevitabilmente gli animi creando situazioni di tensione nelle quali è facile anche momentaneamente valicare i limiti oltre i quali un'azione diventa reato pur senza averne il proposito e l'intenzione. Dichiaro, quindi, la mia personale comprensione, sul piano umano, di atteggiamenti che possono anche essere stati motivo di dubbio in ordine all'incriminazione che ne è seguita; provo fondamentalmente un senso di solidarietà, che mi porta ad auspicare che la soluzione di questi problemi avvenga secondo correttezza nello svolgimento del confronto sindacale, correttezza nell'atteggiamento di chi ha le maggiori responsabilità di direzione dell'azienda, e correttezza, come sempre, quanto meno nei propositi, da parte delle forze del lavoro e delle forze sindacali.
Nell'esprimere questa solidarietà, che investe innanzitutto, e prima di tutto, l'aspetto umano, sociale, economico della situazione, avrei per qualche momento di incertezza in ordine alla formulazione dell'ultimo periodo dell'ordine del giorno, che rischia di non suonare in modo sufficientemente efficace all'orecchio di chi deve poter decidere e giudicare in totale serenità e senza interventi che possono essere intesi in modo errato, con conseguenze non favorevoli. Poiché noi abbiamo sempre ribadito e confermato il principio del pieno rispetto dell'autonomia della Magistratura, che non significa che la Magistratura debba essere avulsa dalla considerazione delle realtà sociali e storiche nelle quali si svolgono i comportamenti umani, il nostro intervento può essere rispettoso solo nel senso di un richiamo ad aver presenti nella loro totalità, nel loro peso, nella loro importanza, le sollecitazioni, le motivazioni di comportamento che vengono da una così pesante e dura situazione, che tocca le persone dei lavoratori, le loro famiglie, il loro avvenire, le loro condizioni.
Mi permetterei, pertanto, di formulare la proposta di una lievissima modifica all'ultimo punto, per esprimere questo nostro concetto, in questi termini: "Auspica nel pieno rispetto dell'autonomo sereno giudizio della Magistratura una conclusione della dolorosa vicenda che riporti la serenità nelle famiglie..." perché "auspica un equo giudizio della Magistratura" secondo l'attuale dizione, significa formulare già noi un giudizio di merito su comportamenti specifici. Mentre anche in un contesto generale potrebbe esserci un comportamento specifico di un singolo - che è un cittadino, in quel caso, non è né un lavoratore né un non lavoratore - che potrebbe essere irrimediabilmente contrario alla legge. Il presupporre, dal punto di vista formale, che il giudizio della Magistratura possa essere volutamente iniquo, suonerebbe giudizio offensivo nei confronti di un potere che costituisce una istituzione fondamentale di uno Stato democratico.
Quindi, associandomi allo spirito dell'ordine del giorno, proporrei a nome del mio Gruppo questa modifica.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare ora il Consigliere Viglione. Poi darò la parola al Consigliere Fassino.



VIGLIONE Aldo

Anche noi abbiamo già sottoscritto, attraverso i nostri Consiglieri di Novara, l'ordine del giorno.Eravamo anche stati nella zona al momento dei fatti ora oggetto di giudizio, e ci eravamo resi ben conto del declassamento economico cui andava fatalmente incontro tutta quella parte del Novarese in conseguenza dei gravissimi episodi successi nelle fabbriche.
Ora da parte del Procuratore della Repubblica si sostiene con pervicacia, con durezza, che il diritto è quello che è, e va applicato in qualsiasi condizione. Da parte nostra si sostiene invece che la certezza del diritto è una cosa, la situazione economica di una zona è un'altra.
Quegli operai che oggi sono sotto processo lottavano, e lottano, per la rinascita dell'economia di tutta quanta una provincia, di tutta quanta una zona. Con questo ordine del giorno noi intendiamo dunque dire alla Magistratura che quando una zona si declassa economicamente come quella zona del Novarese si va declassando, le lotte che si conducono tendono ad un miglioramento di tutta la società: non si può guardare soltanto alcuni fatti che poi non sono rispecchiati nei capi di imputazione nella loro effettiva realtà di svolgimento. Nel caso specifico, migliaia di lavoratori che manifestavano ovviamente hanno ingombrato le strade, la stazione ferroviaria, il porto. Che cosa avrebbero dovuto fare questi lavoratori? Assistere impassibili, senza scendere in lotta per tentare di opporvisi, al declassamento economico della zona del Novarese? E' così che viene rispettato il diritto sancito dalla Costituzione per i cittadini di intervenire, di avere poteri decisionali, capacità formativa, rispetto ad un problema economico, sociale e politico di una zona? Per questo vogliamo dire oggi alla Magistratura, con questo ordine del giorno, che deve decidere serenamente, tenendo però presente che si deve a quella lotta di quegli operai se quella zona, per il momento almeno, è stata salvata. Spetterà ancora alla classe lavoratrice della provincia di Novara e dell'intera regione Piemonte far qualcosa affinché questa zona non venga ulteriormente declassata ma vi abbiano invece a rinascere, a rifiorire le industrie, le possibilità di lavoro, nell'interesse di tutti i cittadini.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Fassino. Ne ha facoltà.



FASSINO Giuseppe

Il Gruppo liberale si associa a quanto ha poco fa dichiarato il collega Bianchi. A nome dei componenti il mio Gruppo, propongo però una brevissima sospensione dei lavori perché si possa concordare insieme un testo di ordine del giorno che possa rispecchiare quanto ha detto l'avv. Bianchi e che anche noi pensiamo. Dichiaro che se questa sospensione non potesse essere accordata, posto di fronte all'ordine del giorno nel testo che ci è stato sottoposto, il Gruppo liberale non potrebbe che astenersi.



PRESIDENTE

Prima di concedere la sospensione do ancora la parola al Consigliere Cardinali, che l'ha richiesta. Penso che il suo sarà l'ultimo intervento su questo punto.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

Non intendo dare una ulteriore illustrazione dell'ordine del giorno, ma esprimere su di esso il punto di vista del Gruppo cui appartengo.
Abbiamo sottoscritto l'ordine del giorno perché i fatti che si sono verificati nel Verbano sono indicativi di una situazione che non può essere più ulteriormente tollerata. E' evidente che nel momento in cui per centinaia di famiglie di lavoratori vengono meno le condizioni di lavoro ed avanza lo spettro della disoccupazione, con tutto ciò che ne consegue, non è possibile avere una visione serena e delle manifestazioni che ne conseguono e soprattutto del tipo di lotta che può conseguirne.
Ciò premesso, tenendo conto che in realtà intemperanze non ve ne sono state, ma se mai c'è stato il dilagare di una protesta che ha assunto gli aspetti massicci che ha illustrato or ora il collega Viglione, ritengo che il problema sul quale dobbiamo soffermare la nostra attenzione sia questo questi problemi verranno risolti solo quando i lavoratori potranno realmente riconoscersi nello Stato democratico. Se noi non creeremo gli strumenti di intervento, e intervento immediato, che restituiscano ai lavoratori la fiducia nello Stato democratico, e la convinzione che attraverso l'azione dello Stato democratico i loro problemi possono trovare adeguata soluzione, correremo sempre il pericolo di trovarci di fronte a situazioni di tensione. Queste nel caso di Verbania si sono mantenute in limiti di correttezza, ma potrebbero altrove trascendere oltre questi limiti. Noi quindi auspichiamo proprio che dalla politica di riforma, dalla politica avanzata verso le classi lavoratrici da parte dello Stato derivi la possibilità che i lavoratori si riconoscano nello Stato, essi stessi parte dello Stato, per la risoluzione dei loro problemi.
Oggi noi non abbiamo strumenti sufficienti per tutto questo. Ricordo che a Verbania si sono riuniti successivamente, dopo i fatti che abbiamo segnalato, Sottosegretari, Parlamentari eccetera, senza che si sia purtroppo fatto un passo avanti in questa direzione. Non basta, infatti, la presenza di Sottosegretari e Parlamentari per far giungere a soluzione problemi che devono invece avere la soluzione in un'organica visione programmatoria. Ma la questione di fondo è che non è concepibile che in una società moderna i lavoratori debbano essere esposti, nel momento stesso in cui entra in crisi un'azienda o in cui si appalesa una situazione di difficoltà nell'economia, alla minaccia di dovere sostenere essi soli tutto il peso delle conseguenze che ne derivano, di trovarsi di fronte lo spettro della disoccupazione e dell'inerzia.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa per cinque minuti. Prego però i Consiglieri di rimanere in aula, in modo che si possano riprendere i lavori non appena sia stato raggiunto un accordo sul testo dell'ordine del giorno.



(La seduta sospesa alle ore 16,40 riprende alle ore 16,45)



PRESIDENTE

La seduta è riaperta, poiché mi risulta che i vari Gruppi hanno raggiunto un accordo su un testo comune. Pregherei il Consigliere Bono, che ha scritto a mano le correzioni, di voler dar lettura del testo modificato.



BONO Sereno

"Il Consiglio Regionale del Piemonte preso atto che il processo di disinvestimento industriale nell'Alto Novarese ha generato, e continua a generare, profonde tensioni sociali nelle fabbriche ed in tutti gli strati socialmente attivi della popolazione riconosce che le lotte popolari e sindacali hanno sempre teso a svolgersi nell'ambito di una corretta prassi democratica, rispettando interamente lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana esprime la propria solidarietà ai lavoratori della Rhodiatoce, che si battono per migliori condizioni di lavoro e per la difesa dell'occupazione e dello sviluppo di Verbania; nel pieno rispetto dell'autonomo e sereno giudizio della Magistratura, auspica una conclusione della vicenda giudiziaria che riporti la serenità nelle famiglie dei lavoratori verbanesi e che riconosca la funzione sociale e di difesa del patrimonio nazionale che viene esplicata dalle lotte cittadine in difesa dell'industria e della economia locale".



