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Dettaglio seduta n.35 del 15/04/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego un Consigliere Segretario di dar lettura dei verbali delle sedute precedenti.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura dei processi verbali delle adunanze n. 33 del 6 aprile '71 ore 11 e n. 34 del 6 aprile '71 ore 16.



PRESIDENTE

Se non vi sono osservazioni si possono intendere approvati. Non vi sono osservazioni: i verbali sono approvati.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Carazzoni, Gandolfi e Debenedetti. Al Consigliere Debenedetti desidero, a nome del Consiglio inviare i più affettuosi e più cordiali auguri di pronto ristabilimento.


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati - Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

Presentazione del programma organico della Giunta


PRESIDENTE

Passiamo al terzo punto dell'ordine del giorno: "Presentazione del programma organico della Giunta".
Ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, la Giunta Regionale piemontese eletta il 9 marzo scorso, assolve oggi l'impegno di presentare al Consiglio il proprio programma non solo come più ampia ed approfondita specificazione delle linee politiche ed amministrative espresse nel documento che, a norma di Statuto, i Gruppi politici del Centro-sinistra hanno allora proposto al dibattito consiliare, ma anche e soprattutto come conseguente e coerente risultato di quel dibattito, dal quale sono pervenuti contributi ed idee che hanno arricchito, integrato ed affinato i contenuti delle linee politiche ed amministrative allora proposte ed hanno stimolato e suscitato meditazioni, riflessioni e valutazioni di sicuro rilievo ai fini della presente formulazione programmatica.
Costruire la Regione significa d'altronde anche questo, significa anche, cioè, costruire un modo nuovo di confrontarsi e dialogare, senza rinunce certo alle distinzioni politiche ed ai confini ideali che contraddistinguono e separano forze politiche di diversa ispirazione, ma senza disattenzione alcuna verso quanto, al di là delle distinzioni e dei confini, appare significativa espressione di inquietudini, di spinte, di ansie e di esigenze comuni a vasti strati popolari, dei quali vogliamo che la Regione sappia proporsi come interprete valida e credibile per poter davvero diventare ciò che per noi dovrà e potrà essere: istituto di avanzamento e di crescita democratica, centro propulsore di riforme civili e sociali, sintesi autentica di valori nuovi di cultura, di civiltà, di progresso e di fervida convivenza comunitaria.
Alla costruzione di questo "modello" di Regione la Giunta intende orientare il suo programma, pienamente consapevole, peraltro che, a questo fine, la stessa disponibilità di poteri e di mezzi, quand'anche fosse assai ampia e consistente, approderebbe a ben modesti risultati se non fosse ispirata e sorretta dall'animazione partecipativa di un articolato pluralismo di forze politiche e sociali, aperte a reciproci contributi e capaci di fecondi scambi di esperienze, e se non fosse al contempo guidata da una solida ed accurata impalcatura di organi e di strutture democraticamente operanti.
Prima ancora perciò di esporre i contenuti propriamente legislativo esecutivi di un disegno programmatico, la Giunta reputa essenziale sottolineare che, in questo periodo di vita regionale, essa attribuisce particolare valore ed importanza alla costruzione degli organi e alla individuazione e definizione dei diversi e condizionanti momenti operativi nei quali le decisioni e gli interventi di attuazione programmatica si andranno determinando e concretando.
Preliminare e condizionante appare, in sostanza, l'impegno di portare a compimento quello che abbiamo chiamato "il secondo periodo costituente" della Regione, innanzitutto realizzando una democratica e funzionale organizzazione del momento legislativo e, all'interno di esso, il raccordo tra le varie fasi di esame, di analisi, di consultazione e di decisione avendo ben chiaro che la riforma regionale potrà realmente corrispondere all'obiettivo di promuovere più estesi spazi di autonomia e di libertà solo a patto di essere capaci, tutti insieme, di valorizzarne appieno il carattere autenticamente innovativo e la dimensione concretamente democratica.
Carattere e dimensione che, assegnando all'istituto regionale importanti potestà legislative, gli conferiscono possibilità e responsabilità molto più incisive e determinanti di quelle proprie alla tradizione esclusivamente amministrativa da cui sono state fin qui costituite, nell'ordinamento statuale italiano, le strutture dei poteri locali.
Si tratta di possibilità e responsabilità che se, da un lato accentuano ed esaltano il significato ed il valore della riforma autonomista, d'altro canto, postulano e reclamano da parte di tutte le forze politiche impegnate a livello regionale, uno sforzo creativo di grande tensione culturale, fondato su una nuova e diversa presa di coscienza dei problemi e delle loro implicazioni e su una visione necessariamente più complessa ed articolata del quadro istituzionale giuridico e politico, entro cui operativamente verranno a collocarsi le soluzioni prescelte.
E' un vero e proprio salto di qualità, concettuale ed operativo, quello che l'attuazione della riforma richiede all'impegno delle forze politiche regionali; un salto di qualità che segna il passaggio, ricco di incognite e di problemi, da una consuetudine e da una esperienza svolte amministrativamente nell'ambito di leggi rigorosamente prestabilite ad un modo nuovo di misurarsi con i problemi, di dominarli e di imbrigliarli dando ad essi sbocchi originali attraverso il potere di costruire e di emanare le leggi.
Ho ritenuto opportuno richiamare qui questi aspetti autenticamente innovativi perché non sempre, nella recente esperienza regionale italiana la caratterizzante funzione legislativa dell'Ente Regione è stata colta valorizzata e collocata nella precisa prospettiva prefigurata dalla Costituzione.
In molti Statuti anzi la configurazione data ai Consigli Regionali sembra rispondere assai più alle caratteristiche di un super-consiglio di tipo amministrativo tradizionale, soltanto con maggiori attribuzioni e più estesa competenza territoriale, che non alla concezione di una assemblea di carattere legislativo.
Ciò, appunto, è sensibilmente difforme dalle indicazioni della Costituzione, la quale, nel disegnare le strutture dell'Ente Regione, ha chiaramente inteso riprodurre a livello regionale, pressoché con analoghi lineamenti, le strutture legislative ed esecutive proprie del sistema parlamentare, escludendo quindi qualsiasi interpretazione che, volutamente o meno, potesse comprimere e limitare la riforma regionale alle anguste dimensioni di un semplice, seppur ampio, decentramento amministrativo.
Tuttavia quest'ultima interpretazione è di fatto emersa e continua, in qualche misura, ad emergere a livello regionale e si è purtroppo molto diffusa a livello ministeriale.
I rischi, facilmente intuibili, che ne derivano, sono numerosi e di varia natura ma due, in particolare, mi sembra opportuno sottolineare.
Il primo rischio riguarda la struttura degli organi regionali, la sfera delle loro attribuzioni e la corretta interpretazione dei loro reciproci rapporti. Esso si va manifestando, con motivazioni che solo ad un primo sbrigativo esame possono apparire espressione di volontà democratica, nella tendenza a voler considerare assorbita, nell'ambito delle attribuzioni e delle competenze assembleari, di fatto assimilandola alle tradizionali strutture amministrative, l'intera potestà regionale, legislativa ed esecutiva, annullando in tal modo le opportune e pertinenti diversificazioni e distinzioni, proprie di ogni sistema parlamentare, tra i due peculiari momenti istituzionali.
Si tratta - è opportuno ricordarlo - di una tendenza che, in realtà può soltanto approdare o ad una gestione di tipo assembleare, che nessuno sembra però seriamente teorizzare e proporre, oppure può concretarsi in una confusa, disorganica ed evanescente formula di gracile e stentata distinzione tra i due poteri; formula che, come la storia ha spesso dimostrato, è fonte sicura non già di vitalità democratica ma di crisi e di impotenza degli istituti democratici ed è origine evidente di distorsioni e di forzature e perciò di immobilismo e di arretramento.
Questa tendenza trae origine dall'opinione, peraltro ricorrente secondo la quale il metodo democratico può trovare compiuta realizzazione soltanto superando i modelli della democrazia rappresentativa, considerati sostanzialmente formali, ed attuando modelli di democrazia partecipativa nei quali sia assicurata cioè la più ampia partecipazione sociale a tutti i livelli di decisione.
La realtà ha riservato in passato molte amarezze e molte negative esperienze ai sostenitori più conseguenti di questa opinione, ai quali sembra sia sfuggito e sfugga tuttora che l'applicazione della partecipazione, per quanto ampia essa sia, agli istituti democratici nei grandi paesi moderni fortemente popolati, mentre non può significativamente modificare l'intrinseco contenuto di rappresentatività proprio di queste istituzioni, può incepparne invece gravemente il delicato funzionamento fondato sugli equilibri di una dialettica divisione di poteri in permanente, continuo assestamento, ed inadatto perciò ad assorbire l'impatto di spinte squilibranti dei propri meccanismi di attività e di decisione.
In realtà il traguardo di più compiuti ed aperti assetti democratici non appare tanto perseguibile attraverso un'estensione indifferenziata della partecipazione a tutti i livelli decisionali ed attraverso un irrealistico superamento dei delicati equilibri di competenza e di divisione dei poteri propri degli istituti rappresentativi, quanto piuttosto è realizzabile attraverso l'attuazione d'una pluralità di centri di decisione politica capaci di estendere realmente lo spazio di partecipazione democratica senza peraltro alterare quegli equilibri e quella divisione di poteri che l'esperienza ha dimostrato indispensabili al fisiologico e regolare funzionamento degli istituti rappresentativi.
Ciò non toglie, ovviamente, che non sia possibile ed auspicabile perseguire l'obiettivo di un più ampio concorso partecipativo negli istituti rappresentativi esistenti: l'importante è che esso avvenga in quelle fasi del loro funzionamento dove è in grado realmente di recare contributi positivi, senza disarticolanti alterazioni dei meccanismi operativi.
Non è, ad esempio, guardando al momento esecutivo, che, tra l'altro per essere tale davvero, ha bisogno di certezza di diritti, di rapidità di decisioni, di prontezza di esecuzione e spesse volte anche di riservatezza nella maturazione dei propri interventi, che abbiamo configurato gli strumenti stabiliti nel nostro Statuto per assicurare all'attività regionale la più ampia ed estesa partecipazione democratica; ma è guardando invece al processo di elaborazione e di esame delle leggi, al momento legislativo cioè, che abbiamo previsto e delineato gli istituti della consultazione e della partecipazione, nel comune intendimento di assicurare proprio a questo momento fondamentale e caratterizzante della decisione politica, quel vasto concorso di esperienze e di competenze necessario ad ampliare ed a rinnovare la concezione stessa ed i metodi tradizionali di espressione legislativa propri delle democrazie rappresentative.
Non diversificando perciò, con la necessaria chiarezza, i due momenti legislativo ed esecutivo, e non valutando, con la dovuta ponderazione, che proprio nel potere legislativo si realizza la più importante e peculiare novità della riforma regionale si commette sicuramente un errore di ottica politica, ma soprattutto si corre un grave rischio ai fini di un sciolto e funzionale esercizio degli organi regionali; rischio particolarmente pericoloso all'inizio dell'attività di un istituto come quello regionale che, non solo deve ancora radicarsi nella coscienza popolare ed accreditarsi per le proprie capacità di guida, di interpretazione e di risposta, ma deve anche gradualmente costruirsi, senza poter ancora avvalersi del supporto di prassi già consolidate, gli strumenti operativi più idonei per dispiegare appieno le proprie potenzialità.
L'altro rischio conseguente ad una concezione tendenzialmente più "amministrativa" che "legislativa" dell'Ente Regione è quello che emerge chiaramente dall'esame dei vari progetti di riforma elaborati e proposti a livello nazionale in quest'ultimo periodo.
In essi traspare palese la tendenza di restringere a limiti estremamente contenuti, magari anche attraverso le più ardite ed elucubrate motivazioni, la facoltà legislativa delle Regioni, attribuendo loro invece, a parziale ma insoddisfacente correttivo, maggiore ampiezza di competenze meramente amministrative.
La Giunta, nella consapevolezza che le possibilità di governare e di dirigere in modo effettivamente nuovo e creativo lo sviluppo e la crescita democratica della nostra Regione presuppongono la piena disponibilità dei poteri legislativi, respinge fermamente qualsiasi concezione restrittiva e si propone di operare perché alle Regioni sia sollecitamente attribuita l'intera potestà legislativa costituzionalmente prevista.
Nel richiamare l'attenzione sui rischi impliciti in una visione che non valuti appieno il significato e l'importanza dell'esercizio delle facoltà legislative e non sappia cogliere quindi la vasta latitudine di possibilità che da esso è dischiusa alle attività programmatiche della Regione, la Giunta ha inteso esprimere la meditata convinzione che la piena disponibilità del potere legislativo e la fedele trasposizione a livello degli organi regionali della struttura funzionale propria del sistema parlamentare, così come è stato indicato dalla Costituzione, siano condizioni contestualmente determinanti per l'attuazione di una politica e di un programma di autentica riforma istituzionale, civile, economica e sociale.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni Permanenti


