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Dettaglio seduta n.31 del 18/03/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Prego un Segretario Consigliere di dare lettura dei verbali delle sedute precedenti.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura dei verbali delle sedute antimeridiana e pomeridiana del 9.3.71.



PRESIDENTE

Se non vi sono osservazioni si possono intendere approvati.
Non vi sono osservazioni, i verbali sono approvati.


Argomento: Ristrutturazione industriale - Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni della Giunta sui problemi della Magnadyne, Eti, Delta


PRESIDENTE

Per consentire la discussione immediata relativa alle comunicazioni della Giunta sui problemi della Magnadyne, dell'ETl e della Delta, se il Consiglio non ha obiezioni proporrei di invertire l'o.d.g. e di discutere immediatamente questa questione e successivamente le comunicazioni che il Presidente del Consiglio si riserva di fare sullo stato di approvazione dello Statuto regionale e sulla discussione che sullo strumento che verrà elaborato nel corso di questa seduta potrà venire sulle dichiarazioni fatte ieri in Parlamento dal Ministro dell'Interno.
Il Presidente della Giunta si riserva pure di fare alcune comunicazioni, al termine della seduta, su altre questioni che potranno essere eventualmente oggetto di discussione. In questo modo possiamo immediatamente avviare, se il Consiglio non ha osservazioni da fare, la discussione sui problemi della Magnadyne, dell'ETI e della Delta. Vi sono opposizioni? Non ve ne sono, quindi ha facoltà di parlare il Presidente della Giunta sui problemi iscritti al punto 3) all'o.d.g.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, non a caso nella presente riunione del Consiglio Regionale sono stati portati come argomento di discussione e di approfondimento, alcuni dei temi che assillano la nostra Regione e che in modo particolare riguardano le aziende e l'occupazione in particolare in talune zone piemontesi colpite in passato da situazioni di difficoltà aziendali e quindi sensibili a questi problemi. Con la presente convocazione e con le comunicazioni che la Giunta intende fare al Consiglio, abbiamo ritenuto di dare una prima risposta, che ci auguriamo sia la più concreta possibile, a queste questioni che coinvolgono situazioni spesso drammatiche, comunque sempre difficili, dell'occupazione e che accanto ai consigli di fabbrica ed ai sindacati hanno potuto vedere come protagonisti anche gli organi della Regione.
Essendomi in modo particolare occupato della situazione della Magnadyne, darò io comunicazione in ordine a questo argomento mentre l'Assessore ai problemi del lavoro parlerà delle altre due situazioni all'o.d.g. nella seduta odierna. Riprendendo un dibattito che è stato in Consiglio Regionale già approfondito, e che ha visto gli interventi di tutti i Gruppi consiliari, la Giunta è oggi in condizione di comunicare che in ordine alla occupazione della Magnadyne ed ai problemi connessi con l'attività di questa azienda, si è costituita una società che assumerà in una prima fase la gestione in affittanza con la richiesta di amministrazione controllata della Magnadyne stessa e con il preciso compito di tutelare l'occupazione operaia nella Valle di Susa, ma soprattutto per conservare un tipo di qualificazione tecnica ed un processo produttivo in un settore che, come quello industriale, si può considerare di avanguardia.
Io non starò a descrivere al Consiglio l'iter attraverso il quale si è passati per giungere a questa soluzione, dirò soltanto che sia a seguito di colloqui a livello di Ministero del lavoro, sia a seguito di colloqui con il governatore della Banca d'Italia, si è costituita la società Seimart con il concorso della Finanziaria regionale piemontese e di istituti bancari regionali quali la Cassa di Risparmio, l'Istituto San Paolo, la Banca Popolare di Novara, e con il concorso dell'Istituto centrale di credito delle Casse di Risparmio italiano, della ditta Pianelli e della Fiat. La Seimart ha lo scopo di gestire gli impianti ed ad una prima sottoscrizione di capitale di cento milioni elevabile a 250 milioni, è arrivata (con un consiglio che si terrà questa sera) alla proposta di aumentare il capitale a un miliardo e 800 milioni.
In una delle passate riunioni il collega Viglione aveva riferito in sede di Consiglio sulle rilevazioni relative alla Magnadyne fatte da tecnici dell'IMI ed aveva sottolineato come al di là delle stesse vi fosse una sua personale valutazione (peraltro condivisa dalla Giunta) in ordine a uno stato di particolare difficoltà che potremmo anche definire di "decozione" dell'azienda, e come la ristrutturazione e la riorganizzazione aziendale, la stessa possibilità di assicurare il lavoro e lo smercio dei prodotti fosse direttamente collegata con un tipo di riorganizzazione profondamente diverso, molto più moderno di quello attuale. Devo dire che le valutazioni a suo tempo fatte dal collega Viglione sono state ribadite con talune osservazioni ancora più gravi, dai tecnici dell'IMI in ordine alla capacità produttiva e all'organizzazione della Magnadyne. In un programma di ristrutturazione di questa azienda preparato dalla proprietà è stato calcolato che la produzione ridotta alle possibilità di smercio dei prodotti avrebbe comportato un ridimensionamento della manodopera: una riduzione a 1800 dipendenti e una perdita di 800 milioni nell'arco di un esercizio.
Io credo che (d'accordo con il Consiglio di fabbrica e con i sindacati) il problema vada portato avanti in modo diverso, cioè si debba cercare non di ristrutturare la società attraverso un'indiscriminata riduzione di personale, ma se possibile di conservare il personale eventualmente destinandone una parte alla produzione per conto terzi e l'altra alla produzione della Magnadyne cioè ai televisori, non facendole perdere così delle grosse cifre. Ciò per consentire, nell'arco di un certo periodo di tempo, una ristrutturazione validamente operativa ed economicamente sana della società.
Fatte queste premesse, devo dire che la Seimart, che affitterà dall'amministrazione controllata gli stabilimenti della Magnadyne, si propone di ridimensionare la produzione dei televisori adibendo alla stessa la quantità di manodopera necessaria e di destinare la residua quota di manodopera a lavori per conto terzi utilizzando il macchinario esistente.
Questo al fine di conservare alla società il proprio patrimonio di personale, in modo che se vi è possibilità di espansione dell'attività produttiva nel settore dei televisori, sia già consentita dalla presenza dei dipendenti stessi.
Il consiglio di amministrazione della Seimart prenderà questa sera le deliberazioni relative all'affittanza della Magnadyne, dovrebbe durare almeno otto mesi; vi è l'impegno da parte della nuova società di rilevare stabilimenti ed impianti; vi è la assicurazione e la garanzia ai dipendenti della Magnadyne della loro assunzione, fermi rimanendo a carico della nuova società tutti i diritti maturati dai dipendenti della Magnadyne, vi sono praticamente tutte le assicurazioni che da parte dei sindacati e del Consiglio di fabbrica erano state richieste per risolvere il problema.
Queste succinte comunicazioni che ho ritenuto di fare al Consiglio Regionale, sono la conclusione di un periodo di quattro mesi che ha visto molte difficoltà nella soluzione del problema, periodo che per me personalmente è stato ricco di grandi esperienze, che mi ha consentito di valutare, in tutta la sua drammaticità, la situazione di migliaia di lavoratori e di valutare il metodo che taluni imprenditori usano nella gestione delle loro aziende.
La Giunta Regionale è stata vicina ai lavoratori e alla loro lotta perché questo tipo di gestione venisse modificato e si è impegnata nel fare in modo che si arrivasse ad una soluzione che pur accettando le richieste poste dai lavoratori, consentisse al tempo stesso all'azienda di guardare al proprio futuro con delle prospettive profondamente diverse. Queste prospettive io credo siano assicurate dai soci che danno vita alla nuova società di gestione, che sono soci costituiti, nella loro grande maggioranza, da banche e da enti pubblici e perciò sicuramente in grado di sostenere il grosso contraccolpo delle spese che la gestione comporta e potrà avviare alla ristrutturazione la stessa azienda dandole le prospettive di sviluppo che noi ci auguriamo, in modo particolare per salvare l'occupazione in una vallata come quella di Susa che ha già subito e subisce ancora, con la chiusura di altre aziende una situazione di depressione.
La Giunta Regionale ha creduto con questo di compiere il proprio dovere e si augura di poter continuare ad accompagnare la ristrutturazione della Magnadyne così come per altre società, non soltanto assicurando il proprio totale impegno, ma soprattutto avviando la situazione ad una soluzione non soltanto valida economicamente ma soprattutto sul piano della tutela dei diritti dei lavoratori e al tempo stesso della tutela dell'occupazione e dello sviluppo delle zone che facendo parte della Regione meno di altre hanno potuto godere dei vantaggi di uno sviluppo economico in fase di ascesa.
Queste comunicazioni ho ritenuto di farle, seppure succintamente ma naturalmente sono a disposizione del Consiglio Regionale per ulteriori chiarimenti.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' aperta la discussione sulle dichiarazioni del Presidente Calleri.
Qualcuno chiede di parlare? Il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Facciamo un dibattito unico oppure separato sull'ETI e sulle altre aziende?



PRESIDENTE

Se credono di fare un dibattito unico.



NESI Nerio

Io direi di fare un dibattito unico, quindi aspetterei le dichiarazioni dell'Assessore al Lavoro.



CONTI Domenico, Assessore

Io farei due dibattiti distinti.



NESI Nerio

Continuo a proporre il dibattito unico perché mi pare che i due problemi siano connessi.



PRESIDENTE

Va bene, come l'assemblea crede. Ha chiesto di parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, mi assocerei alla richiesta avanzata dai colleghi effettivamente si tratta di problemi che presentano delle connessioni.



GARABELLO Enzo

Ci associamo anche noi.



PRESIDENTE

L'Assessore preferiva una discussione distinta: accetta l'espressione di volontà del Consiglio?



CONTI Domenico, Assessore

Sì.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore per le sue dichiarazioni.