PRESIDENTE

Questo il testo concordato da tutti i Gruppi attualmente presenti in Consiglio. Se nessun altro chiede di parlare lo pongo in votazione. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato.
Sia ben chiaro che il Consiglio Regionale del Piemonte non intende interferire nell'azione in corso davanti alla Magistratura; ma, non potendo rimanere, davanti a gravi conflitti sociali ed economici, indifferente o neutrale, ha ritenuto di dover esprimere unanimemente la propria opinione su questi conflitti.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Discussione del programma della Giunta (seguito)


PRESIDENTE

Torniamo adesso all'ordine precedentemente stabilito per la nostra discussione, venendo al seguito della discussione sul programma della Giunta.
E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, nella relazione del Presidente della Giunta due materie assai importanti, e di competenza diretta e primaria della Regione sono state trascurate, se non addirittura dimenticate. Mi riferisco all'agricoltura ed alla sanità e sicurezza sociale.
Molteplici possono essere le ragioni che hanno portato il Presidente ad imboccare questa strada. Non si può certo pensare a dimenticanza: sarebbe una tesi inverosimile, dal momento che la Regione si misurerà, nella sua capacità partecipativa, operativa, democratica, proprio su questi due grandi temi che la Costituzione repubblicana le affida, ripeto, in via primaria e diretta.
Il campo delle supposizioni, se così si vuol chiamarlo in questa circostanza, si restringe a due sole tesi: o il Presidente non aveva elaborato alcuna prospettiva di carattere regionale per l'agricoltura e la sanità, come nuovo modo di una vera riforma di struttura della nostra società; oppure si fa strada, sottile ed insidiosa, l'opinione dei tempi lunghi (e vi è un accenno, nella relazione, che ci riporta già alla metà del 1972 per altri problemi), tempi lunghi per le leggi-delega o quadro per la scarsa volontà del Governo e per parte dello stesso Parlamento a trasferire quanto la Costituzione impone di trasferire alle Regioni. Si fa strada dunque, ed è questa l'ipotesi più realistica, che il "giorno più lungo", e cioè quello dello sbarco sulle spiagge del nostro Paese dell'esercito di liberazione regionale, sia ancora assai lontano, e che la burocrazia centrale, il potere economico annidato nei centri operativi al vertice, sottratto al controllo popolare, la pervicace resistenza di alcune forze politiche che già a suo tempo avevano condotto una battaglia antiregionalista accanita, abbiano ancora molte carte da giocare.
E' verosimile che un accorto politico come il nostro Presidente abbia meditato a lungo questa situazione, ed a quasi un anno dalle elezioni per l'insediamento dei Consigli Regionali, dai risultati raggiunti, dalla situazione politica generale, dalla scarsa volontà centrale di "far sbarcare" le Regioni, abbia tratto il convincimento che vi sono poche cose per la verità, che si possono fare e realizzare, mentre ve ne sono molte di cui si può parlare.
Dico subito che noi socialisti non siamo d'accordo su questa mortificante prospettiva regionale. Anche se dobbiamo riconoscere che una serie continua di notizie, di progetti di legge, di decreti, di interventi governativi, ci inducono ad amare considerazioni. E proprio a proposito delle due materie che ho elencato, agricoltura e sanità, abbiamo avuto in questi giorni un esempio di come non si voglia dar corso ai trasferimenti delle materie dirette e primarie elencate nella Costituzione e che per certa parte potrebbero legittimare il comportamento del nostro Presidente in questo dibattito sul programma.
Il 17 aprile, infatti, il Consiglio dei Ministri ha disposto una serie di finanziamenti dell'agricoltura e per la difesa del suolo. A quanto ne sappiamo, ed a quanto ci riportano i quotidiani che leggiamo, sarebbero stati stanziati 179 miliardi e 750 milioni (di cui 172 miliardi per spese in conto capitale ed il resto come limite di impegno per interventi di carattere creditizio). Questa somma viene ad aggiungersi a quelle già assicurate dal Governo: 20 miliardi annui a partire dal 1971, per la costruzione di case per i coltivatori diretti; 25 miliardi per il rifinanziamento della legge per la formazione della proprietà contadina presentata di recente al Parlamento. Lo stanziamento di quasi 180 miliardi dovrebbe provocare investimenti dell'ordine di 550 miliardi. Sin qui le notizie.
I Ministri interessati dell'Agricoltura e del Tesoro, a loro volta hanno dichiarato: Natali, ministro dell'Agricoltura - "Il provvedimento autorizza finanziamenti specifici per la realizzazione dei piani zonali di competenza degli Enti di sviluppo ed in secondo luogo assegna al Ministero dell'Agricoltura appositi fondi per campagne promozionali intese a valorizzare i prodotti agricoli sui mercati interni ed esteri e ad orientare la domanda di generi alimentari di largo consumo verso prodotti di alto valore nutritivo e di più accessibile costo". (Come ciò sia possibile secondo il cosiddetto piano di Sicco Mansholt vedremo poi).
Come vedete, colleghi Consiglieri, nelle dichiarazioni del Ministro interessato per l'Agricoltura non vi è il minimo riferimento al ruolo della Regione, salvo un generico accenno agli Enti di sviluppo, che, secondo il Ministro, troverebbero già il loro finanziamento senza che la Regione competente in via diretta e primaria, sia stata chiamata, od anche solo sentita, su tale problema. In altre parole, la decisione scende ancora dall'alto, senza elaborazione né partecipazione delle masse contadine e degli organismi o associazioni che le rappresentano.
In tale circostanza, ancora, il Ministro Ferrari-Aggradi ha detto che "il parziale rilancio del Piano Verde è uno strumento fondamentale per sostenere gli investimenti in agricoltura, e ci è sembrato opportuno evitare un vuoto di provvidenze che avrebbe avuto senza dubbio conseguenze gravi. La proroga si riferisce all'anno 1971, in attesa che l'entrata in vigore delle leggi-quadro per le Regioni consenta il passaggio dei compiti alle Regioni stesse". Quindi il '71 lo ignoriamo, se ne riparlerà nel '72.
Ma se questi provvedimenti per l'agricoltura, senza un piano, senza alcun intervento democratico e partecipativo delle masse contadine, senza una prospettiva per la Regione, ci lasciano sgomenti, non meno ci lasciano perplessi gli altri assunti dal Consiglio dei Ministri per la difesa del suolo, altro compito di carattere regionale.
Sono stati stanziati 130 miliardi, distribuiti su cinque esercizi, (il che equivale a realizzare veramente il vuoto in questo campo per tale periodo di tempo, mi spiace per il mio compagno Assessore), per assicurare la prosecuzione ed il completamento delle opere idrauliche, idraulico agrarie ed idraulico-forestali rimaste incompiute e la realizzazione delle sistemazioni ritenute più urgenti. Le somme ammontano a 60 miliardi per le opere di competenza del Ministero dei Lavori pubblici, che quindi per cinque anni ci sarà senz'altro ancora (con buona pace dei colleghi comunisti che ne proponevano l'immediata abolizione), a 65 miliardi per quelle di competenza del dicastero dell'Agricoltura, a 5 miliardi per la compilazione di progetti e studi.
Questo provvedimento, sempre per bocca del ministro Ferrari-Aggradi, è stato definito una specie di legge-ponte per la difesa del suolo, in attesa che la Commissione De Marchi completi i suoi lavori e la Commissione d'indagine del Senato giunga a formulare proposte per un programma di opere. Sotto il profilo della tecnica legislativa, il provvedimento approvato oggi serve a rifinanziare la legge 27 luglio 1967 n. 632, venuta a scadenza senza essere stata rinnovata e rimasta in bilancio solo per memoria. Lo stesso Ministro del Tesoro ha riconosciuto che si è così determinato "un vuoto" che contrasta con gli impegni assunti dal Governo e dalle forze politiche. Certo, questo vuoto si sarebbe potuto colmare immediatamente, sol che si fosse delegata la Regione, come previsto dalla Costituzione e non per bontà di alcuno.
D'altronde, il Presidente della Giunta, recependo quanto l'Assessore competente gli aveva esposto, nel suo documento scrive che " nell'ambito più strettamente per i piani di bacino secondario e sub-bacino, ogni competenza dovrà essere delegata alla Regione, che potrà provvedervi tramite gli organi tecnico amministrativi di comprensorio." "A questo scopo - continua il documento del Presidente - la Regione dovrà porsi come primo compito la riorganizzazione dei consorzi di difesa promuovendo la riunione in Consigli di bacino di tutte le forme consortili esistenti lungo uno stesso corso d'acqua, dalle origini alla foce, in modo da coordinare le sistemazioni idraulico-forestali in montagna e la difesa idraulica in pianura". Un magnifico concetto! "Avendo ben presente la connessione fra sistemazione forestale e difesa idrogeologica, la Giunta si propone di promuovere studi e progetti per l'individuazione delle essenze e dei tipi di sistemazione forestale che meglio possono garantire la difesa del suolo e la regimazione delle acque".
Il documento tratta poi specificamente delle necessità della regolamentazione del regime delle acque e dell'urgenza di un piano.
In altre parole, quanto ci ha detto a tal proposito il Consiglio dei Ministri: che non si prospetta neppure l'ipotesi di un passaggio di competenze alla Regione. Cioè, il discorso che abbiamo fatto in Regione l'ha fatto, quasi nello stesso giorno, il Consiglio dei Ministri stanziando 5 miliardi per studi e progetti.
Tempi lunghi, quindi, se non impossibili. Riusciranno le forze antiregionaliste, battute nel 1970, a chiudere le Regioni in gabbia, a screditarle, a renderle dei puri enti? Questo dipende, in questo momento da noi, dai lavoratori, dai cittadini tutti, che lottano per le riforme e per una nuova struttura, democratica e di partecipazione.
Non vogliamo certo dare alimento ad una polemica che degeneri in rissa permanente con lo Stato. Certo, sarebbe grave errore lasciare che il dialogo tra Stato e Regioni si compisse in una contestazione permanente sul contenuto e sui limiti delle rispettive competenze, e lo ha anche detto, in una recente intervista, il ministro Giolitti. L'esperienza delle Regioni a Statuto speciale insegna che il protrarsi di una disputa giuridica di questo tipo non serve né allo Stato né alle Regioni e conduce direttamente alla paralisi e all'inefficienza dell'azione pubblica. E' necessario pertanto, per portare avanti quanto più rapidamente possibile la spinta regionale, creare le condizioni necessarie affinché il confronto tra potere centrale e Regioni si trasferisca sul merito dei problemi politici che abbiamo di fronte. Ciò porterà ad una più chiara articolazione di posizioni all'interno del fronte, e perciò alla crescita delle Regioni come organi di rappresentanza e di partecipazione di tutte le componenti della società.
Lo Stato, però, deve rendersi conto che occorre concludere rapidamente la cosiddetta fase costituente, con il trasferimento alle Regioni della pienezza delle funzioni loro assegnate dalla Costituzione. Le resistenze saranno tenaci, la burocrazia frapporrà ostacoli; ma la classe politica nazionale dovrà sottrarsi a queste pressioni e rendere finalmente operante non una riforma ma un puro adempimento costituzionale. Non vogliamo regali o favori od ammiccamenti per quel poco che sinora ci è stato dato: finora i nostri parlamentari, ogni qualvolta ottenevano qualcosa in favore della Regione avevano l'aria di fare chissà quali concessioni: vogliamo l'interezza delle materie che ci spettano.
Ed ecco che a questo punto si prospetta il discorso dell'agricoltura e della sanità e sicurezza sociale. Sono le competenze, certamente, di maggiore impegno. Ma occorre affermare con forza che le vogliamo nella loro interezza.
Il recente atteggiamento governativo in relazione al finanziamento dell'agricoltura e per l'assetto del suolo è un fatto di estrema gravità perché protrae nel tempo la legge-delega, opera scelte che più non spettano al Governo centrale, pone nuovamente per almeno un decennio la burocrazia centrale nella giustificazione della propria esistenza. Sarebbe stato sufficiente un provvedimento delega immediato, se proprio si voleva giustificare l'urgenza dell'intervento. Ma non è stato fatto. Da questo però, alla rinunzia da parte nostra a discutere il problema dell'agricoltura corre ancora una distanza.
Dirò subito che non sono del tutto d'accordo con i Colleghi che mi hanno preceduto nel parlare di agricoltura, ed in particolare, se non vado errato, i colleghi Oberto e Chiabrando. Qui non si tratta di reclamare delle case, delle attrezzature, delle industrie complementari nei fondovalle, o pensioni più degne, o anche una migliore organizzazione dei mercati. Questo, ormai, lo chiedono tutti. Ma ci siamo mai domandati perché, pur essendo tutti d'accordo nel richiedere queste cose, dopo venticinque anni di dibattiti, non si sono ancora realizzate? Perché il problema è di fondo, il problema è nelle scelte, il problema è squisitamente politico, non solo tecnico o di migliore organizzazione come si vorrebbe far apparire. Dobbiamo cominciare, quindi, dalle scelte, ed a monte, come oggi suol dirsi.
Che ruolo vogliamo assegnare, come Regione, alla rendita parassitaria della proprietà terriera? Ecco che a questo punto non ci troviamo più unanimi. Se non si affronta decisamente questo problema, se si scantona per trovare sempre tutti d'accordo nel reclamare solo migliori condizioni di vita per l'agricoltura, allora possiamo abbandonare la partita, perché fra venti anni saremo ancora allo stesso punto.
Quindi, rendita parassitaria della proprietà terriera. E' vero, si dirà, che l'ultima legge sui fondi rustici ha già fatto un bel passo avanti a favore dell'affittuario: l'ha reso autore della conduzione del fondo delle scelte, dei miglioramenti, senza alcun intervento del proprietario gli ha rinnovato la concessione della prelazione in caso di vendita e delle proroghe contrattuali, eliminando delle ipotesi per le quali il proprietario poteva ancora disporre della risoluzione contrattuale.
In altre parole il Consiglio Regionale deve esprimersi chiaramente su questo punto che è poi il più importante. Esalteremo come Regione la rendita parassitaria terriera e procederemo sulla strada intrapresa dal Parlamento, che è sfociata nella legge ricordata poc'anzi, e cioè sulla strada della liberazione dell'affittuario coltivatore dal peso del proprietario, dall'onere del fitto e del canone. Ecco le scelte e su questo punto vorrei anche sentire i colleghi che rappresentano i coltivatori diretti nelle grandi associazioni contadine. Si dirà che questo non è compito della Regione (e questo sarà il primo punto che ci verrà contestato) e cioè che i rapporti attinenti alla proprietà spettano allo Stato. (Questo ci è stato detto in occasione dello Statuto, quando Bianchi d'Espinosa mandò quel telegramma, come capo gabinetto del ministro Reale con cui diceva che la determinazione "proprietà" spetta allo Stato, e mi meraviglio che proprio un magistrato come Bianchi d'Espinosa che aveva pagato per le sue posizioni coraggiose, fosse tornato indietro con un telegramma che forse ha scritto come capo gabinetto del ministro Reale).
Questa ipotesi è vera sino ad un certo punto, perché la Regione ha il potere decisionale delle scelte della politica agraria. Scoraggiando un certo tipo di rapporto, è chiaro che se ne fa sorgere uno nuovo. Se si scoraggia la proprietà parassitaria terriera, si fa sorgere immediatamente la liberazione del coltivatore. Lo si libera non soltanto dal canone, il che è di grandissima importanza, ma da tutto un mondo medioevale di rapporti che impedivano e impediscono la produzione, il ricorporo delle terre, i miglioramenti, i nuovi tipi di produzioni agrarie. Il proprietario voleva il fitto e basta, ma chi come noi è di estrazione contadina ed è vissuto nelle campagne....