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

La Giunta considera che il prossimo insediamento delle otto Commissioni permanenti per l'esame preventivo dei disegni e dei progetti di legge sia il punto centrale del secondo periodo "costituente" della Regione.
Un'altra importante articolazione dell'Istituto Regionale verrà così precisandosi fino ad assumere, sia pure con la necessaria gradualità l'autorevole e determinante ruolo di interlocutrice delle iniziative legislative alle quali la Giunta annette essenziale importanza per lo sviluppo di un programma di reale rinnovamento.
Non spetta ovviamente alla Giunta pronunciarsi sulle modalità di regolamentazione del lavoro delle Commissioni.
Essa tuttavia formula l'auspicio che siano tali da favorire e garantire quella intensa e feconda collaborazione di cui l'Esecutivo avverte l'esigenza e consentano di avviare, all'interno delle Commissioni stesse e nei loro rapporti con la Giunta, quel confronto aperto e dialetticamente costruttivo al quale è stata ed è nostra intenzione improntare il rapporto tra maggioranza e minoranza.
A questa intenzione abbiamo dato convinta espressione con le proposte avanzate in ordine alle Presidenze delle Commissioni: nulla ci pare di poter ora aggiungere a quanto affermato nel documento di presentazione della Giunta se non l'assicurazione, d'altronde doverosa, della più completa collaborazione per dotare le Commissioni di quanto necessario per il migliore espletamento delle proprie funzioni.
Toccherà soprattutto alle Commissioni ed ai loro Presidenti, nella realtà di un lavoro legislativo serio e meditato, affermare e salvaguardare, nel tessuto sociale della nostra Regione, quella dignità nuova che la riforma regionale ha conferito all'impegno ed alla responsabilità politica di ciascuno di noi.
E' d'altronde per quest'impegno nuovo che il confronto tra le varie forze politiche acquista, nell'esperienza regionale, una dimensione tutt'affatto particolare ed una caratterizzazione che non può né deve ignorare o sottovalutare la difficile prova di credibilità alla quale tutti insieme, come classe politica, siamo sottoposti, ma è anche per questa particolare responsabilità che tutti insieme avvertiamo quanto di creativo di fecondo, di peculiare e di stimolante vi sia tanto nella nostra collocazione di fronte ai problemi che la realtà regionale ci propone quanto nella nostra volontà di operare con leggi incisive, rapide e giuste per una loro concreta ed avanzata soluzione.


