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Dettaglio seduta n.36 del 20/04/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego un Segretario Consigliere di dar lettura del verbale della seduta precedente.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura del processo verbale della seduta del 15 aprile 1971.



PRESIDENTE

Se non ci sono osservazioni, il verbale si può intendere approvato. Non vi sono osservazioni, dunque è approvato.


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Calleri, Garabello Falco, Carazzoni, Debenedetti.


Argomento:

Congedi

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio Regionale


PRESIDENTE

Comunico anche una lettera del Presidente della Giunta: "La prego di voler inserire all'ordine del giorno di una delle prossime sedute del Consiglio Regionale la proposta di determinazione ai fini del comando di un ulteriore contingente di impiegati, indicato per numero e per qualifiche, da destinare alla prima organizzazione e funzionamento del Comitato di controllo delle Province e degli Enti ospedalieri".
La questione sarà messa all'ordine del giorno di una delle prossime sedute. Non so se la proposta di delibera sia già stata distribuita tra i Consiglieri, comunque dovrebbe esserlo nel corso di questa seduta.
Comunico pure che il Presidente della Giunta mi ha trasmesso il conto consuntivo dell'esercizio finanziario 1970, che il Presidente della Regione ha obbligo di consegnare entro il 30 aprile dell'anno successivo alla chiusura di un esercizio, in base al decreto del giugno '70 sulla contabilità speciale e sui poteri che sono conferiti in tale decreto al Presidente della Regione. Questo conto consuntivo, che può essere approvato soltanto con legge della Regione, ossia con un atto che è possibile soltanto dopo l'approvazione dello Statuto, sarà tuttavia trasmesso, appena insediata la Commissione Bilancio e Programmazione, alla Commissione medesima, per essere esaminato secondo le procedure previste dallo Statuto ed essere quindi pronto per essere sottoposto all'approvazione del Consiglio Regionale non appena lo Statuto stesso sarà stato definitivamente approvato dalla Camera dei Deputati.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Discussione del programma della Giunta


PRESIDENTE

Veniamo quindi al punto terzo dell'ordine del giorno: "Discussione del programma della Giunta".
E' iscritto a parlare il Consigliere Gerini.



BERTI Antonio

Vorrei fare una dichiarazione.



PRESIDENTE

Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Il nostro Gruppo ritiene che, considerato il carattere delle dichiarazioni che ha fatto qui il Presidente della Giunta - sottolineo "dichiarazioni programmatiche", non "programma operativo" come era iscritto all'ordine del giorno -, carattere prettamente personale, sia perché, a quel che si sente dire, esse non riflettevano minimamente i vari contributi elaborati dagli Assessori, sia perché tendevano alla riaffermazione di una serie di punti di vista sulla ripartizione delle competenze fra Esecutivo Assemblea eccetera basati su convinzioni a nostro giudizio molto personali soprattutto personali, del dott. Calleri, cui noi intendiamo dare una risposta la più precisa possibile, questo dibattito non possa aprirsi in assenza del Presidente della Giunta, perché altrimenti mancherebbe al dibattito l'interlocutore più necessario.
Siamo intervenuti oggi a questa riunione consapevoli che a norma di Statuto la data andava comunque rispettata; chiediamo, però, che il dibattito vero e proprio abbia inizio soltanto domani. Se poi fosse confermato che anche domani il Presidente della Giunta, come si è sentito da qualche parte ventilare, non potrà essere presente, continuando i lavori del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, chiederemmo una riunione dei Capigruppo per vedere come sia possibile ottenere che il Consiglio Regionale del Piemonte discuta una buona volta alla presenza del suo rappresentante più qualificato, appunto il Presidente della Giunta.



PRESIDENTE

Faccio presente che la decisione di porre la seduta di oggi nel calendario dei nostri lavori, con inizio della discussione sul programma della Giunta, fu presa all'unanimità dalla conferenza dei Capigruppo quando già era noto che nella giornata odierna avrebbe avuto luogo il Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana. Da parte del Presidente della Giunta non furono sollevate eccezioni alla possibilità che il dibattito iniziasse anche in sua assenza; e neppure da parte dei Capigruppo, di tutti i Gruppi compreso il suo, Consigliere Berti, furono sollevate eccezioni.
Ella ha fatto una riserva circa il carattere delle dichiarazioni del Presidente della Giunta. Credo tuttavia sia assai importante riaffermare perché è una questione di principio, che il documento del quale si discute in questa sede è il programma della Giunta, di un organo collegiale che è solidalmente impegnato attorno alle dichiarazioni che a nome della Giunta ha fatto il suo Presidente: non, quindi, un atto del Presidente della Giunta nella sua qualità di capo del potere esecutivo della Regione, ma un documento elaborato collegialmente dalla Giunta, quale che sia il modo in cui è stato elaborato (questo lo potrà chiarire, eventualmente, replicando alle sue odierne dichiarazioni, il Presidente della Giunta), e quindi impegna una responsabilità collettiva della Giunta. E', a mio avviso, assai importante che anche quando occasionalmente manchi il Presidente della Giunta, allorché è stato fissato nel calendario dei nostri lavori un dibattito in Consiglio che riguarda la responsabilità della Giunta, questa rappresentata dal Vicepresidente della Giunta stessa e dagli altri Assessori, sia considerata presente; la Regione Piemonte non si può fermare perché un componente della Giunta, sia pure il più importante, della Regione Piemonte è occasionalmente assente. Una buona vita democratica vuole che una assemblea rappresentativa sia in grado di funzionare anche quando l'organo collegiale non è rappresentato. Che poi ciascun partito ritenga di dover fare dichiarazioni soltanto in presenza dell'uno o dell'altro membro della Giunta, è questione che involge la responsabilità di quel partito, che può preferire di avere come interlocutore fisico il Presidente della Giunta medesimo. Poiché l'interlocutore giuridico e politico è qui presente nel dibattito odierno, ritengo di non poter accogliere la richiesta di rinvio di questo dibattito e di dover dar corso agli impegni assunti all'unanimità dalla conferenza dei Capigruppo.
E' iscritto a parlare il Consigliere Gerini. Ne ha facoltà.