CONTI Domenico, Assessore

Il problema dell'ETI-Valle Susa per le vicende trascorse, per l'importanza determinante che riveste nell'economia regionale e nazionale per il numero ingente delle maestranze (circa 4500 addetti) e dei riflessi sociali collegati all'incertezza della loro situazione di lavoro, per l'incidenza delle sue componenti nel quadro generale della crisi tessile è, in effetti, un problema che esige un immediato e meditato approfondimento.
Il precipitoso evolversi degli eventi già da tempo paventato sta aggravando una situazione che se non eseguita e prevenuta minaccia di rendere inefficiente qualsiasi intervento, anche per la deprecata concomitanza di altre situazioni che riguardano un particolare tipo di occupazione che, per certe zone delle nostre vallate ad economia depressa viene progressivamente a trovarsi tagliata fuori dall'impiego industriale.
Ed io prendo la parola per introdurre il tema ETI-Valle Susa cercando di delineare alcuni aspetti salienti del problema e delle sue implicazioni sul piano aziendale ed economico sociale, nella ricerca di un orientamento anche personale e al fine di individuarne le prime possibili indicazioni di interventi. Ho detto anche "personale" perché io stesso in questo primo approccio con le materie di lavoro assegnatemi nella Giunta Regionale non ho potuto, anche per la mancanza dei più elementari strumenti, approfondire come avrei desiderato certi particolari dell'argomento. Tuttavia gli elementi a mia disposizione, che sono tratti dai documenti fino ad ora resi pubblici dai diversi organismi interessati alla vertenza (organizzazioni Enti locali, direzione aziendale ecc.) e da alcune verifiche che ho potuto fare e che tuttavia desidero ancora approfondire, mi consentono di delineare la situazione nel modo seguente: il 15 dicembre del '65 l'ETI assumeva in affitto gli stabilimenti del CVS concessi dalla curatela, in alternativa ad un'altra Società, che pare fosse costituita interamente da capitale pubblico, in quanto l'ETI stesso offriva in quell'occasione garanzie circa il pagamento totale dei debiti privilegiati e parziale dei debiti chirografari. Il curatore in quella sede non poté pretendere garanzie per il riassorbimento della manodopera, pur tuttavia la direzione dell'ETI pare abbia assicurato, seppure in modo informale, il riassorbimento del 75 per cento degli operai e del 90 per cento degli impiegati. Infatti tra i mesi di febbraio e marzo del '66, veniva riavviata l'attività degli stabilimenti CVS iniziando da quello di Collegno. Come è noto, in quell'occasione alcuni vecchi stabilimenti CVS furono chiusi: Caluso, Pianezza e Trecate. L'acquisizione effettiva si realizzava invece in data 26 febbraio 1970 con registrazione del contratto in data 28 febbraio Ho voluto effettuare questa breve retrospettiva storica, peraltro a tutti nota, in quanto è mio desiderio individuare cosa la Società ETI abbia concretamente realizzato negli stabilimenti CVS dopo l'acquisizione considerato che nei quattro anni di locazione poteva giustificare i mancati investimenti stante l'aleatorietà della situazione. Ritengo essere corretta l'affermazione secondo cui la prima indicazione circa il destino degli stabilimenti CVS, si trovi nel comunicato dell'ETI emesso il 7 gennaio 1971 e comunicato qualche giorno dopo ai sindacati, di cui tutti conosciamo il contenuto.
E' da precisare in argomento che se tra le date salienti in precedenza indicate e cioè dicembre '65 locazione, febbraio '70 acquisizione, gennaio '71 progetto di ridimensionamento, nulla è stato fatto per rilanciare l'attività produttiva dello stabilimento.
La situazione descritta crea agli organismi interessati (Organizzazioni dei Lavoratori ed Enti locali) una viva preoccupazione, soprattutto per la mancanza di chiarezza derivante dal comportamento della direzione aziendale. Tale mancanza di chiarezza viene ad essere ulteriormente acuita dalle confuse notizie che si succedono in ordine al tipo di ristrutturazione che l'ETI intenderebbe effettuare. Da un lato, si parla infatti di un investimento di due miliardi e mezzo di lire per concentrare la produzione in alcuni stabilimenti contro la chiusura di quelli di Sant'Antonino, di Mathi, di San Giorgio; dall'altro è emersa, nella riunione del 5 marzo u.s. tra Sindacati, Ministero del Lavoro, Regione ecc., una tendenza della Montedison a realizzare un investimento di 14/15 miliardi per creare una tessitura come eventuale alternativa agli stabilimenti da chiudere. Questa intenzione non è però stata concretamente sostenuta da indicazioni in ordine a tempi e località in cui l'iniziativa dovrebbe realizzarsi. Peraltro il Ministro del Lavoro si è impegnato a presentare in questi giorni al comm. Grignani, responsabile del settore tessile della Montedison, ipotesi alternative di soluzione che salvaguardino l'occupazione.
La non chiarezza del quadro tratteggiato, viene ulteriormente aumentata da un'analisi globale dell'industria tessile, da cui appare il perdurare di una crisi generale a livello internazionale legata, da una parte alla massiccia presenza sui mercati europei delle tessiture asiatiche (Formosa Corea del Sud, Hong-Kong, Pakistan) e, dall'altra, allo sviluppo impetuoso assunto dalle industrie di fibre tessili degli Stati Uniti, il cui mercato troverà un notevole appoggio nella legge protezionistica Mills. Ciò vorrà dire, per l'industria italiana, una esigenza certa di rinnovamento tecnologico e quindi di investimenti che, stante all'affermazione di esperti del settore, dovrebbe aggirarsi attorno al 10 per cento del fatturato annuale.
La situazione di disagio, peraltro, è anche rimarcata dagli interventi che la Cassa integrazione ha operato nell'industria tessile, dove per la provincia di Torino le ore non lavorate sono state per il 1969 di 31.706 e per il 1970 di 42.462. Tuttavia, se ciò è sintomatico di una crisi che si ritiene l'industria possa sostenere con un'attenta politica economica, non sembra raggiungere la drammaticità che si rileva nella tratteggiata intenzione dell'ETI di ristrutturare i propri stabilimenti.
Dalla situazione brevemente descritta, pur nella molteplicità dei suoi aspetti e forse nell'insufficienza della mia esposizione, emerge una fondamentale ed impellente necessità di chiarezza. La Regione, l'ente pubblico, i lavoratori devono conoscere con precisione qual è la reale impostazione del problema in questione e quali sono le prospettive di soluzione dello stesso. Quindi è impegno della Regione di partecipare attivamente all'incontro con gli interessati che avverrà presso il Ministero del Lavoro mercoledì prossimo.
Le organizzazioni dei lavoratori hanno già inviato un'analoga richiesta che è quindi necessario sostenere affinché venga non solo accolta ma abbia la migliore delle soluzioni. In questo momento è necessario condurre una verifica sulle intenzioni reali del gruppo finanziario ETI per comprendere quale sia il disegno che lo stesso persegue. In ogni caso, per ciò che si riferisce all'aspetto più propriamente politico della questione, ritengo che non si possa più condividere un comportamento aziendale quale quello emerso nel comunicato ETI del 7 gennaio, che comporta modifiche profonde alle strutture sociali ed economiche di un territorio, senza dare precise garanzie di concretezza rispetto ai problemi sociali indotti e senza adeguato accordo con gli organi pubblici competenti.
Chiarezza nelle ipotesi e nelle prospettive e organicità di valutazioni nel rispetto di tutte le competenze delle legittime esigenze, circa gli aspetti essenziali della vita che si connettono o che circolano attorno al fenomeno dell'occupazione, sono ormai requisiti essenziali ed irrinunciabili, anche per qualsiasi iniziativa rilevante in ordine alla vita stessa e allo sviluppo della comunità, così come è quella che vogliamo esaminare ed ulteriormente approfondire.
Per ciò che si riferisce alla vertenza della Delta, credo opportuno portare a conoscenza del Consiglio Regionale alcuni dati che invece ho omesso perché ritenevo di dominio pubblico per quel che riguardava la relazione sulla ETI. Sono dati fondamentali che spero consentano al Consiglio di valutare meglio la situazione.
Dati aziendali. Tipo di produzione della Delta: produce conduttori di energia elettrica, tubi, barre e profilati in genere di rame, ottone bronzo e leghe di metalli non ferrosi.
Proprietà. L'azienda è di comproprietà della SMI di Firenze e della FIM Meccanica e pare che vi partecipi pure, con lo 0,9 del capitale, un comproprietario svizzero.
Addetti: 60 impiegati e 570 operai.
Vediamo il tipo di rivendicazione che è stata avanzata dagli operai e dai sindacati. Nel settembre-ottobre 1970 il Consiglio di fabbrica informa l'azienda che sarebbe stato richiesto il trattamento già pendente all'Italsider. Verso Natale il Consiglio di fabbrica conferma quanto sopra.
Il 16 febbraio il Consiglio di fabbrica ed i rappresentanti sindacali inviano le loro richieste alla direzione aziendale.
Le loro richieste sono queste: inquadramento professionale unico (operai, categorie speciali, impiegati). Nel quadro di questa rivendicazione si intende soluzionare: a) perequazione dell'utile di cottimo al livello più alto per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro posizione di cottimisti e compartecipanti; b) fissare n. 5 livelli retributivi entro i quali devono trovare posto tutte le professionalità e categorie, stabilendo a priori il minimo e il massimo retribuito per il primo e il quinto livello di professionalità; c) stabilire la mensilizzazione anche per gli operai comprensiva dell'utile di cottimo perequato; d) perequare la normativa degli operai e quella degli impiegati e) regolamentazione dei super minimi per tutte le categorie.
I sindacati e gli operai appoggiano le loro richieste sostanzialmente con queste motivazioni: 1) trattandosi di un'azienda a partecipazione statale, le richieste vengono avanzate sulla base di quanto già in atto all'Italsider, presso la quale pare siano già stati concordati otto livelli retributivi e già dato un acconto di massima mensile ai dipendenti (rimarrebbero da stabilire i minimi e i massimi e la mensilizzazione) 2) ragioni morali per un riconoscimento retributivo e sociale del lavoro non soltanto in base alla valutazione oggettiva dei diversi posti di lavoro, ma anche in base alla valutazione dell'effettivo livello umano richiesto dalle diverse mansioni 3) la richiesta è appoggiata dal fatto che, a detta dei firmatari, la produzione è passata dalle 28.000 tonellate del '69 alle 43.000 del '70 con incremento pari al 54 per cento. Il che segnerebbe, sempre secondo i sindacati in termini di produttività, un incremento del 60 per cento, data la riduzione di 57 unità impiegatizie e degli orari di lavoro ridimensionati.
Andamento della vertenza. All'inizio furono presi contatti tra sindacalisti e direzione aziendale e in un primo tempo sembrò esservi disponibilità a discutere le richieste avanzate. Dopo un successivo silenzio da parte della direzione, venerdì 26 febbraio i sindacati avanzavano precise e concrete richieste alle quali la direzione diede risposta totalmente negativa. Sabato 27 febbraio i lavoratori scesero in sciopero per un'ora. Successivamente l'assemblea di fabbrica decideva lunedì 1° marzo di attuare una diversa forma di agitazione, consistente nella riduzione dei ritmi di cottimo da 130 a 105 (superiori cioè del 5 per cento al minimo contrattato).
Martedì 2 marzo la direzione dell'azienda, unitamente con i dirigenti della SMI di Firenze, venuti ad esaminare la situazione, ha tentato opera di persuasione presso le maestranze, al fine di farli recedere dall'azione intrapresa lamentando, sempre a detta dei sindacati, che tale forma di lotta incideva troppo sulla produzione e che l'azienda stava attraversando una fase espansiva da cui risultava impossibile l'accoglimento delle richieste.
Mercoledì 3 marzo, alle ore 5,30 la direzione emetteva, dopo essersi riunita dalle 1,30 dello stesso giorno, un comunicato col quale si affermava che dalle 5,30 ogni attività produttiva e tutti i servizi ad essa connessi venivano sospesi. Responsabilmente gli operai si trattenevano in fabbrica sino ad ultimare il ciclo, al fine di evitare il deterioramento del materiale in fase di lavorazione e stavano nel posto di lavoro sino alla fine del turno. Alle ore 7 gli impiegati, avvisati di non presentarsi non rientrano, mentre gli operai del nuovo turno entrano regolarmente al loro posto mantenendosi a disposizione.
Viene allora emesso un secondo comunicato da parte della direzione che abbandona lo stabilimento: "In relazione al dichiarato intendimento degli operai di rimanere nello stabilimento nonostante che siano diffidati di uscire a seguito della forzata sospensione dell'attività produttiva constatato che essi in tale modo hanno occupato arbitrariamente la fabbrica, la Società è costretta a ritirare la direzione con effetto immediato. Resta pertanto paralizzata l'attività dell'azienda per iniziativa estranea alla volontà della Società".
Il 9 marzo le controparti partecipano ad una riunione all'Ufficio del Lavoro, ma in stanze separate e senza incontrarsi mai. I sindacati fanno delle proposte: 1) rientro delle maestranze con il ritorno della situazione al 27 febbraio e l'azienda disposta a trattare subito; 2) rientro con la posizione del 2 marzo, con i lavoratori decisi ad andare avanti nelle loro forme di lotta; 3) un acconto di 20.000 mensili trattabili, con l'impegno dei sindacati di dilazionare l'azione di tre o quattro mesi o anche più però con l'impegno nei sei mesi di entrare nel merito, al momento delle ferie, con il riconoscimento della parità tra impiegati ed operai e ripresa delle trattative in settembre-ottobre. L'azienda respinge ogni proposta.
Intanto il 3 marzo '71 il Presidente della Provincia di Alessandria esprime al Ministero del Lavoro e al Ministero delle Partecipazioni statali la situazione lasciandone pro-memoria. Nello stesso giorno i sindacati sono ricevuti dalla Regione e a firma del Presidente Calleri viene inviato un Telegramma al Ministro del Lavoro. In data 9 marzo ordine del giorno del Consiglio Regionale; in data 11 marzo, ordine del giorno della Provincia di Alessandria, di cui vi risparmio la lettura ma che riecheggia sostanzialmente il nostro.
Alla fine i sindacati lamentano nuove provocazioni, che stando al contenuto del telegramma inviato anche alla Regione, si tratterebbe di una violazione della legge 300 e del contratto di lavoro perché la direzione a cui è stata fatta domanda di concedere la possibilità di fare un'assemblea nei locali della mensa, aveva rifiutato l'iniziativa (a parte il particolare curioso che questa domanda si è dovuta inoltrare all'azienda tramite il capo dei sorveglianti, che è l'unica persona ufficiale rimasta in fabbrica).
Questi sono i fatti così come li ho potuti raccogliere presso i sindacati e presso la Regione. Questi dati li pongo alla considerazione del Consiglio, ma non ho potuto naturalmente verificarli rigorosamente, anche perché mi è stato impossibile - per brevità di tempo - l'incontro con la controparte interessata.
A questo punto vorrei concludere il mio intervento affermando innanzi tutto che in ogni caso non si possa approvare un comportamento così estremamente duro ed autoritario da parte della direzione che, dopo aver sbloccato la situazione con un comportamento che i Consigli Regionali e Provinciali hanno giudicato come serrata di fatto, senza voler entrare nel merito giuridico, pretende che si riprenda l'attività da parte dei lavoratori come se nulla fosse avvenuto, addossandosi pienamente tutti i danni economici che i lavoratori hanno subito in questo periodo e senza dare alcuna garanzia, di nessun genere, circa la ripresa delle trattative.
Come affermazione di principio mi sembra importante segnalare che ormai nella coscienza dei cittadini è ormai matura l'esigenza di un superamento della distinzione fra operai e impiegati. Questo non soltanto ai fini retributivi, ma soprattutto ai fini sociali e anche ai fini della formazione professionale. Senza questo chiarimento di fondo, senza cioè una classificazione delle forze di lavoro non tanto basata sugli aspetti oggettivi della mansione, quanto sulla qualità della prestazione umana senza il livello delle operazioni intellettuali pratiche che ogni prestazione richiede, è impossibile qualsiasi riordino in materia di formazione professionale. Ed è anche impossibile incentivare la buona volontà dei cittadini che sono alla ricerca non tanto di un pezzo di carta o di riconoscimenti formali, ma di un aiuto sostanziale a esercitare i compiti per i quali loro si sentono più adatti, con pieno riconoscimento e valore di questi compiti.
Fatte queste due affermazioni, io mi rimetto alla continuazione del dibattito.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