Argomento:

La partecipazione


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma la nostra volontà politico-programmatica non aspira ad esprimersi come semplice sintesi di un solo, anche se articolato, confronto tra forze politiche all'interno del Consiglio e degli organismi regionali.
Proprio sotto questo profilo l'esercizio dell'attività legislativa della Regione può diventare il "momento della verità": un momento nel quale devono incontrarsi le volontà che avremo saputo suscitare, convogliare ed orientare verso una partecipazione più consapevole ed impegnata alla vita collettiva, un momento nel quale la disponibilità della Regione pu verificare se stessa e la sua capacità di collegarsi con le aspirazioni e le esigenze delle popolazioni.
Anche questo momento deve essere attentamente "costruito", come tutti gli altri momenti, d'altronde, tutti insieme chiamati a collegare la multiforme realtà della vita regionale al nostro compito legislativo e programmatico. La Giunta ribadisce qui l'impegno di avviare prontamente lo studio e la preparazione dei disegni di legge attuativi dello Statuto, sia quelli più direttamente connessi alla realizzazione delle varie forme partecipative che quelli relativi ai rapporti con gli Enti locali.
Nella costruzione e definizione di questi "momenti costituenti" la Giunta ravvisa la premessa e la condizione per dare autentico respiro di vitalità democratica all'Istituto Regionale e per suscitare, raccogliere e valorizzare i contributi di originale creatività che provengono da strati sempre più vasti di cittadini e da un numero sempre più ampio di organismi sociali.
Ma la seconda fase "costituente" non si esaurisce in questi pur estesi adempimenti statutari: in un certo senso, anzi, essa rimane aperta di fronte ad un avvenire nel quale la Regione andrà via via consolidando ed accentuando la propria presenza di protagonista e tramite questa, in un collegamento solidale e fecondo con la realtà regionale, andrà via via scoprendo, "costituendoli", nuovi spazi e nuovi modi di presenza dei suoi cittadini nella determinazione delle decisioni che più da vicino e più intimamente li riguardano.


Argomento: Enti Locali - Forme associative - Deleghe: argomenti non sopra specificati

Enti locali


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Proprio in questa prospettiva di "fase costituente aperta verso il futuro", si colloca il rapporto della Regione con gli Enti locali.
Nei suoi aspetti di decentramento di funzioni amministrative, che non esaurisce peraltro l'insieme dei collegamenti tra le due istituzioni questo rapporto, introducendo il modello decisamente nuovo dell'istituto della delega, apre una problematica complessa che presuppone e si fonda comunque su una concezione radicalmente ed istituzionalmente nuova degli Enti locali: concezione, forse, che è stata appena intravista ed intuita dai Costituenti ma i cui contenuti sono ora consegnati, con tutte le loro implicazioni, alla inventiva e alla fantasia degli organismi regionali.
Appare comunque indubbio che gli Enti locali non potranno più essere concepiti come semplici organismi erogatori di servizi, ma dovranno stabilmente assumere il ruolo di portatori, in rappresentanza delle proprie popolazioni, di precise finalità economiche e sociali e la Regione dovrà essere sollecitatrice perché con questo ruolo gli Enti locali si collochino nei suoi stessi confronti.
La delega di funzioni amministrative potrà diventare così uno stimolante motivo di autonomia e di autogoverno, elemento quindi di effettiva responsabilizzazione politica e non veicolo di semplice esecuzione di attività burocratica.
Volendo la Regione aprire questi nuovi spazi di intervento agli Enti locali, le loro autonomie ne usciranno sostanzialmente rafforzate ed essi potranno finalmente affrontare con più agile capacità operativa, attraverso una più organica ristrutturazione dei propri compiti, ed in modo programmatico e coordinato, quei problemi risolvibili soltanto in ambiti territoriali più ampi e potranno attuare forme di associazionismo a livello territoriale e settoriale modellato sulle effettive esigenze e su predeterminati fabbisogni e finalizzato ad un disegno organicamente dimensionato.
Molto vi sarà da "sperimentare" in questa forma profondamente innovatrice della gestione delle Pubbliche funzioni, nella quale appare comunque realizzabile, senza negative dispersioni, la puntuale coincidenza fra l'ambito territoriale dell'organizzazione amministrativa e l'ambito degli interessi e dei fabbisogni che essa è chiamata a risolvere ed appare quindi concretamente attuabile l'interlocutorio, democratico e continuo rapporto tra il cittadino e l'Ente pubblico, rapporto al quale restano affidate e consegnate non poche speranze per il successo della riforma regionale.
Le potenzialità nuove dischiuse agli Enti locali da più flessibili ed organiche strutturazioni operative non annullano, tuttavia, la validità di istituti locali che come le Province hanno consolidato e radicato nel tempo tradizioni amministrative di grande valore e di ricca esperienza, vero e proprio patrimonio delle comunità locali che in esse hanno sempre trovato un interlocutore attento e sensibile ai loro molteplici problemi.
Con l'istituto delle deleghe da parte della Regione e con l'attuazione della politica di piano le Province assisteranno quasi sicuramente al processo della propria "rifondazione".
Nella politica di piano la dimensione territoriale degli interventi amministrativi andrà sempre più accentuatamente strutturandosi in funzione di specifiche finalità operative e, in relazione all'ampio ventaglio che queste presentano, è prevedibile che si andrà determinando un'intensa variabilità e mobilità di accorpamenti.
Con la sua struttura istituzionale ed amministrativa stabilmente definita la Provincia rappresenterà il primo preciso punto di raccordo tra le articolazioni amministrativo-funzionali sovra-comunali (consorzi, zone comprensori, aree ecologiche) e la Regione, collocandosi come il tramite strutturalmente più idoneo e naturale per esercitare funzioni e compiti di coordinamento tanto a livello amministrativo-territoriale che a livello funzionale-settoriale.
Anche nei confronti delle deleghe di funzioni amministrative da parte della Regione, la Provincia appare come l'Ente che, per l'ambito territoriale di propria competenza, è, almeno per molte materie, il più qualificato ed attrezzato per svolgere tali funzioni.
Il discorso non è tuttavia ancora precisabile, né in fatto di "deleghe di funzioni amministrative" possiamo dire che vi sia il conforto d'una consolidata esperienza. Andare quindi al di là di queste considerazioni che vogliono esprimere una linea di tendenza e ribadire una volontà già ampiamente manifestata e condivisa in questo Consiglio può significare obiettivamente avventurarsi soltanto sul terreno gelatinoso ed inconsistente delle ipotesi possibili.
Quel che invece è certezza è la dimensione nuova che con l'avvento della Regione gli Enti locali andranno progressivamente assumendo trasformandosi in protagonisti della scelta del loro sviluppo e della crescita civile dei cittadini che rappresentano, ampliando la sfera dei propri interventi ben al di là dei compiti e dei poteri di cui sono stati fin qui portatori. Da "neutrali" erogatori di servizi a "centri" pulsanti e palpitanti di direzione e di guida: per realizzare questa determinante trasformazione e per aprirla alle prospettive ed ai contenuti di reale spostamento di potere che essa comporta, la Regione potrà recare un grande e stimolante contributo di propulsione, di sostegno, di coordinamento e di collaborazione.
Per gli Enti locali la fase "costituente aperta verso il futuro" è destinata a prolungarsi nel tempo essendo strutturalmente condizionata alla determinazione di rapporti che potranno rivelare l'ampiezza del proprio contenuto e darsi quindi un adeguato ordinamento soltanto dopo l'emanazione delle leggi cornice ed il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative.
Ma ciò che fin d'ora segna la direzione di marcia è lo spazio di democrazia che si è reso e si renderà via via ancor più disponibile per una più attiva circolazione di idee e per una più pronta e sensibile ricezione ed interpretazione di quei valori di convivenza umana e di coscienza sociale che le Comunità locali spesse volte hanno saputo esaltare ed esprimere in forme di raffinata e matura civiltà.