VIGLIONE Aldo

Voce da sinistra: Perché non continui?



VIGLIONE Aldo

Sì, sì dovrei continuare ancora, Mao Tse-tung infatti manda i dirigenti dell'associazione a lavorare per un anno o due o tre nelle campagne e quando ritornano conoscono il problema. Lo si dovrebbe fare anche qui.
Il proprietario voleva il fitto e basta e che fosse soprattutto il più alto possibile. Le peggiori cascine che abbiamo nel nostro cuneese sono proprio quelle che furono soggette per secoli a questo tipo di rapporto.
Laddove invece, dopo la prima guerra mondiale, i contadini hanno potuto diventare arbitri del proprio destino con il primo disfacimento della proprietà, le cose sono assai diverse. Abbiamo paesi vicini, confinanti che addirittura hanno un volto diverso, secondo le condizioni storiche in cui i contadini sono vissuti; laddove ha regnato la rendita parassitaria terriera vi è l'arretratezza; dove invece i contadini si sono liberati dai padroni si nota un evidente progresso nelle strutture dell'azienda, nella sua trasformazione tecnica, nelle sue coltivazioni. Ed il discorso sull'agricoltura a questo punto non può che allargarsi. Non è sufficiente dire al contadino che è libero. Bisogna creargli le prospettive per un'azienda di tipo industriale, per condizioni di vita e di reddito pari alla città. In caso contrario avremo l'abbandono delle campagne, come è avvenuto sino ad oggi.
Ed a questo punto, si impone il discorso che spetta classicamente alla Regione e che investe la problematica dei grandi servizi collettivi.
Accenniamo agli Enti di sviluppo, come guida scientifica dell'agricoltura della Regione; e badiamo bene, in tutti i suoi aspetti. Il piccolo agricoltore oggi non ce la fa più. Perché? Perché la scienza avanza, la sperimentazione da parte degli agricoltori di altre nazioni è assai avanzata, sorretta da organi efficienti, le strutture produttive cambiano industrializzandosi, la colleganza fra agricoltura, trasformazione dei prodotti, mercati, industria in queste nazioni è strettissima. Ed eccoci di fronte a questo mare di problemi, che investe la problematica dei grandiosi allevamenti a carattere nuovo e moderno, che soli possono portare in parità il mercato delle carni nel nostro Paese, costretto a due miliardi di importazioni giornaliere di carne bovina, di fronte all'esiguità della produzione di suini e avicola, rispetto ai bisogni crescenti della nazione.
Qui non ci troviamo più d'accordo con il piano Mansholt che vorrebbe ridurre in misura enorme la coltivazione e creare delle grandi foreste dando ai contadini che se ne vanno delle somme di danaro, in quanto noi importiamo ancora due miliardi di carne al giorno, e la nostra popolazione che si compone di 54 milioni di abitanti, non consuma nemmeno il terzo di latte che viene consumato negli altri Paesi del Mec. A questo punto si vorrebbero fare abbattere le vacche lattifere pagandole 125 mila lire e non si comprende che il consumo è ridotto (lo riconosce lo stesso ministro quando dice che dobbiamo avviarci a consumi più elevati). Il piano Mansholt parla sì di un reddito di almeno sette milioni per addetto all'agricoltura ma nello stesso tempo fa delle prospettive di deserto rispetto all'agricoltura, per cui dovremmo abbandonare una quantità di terra per incorporarla forestalmente. Ebbene di fronte a ciò una risposta adeguata non è stata data dal Governo centrale e nemmeno da questa assemblea regionale.
L'agricoltura è assetata. Per un buon allevamento occorrono quantità d'acqua imponenti. Lo sappiamo, basta aver visto una serie di allevamenti moderni, per comprendere quanta acqua occorra oggi. E sino ad oggi si è risposto con la piccola incentivazione individuale del Piano Verde, che è poi risultata favorevole solo a grossi potentati. I piccoli agricoltori non hanno potuto nemmeno arrivare, direi, alle soglie dell'ufficio del Piano Verde. Di un servizio collettivo con la captazione in grandiosi bacini montani delle acque scorrenti nelle nostre valli o della utilizzazione di bacini esistenti, ancora non si è fatto parola. Ormai hanno sete la città e la campagna, per i bisogni attinenti alla conduzione dei fondi all'irrigazione dei campi, ne ha bisogno la collina per la specializzazione delle colture. Gli inquinamenti rendono drammatica questa situazione.
Noi vorremmo che da questo Consiglio nascesse l'impegno all'abbandono della politica singola nell'agricoltura, alla costruzione di un impianto di irrigazione o di servizi per ogni azienda, facendo comprendere che questa è la strada che porterà al suicidio economico. Che soltanto attraverso la politica della cooperazione o dell'associazione per l'utilizzazione dei servizi o dei macchinari, o delle vendite, o trasformazione dei prodotti, o della lavorazione di unità aziendali agricole in comune, si potrà superare il divario che ci divide dagli altri paesi del Mercato Comune. Noi abbiamo ancora delle aziende contadine che hanno quattro-cinque addetti con dieci quindici giornate di terreno e con un reddito pro-capite che non arriva alle 7-800 mila lire. Il piano Mansholt nella sua essenza prevede che ci siano 7 milioni lordi per addetto nell'agricoltura: noi siamo a un decimo oggi, nelle nostre campagne. Ma se questo discorso deve essere fatto agli agricoltori, tanto più vale per noi. Si è parlato tanto di Cavour in questi mesi. Ma sarebbe sufficiente ricordare il canale Cavour per comprendere quale grandiosa opera collettiva di irrigazione fosse stata costruita cent'anni addietro. Da quel momento di canali Cavour non ne abbiamo più fatti. Cioè abbiamo fatto delle piccole centrali singole, qualche piccolo canale. Dal medioevo in cui vi fu un'opera di bonifica, attraverso il sistema di irrigazione nella nostra provincia, tutti i sistemi di irrigazione risalgono ancora al 1500-1600-1700. Gli orari delle terre, sono ancora quelli del 1600. Ho controllato presso i consorzi dei canali: la formazione per le zone delle ore d'acqua è del 1600, quando i monaci Benedettini e Cappuccini risanarono e bonificarono le terre attorno a Cuneo, anche nelle zone del Saluzzese, nelle zone del Consigliere Giletta da allora dobbiamo dire che del sistema dell'irrigazione non se n'è fatto più nulla. Scusatemi se ancora insisto su questo problema e insisterò sino alla noia, perché ne conosco l'importanza: oltre la metà dei terreni della provincia di Cuneo non sono sott'acqua, come usa dire, non hanno cioè una possibilità continua di irrigazione.
A questa situazione, che comprende anche quella drammatica per il rifornimento idrico delle popolazioni, si può ovviare in un solo modo: iniziando la nuova politica delle acque, con il rifiuto delle singole captazioni e l'instaurazione invece di grandiosi servizi collettivi a mezzo di bacini montani. Sappiamo oggi che la questione non è facile. L'Enel infatti, rifiuta ogni forma di collegamento fra l'utilizzazione a scopo idroelettrico, a scopo agricolo, irriguo e di rifornimento idrico per le popolazioni dei paesi e delle città. Lo rifiuta in quanto la nuova tecnica prevede bacini che alimentino le centrali nel corso del giorno e delle ore di punta e ripompino l'acqua al bacino superiore nel corso della notte. Un circolo chiuso, insomma. Non avviene più come venti-trent'anni fa che l'acqua scorreva dalla centrale elettrica e poi si perdeva. No, l'Enel oggi la recupera, la rimette nel bacino nelle ore di sosta notturne e quindi praticamente diventa un circolo chiuso. Questo l'abbiamo visto per le acque del Tanaro, quando tutto il sistema con i progetti che erano stati fatti per il così detto consorzio delle acque del Tanaro, è saltato perché l'Enel ha offerto per una sola centrale, quella verso la Liguria, una piccola somma, il resto non gli interessava più; praticamente anche l'utilizzazione idroelettrica avviene a cerchio chiuso e quindi non interessa più...