GERINI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a ben guardare le dichiarazioni programmatiche della Giunta espresse dal suo Presidente, non si trovano, nel complesso, nei contenuti e nella linea politico amministrativa, differenze di rilievo dal documento che i partiti di centro sinistra presentarono al Consiglio Regionale il 24 febbraio scorso per vedere insediata la Giunta.
Nel documento di oggi posto alla nostra attenzione, definito programma quando programma non è, vi sono però contraddizioni di fondo. Mentre nella prima parte, infatti, il documento viene troppo ambiziosamente definito programma, nella conclusione, poi, mostra la corda, e viene non più definito tale ma solo un inventario di esigenze. Esigenze, badate bene, che nessuno fino ad ora, fosse o non fosse regionalista convinto, osava mettere in dubbio solo che leggesse il primo comma dell'art. 117 della Costituzione. In concreto, si invoca l'esigenza che la facoltà legislativa dell'istituto regionale non venga ristretta o compressa dal potere centrale dimostrando così poca fiducia in quello stesso Governo di ieri e di oggi che volle, e fortissimamente volle, che l'istituto regionale diventasse realtà.
Da questo ragionare, dalla constatazione che il corpo sociale della Nazione non abbia ancora recepito la sostanza ed il significato della Regione deriva che, una maggior confusione ed un maggiore scetticismo potrebbe impadronirsi della maggioranza che questa riforma sentiva e voleva. Certamente, così ragionando, non si poteva e non si può configurare un programma vero e proprio, perché diventa aleatorio programmare dubitando.
E' pur certo che la prima cosa da farsi sarà di dar corso agli adempimenti statutari che sono immediatamente conseguenti all'approvazione dello Statuto. Ma questa o queste operazioni della cosiddetta seconda fase costituente sono adempimenti obbligatori che in un programma devono, oltre alla citazione, trovare maggiore spazio circa le scelte applicative.
Andando al concreto, si ha l'impressione che una certa pigrizia mentale si sia impadronita della Giunta portandola ad evitare di richiamarsi qui ai problemi del momento che sono vivi nella coscienza di tutti. Sembra che si voglia ribaltare tutto a dopo, occupando le linee programmatiche di estesi spazi di silenzio.
Eppure, oltre ai tradizionali strumenti che da un decennio, attraverso l'Ires, conosciamo, e che la Giunta pare voler fare propri, come la Finanziaria pubblica, l'Ente regionale dei Trasporti e l'Ente di Sviluppo agricolo, alcune scelte settoriali dovevano indicarsi, in relazione alle scelte che si pongono alla Regione sostanziando concretamente gli obiettivi.
Ci si richiama agli studi dell'Ires come se nessuno di noi li conoscesse. Per la parte che concerne l'ecologia, nulla da dire; direi che va molto bene, che c'è concretezza di apprezzabili propositi da condividere perché non è trattata in modo impreciso e nebuloso. Va però comunque osservato che in materia, l'Istituto regionale ha un ruolo solo potenziale non essendo stato prefigurato ed assegnato. Il problema ecologico, nella sua complessità e globalità, non ebbe, per ovvi motivi, l'adeguata percezione dai nostri padri costituenti. E', questo, motivo di maggior rimpianto per quella che potrebbe essere sentita come una occasione mancata di creare delle strutture finalizzate ad esigenze oggi così sentite, e che nell'ambito regionale, troverebbe la dimensione ottimale.
Resta, così, valido l'impegno della ricerca di linee operative nel settore, da inquadrarsi in qualche modo nelle competenze regionali. Se l'impegno di tutti noi in questo settore risulterà valido, riusciremo, con la formulazione di un piano delle acque, a risolvere taluni problemi dei quali uno mi sta particolarmente a cuore, ed è quello agricolo.
Dominante per lo sviluppo agricolo piemontese è il fabbisogno idrico per l'irrigazione, il quale non può essere risolto da una pur utile revisione delle utenze, ma va impostato su concrete possibilità di incrementare l'approvigionamento tenendo presenti, al riguardo, le esistenti disposizioni legislative sul censimento delle sorgenti e loro destinazione preminente all'agricoltura.
In proposito si osserva che le variazioni di orario nei bacini di carico delle grandi derivazioni, con giornate festive e prefestive provocano scompensi gravissimi nell'afflusso in pianura delle acque d'irrigazione, mentre tutte le concessioni stipulate a suo tempo dalle Società elettriche prevedevano l'assoluto divieto di variare il deflusso delle acque destinate all'irrigazione.
Vorrei ora accennare brevemente ad alcuni problemi agricoli: strettamente connesso al precedente è il problema relativo agli inquinamenti delle acque e dell'atmosfera, il quale è ormai molto preoccupante, e perciò prioritario su ogni altro. Occorre agire senza indugio per imporre la depurazione ovunque occorra.
Altrettanto attuale, e purtroppo talora drammatica, è la difesa del suolo contro la degradazione idrogeologica, connessa, questa, al destino stesso della popolazione montana onde le attese soluzioni gioveranno tanto al piano che al monte. Quasi nulla è stato fatto per evitare il ripetersi delle gravi conseguenze delle alluvioni, quali si sono verificate negli anni scorsi e che ormai ritornano con intensificata, paurosa frequenza.
Maggiore speditezza richiede il completamento della elettrificazione rurale nonché dell'allacciamento telefonico, ormai indispensabile anche per le aziende agricole, però di costo ancora proibitivo.
Pur riconoscendo a merito delle Province e dei Comuni il notevole miglioramento apportato alla rete stradale di loro competenza, si riscontra tuttavia che molti tratti sono ancora in pessime condizioni, e non asfaltati. Inoltre, un riassetto radicale è necessario apportare anche alla viabilità minore, la quale è non solo inadeguata al transito dei mezzi meccanici, ormai diffusi nelle aziende agricole, ma spesso impraticabile nei periodi piovosi.
La preparazione professionale agricola, salvo debite eccezioni, va migliorata; però in relazione ad attendibili orientamenti produttivi che le vicende di mercato di taluni settori (orto e frutta) hanno reso incerti.
Così l'assistenza tecnica. In merito a questo, e stante la limitata efficacia dei corsi di aggiornamento, è convinzione generale che sarebbe di grande utilità l'effettivo insediamento - specie nelle zone più depresse, e soprattutto in collina ed in montagna - dell'agronomo condotto, che similmente al medico ed al veterinario, sia a disposizione costante delle aziende, essenzialmente delle piccole e medie, in un limitato numero di Comuni. Un tecnico preparato e volitivo, ovviamente impegnato a risiedere in loco almeno per un quinquennio e la cui attività sia svincolata da incombenze burocratiche; che sappia far accettare il proprio consiglio anche se non richiesto, oltre ad ottenere solleciti aggiornamenti - ed innovazioni - colturali e di allevamento e quindi incrementi produttivi.
Richiamo l'attenzione sull'urgente necessità di ricostituire la Stazione sperimentale di Vercelli per la risicoltura e il Laboratorio sperimentale di fitopatologia, recentemente soppressi per le note disposizioni legislative di riordino di detti istituti. Attenzione richiede pure l'Osservatorio, che sembra stia perdendo i tecnici sperimentatori.
E' altresì auspicato che i nominandi nuovi amministratori dell'Istituto zooprofilattico siano scelti tra gli allevatori di riconosciuta preparazione.
La Giunta deve poi esercitare la dovuta pressione presso gli Ispettorati agrari per l'accoglimento di numerose domande di contributi per miglioramenti fondiari che, per l'importo di parecchi miliardi, giacciono senza alcuna speranza di accoglimento. Il problema è reso più grave dal fatto che la maggior parte di quelle domande riguardano agricoltori residenti in zone collinari e montane che sono in definitiva quelle depresse della Regione e meritevoli, quindi, di aiuto e di rilancio.
Ho toccato il problema dell'agricoltura perché è quello che più mi appassiona, ma anche perché nella relazione programmatica è quello più volutamente ignorato. Vuol forse dire, paradossalmente, che se il problema è stato ignorato la Regione lascerà tranquilli di lavorare gli agricoltori dopo la mazzata che tanti proprietari hanno preso attraverso l'approvazione della legge sui fitti rustici De Marzi-Cipolla.
Perché la relazione programmatica non ha tracciato le linee del come verrà configurato in Piemonte l'Ente regionale di sviluppo agricolo? E perché non darci visione della configurazione dei piani zonali? Lo si vorrà forse conformare al disegno già proposto dal Partito comunista tramite il sen. Chiaromonte? Siamo d'accordo che l'Ente di sviluppo non deve suscitare il panico che in tanti mostra di suscitare, ma deve pur tuttavia essere bene applicato.
Un esperto mi diceva che può essere paragonato ad un martello: se il martello lo si adopera per quel che serve è strumento indispensabile, se lo si adopera per batterlo in testa alla gente è nocivo.
Per finire, vorrei ancora dire che lo sport, come diritto sociale meritava più che un cenno. Considerando il risveglio dell'interesse pubblico per lo sport come servizio sociale, come problema di educazione sportiva scolastica, oggi che le proteine vincono sul pan di meliga occorreva, seppure a grandi linee, configurare una direttiva di azione a medio termine, con la collaborazione, magari, del CONI.
Una linea a lungo termine poteva pure essere prefigurata per il ruolo che avrà la Regione in una Europa federale.
Concludendo, signor Presidente, ancora una volta noi liberali attraverso il nostro apporto critico, vogliamo professarci leali collaboratori, non radicalizzando lo spirito antiregionalista che poteva essere nostro ieri e non più oggi; ma avvertiamo che quello spirito potrebbe lievitare e prosperare nella coscienza popolare attraverso le incertezze di cui pare cosparsa la linea politico-amministrativa di questo programma.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Paganelli. Ne ha facoltà.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, le dichiarazioni programmatiche fatte dal Presidente Calleri alla nostra assemblea nella seduta del 15 aprile sono state, nella loro parte centrale, una chiara denuncia della situazione attuale dei rapporti tra Stato e Regione, situazione che vede gli organi centrali arroccati in difesa di prerogative che dovrebbero essere trasferite agli organi regionali.
La posizione del Presidente della Regione, e quindi della Giunta merita particolare sottolineatura: il trasferimento alle Regioni principalmente di funzioni amministrative (che in parte dovrebbero poi essere delegate agli Enti locali) è ben poca cosa se non si accompagna alla pienezza dell'esercizio della potestà legislativa per le materie elencate nell'art. 117 della Costituzione. Ed è proprio in riferimento a questa potestà che si notano le remore del potere centrale nell'emanare con ampiezza di vedute e con rispetto della Costituzione le cosiddette leggi quadro o cornice necessarie a dare lo spazio legislativo che compete alle Regioni.
Le preoccupazioni della Giunta e la voce di allarme che è stata elevata e che si unisce a quella delle altre Regioni ci trovano pienamente consenzienti: la battaglia del regionalismo è infatti ancora in pieno svolgimento, e dobbiamo combatterla con fermezza se vogliamo che la stessa giunga a successo.
Nel mio precedente intervento in sede di discussione del documento contenente le linee politiche ed amministrative poste a base dell'elezione del Presidente e della Giunta mi ero particolarmente soffermato su due argomenti: le Commissioni legislative e gli organi di controllo. Ho notato con piacere che le raccomandazioni che mi ero permesso di fare in quella occasione hanno trovato ampio riscontro nella relazione programmatica.
Nel ribadire, proprio nell'ambito di quel potere legislativo che si invoca nella sua pienezza, l'importanza delle Commissioni di prossimo insediamento la Giunta ha assicurato "la più completa collaborazione per dotare le Commissioni di quanto necessario per il migliore espletamento delle proprie funzioni". E' una assicurazione incoraggiante, perché se si vogliono fare dei passi avanti nella vita della Regione è indubbio che le Commissioni legislative debbono essere in grado di funzionare subito e bene.
Oltre a confermare il fermo impegno per la più rapida azione in tema di controlli, si è affermato che la Giunta, "in attesa della formale costituzione delle sezioni decentrate di controllo, sta portando avanti le trattative per avere la disponibilità di locali in ogni capoluogo di provincia". L'iniziativa è senz'altro da apprezzare. Ma occorre dire subito che non è sufficiente predisporre gli organi di controllo nei capoluoghi di regione. In applicazione dell'art. 69 del nostro Statuto e dell'art. 56 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, si deve pensare alle sezioni da istituire in capoluoghi di circondario.
Quella dei controlli è materia di così vitale importanza ed in ordine alla quale si sono create così forti attese che ogni ritardo potrebbe costituire motivo di minor credibilità verso la Regione. Ed è evidente che se si vuol fare passi avanti rispetto alla situazione oggi esistente, si deve pensare anche alla maggiore rapidità nell'esercizio del controllo maggiore rapidità che si può ottenere proprio decentrando il più possibile le sezioni di controllo.
Nel filo logico dell'impostazione del suo discorso, o, se si vuol dire con altre parole, stante il taglio politico del suo discorso, il Presidente Calleri si è soffermato partitamente sulle cose (Commissioni, controlli) per le quali poteva assumere precisi impegni. Stante i pericoli chiaramente denunciati, di una scarsa attuale propensione del centro nel mettere le Regioni in grado di pienamente funzionare, il Presidente non è sceso al dettaglio di altri grossi e vitali problemi, anche se ogni problema trova la sua collocazione in quella programmazione regionale che così larga considerazione ha avuto nella relazione della Giunta.
Non ha esitato, il Presidente Calleri, a dichiarare responsabilmente al termine della sua relazione: "So bene che di fronte al vasto ventaglio di problemi esistenti nella nostra comunità regionale le dichiarazioni programmatiche hanno estesi spazi di silenzio. Ma sono spazi voluti. Il nostro non è, e non può essere ancora, un programma".
Di fronte all'incertezza che ancora regna sui compiti di spettanza della Regione, su ciò che essa in sostanza potrà fare, diventa indubbiamente difficile per chi vuole agire con serietà assumere impegni.
Questo però non vuol dire che Presidente e Giunta non conoscano nei rispettivi settori i problemi che ci stanno davanti, ed anzi sappiamo come essi abbiano, dal loro insediamento, lavorato in profondità in indagini e studi.
Questo dibattito può colmare qualche silenzio, e può colmarlo proprio in collaborazione con la stessa Giunta, che attende certo dalla volontà del Consiglio forza per quelle tesi su cui essa si muove. In questo spirito intendo soffermarmi sulla materia sanitaria per sottolineare alcune tesi e certe sfasature che so essere state oggetto della particolare attenzione e degli studi dell'Assessore Armella, che ha portato nel settore una non comune esperienza.
Il discorso fatto in generale circa l'ambito delle competenze fra Stato e Regione trova una sua puntuale, e purtroppo sconsolante, verifica anche nel settore sanitario. Ricordiamo che nel nostro Statuto vi è uno specifico articolo, il 6, dedicato alla tutela della salute dei cittadini.
La competenza legislativa delle Regioni in tema di "assistenza sanitaria ed ospedaliera" deve indubbiamente essere interpretata alla luce degli articoli 32 e 3 della Costituzione: "Tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività", "pari dignità sociale di tutti i cittadini" e garanzia alla "effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione sociale del Paese".
Nell'ambito della più ampia interpretazione costituzionale, le Regioni (ed in questo senso si sono espressi gli Assessori alla Sanità riuniti a Bologna) raffigurano anche la loro piena competenza legislativa per quanto attiene l'igiene ambientale ed in specie in ordine alla prevenzione, cura e riabilitazione contro le malattie di rilevanza sociale.
Ritengono inoltre che lo Stato debba delegare il potere di emanare norme di attuazione (e conseguentemente l'esercizio delle relative funzioni amministrative) nelle materie che resterebbero alla competenza legislativa dello Stato stesso, come l'inquinamento atmosferico, la tutela degli alimenti, l'igiene e la sicurezza negli ambienti di lavoro per quanto in esse si ravvisa utile l'adeguamento della normativa alle esigenze territoriali, ed il coordinamento con gli interventi in altri settori di competenza delle Regioni.
Di fronte a questa interpretazione ed a queste richieste, che riteniamo corrette, si avrebbe ragione di ritenere che lo Stato adegui, sia pur tardivamente, "le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali ed alla competenza legislativa attribuita alle Regioni" (norma IX delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione).
L'indirizzo ministeriale, sia in materia ospedaliera che in materia sanitaria, risulta invece sino ad ora in antitesi con questa impostazione.
La circolare ministeriale 5 marzo 1971, sulla competenza regionale in materia ospedaliera, finisce con il considerare la legge 12 febbraio 1968 n. 132 come una legge cornice, "in quanto identifica i poteri spettanti alle Regioni nella materia ospedaliera in virtù dell'art. 117 della Costituzione". Ora, se è vero, da un lato, che detta legge attribuisce alla Regione (ed è una delle poche in tutti i settori) un vasto complesso di provvedimenti di ordine legislativo ed amministrativo, dall'altro lato, per la sua minuziosa normativa, finisce con il restringere lo spazio al legislatore regionale.