Argomento: Comitato regionale e sue sezioni - Commissione di controllo sugli atti della Regione

Controlli


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

All'opera di propulsione e di coordinamento della Regione nei confronti degli Enti locali è anche legato il problema dei controlli per i quali la Regione articolerà la propria azione in forma decentrata così da assicurare con la piena autonomia delle loro determinazioni anche la rapida attuazione degli interventi deliberati per fronteggiare le esigenze delle proprie comunità.
L'impegno immediato della Giunta è quello di predisporre tutti i servizi che dovranno affiancare il Comitato e le Sezioni per far sì che l'espletamento della funzione di controllo si realizzi con la massima regolarità, funzionalità e snellezza.
A questo proposito mi pare opportuno qui delineare alcuni principi ispiratori ed alcune linee fondamentali su cui la Giunta ritiene si debba fondare l'azione regionale in materia di controllo.
1) titolarità esclusiva alla Regione delle funzioni di controllo e quindi superamento, a livello amministrativo, del tradizionale canone della statualità di questa competenza 2) orientamento del nuovo sistema alla realizzazione dei principi di autonomia degli Enti locali, che si evidenziano e si concretano in una più ampia ed estesa partecipazione delle comunità locali alla vita regionale attraverso la politica di programmazione 3) orientamento unitario della funzione di controllo nell'attività decentrata delle Sezioni e nella collegialità delle decisioni 4) pienezza della funzione relativa al controllo di legittimità, senza duplicazione di interventi in relazione alla particolare natura degli atti 5) gradualità di estensione del nuovo sistema su tutte le persone giuridiche pubbliche in genere e sugli Enti autonomi territoriali in specie 6) proposta di una modificazione della legislazione per quanto concerne la composizione degli organi, in modo da adeguarne la normativa di applicazione ai principi ed alle norme della Costituzione.
La Giunta si propone di predisporre e diramare, come iniziale orientamento, opportune istruzioni che tengano conto di questi principi e di questi criteri; altre istruzioni più organiche potranno essere successivamente diramate, in relazione all'esperienza acquisita ed agli indirizzi che andranno via via determinandosi.
Per quanto riguarda le Sezioni decentrate di controllo, in attesa della loro formale costituzione, la Giunta sta portando avanti le trattative per avere la disponibilità di locali in ogni capoluogo di Provincia.
Preme comunque alla Giunta evidenziare che nella prospettiva di una Regione "programmata" l'organo di controllo, così com'è stato concepito dalla legge Scelba e così come necessariamente è stato da noi attuato dovrà essere profondamente modificato.
Per quella parte dell'attività degli Enti locali più direttamente connessa alla realizzazione della politica di piano e per la parte relativa all'esercizio delegato di funzioni amministrative regionali, l'organo di controllo dovrà essere posto in grado di "servire" il disegno di programmazione, di esercitare, ad esempio, una verifica di compatibilità fra gli obiettivi del disegno generale e gli interventi degli Enti locali che a questo disegno si riferiscono e che con esso possono eventualmente collocarsi in una posizione di contraddizione. Le modificazioni auspicate si palesano necessarie non certamente per influire in modo repressivo sulle determinazioni degli Enti controllati, ma piuttosto per tener vivo un "discorso sul metodo" che sarà tanto più utile e costruttivo quanto più grande dovrà essere la "quota di incidenza" che tutte insieme, coralmente le strutture della Pubblica Amministrazione eserciteranno nella determinazione e nella gestione degli obiettivi di uno sviluppo che soprattutto, anche se non soltanto, potrà essere, mediante questa via sottratto alle scelte esclusive della convenienza privata.
La Giunta è paga per ora di avere evidenziato e di tenere aperto questo problema, per la cui soluzione sollecita ed attende i contributi che le verranno dal Consiglio e dalle stesse prevedibili prossime modificazioni della legge nazionale.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni

Rivendicazione dei poteri


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Abbiamo già in precedenza rilevato come alla "seconda fase costituente" dell'ordinamento regionale, alla costruzione ed alla definizione degli organismi interni dell'Ente ed al loro reciproco e complesso collegamento non possa essere concettualmente disgiunta la decisa e drastica rivendicazione da parte delle forze regionali della piena attribuzione delle facoltà legislative, regolamentari ed amministrative che la Costituzione ha solennemente prescritto venissero assegnate all'Ente Regione.
Non diversamente che per la vita biologica anche per quella istituzionale gli organi si modellano e si strutturano, a grandi linee, in relazione alla funzione che debbono espletare.
Certo, nei tempi lunghi di ogni evoluzione, si manifesta sempre un sottile, impercettibile gioco di reciproche influenze che può anche giungere, eccezionalmente, alla rottura di delicati equilibri e arrecare deviazioni e mutazioni di rilevante portata.
Ma l'eccezionalità non fa che confermare la regola generale e così come nella vita biologica gli organi che non esercitano, per qualsiasi causa, la funzione che era stata loro originariamente commessa imboccano la strada d'una mortificante degradazione così anche nella vita delle Pubbliche istituzioni si può assistere alla impotente decadenza di strutture a causa di un insufficiente esercizio delle proprie peculiari funzioni.
Non sembri l'analogia una ricercata forzatura.
In realtà questo rischio è assai più incombente di quanto non si sia normalmente disposti ad immaginare.
Lo è intanto per l'obiettiva difficoltà, nell'intricata selva delle disposizioni legislative riguardanti molte ed importanti materie di competenza regionale, di dare scarna e chiara formulazione a quelle leggi cornice che i Costituenti avevano invece pensato facilmente definibili.
Lo è per l'impossibilità di ritagliare all'interno dell'apparato burocratico dello Stato, senza provocare parossistiche confusioni, un trasferimento delle funzioni amministrative e del relativo personale che coincida anche solo per grandi approssimazioni con l'attuale organizzazione degli uffici centrali e periferici.
Lo è infine, per restare sempre nel campo di valutazioni obiettive, per le profonde modificazioni intervenute nella gestione politica generale dei contenuti delle materie attribuite alla competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni rispetto alla situazione esistente quando si è stabilito di attuare l'ordinamento regionale.
Mi pare che bastino queste ragioni per rendere superfluo qualsiasi riferimento ad altre motivazioni di carattere più squisitamente politico o burocratico che pur si possono facilmente intuire anche senza un soverchio esercizio di fantasia.
Di fronte alla spinta che promana dagli organi regionali ed alla domanda sempre più vivace che sale dalle forze politiche, dagli Enti locali, dagli organismi sociali, dai Sindacati, nella direzione della riforma regionale dello Stato non è evidentemente immaginabile una linea difensiva a livello nazionale che si attesti su posizioni di blocco o di arresto della riforma.
E' intuibile però che, a livello nazionale, si possa affermare la tentazione di convogliare questa spinta e questa domanda verso il settore che, con minori difficoltà, appare in grado di offrire una più elastica capacità di assorbimento senza l'impatto di questioni di ordine giuridico costituzionale o di accordi internazionali.
Questo settore è sicuramente quello dell'ordinamento amministrativo che, tutto sommato, per quanto possa essere dilacerato dal trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni e possa essere sconquassato dai conseguenti tagli nella sua attuale organizzazione, non presenta probabilmente per il proprio riordinamento altra resistenza che quella di un consistente e congruo investimento.
I progetti di norme delegate attualmente in circolazione, il cui contenuto, com'è noto, non può essere che di carattere meramente amministrativo, e le notizie diffuse che per quasi tutte le materie affidate alla competenza regionale l'apprestamento dei relativi progetti di norme delegate sarebbe ormai in fase di avanzata elaborazione sta a dimostrare, anche al di là delle migliori intenzioni, che sia precisamente questo l'indirizzo seguito.
Accelerare al massimo cioè il trasferimento delle funzioni amministrative e sorvolare sull'emanazione delle leggi cornice.
D'altra parte non funzionerà né da alternativa né da correttivo a questo indirizzo il disposto contenuto nell'art. 17 della legge finanziaria secondo il quale le Regioni potranno comunque usare la propria potestà legislativa sulle materie previste dall'art. 117 della Costituzione praticamente a decorrere dal giugno del 1972, perché in ogni caso l'esercizio di questa facoltà si deve svolgere nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti.
E' fin troppo evidente che se per quella data le leggi che stabiliscono i principi generali, per singole materie, e cioè le cosiddette leggi quadro o leggi cornice, non vengono emanate, ed è largamente probabile che questo succeda, anche perché l'iter parlamentare di esse, per l'obiettiva difficoltà e delicatezza dei contenuti, non può certamente essere breve, lo spazio legislativo riservato alle Regioni sarà poco più che illusorio.
E ciò perché la potestà di legiferare nei limiti dei principi quali si desumono dalle leggi vigenti o è poca cosa o è materia di tale opinabilità da costituire permanente e facile argomento di impugnativa e da funzionare perciò come efficace deterrente o quanto meno come elemento fortemente dissuasivo.
Il significato ed i contenuti della riforma regionale uscirebbero da ciò gravemente ridotti e menomati e la funzione della Regione subirebbe una sensibile, debilitante degradazione.
Le conseguenze a livello degli organi regionali non hanno in tal caso certamente bisogno di essere diffusamente descritte: mi pare che sia sufficiente ribadire che senza la possibilità di esercitare in profondità lo strumento legislativo gli interventi programmatici della Regione non sarebbero sicuramente posti in grado di esplicare quell'incisiva azione di spostamento di potere e quella modificazione democratica dei meccanismi di sviluppo, ai quali sinteticamente può ricondurre l'obiettivo di fondo che la Giunta intende perseguire.
Lo stato d'impotenza che sicuramente ne deriverebbe ci richiama a considerazioni che già ho avuto modo di esporre in queste mie dichiarazioni e ci ha comunque avvertiti che la battaglia del regionalismo è ben lontana ancora dall'essere vinta e che ad essa non servono né atteggiamenti teatrali né scomposte impazienze né regali proclami, ma servono invece la paziente fermezza e la convinta determinazione di essere partecipi senza iattanze e senza tentennamenti ad una storica svolta che esige profondo il senso della gradualità e forse anche il coraggio dei tempi lunghi e delle lente maturazioni.
Poche volte come in questo caso mi è apparsa pertinente l'amara ma determinata convinzione di Guglielmo d'Orange: "non è necessario sperare per intraprendere né riuscire per perseverare".
In realtà non credo davvero che possiamo realisticamente sperare che la vittoria del regionalismo ci venga consegnata come un grazioso dono accompagnato da inchini e da compiaciuti sorrisi, siamo anzi certi che essa è una conquista delle cui difficoltà ed implicazioni è tanto più necessario essere consapevoli quanto più ciò può servire alla giusta scelta di campo.
E questa, ne sono fermamente convinto, coincide con la rivendicazione insistita e ribadita, della piena ed estesa possibilità di potestà legislativa di spettanza regionale come premessa e conseguenza ad un tempo della vitale e creativa funzionalità dell'Ente Regione.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