Sulle comunicazioni della Giunta, per accordo intervenuto tra i Capigruppo, è aperta la discussione. E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, mi diceva, poco prima che iniziassi a parlare, il compagno Giovana, che è difficile, in una situazione come questa, fare una discussione consiliare costruttiva senza entrare nei problemi generali. D'altra parte, i problemi generali possono sembrare essere esposti in modo astratto o propagandistico. Non a caso noi abbiamo chiesto questa discussione e abbiamo chiesto che essa si svolgesse contemporaneamente sui problemi della ETI, della Magnadyne, di tutta la fascia dell'industria italiana che viene compresa nella denominazione di piccola e media industria, dato che in essi noi vediamo un nesso comune.
Innanzitutto, penso che dobbiamo chiederci se siamo autorizzati a parlare come Regione di questo problema e quali poteri ha la Regione in questo senso. Ora, all'art. 4 del nostro Statuto, quello Statuto che speriamo che un giorno venga approvato dalla Commissione apposita del Senato, e che rimane comunque il nostro testo fondamentale, è detto, fra l'altro, che "la Regione esercita la propria azione legislativa regolamentare amministrativa al fine di indirizzare e guidare lo sviluppo economico e sociale del Piemonte verso obiettivi di progresso civile e democratico" ed anche che "la Regione opera per adottare le misure necessarie per assicurare la funzione sociale della proprietà privata". E' una affermazione importante; tanto più importante se la colleghiamo alla seconda parte, ove si legge che "la Regione opera per acquisire alla gestione o al controllo pubblico i servizi di interesse generale". Non sono frasi propagandistiche, ma frasi che precisano quello che la stragrande maggioranza di questo Consiglio Regionale ha deciso che sia la nostra Regione. Mi pare, quindi, che noi siamo perfettamente abilitati a parlare in questa sede, a discutere di questi argomenti, e, nei limiti delle nostre possibilità attuali, a prendere in merito delle decisioni.
Mi pare, quindi, che abbiamo fatto bene anche a collegare le due questioni. Anzitutto, perché esse sono emblematiche di una situazione.
Abbiamo da una parte un'azienda del settore tessile, dall'altra un'azienda del settore della piccola e media elettrotecnica: due settori che sono alla ribalta della situazione economica del nostro Paese per il loro andamento.
E' inutile fare qui la storia del settore tessile: la conosciamo tutti; non sarebbe inutile, invece, fare anche relativamente al Piemonte la storia del settore elettronico, in questo momento quasi totalmente in mano all'industria privata, e all'industria privata straniera, storia che a mio parere ci darebbe una visione e degli industriali del settore elettronico e della situazione di questo settore, estremamente interessante per il nostro lavoro. Le due aziende di cui stiamo parlando (che conosciamo meglio di quella di Alessandria) sono emblematiche anche per un altro fatto: da una parte abbiamo il tipo di comportamento di un medio imprenditore privato, il signor De Quarti, ormai famoso, per non dire famigerato, nell'ambito dell'economia piemontese; dall'altra abbiamo il comportamento di una grandissima azienda, direi il più importante gruppo finanziario italiano la Montedison, con forti agganci in tutto il settore pubblico e privato italiano. Ed è straordinario vedere come fra l'atteggiamento del padronato privato e l'atteggiamento di questo tipo di padronato semipubblico vi sia molta affinità sia nel comportamento verso i dipendenti che in quello verso i pubblici poteri, sia nel tentativo (che è stato denunciato anche dall'Assessore al Lavoro) nei riguardi degli impiegati che nel tentativo che viene fatto ricorrentemente di dividere la classe lavoratrice in colletti bianchi e colletti non bianchi, vale a dire in impiegati e operai.
Premesso, dunque, che abbiamo fatto bene, ripeto, a decidere di discutere insieme questo problema, svolgerò alcune considerazioni in linea generale.
Il fenomeno della Val di Susa, a parere del Gruppo socialista, che investe tanto la sua economia, agricola e montana, quanto la generalità con poche eccezioni, degli insediamenti industriali, è un portato diretto della logica di sviluppo del capitalismo moderno, che genera poli di accentramento e di ricchezza da una parte, e, a fronte di questi, intere zone di spopolamento e di abbandono. Questa tendenza non si verifica soltanto in Val di Susa, soltanto in Italia, ma a livello mondiale. Abbiamo già indicato in altra occasione le conseguenze di questa tendenza: i Paesi ricchi diventano sempre più ricchi, i Paesi poveri sempre più poveri. Tutto il problema, che sta diventando sempre più drammatico, signor Presidente e signori Consiglieri dell'Italia meridionale, si inserisce in questa logica di sviluppo.
Premesso questo, non sarà inutile un rapido cenno alla attuale situazione nella valle. Per il settore industriale, i problemi della ETI e della Magnadyne non sono che i principali e i più manifesti. Per quanto riguarda in particolare quelli della ETI, noi sappiamo che essi hanno comportato una riduzione globale dell'occupazione superiore al 40 per cento. E' un dato già questo estremamente significativo. Ma c'è ben di più: sappiamo che, nonostante le garanzie di mantenimento dei livelli occupazionali in tutti gli opifici della valle, a pochi mesi di distanza si dà inizio alle operazioni di chiusura di certi stabilimenti, cominciano le operazioni di trasferimento da certi stabilimenti ad altri stabilimenti. Si dice che questa crisi - mi riferisco in particolare a quella della ETI rientra in una più vasta crisi del settore tessile, che appare come uno dei più deboli dell'intera industria manifatturiera regionale e nazionale.
Sappiamo che questo settore è stato, nell'ultimo anno, fra i settori industriali italiani, quello che forse ha avuto il più modesto incremento di reddito, l'1,7 per cento; credo che l'intero Consiglio conosca la situazione che si va profilando nel Biellese, dove si vive sotto la minaccia della chiusura a breve scadenza di tutta una serie di stabilimenti e del conseguente licenziamento delle maestranze.
Io penso che dovremo occuparci come Consiglio Regionale di questa situazione, e invito il Presidente della Giunta e gli Assessori competenti a farlo tempestivamente, prima che la questione sia portata davanti a noi in tutta la sua drammaticità, investendo il principale centro del settore tessile della nostra Regione, perché quello che ha caratterizzato finora la nostra azione, non per colpa nostra, non per colpa della Giunta, è di essere stati chiamati sempre a turare dei buchi, a chiudere delle falle create da decisioni non prese da noi né dai Sindacati o dalla classe lavoratrice, dai dipendenti di queste aziende, ma da coloro i quali detengono il potere in queste aziende, sia che si tratti di piccoli o medi industriali, o di grandi finanzieri come quelli che siedono nei Consigli di amministrazione del gruppo Montedison. Il Consiglio Regionale, la Giunta devono aprire tempestivamente, ed hanno i poteri per farlo, una inchiesta conoscitiva della situazione prima che questa cominci a degenerare come fanno prevedere recenti ed importanti convegni, fatti da fonte insospettabile.
Quale può essere in questo momento la nostra azione? Penso che non possa essere altro che di sintesi politica. Devo dare atto alla Giunta ed al suo Presidente che essi hanno fatto per la Magnadyne quello che era possibile fare in una situazione così drammatica. Se una critica posso muovere alla Giunta ed al suo Presidente non è di non aver fatto e neanche per come ha fatto, ma di non avere previsto più sollecitamente la situazione, adesso che abbiamo con la Regione i poteri per lo meno di svolgere una indagine conoscitiva. Io penso che la Giunta della Regione Piemonte, che rappresenta la sintesi politica della seconda Regione industriale del nostro Paese, e di una delle più importanti regioni industriali europee, abbia in sé un enorme potere, del quale deve prendere coscienza: un potere di rappresentanza non di tutti gli interessi in modo neutrale (io dissi al momento dell'approvazione dello Statuto che la Regione non nasce neutrale, non è un organismo prefettizio che non faccia differenziazioni fra una parte e l'altra, ma, essendo nata in un certo modo, con certi voti, per certe forze, può essere da una sola parte, dalla parte della classe lavoratrice, dalla parte della classe operaia, non dalla parte del capitale privato) ma di quelli dei lavoratori. La Giunta e il suo Presidente, quando parlano, parlano a nome di questi interessi. Essi hanno quindi il dovere di parlare molto chiaramente, come in effetti hanno fatto col signor De Quarti (era forse più facile, con tutte le resistenze che ci sono state da parte sua perché non si arrivasse alla amministrazione controllata, al fine di ottenere altro denaro dallo Stato anziché dover restituire, all'Istituto mobiliare italiano cioè allo Stato, i tre miliardi famosi avuti praticamente in regalo, come si è scoperto adesso), anche ad un organismo ben più forte, la Montedison; quella Montedison - non lo dico come facile battuta polemica - che ha trovato un miliardo e mezzo da dare al signor Valerio, suo amministratore delegato, nonostante tutti i danni che questo signore ha arrecato alla sua azienda. Io invito la Giunta, col suo Presidente, ad assumere una posizione molto dura verso la Montedison.
Abbiamo appreso adesso dall'Assessore al Lavoro (per lo meno abbiamo creduto di capire, ascoltando le sue parole) che c'è stato un barlume di promessa da parte di tale società per l'impianto di un nuovo stabilimento o di un insediamento sostitutivo. E' una comunicazione di notevole importanza, Assessore, perché la Montedison non è il signor De Quarti, ha i mezzi finanziari per impiantare decine di stabilimenti sostitutivi: penso che ella in sede di replica voglia confermarcela, sia pure con le dovute cautele che le sono suggerite dalla responsabilità che pesa su di lei.
Su questa strada dobbiamo andare avanti, avvalendoci di quello che abbiamo chiamato potere di contrattazione della Regione. La Regione ha un grande potere di contrattazione, su due fronti: sul fronte che possiamo chiamare interno, il fronte della classe lavoratrice che è alle nostre spalle, che ci sprona ad andare avanti, e sul fronte del padronato, sul quale dobbiamo strappare tutte le concessioni che ci sono dovute in questo momento, spiegando che la classe operaia piemontese non può essere trattata alla stregua di macchine, che non si possono spostare gli operai come si spostano i torni, e insistendo perché si facciano gli investimenti che occorrono, dal momento che ci sono mezzi finanziari per farli (conosciamo tutti la situazione finanziaria del nostro Paese, sappiamo quindi come essa non sia così disperata come si vuol far credere, e come quindi ci si debba orientare verso una soluzione che veda come dato costante e privilegiato il lavoro rispetto all'utile di bilancio).