Stesse considerazioni nascono alla lettura dei progetti di riforma sanitaria sia del CIPE sia del Ministero. Nel documento di lavoro, sotto il titolo "Competenza delle Regioni", si legge: "Ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, le Regioni erogano (non si dice emanano norme, ma erogano) l'assistenza medico-chirurgica" e "alle Regioni vengono delegate, ai sensi dell'art. 118, comma secondo, della Costituzione, le funzioni spettanti agli organi dello Stato nelle materie: igiene dell'ambiente, igiene scolastica del lavoro ecc.".
E' evidente che il Ministero è caduto nella tentazione di restringere i poteri delle Regioni fino a dare una restrittiva interpretazione della Costituzione, svuotando il contenuto dell'art. 117: infatti, la competenza legislativa delle Regioni non è neppure enunciata, né vi è delega (legislativa) a sensi dell'art. 117 u.c. ma solo una compartecipazione sia pur vasta all'organizzazione del servizio e una delega amministrativa (bene specificando a sensi art. 118 secondo comma).
Ci risulta che questa impostazione ha contraddetto, nella riunione del 17 marzo della Commissione consultiva interregionale per la Programmazione economica, l'Assessore Armella, il quale ha invitato a non esaurire la riforma in un modo sia pure nuovo di organizzare i servizi, a non esaurire tutto, in sostanza, nella grossa mutua regionale. Bisogna accogliere a fondo la tesi del decentramento, dell'autogestione dei servizi, della prevalenza del momento igienico preventivo nel quadro coordinato degli interventi sanitari, occorre abbandonare la concezione di separazione del momento legislativo da quello esecutivo.
Sarò grato all'Assessore Armella se in sede di replica vorrà soffermarsi su questi argomenti, se vorrà rendere noti, anche per le nostre successive meditazioni, gli studi ed i dati raccolti proprio in riferimento alla nostra realtà regionale.
Ritengo intanto prioritario che la Giunta prosegua la sua azione ribadendo quanto l'Assessore ha già espresso nella citata riunione.
Occorrerà investire del problema ufficialmente il Governo, occorrerà interessare i parlamentari della nostra Regione. Occorrerà, appena possibile, avvalersi del disposto dell'art. 121 della Costituzione presentando precise proposte di legge alla Camera.
Ho già avuto occasione, discutendo dei controlli, di richiamare la possibilità fornitaci dall'art. 121 della Costituzione. Penso che la strada delle proposte di legge sia una forte arma di pressione, che i Consigli Regionali hanno a loro disposizione. Nel momento in cui si nota una fiera resistenza del potere centrale a trasferire alle Regioni ciò che per Costituzione deve essere trasferito, nel momento in cui il Presidente della Regione nella sua relazione non ha esitato a dirci tutta la preoccupazione della Giunta sulle effettive, pratiche possibilità di una rapida, concreta azione della Regione stante le remore che ad ogni passo si incontrano, noi dobbiamo riaffermare la nostra attenta vigilanza in questa fase delicata. E dire chiaramente che da parte nostra non vi sarà acquiescenza: le Regioni vogliono la pienezza delle loro competenze, per esercitarle rapidamente per incidere veramente nella vita del nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, sono stato in forse se intervenire oggi, in assenza del Presidente della Giunta, dato anche il carattere eminentemente personale delle sue dichiarazioni; ma poi, pensando che i lavori del nostro Consiglio devono proseguire, al di là degli impegni personali di ciascuno di noi, ho deciso di prendere ugualmente la parola, a nome del Gruppo socialista.
Abbiamo ascoltato con molto interesse le dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta Regionale piemontese, e desideriamo esprimere con la franchezza che riteniamo più che mai necessaria in momenti importanti come quello che stiamo vivendo il pensiero del nostro Partito.
Dobbiamo dare anzitutto atto al Presidente della Giunta di aver colto l'importanza dell'apporto socialista alla piattaforma programmatica, avendo egli dedicato una gran parte del suo intervento ai settori nei quali i rappresentanti del P.S.I. hanno dirette responsabilità: mi riferisco evidentemente alla Programmazione regionale, che ha nel compagno Simonelli l'esponente più autorevole, e alla Ecologia, che vede il compagno Fonio vivamente impegnato in un compito che si rivela ogni giorno di più di preminente interesse per l'intero Paese.
Se il Presidente della Giunta ha ritenuto di dedicare la parte centrale del suo intervento a questo settore, non lo ha fatto certamente per non dare il giusto rilievo ai settori di competenza degli altri colleghi della Giunta, ai quali il nostro Partito augura il maggiore successo nella loro azione, ma evidentemente perché ha valutato, e in questo concordiamo con lui, che la programmazione come metodo e l'ecologia come oggetto siano i grandi temi nei quali si svolgerà l'attività regionale nei prossimi mesi.
Dato quindi atto al Presidente della Giunta di questa sua particolare attenzione, vorrei fare qualche osservazione sulla parte della sua dichiarazione che riguarda la partecipazione, soprattutto per quanto riguarda l'osservazione in essa contenuta sulla distinzione tra momento legislativo e momento partecipativo.
Ho già avuto occasione ripetutamente, in questa Assemblea, di dichiarare che il nostro Partito non auspica un regime assembleare: siamo ben consapevoli dei fallimenti storici di formule politiche tese a realizzare la democrazia diretta. Ciò, però, non deve indurci al pessimismo, e soprattutto non deve essere un alibi per la conservazione.
Esistono esigenze nuove e tendenze profonde che si fanno strada con forza ed esprimono il bisogno di partecipazione e di controllo dei cittadini sulle decisioni che li riguardano tutti.
Gli istituti rappresentativi si modificano nel tempo. Si deve verificare, sperimentare se essi sono ancora idonei all'adempimento delle loro funzioni e se non lo sono bisogna gradualmente creare nuovi strumenti.
Noi oggi utilizziamo delle istituzioni rappresentative non per conservarle nella loro staticità, bensì per renderle adeguate ai tempi nuovi, e, quando è necessario, dobbiamo non aver timore di superare i vecchi confini di competenza: quello che dobbiamo impedire è che la pluralità dei centri di decisione e di partecipazione diventi uno specchietto per le allodole per lasciare tutto come prima, vale a dire l'accentramento al vertice del potere effettivo.
Ci rendiamo conto delle difficoltà inerenti al raggiungimento di questi nuovi equilibri, ma abbiamo il dovere di scommettere sulla progressiva affermazione del controllo democratico, perché per noi è d'obbligo, accanto al "pessimismo della intelligenza, l'ottimismo della volontà".
Ci troviamo, d'altra parte, di fronte ad una classe lavoratrice che ha dato innumerevoli prove della sua maturità di saper prendere in prima persona le decisioni che la riguardano.
Se concordiamo, quindi, sulla necessità di mantenere efficiente l'esecutivo, riaffermiamo anche che faremo quanto è in nostro potere affinché ad un esecutivo efficiente corrisponda un controllo non solo del Consiglio Regionale ma di tutti gli organismi elettivi della Regione: i sindacati, le rappresentanze di categoria, insomma, i centri motori della società civile.
Quello che bisogna evitare ad ogni costo è il pericolo, già presente nella nostra assemblea, di un Consiglio Regionale che discute delle cose più varie, che vota unanimemente mozioni sulla piccola industria, sulla sanità, sui trasporti, e che queste prese di posizione che rappresentano la volontà della stragrande maggioranza della popolazione del Piemonte non trovino nell'esecutivo e nel suo Presidente atteggiamenti conseguenti.
Quello che è anche da evitare è che, in nome di una efficienza alla quale va tutta la nostra considerazione, ci siano delle cose riservate all'esecutivo delle quali il Consiglio non viene informato o viene informato solo per ratifica, quando non ha rilevanza operativa. In questo modo noi correremo il grave pericolo di ripetere la situazione che si è venuta a creare nel Parlamento nazionale, al quale è sottratta una serie di poteri che il Governo si attribuisce o che, per meglio dire, si attribuiscono, per presunta delega, comitati ristretti, organismi collaterali.
Si veda, a questo proposito, tutto il senso di frustrazione e di inutilità che i deputati dei vari Gruppi denunciano nei confronti dei grandi istituti economici e finanziari del Paese, a cominciare dall'IRI e dall'ENI per finire alle grandi banche, la cui azione si svolge totalmente al di fuori non soltanto delle direttive ma anche del controllo dell'organo supremo della volontà popolare. Questo è esattamente il contrario della partecipazione; questo riporterebbe anche l'istituto regionale a delle situazioni verticistiche alle quali i cittadini si sentirebbero estranei.
Questo discorso mi permette di introdurre un tema sul quale si è giustamente soffermato il Presidente della Giunta, ma che richiede, a mio avviso, alcune precisazioni. E noi concordiamo perfettamente sul punto della dichiarazione nel quale si afferma che la Giunta si propone di operare affinché alla Regione sia sollecitamente attribuita l'intera potestà legislativa. Il P.S.I. farà, attraverso i suoi rappresentanti nel Parlamento e nel Governo, il suo dovere in questo senso.
Dobbiamo, d'altra parte, considerare che l'attività politica si esplica a tutti i livelli in due modi: con la formulazione di leggi e con atteggiamenti. E abbiamo già avuto modo di notare che in questo periodo della vita della Regione sarà soprattutto sugli atteggiamenti che saremo giudicati. Dobbiamo, quindi, avere degli atteggiamenti che non siano in contrasto con le leggi che faremo e soprattutto con il metodo di piano che vogliamo adottare: anche per evitare che, quando avremo la possibilità di legiferare, si siano già precostituite una serie di posizioni e di situazioni che rendano inutile o gravemente carente l'attività legislativa.
Per essere chiari, voglio riferirmi ad alcuni esempi in particolare.
Si sta costituendo a Torino la Società per la Metropolitana torinese nella quale è prevista una partecipazione di maggioranza del Comune, della Provincia e della Regione. Solo il primo tronco della Metropolitana costerà circa ottanta miliardi di lire; il completamento generale sarà nell'ordine di grandezza di 150-200 miliardi. Pensate quale flusso di denaro e di mezzi! Faccio un secondo esempio: la Società finanziaria di partecipazione che opera in Piemonte, e alla quale partecipano il Comune e la Provincia di Torino, e nella quale è previsto che venga assunta una partecipazione della Regione, svolge una sua politica che può assumere aspetti di grande rilievo nell'attività regionale.
Terzo esempio: si sta discutendo in questi giorni sulla creazione di un potente centro di commercializzazione a livello regionale, che dovrebbe costituire l'asse attrezzato del sistema commerciale dell'intera Regione: la sua dislocazione, la sua ampiezza, la sua natura sono materie nelle quali non dobbiamo essere disinformati o essere informati a posteriori.
E ancora: si stanno creando in alcune province del Piemonte degli organismi universitari autonomi, o di emanazione dell'Università di Torino.
Non discuto sulla scelta di lasciare una università accentrata a Torino o di creare università decentrate in singole province: affermo però la necessità che questo avvenga in relazione ad un piano globale.
Un ultimo esempio concernente il campo dell'agricoltura, che mi pare non sia stato molto sviluppato nella dichiarazione del Presidente della Giunta: è stata creata recentemente, con l'intervento delle Province di Torino e di Vercelli e di altri enti pubblici, una società regionale per lo sviluppo della Zootecnia piemontese, che può svolgere una funzione molto utile. Ma la Regione cosa sa di questo? In quale politica regionale agricola si inserisce questa società, che è stata creata con fondi pubblici e che attinge a fondi pubblici? Sempre in campo agricolo, esiste in Piemonte uno strumento fondamentale, che è l'Istituto federale di credito agrario. Quali collegamenti pensiamo di creare fra l'Istituto federale di credito agrario e l'Ente di sviluppo agricolo previsto nel programma della Giunta, che avrà una grande importanza, con l'Assessorato alla Agricoltura? Non abbiamo letto, nel programma della Giunta, queste notizie, queste informazioni, nemmeno delle indicazioni di massima in proposito. Ci aspettiamo pertanto dalla Giunta dichiarazioni in questo senso.
Ho voluto indicare soltanto alcuni dei tanti esempi che l'esperienza quotidiana pone dinanzi ai nostri occhi, perché, desidero ripetere, è necessario che non vengano precostituite situazioni - da parte dell'esecutivo - di fronte alle quali qualsiasi programmazione diventerebbe pressoché inutile.
Mi sia consentita, a questo punto, una considerazione su un problema che sta diventando scottante: quello dell'informazione.
Nel momento in cui si avverte più acuta, nella nostra regione, la carenza di organi di informazione autosufficienti e diversificati, mentre non è noto l'esito dell'annunciata operazione "Gazzetta del Popolo" "Stampa", mi sembra di poter affermare - senza entrare nel merito di una dettagliata analisi di un possibile piano specifico per la nuova strategia pubblica dell'informazione - che uno degli strumenti fondamentali per tale attuazione debba essere identificato nell'istituto regionale.
L'Ente Regione, infatti, istituzionalmente rappresenta un tipo di comunità, quella regionale, capace già di rispecchiare più profondamente i problemi ed i contrasti della società italiana si riconosce competenze primarie di iniziativa nel settore dell'informazione (art. 8: "La Regione riconosce che presupposto della partecipazione è l'informazione. Essa stabilisce rapporti permanenti con gli organi d'informazione anche audiovisivi e provvede ad istituire forme di comunicazione che consentano alla comunità regionale di esprimere le proprie esigenze") consente di correggere direttamente uno degli aspetti che si considerano più gravi nell'attuale struttura informativa italiana, quello della insufficiente dislocazione territoriale ed infine, "avvalendosi delle proprie competenze in concorso con lo Stato e gli Enti locali opera in particolare per acquisire alla gestione ed al controllo pubblico i servizi di interesse generale".
Se esiste, come io credo esista, questa possibilità e questa volontà per la Regione di essere lo strumento, anche in questo settore, di un avanzamento democratico dello Stato italiano, si tratta in definitiva di pensare a quelli che possono essere i nuclei attraverso i quali la Regione e lo Stato potranno realizzare una nuova politica dell'informazione. E verrebbe fatto di pensare - io credo che occorra in questo campo una certa fantasia, noi dobbiamo creare dal nulla - a dei Centri di informazione regionali, in parte autofinanziati, attraverso le vendite e la pubblicità in parte finanziati dalle comunità locali (Regione, Province, Comuni), in parte, come nel caso delle Regioni meno sviluppate, sovvenzionati dallo Stato. Se l'informazione è, come riteniamo, un servizio di carattere sociale, la collettività ha il dovere di supportarne, almeno in parte, il costo. A questo costo, tuttavia, debbono corrispondere un controllo sociale ed una iniziativa politica tendenti ad assicurare (in regime di coesistenza con i mezzi di informazione privati) le finalità pubbliche del servizio.
Essendo queste finalità la partecipazione, il pluralismo, la problematicità, l'istituto regionale può diventare uno degli strumenti fondamentali per questa politica dell'informazione.
Signor Presidente, signori Consiglieri, per quanto riguarda la programmazione economica, riteniamo corretta la presentazione del Presidente della Giunta sui compiti dell'IRES e sui compiti dell'Ufficio del piano; riaffermiamo la necessità, più volte da noi sollecitata, di una trasformazione dell'IRES, sulla quale trasformazione non intendo qui soffermarmi perché attendiamo di conoscere a che punto sono i contatti della Giunta con l'Istituto, contatti ai quali la Giunta stessa è stata delegata dal Consiglio Regionale in una delle sue prime riunioni.
Siamo d'accordo con la dichiarazione programmatica, quando essa propone tre grandi inchieste: la prima sul sistema della localizzazione dei grandi complessi industriali (ma ci auguriamo che questa inchiesta vada avanti con una celerità maggiore di quella con cui è andata avanti l'inchiesta della Commissione per gli insediamenti industriali) la seconda sui singoli settori industriali dell'economia piemontese la terza sui livelli di occupazione in Piemonte e sui fenomeni migratori.
Ci sembra necessario, poi, aggiungere una quarta inchiesta, la cui omissione credo sia dovuta solo a dimenticanza, perché è stata oggetto di trattative di maggioranza, e che riguarda la finanza e la situazione organizzativa degli Enti locali.
Noi ci aspettiamo che la Giunta faccia rapidamente queste inchieste.
Il tema della programmazione non può essere disgiunto dal rapporto, che manca, devo dire, nella relazione del Presidente della Giunta, eppure si tratta di uno dei problemi vitali del nostro Paese, fra i problemi della nostra Regione e quelli dell'Italia meridionale; non può quindi prescindere dal problema degli incentivi per l'industrializzazione del Mezzogiorno e dei disincentivi per gli investimenti nel Nord.