La programmazione regionale


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Di questa vitale e creativa funzionalità dell'Ente Regione è parte significativa e centrale la programmazione regionale.
La definizione del presente programma della Giunta avviene in un periodo contrassegnato dal rilancio della politica di programmazione nazionale, intesa soprattutto come programmazione delle riforme ed in un momento turbato purtroppo da diffusi fenomeni di rallentamento del processo di sviluppo, che in Piemonte hanno assunto l'aspetto di una vera crisi per alcuni comparti industriali e per alcuni gruppi di piccole e medie aziende.
La ridefinizione della politica di piano secondo il nuovo modello di "programma per progetti" che - in questa prima fase - si identifica con le riforme della casa, della sanità e dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, vede impegnate le Regioni a Statuto ordinario ad una partecipazione che si verifica sia con la presenza del Presidente della Giunta o di un suo delegato nella Commissione consultiva interregionale e sia con una propria originale elaborazione, in vista della futura presentazione al Parlamento del secondo programma di sviluppo quinquennale.
In questa nuova fase della programmazione le Regioni potranno essere in grado di introdurre anche modifiche sostanziali nella stessa tecnica di redazione del piano se sarà loro dato modo di assicurare la propria partecipazione, sin dal momento della definizione delle scelte e della individuazione dei progetti.
La Giunta intende portare il suo costruttivo contributo alla politica di piano ponendo in evidenza anche i nuovi problemi posti all'assetto economico territoriale ed al livello di occupazione, dai fenomeni di crisi strutturale e congiunturale - presenti nella Regione.
Partendo dalla verifica e dall'aggiornamento del 1^ Schema di sviluppo regionale - in parte già compiuti dall'IRES - e attraverso l'approfondimento di aspetti particolari - territoriali e settoriali della situazione regionale, si potrà pervenire all'elaborazione attraverso un ampio dibattito consiliare - di quelle proposte specifiche di intervento suscettibili di collocarsi sin d'ora nel quadro della programmazione nazionale.
La pianificazione regionale dovrà poi considerare tre diversi orizzonti temporali: a) piano di lungo periodo in cui la Regione potrà determinare degli obiettivi fortemente innovatori rispetto agli attuali meccanismi socio economici i quali, solo mediante una idonea strumentazione del momento pubblico, regionale e sovraregionale, e solo nel lungo periodo possono essere profondamente modificati b) piani di medio periodo, eventualmente quinquennali, coincidenti con il piano quinquennale formulato dall'organo centrale della pianificazione concepiti come tappe di avvicinamento per la realizzazione del piano di lungo periodo, e piani quadro sia per i piani settoriali che per i piani subregionali c) revisione annuale degli andamenti socio-economici determinati dal piano, in modo da far assumere alla pianificazione la flessibilità di un piano processo capace di tenere conto particolarmente, delle modificazioni che possono intervenire nel comportamento dei grandi enti collettivi e che non fossero previste nel piano di medio e lungo periodo.
Affinché il piano risulti attuato la Regione dovrà ovviamente svolgere opera di indirizzo, di orientamento, di guida, anche attraverso provvedimenti normativi, di tutti gli operatori ed in quanto operatore essa stessa dovrà trarre dal quadro globale e settoriale le indicazioni di massima per la propria attività nelle materie di sua diretta competenza.
Il quadro della pianificazione, così delineato, evidenzia due distinte esigenze di competenza operativa: una di carattere generale che riguarda il sistema nel suo complesso e i settori in cui esso si articola, l'altra di carattere più propriamente istituzionale che riguarda l'attività della Regione nei settori di propria diretta competenza.
La Giunta propone che in ordine alla prima esigenza operativa riferita alla pianificazione globale regionale e subregionale e alla formazione dei piani settoriali l'IRES, anche avvalendosi di altri Istituti, svolga gli studi e le ricerche necessari attrezzandosi altresì come centro di documentazione per il reperimento e l'elaborazione dei dati.
Per la seconda esigenza operativa verrà costituito un ufficio del piano col compito di curare il programma pluriennale di attività della Regione per le materie di diretta competenza, individuando le relative priorità e col compito di svolgere una funzione di consulenza alla Giunta nelle scelte relative alla pianificazione globale.
Tra le ricerche e le indagini necessarie per l'elaborazione dei documenti della programmazione regionale, alcune hanno un rilievo predominante e comportano un sollecito svolgimento, in quanto finalizzate all'assunzione di precise responsabilità di intervento da parte della Regione, in tempi brevi, ed anche prima dell'emanazione dei decreti delegati relativi al trasferimento delle funzioni.
Esigenza prioritaria assume, a questo proposito, uno studio volto ad individuare il sistema delle localizzazioni dei grandi complessi industriali (nonché delle grandi attrezzature di servizio, commerciali ecc.) che possa consentire senza indugi l'avvio della politica di "contrattazione programmatica" della Regione con i centri decisionali del mondo imprenditoriale.
Questa azione è indispensabile per la "salvaguardia" delle scelte della programmazione regionale e cioè per impedire che questa - intervenendo dopo l'assunzione delle decisioni da parte delle aziende - si riduca ad un semplice tentativo di razionalizzazione a posteriori, anziché produrre i suoi effetti con l'indirizzo e la guida dei processi di localizzazione sul territorio regionale.
La situazione di difficoltà in cui versa una parte dell'industria piemontese rende opportuno soffermare l'attenzione - in sede di redazione del secondo Schema di sviluppo regionale - su approfondite indagini di settore, tanto per i settori trainanti dell'industria piemontese, quanto per i settori in crisi strutturale e con problemi di riconversione, nonch per quelli in prevedibile sviluppo, anche tenendo conto delle interrelazioni dell'economia piemontese con quelle delle Regioni contigue.
Un terzo ordine di problemi concerne l'analisi dei livelli dell'occupazione e lo studio dei fenomeni migratori.
Circa i modi ed i metodi di organizzare la partecipazione e di assicurarne il concorso ai diversi livelli e nelle varie fasi, elaborativa attuativa, di verifica e di controllo della programmazione, le indicazioni statutarie forniscono già punti di riferimento molto precisi i cui contenuti di ampio ed articolato decentramento costituiranno le linee ispiratrici del disegno di legge che la Giunta si propone di predisporre tenendo presenti alcuni collegamenti fondamentali che attengono: 1) al problema della delega di funzioni della Regione agli Enti minori 2) al problema del controllo da parte di un organo della Regione sugli Enti territoriali 3) al problema della individuazione di comprensori e circondari (cui è connessa anche la competenza regionale in tema di circoscrizioni comunali) 4) al problema della partecipazione degli Enti locali alla programmazione regionale e subregionale.
Le soluzioni da offrire a questi problemi costituiscono nel loro complesso il terreno sul quale la programmazione regionale misurerà la sua concreta capacità operativa.
La crisi delle strutture economico-finanziarie degli Enti locali è uno degli aspetti dello sviluppo squilibrato e spontaneo del nostro sistema economico e va anche attribuita alla rigidità della normativa che regola strutture e funzionamento del sistema politico amministrativo.
Particolare rilievo assumono sia il problema dell'accentuata rigidità del bilancio che quello del livello di indebitamento - quasi al limite delle possibilità giuridiche ed economiche - raggiunto dai Comuni e dalle Province, sia infine quello connesso al "processo moltiplicativo" degli squilibri che tende a configurare una vera e propria "specializzazione" tra le diverse aree territoriali, come aree cioè di congestione o di spopolamento.
In questa situazione, la Regione dovrà porsi come elemento di rinnovamento e di trasformazione, non solo per ridare alle strutture amministrative locali efficienza e capacità operativa, ma per sviluppare l'autonomia e la responsabile partecipazione alla politica di programmazione.
L'individuazione dei comprensori e dei circondari si pone come uno dei primi, fondamentali adempimenti della Regione, e dovrà essere compiuta tenendo conto dell'ampio quadro di riferimento in cui si colloca.
Si può infatti ritenere che la creazione di un articolato sistema di unità subregionali possa consentire non solo un adeguamento degli Enti locali ai compiti posti dallo sviluppo economico ed alle esigenze di partecipazione alla politica di programmazione, ma anche una ridistribuzione di funzioni e di risorse all'interno della Regione, secondo le indicazioni di piano.
La norma contenuta nell'art. 75 dello Statuto, che prevede la redazione di un bilancio consolidato di comprensorio, per rilevare le potenzialità e le quote di investimenti spettanti agli Enti locali che ne fanno parte consente di dare all'organizzazione del comprensorio una struttura amministrativa capace di garantire sia lo svolgimento di funzioni operative, sia lo stabilirsi dei necessari rapporti di interscambio tra i Comuni e la Regione.
Su queste basi si può pensare al progressivo rafforzamento delle strutture comprensoriali attraverso lo strumento del Consorzio di Enti locali, fino alla individuazione di nuovi livelli di autogoverno che deve vedere in primo piano le esigenze di costruzione di adeguati strumenti partecipativi al servizio delle comunità locali.
Attraverso l'elaborazione della politica di piano a livello subregionale, si potrà realizzare l'apporto di base alla definizione degli obiettivi della programmazione regionale, mentre gli stessi livelli di circondario e di comprensorio renderanno possibile un efficace coordinamento da parte della Regione dell'attività posta in essere dagli Enti locali, soprattutto per quanto riguarda il settore della finanza locale.
L'avvio della politica di programmazione, a cominciare dalla formazione dell'apparato ed alla definizione delle procedure, dovrà essere strettamente connesso ad una verifica della situazione degli Enti locali ed alla definizione dei rapporti fra essi, le popolazioni interessate e la Regione.
Questa fase preliminare dovrà consentire sia di acquisire le informazioni necessarie alla creazione di canali di rappresentanza e di consultazione tali da rendere effettiva la partecipazione alla politica di piano, sia di conoscere le risorse e le capacità operative di cui dispongono gli Enti locali, il cui ruolo nella definizione e nell'attuazione della politica di piano sarà determinante.