DOTTI Augusto

Allora non pioveva più, era sempre la stessa acqua!



VIGLIONE Aldo

No, non è che ripompa la stessa acqua, la riutilizza da bacino superiore a bacino minore, cioè non fa più dei grandiosi bacini di raccolta di cento milioni di metri cubi, fa dei piccoli bacini che possono essere naturalmente rimessi in circolo. Si può anche dire che fa un'altra politica, quella termoelettrica, quindi cambia ancora, perché oggi l'Enel si orienta verso le centrali a mare termoelettriche con l'utilizzazione dei prodotti petroliferi e quindi l'utilizzazione delle acque della montagna avviene solo quando queste rivestono veramente una caratteristica di utilità. Abbiamo visto che in tutte queste zone i lavori in corso attualmente sono quelli delle acque del Gesso, da dieci anni progettati. Ci sono dei recenti studi (che vorrei farvi conoscere) della direzione tecnica dell'Enel per caldeggiare queste soluzioni per il futuro. Quindi non è una tesi soltanto mia.
Il Consorzio delle Acque del Po mi ha rifiutato qualsiasi contributo in virtù di questo principio. Ci troviamo quindi a non poter più disporre a prendere le acque e a restituirle per l'agricoltura e per gli acquedotti.
Vi sono dei casi, come le centrali del Gesso, nella nostra provincia in cui per la grandiosità dei bacini di alimentazione si può trarre anche vantaggio per gli usi che abbiamo descritto. Ma a questo punto l'Enel pretende contributi di tale entità che non è possibile concludere nulla di positivo. In questa situazione è oggi la captazione delle acque del Gesso.
Ho qui una lettera del Presidente dell'Enel al ministro Giolitti in cui si ribadiscono questi concetti e cioè che, data la situazione finanziaria dell'Enel, non è possibile venire incontro ai desideri degli agricoltori della provincia di Cuneo per la captazione delle acque del Gesso.
Ma la Regione potrà iniziare un dialogo diverso. La Regione ha più forza, la Regione ha il regime delle acque, avrà il diritto di concedere o meno all'Enel la derivazione delle acque per i bacini montani. In quella sede andranno verificati gli interessi delle popolazioni contadine e di tutti gli abitanti della nostra Regione. Si potranno concedere solo nella misura in cui l'Enel garantirà una certa derivazione di acque a favore della comunità; perché l'Enel è un Ente pubblico, cioè l'Enel siamo noi cittadini italiani e non il Presidente che dispoticamente dispone per via di concessioni ottenute da uffici statali proni ed insensibili. In questo modo potranno essere superate altresì le difficoltà derivanti dall'inquinamento delle acque, inquinamento che ogni giorno di più si fa drammatico ed evidente. In questo quadro si unisce e si colloca il problema della sanità e della sicurezza sociale. Sappiamo tutte le polemiche che in questi giorni, a livello governativo, impediscono la presentazione di un progetto di riforma sanitaria. Sappiamo le remore, le resistenze, le opposizioni di un certo mondo che non vuole scomparire. Conosciamo anche a Torino la situazione sanitaria ospedaliera ed universitaria clinica; ne abbiamo discusso a lungo in quest'aula ed abbiamo detto che quello che ci interessa è il futuro e non il passato che ormai è nelle mani della magistratura. Di questo futuro noi vogliamo oggi parlare. La riforma sanitaria sarà una vera riforma se si svilupperà alla base, negli organismi popolari, nei comuni, se sarà elaborazione geniale e nuova dei lavoratori del nostro paese.
E' stato detto bene "... la riforma sanitaria si pone come occasione fondamentale per avviare - nell'assetto regionale dello Stato - un autentico processo di rinnovamento del Paese attuando gli obiettivi di maggior giustizia sociale per i quali si battono da tempo le forze politiche più avanzate ed i sindacati dei lavoratori. In tale prospettiva il primo elemento da acquisire è la consapevolezza che la riforma sanitaria non può essere un episodio isolato, ma costituisce un atto che si collega ad altri atti e ad altre riforme: nel campo urbanistico per la difesa dell'ambiente in cui il cittadino vive e lavora; in quello fiscale per assicurare le risorse necessarie; in quello assistenziale per realizzare un completo sistema di sicurezza sociale; in quello scolastico infine per garantire la formazione di personale sanitario adeguato ai nuovi compiti.
Il secondo elemento da fissare come condizione della riforma sanitaria è la consapevolezza del ruolo fondamentale ed insostituibile della Regione. E questo soprattutto per due motivi: primo, perché è la stessa Costituzione a sancire la competenza diretta della Regione in materia sanitaria; secondo perché quella regionale rappresenta la nuova dimensione istituzionale dello Stato".
In questo nuovo quadro sorge la più valida occasione per il potere centrale di dare una prova ed una dimostrazione della validità del concetto di decentramento democratico. La nostra Regione ha dimostrato nei recenti dibattiti sulle mozioni sulla sanità, inquinamenti, di poter rapidamente operare, di essere pronta a questo dialogo ed a questo confronto.
I problemi che per la sanità e la sicurezza sociale ci stanno davanti sono addirittura enormi e non possono in alcun modo essere frazionati. Noi parliamo di sanità e di sicurezza sociale; cioè intendiamo tutto il quadro della prevenzione, della cura, della riabilitazione, della neuropsichiatria, della assistenza alla vecchiaia, dei sub-normali, delle condizioni dei luoghi di lavoro, delle malattie derivanti da condizioni di lavoro e anche dagli alimenti, perché proprio in questi giorni la sofisticazione ha assunto un quadro che vorrei dire di carattere sanitario perché praticamente siamo tutti inquinati dagli alimenti. Un quadro completo dunque.
Se certe situazioni che sono maturate in questi mesi nella nostra Regione avessero come obiettivo la salvaguardia di situazioni stratificate il mantenimento di istituzioni logore ed incivili, la difesa di categorie di tipo baronale, l'affossamento della scienza, della ricerca, dello studio, allora possiamo dire ben chiaro che il nostro appoggio al governo regionale verrebbe a cadere.
In questo quadro va collocata subito l'azione per un chiarimento all'interno del maggiore ospedale del Piemonte che è il San Giovanni di Torino, chiarimento dei rapporti fra ospedale ed Università. Così come vanno chiariti tutti gli altri rapporti che sorgeranno fra ospedali periferici e corsi di Università di Medicina (corsi distaccati che servono solo a giustificare un presunto decentramento). Come mi pare stia avvenendo oggi a Vercelli.
La Regione oggi ha già il controllo ospedaliero, in attesa dell'intera materia, e questo controllo, io ritengo debba essere esercitato nella sua interezza. Non è ammissibile che da parte dell'Università si giochi un ruolo ospedaliero, soffocando all'interno dell'ospedale convenzionato, ogni anelito di studio e di ricerca, impedendo la formazione di divisioni altamente specializzate di carattere puramente ospedaliero e non clinico facendo marcire giovani medici ed il personale tecnico ed ausiliario non medico per lunghi decenni, sotto il ricatto che si va avanti soltanto con la provenienza clinica. Sotto questo profilo, mancano nel principale ospedale della nostra Regione, che è il San Giovanni, divisioni ospedaliere altamente specializzate, manca addirittura una divisione come fatto ospedaliero, di cardiochirurgia, perché si è preferito sottostare al volere dell'Università, che era poi il volere dei "baroni". Ma più che un intendimento di studio e di ricerca era un volere diretto alla organizzazione di una fabbrica del denaro, allo sfruttamento della malattia in ogni sua versione. E quando oggi i conti tornano perché dicono che vi erano dei direttori che guadagnavano 200-250 milioni all'anno evidentemente questi ragionamenti vengono fuori. Si è fabbricata una fabbrica della salute, non il luogo della scienza e della cura. Se si vuole procedere nella nuova dimensione è necessario che l'Ospedale San Giovanni denunzi immediatamente la convenzione con l'Università, risolva questo rapporto con un sufficiente preavviso, tagli questo cordone ombelicale e metta con le spalle al muro i vari responsabili di una gestione fallimentare dal punto di vista morale, scientifico, di ricerca e di studio.
Se il Piemonte vorrà avere una Università di Medicina degna delle sue tradizioni, della sua cultura, della sua tecnologia avanzata, deve, diciamo deve, mettere i responsabili di questa situazione con le spalle al muro. E si metteranno con le spalle al muro solo il giorno in cui il San Giovanni denuncerà la convenzione obbligando ad una scelta e cioè una facoltà che sia degna di tale nome e non un complesso di edifici insufficienti, senza attrezzature scientifiche, senza aule, sovraffollate (mille alunni all'anno iniziano la facoltà di Medicina - e vi è posto per 200-250 -, 750 al mattino alle sei fanno la fila per entrare e non vi riescono); facoltà dalla quale si esce senza aver visto un malato, se non correndo volontariamente per qualche reparto e senza aver visto un ago per iniezione.
In questo modo e con decisione la Regione Piemonte si porrà nella nuova prospettiva della riforma sanitaria. Il nostro Partito farà ogni sforzo perché questi risultati siano raggiunti.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito che un mese e mezzo indietro nel tempo, ha fatto seguito alla presentazione della formazione di maggioranza e della Giunta di centro sinistra, con riferimento alle linee programmatiche contenute nel documento di proposte di linee politiche ed amministrative, aveva posto in evidenza il carattere teorico, generico e formale delle posizioni di principio espresse, insieme alla contradditorietà delle varie formulazioni contenute e giustapposte.
Aveva in sostanza, espresso un giudizio negativo sulla validità e consistenza politica di tale posizione programmatica.
Proprio nell'assenza assoluta di un confronto con i problemi reali e specifici della nostra Regione e della situazione nazionale, e nell'assenza di indicazioni operative conseguenti, noi avevamo indicato i limiti di concretezza di un tale documento. E insieme, avevamo rilevato come questi limiti fossero la condizione necessaria per la convivenza nella Giunta delle diverse concezioni e forze che in essa sono presenti. Pertanto avevamo denunciato il pericolo di immobilismo che era insito in una simile situazione. Il limite di concretezza delle posizioni allora espresse era stato, pur con giudizi politici necessariamente diversi, unanimemente condiviso, poiché le stesse forze di maggioranza lo avevano giustificato come il risultato di un primo approccio alla definizione di una proposta di linea politica, che i limiti di tempo e la situazione contingente (noi dicevamo limiti politici) non avevano consentito di portare più avanti in termini di chiarezza, di coerenza e di concretezza operativa. Si era allora rimandato ad un immediatamente successivo documento il compito di fornire una proposta di programma operativo da discutere. Era quindi questa proposta di programma che ci attendevamo: delineato in prefigurazioni di operazioni concrete (iniziative politiche e amministrative), fortemente ancorato ai problemi specifici della nostra Regione e delle nostre popolazioni e individuate in una collocazione e sequenza temporale ben definita e precisata. Lo ritenevamo necessario, questo programma, per riportare all'interno del Consiglio il confronto da cui deve derivare in concreto la linea politica e operativa della Regione; e questo confronto al fine di un maggior approfondimento e una maggior efficienza politica pensiamo non debba neppur chiudersi in una discussione generale, ma debba prolungarsi investendo le Commissioni di lavoro. E lo ritenevamo necessario questo programma concreto per poter superare i limiti di incertezza, di contradditorietà e di ambiguità anche, che derivano dai contenuti delle posizioni precedentemente espresse. Necessario, poiché riteniamo che nel fornire proposte concrete si debba riconoscere il compito e l'impegno della Giunta, ma anche il limite entro cui deve contenersi la possibilità di iniziativa amministrativa della Giunta.