A tale proposito non si può tacere della dibattuta questione dei disincentivi che interessa direttamente il Piemonte, e in particolare l'area torinese. Il tema ha suscitato un dibattito molto ampio, cui hanno partecipato economisti e politici di credo differente, i quali hanno avanzato riserve od espresso la loro adesione sostanziale al progetto.
Infatti, se si riscontra una ampia concordanza riguardo ai fini che si intendono conseguire, in quanto a tutti sta a cuore lo sviluppo del Meridione che coinvolge pure l'assetto territoriale, ecologico e produttivo dei cosiddetti poli di sviluppo settentrionali, esistono notevoli discordanze sui mezzi per attuarli.
Taluni hanno affermato che i disincentivi previsti dal disegno di legge n. 1525 sarebbero un rimedio inadeguato, o peggiore del male, sarebbero stati proposti in un momento sbagliato, colpirebbero soprattutto aziende che non sono in grado di sostenerne l'onere, provocherebbero "disaffezioni" e magari fughe di capitali, sarebbero segno di un neo-dirigismo pericoloso contrario al dettato costituzionale, che sancisce la libera iniziativa economica. Altri, invece, ritengono che essi non rallenteranno il deflusso dei disoccupati e sottoccupati delle campagne meridionali e delle stesse aree agricole settentrionali verso la città, in quanto questi verranno assorbiti dal settore terziario, accrescendo il suo carattere ipertrofico e parassitario. Ciò, pertanto, non porrebbe un limite all'urbanizzazione caotica e costosa a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, ma le conferirebbe un aspetto anche più miserando.
Tutto questo è possibile, come è possibile che i disincentivi influiscano sul rallentamento dello sviluppo nelle aziende interessate. Non è però fuori luogo in questa sede ricordare come il Ministero del Bilancio abbia fatto notare che sistemi analoghi funzionano da anni in modo soddisfacente in Gran Bretagna e in Francia, dove hanno soddisfatto ad imprescindibili esigenze di disciplina dei suoli e di tutela dell'ambiente.
Certo, i disincentivi che non rientrassero in una politica globale e vincolante di programmazione democratica potrebbero anche diventare elemento contraddittorio e negativo per una immediata ripresa produttiva dando ragione alle critiche che in proposito vengono mosse. Penso occorra tener presente, in questo atteggiamento, la congiuntura, con le sue difficoltà, ma non soltanto la congiuntura. Bisogna impegnarsi ad impostare soluzioni alternative rispetto a quelle tradizionali. La soluzione alla congestione delle aree metropolitane ed ai problemi dell'eccessiva densità industriale delle stesse non può venire, oggi, dai soli disincentivi. Su questo credo concordiamo tutti. Essa è legata ad una efficace programmazione regionale, coordinata con quella nazionale.
Signor Presidente, signori Consiglieri, io credo che compito del Consiglio e della Giunta, che è emanazione della maggioranza di questo Consiglio e che deve proporsi di ottenere non generiche adesioni al di là della maggioranza, ma l'adesione delle forze che rappresentano autentici interessi popolari non presenti nella maggioranza, sia quella di trarre da tutti i grandi temi che si dibattono in questo momento, gli aspetti regionali. E mi pare sia questo che manchi, soprattutto, nella relazione del Presidente della Giunta. Questi grandi temi sono quelli della sanità della casa, dei trasporti, della scuola.
Io non mi dilungherò su questi temi perché lascio al compagno Viglione con la competenza che gli è riconosciuta, di illustrare la relazione del partito sui singoli argomenti, ma vorrei occuparmi in particolare di uno di questi, quello della casa, che ha assunto degli aspetti drammatici.
Il problema della casa, che è stato oggetto delle lotte operaie, delle pressioni sindacali, degli incontri con il Governo e del recente sciopero generale, ha una particolare rilevanza per la Regione.
Il flusso migratorio verso il Piemonte si è lievemente ridotto negli ultimi mesi del 1970 e la stessa tendenza ha caratterizzato, nell'ambito della Regione, quello diretto verso i principali poli di sviluppo.
Il manifestarsi di tale fenomeno non ha reso tuttavia meno drammatici i problemi connessi all'assetto urbanistico, alla creazione di adeguate infrastrutture e di abitazioni in numero sufficiente.
Il problema della casa, che è stato oggetto delle lotte operaie, delle pressioni sindacali, degli incontri con il Governo e del recente sciopero generale, ha una particolare rilevanza per la Regione.
A tal proposito ritengo che si debba giungere ad una "regionalizzazione" nella politica della casa nel quadro di principi unitari attraverso una struttura unitaria avente compiti programmatico decisionali e funzioni tecnico finanziarie a livello nazionale, operante sotto la direzione del ministero dei lavori pubblici ed in rapporto col CIPE ed il Ministero della Programmazione Economica. A tal fine occorrerà unificare e coordinare gli enti esecutivi chiamati ad operare nel settore cioè gli IACP, quale espressione della volontà popolare.
Il livello regionale di decisione nell'ambito della programmazione urbanistica può assolvere una funzione rilevante sul piano dell'efficienza e della aderenza alle esigenze popolari, come hanno affermato i sindacati che proponevano gli IACP in qualità di ente coordinatore.
Anche per l'esproprio delle aree, i Sindacati avevano sottolineato l'opportunità di riconoscere la competenza della Regione che sarebbe fin da oggi in grado, senza ricorrere a sostituti, di esercitare tale potere.
Il disegno di legge del Governo riconosce all'Ente Regione alcuni poteri specifici in moratoria di programmazione e localizzazione ed in particolare di gestione dell'attività edilizia, da attuarsi in sede di trasferimento e di delega delle funzioni statali.
Anche i sindacati hanno convenuto su questo, pur considerando che, dopo l'incontro del 31 marzo a Palazzo Chigi, il disegno di legge non rispondesse pienamente alle esigenze e alle aspettative dei lavoratori.
Infatti esso lascia, riguardo alle competenze della Regione, ampi spazi discrezionali al potere centrale e le assegna limitati poteri sugli enti preesistenti e riguardo all'esproprio delle aree.
Tale tendenza a ridurre la funzione della Regione ad attività "di consulenza" ha provocato una decisa presa di posizione del IACP che ha, per contro, rivendicato la competenza dell'Ente Regione riguardo al riassetto del territorio da attuarsi con una decisa regionalizzazione della politica della casa, operando l'unificazione ed il consorzio degli enti esecutivi.
In relazione a ciò è stata proposta la precisazione del rapporto tra la Regione e gli IACP per evitare che nel periodo in cui l'assemblea regionale non può ancora adempiere ai suoi compiti in materia, si realizzi l'istituzione di una azienda a prevalente partecipazione pubblica.
Questo infatti potrebbe privare di significato e di efficacia la programmazione regionale sottraendole poteri decisionali. Inoltre una nuova struttura verticistica potrebbe produrre errori simili a quelli già verificatisi in passato da parte di enti che non hanno saputo realizzare il loro compito istituzionale e di inserirsi nelle elaborazioni dei piani territoriali locali. A tal proposito ritengo che l'assemblea regionale debba far proprie le considerazioni degli IACP che appaiono gli strumenti più idonei all'esecuzione della politica della casa e per evitare che l'Ente Regione sia privato del suo legittimo potere in un settore di tanta importanza.
E' possibile oggi, tenendo conto degli strumenti esistenti e delle proposte avanzate, superare la crisi dell'edilizia evitando le forme tradizionali della incentivazione fondata sul profitto privato o mediante la complice passività rispetto alla speculazione fondata sulla rendita fondiaria.
La disponibilità di circa 2.500 miliardi nel prossimo triennio pu consentire, attraverso una equa ripartizione tra le regioni, di utilizzare gli istituti delle case popolari esistenti integrandoli con proprie rappresentanze qualificate, in quanto una revisione radicale dell'intervento pubblico richiede purtroppo determinati tempi tecnici.
Si può inoltre fin da ora avanzare la proposta di costituzione di comitati di gestione tra gli assegnatari i quali si facciano carico anche della gestione dei servizi di quartiere, e della fissazione dei fitti oltre che della manutenzione degli immobili.
Ho voluto accennare a questo aspetto particolare, proprio perché io credo che dovremo scendere anche dal livello un po' astratto, diciamo la verità, senza volere con questo sollevare critiche alla dichiarazione programmatica, a livello un po' troppo alto, e scendere a delle proposte concrete, perché io sono convinto, signori, che se noi non diamo alla nostra entità, al nostro organismo, la possibilità di fare delle proposte io credo che esso verrà vanificato.
Signor Presidente, signori Consiglieri, è opinione consolidata nel nostro Paese che una idea politica non è reale ed effettiva, se non ha la possibilità di esplicarsi non solo nella spesa ma anche nell'entrata.
Se vogliamo dare alla Regione quella autonomia che riteniamo fosse ben presente nella mente di coloro i quali fecero la Costituzione del nostro Paese, dobbiamo dare gli strumenti giuridici e operativi per fare una politica non solo della spesa ma anche dell'entrata. In questo senso dobbiamo dire che la situazione attuale è alquanto scoraggiante.
La riforma tributaria in via di realizzazione lascia sopravvivere poche e scarse fonti autonome di entrata per gli Enti locali, direi nessuna per le Regioni.
Infatti il disegno di legge approvato alla Camera disconosce la Regione come organo di imposizione e la considera in termini assai vaghi come compartecipante al gettito (art. 14 n. 7). Ciò, se si spiega col fatto che il sistema tributario è stato originariamente pensato indipendentemente dall'attuazione della Regione, avrà come effetto immediato una sicura diminuzione delle entrate degli Enti locali che già oggi appaiono largamente insufficienti.
A tal proposito l'ANCI ha richiesto misure urgenti ed efficaci a sostegno della finanza locale, unitamente all'accesso al credito a breve e a lungo termine.
In relazione a ciò, l'ANCI aveva sottolineato come dovrà essere la Regione a indicare l'entità complessiva dei prelievi da effettuare in un dato intervallo di tempo nell'ambito del suo comprensorio territoriale e di poter disporre di un certo ammontare di risorse, determinando le aliquote dell'imposta progressiva entro fasce predeterminate dalla legge statale.
Secondo l'ANCI, il disegno di legge, non distaccandosi in ciò dalla legislazione vigente, continua a sacrificare all'uniformità e all'uguaglianza formale, l'uguaglianza sostanziale. Infatti, ad esempio l'impegno per produrre reddito dell'imprenditore che opera in una zona depressa è molto maggiore rispetto a quello dell'imprenditore che opera alla periferia di una area metropolitana.
Tale diversità di sacrificio deve trovare compensazione differenziando le tassazioni relative ai due operatori economici.
In questo caso la Regione appare l'istituto più idoneo a trasferire sul piano delle aliquote le differenti condizioni in cui gli imprenditori operano.
Le Regioni inoltre potrebbero opportunamente definire con legge l'estensione dei distretti tributari in rapporto allo Stato e agli Enti locali ed ai costituendi consorzi di programmazione e di assetto territoriale.
Il Consiglio Regionale del Piemonte in una sua mozione aveva fatte proprie le posizioni assunte dall'ANCI (15/2/1970) ed aveva rilevato come non sia possibile conseguire gli urgenti obiettivi, compendiabili nella formula "giustizia fiscale", senza tenere debito conto delle necessità finanziarie e delle funzioni regionali.
Pertanto sollecitava il dialogo effettivo con il Governo ed il Parlamento ed impegnava la Giunta Regionale ad assumere i contatti necessari con le altre Regioni per promuovere un'azione unitaria e tempestiva volta ad aprire un dialogo costruttivo col Parlamento e col Governo.
Il contenuto di tale mozione conserva ancor oggi tutta la sua attualità e la Giunta Regionale deve assumere su di sé l'impegno di renderlo operante.
Infine va richiesto che venga attribuito alla Regione il gettito della imposta patrimoniale insieme ad una parte di quello delle istituende IVA ed ICO e la Regione stessa deve essere chiamata a discutere e definire i parametri di ripartizione del fondo comune, proveniente da tributi erariali.
Alle Regioni deve spettare anche un ruolo attivo nei processi di accertamento degli imponibili delle imposte ad essi attribuite e di particolari tributi erariali.
L'approvvigionamento dei mezzi della Regione può venire anche attraverso gli strumenti di natura finanziaria.
A questo scopo assume una importanza determinante la creazione - che può essere fatta subito - della finanziaria pubblica regionale per le infrastrutture: la Giunta ha gli elementi e gli studi che le consentono di predisporre un oggetto.
Così come assume una particolare importanza il controllo della finanziaria attualmente esistente per la quale ci sono due scelte: o la sua regionalizzazione attraverso l'acquisizione di un pacchetto che consenta al potere pubblico di governarla, o ritirare la partecipazione degli enti pubblici attualmente esistenti.
Non è infatti ulteriormente tollerabile che denaro pubblico venga utilizzato senza una precisa linea pubblica.
Signor Presidente, signori Consiglieri, l'esposizione che ho avuto l'onore di fare a nome del Gruppo Socialista sulle dichiarazioni del Presidente della Giunta non ha la pretesa di essere un quadro organico delle posizioni del mio partito su problemi della Regione Piemonte.
Essa vuol essere soltanto una indicazione dei problemi che riteniamo più urgenti in una situazione che non abbiamo difficoltà a definire per certi aspetti molto delicata. Delicata per la situazione economica generale del paese che ha raggiunto nella nostra Regione - per la somma dei problemi che si sono accavallati per non essere stati mai risolti - delle punte di pericolosità particolari. Delicata per la sfiducia che ha investito una parte dell'opinione pubblica, che è nello stesso tempo disaffezione verso il regime di democrazia parlamentare e di incertezza e di confusione sui mezzi per rinnovare gli strumenti esistenti e proporne dei nuovi.
In questa situazione, noi abbiamo assistito e assistiamo ancora ad una ondata di fiducia verso il nuovo ente che si è costituito: abbiamo tutti visto di persona come ci si rivolge normalmente alla Regione anche per problemi la cui natura è fuori dalle nostre competenze.
Io non posso non ricordare con profonda commozione i discorsi estremamente seri e maturi con i quali, nei giorni scorsi, la delegazione della città di Collegno si è rivolta a noi, per spiegare pacatamente come la situazione degli immigrati a Collegno non sia più umanamente tollerabile.
Questo ci dà contemporaneamente una profonda soddisfazione, perch conforta la nostra convinzione che l'istituto che abbiamo creato era necessario, ma ci dà anche una grave responsabilità.
Guai a noi se daremo una rigida, stretta e burocratica interpretazione di leggi, regolamenti, decreti, perché non riusciremmo a creare qualcosa di nuovo: ci ridurremmo nello stato della Gescal, ci ridurremmo nello stato di tanti organismi inutili, creati soltanto per distribuire poltrone di sottogoverno, la cui inefficienza e la cui ottusità costituiscono una delle ragioni - non ultima - della disistima che l'opinione pubblica ha nei confronti della organizzazione statale.
Guai a noi se cercheremo di sostituire il Prefetto con un super Prefetto, se riterremo di continuare a gestire la cosa pubblica nel chiuso della stanza cosiddetta "dei bottoni", al di fuori e in definitiva contro coloro che ci hanno mandato qui.
Per questa ragione, l'invito che io rivolgo a nome del Gruppo Socialista alla Giunta e al suo Presidente è di avere il coraggio di ricercare nella classe lavoratrice e nell'opinione pubblica il supporto alla sua azione, di non avere paura di sbagliare e quindi di non fare perché il peggiore errore, quello per il quale non ci sarà il Purgatorio, è l'immobilismo, è il rinvio, una tecnica che ha permesso ad alcuni ministeri di reggersi immeritatamente per anni, ma che ha lasciato il Paese in queste condizioni.
Il Gruppo Socialista si impegna a sostenere lealmente la Giunta nella quale ha mandato i suoi uomini nella misura in cui i suoi rappresentanti riterranno che la loro presenza costituisce una forza trainante in rappresentanza di tutta la classe lavoratrice.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Chiabrando, ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente, signori Consiglieri, abbiamo sentito qualcuno conversare fuori di quest'aula e già dentro quest'aula che la relazione programmatica della Giunta è stata generica in quanto non sono stati affrontati i veri e concreti problemi che la Regione intende risolvere. Il Presidente si sarebbe tenuto, secondo questa tesi, sulle generali, facendo affermazioni di principio che riguardano più che altro le modalità ed i criteri, in base ai quali la Giunta intende operare e non i provvedimenti che intende adottare o proporre.
A prima vista tali affermazioni potrebbero anche sembrare valide, ma non lo sono più nel momento in cui scendiamo a meditare un momentino sulla prima parte della relazione del Presidente, ove vengono messe in evidenza le due funzioni principali della Regione: quella amministrativa e quella legislativa. Abbiamo ben compreso e ci facciamo partecipi della preoccupazione del Presidente che l'attività della Regione venga degradata a pura e semplice azione amministrativa, se pure con criteri e su basi nuove; in questo caso la Regione non sarebbe altro che un terzo ente, che verrebbe ad aggiungersi a Comuni e Province, nell'erogare servizi alla collettività. E la preoccupazione si fa ancora più grave nel momento in cui apprendiamo che vi sarebbe, da parte degli organi superiori, un'azione tendente a concedere ed allargare le competenze amministrative, a scapito della concessione della piena disponibilità dei poteri legislativi, che verrebbero così svuotati e menomati, togliendo alla Regione il vero ed essenziale scopo per cui è nata.