Argomento: Tutela dell'ambiente - Inquinamenti: argomenti non sopra specificati

Ecologia


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Il quadro globale di una politica di intervento regionale che attraverso la programmazione si proponga il superamento degli squilibri territoriali e settoriali appaleserebbe un grave scompenso se non affrontasse quello che la tecnostruttura industriale e la sua logica di produzione, a qualunque sistema economico appartenga, ha portato oggi ad essere lo squilibrio più vistoso, più preoccupante e più innaturale: lo squilibrio tra l'uomo ed il suo ambiente.
Con meditato convincimento desidero porre all'attenzione del Consiglio e di tutti gli organi che potranno trarre dall'impegno programmatico della Giunta regionale indirizzi per la loro azione, il problema dell'ecologia prima di ogni altro problema di intervento settoriale.
Parlando di ecologia mi riferisco all'accezione più lata del termine: all'intero rapporto cioè fra l'uomo e l'ambiente che lo circonda.
Questo rapporto denuncia oggi una crisi che è sentita maggiormente nei paesi a più elevato livello di sviluppo, ma che di fatto minaccia l'intera umanità.
E' una crisi che trae la sua origine da fattori tecnologici e da conseguenti squilibri naturalistici e che deve trarre i principi del suo superamento anche attraverso l'uso di strumenti tecnologici, purché questo sia ispirato da una coscienza culturale che sappia preoccuparsi assai di più delle implicazioni sociali ed umane dell'uso della tecnica che non di quelle economiche ed aziendali. E' in sostanza un problema di nuovi orientamenti culturali, che presuppongono un rinnovamento delle concezioni che hanno fin qui di fatto fondato il progresso economico sul sistematico sfruttamento delle risorse naturali o sulla cieca fiducia nelle risorse della tecnica.
Educazione, formazione, ricerca del giusto rapporto tra l'uomo e la natura che lo circonda, facile accesso e disponibilità, per tutti, alle risorse genuine del territorio, dell'aria, dell'acqua, del verde, sono obiettivi che dobbiamo proporci con urgenza guardando al problema nella sua globalità ed affrontandolo con risolutezza sia come impegno di incentivi di proposte e di indirizzo e sia anche, non appena possibile, come impegno finanziario diretto.
Per noi in Piemonte, di fronte alle grandi trasformazioni sociali economiche, territoriali, ai fenomeni dell'esodo dalle montagne, dalle colline, dall'agricoltura, di fronte alle concentrazioni urbane, al ritmo crescente dei consumi, all'accrescersi degli inquinamenti e dei rifiuti, il problema diventa un problema politico ed impone la ricerca di linee operative da inquadrarsi nelle competenze regionali.
Questi indirizzi di globalità, per ora soltanto indicativi, hanno trovato puntuale conferma nella rilevanza assunta in occasione dell'assegnazione delle deleghe agli Assessori e nella manifestata volontà di azione unitaria e coordinata che qui oggi desidero ribadire e riconfermare.
Di fronte alla relazione della Commissione interministeriale per la difesa del suolo, che riserva ogni compito allo Stato ed ai suoi organi tecnico-burocratici, la Regione dovrà farsi promotrice di una proposta volta a garantire la partecipazione effettiva delle Regioni le quali poi nell'ambito dei comitati di bacino, dovranno esse stesse fissare gli obiettivi agli organi tecnici dello Stato.
Nell'ambito più strettamente regionale, per i piani di bacino secondario e di sub-bacino, ogni competenza dovrà essere delegata alla Regione che potrà provvedersi tramite gli organi tecnico-amministrativi di comprensorio.
A questo scopo la Regione dovrà porsi come primo compito la riorganizzazione dei consorzi di difesa, promuovendo la riunione in consigli di bacino di tutte le forme consortili esistenti lungo uno stesso corso d'acqua dalle origini alla foce, in modo da coordinare le sistemazioni idraulico-forestali in montagna e la difesa idraulica in pianura.
Avendo ben presente la connessione tra sistemazione forestale e difesa idrogeologica, la Giunta si propone di promuovere studi e progetti per l'individuazione delle essenze e dei "tipi" di sistemazione forestale che meglio possono garantire la difesa del suolo e la regimazione delle acque.
Per rendere concreto e validamente operante l'intervento della Regione verranno studiati e formulati dei piani di riassetto idrogeologico per alcuni bacini piemontesi particolarmente dissestati e per i quali mancano studi sufficientemente dettagliati.
Per questi piani la Giunta predisporrà un programma di attività pluriennale in cui la scelta dei bacini da studiare e la priorità da darsi ai vari studi avverrà in base alla valutazione del grado di dissesto e dell'urgenza dell'intervento. Per quanto riguarda l'uso delle acque appare opportuno rilevare che esso è oggi più che mai un fattore essenziale per la sussistenza e per lo sviluppo economico.
L'aumento di fabbisogni, derivante dall'addensamento degli insediamenti residenziali e produttivi in molte aree, fa sì che le acque assumano sempre più diffusamente la caratteristica di bene scarso.
La Giunta ravvisa l'opportunità che la Regione sia posta in grado di disciplinare la materia per garantire un uso delle acque conforme all'interesse pubblico e reputa perciò necessario rivendicare il passaggio alle proprie competenze di alcuni poteri in materia di acque con particolare riferimento alle concessioni idriche.
Per un'efficiente politica delle acque e per un razionale riordino delle utenze idriche la Giunta ritiene che sia indispensabile la formulazione di un piano delle acque che consenta di operare le scelte sulla base di conoscenze oggettive raccordandole alle indicazioni generali della programmazione economica e territoriale. La Giunta si propone di approfondire il contenuto di questo piano sia per quanto attiene agli elementi conoscitivi, sia per quanto riguarda la ripartizione delle risorse idriche, e sia infine per le indicazioni delle esigenze della difesa idraulica, dell'assetto del suolo e delle necessarie opere di depurazione a tutela delle risorse idriche dall'inquinamento.
Il fenomeno delle immissioni di scarichi nocivi nell'aria, nell'acqua e nel suolo costituisce ormai un pericolo che incombe sulla stessa sopravvivenza della specie umana.
Questo fenomeno è particolarmente rilevante in una regione come il Piemonte a causa dei massicci insediamenti industriali e residenziali.
Conseguentemente il problema di un habitat tollerabile per l'uomo diviene nella nostra Regione, sempre più impellente.
Gli aspetti più evidenti di questa situazione sono dati dall'avvelenamento progressivo dei nostri corsi d'acqua, dei laghi e delle stesse falde sotterranee. Soprattutto nei centri urbani e industriali il problema dell'inquinamento atmosferico diventa ogni giorno di più preoccupante apparendo ormai evidente le correlazioni tra inquinamento e indici di morbilità e mortalità.
L'avvelenamento dell'atmosfera è prodotto non solo dalle emissioni di fumi domestici che sono gli unici ad essere, sia pure in modo discutibile regolamentati dalla legge, ma anche dagli scarichi degli autoveicoli e da quelli dell'industria per i quali manca tuttora una specifica regolamentazione.
Per quanto riguarda gli scarichi industriali non si può non rilevare ed evidenziare il rapporto esistente fra inquinamento dell'ambiente esterno e condizioni igieniche del lavoro nella fabbrica.
Proprio su questi problemi, che hanno assunto ormai un rilievo macroscopico, la Regione, per quanto si conosce dei progetti di legge in discussione, come d'altronde anche della legge antismog esistente, risulta praticamente ignorata.
Sono temi sui quali la Giunta ritiene debbano essere conferiti alle Regioni competenze specifiche di intervento ed in tale senso avanzerà concrete proposte cercando intanto di chiarire con esattezza la portata e la natura di tutti questi problemi al fine di indicare rimedi ed adeguati strumenti contro ogni forma di deterioramento ambientale.