Di fatto ci troviamo di fronte ad un documento fortemente impregnato di posizioni di principio, caratterizzato da enunciazioni e teorizzazioni espresse sul piano formale e metodologico, e fortemente carente di concreti riferimenti alla realtà; e privo di proposte di intervento, tanto che si presenta come documento atipico, in cui non è riconoscibile la matrice territoriale dei problemi reali e politici che la Regione Piemonte esprime e che le lotte dei lavoratori, degli operai, dei contadini, evidenziano con costanza e intensità crescente. E a questo punto, secondaria ma non meno negativamente significativa sul piano politico, risulta la atemporalità delle formulazioni di principio (alcune delle quali certamente positive come il riferimento agli strumenti di programmazione alla difesa e al recupero dei valori ecologici), le quali collocate come sono in un futuro indefinito dell'attività regionale, finiscono per configurarsi più come assunzione di impegno morale, che politico. La stessa specificità di riferimenti della realtà regionale rispetto a quella nazionale, che era stata posta nello Statuto come finalità e obiettivo di fondo, non è ritrovabile in questo documento. La Giunta ci propone, e propone alle popolazioni, ai lavoratori e alle loro organizzazioni (sindacati, Enti locali, organismi di massa), ancora, e solo, alcune postulazioni teoriche di principio. Ci troviamo cioè di fronte ad una posizione politica che tende ad eludere i problemi immediati e concreti, e in questo modo tende a sfuggire ad una reale chiarificazione politica all'interno della Giunta all'interno del Consiglio; che cerca di prendere tempo con discorsi puramente teorici ed astratti nei confronti della esigenza di intervento che viene dalla situazione reale, socio-economica della Regione, e che è richiesta dalle rivendicazioni delle popolazioni e dei lavoratori.
Alle forze che chiedono soluzioni a problemi concreti, alle forze che sul piano degli orientamenti e della definizione degli obiettivi e delle finalità, sono andate ben al di là di quanto non abbia fatto o saputo fare la Regione in questo scorcio di anno, un così limitato e astratto quadro di orientamenti, di indicazioni metodologiche non può risultare una risposta convincente. Non è in questo modo che si acquista credibilità nei confronti dei contadini, dei pastori - che sono venuti la settimana scorsa alla Regione - dei lavoratori e degli studenti che sono venuti a porci problemi di occupazione, di condizioni di vita, di preparazione culturale e di reddito, e che hanno individuato la Regione come strumento per esprimere la propria volontà, per risolvere i propri problemi, per affermare politicamente la loro presenza e la loro esigenza di giustizia e di eguaglianza. Non è in questo modo che si costruiscono rapporti di comunicazione e di partecipazione; anzi, in questo modo si scredita fin dal nascere l'istituto regionale, lo si fa assimilare per impotenza e per distacco morale agli altri istituti elettivi, Enti locali e Parlamento, lo si confonde proprio con quei mali della vita statuale che con le Regioni si volevano e si vogliono (lo vogliono soprattutto le masse lavoratrici) eliminare; si impedisce che le Regioni diventino momento di rinnovamento di tutto l'apparato di esercizio della vita pubblica.
La astrattezza dei discorsi non consente alla Regione di comunicare con le popolazioni, non consente a queste di immedesimarsi, di identificarsi nell'operatività del nuovo istituto, di individuarlo come strumento che dà le leve di comando alle popolazioni, e che è capace di agire là, dove e quando le popolazioni lo richiedono. Qualsiasi rapporto di informazione diventa inutile; il discorso è fra chi parla due diversi linguaggi. Siamo d'accordo con il compagno Nesi sull'esigenza formulata ieri di una funzione informativa democratica e di massa di cui la Regione deve essere portatrice; ma ciò richiede che la scelta dei contenuti del linguaggio siano fortemente ancorati ai problemi delle masse stesse, all'articolazione minuta e diffusa con cui essi si manifestano, alla concreta attuazione dei processi di partecipazione. E ciò non per una riduzione culturale dell'informazione, ma per una sua riqualificazione e rifondazione che tenga conto, da un lato, della maturità di elaborazione e di analisi di cui i lavoratori e la classe operaia si sono mostrati capaci attraverso la loro attività di lotta e di rivendicazione, e che, d'altro lato, leghi a queste azioni, caratterizzandole, le ricerche conoscitive e l'elaborazione che la Regione deve compiere; a questo fine socializzando l'uso degli strumenti la capacità produttiva e la finalità di lavoro degli istituti di ricerca degli staff di tecnici delle Commissioni. E' in questo modo che l'informazione ha valore, e diviene costruzione comune e partecipe della conoscenza, dell'analisi e dell'elaborazione. E' in questo modo che si rendono possibili i processi reali di partecipazione e di scelta, e che si attuano le condizioni per un decentramento democratico, capace di produrre una dialettica di interventi costruttivi - evitando altresì le parcellizzazioni campanilistiche di sottogoverno. Ciò richiede un modo d'essere della Regione estremamente aperto, senza sacche di riservatezza.
Il documento che è in discussione non coglie l'insieme di queste esigenze; non assume impegni concreti ed operativi in una visione temporale finita; non entra nel merito e non affronta neppure una serie di problemi di grande importanza quali l'istruzione, la salute, i trasporti l'agricoltura - né in generale, né per quanto riguarda i problemi particolari -, su cui peraltro ci sono state richieste specifiche da parte di organizzazioni e gruppi interessati, su cui noi comunisti abbiamo presentato più volte interrogazioni, interpellanze e mozioni. Si ha l'impressione che alla Giunta manchi la capacità di dare apporti su questi temi.
Tenuto in conto la precisazione fatta ieri dal compagno Nesi evidenziando l'apporto socialista nella stesura del documento per quanto concerne la programmazione e l'ecologia, c'è forse da ritenere che la restante parte del documento, sia prerogativa pressoché esclusiva del Presidente della Giunta, e non di un collettivo organico di lavoro quale la Giunta dovrebbe essere. Forse dobbiamo ritenere che per la costrizione tecnicistica con cui sono stati posti gli stessi problemi della programmazione, senza connessione con le concrete questioni da affrontare senza riferimenti ad iniziative in atto; tenuto conto dei giudizi a questo proposito espressi dallo stesso compagno Nesi (faccio riferimento a quanto il compagno Nesi diceva a proposito della metropolitana e del centro di commercializzazione); e inoltre, per il modo con cui si sorvola sul tipo di rapporto che deve esistere tra Istituto di ricerca IRES e Consiglio e Commissioni di lavoro; per il modo in cui si definisce il rapporto tra ufficio del piano e Giunta, escludendo il Consiglio e le Commissioni ed attribuendo anzi all'ufficio del piano un pretto compito di carattere politico, quello della scelta delle priorità, c'è da pensare che anche in questa materia l'intervento del Presidente della Giunta sia stato fortemente limitativo. Non rientravano certo, una visione così restrittivamente tecnocratica e metodologica della programmazione e una concezione così limitata dei rapporti tra momento di elaborazione tecnica delle linee di programmazione e momenti di decisione politica chiusi tra istituti e uffici di pianificazione e la Giunta, tra le valutazioni di principio che il compagno Nesi l'altro giorno ha fatto in merito al pericolo di sostituire, con l'istituto regionale, il Prefetto con un Superprefetto, e di continuare a gestire la cosa pubblica nell'ambito delle stanze così dette dei bottoni, con esclusione in definitiva, di coloro che ci hanno mandato qui. Non c'entrano certamente le concezioni del partito socialista con quelle espresse dal documento. Il compagno Nesi propugnava infatti che gli istituti rappresentativi si modifichino nel tempo al fine di rispondere alle esigenze nuove di partecipazione e di controllo e di autogoverno delle popolazioni; è quindi una richiesta di rinnovamento qualificante che coinvolge il modo, gli strumenti, le procedure della programmazione e il controllo politico della loro gestione. Per ciò, si richiedono nuovi strumenti di partecipazione, e per ciò si richiede una visione diversa da quella contenuta nel documento. Ma queste probabilmente, non sono le uniche divergenze che esistono all'interno della Giunta tra forze progressiste, legate ai lavoratori, e le forze conservatrici.
Le concezioni di chiusura che affiorano nel documento sono più propriamente da riportare ad una visione antidemocratica, conservatrice e parapresidenziale dell'esecutivo, che ci è stata più volte espressa dal Presidente della Giunta, e che ci viene dallo stesso, in questo documento presentata ancora una volta. Si cerca sul piano teorico formale, ribadito fino all'ossessione, di respingere la tendenza che nei fatti, per la spinta delle forze lavoratrici, va travolgendo quelle concezioni, imponendo un'altra direzione di marcia. Non avrebbe conto quindi ulteriormente ritornare su tale interpretazione, sennonché lo impone il fatto di ritrovare queste concezioni, non solo latenti nel documento, ma teorizzate come premessa.
Noi denunciamo quindi all'attenzione di tutti, fuori del Consiglio e dentro, alle forze socialiste e alle altre forze che hanno un legame con i lavoratori, operai e contadini, la natura antidemocratica e conservatrice di una simile posizione; e ribadiamo che una posizione dell'esecutivo che vuole salvaguardare, come propria prerogativa, ogni decisione di carattere amministrativo, che vuole assimilare la Regione al Parlamento, che vuole stabilire un rapporto fiduciario tra Consiglio e Giunta, che vuole conservarsi e preservarsi margini di riservatezza e di segretezza, è incompatibile con le richieste di partecipazione e rinnovamento dei lavoratori. E' una concezione contraria ai principi di partecipazione e di controllo dei cittadini, che tende ad escluderli dalle decisioni che li riguardano; che tende a lasciare a pochi quella responsabilità di decisione che l'avvento della Regione ha teso a rompere; è una concezione sostenuta soltanto dalle forze conservatrici che non vogliono il rinnovamento dello Stato italiano, che non tengono conto della crisi istituzionale presente, a partire dal Parlamento. E' una posizione che si poggia su alcune elucubrazioni giuridiche, di accademici e politici, che si rifanno a pretestuose interpretazioni della Costituzione, e che non tengono conto dei processi storici e delle esigenze di rinnovamento che si sono espressi in questi ultimi venticinque anni, cioè in un quarto di secolo.
Respingiamo, anche, l'ipotesi che, una vecchia e sorpassata struttura di rapporti formali istituzionali, possa fornire elementi di efficienza nell'attuale situazione politica, ad un istituto nuovo, con i problemi e le esigenze di riforma strutturali che si pongono e con i mutamenti di rapporti di forza che si impongono. Certo, è necessaria un'efficienza, sul piano dell'azione, di tipo e livello qualitativo del tutto nuova per affrontare i problemi che la nostra società ha fatto affiorare e incancrenire, ma ciò è politicamente raggiungibile solo attraverso modifiche sostanziali delle strutture, ed estendendo i processi di decisione alla partecipazione di tutti. Con questo non rivendichiamo una caotica e informe possibilità di espressione delle decisioni, ma una diversa organizzazione dei rapporti formali e istituzionali, che rendano possibile, funzionale, specifica e diretta (non quinquennale e generica) la possibilità, da parte dei cittadini, di decidere e controllare non confondendo affatto l'ampiezza dei processi organizzati, attraverso cui deve esprimersi il potere decisionale, con la assai più limitata ampiezza dei processi di esecuzione, né, tanto meno, confondendo le sfere di responsabilità; ma purtuttavia difendendo strenuamente sul piano della lotta condotta con i lavoratori, il diritto di partecipare alla formulazione della linea politica e delle decisioni, in modo politicamente organizzato, da parte di tutti; rivendichiamo altresì che si riconducano al giusto rapporto di interdipendenza sul piano della gestione dell'attuazione, della verifica e del controllo, le attività legislative e amministrative senza separazioni artificiose e antidemocratiche di competenza.