Noi intendiamo decisamente opporci a questa tendenza, respingendo energicamente qualsiasi azione restrittiva e chiediamo che venga sollecitamente attribuita alla Regione tutta la potestà legislativa prevista dalla Costituzione e che quindi le compete e che è il vero potere che noi attendiamo, per poter affrontare e risolvere i numerosi e grossi problemi che ci stanno di fronte e per cui siamo stati eletti.
E non pensiamo, come qualcuno sostiene, che il potere legislativo lo possiamo derivare dall'art. 17 della legge finanziaria sulle materie previste dall'art. 117 della Costituzione "nei limiti e nei principi fondamentali quali si desumono dalle leggi vigenti".
Soltanto per una piccola parte delle materie di competenza regionale ciò pensiamo sarà possibile: crediamo infatti che non sarà difficile risalire alle "leggi vigenti" in materia di caccia, pesca, circoscrizioni comunali, fiere e mercati.
Non crediamo invece materialmente possibile legiferare e operare sulla base delle leggi vigenti, quando affrontiamo problemi come i servizi sociali, i lavori pubblici in genere, l'agricoltura in particolare e molte altre materie.
Da quanto sopra si può pertanto concludere che per la più grossa parte dell'attività legiferante della Regione sia indispensabile che lo Stato emani le cosiddette leggi quadro o cornice che stabiliscono espressamente i limiti ed i principi fondamentali entro i quali la Regione può emanare le proprie norme legislative.
In caso contrario, tutta la nostra attività non potrà che svolgersi con delle grosse remore e continui pericoli di incostituzionalità e di contrasti con leggi e competenze dello Stato: si costruirebbero sulla sabbia delle belle opere, non senza difficoltà, che però rischierebbero di crollare da un momento all'altro.
Rivolgiamo pertanto il pressante invito al Governo ed al Parlamento perché provvedano con urgenza, non solo all'emanazione dei decreti delegati per il trasferimento alle Regioni dell'attività amministrativa, ma alle leggi quadro come previsto dall'art. 17 della legge finanziaria regionale.
E non dobbiamo neppure illuderci che, qualora ciò non fosse fatto entro il limite dei due anni previsto dalla legge, in mancanza quindi delle leggi quadro, la Regione possa poi ugualmente assumere i pieni poteri legislativi che le competono, perché si troverà, anche allora, nelle stesse difficoltà che ho qui ricordato.
Ci rendiamo quindi perfettamente conto e ci facciamo carico delle preoccupazioni che hanno indotto il Presidente a non assumere impegni più precisi sulla base di un inventario concreto di cose da fare: il portare avanti un tale programma, non dipende solo da lui e dalla Giunta ma in primo luogo dal Parlamento e dal Governo.
Passando a trattare i problemi che noi intendiamo affrontare e risolvere nel settore dell'agricoltura, ci rendiamo maggiormente conto della necessità di poter operare sul piano legislativo perché quasi tutte le proposte che noi presentiamo, riguardano grosse riforme di struttura che non possono essere affrontate che su tale piano.
Sottolineiamo però che premessa indispensabile per affrontare un serio e concreto lavoro legislativo è indispensabile che la Regione formi al più presto le previste Commissioni permanenti per l'esame preventivo dei disegni e dei progetti di legge. Rivolgiamo quindi un invito, e qui forse non alla Giunta ma alla Presidenza del Consiglio, affinché si provveda con sollecitudine a mettere in funzione le Commissioni stesse, dotandole di tutte le attrezzature e dei mezzi necessari per la loro attività.
Affrontando ora il settore dell'agricoltura, che riteniamo essere uno dei più importanti ed impegnativi affidati alle Regioni, il primo problema che ci si prospetta, e ciò a conferma di quanto ho detto in precedenza, è proprio quello dell'individuazione della materia e dei servizi che devono passare alle Regioni, fra tutti quelli che sono ora di competenza del Ministero dell'Agricoltura in particolare, ma anche dell'industria, della sanità ed altri ancora.
Riteniamo necessaria, in questa materia più che in altre, la emanazione di una o più leggi quadro senza le quali, sicuramente, non sapremo come affrontare i problemi dell'agricoltura.
Da informazioni che ci sono pervenute e dalle impressioni che abbiamo raccolto in varie occasioni, partecipando in questi ultimi tempi, a riunioni interregionali sul problema dell'agricoltura, abbiamo seri motivi per pensare che ci sia una notevole inerzia da parte del Ministero dell'Agricoltura e nessuna iniziativa, sia in tema di leggi quadro che di decreti delegati. Non solo, ma, da qualche notizia trapelata, risulterebbe esserci una volontà più o meno palese di trattenere di competenza statale una notevole parte delle materie agricole. Risulterebbe anche esserci una diversità di opinioni tra i dirigenti centrali e periferici del Ministero in quanto, mentre i secondi appaiono più disposti al colloquio e ad una intesa con le Regioni, i "romani" costì detti sostengono tesi opposte.
Secondo una tesi, ovviamente poco regionalistica, risulterebbe che una lunga e ben precisata serie di materie dovrebbe rimanere tra i compiti dello Stato, mentre quelle non citate, forse le briciole, sarebbero quelle trasferibili alle Regioni. Noi riteniamo invece che lo Stato debba riservarsi i rapporti con il Mec, gli interventi di mercato, la difesa economica delle produzioni, la ricerca e la sperimentazione e forse pochissimo altro, mentre tutto il resto dovrebbe essere oggetto di trasferimento e ciò proprio per rispettare l' art. 17 della legge 1970 n.
281 o la legge finanziaria che dice che nelle materie trasferite resta riservata allo Statuto solo la funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività delle Regioni che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi del programma economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.
Naturalmente si porrà il problema di stabilire un criterio sicuro per individuare tutta la materia legislativa nel campo dell'agricoltura, anche quando e ove essa riguarda attività che interessano più settori ed hanno più aspetti ed interferenze con altre materie la conservazione e la valorizzazione dei prodotti agricoli le troveremo anche nel campo industriale; i contratti agrari sono rapporti tra privati e toccano il diritto; la repressione delle frodi e le sofisticazioni riguardano in genere la sanità, la preparazione professionale dei coltivatori interessa invece la pubblica istruzione; mentre gli osservatori fitopatologici e le stazioni sperimentali agrarie fanno parte della ricerca scientifica vi sono poi moltissimi enti di carattere pubblico, semipubblico o privato che operano in agricoltura, che oggi sono sotto il controllo e il coordinamento di più ministeri: sono i consorzi e le associazioni varie che operano nel campo economico e commerciale, nella bonifica e nei miglioramenti fondiari: dovranno anch'essi, se una ristrutturazione e un coordinamento diversamente concepito, vogliamo intraprendere, passare sotto il controllo della Regione.
Penso che bastino queste brevi citazioni per evidenziare in quali obiettive difficoltà ci troveremo a muoverci se non verranno delle chiare direttive dall'alto. Tra le materie che comunque riteniamo debbano essere trasferite alle Regioni citiamo: l'assistenza tecnica, la bonifica ed i miglioramenti fondiari; le colture vegetali e gli allevamenti, la difesa delle piante coltivate e dei prodotti agrari, la cooperazione, il credito agrario, l'ordinamento fondiario, anche se questo tocca rapporti privatistici; la montagna e le foreste nei loro diversi aspetti, la difesa del suolo, dell'ambiente e del paesaggio.
Accennato così a quella che potrà essere l'enucleazione delle materie di competenza regionale, vediamo ora su quali linee e con quali strumenti intendiamo affrontarle. Anzitutto dobbiamo premettere che un indispensabile punto di riferimento dovrà essere costituito sempre dalla politica comunitaria europea, nella quale l'Italia si trova inserita ed integrata e che ormai è diventata una realtà da tutti accettata.
Dovremo pertanto tenere sempre conto di quanto avviene a Bruxelles e delle direttive e dei regolamenti che di là vengono emanati.
Particolare importanza e concretezza ha assunto in questi ultimi tempi il cosiddetto piano Mansholt, la cui ultima edizione non è altro che una serie di iniziative che riguardano quasi esclusivamente il miglioramento delle strutture e l'ammodernamento delle aziende agricole e prevede uno stanziamento di fondi destinati allo scopo: dovremo pertanto tenere conto di tali direttive, non soltanto per adeguarci alla realtà in cui viviamo ma specialmente per beneficiare dei notevoli contributi che ne possono derivare.
La prima iniziativa che occorre intraprendere a che costituirà lo strumento base per tutto quanto dovremo fare per l'agricoltura è costituita dall'Ente regionale di Sviluppo Agricolo che dovrà essere l'organo operativo in mano alla Regione ed ai coltivatori per la ristrutturazione e l'ammodernamento dell'agricoltura piemontese. Esso dovrà, in particolare agevolare e promuovere lo sviluppo dell'agricoltura e delle attività connesse attraverso l'elaborazione di programmi generali e particolari riferiti al settore agricolo, promuovere iniziative per la difesa del suolo, per il riordino fondiario, anche in forma coattiva, la formazione di organizzate aziende agricole a carattere familiare e plurifamiliare.
Affinché l'Ente di Sviluppo possa scendere ad operare nelle varie zone agrarie e possa acquisire i dati e le direttive, che noi vogliamo provengano particolarmente dalla base, sarà indispensabile formare i piani zonali, già previsti dall'art. 75 del nostro Statuto. Il piano zonale dovrà essere il principio della pianificazione democratica ove dovranno essere determinanti il consenso e la volontà dei diretti interessati che sono gli imprenditori agricoli. Esso sarà inoltre uno strumento di previsione e graduazione delle scelte di politica agraria, in relazione alle necessità alla complessità ed alla natura dei diversi ambienti sociali ed economici.
L'elaborazione e la definizione dei piani zonali, dopo essersi realizzato il necessario confronto colle diverse categorie sociali operanti all'interno della zona, troverà la sua sede più idonea nell'Ente di Sviluppo Agricolo, che costituirà lo strumento dell'ente Regione per il settore agricolo. In questa luce, l'Ente di Sviluppo sarà capace di imprimere una concreta attivazione all'agricoltura della Regione, senza sostituirsi, laddove non sussistono oggettivi presupposti, all'imprenditore agricolo. L'Ente dovrà ovviamente essere diretto dalle diverse categorie di imprenditori agricoli operanti all'interno della Regione, con l'aggiunta di esperti, in modo da assicurare una autentica e diretta partecipazione integrata dalla presenza di tecnici qualificati.
Il secondo provvedimento di basilare importanza, che noi intendiamo proporre, è quello dell'albo professionale degli imprenditori agricoli.
Assieme all'Ente di Sviluppo ed ai piani zonali, noi riteniamo che esso costituisca la base sulla quale dovremo costruire tutta la politica agricola regionale. Ormai l'attività dell'agricoltore è diventata tra le più difficili. Devono fare parte del suo bagaglio culturale, la botanica la biologia, la fisica, l'economia, la contabilità ecc. per cui il coltivatore oggi è un vero e proprio professionista. E' pertanto logico che egli sia ufficialmente riconosciuto tale e classificato in un apposito elenco o albo di coloro che esercitano esclusivamente l'attività agricola.
Gli iscritti dovranno godere degli aiuti, della tutela, del riconoscimento e del prestigio che li faranno emergere e distinguere dalla più gran massa di persone che esercitano l'attività agricola anche soltanto a tempo perso o come attività secondaria, mentre godono del provento di altro lavoro o professione. L'albo avrà quindi lo scopo non solo di accertare che gli iscritti abbiano le cognizioni tecniche necessarie, ma di dare ad essi quella tranquillità e fiducia di cui un giovane ha bisogno nel momento in cui liberamente deve scegliere il proprio avvenire. D'altra parte con l'albo non vogliamo vietare le iniziative e l'attività che altre persone vorranno intraprendere nel campo dell'agricoltura, come hobby o a complemento di altri loro redditi: questo diritto potrà essere sempre liberamente esercitato, al di fuori però di quelli che potranno essere gli aiuti e le provvidenze della collettività. Chiederemo, tra l'altro, che agli iscritti all'albo vengano riservati, oltre che i contributi e le agevolazioni dello Stato e della Regione, anche la prelazione sulle terre che vengono poste in vendita o concesse in affitto.
Un'iniziativa che forse porterà delle benefiche conseguenze al di là delle stesse attuali nostre previsioni, potrà essere la concessione della indennità complementare e super pensione per la cessazione dell'attività agricola a persone in età non inferiore a quella pensionabile, a condizione che il loro terreno o la loro azienda siano ceduti in proprietà o in affitto ad altre aziende confinanti, che intendano ristrutturarsi ed ingrandirsi. Questa iniziativa parte dal presupposto che oggi vi è ancora troppa popolazione agricola e che le aziende sono di dimensioni estremamente ridotte, come dimostra anche il recente censimento dell'agricoltura. D'altra parte, non è possibile ristrutturare e ammodernare le aziende da parte di coloro che intendono migliorare la propria situazione, se non vengono liberati i terreni necessari.
La stessa Comunità Europea ha recentemente disposto lo stanziamento di fondi da destinare all'integrazione dell'indennità di abbandono e sarà pertanto indispensabile prendere tempestive decisioni in merito, affinché i fondi previsti allo scopo vengano utilizzati nella nostra Regione e nel nostro Paese ove vi è particolare necessità. Con l'abbandono anticipato si promuoverà anche il ringiovanimento delle forze addette all'agricoltura e si risolverà un problema sociale di notevole portata, conferendo agli anziani agricoltori una pensione che permetterà loro di vivere più decentemente. Questa legge risolverà anche in modo adeguato il problema dei moltissimi piccoli coltivatori diretti che, per ragioni di età, devono cedere in affitto il loro terreno e che, con l'entrata in vigore della nuova legge sui fondi rustici, si vedono ridurre notevolmente il loro reddito: essi sono indotti a non più affittare i loro terreni ma a continuare a coltivarli come possono, pur di realizzare qualche cosa in più dell'equo canone. In tal modo si creerebbe un freno a tutta quella evoluzione e ristrutturazione che noi perseguiamo.
Un'altra necessità molto sentita, specialmente da parte dei giovani coltivatori diretti, è quella di riconoscere ad essi un salario annuo quando collaborano col padre nella conduzione della azienda, mentre altri fratelli svolgono altra attività, e con la loro opera determinano un accrescimento del capitale fondiario e di esercizio che poi, in sede di successione ereditaria, viene regolarmente spartito con gli altri fratelli e sorelle, che magari da anni o decenni vivono fuori azienda e si sono creata un'altra attività o professione.
Ragioni di equità, oltre che di garanzia per i veri coltivatori rendono ormai indifferibile questo provvedimento che, con l'albo professionale, concorrerà a dare, a chi intende esercitare l'attività agricola, quella certezza e quella garanzia, senza le quali oggi i giovani sono sovente portati ad abbandonare la terra.
Se questi che ho citato sono i più importanti provvedimenti di carattere economico e strutturale che intendiamo portare avanti non vogliamo trascurare alcuna iniziativa di carattere sociale, ancora tanto necessaria in agricoltura. E' infatti da tutti riconosciuto che l'assistenza e la previdenza nel settore agricolo sono ancora molto indietro rispetto a quelle degli altri settori.
Un contributo una tantum a favore delle lavoratrici madri, l'estensione dell'indennità giornaliera per l'inabilità temporanea conseguente ad infortunio sul lavoro; una maggiore efficienza dei patronati ed istituti di assistenza operanti in agricoltura e l'estensione dell'assistenza farmaceutica ai coltivatori diretti, pensiamo che siano cose da fare senza indugio in un'epoca nella quale si parla tanto di assistenza sociale e dal momento che lo stesso art. 4 del nostro Statuto prevede che si debbano "attuare le riforme necessarie per determinare giusti rapporti sociali e civili condizioni di vita nelle campagne" ed aggiunge "che bisogna coordinare e sviluppare i servizi sociali con particolare riguardo alla salute ed alla sicurezza sociale".
Concludendo, ritengo di avere citato solo alcuni dei molti provvedimenti che la Regione dovrà adottare in materia di agricoltura: invito la Giunta, seppure in quella che è ancora una fase costituente, a volerli affrontare con coraggio.
Noi siamo disponibili per discuterne e per affrontarne quanti altri sono necessari per raggiungere la vera parità di reddito e condizioni di vita tra chi opera in agricoltura e chi negli altri settori produttivi, al fine di superare realmente quegli squilibri territoriali, economici e sociali che ancora oggi sussistono nella nostra Regione.