Ecco, signori, quello che credo che il Consiglio Regionale possa fare oggi: dare un sostegno, una spinta alla Giunta perché operi in un certo modo. In secondo luogo io penso, signor Presidente, che, guardando questi problemi in prospettiva, sempre di più nella nostra Regione occorre incamminarsi verso le forme e gli strumenti che abbiamo indicato nel nostro Statuto, che abbiamo riconfermato nel programma di Governo regionale, gli strumenti della programmazione, del piano. Questi problemi che noi andiamo adesso esaminando sono problemi che si potranno risolvere soltanto con una pianificazione totale dell'economia regionale. I due casi oggi in discussione, quello della Magnadyne da una parte, quello dell'ETI dall'altra, e quello di tutte le altre aziende della fascia della piccola e media industria, si potranno risolvere, a nostro parere, soltanto quando la Regione abbia una prospettiva ampia, una prospettiva di anni. E' chiaro che gli strumenti della programmazione, la Finanziaria regionale pubblica l'Ente per i trasporti, l'Ente di sviluppo agricolo e l'Ufficio del piano non si realizzano in un solo giorno: si deve però far presto ad approntarli, perché se noi avessimo già potuto disporre di essi la Giunta avrebbe avuto dei mezzi che in questa situazione non ha potuto utilizzare.
Penso di poter riassumere il pensiero del Gruppo socialista su questo problema in due punti: da una parte una dura azione di contrattazione, che può diventare anche una azione di contestazione nei confronti del grande capitale privato, e se necessario anche della parte pubblica del capitale per portare avanti insediamenti sostitutivi di quelli che il capitale privato in Val di Susa vuole ritirare; dall'altra parte, la più rapida possibile creazione di quegli strumenti di programmazione dai quali soltanto dipenderà che situazioni critiche di questo genere non abbiano più a verificarsi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Berti, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Anch'io penso, come il Consigliere Nesi, che il problema debba essere inquadrato nel panorama più generale che si presenta nel nostro Paese oggi sono in gran parte d'accordo sulle cose che egli ha detto e sono anche convinto che la politica di sviluppo economico riguardante il nostro Paese e il modo in cui il Piemonte in essa si colloca è argomento di politica generale del nostro Consiglio, che noi certamente dobbiamo dibattere anche per vedere meglio quale soluzione definitiva debbano avere le questioni che si sono poste e che siamo qui chiamati a discutere. Vorrei essenzialmente per parte mia, intrattenermi su problemi che già sono stati oggetto di discussione in questo Consiglio, che ci hanno visti lavorare a fianco degli operai e degli impiegati delle fabbriche in questi ultimi tempi per la soluzione delle questioni aperte, per vedere quali di queste questioni sono ancora aperte relativamente alla Magnadyne, e come si presenta oggi, quanto meno per quanto riguarda il Consiglio Regionale, il problema della ETI e quello della Delta.
Anche se esaminerò separatamente le situazioni di tali stabilimenti confermo che si tratta di aspetti diversi di uno stesso problema, anche e soprattutto perché esse coinvolgono essenzialmente alcune vallate della nostra provincia, in particolar modo la Valle di Susa, e per esse sono in corso larghissimi movimenti non soltanto delle maestranze occupate ma dell'intera popolazione, tanto è vero che sono ancora aperte eventualità di lotte che, com'è avvenuto quindici o venti giorni fa, mobiliteranno, oltre alle maestranze, gli Enti locali, i commercianti, le categorie produttive e mi sembra che noi dobbiamo fin d'ora esprimere la nostra solidarietà e la nostra adesione a tutte quelle iniziative di lotta che possono concorrere alla soluzione dei problemi che oggi sono aperti sulla pelle degli operai che le stanno scontando con l'incubo della possibile perdita del lavoro.
Sono vallate intere che stanno morendo, lo dico con la coscienza di non ripetere una frase fatta, e il nostro discorso dev'essere condotto fino in fondo, con piena consapevolezza.
Il problema della Magnadyne, che si trascina ormai da troppo tempo pare avviato ad una composizione positiva. Lo abbiamo visto l'altra sera nell'estenuante incontro con l'ex proprietario De Quarti, che fino all'ultimo ha tentato, senza averne il diritto, dopo la prova di incapacità data in questi anni, di alzare il prezzo, e ne abbiamo avuto conferma oggi dal Presidente della Giunta. A questo punto credo sia importante mettere in evidenza due fatti: intanto, quel che è essenziale, la capacità di organizzazione di lotta e di autodisciplina delle maestranze, che nel corso di questa contesa hanno saputo darsi i loro strumenti di potere dentro la fabbrica ed hanno con consapevolezza e capacità messo in atto tutte le iniziative di elaborazione, di ricerche, di mobilitazione non solo delle maestranze ma anche dell'opinione pubblica, degli Enti locali, determinando così un tale schieramento di forze che il loro problema è diventato il problema del Piemonte, è diventato un problema dal quale nessuna forza politica ha potuto prescindere nel momento in cui formulava delle proposte o si accingeva ad esaminare i problemi che attengono allo sviluppo economico della nostra provincia e del Piemonte.
Questo fattore, la capacità della classe operaia di organizzarsi per la lotta, credo debba essere posto in grande evidenza, perché è certamente elemento di notevole peso, soprattutto in questa fase politica, di fronte al contrattacco, alla controffensiva padronale, che si estrinseca contro la classe operaia sul piano dell'occupazione, sul piano della inadeguatezza dei salari, con il tentativo di bloccare il procedere dei lavoratori verso la conquista di un nuovo posto nel nostro Paese. I lavoratori sanno, e noi confermiamo, che quello che conta è la loro capacità di respingere con la propria forza le manovre, le iniziative che tendono a ricacciarli indietro.
E la prova che i lavoratori della nostra provincia, della Magnadyne, della ETI, e tutti in generale, stanno dando, insieme con le popolazioni interessate, sta a dimostrare che gli operai sono ben vigili e non sono disposti a farsi mettere nel sacco da chi li ha sfruttati fino a ieri e vorrebbe ora, per la propria incapacità, rimetterli da una parte.
Credo però debba anche esser posto in evidenza come gli operai si siano rivolti alla Regione, questo strumento che è ai suoi primi passi l'abbiamo già detto e pensiamo sia opportuno ripeterlo -, siano venuti alla Regione, l'abbiano occupata non con l'intento di contestarla ma per averla alleata nelle loro lotte contro la classe padronale, contro coloro che vogliono far permanere lo stato di arretratezza economica, che vogliono cioè impedire quel moto di emancipazione sociale ed economica che i lavoratori portano avanti. E' importante che la Regione sia vista in questo modo dai lavoratori, che conferma, credo sia il caso di dirlo, quanto contenuto nel nostro Statuto, che è poi la manifestazione della volontà politica delle forze che lo hanno approvato: la Regione non vuol essere un organismo di mediazione tra le forze, ma vuol essere un organismo a disposizione della collettività, e con questa condurre tutte le iniziative sul piano sociale, politico ed economico che possano consentire di far avanzare questo generale moto di sviluppo sociale e politico.
Premesso questo, e preso atto, quindi, che siamo giunti alla conclusione di questa vertenza con la piena approvazione dei lavoratori che hanno partecipato a tutte le fasi per cui essa è passata, preso atto del ruolo positivo che hanno giocato la Regione ed anche la Giunta, con il suo Presidente, credo che noi dobbiamo tenere ben presenti alcuni pericoli che ancora abbiamo di fronte, o, se non si vuol chiamarli pericoli, problemi che ancora permangono e che richiedono che i lavoratori interessati non si ritengano al sicuro con i risultati acquisiti ma rimangano vigili e pronti a partecipare ad ogni fase successiva che si aprirà per la Magnadyne, e che per parte nostra ci si adoperi in modo da evitare il ripetersi di esperienze come per esempio quella della ETI, ove in questi giorni la situazione si è ripresentata in modo estremamente serio, anzi, drammatico.
Io credo che ci si debba quanto meno prospettare il pericolo di trovarsi coinvolti in una operazione di concentrazione capitalistica condotta con i mezzi, i metodi e le conseguenze classiche, a spese dello Stato, a spese dell'occupazione operaia, com'è già avvenuto appunto nel caso della ETI. Noi pensiamo che il fatto che si sia costituita una società di gestione con l'intervento di grandi come la Fiat, la Indesit, Pianelli ed altri, possa - lo dico in forma dubitativa - far nascere il fondato sospetto che l'obiettivo Magnadyne non sia perseguito, come qualcuno potrebbe pensare, a fini assistenziali o propagandistici. La realtà ci ha abituati a vedere che questi grandi del capitale non impegnano un miliardo e 800 milioni per elevare il capitale a fini assistenziali o di beneficenza. E' chiaro allora che c'è un interesse oggettivo verso questa azienda; si tratta di una azienda - è stato ripetutamente detto, anche se lo si smentisce - che ha compiuto larghi studi sulla televisione a colori e si è spinta, sempre a quanto si dice, fino all'acquisto del brevetto per il tubo catodico appunto per la televisione a colori. E' ben vero che sulla introduzione della TV a colori in Italia sono in atto, più o meno esplicite, numerose polemiche nello stesso campo governativo; non è tuttavia infondata l'ipotesi che nel quadro di una situazione economica senza dubbio difficile e complessa, ma di cui si cerca di accentuare i caratteri foschi e preoccupanti per diversi motivi, in campo governativo e in campo confindustriale, vi sia chi con successo riproponga la famosa scelta della TV a colori in Italia. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che anche recentemente, in colloqui privati, non ufficiali, il Ministro Bosco si è lasciato andare a dichiarare inevitabile e conveniente questa scelta. Io non intendo qui interloquire sulla convenienza o meno della scelta della TV a colori: mi pare invece che in questo senso vengano confermate le preoccupazioni di trovarsi di fronte, nel caso Magnadyne, ad una operazione di concentrazione monopolistica avente come sbocco la creazione di un gruppo di forze private che mettano le mani su questo colossale affare, del valore di diverse centinaia di miliardi. C'è già chi parla di una sorta di divisione del lavoro, secondo la quale alla Magnadyne toccherebbe la parte tubi catodici-elettronica, alla Indesit tutto il resto. Si tratta probabilmente di voci, che vanno controllate ed eventualmente assunte come elemento di attenzione per quanto si potrà riproporre in ordine a problemi di ristrutturazione ai fini di questa prospettiva degli impianti produttivi e quindi delle masse operaie impegnate.