Queste sono le posizioni concettuali e di lotta che assumiamo a fianco dei lavoratori; è con queste che ci presentiamo alle forze politiche per una più estesa e aperta dialettica che rompa con le divisioni strumentali che rompa con la difesa di privilegi, di rendite e di profitti che hanno condizionato e mortificato la vita politica italiana. La battaglia per la costruzione delle Regioni si pone in questi termini; è una battaglia che nasce dalla esigenza di profonde riforme strutturali e che richiede e vede nella riforma regionale lo strumento istituzionale capace di dare vita alla partecipazione; vede la Regione come strumento per attuare le riforme stesse. Lo hanno chiaramente inteso ed espresso i lavoratori, e le organizzazioni sindacali che, intorno alla legge sulla casa si sono battuti proprio per modificare il titolo primo, in direzione di un decentramento del potere a favore della Regione. Per questo noi richiamiamo l'attenzione sul fatto che oggi si tratta di operare scelte politiche, e non di evaderle trincerandosi dietro discussioni teoriche e accademiche. L'unicità esistente tra riforma di struttura e riforma istituzionale (e Regione quindi), ci impone oggi di vedere la linea positiva di attuazione delle Regioni nell'affermazione delle lotte per le riforme. E' quindi nei movimenti di lotta, di rivendicazione dei lavoratori e degli studenti, che la Regione può trovare il naturale momento di forza per affermarsi come istituzione nuova, dotata di poteri e di funzioni; ma proprio su questo punto fondamentale non si dice nulla nel documento. Il significato nazionale, non solo locale, che può avere la collocazione della Regione Piemonte, per uno sviluppo economico che consenta di procedere alle riforme di struttura, è del tutto ignorato. Siamo d'accordo che si debba procedere ad analisi, ma anche qui, riteniamo che mentre un quadro di sviluppo regionale deve giustamente essere approfondito sul piano dell'elaborazione teorica, la cosa più urgente oggi, non è tanto l'affidare ad uffici gli studi, le analisi (anche se questo si deve fare) la cosa più urgente è di costruire immediatamente un programma politico, di proposte a livello nazionale, regionale, comprensoriale con indicazioni di iniziative ed obiettivi da mettere in attuazione subito. E ciò è possibile partendo dalle analisi già condotte, dai dati di conoscenza che già si hanno; sarà politicamente e culturalmente valido, anche partendo da questa base, se immediatamente si realizzeranno gli strumenti di partecipazione comprensoriale e settoriale, se si attuerà un lavoro all'interno del Consiglio basato su una forte attivazione, senza barriere di competenza delle Commissioni di lavoro. Tutto ciò manca nel discorso della Giunta.
D'altra parte noi riteniamo che per dare potere alle Regioni, per conquistarsi di fatto uno spazio, è indispensabile affiancarsi e sostenere le rivendicazioni di riforma dei lavoratori. E' così che si pu concretamente operare per evitare i pericoli di limitazione di potere alla Regione e per conquistare i pieni poteri legislativi. Non bastano le denunce, pur condivisibili, di pericoli e di ritardi nel trasferimento dei poteri legislativi. Operare in concreto in questa direzione, significa saldare la nostra iniziativa per un sostanziale trasferimento dei poteri alla Regione a quella delle altre Regioni, e alle lotte operaie per la riforma della casa, della sanità, della scuola, per la riforma agraria tributaria, per lo sviluppo del Mezzogiorno. Operare in questo senso significa in sede nazionale, partecipare attivamente alle azioni che le altre Regioni conducono (partecipare quindi anche ai convegni in modo diverso da come si è fatto nel passato e quindi partecipare al convegno che alcune Regioni hanno indetto sull'assistenza sociale - partecipare in modo qualificato e rappresentativo, con un discorso politico che nasca da un confronto diretto all'interno del Consiglio e delle Commissioni); significa porsi, in sede locale, come interlocutori e operatori nei confronti dei sindacati, degli Enti locali e di quanti stanno lottando per risolvere i problemi che investono la nostra Regione. E' necessario prendere iniziative immediate e concrete sui problemi della casa, della scuola dell'Università, della localizzazione e del decentramento dell'industria dell'infrastrutturazione, e costruire sul piano dell'iniziativa un primo quadro programmato dello sviluppo; un quadro costruito su un piano di scelte politiche e di apporti tratti dalla partecipazione e dalle lotte; un quadro da imporre, e non da contrattare con le forze economiche. Ci significa fare (e si possono fare) alcune scelte immediate, che rompono con il carattere dello sviluppo che si è avuto sino ad ora; significa prendere iniziative per l'ammodernamento della città, per lo sviluppo delle aree periferiche del Piemonte, e su questi temi richiamare le popolazioni ad esprimersi e a battersi. E' in questo modo che la Regione diventa forza e strumento dei cittadini. Non un passo in questa direzione è indicato.
Io voglio solo richiamare l'attenzione sulla situazione della città di Torino. Qui si ritrovano tutti quegli aspetti negativi di condizioni di vita che già, in parte, sono denunciati nella relazione: la congestione l'ecologia alterata, le carenze di abitazioni e di infrastrutture. Sono questi gli effetti, anche denunciati nel documento, di quello sviluppo spontaneo, o meglio, di quello sviluppo logico ed empirico dominato dal profitto e dalla speculazione. Ebbene, non si possono alzare denunce sul passato facendo finta di non accorgersi che quei processi sono in atto, si consolidano giorno per giorno, e pertanto non intervenire. I cittadini di Torino e dei comuni della cintura, gli Enti locali, stanno lottando per difendere la propria condizione di esistenza, ormai precaria; il non affiancarsi a loro, concretamente, significa respingere gli apporti di partecipazione, significa non costruire le unità politiche comprensoriali che devono dirigere lo sviluppo, significa stare dall'altra parte, dalla parte della speculazione e del profitto. E questo, mentre è necessario immediatamente fare qualcosa per dare slancio ad una politica di infrastrutturazione della città che la recupera a condizioni sociali accettabili; mentre è necessario respingere contemporaneamente l'avanzare delle opere di infrastrutturazione che non rispondono ai problemi sociali dei cittadini, a quelli prioritari soprattutto, come capita attualmente nel quadro configurato di infrastrutturazione che ha per oggetto il territorio di Torino, con riferimento allo scalo ferroviario, alla costruzione delle tangenziali, della metropolitana, all'ipotesi della terziarizzazione della metropoli stessa. Sono tutte iniziative già rifiutate dai comuni perché non rispondono alle loro esigenze; anzi, alterano l'attuale quadro d'uso e d'organizzazione del territorio che i comuni si sono dati, assorbono risorse che possono essere destinate ad altri usi e per altre zone. Sono iniziative che sono conseguenti allo sviluppo spontaneo avuto finora, e che tendono a consolidarlo, a rilanciarlo, per creare le condizioni per un ulteriore accentramento di attività, di popolazione e di risorse a svantaggio, ancora una volta, di altre zone. Sono iniziative che per il carattere e la storia che hanno devono essere fermate immediatamente. La Regione deve intervenire per ricondurre ogni discorso alle finalità e agli obiettivi di piano che si è data, sia a livello nazionale che regionale, e che sono contenuti nel suo Statuto; bisogna che queste iniziative vengano fermate per rivederle prima che sia troppo tardi, prima che diventino vincoli capestro per un cambiamento di indirizzo nello sviluppo. Se così si opera, affiancandosi ai comuni con un intervento chiaro e positivo, la Regione acquista una propria credibilità, e al tempo stesso contribuisce a costruire le prime strutture operative e partecipative di comprensorio. Ce lo stanno chiedendo i comuni attorno a Torino, ce lo chiedono comuni di altre zone (e faccio riferimento alla richiesta specifica che ci viene dai comuni del comprensorio di Crescentino). Una linea di questo genere è necessaria e possibile, almeno sul piano dell'iniziativa politica, e deve attuarla subito: sui problemi che ho detto, come su altri problemi. Un quadro di questo genere manca nel documento della Giunta, anzi, le indicazioni sono nel senso di dilazionare la presa di posizione e l'iniziativa politica relativa a questi problemi. In alcuni casi, già nel documento si tende ad esautorare l'autorità futura dei comprensori, come avviene ad esempio per quanto concerne la gestione dei trasporti, per cui è proposto ancora l'ente regionale dei trasporti: non si individua nei comprensori lo strumento di gestione dei trasporti comprensoriali.
La posizione allarmante che emerge dal documento della Giunta è quindi di chiusura sul piano politico, di inoperosità nei confronti dei problemi concreti che i lavoratori pongono avanti; si delinea una posizione che consente il continuare di fatto dei processi avuti nel passato, sui quali tutt'al più, l'atteggiamento è quello di intervenire per eliminarne le strozzature. In questo caso, se una scelta affiora, non è certo quella dell'appoggio delle rivendicazioni dei lavoratori e delle riforme di struttura. In conclusione si impone una chiara revisione dell'indirizzo politico che questo Consiglio Regionale e questa Regione si stanno dando insieme ad una chiara revisione dei metodi di lavoro che si vogliono imporre all'interno del Consiglio. E' un appello che noi facciamo alle forze legate ai lavoratori, interne ed esterne alla Giunta; è un appello che deve essere accolto se vogliamo veramente modificare questo stato di cose.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io ritengo che al momento in cui la Giunta si presenta al Consiglio con le sue dichiarazioni programmatiche, la Giunta stessa e il Presidente abbiano avuto dinanzi a loro la necessità di fare una scelta; portare avanti un tipo di programma basato sulle cose, un tipo di specificazione nei particolari che evidentemente manca in questo programma che ci è stato presentato, oppure scegliere l'altra strada, quella delle dichiarazioni di fondo su alcuni problemi fondamentali della vita della Regione che, proprio per non identificarsi nelle cose, nei particolari, volesse evitare di perdere di vista in generale. Ora, questa scelta la Giunta l'ha fatta (e il Presidente ne ha dato dimostrazione nel presentare le sue dichiarazioni) fermandosi all'inquadratura generale dei problemi e, secondo me, noi dobbiamo in questo momento vedere in quale maniera possiamo riempire quei vuoti e soprattutto quali indicazioni politiche il Consiglio può dare affinch come dice la relazione, le parti mancanti siano riempite sul piano del dibattito, con l'apporto di tutti. Se ci pensiamo bene, una relazione programmatica fatta sulle cose, allo stato attuale del piano, del quadro legislativo, allo stato attuale dell'apertura da parte dello Stato, da parte del Governo, nei confronti delle Regioni, a mio modo di vedere poteva anche risultare in ultima analisi velleitaria. Quindi io non mi schiero dalla parte di coloro che vorrebbero a tutti i costi dichiarazioni programmatiche con un elenco di cose, anche se mi rendo conto che democraticamente dobbiamo partecipare, nell'ambito del quadro generale che la Giunta ci ha dato, per riempirlo, per dare delle indicazioni che siano significative, rispetto a quella impostazione.
In fondo mi pare che la Giunta ci dichiari: attenzione se ci basiamo su un elenco di cose, andiamo nella direzione che vorrebbe una parte almeno del potere centrale, che è disposto a fare i sorrisini e gli inchini, come è detto qui, a proposito di decentramento amministrativo, ma che è in posizione di allarme e di resistenza nel dare vere funzioni legislative alle Regioni. Cioè la battaglia che si sta iniziando ora, è una battaglia grossa perché se ci accontentiamo di fare gli amministratori decentrati di funzioni un tempo avute in mano dallo Stato e non tendiamo invece ad assicurare un ampio, un costituzionale ambito legislativo, tradiamo l'istituto regionale fin dall'inizio.