Argomento:

Interrogazione (annuncio)


PRESIDENTE

Prego un segretario o un Consigliere di dare lettura dell'interrogazione pervenuta a questa Presidenza.



ROTTA Cesare, Segretario

Dà lettura di un'interrogazione pervenuta alla Presidenza.



PRESIDENTE

Sull'argomento dell'interrogazione testé letta, è giunto all'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale un pro-memoria dei tre sindacati FILP CISL; FILP-CGIL; UIL-POST; sui motivi della crisi ai servizi postali della città di Torino, che l'Ufficio di Presidenza ha ritenuto utile far fotocopiare e distribuire, come elemento di informazione, a tutti i Consiglieri.
La seduta è sospesa per 15 minuti per consentire la riunione della conferenza dei Presidenti e per fissare l'ulteriore calendario dei nostri lavori.



(La seduta sospesa alle ore 17,50 riprende alle ore 18,10)


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Discussione al programma della Giunta (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è riaperta. Sulla discussione del programma della Giunta è iscritto a parlare il Consigliere Oberto, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri. Chiedo scusa se il mio intervento potrà apparire un poco disorganico, perché non avevo preveduto di prendere la parola questa sera, riservandomi di farlo nei giorni successivi.
Siccome la giornata di domani, non sarà giornata di lavoro, per guadagnare del tempo e consentire ad altri di intervenire più dettagliatamente, prendo ugualmente la parola in questo momento.
La impostazione del programma poteva effettivamente anche essere diversa, poteva contenere quell'elenco di opere a cui si è fatto riferimento anche con delle esposizioni critiche extra-consiliari e poteva rimanere invece nella linea indicativa prescelta, cioè poteva esserci, come si dice nella stessa relazione, il ventaglio delle opere portato alla considerazione e all'attenzione di tutti i Consiglieri così come poteva invece esserci, come è stato, l'affermazione di taluni principi sui quali consentire come linee indicative di un programma da svilupparsi e da svolgersi. Si è prescelta questa seconda idea evidentemente con il proposito, da parte del Presidente e della Giunta, che venissero dai banchi dei Consiglieri degli apporti concreti su taluni argomenti che costituiranno, in seguito, il motivo di un ripensamento, di una rimeditazione, di un approfondimento anche in relazione a quello che sarà il pacchetto grosso che tutti sollecitiamo ed attendiamo, e che è costituito dalle cosiddette leggi quadro o leggi cornice. Oggi noi operiamo praticamente in base ad uno Statuto che ci siamo dati, approvato da uno dei rami del Parlamento e non ancora dall'altro, ma che ha delle linee indicative, di carattere generale e non ancora delle delimitazioni specifiche su ogni singolo argomento che dovrà essere trattato.
Io mi soffermerò su tre argomenti che sono stati accennati nel programma della Giunta e che mi sembra abbiano una notevole validità: su due di questi, in termini estremamente succinti, sull'altro, i colleghi Consiglieri me lo consentiranno, un poco più diffusamente, perché è l'argomento che mi è congeniale ormai da una ventina d'anni, mi è congeniale anche per la mia estrazione di figlio della montagna.
I primi due si riferiscono all'aspetto del problema della cultura regionale, in tutta la ampia accezione del termine, che va dalla conservazione di un dialetto che costituisce patrimonio di cultura del Piemonte, alla conservazione dei beni culturali del Piemonte, alla tradizione artistica, alla tradizione letteraria, alla tradizione pittorica, alla tradizione musicale, a tutto quel complesso patrimonio artistico che è alle nostre spalle e che deve essere, anche in prospettiva dinanzi a noi, se veramente ogni Regione deve sentire questa sua vocazione alla risoluzione dei problemi, calando in quella che è una realtà fatta anche di storia, di tradizione, fatta anche di un patrimonio che non pu essere abbandonato e distaccato. Mi sembra pertanto che opportunamente nella relazione, sia pure in termini estremamente succinti, siano state fatte delle indicazioni valide per aprire questo discorso. A chi toccherà? Al Presidente, alla Giunta nel suo complesso, ad un Assessore in maniera particolare affrontare questo problema, ancora non lo so. E' certo che comunque vada, per risolvere la situazione, non possiamo non tenere presenti anche le sollecitazioni esterne che tutti abbiamo avuto, nel momento formativo dello Statuto, con una insistenza particolare da parte di coloro che sono i conservatori e depositari di questa valida forza che è il patrimonio culturale, nel quale patrimonio culturale (evidentemente il discorso si allarga) sono compresi anche i beni naturali, i quali molte volte costituiscono la sostanza del bene culturale, la difesa del patrimonio, la difesa ecologica che impinge anche in quella che è la difesa del patrimonio naturale, del patrimonio faunistico. Mi sembra quindi di poter dire che opportunamente, anche se succintamente (per rifarmi alla ultima pagina della relazione) il problema sia stato tuttavia sostanzialmente evidenziato.
Quando si dice nella relazione che educazione, formazione, ricerca del giusto rapporto fra l'uomo e la natura che lo circonda, facile accesso e disponibilità per tutti alle risorse genuine del territorio, dell'aria dell'acqua, del verde, sono obiettivi che dobbiamo proporci con urgenza guardando al problema nella sua globalità ed affrontandolo con risolutezza sia come impegno di incentivi, di proposte, di indirizzo e sia anche, non appena possibile, con impegno finanziario diretto, si dice una cosa estremamente valida, ed è per questo che sono lieto di poter dire ai colleghi Consiglieri e a lei signor Presidente (anche perché gliene avevo personalmente parlato) che è in gestazione la formazione di un'iniziativa che dovrebbe svilupparsi nella prima decade di ottobre nella nostra Torino con la partecipazione di tutte le forze regionali piemontesi, ma anche con la collaborazione e la cooperazione di tutte le regioni italiane, per mettere a punto questo argomento (come motivo promozionale la federnatura) ma con la partecipazione di tutti gli Enti regionali, gli Enti locali, o meglio, l'Ente locale e la difesa della natura, nel termine e nell'accezione più ampia e più vasta, quasi a continuazione di quel discorso che si era aperto nell'autunno dell'anno passato a Bressanone e che aveva avuto una notevole risonanza nel settore e nel campo di coloro che attendono a questi problemi.
In una seconda parte della relazione, si parla di trasformazioni sociali, economiche, territoriali e di fenomeni dell'esodo dalle montagne.
Questo è un altro discorso che mi sembra opportuno sottolineare e rilevare.
A mio avviso chi dovrà studiare le soluzioni del problema di cui mi occuperò un po' più diffusamente dopo, deve partire da una premessa che mi sembra abbia ormai la prova del nove, attraverso indicazioni che sono venute da parte di molti studiosi di questo fenomeno. Una parte di esodo si è verificato da un secolo, dalle montagne italiane, da tutte le montagne italiane; vorrei dire ai miei colleghi Consiglieri che quando parlo di montagna, ho una visione precisa, malamente si parla della montagna, i problemi, delle montagne sono diversissimi, con caratteristiche non soltanto idrografiche, non soltanto geologiche, ma anche proprio come formazione di insediamento umano estremamente diverse le une dalle altre.
Le montagne della Liguria sono diverse da quelle del Piemonte, la montagna lombarda, la montagna veneta sono estremamente diverse dalla montagna appenninica, e dalle isole. Quando si parla di esodo dalla montagna occorre avere ben presenti i due aspetti che determinano questo fenomeno: l'aspetto fisiologico e l'aspetto patologico. Quando dalla montagna si fugge, perché non la si ama più perché non vi si vuole più restare, allora è necessario un intervento per frenare l'esodo; quando dalla montagna si viene via per delle ragioni fisiologiche, perché non consente al suo abitante di vivere con dignità di uomo e non si provvede da parte dello Stato (domani da parte della Regione) per quelle che sono le sue competenze, da parte degli Enti locali, a rendere l'abitazione tale da consentire questa dignità e questo modo di vita del montanaro, allora ci troviamo di fronte ad un fenomeno meramente fisiologico inarrestabile. Non si può costringere alla montagna taluno a vivere come cittadino di seconda categoria, non si può costringere taluno a vivere nella montagna per non vivere, ma praticamente per morire ed è un problema che deve essere tenuto nella grande considerazione proprio da coloro i quali saranno chiamati ad affrontarlo.
Non è detto in termini espliciti nella relazione, ma mi pare di poter capire che questi temi saranno affrontati collegialmente. Avevo intrattenuto su questo argomento, con una lettera, il Presidente della Giunta, per dire il mio pensiero: a differenza di quello che si è verificato in taluni organi eminentemente amministrativi, come ad esempio le Province, dove si creano gli Assessorati alla Montagna, sarebbe stato un errore, e a mio avviso un grave errore, che qui, a livello di strumento legislativo, come è essenzialmente la Regione, più che organo amministrativo, si fosse costituito un Assessorato alla Montagna. Perch dico ai colleghi della Giunta e al Presidente (che leggerà queste poche cose che sto dicendo), che un Assessorato alla Montagna sarebbe incongruo? Perché quelli della montagna sono problemi di natura scolastica, di natura di viabilità, di natura agricola, di natura di sviluppo turistico, problemi di sanità da vedersi in termini particolari ma che rientrano evidentemente nel quadro generale, per cui ritengo che l'affrontare questo quesito postuli, esiga necessariamente che vi sia una Commissione assessorile (la prefiguro così nella mia mente) presieduta dallo stesso Presidente della Giunta e composta da quegli Assessori che si occupano degli argomenti che in modo peculiare possono interessare la montagna; allora soltanto in una visione omogenea completa, si risolveranno questi problemi, i quali in molti sensi si intersecano ai problemi che sono pari a quelli della collina e a quelli della pianura, ma che non sono avulsi, che hanno delle visioni particolari. Risolvere la questione della scuola in pianura è diverso dal risolverla in montagna, certamente, però la questione fondamentale dell'insegnamento e della scuola è collegata, sia in pianura che in montagna. Ecco perché mi sembra molto opportuno che ci sia questo coordinamento assessorile.
E mi rifaccio (pur avendolo già segnato autonomamente e mi è piaciuto che anche un altro Consigliere l'abbia rilevato) ad un grosso problema che interessa la montagna, ma non soltanto la montagna, ed è quello delle acque. Il Consigliere Gerini lo ha accennato, io l'avevo segnato nella mia pagina con la indicazione "Testo Unico delle Acque". I Consiglieri non avranno discaro di conoscere, per esempio, che questo atteggiamento preso da chi vi parla, è atteggiamento consequenziale ad un suo convincimento intimo e profondo. Da due anni faccio parte della Commissione ministeriale ai Lavori Pubblici per la riforma del T.U. delle Acque 1933. Ahimé, io mi auguro tanto che le Commissioni che verremo facendo non vivano due anni per trattare un solo argomento, mi auguro che vivano mille anni per affrontare mille argomenti. Ad un certo momento, istituita la Regione, chi vi parla intervenne in Commissione e successivamente con degli scritti dicendo che non riteneva che il contraddittorio e il dialogo fosse aperto a tutte le forze interessate al problema e che pertanto fino a che non ci fosse stata l'integrazione della Commissione stessa, con la presenza di rappresentanti delle regioni italiane, riteneva suo diritto e dovere di non partecipare ulteriormente ai lavori. Il problema della regolamentazione delle acque non solo nei termini accennati dal Consigliere Gerini, ma nel termine più ampio dello sfruttamento delle acque che interessa l'ecologia della zona e della Regione, che interessa l'acquisizione di quantità sufficiente di acqua per quelle che sono le esigenze individuali, personali e le esigenze dell'agricoltura, deve essere affrontato con un dialogo aperto con l'Ente Regione, non con delle leggine che possono essere delegate dopo che la legge fondamentale del 1933 abbia una riforma poco più che formale e dialettica e non nella sostanza. Il tema per esempio della concessione delle acque, il tema del contraddittorio del momento in cui si mettono dei vincoli per l'uso delle acque, è argomento che deve essere trattato, a mio avviso, decisamente con la partecipazione dell'Ente Regione altrimenti l'Ente Regione sarebbe scavalcato, defraudato di sue facoltà e di suoi diritti che sono invece necessariamente reclamati, se vogliamo che la Regione dica una parola concreta e precisa.
E l'argomento fondamentale sul quale volevo intrattenermi è quello particolare proprio della montagna. La montagna è trattata molto bene dalla Carta Costituzionale, i costituenti, e per essi soprattutto il sen. Gortani (un montanaro cadorino) ha chiesto ed ottenuto che nell'art. 44 vi sia un'espressione categorica che dice che la Repubblica si occupa dei problemi della montagna e delle zone montane. Siamo al 1947, vi è stata nel 1952 la legge n. 991, quella che va sotto il nome di "legge Fanfani" che riguarda primieramente (e io ritengo che in quel momento fosse opportuno agire così) i problemi del territorio montano, ma dal 1952 al 1972 quasi, siamo alle soglie del '72, sono passati vent'anni e sono mancate le leggi derivate, se facciamo eccezione di quelle relative ai bacini imbriferi montani, allo sfruttamento idroelettrico, alla partecipazione a questo sfruttamento attraverso ai canoni ed ai sovracanoni; in questi venti anni altre leggi che avessero riguardo a quello che è il soggetto titolare del problema della montagna, cioè l'uomo, praticamente non se ne sono avute, siamo rimasti ancorati a problemi di territorio che hanno una loro particolare validità, ma che non servono a risolvere nulla se non si ha riguardo a questo soggetto titolare dei diritti che è il montanaro.
Certamente è un grosso problema tecnico quello della montagna e anche un grosso problema economico, ma è soprattutto un grosso problema sociale e questa convinzione ritengo sia largamente acquisita. Ho ragione di pensare che sia largamente condivisa da questo Consiglio Regionale non soltanto con riferimento alla norma dell'art. 44, ma perché si è a contatto con la realtà di questa montagna piemontese che, diciamocelo francamente, ed affermiamolo, dobbiamo considerare come una delle aree depresse. Ci sono delle larghe zone della montagna piemontese che purtroppo non hanno niente da invidiare alle zone e alle aree depresse del sud d'Italia e nei confronti della quale montagna bisogna agire ed intervenire tempestivamente.