La riunione attorno al capezzale della Magnadyne di nomi così importanti fa pensare che non ci si interessi tanto alla Magnadyne qual è oggi e quale è stata ieri, ma guardando al futuro, e ad un futuro di notevoli dimensioni e soprattutto di grosse prospettive. E a me pare che la possibilità di adeguamento produttivo e tecnologico della Magnadyne in conseguenza di questa probabile trasformazione ci debba indurre ad essere attenti a quanto sta avvenendo. Questa attenzione credo possa concretizzarsi in un impegno da parte della Regione, che, attraverso la Giunta e al suo Presidente, in questa iniziativa ha assunto una funzione positiva a fianco degli operai nella quale le si chiede di continuare, per tutelare la classe operaia in vista dei futuri sviluppi dell'azienda: l'impegno di far sì che per ogni fase di ristrutturazione dell'azienda la nuova direzione proposta alla Magnadyne proceda tenendosi costantemente in contatto di consultazione con i lavoratori interessati. Questo passaggio da un privato ad una società di gestione in cui entrano, direttamente o indirettamente, organismi pubblici, deve comportare, sul piano della qualità, la partecipazione dei lavoratori alla gestione della società nelle forme opportune e per le questioni che attengono alla riorganizzazione tecnologica e produttiva dell'azienda stessa. Credo che questo impegno debba essere assunto: noi lo chiediamo nell'interesse delle masse lavoratrici, ma anche per l'esigenza di un processo di avanzamento di una fase partecipazionistica degli operai alle decisioni su tutte le questioni che attengono al loro lavoro, alla loro funzione produttiva.
Questo, credo, può essere detto tenendo conto di quanto è avvenuto per la ETI - Valle di Susa.
L'Assessore Conti ha fatto un quadro storico retrospettivo della vicenda ETI, molto schematico e molto sintetico. Vorrei aggiungere a quanto egli ha detto un dettaglio. Prima che il CVS passasse alla ETI - alle condizioni ben note: 12 miliardi per un complesso che ne valeva quasi 35 dopo quell'altalena che aveva tenuto a lungo con il fiato sospeso gli operai interessati - il movimento politico torinese, quanto meno il Consiglio provinciale di Torino, i sindacati, le maestranze, avevano posto al centro della loro lotta l'obiettivo che il complesso venisse assorbito dall'industria di Stato, che, dal momento che si predisponeva a ristrutturare con congruo stanziamento di denaro pubblico il settore tessile, avrebbe potuto assumersene direttamente il carico, e certamente si sarebbe guardata bene dal colpire le maestranze, come era invece fatale avvenisse, sostenemmo noi comunisti con forza, se si fosse adottata la soluzione della ETI, di una nuova società di gestione dei Cotonifici Valle di Susa incentrata su gruppi privati monopolistici. Al punto cui sono giunte ora le cose va richiamata in discussione la funzione del capitale pubblico e delle forze politiche, in ultima analisi la funzione del Governo attorno a questa questione. Noi affermiamo che nell'attuale situazione, per quanto si muove attorno al problema della ETI, per il fatto che esso investa la situazione economica di intere vallate, non può più bastare l'intervento del Ministro del Lavoro, l'unico che fino ad ora se ne sia interessato in via ufficiale: noi sosteniamo che è chiaro che la soluzione del caso ETI, oggi, è nelle mani del Governo e nell'ambito delle sue possibilità, dei suoi poteri; lo sosteniamo in base alla consapevolezza che lo Stato ha il pacchetto di controllo sulla Società Montedison, perché pu influire su di essa sia mediante il peso che può esercitare sia mediante gli strumenti finanziari che controlla, la IMI, sulla decisione di destinarle i quattro-cinque miliardi che secondo Donat-Cattin sarebbero necessari per una ristrutturazione dell'ETI che comprenda anche gli stabilimenti di Sant'Antonino, Mathi e San Giorgio. Lo Stato ha gli strumenti per intervenire. E la responsabilità del Governo è ancora maggiore se si considera il peso che hanno queste aziende in crisi, specie in Val di Susa, sulla economia di zone in fase stagnante o regressiva dello sviluppo, ciò non solo in termini di occupazione ma in tutti gli aspetti della vita civile.
Credo quindi di poter affermare che per queste ragioni non può più essere accettato quello che può apparire sempre più come il gioco delle parti, che vede attivo ed instancabile il Ministro del Lavoro e sempre più sfumato e sfuocato il risultato. Di questo passo non può maturare che una sola soluzione: quella della conferma della chiusura dei tre stabilimenti e dell'apparente dispersione della relativa mano d'opera nelle restanti sezioni dell'ETI Valle di Susa. E noi diciamo subito che questo punto di approdo, per il quale qualcuno lavora, sarebbe una soluzione inaccettabile perché le donne, che costituiscono la gran parte della mano d'opera occupata dai Cotonifici, specialmente le donne più anziane, che lavorano da venti-trent'anni in quella azienda, non possono mettersi adesso a fare le pendolari. Come l'ETI ha già detto ampiamente, anche questa ipotesi della dispersione si riferisce essenzialmente al fatto di poter rafforzare le fabbriche di Collegno, di Lanzo e Strambino ai fini della piena utilizzazione degli impianti, il che in moneta spicciola, come l'esperienza del passato dimostra, può voler dire soprattutto la istituzione dei turni di notte. Se si continua ad accettare che il Governo se la cavi sfruttando l'impegno e la popolarità di Donat-Cattin per giungere a questo risultato ci si rende complici di un vergognoso inganno, che demoralizzerebbe i lavoratori e l'intera popolazione, tutti coloro che hanno dato vita nelle tre zone a scioperi generali senza precedenti.
Nel corso dell'incontro nella sede provvisoria della Regione, una anziana lavoratrice del Cotonificio Valle di Susa ha preso la parola e in termini pittoreschi, ma molto sentiti, ci ha detto: "A noi non interessa venire a parlare con voi della Regione, a noi interessa il Governo.
Vogliamo il Ministro". Lì per lì si sarebbe potuto farle osservare che essendo i lavoratori venuti alla sede della Regione, era logico che si attendessero dalla Regione quanto questa poteva dare: essenzialmente un appoggio, così come nel caso della Magnadyne. Ma sostanzialmente quell'operaia aveva ragione: a questo punto, per i problemi che ha sollevato, la questione va risolta dal Governo. Noi diciamo che la Regione deve rappresentare la chiave che salda gli strumenti della volontà e dell'azione popolare, lo strumento permanente cui fanno capo i comitati di lotta, le rappresentanze degli Enti locali, delle comunità di valle ecc.
Ecco il modo preciso in cui in questa fase deve collocarsi la Regione. E' una funzione, questa, che il nostro istituto ha già svolto, credo, per la Magnadyne: altrettanto deve fare per la ETI, in una situazione più compromessa, più difficile e certamente più complessa. Noi siamo convinti che con la forza che tale azione coordinata può esprimere nei confronti del Governo si può pretendere ed ottenere di mettere attorno ad uno stesso tavolo tutti e tre i Ministri interessati: quello per le Partecipazioni statali, per la parte della Montecatini Edison, quello per l'Industria, per l'applicazione della legge 1120, cioè il fondo di intervento di gestione dell'IMI, e per l'intervento in situazioni urgenti e passibili di sviluppo e infine quello per il Lavoro. E' una richiesta che già facemmo per la Magnadyne, ma che si impone anche di più per il Cotonificio Valle di Susa ETI.
Per quanto attiene all'ETI nel quadro dei problemi dell'industria tessile in generale, deve essere anche detto che la cosiddetta crisi tessile è una crisi di ristrutturazione. Al Convegno di Torino promosso dalla fondazione Agnelli (dicembre '70), le previsioni ai fini dello sviluppo del mercato non sono state incoraggianti, non solo per colmare i vuoti nel settore dell'abbigliamento ma per far fronte alla crescente domanda di prodotti tessili per l'arredamento e per usi industriali, di una gamma sempre più vasta. A nostro giudizio, il problema da affrontare è quindi la ristrutturazione degli impianti e soprattutto la creazione di una base di forza che affronti il problema in tutta l'ampiezza del ciclo, dalla produzione di fibre artificiali alla ricerca scientifica per le nuove fibre sintetiche, dalla produzione tessile propriamente detta alle confezioni ed ai punti di vendita.
Gli interventi previsti dalla maggioranza (la famosa legge tessile approvata dal Senato e da oltre un anno giacente alla Camera), consistenti in oltre 200 miliardi, vanno ripresi e trasformati alla luce delle esperienze passate e recenti. Questa esperienza ci insegna che non basta dare soldi alla industria tessile, perché di denari ne ha già avuti, e la vera ristrutturazione non è stata attuata. Nello stesso Biellese, ove è in atto una situazione di sottoccupazione abbastanza grave, credo non si possa nascondere che le industrie tessili, dopo le recenti alluvioni, hanno avuto a disposizione una ingente quantità di denaro: è lecito chiedersi dove questo denaro sia finito, visto che a distanza di poco tempo si ripropone il problema della disoccupazione e della chiusura delle aziende. Ed è auspicabile che per il futuro si eviti di distribuire denaro così malamente, visti i risultati.
Anche l'ETI ha avuto una mole di favori impressionante dallo Stato configurabile in decine di miliardi, tra finanziamenti e contributi.
Eppure, oggi si presenta con un proprio piano di ristrutturazione rinnegando ogni voce in capitolo nel relativo programma e tornando al vecchio sistema: procacciarsi denaro pubblico, licenziare, tenere bassi i salari, cancellare i risultati della lotta contrattuale, per poter riprendere lo sfruttamento indiscriminato della mano d'opera. Nei passati ventun anni è stato sempre questo il modo di intendere la ristrutturazione per le industrie private. E questo ci fa ritrovare oggi con nuovi attacchi all'occupazione ed alla economia di intere zone, e con una ristrutturazione tessile e produttiva ancora da fare, e senza alcun controllo. Di qui la necessità di riprendere il discorso di una serie di interventi statali per il settore tessile, alla condizione che siano fondati su tre presupposti: il controllo pubblico e dei lavoratori sui programmi e sugli investimenti (e qui si concretizza la funzione della Regione e dei Consigli di fabbrica degli operai); l'impiego dell'industria a partecipazione statale affinch questa, disponendo di priorità nell'uso del denaro pubblico, possa acquistare un peso ed una posizione di forza nella ristrutturazione dell'intero settore; infine, l'aiuto alla piccola e media industria verso la sua crescente specializzazione, che tra l'altro già oggi rappresenta uno dei pochissimi fattori positivi nella concorrenza sul mercato estero.