Io voglio intendere così la relazione che la Giunta ci ha presentato perché se è in questo quadro, allora è indubbio che il nostro apporto ha un significato al di fuori di questo quadro ed evidentemente potremmo tutti quanti metterci sul piano di una polemica a vari strati, a vari livelli perché manca quella cosa, manca quel particolare che ciascuno di noi pu desiderare venga ricordato. Non c'è dubbio, non svilisco a livello di particolari cose che qui sono già state fermate per i settori fondamentali altrimenti mi darei una patente da solo di incomprensione dei problemi che abbiamo in dibattito, però ritengo che nel quadro generale in cui tendiamo tutti assieme a mettere a posto i pilastri fondamentali della vita della Regione sin dal suo inizio, i particolari, grossi e piccoli che essi siano si potranno incastonare meglio. Mi permetterò di dare anche qualche indicazione in proposito. Comunque non dimentichiamo ciò che qui è stato affermato ed io ho ripetuto: i poteri centrali molto facilmente accetterebbero la logica di un decentramento amministrativo, mentre con maggiore difficoltà - e ne sono testimonianza i dibattiti in corso, e i documenti in preparazione attualmente nei vari Ministeri per il passaggio dei poteri alle Regioni - le vere funzioni della Regione, quelle che sono consacrate nell'art. 117 della Costituzione, troverebbero un periodo di difficoltà quando ci fermassimo un passo prima, accontentandoci di gestire sul piano decentrato la funzione amministrativa.
Detto questo mi faccio carico di parecchie osservazioni di carattere generale che sono state fatte. Però mi faccio anche carico del tentativo che ha fatto la Giunta di interpretare gli elementi fondamentali del momento e su questo penso dobbiamo portare un nostro contributo.
La Giunta, secondo me, deve essere invitata dal Consiglio ad inserirsi in maniera più attiva di quanto finora abbia fatto, nel grande dibattito nel grande dialogo che avviene fra le Regioni e lo Stato. Non dobbiamo temere, partecipando con colleghi di altre Regioni che portano problemi specifici, ma in generale le stesse esigenze popolari, di vedere annacquata, ridotta, sminuita la nostra azione specifica di Regione Piemonte. Pertanto io invito la Giunta ad inserirsi e fare in modo che nel dibattito grosso che è in corso in tutto il Paese, a proposito delle grandi riforme, anche noi possiamo dire la nostra, soprattutto per rimarcare i difetti d'impostazione regionalistica nelle leggi che sono in preparazione e per rimarcare quegli aspetti particolari che ci sono propri come regione piemontese. Quindi concordo che dobbiamo entrare nel discorso della casa e dei trasporti, non dimenticando la prerogativa dell'art. 117 in merito all'urbanistica, ai trasporti, ai temi della vita nazionale, della vita locale, proprio perché vengono affermate nelle leggi in preparazione quelle cose che superano il discorso di congiuntura dal quale la Regione non deve essere assente, ma che deve stabilire soprattutto il trampolino per il discorso grosso, per il discorso in prospettiva in cui la Regione deve essere l'elemento determinante. Dobbiamo inserirci nel dibattito della riforma sanitaria, affinché quello che sta procedendo a livello di Governo di Parlamento, trovi il Piemonte puntualmente presente e in condizioni di poter portare avanti gli aspetti caratteristici di una regione che ha alcune concentrazioni industriali molto importanti e che proprio per questo ha una particolare influenza sul problema della sanità.
Andando oltre, direi di farci promotori là dove lo Stato non ha ancora iniziato il suo lavoro, con inserimenti per richiedere (avendo però già idee chiare sui quadri che devono essere esposti) interventi in altre direzioni. E mi permetto, proprio a fianco della Sanità, di inserire il grosso argomento della sicurezza sociale, dell'assistenza sociale che è certamente uno di quelli su cui dovrà accentrarsi maggiormente l'attenzione della Regione per la promozione che determina nel mondo del lavoro e, mi si consenta questo termine, in quello dei più diseredati, il quale deve avere un andamento assolutamente parallelo con la riforma sanitaria.
In altri termini, al di là del discorso già aperto (e questi sono degli esempi) per le riforme, per le leggi quadro, a livello di alcuni Ministeri credo che la Giunta, basandosi su quei presupposti programmatici di carattere ideologico e generale che ha voluto qui dichiararci, debba mettere a punto una linea rivendicativa attraverso un'autonoma caratteristica preparazione di progetti di legge, affinché non soltanto in una visione di critica, di progetti di legge preparati dall'alto, ottenga la più ampia partecipazione sulle impostazioni che noi richiediamo.
Pertanto la Giunta, secondo me, deve iniziare a monte addirittura, il proprio lavoro, dichiarare le proprie richieste, farsi interprete cioè delle esigenze della Regione in modo tale che nel confronto a livello di Ministeri, a livello, domani, del Parlamento, si trovi preparata con un contributo del tutto nostro, anche perché ho il timore che camminando nell'attesa che il Governo ci dia le bozze di progetto proprio per i tempi limitati che avremo a disposizione, rischiamo di porci in una sterile posizione di contrapposizione allo Stato che abbiamo rifiutato, anche in sede statutaria, per trovare una nostra specifica collocazione e pretendendo naturalmente che gli organi centrali dello Stato ritrovino una loro specifica collocazione. Mi pare che proprio su questo argomento della preparazione di originali documenti su temi ancora non aperti o non sufficientemente aperti dal dibattito nazionale, oppure dal preesame, dalla discussione dei documenti che dai Ministeri escono per le deleghe, si possa trovare una funzione caratteristica di collaborazione, distinta per le funzioni, fra la Giunta e il Consiglio a livello di Commissioni consiliari.
L'esame che le Commissioni consiliari dovranno fare dei progetti di legge potrà essere anche un'opera, diciamo, creativa, potrà essere anche un'opera di esame preventivo non soltanto delle determinazioni della Giunta Regionale, bensì dei documenti che vengono dai Ministeri per le leggi delega, per le leggi quadro, in cui il Consiglio Regionale può dare meglio piuttosto che in assemblea, il proprio contributo; non dimentichiamo che la partecipazione popolare è prevista proprio a livello delle Commissioni consiliari e pertanto in questa fase sarà possibile attuare un rodaggio della vita delle Commissioni nei rapporti del Consiglio e della Giunta anche in quell'ampio ambiente esterno che le Commissioni stesse dovranno e potranno consultare, potranno e dovranno far partecipare.
Un aspetto che è stato piuttosto rimarcato nel programma, è quello generale della programmazione. Io penso di accentrare la mia osservazione su un punto, pregando la Giunta di volerne tenere conto e di fare in modo che anche nella risposta vi siano elementi positivi in proposito. Oggi mi pare che siano largamente diffusi la convinzione e l'orientamento nelle forze politiche, che si può avere un piano serio, attendibile, sia a livello nazionale che regionale, se si pone alla base di tutto una disciplina ferrea delle localizzazioni e delle ubicazioni industriali altrimenti rischiamo e a livello di programmazione, e a livello di piani urbanistici, di fare cose che possono essere anche interessanti, molto belle, approvabili in sede accademica, ma che non hanno determinati contenuti di scelta politica quali si richiedono ai programmi e ai piani.
La Regione, proprio per il collegamento di compiti programmatori generali di compiti urbanistici in particolare, deve immediatamente scendere a scelte fondamentali in questo campo.
Io rinvio (e prego di voler fornire a tutti, appena saranno pronti, gli atti, le relazioni) il dibattito che si è svolto per iniziativa del Comune di Torino sabato scorso e in cui sono state date alcune indicazioni di un certo valore. Vi erano del resto presenti Assessori, molte forze del Consiglio Regionale e quindi ritengo che quanto lì si è discusso possa essere utile oggetto di meditazione e di esame.
Quanto alla localizzazione, cioè al piano nazionale dell'industria penso che la partecipazione nostra alla stesura delle linee del piano nazionale deve essere strettamente coerente con le enunciazioni che abbiamo fatto nello Statuto. In altri termini, qualcuno aveva criticato l'inserimento dei problemi del Mezzogiorno nello Statuto del Piemonte quasi fosse un qualcosa che non aveva niente a che fare con la nostra Regione, invece si è ritenuto giustamente di inserirli. Però dobbiamo dare un seguito a quelle scelte, tanto che non sembri che l'abbiamo scritto in maniera furbesca, quasi con una strizzatina d'occhi per dire poi insomma queste cose restano scritte, sono dichiarazioni di carattere generale. Qui effettivamente il piano nazionale ha un significato concreto se trova il giusto calibro, la giusta localizzazione del Mezzogiorno e delle aree depresse a proposito dello sviluppo industriale. Non dobbiamo partecipare alla stesura del piano nazionale là dove siamo chiamati: il Mezzogiorno e le aree depresse devono trovare quella priorità che è l'unico elemento possibile per stabilire un riequilibrio generale della situazione economica da un lato, e (quel che ci interessa di più) sociale, dall'altro.
Naturalmente vi deve essere una conseguenza operativa nell'ambito delle responsabilità dirette della Regione, al di là della partecipazione alla stesura del piano nazionale, cioè nell'ambito della pianificazione regionale, e quindi a livello di quella che è stata definita la ubicazione delle industrie dobbiamo prendere atto di alcune situazioni e camminare in conseguenza.
A proposito dell'area metropolitana torinese, dobbiamo con molta chiarezza e con tutte le conseguenze del caso, avere la convinzione che quest'area è satura sotto il profilo economico, è diseconomica sotto il profilo sociale, è esplosiva e pertanto tutto quello che si dovrà fare nell'ambito di quest'area dovrà essere una forma di disincentivazione cercando di ristrutturare il territorio e le sue funzioni. Nell'ambito della Regione dobbiamo poi fermare la nostra attenzione per identificare quelle aree che sono in notevole crisi (pur avendo una tradizione industriale) di settore o di altro genere.
Oggi abbiamo parlato di una parte del Novarese, abbiamo già altre volte ricordato il Biellese, le Valli piemontesi, le Vercellesi, cioè là dove vi è un cedimento delle strutture tradizionali industriali ed è chiaro che noi dobbiamo, come Regione, nella programmazione, identificare queste aree come zone in cui si deve attuare una riconversione con le stesse linee che abbiamo già esposto in questo Consiglio in occasione del dibattito sulle industrie, affinché l'occupazione operaia, la possibilità di vita dei lavoratori, degli abitanti di queste zone siano difese strenuamente e vi sia la possibilità di applicare ogni impegno della Regione per una riconversione là dove i settori sono talmente in crisi che non consentono una ripresa propria, una riconversione industriale che dia però garanzie di difesa della occupazione e della situazione economica e sociale di quelle zone.
Dobbiamo finalmente identificare le zone depresse della Regione, zone depresse strutturalmente, che non hanno possibilità di garantire il minimo di vita civile; abbiamo parlato di civili condizioni di vita parlando di agricoltura; pare che il rapporto possa anche andare bene in quanto molte volte per insediamenti industriali non inquadrati in una visione organica invece di sovvenire ad una situazione di area depressa, si va piuttosto a scompaginare la situazione di una zona ancora valida dal punto di vista agricolo. Citerò per tutti l'insediamento di Cavallermaggiore, area che poteva avere ancora una certa difesa della propria agricoltura e che in questo modo la vedrà distrutta; anche questo insediamento verrà caricato per induzione, ancora una volta, sull'area metropolitana torinese.