Io credo che i colleghi Consiglieri regionali abbiano ricevuto, come ho ricevuto io - mandato, penso, da chi ne è un poco il facitore - quel giornale socialista che si pubblica in quel di Cuneo (penso che il collega Viglione lo mandi a tutti i Consiglieri); ebbene, nell'ultimo numero leggiamo ancora la tragica morte di quel montanaro che esce di casa per andare a cercare soccorso (non c'è luce, non c'è telefono, non c'è strada) e muore per via. Il commento del giornale è amarissimo, ma denuncia una situazione che non è molto lontana da quella di pochi anni addietro quando nella mia Val Chiusella il medico era costretto ad applicare il forcipe per dar vita ad una creatura che sarebbe vissuta ancora in montagna adagiando la povera partoriente là dove le mucche mangiano la loro pastura.
Problema dunque sociale di grande rilievo e di grande importanza. Il montanaro che ha aspettato tanto tempo pazientemente, sta per perderla questa pazienza (la Regione deve avvertirla questa possibilità) sta soprattutto per perdere la fiducia in se stesso e negli Enti che sono chiamati a presiedere e a risolvere i suoi problemi. Io sono solito dire a me stesso e a ripetere qualche volta alla cortese attenzione di chi mi ascolta, che in fondo perdere il denaro è una cosa di un certo rilievo, di una certa importanza soprattutto quando il denaro ha fruttificato attraverso ad un lavoro prestato, che perdere il buon nome è una cosa ancora più grande, che tuttavia ha una possibilità di rimedio perché c'è la possibilità di riabilitarlo questo nome, ma perdere la fiducia in se stessi è veramente perdere tutto e quando la fiducia non si perde soltanto in se stessi, ma si perde anche nei confronti degli Enti (li chiamino Stato Regione, Provincia, Comuni) e definitivamente disancorarsi da quella che può essere una ragione di soluzione dei grossi nostri problemi. E noi l'abbiamo sentito, colleghi Consiglieri e signor Presidente, quando nell'art. 4 del nostro Statuto abbiamo scritto (tacitamente se si vuole, ma l'abbiamo scritto come norma dalla quale non ci potremo discostare così come il legislatore non può discostarsi dalla norma dell'art. 4 della Costituzione) che vi sono questi argomenti ai quali dobbiamo attendere: "Attuare le riforme necessarie per determinare giusti rapporti sociali e civili nelle condizioni di vita delle campagne, favorire l'impresa singola e associata, coltivazione diretta e familiare, agevolare lo sviluppo economico e sociale (lo abbiamo proprio sottolineato, uno dei primi articoli, il 4) dei territori e delle comunità collinari e montane".
Ma la montagna che cos'è? Mi scuso con loro, certamente molti conoscono questa situazione, ma forse non è inopportuno che in un discorso che si incentra su questo argomento, ripetiamo a noi stessi che l'abbiamo panoramicamente dinanzi in quest'aula, che cos'è la montagna nostra. Ecco vediamola quantitativamente questa realtà che investe in diversa misura tutte le province della regione piemontese (tranne l'astigiano) in misura più o meno importante, da Cuneo a Torino, da Alessandria a Vercelli a Novara. Che cosa costituisce il tessuto di questa montagna? Ebbene signori come i 481 comuni montani, sono delle realtà che risalgono indietro nel tempo di secoli e di millenni, sono la prima espressione di una civiltà che va degradandosi e che noi dobbiamo, per quanto detto all'inizio del mio discorso, ma a prescindere da quello, conservare, difendere e potenziare.
Sono 481 comuni sui 1209 che costituiscono l'intero complesso della nostra Regione. E sono (la cosa è anche più importante) oltre 600 mila abitanti i quali debbono avere lo stesso trattamento, il riconoscimento degli stessi diritti che hanno i cittadini della collina e del piano. E, per ricollegarmi ad un concetto espresso dal collega Chiabrando, sono 70 mila aziende agricole (che forse sarebbe più giusto non definire agricole, ma semplicemente rurali) di cui 55 mila debbono trovare fuori dell'agricoltura di che cosa vivere.
Ecco perché è opportuno che questo problema sia esaminato dal Presidente e da una consulta assessorile e non soltanto dall'Assessorato che presiede all'Agricoltura e che presiede all'area ecologica, o allo sviluppo del turismo, visto nel suo complesso. Sono aree rimaste ai margini e se anche in questo scorcio ultimo di 25 anni, che ha visto il tumultuoso camminare della pianura non ce lo possiamo negare, non rinneghiamo il nostro passato, molte cose sono state fatte, proprio perché se ne sono fatte molte e non tutte, è indispensabile non restare a metà strada e continuare il cammino e risolvere questo altro problema, altrimenti veramente creeremo degli emarginati. E in parte la emarginazione si è verificata, ha provocato una serie di fenomeni accelerando anche una crisi che, come ho detto, era in atto da oltre un secolo. La reazione a questo progressivo disquilibrio è stato lo spopolamento e noi dobbiamo, in questa direzione, agire. Soprattutto i Consiglieri regionali che conoscono la montagna, che vivono nel territorio montano, sanno come ci sia un richiamo suggestivo per quelli che sono scesi per trovare nel piano un posto di lavoro che rendesse complementare, attraverso il guadagno, il misero reddito della montagna; e sanno che vi è un forte richiamo anche sollecitato dall'esigenza di svelenirsi dall'ambiente cittadino e talune baite del nostro cuneese e talune baite delle montagne piemontesi che sembravano essere derelitte ed abbandonate, vengono oggi riattate e riabitate; quindi c'è un nuovo richiamo da parte della montagna e noi non dobbiamo deludere coloro i quali sviluppano per loro iniziativa questo aspetto, mancando di operare nella direzione che siamo venuti indicando affrontando i problemi economici, sociali e anche organizzativi.
Mi pare di aver detto fin qui qualche cosa di quello che si riferisce all'aspetto economico e all'aspetto sociale, vorrei sottolineare anche quell'aspetto organizzativo che deve integrare le diverse forme produttive.
L'agricoltura in montagna è sempre stata povera, non è povera nel 1971, lo è sempre stata, ma vi era un mercato chiuso, oggi vi è un mercato aperto.
Oggi quell'agricoltura deve inserirsi competitivamente nell'agricoltura del piano e della collina e deve inserirsi nel quadro più vasto di un'agricoltura che è guidata dal MEC e la montagna ha qualche cosa da dire anche in questa direzione.
E' necessario, quindi, che questi nuclei familiari, o almeno la maggior parte di questi nuclei familiari, che sono rurali, ripeto, e non assolutamente agricoli, integrino il loro reddito in altri settori economici, che possono essere l'industria, la piccola industria, la minima industria.
La montagna svizzera non sente la crisi della montagna che risentono altri Paesi perché ha insediato, al fondo di ogni valle, e qualche volta anche in zone di montagna che noi diremmo già abbastanza elevata, la piccola industria. Non potremo certo pensare di fabbricare gli autocarri in montagna, ma potremmo chiedere, trattando di insediamento e di localizzazione di industrie, che alcune di queste industrie trovino la loro collocazione nei fondovalle, anche attraverso ad incentivi. Perché le zone depresse montane meritano lo stesso incentivo che noi riteniamo giusto venga dato alle aree depresse del Sud d'Italia.
E soprattutto, va tenuto presente l'aspetto turistico. Quello fra gli Assessori che sovrintende a questo settore non può non essere inserito in quella Commissione che io auspico perché il problema possa essere affrontato proprio in una visione, in una valutazione complessiva. Se si vuole che una concreta economia della montagna sia tale da meritare il nome di economia, bisogna sostenerla nei vari settori che la compongono.
Qui mi sia consentito un breve inciso relativo a quello che lo Stato ha fatto in questi venticinque anni nella politica montana, con riferimento all'agricoltura, affidando l'azione di rilancio al solo Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, certo per molti versi benemerito, ma che come ha già detto il Consigliere Chiabrando, sembra tra i più restii - non è il solo - a concedere e il quadro e la cornice; noi potremmo anche accontentarci della cornice, rinunciando al quadro, ma almeno la cornice per rendere operativa la legislazione regionale per la montagna dovrebbe essere data.
Badino che la critica non viene fatta senza giustificazione. Perch quel Ministero non è in condizione, per la sua stessa natura, di avere una visione globale dei problemi, perché li vede soltanto settorialmente, sotto il profilo dell'agricoltura e delle foreste, che ne sono delle componenti ma non sono l'essenziale, e che vorrei dire anzi, oggi, non sono neanche la componente essenziale. Gli aspetti sociali del problema della montagna dipendono anche da quelle difficoltà ambientali (il Consigliere Viglione era assente quando lo citavo, ringraziandolo, anche, per l'invio di quel giornale che penso non faccia soltanto a me e che metteva in evidenza che cosa è accaduto in questi ultimi giorni nelle montagne) che sono connesse ad una deficiente condizione economica, e soprattutto - sia detto con il dovuto rispetto ma con la sincerità che è madre della libertà - ad una certa miope ottusità con la quale gli organi dello Stato hanno sempre guardato ai territori montani ignorandone la natura ambientale.
Dopo che per venti anni siamo andati dicendo che le montagne sono diverse, siamo venuti invocando che si facesse una carta della montagna, e non ci si ancorasse semplicemente a determinati fattori variabili (fattori grazie ai quali fu, per un periodo di tre anni, considerata montana, ai sensi della legge 991, la città di Palermo, dico Palermo in quanto si consideravano i redditi di quegli anni e l'altitudine massima del monte che domina la città), creando veramente delle situazioni di patente squilibrio ecco ora questa proposta di legge - che cito soltanto, senza illustrarla perché penso che tutti i Consiglieri regionali la conoscano. E' una proposta di legge unificata per la montagna alla quale hanno aderito tutti i Gruppi. Un qualcosa di concreto, che parla di organizzazione e di sviluppo della montagna, che mira alla realizzazione di questi piani zonali da coordinarsi nell'ambito dei piani regionali di sviluppo. Finalmente c'è una proposta di legge che incomincia ad avere presente l'esistenza della Regione, che prospetta la soluzione dei problemi della montagna nell'ambito dei problemi regionali di sviluppo.
All'art. 3 di questa legge, quella che parla appunto della carta sulla montagna, si dice: "I Consigli regionali, per la attuazione di quanto sopra, dovranno sentire i rappresentanti dell'Unione nazionale dei Comuni ed Enti montani (UNCEM), delle Amministrazioni provinciali, dei Consigli di valle ecc.". C'è dunque una legge dello Stato che sancisce il concetto scritto nella nostra carta statutaria della esigenza della consultazione.
Io mi auguro che questa consultazione non avvenga a livello romano e a livello ministeriale, ma, posto che l'UNCEM ha creato una delegazione regionale, sia questa delegazione regionale la colloquiante con l'organo esecutivo della Regione, la colloquiante con il Consiglio Regionale per l'impostazione e per la soluzione di questi grossi problemi dei quali abbiamo parlato.
Del resto, noi non parliamo nemmeno più di comuni montani: parliamo di zone montane. Si afferma un concetto zonale. C'è una legge che risale al 1955, una legge dovuta a due montanari, a due amici della montagna, l'on.
Giraudo di Cuneo e l'on. Lucifredi, genovese. Fin dal 1955 si è parlato di quei centri zonali, che avrebbero potuto e dovuto avere una efficacia profonda, e cioè i Consigli di valle o Comunità montane. Ebbene, colleghi Consiglieri regionali, il Piemonte ha fatto molta strada in questa direzione. I Consigli di valle, vorrei dire in un certo senso ante litteram, creati nella Val d'Ossola, seguiti da quelli nelle Valli del Cuneese, seguiti da quelli nelle Valli torinesi, realizzati nel Novarese sono tappe importanti. Ma dal 1955, colleghi Consiglieri regionali, si è dovuti arrivare al decretone per avere finalmente l'assegnazione di una cifra estremamente modesta, che costituisse il volano di lancio per la realizzazione dei compiti che vengono portati alla considerazione e all'esame degli Enti che devono risolvere, affrontare questi problemi.
Non voglio farmi qui portatore di talune proposizioni che potrebbero sembrare anche in un certo senso propagandistiche ma che sono invece dovute ad un affetto personale, e sono dovute anche ad un riconoscimento che mi sembra che chi è investito di una certa responsabilità della cosa pubblica debba manifestare pubblicamente anche a coloro che sono stati, e che continuano ad essere, i suoi collaboratori in questa materia. Se i colleghi Consiglieri regionali vorranno approfondire, anche teoricamente, ma non solo teoricamente, i problemi della montagna, leggano i due volumi che Edoardo Martinengo ha scritto, uno con riferimento particolare alla montagna piemontese: costituiscono un vademecum che soprattutto i membri della Giunta faranno bene ad aver presente sul loro tavolo nel momento in cui esamineranno nel suo complesso questo problema. Perché è impossibile risolvere bene le cose senza conoscerle. Molti di noi la montagna la conoscono direttamente, qualcun altro la conosce solo indirettamente; molti di noi sono portatori delle istanze dei montanari perché le ricevono direttamente da loro, altri non sono che la casse di risonanza delle espressioni che talvolta raccolgono. Ma conoscere profondamente è motivo indispensabile, è ragione fondamentale per poter risolvere bene la cosa.
Questa proposta di legge alla quale ho voluto riferirmi è un fatto indubbiamente molto grosso e molto importante. Ci dovranno essere degli emendamenti. Io vorrei pregare il Presidente della Giunta, o chi oggi qui lo rappresenta, vorrei pregare la Giunta stessa, di nominare rapidamente una Commissione che si incarichi di esaminarla. C'è modo e tempo ancora per portare alcuni emendamenti. Se la Regione piemontese desse un contributo positivo e valido anche sul piano collaborativo con l'organo centrale del Parlamento italiano, che ha finalmente avvertito l'esigenza di dire la parola fine alle lunghe promesse, penso che la Regione Piemonte, la quale deriva il suo nome proprio dall'essere a piede del monte, farebbe una cosa estremamente efficace, utile ed importante. Auspico che questo Comitato, di Assessori, guidato dal Presidente, ascolti le modeste parole che sono state dal più anziano dei Consiglieri presenti in quest'aula, da un montanaro dette con il cuore, ma anche sulla base dell'esperienza di venticinque anni dedicati con tanta passione a coloro per i quali Vanoni ha lasciato praticamente il suo testamento spirituale ricordando il fedele assolvimento da parte loro dei compiti in tempo di pace e in tempo di guerra, e rammentando che devono essere non soltanto destinatari delle cartoline precetto o delle cartelle dell'esattore, ma anche destinatari di provvedimenti legislativi che, un tempo di esclusiva competenza dello Stato, oggi possono anche venire da noi, dall'Ente Regione.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno sulla Rhodiatoce di Verbania