Desidero fare ancora un'ultima considerazione. Ai programmatori dell'ultima ora, ancorché sprovveduti in materia, che vanno parlando di iniziative comprensoriali e di politica di piano che risolverebbero il problema della occupazione e della depressione economica nelle vallate piemontesi, un avvertimento e un impegno. Noi ci troviamo di fronte, nel nostro Paese, ad un problema fondamentale, che abbiamo ricordato nel nostro Statuto e che dovremo, credo, dibattere, già emerso nella seduta precedente: ed è il problema del Mezzogiorno d'Italia, problema non settoriale ma nazionale, alla soluzione del quale devono concorrere tutte le Regioni italiane. Abbiamo detto a suo tempo che questa indicazione si concretizza in un tipo di sviluppo economico nazionale che, per quanto riguarda, per esempio, la nostra provincia, vuol dire decelerare lo sviluppo economico nel poli più concentrati per orientare lo sviluppo economico industriale in zone depresse del Piemonte, in zone depresse soprattutto, del Mezzogiorno d'Italia. E' avanzato in questi ultimi tempi in rapporto anche alla proposta di legge del Governo sulla ristrutturazione della Legge della Cassa del Mezzogiorno, il problema dei disincentivi che devono essere applicati nelle zone del Nord. Attorno a questa questione si è aperto e proseguirà il discorso: il Consiglio discuterà, credo, esprimerà un parere, in ordine a questa questione, della validità di un disegno del genere in una situazione in cui anche nelle nostre zone si verificano fenomeni di disoccupazione, di crisi autentica.
Come si possono contemperare le due esigenze: da una parte quella di orientare fondamentalmente lo sviluppo economico nel Mezzogiorno d'Italia nell'intento di riequilibrare il Paese, e dall'altra quella di porre rimedio alla situazione che qui si apre? Noi abbiamo ancora recentemente dichiarato, nel nostro Comitato centrale di ieri, che quando affermiamo la priorità del Mezzogiorno non intendiamo tralasciare i problemi che si aprono in Piemonte, ma diciamo che tutto questo va visto in un quadro organico entro cui non possono trovar posto iniziative settoriali individualistiche, personali. Pertanto, la stessa richiesta che si sta avanzando nel Biellese, ad esempio, per fronteggiare una situazione che io non ho alcuna difficoltà a riconoscere allarmante, anche se sarebbe opportuno sempre ricercare le responsabilità del determinarsi di tale critico stato di cose, di un insediamento della Lancia o di altra grossa industria del genere (un giorno o l'altro spero che ci saranno resi noti i piani di investimento della grande industria, perché ci sia dato modo di indirizzarli), noi diciamo che è valida ai fini della situazione locale ma non lo è più quando è impostata nel quadro nazionale.
Noi concludiamo pertanto dicendo, come ha già rilevato il compagno Nesi, che a questo proposito si impone - ecco qui un ruolo che alla Regione spetta assumere - una iniziativa del nostro Consiglio Regionale, per cercare, in collaborazione con le forze sindacali, con gli altri Enti locali periferici, le Province e i Comuni, con la massima celerità, le situazioni reali del Piemonte ai fini di indirizzare in modo organico non solo in rapporto al Piemonte ma al piano e alla situazione nazionale i vari interventi che occorre adottare in ordine allo sviluppo economico e industriale del nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori colleghi, dichiarandomi sufficientemente soddisfatto delle dichiarazioni rese dal Presidente e dall'Assessore, devo anzitutto, in ordine ai problemi della Magnadyne, dell'ETI e della Delta fare delle dichiarazioni pregiudiziali riguardanti le ricorrenti occupazioni non solo degli stabilimenti, ma anche degli uffici pubblici.
Non vedo come i lavoratori e le organizzazioni sindacali che promuovono le occupazioni, possano credere che tali azioni, penalmente perseguibili siano utili alla loro causa, servano cioè a porre all'ordine del giorno i loro problemi e su essi a trarre l'attenzione delle autorità. Qui si pone una scelta infatti: i sindacati dei lavoratori, interessati a queste grosse vertenze, sono in buona fede, cioè credono veramente che occorrano dimostrazioni di questo tipo per ottenere l'aiuto delle autorità ed allora vuol dire che è inutile avere alle Regioni, alle Province ed ai Comuni amministrazioni di centro sinistra se la loro sensibilità ai problemi sociali è così modesta da aver bisogno di sveglie di questo genere come l'occupazione degli uffici pubblici. A me pare che se vi è veramente una sensibilità per i problemi più importanti dei lavoratori come quelli dell'occupazione e del depauperamento economico di intere zone, non dovrebbe servire a nulla, anzi, dovrebbero essere controproducenti le occupazioni degli uffici pubblici.
Oppure ci troviamo di fronte a manifestazioni di carattere eversivo poste in essere da minoranze le quali vogliono creare il tanto peggio per specularvi sopra. Allora l'intervento delle autorità regionali e provinciali dovrebbe essere tale da disarmare i sovversivi. Certe tolleranze sono, a mio avviso, colpevoli, perché finiscono con il dare la sensazione che soltanto rapporti di forza possano dare ragione a chi ce l'ha e a chi non ce l'ha.
Per quanto riguarda la Magnadyne, noi abbiamo accettato tutto quello che è stato fatto dal Presidente regionale in tutti i suoi interventi e di carattere finanziario e rivolti a cambiare la struttura dell'azienda da individuale a società con capitali pubblici, però non riusciamo a comprendere come, nonostante tanti sforzi, vi siano stati tanti operai sospesi a zero ore, come non si voglia tener conto che tutto il settore delle fabbriche di televisori è in crisi, in quanto non è stata ancora presa una decisione riguardante la televisione a colori.
L'intervento del capitale straniero è massiccio in questo settore ed un poco alla volta le nostre aziende sono passate al capitale straniero.
Evidentemente per un minimo di rispetto che si deve alla Regione, a me pare che non si possa procedere con la politica del carciofo né da parte dei sindacati né da parte di altri. Noi vogliamo sapere fin d'ora quali saranno le riserve che i sindacati scioglieranno non appena le trattative saranno definitivamente concluse, come si esprimeva la Gazzetta del Popolo di lunedì 15 in un articolo riguardante l'argomento. Occorre quindi chiarezza e non riserve da parte di alcuno. La Seimart, cioè la società che dovrebbe gestire la Magnadyne, è in grado di mantenere tutti i dipendenti al lavoro e ad orario pieno contrattuale? Oppure questo non è possibile per mancanza di assorbimento da parte del mercato o per altri motivi? Io credo che questo il Consiglio Regionale abbia il diritto di saperlo e non per una sterile critica, ma proprio per quella collaborazione che in casi come questi tutti dobbiamo dare al Presidente della Giunta. Le formule qui non significano nulla, perché avvenimenti gravi come questi possono capitare come tegole sul capo di qualunque Presidente, a qualsiasi partito appartenga e quale sia la formula scelta per il governo della Regione.
L'importante è di non ingannare i lavoratori, di dire a tutti la verità e di non prestarsi a manovre di carattere eversivo.
Per quanto riguarda l'ETI anzitutto, anche a nome della CISNAL, che è stata faziosamente estromessa dagli incontri, ringrazio la Giunta non certo della faziosità, ma di quanto ha creduto opportuno o possibile fare per le maestranze dei tre stabilimenti che, almeno fino a questo momento dovrebbero chiudere a fine aprile. Dobbiamo però considerare il fatto che mentre noi ci muoviamo in una certa direzione, il Ministro del Lavoro, che avrebbe dovuto presentare, a quanto scrivevano i giornali qualche giorno fa, delle proposte alternative a quelle dell'ETI, ci ha buttato fra le gambe la dichiarazione di crisi di tutto il settore tessile, legittimando così le chiusure degli stabilimenti del biellese, di altre zone d'Italia e naturalmente anche del Valle di Susa. E' vero che la dichiarazione di crisi del settore serve per fare ottenere ai lavoratori i vantaggi della legge n.
1115 del 5.11.1968, ma è vero altresì che tale dichiarazione costituisce una grossa arma, o almeno un alibi per le aziende che intendono ridurre il personale di un settore che è in crisi strutturale in tutta l'Europa, come ebbe a riconoscere il comitato sociale della CEE quando venne a Torino e riunì tutti i sindacati, compresa la CISNAL, nell'aprile del 1966.
La mia parte ribadisce il concetto che bisogna ridurre il numero dei pendolari, che bisogna portare il lavoro dove sono i lavoratori, ma a me pare che si stia drammatizzando, evidentemente a scopi politici, la situazione dei tre stabilimenti ETI. Il Presidente certamente sa che circa 160 operai dello stabilimento di San Giorgio saranno tutti trasferiti agli stabilimenti più moderni di Rivarolo e Strambino, in gran parte a Rivarolo che dista 7 Km. Il Presidente sa anche che i circa 250 operai dello stabilimento di Mathi, andranno a Lanzo, a 5 Km e mezzo e che i 280 dello stabilimento di Sant'Antonino di Susa, saranno trasferiti in parte a Susa e solo una minoranza a Collegno, distante 25 Km.
E' evidente che si dovrà fare tutto possibile perché non manchino, anzi siano incrementati tutti i mezzi di trasporto per tali maestranze, nonch mense, asili nido ed altri servizi sociali, ma occorre anche dire che i guadagni delle lavoratrici e dei lavoratori, rientreranno con i titolari degli stessi nelle località di origine e pertanto il depauperamento economico delle tre cittadine che ho citato non sarà percettibile.
Naturalmente occorre che nella programmazione regionale, provinciale o delle zone ecologiche, possano essere previsti e stabiliti nuovi impianti al posto di questi, in modo che le zone non ne abbiano a risentire; per di più occorrerà prendere accordi con l'ufficio di collocamento perché giovani lavoratrici e lavoratori delle località abbandonate dall'ETI, possano essere avviati al lavoro negli stabilimenti dei paesi viciniori. Questo per evitare speculazioni ed inutili danni. Naturalmente se qualcuno riuscirà ad evitare che gli stabilimenti di San Giorgio, Mathi e Sant'Antonino siano chiusi, noi ne saremo lieti, sempre che non si pensi di poter correggere tutti gli errori di una politica economica e sociale del governo, con l'intervento dell'IRI, perché non è possibile nemmeno concepire che la collettività debba pagare per le incapacità di imprenditori e per l'imprevidenza del governo.