BERTI Antonio

E' gia deciso?



GARABELLO Enzo

Per ora se ne parla. Ne ho sentito parlare fuori, chiacchierando con qualche collega e pare che le cose siano veramente molto avanti, ad un punto preoccupante; pertanto ritengo che la Giunta debba dedicarsi immediatamente al problema specifico che mi pare indicativo di un andazzo di sviluppo che non determina buone situazioni industriali, distrugge situazioni agricole ancora valide. E' chiaro che la nostra programmazione deve svolgersi in modo particolarmente urgente, perché se vi sono ancora quattro o cinque sistemazioni di questo genere nella Regione, ho l'impressione che avremo sballato molto di quell'ecologia che ancora ha possibilità di essere difesa e vi sarà anche qui il problema di recuperare valori che si sono persi.
Io avevo già chiesto alla Giunta (e mi riprometto di sottolinearlo) l'opportunità di approfondire - se necessario portandola nelle Commissioni appena costituite - il parere da dare sul non completamente soddisfacente disegno di legge 1525 relativo al Mezzogiorno e alle aree depresse. Non completamente soddisfacente perché anche qui, per quanto riguarda le Regioni, c'è una specie di pannicello caldo, una gestione di carattere amministrativo di quei disincentivi che sono introdotti e di per sé sono un elemento valido nuovo di apertura nel confronto dei problemi industriali ma non da risolversi nei termini qui prospettati, altrimenti diventano negativi da ogni punto di vista e la Regione un'altra volta risulta assente. Io non credo che la Regione voglia essere il luogo di raccolta degli eventuali disincentivi per gestirli a titolo di opere infrastrutturali, ma piuttosto voglia essere un forte centro decisorio di carattere politico, mentre la legge demanda al Cipe, senza neanche la consultiva partecipazione della Regione, la determinazione delle aree congestionate da disincentivare. Io ritengo che in questa visione generale di piano la Giunta debba fare mente locale su questo, portando il dibattito a livello delle Commissioni e se è necessario anche in Consiglio, affinch un così importante documento, che può essere sul piano attuativo piuttosto significativo, trovi la nostra come tutte le altre Regioni pronta al discorso più generale del piano regionale, per cui urge quanto meno la identificazione delle aree da incentivare, da recuperare, dal punto di vista dello sviluppo industriale e quindi vi è un'immediata necessità di lavoro anche a livello di approfondimento urbanistico del discorso. Mi pare sia fondamentale - ciò che del resto nella relazione è ricordato - la necessità di identificare al più presto i comprensori proprio come strumento intermedio di pianificazione e di gestione, comprensori che devono avere (qui è detto ed io lo metto in rilievo) soprattutto il compito di dare una dimensione diversa al respiro degli Enti locali, al lavoro in comune soprattutto delle prospettive di sviluppo che gli Enti locali si attendono. E' un invito alla Giunta di dare contenuto alle dichiarazioni sul problema generale della programmazione e parallelamente dell'urbanistica. Ci rendiamo conto che molti altri settori di attività della Giunta sono trainati da questo tipo di discorso e la Giunta stessa potrebbe presto darcene dimostrazione con la preparazione dei suoi documenti, dei suoi orientamenti e della indicazione delle scelte politiche. Parallelamente debbono iniziare immediatamente gli studi per tradurre in pratica la Finanziaria regionale perché l'unico modo per determinare un certo tipo di politica insediativa che secondo me, deve essere visto soltanto nel senso negativo di disincentivare (vedi legge sul Mezzogiorno) ma soprattutto nel senso di incentivo, di guida attiva e partecipativa all'insediamento industriale nelle aree depresse.
Ho voluto fare queste osservazioni che, se vogliamo, hanno anche un contenuto critico costruttivo, per dare maggiore forza alle dichiarazioni della Giunta. Sono convinto che se togliamo in noi ogni acredine di carattere polemico, possiamo accettare il quadro che abbiamo dinanzi a noi.
La battaglia regionalistica in realtà incomincia in questo momento, perch vi sono nella nostra, come in gran parte delle altre Regioni, gli organi costituiti; ormai gli Statuti sono alle porte, si aspetta (ci auguriamo giunga presto) l'approvazione della Camera dei Deputati e poi vi è poco più di un anno dalla scadenza di quel famoso termine che la legge ha posto per entrare in funzione sul piano legislativo. Tutti abbiamo presente l'anno che è quasi passato, mentre dobbiamo avere dinanzi ai nostri occhi il prossimo, che è quello fondamentale nel quale si avranno le leggi quadro, i decreti delegati, una graduale presa di possesso da parte della Regione dei suoi poteri. E' qui che le Regioni vincono o perdono la loro battaglia.
Pertanto, se il quadro che la Giunta ci ha presentato (io non ho dubbi che sia così) è quello di usare questo anno per determinare una guida politica di presenza della Regione Piemonte e arrivare bene al giugno del '72 allora credo che il Consiglio, anche sul piano delle divergenti visioni dei problemi, possa scendere concretamente nei problemi e dare alla Giunta il massimo di collaborazione per la battaglia che combattiamo assieme. E' necessario però che tutti quanti ci rendiamo conto della responsabilità di riempire l'anno che ci divide dalla nostra potestà legislativa con un'iniziativa politica intensa, con un dibattito chiarificatore, con proposte, con pressioni sugli organi centrali, che non siano soltanto limitate a ciò che possiamo dire noi all'interno di quest'aula ma che siano fortemente partecipanti. La Giunta deve assumere in questa visione le sue posizioni, fatte le dichiarazioni generali deve specificare la sua linea rivendicativa delle funzioni fondamentali nei confronti dello Stato e deve porsi come guida di tutta la Regione, al di là del Consiglio, al di là di coloro che già partecipano e vivono attorno alla responsabilità politica come forze sociali; deve porsi alla guida di tutto questo sistema che, se consentite, può sembrare un po' retorico, un po' immaginifico, ma se non tendiamo concretamente a porci alla guida di un qualcosa andando ad identificare l'opinione pubblica e spingendola verso la soluzione di questi problemi, anche la Regione potrà essere molto meno di quello che la gente spera che possa essere e noi stessi speriamo di farla diventare. La Giunta quindi ci dia le sue indicazioni concrete sui singoli problemi, abbia la disponibilità per intessere nelle sue impostazioni quegli orientamenti che dal Consiglio Regionale, vuoi nelle forme di Commissione, vuoi nelle sedute di assemblea possono sorgere, affinché questa autonomia in cui abbiamo creduto, in cui continuiamo a credere diventi qualche cosa di sostanziale di concreto, affinché le genti nostre abbiano l'impressione e la convinzione che la Regione non è stata un qualche cosa che si è venuto a sovrapporre e non ha niente da dire, ma è veramente lo strumento per dare voce alla volontà popolare.


Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

Per consentire alla Commissione regolamento di proseguire i suoi lavori, in vista della elaborazione delle norme che serviranno a formare le Commissioni, la seduta sarà ora tolta e rinviata a lunedì prossimo tuttavia prima desidero comunicare la data di convocazione della seduta medesima e il suo ordine del giorno.
Il Consiglio Regionale è convocato nel Palazzo delle Segreterie per il giorno di lunedì 26 aprile p.v. alle ore 16 con il seguente o.d.g.
1) approvazione verbale della precedente seduta 2) comunicazioni del Presidente 3) seguito della discussione sul programma della Giunta 4) ricostituzione del Consiglio di amministrazione dell'Ospedale Maggiore San Giovanni Battista della città di Torino; nomina dei membri di spettanza della Regione 5) norme di regolamento relative alla formazione delle Commissioni 6) formazione delle Commissioni permanenti 7) proposta di deliberazione sul tema: "Prima costituzione degli uffici regionali, determinazione ai fini di un comando di un secondo contingente di impiegati".
Se non vi sono osservazioni, l'o.d.g. della prossima seduta si intende approvato. Non vi sono osservazioni, è approvato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



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