PRESIDENTE

Prego un Consigliere Segretario di dar lettura di un ordine del giorno presentato dai Consiglieri di tutti i Gruppi della Provincia di Novara, che sarà messo in discussione nel corso della prossima seduta del Consiglio Regionale.



ROTTA Cesare, Segretario.

Do lettura dell'ordine del giorno: "Preso atto che il processo di disinvestimento industriale nell'Alto Novarese ha generato, e continua a generare, profonda tensione sociale nelle fabbriche ed in tutti gli strati socialmente attivi della popolazione, riconosce che le lotte popolari e sindacali hanno sempre teso a svolgersi nell'ambito di una corretta prassi democratica, rispettando interamente lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana esprime la propria solidarietà ai 49 lavoratori della Rhodiatoce che per essersi battuti per migliori condizioni di lavoro e per la difesa della occupazione e dello sviluppo di Verbania sono ora sottoposti ad un procedimento giudiziario; auspica un equo giudizio della Magistratura, che riporti la serenità nella famiglia dei lavoratori verbanesi e che riconosca la funzione sociale e di difesa del patrimonio nazionale che viene esplicata dalle lotte cittadine in difesa dell'industria e dell'economia locali".
Firmato: Bono, Borando, Fonio, Sanlorenzo, Cardinali.


Argomento:

Ordine del giorno prossima seduta


PRESIDENTE

Nella conferenza dei Presidenti si è convenuto di non tenere seduta nella giornata di domani: ci è giunta infatti notizia che per tutta la giornata di domani dovrebbero proseguire i lavori del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, e, come è stata finora prassi al nostro Consiglio, essendo in svolgimento una riunione politica di carattere nazionale di una delle forze politiche che lo compongono, non si procede nel proseguimento dei lavori.
E' stato pure convenuto di tenere giovedì mattina una riunione della Commissione per il Regolamento, che colgo l'occasione per convocare, nella sede di via Maria Vittoria 12, giovedì mattina alle ore 10.
E' stato pure convenuto di proseguire nell'esame dell'ordine del giorno in Consiglio giovedì pomeriggio alle ore 16. Essendo d'altra parte il Presidente della Giunta convocato presso una Commissione del Senato nella sua veste di Presidente della Regione venerdì mattina, non sarà possibile proseguire i nostri lavori venerdì, e quindi, per l'esaurimento dell'ordine del giorno, andremo ai primi giorni della settimana successiva.
Determineremo esattamente questi giorni e le sedute in cui il Consiglio si riunirà, nel corso della nostra seduta di giovedì pomeriggio.
Il Consiglio Regionale è quindi convocato in questa sede per il giorno 2 aprile p.v. alle ore 16 con il seguente ordine del giorno: 1) approvazione verbale precedente seduta 2) comunicazioni del Presidente 3) seguito della discussione sul programma della Giunta 4) ricostituzione del Consiglio d'amministrazione dell'Ospedale Maggiore S.
Giovanni Battista della città di Torino. Nomina dei membri di spettanza della Regione 5) ordine del giorno dei Consiglieri di Novara 6) norme di regolamento relative alla formazione delle Commissioni 7) formazione delle Commissioni permanenti 8) proposta di deliberazione sul tema: "Prima costituzione degli uffici regionali, determinazioni ai fini del comando di un secondo contingente di impiegati".
Non vi sono osservazioni? L'ordine del giorno della prossima seduta è quindi approvato. La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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