Per quanto riguarda la Delta, le notizie che ho sono purtroppo incerte anche perché la discriminazione attuata contro la CISNAL mi impedisce di avere notizie precise. Sta di fatto comunque: 1) che la Delta era un'azienda metalmeccanica a partecipazione statale; 2) che a un certo momento essa ha creduto opportuno fare intervenire nel capitale azionario una azienda privata non si sa se al 49, 50 o 51 per cento; 3) che ci troviamo di fronte ad una delle solite vertenze che a mio avviso vanno risolte nelle sedi opportune e cioè fra sindacati, organizzazioni imprenditoriali, uffici del lavoro in quanto le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, e UIL presentarono all'azienda una così detta piattaforma rivendicativa, in appoggio della quale dettero inizio a scioperi; sembra che gli scioperi abbiano degenerato in violenze e quindi l'azienda abbia proceduto alla sospensione di ogni attività.
Se L'Assessore al Lavoro vuole svolgere opera di mediazione, la mia parte ne è lieta, purché non abbia inizio la solita speculazione su episodi della così detta contrattazione permanente o della conflittualità continua e purché tutte le parti prendano atto che anche le aziende a partecipazione statale, la lotta sindacale non ha soste ed i sistemi delle due parti non mutano.
Che significato ha, pertanto, la voglia matta dei sindacati e di una parte di questo Consiglio di buttare delle aziende private che si trovano in momenti di insicurezza produttiva nelle braccia dell'IRI e quindi di limitare progressivamente l'iniziativa privata nel campo economico? Si tratta forse di una volontà politica rivolta ad applicare in Italia sistemi economici d'oltre cortina? A noi sembra che di questo si tratti e perci lotteremo contro ogni degenerazione del nostro sistema economico e volta per volta indicheremo i responsabili delle crisi economiche anche se stanno molto in alto.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Gruppo liberale non ha obiezioni da muovere alla relazione del Presidente della Giunta e dell'Assessore Conti che con piacere abbiamo appreso ufficialmente essere titolare della delega per i problemi del lavoro.
Le difficoltà aziendali di cui qui si discute, hanno ragioni specifiche sulle quali non ho sufficiente competenza per soffermarmi; ma come è già stato rilevato da altri colleghi, rientrano in un quadro generale di crescente difficoltà del sistema produttivo che si sono ulteriormente aggravate dall'inizio dell'anno quando, per la prima volta, abbiamo discusso la situazione delle industrie torinesi, con particolare riferimento alla Magnadyne. Si è con tutta evidenza di fronte a una situazione di depressione economica che minaccia di rendere superflua ogni progettazione di disincentivi. Il problema che dobbiamo affrontare non è semplice, nel doppio significato del termine: è difficile ed è anche duplice. Io voglio qui ribadire quello che è stato l'orientamento liberale nell'analisi del sistema economico industriale piemontese; nel caso della nostra Regione non si tratta soltanto di evitare gli eccessi della congestione industriale, ma anche di garantire la continuità dello sviluppo industriale. Vi sono evidentemente delle difficoltà di ordine nazionale che in gran parte sfuggono alle nostre capacità di intervento. Il costo del lavoro dal '69 ad oggi è aumentato di circa un quarto e solo in parte questo 25 per cento è andato a beneficio dei lavoratori. D'altra parte il sistema industriale continua a pagarsi un lusso che non si può permettere quale è quello di lasciare inutilizzato da un terzo ad un quarto del macchinario disponibile. La diminuzione della produttività che ne consegue è dimostrata da un dato che nella sua semplicità è clamoroso; nel gennaio di quest'anno, per la prima volta dall'unificazione del Paese, lo Stato ha incassato il 17 per cento in meno di gettito fiscale rispetto alle previsioni.
Il collega Nesi ha sollevato un argomento centrale: quale è la nostra concreta capacità di intervento sui problemi dell'occupazione industriale? Se vogliamo essere concreti, anche nei confronti dei lavoratori che ci ascoltano, dobbiamo dire che le norme dell'art. 4 del nostro Statuto non sono certamente propagandistiche (diversamente avremmo compiuto un grave errore nel votarle); ma sono norme che almeno allo stato attuale dell'ordinamento rimangono prevalentemente programmatiche e questo stato di cose è evidenziato dalla relazione della Giunta. Per limitarmi ai casi della Magnadyne e dell'ETI (in quanto sulla situazione della Delta interverrà successivamente il collega Gerini): quanto all'ETI, la relazione dell'Assessore Conti ha assunto un impegno che per il momento è di sola verifica conoscitiva. Circa la Magnadyne, il Presidente Calleri ha esercitato un intervento decisivo, ma (se mi è permessa l'osservazione) in forza di un suo duplice mandato presidenziale: non a caso il comunicato stampa diramato il 31 dicembre dalla organizzazione sindacale e dal Consiglio di fabbrica della Magnadyne, dice testualmente: "A seguire e ad accompagnare la trasformazione della dirigenza aziendale e a sovrintendere a tutta l'operazione della costituzione della nuova società, si è fatto carico il Presidente della Giunta Regionale piemontese dottor Calleri che è anche Presidente della Cassa di Risparmio". Io vorrei dire che è stata una fortuna che il potere operativo di cui il collega Calleri non dispone attualmente come Presidente della Giunta, abbia potuto esercitarlo come Presidente della Cassa di Risparmio.
Un'altra questione che credo richieda una nostra precisazione d'obbligo è quella del collega Nesi che si chiede da che parte stia la Regione. Io mi sento in dovere di dire che la Regione non può essere l'organizzazione istituzionale di un interesse di classe, perché nel sistema democratico questa funzione appartiene ai sindacati. La Regione, ad avviso del Gruppo liberale, deve stare dalla parte non certo degli interessi privilegiati ed egoistici, ma dalla parte degli interessi generali della comunità regionale, ai fini dei quali non si può affermare il primato del lavoro sull'investimento, perché l'investimento non è altro che un lavoro già compiuto che diventa possibilità di nuova occupazione e di nuovo lavoro.
Nel quadro dell'interesse generale della comunità, credo che la Regione debba porsi con particolare evidenza il problema delle difficoltà che attualmente concernono la valle di Susa, in particolare la bassa Valle di Susa; un'area che è crescentemente depressa perché da un lato è vallata di passaggio dei flussi turistici che sostengono l'economia della parte alta della Valle, e d'altro lato ha insediamenti industriali che al momento in cui furono istituiti erano imponenti, ma che in gran parte sono invecchiati. Nella zona che va da Susa ad Avigliana, vi è un elevato movimento pendolare di lavoratori occupati a Torino o nelle fabbriche della cintura i quali fra l'altro finiscono per effettuare nella città una buona parte dei consumi del reddito acquisito, precludendo così anche uno sviluppo locale dell'attività terziaria.
Quindi, nel quadro della programmazione regionale da attuarsi attraverso la consultazione e la partecipazione popolare prevista dallo Statuto, la Regione deve porsi il problema dell'occupazione della residua popolazione residente in questa zona della provincia di Torino. Non solo garantendo il riassorbimento della manodopera, ma garantendo anche la stabilità della popolazione della valle: in questo caso riteniamo giusto non essere imparziali e raccogliere le motivazioni sociali che sono state addotte anche dal collega Berti: quando un'azienda, (per esempio il Cotonificio Valle Susa) entra in crisi, non per tutti è facile trasferirsi anche perché non tutti trovano facilmente una villa nel Libano.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, signori Consiglieri, questi ultimi avvenimenti alcuni dei quali nei particolari sono stati relazionati dal Presidente della Giunta e dall'Assessore Conti, e ai quali personalmente ho avuto modo di partecipare, ci dicono come il discorso sostanziale che mi pare si debba ricavare da tutto questo, sia un impegno di natura strettamente politica.
Non credo che abbiamo la necessità di porci in maniera filosofica la distinzione fra i compiti della Regione, la Regione deve rappresentare tutti, deve rappresentare il complesso degli interessi, deve naturalmente tener conto anche di coloro che sono in maggiori difficoltà economiche, ma soprattutto deve assumersi le sue responsabilità nel momento in cui viene chiamata in causa, nel momento in cui larghe masse di lavoratori (è il caso degli stabilimenti di cui abbiamo discusso) chiedono una voce pubblica al di fuori delle consuete tradizionali impostazioni, delle consuete tradizionali strutture che pure i lavoratori rispettano perché sono venuti sempre in perfetta sintonia con le loro rappresentanze sindacali. Essi si rendono conto di aver bisogno di un altoparlante sintonizzato in una maniera diversa che comprenda sì, la voce del sindacato, ma la superi e faccia sì che siano gli organi pubblici che democraticamente eletti democraticamente formati, rappresentino gli interessi generali. Quindi non credo sia necessaria una distinzione così sottile, l'importante è che la Regione trovi la sua collaborazione.
E' stato detto dalla maggioranza e dalla opposizione, che in questa fase la Regione nei suoi organi esecutivi ha il modo di collocarsi positivamente. Questo è il parere anche del mio Gruppo che in rapporto alle comunicazioni che sono state fatte, di natura diversa perché di natura diversa sono stati gli interventi, si dichiara soddisfatto, pur ricavando alcuni elementi che ritiene di dover segnalare all'intero Consiglio proprio per la natura esemplare che questi primi interventi comportano e per garantire un comportamento successivo.
Dirò al collega Curci, il quale fa veramente il legalitario dicendo che la CISNAL non ha potuto parlare perché non invitata, che oggi a dibattere questi problemi non si invita nessuno, discutono coloro che sono presenti.
Io non so se la CISNAL è presente con una propria rappresentanza all'interno degli stabilimenti che sono stati teatro di questi dibattiti ma certamente a, coloro che sono venuti all'Ente Regione non è stato chiesto né tessera né indicazione di partito né altro. Le rappresentanze sindacali, i Consiglieri regionali e provinciali che hanno voluto partecipare erano presenti. Non si può non partecipare e poi rivendicare il mancato invito e venire a dire ai lavoratori che vedono la loro azienda traballare (come nel caso della Magnadyne) che stanno compiendo un reato occupando delle sedi pubbliche. Fra l'altro l'Amministrazione provinciale che è proprietaria dei locali di via Maria Vittoria, ha concordato con le rappresentanze sindacali la possibilità di attuare un'assemblea permanente quindi i lavoratori non hanno agito illegalmente. Dobbiamo renderci conto che se vogliamo essere interpreti delle masse lavoratrici bisogna adeguare la nostra mentalità a determinati avanzamenti che le stesse masse lavoratrici portano con sé. Naturalmente chi ha partecipato a queste sedute di giorno, di notte, in momenti anche piuttosto drammatici, può dire che da tutti è stata data una dimostrazione di civismo, di educazione, di rispetto verso le persone con le quali si aveva a che fare.