Argomento: Piani pluriennali

Il nuovo sviluppo


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

L'adozione della politica di piano, di cui ho delineati gli elementi costitutivi di maggiore momento che ne hanno evidenziato le finalità ed i metodi autenticamente democratici, rappresenta l'impegno di fondo della Giunta ed il banco di prova della sua volontà e capacità politica di avviare il Piemonte verso un tipo di sviluppo nuovo e diverso.
In Piemonte i fenomeni di trasformazione, di espansione e di sviluppo hanno assunto nell'ultimo decennio dimensioni ed intensità di squilibrio spesso nettamente superiori, in proporzione, ad ogni altra regione italiana, e qui pertanto, più rapidamente ed ampiamente che altrove, ai vecchi problemi insoluti, si affianca e si accompagna il sorgere di nuove esigenze e di nuove necessità collettive, di carattere economico, sociale civile.
La Giunta, con l'appoggio solidale dei quattro Partiti di centro sinistra, intende dare una risposta adeguata e tempestiva a queste esigenze, avendo ben chiaro che dare questa risposta significa battersi con coerenza per realizzare le condizioni politiche indispensabili per assolvere all'impegno e significa altresì orientare l'azione politica ed amministrativa allo scopo di contrastare un processo spontaneo di sviluppo meccanicamente accettato e di determinare metodi ed obiettivi di uno sviluppo diverso.
La Giunta pone al centro della propria attività politica ed amministrativa l'obiettivo di una Regione nella quale il processo di espansione non sia determinato dalla logica delle convenienze aziendali, ma nella quale lo sviluppo ed il progresso si traducano nel più diffuso benessere dei lavoratori e dove il governo democratico della cosa pubblica acquisti un contenuto reale con la partecipazione effettiva dei cittadini alla direzione di tutti gli istituti della vita associativa; una Regione in sostanza, che, sviluppando in modo nuovo gli istituti della democrazia ed utilizzando nel modo più ampio le indicazioni della scienza, della tecnica della cultura, assuma un ruolo ed una funzione di avanguardia per lo sviluppo democratico del nostro Paese.


Argomento: Piani pluriennali

Strumenti operativi per il nuovo sviluppo


CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Al servizio di questo disegno occorre predisporre strumenti in grado di mobilitare mezzi, energie, competenze.
Di alcuni vitali strumenti si è già molto a lungo discusso e la Giunta si propone di avviare le iniziative necessarie per dare ad essi concreta attuazione. Si tratta in particolare della Finanziaria pubblica, dell'Ente Regionale dei trasporti e dell'Ente di sviluppo agricolo e di una Società immobiliare per l'acquisizione di aree verdi da destinare a un migliore equilibrio ambientale.
Ma altri strumenti sarà necessario "scoprire" ed "inventare" per poter intervenire in settori che riguardano la crescita civile della nostra Regione: difesa della salute e dell'ambiente, del patrimonio culturale, del verde e dell'equilibrio ecologico; in settori che riguardano la crescita sociale della sua popolazione ed investono l'assetto urbanistico, la congestione urbana, la casa, la scuola, i trasporti; in settori infine di carattere economico come l'agricoltura e l'economia montana e valligiana che sono rimaste in ritardo con intere aree territoriali abbandonate alla miseria ed al silenzio.
La Giunta si propone di promuovere e di partecipare ad ogni iniziativa che si collochi in questa prospettiva e si muova nella direzione del superamento delle strozzature e degli squilibri, territoriali e settoriali nell'ambito della Regione.
Avvertiamo la limitatezza dei mezzi e degli strumenti per fronteggiare compiti di così vasto respiro che ci stanno di fronte, ma ci conferisce entusiasmo l'ambizione di un servizio capace di assecondare, attraverso l'impegno del nuovo Istituto regionale, il moto di ascesa e di progresso dell'uomo nella sua società.
Signor Presidente, signori Consiglieri, so bene che di fronte al vasto ventaglio di problemi esistenti nella nostra Comunità regionale le dichiarazioni programmatiche che ho avuto l'onore di presentare alla vostra attenzione hanno estesi spazi di silenzio.
Ma sono spazi voluti.
Il nostro in realtà, non è e non può essere ancora un programma o almeno non lo è nella comune accezione del termine.
Non è e non può essere un programma di "cose" e non ha voluto essere un inventario di esigenze.
E' invece un indirizzo ed una scelta su alcuni temi importanti per il presente della nostra esperienza regionale che sono e saranno certamente decisivi per il futuro della nostra Regione.
Confido che sarà giudicato sotto questo punto di vista.


Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, com'era stato convenuto nella conferenza dei Capigruppo e già comunicato al Consiglio, dopo questa relazione del Presidente della Giunta ad illustrazione del programma della Giunta medesima la seduta sarà tolta. E' prevista la riconvocazione del Consiglio Regionale, per l'inizio della discussione del programma della Giunta e per una serie di altri punti all'ordine del giorno - sia quelli previsti nell'ordine del giorno odierno sia altri già concordati tra i Capigruppo per martedì 20 aprile. Si pensa che alla seduta pomeridiana del martedì 20 aprile ne debbano seguire altre nella giornata del 21 e forse in quella del 22 aprile.
Il Consiglio Regionale è dunque convocato nel Palazzo delle Segreterie piazza Castello, per il giorno di martedì 20 aprile prossimo venturo, alle ore 16, con il seguente ordine del giorno: 1) approvazione del verbale della seduta precedente 2) comunicazioni del Presidente 3) discussione del programma della Giunta 4) ricostituzione del Consiglio di amministrazione dell'Ospedale Maggiore San Giovanni Battista della Città di Torino. Nomina dei membri di spettanza della Regione 5) norme di regolamento relative alla formazione delle Commissioni 6) formazione delle Commissioni permanenti.


Argomento:

Interpellanze e interrogazioni (annuncio)


PRESIDENTE

Prima di togliere la seduta, prego un Consigliere Segretario di dare lettura delle interpellanze pervenute nel corso della seduta stessa.



ROTTA Cesare, Segretario

Dà lettura delle interpellanze e interrogazioni pervenute alla Presidenza.


Argomento:

Interpellanze e interrogazioni (annuncio)

Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Ricordo ai membri della Commissione per il regolamento, e cioè i Consiglieri Armella, Calleri, Conti e Falco della D.C., Nesi e Simonelli del P.S.I., Debenedetti e Vera del P.S.D.I., Gandolfi del P.R.I., Berti Marchesotti e Sanlorenzo del P.C.I., Giovana del P.S.I.U.P., Gerini e Zanone del P.L.I. e Curci del M.S.I., che la Commissione medesima si deve riunire questo pomeriggio, in via Maria Vittoria 12, alle ore 16, per l'esame del progetto di norme relative alla formazione delle Commissioni che sarà sottoposto al Consiglio nella prossima tornata di lavori.
Mi è pervenuta richiesta di spostare la riunione alle 17. Non vi sono obiezioni da parte degli altri membri? Allora, la Commissione è convocata per le ore 17 anziché per le 16.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,45)



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