(Il Consigliere Curci interrompe, ma non parla al microfono)



GARABELLO Enzo

Il fatto è che se le autorità sono come quelle che presenti tu, che vogliono ricevere l'invito su carta particolarmente pregiata e non si presentano nel momento in cui i problemi vengono evidenziati, quelle autorità non faranno niente e i lavoratori si troveranno in difficoltà.
Molte delle cose che sono state dette le condivido, vorrei ricordarne soltanto qualcuna. Nei tre casi che ci sono stati presentati l'esame della posizione economica della ditta è quanto mai difficile (riscontriamo con meraviglia come la contabilità di un'azienda di 3500 dipendenti come la Magnadyne fosse ancora tenuta dall'unico proprietario, senza la possibilità per parte nostra di poterci documentare attraverso l'esame dei libri contabili). Ci siamo trovati di fronte ad una forma arcaica di conduzione aziendale in cui la proprietà ha la possibilità di decidere tutti gli aspetti della vita aziendale. E' già stata ricordata qui, la drammaticità di riunioni in cui tutti, Ministro, Presidente di Regione, Assessori Consiglieri, lavoratori dell'azienda invocavano nelle maniere più diverse la firma di una carta bollata da mandare al Tribunale per ottenere l'amministrazione controllata. A me pare che questo indichi la necessità di un'indagine conoscitiva sulla situazione generale del Piemonte indispensabile per poter fare dei piani, anche soltanto indicativi nei confronti della conduzione delle aziende.
Dall'episodio della Magnadyne ricaviamo un ammaestramento. Il collega Zanone ha messo in evidenza alcuni aspetti che non possono essere dimenticati: la particolare situazione in cui sono venuti a trovarsi i protagonisti di questa vicenda ha certamente facilitato la soluzione. Per dobbiamo notare come sempre, l'amministrazione, la Giunta Regionale in rapporto con le autorità statali, con il Ministro del Lavoro, con il Governatorato della Banca d'Italia, con gli Enti pubblici economici abbiano dato una dimostrazione di collaborazione che riteniamo basilare per la vita della Regione. Non crediamo che ogni problema di questo genere possa essere risolto in questi termini e in questi modi, pensiamo che gli interventi economici nel campo dello sviluppo dell'industria nell'ambito della Regione dovranno avere soluzioni diverse, però è interessante rilevare come ciò che abbiamo affermato all'epoca dell'approvazione dello Statuto di non voler cioè fare una Regione contrapposta a quegli organi dello Stato che hanno dei compiti fissati, ma caso mai di servire da puntualizzazione, da preparazione, da stimolo per la soluzione dei problemi, ha avuto una puntuale attuazione. Pertanto riteniamo si debba proseguire in questa direzione, anche se voglio dare (come dava prima Berti) un'indicazione sull'opportunità che a livello dello Stato tutti gli organi interessati si trovino ugualmente impegnati, sollecitati e disponibili come nel caso di queste vertenze ha fatto il Ministro del Lavoro.
Per quanto riguarda la ETI, facciamo un'altra preoccupante constatazione: l'industria di valle, vanto dell'economia piemontese, perch ha una tradizione superiore a molte delle grandi industrie che si sono successivamente insediate nelle zone industriali più attrezzate e che costituiva un volano formidabile in un'economica mista che non mi sento di rifiutare così facilmente in nome di un pendolarismo che non sarebbe drammatico secondo Curci, ma che per me lo è anche soltanto da un punto di vista umano, questa industria di Valle dicevo, sta certamente traballando.
Se noi non avessimo soltanto questi episodi ma andassimo un po' più in là ci renderemmo conto che le vecchie valli del pinerolese come quelle della Val di Susa, del Canavese, del Biellese, del Novarese, hanno situazioni di crisi analoghe. Oggi abbiamo ricevuto un gruppo di lavoratori di un'azienda di Verbania in notevoli difficoltà per cattiva conduzione aziendale. Noi dobbiamo porci concretamente questo problema, perché se lasciamo andare in crisi le valli creeremo o quanto meno assisteremo a delle situazioni umane sempre più preoccupanti e sempre più pesanti. Io non mi sento di accettare la tesi secondo cui portare i lavoratori di San Giorgio a Strambino, quelli di Sant'Antonino a Susa, o a Collegno, quelli di Mathi a Lanzo sia un episodio da non drammatizzare; è evidente che se l'industria porta avanti anche dei discorsi di miglioramento tecnologico, non possiamo che seguirla in questa direzione quando vi sia un pari avanzamento sul piano sociale e umano, ma la logica che siccome le distanze non sono molte, la pendolarità non è eccessiva, non la accetto. Per la verità noi dobbiamo dire che i lavoratori dell'ETI nell'assemblea tenuta alla Regione hanno voluto rimarcare essenzialmente la necessità di difendere gli stabilimenti dove sono e come sono e caso mai dare alla Regione il compito che del resto ha per costituzione e per Statuto. In una visione generale di piano degli investimenti dell'economica trovare i correttivi all'attuale situazione attraverso altre forme di investimenti che allora potranno consentire certi tipi di concentrazione, ma non possiamo ragionare, come il collega Nesi e cioè che dalle comode poltrone dei Consigli di amministrazione dei grandi apparati si fanno semplicemente delle somme numeriche: erano tremila rimangono tremila Noi dobbiamo valutare dove sono e che cosa rappresentano queste tremila persone che normalmente significherebbero tremila famiglie.
Io ho veramente il timore - e credo sia diffuso - che in questa recessione nell'ambito delle nostre vallate ci sia il pericolo che zone che avevano un'economia sufficiente, tendano a diventare zone depresse. Noi abbiamo preso l'impegno di lottare contro la depressione, l'abbiamo scritto nello Statuto, ed è giusto che certi problemi sociali del Piemonte si risolvano nel Mezzogiorno, però sarebbe estremamente grave se non ci impegnassimo seriamente in un'azione che impedisca a zone che hanno una loro vita economica diventino depresse, studiando troppo tardi la soluzione dei loro problemi.
Concordo con chi ha detto che bisogna guardarsi dalle soluzioni di piccoli comprensori estrapolati dall'insieme della Regione. Noi l'abbiamo detto sinceramente anche ai lavoratori dell'ETI: non è sufficiente pensare a un piano per la Val di Susa, a un piano per la Valle di Lanzo e a un piano per il Canavese, i piani hanno un significato se sono una parte qualificata, direi particolareggiata di un piano generale. Non dobbiamo dimenticare che in queste zone industriali delle valli, nel tempo si sono avuti enormi investimenti anche di tipo pubblico. Una volta a queste cose non si badava perché l'investimento industriale era considerato un problema che riguardava il capitale e basta, ma se pensiamo a strade, ferrovie conduzioni di energia elettrica, acqua, gas e altri investimenti di tipo pubblico come i servizi sociali, ci rendiamo conto che non si pu facilmente abbandonare uno stabilimento o intasare maggiormente zone industriali già congestionate.
Nel concludere il mio intervento, mi associo a quanti sollecitano la Giunta e si dichiarano disponibili affinché la Giunta stessa al più presto si metta in condizione di dotarsi degli strumenti minimi indispensabili per avere una azione conoscitiva seria dei problemi del Piemonte.
Accanto a questo riteniamo che il Consiglio Regionale, per dare presto un contributo concreto che non consista soltanto in discorsi di carattere generale, affronti immediatamente la costituzione delle Commissioni consiliari, affinché la Giunta abbia anche un riferimento di natura politica, mentre porta avanti il suo lavoro sul piano tecnico. Oltre a questa indicazione sollecitiamo la Giunta a compiere, nel campo degli investimenti industriali, un'indagine seria, completa e aggiornata, con particolare riguardo alle zone in pericolo che qui sono state ricordate (le valli alpine) in cui la industria è in molti casi invecchiata ma non è questo un motivo per portare alla sua morte che poi lascerebbe tutti quegli strascichi di natura sociale che abbiamo ricordato.
Quindi: iniziare gli studi, un'indagine conoscitiva concreta e il Consiglio è a disposizione della Giunta per dare la sua collaborazione. Per quanto riguarda l'ETI, la relazione dell'Assessore Conti indica notevoli dati già acquisiti; vorrei ricordare però come i lavoratori della Magnadyne, e dell'ETI, nel continuare i colloqui vogliano una loro rappresentanza costantemente presente. E' stato ricordato che la Magnadyne data la sua natura particolare, ha necessità di un continuo dialogo; ciò è necessario per tutte quante le aziende di cui avremo modo di occuparci.
Ricorderò anch'io, come altri hanno fatto, il disegno 1525 del governo sui problemi del Mezzogiorno e delle aree depresse. L'art. 10 è interessante per il principio che afferma. Un dibattito anche nel nostro Consiglio potrà far conoscere qual è il nostro punto di vista in proposito.
Mi pare che qui l'indicazione del disincentivo sia forse troppo rigida e nello stesso tempo troppo scetticistica e non sufficientemente articolata per creare quelle reazioni che si ritengono opportune. Sarà bene che anche su questo la Giunta faccia conoscere il suo pensiero e che il Consiglio si possa pronunciare.
Concludendo, nel dare atto alla Giunta dell'impegno concreto ed inoltre della serietà con cui cerca di documentarsi anche là dove sono difficili le documentazioni, come Gruppo ci dichiariamo soddisfatti delle comunicazioni del Presidente della Giunta e dell'Assessore Conti e stimoliamo la Giunta affinché oltre a realizzare le cose che si sono dette sia sempre presente nelle lotte che riguardano tutto l'assetto economico della nostra Regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Marchesotti, ne ha facoltà.



MARCHESOTTI Domenico

Se l'Assessore Conti nelle conclusioni dell'informazione sulla lotta della Delta, intendeva dire, (come mi è parso di comprendere), che il Consiglio Regionale non deve approvare, ma condannare l'atteggiamento autoritario, antidemocratico e quindi la serrata della direzione approvando e appoggiando, invece, le rivendicazioni operaie, per una nuova classificazione del lavoro e per collocare giustamente l'uomo al centro della produzione, sono d'accordo. E' evidente che se è così non vi è spazio per alcuna mediazione. Noi ci troviamo infatti di fronte, per quanto concerne la Delta, ad un'azienda che non è in crisi, la produzione è in aumento e prevede nei prossimi anni un investimento di cinque miliardi di lire.
Fino a tre anni fa, l'azienda era a completa partecipazione statale ora è a partecipazione mista. Ieri, in un incontro, i sindacalisti ci dicevano che le loro preoccupazioni stanno anche nel fatto che oggi quelli dello SMI sembrano più capaci della passata direzione. In realtà non è così. Vi sono carenze di responsabilità da parte delle partecipazioni statali, perché se è vero come è vero, che in passato il rame veniva a mancare (un sindacalista ci ha detto: "Il rame abbonda grazie al fratello Smith della Rhodesia"), c'è da chiedersi cosa faceva il Ministro del commercio con l'estero quando problemi di questo genere si presentavano di fronte a un'azienda della Finmeccanica.
Alla Delta la lotta in corso è la diretta conseguenza di rivendicazioni articolate e, a nostro avviso, giuste e democratiche, avanzate unitariamente dalla classe operaia. Queste rivendicazioni riguardano: una nuova classificazione del lavoro e la realizzazione di nuovi rapporti all'interno della fabbrica. Sono problemi quindi di cultura e di libertà comunque determinanti per la produzione nel prossimo avvenire. Nella democrazia italiana e con i contratti stipulati, non sono più possibili n tollerabili i rapporti del passato; occorrono orientamenti e rapporti nuovi. Qui sta la dimostrazione del maggior livello culturale, politico e sindacale della classe operaia italiana. Dobbiamo quindi esprimere la nostra solidarietà e condannare l'azienda per la serrata.
Come hanno risposto i padroni dello SMI alla civile battaglia? Hanno risposto andandosene, lasciando l'azienda. Qualcuno ha detto che c'è stata violenza. E' vero, alla Delta c'è stata violenza e c'è tuttora, ma non da parte operaia, bensì da parte dei padroni, i quali non sopportano più la lotta democratica. Questo è un atteggiamento ed un indirizzo che va affermandosi in altre aziende. Stamane su un giornale che non è l'Unità, e l'articolista non è un comunista, si legge: "La storia del fascismo ci dà però un consiglio prezioso: quelli che contano, quelli che decidono e pagano non stanno mai in prima fila, bisogna guardare dietro le quinte cioè dietro i problemi della Nazione, dietro le fantasie sullo Stato ombra dietro i deliri dei reduci in cerca di nuove sconfitte, soltanto così forse sarà possibile capire qualcosa di questo nuovo stupefacente intrigo italiano". Il titolo è "Le bande nere della violenza" con una fotografia di Borghese. Ieri mattina, non ancora a conoscenza delle gravi questioni sulle quali invece ieri pomeriggio siamo stati informati, i sindacalisti ci dicevano che i dirigenti dello SMI assumono generali in pensione e secondo una loro inchiesta sembra abbiano persino un'organizzazione che chiamano (consentitemi di metterlo fra virgolette) "Sifar". Sta di fatto che in una fabbrica toscana dello SMI, l'organizzazione più forte, fino a qualche anno fa, era la CISNAL ed in una di queste fabbriche a fare i comizi non vanno né i comunisti né lo P.S.I.U.P., e neanche i D.C. ma va Almirante. Ci ricordavano ancora che, nel 1921-22, una delle forme messe in atto dai padroni, per abbattere la lotta democratica della classe operaia nelle fabbriche e fuori, fu quella di abbandonare l'azienda. Hanno portato, a sostegno delle loro tesi, alcuni esempi che riguardano altre aziende dell'alessandrino.
Ecco le caratteristiche dei padroni della Delta, padroni che detengono uguale compartecipazione con lo Stato, tuttavia decidono della sorte degli operai o almeno tentano.
Le assemblee elettive di Serravalle Scrivia, di Novi Ligure, il Consiglio provinciale di Alessandria e il nostro Consiglio Regionale hanno espresso la loro solidarietà agli operai, con ordini del giorno approvati all'unanimità o a stragrande maggioranza. Fino ad oggi, i Ministri, il Prefetto, noi stessi, abbiamo dato ragione ai sindacati ed al Consiglio di fabbrica ma la serrata continua. Gli operai non possono entrare, i reparti sono chiusi, così la mensa. L'Assessore Conti ci ha informati che l'altro ieri è stato chiesto di indire un'assemblea, in base allo Statuto dei lavoratori, ma l'autorizzazione è stata negata. Vi sono delle precise responsabilità governative e delle partecipazioni statali, perché credo che il gioco politico-sindacale, che la direzione dello SMI porta avanti, non riguarda solo la Delta.
E' chiaro che la classe operaia è in grado di imporre una trattativa e di ottenere dei risultati, con il metodo della lotta democratica, sulla base delle rivendicazioni avanzate: li hanno ottenuti per l'Italsider, li possono ottenere al Delta. Questo certo pone un problema che riguarda le altre industrie dello SMI ove la partecipazione statale non c'entra ma non si tratta di cifre esorbitanti. Per la Delta, la direzione parla di un onere di 200/250 milioni annui; (il 5 per cento dei 5 miliardi da investire fa, guarda caso, 250 milioni) ma i sindacalisti ci hanno detto che la cosa è trattabile ed è prevedibile un onere inferiore. Tuttavia la direzione fino ad oggi ha conservato il suo atteggiamento illegale. Perciò è evidente che non si tratta di calcoli sulla base di conti economici. Ieri i dirigenti sindacali calcolavano che dai primi di marzo ad oggi l'azienda ha perso con le serrate una cifra superiore a quella richiesta dai lavoratori.
Se è così, e a nostro modo di vedere è così, è chiaro che l'azione trae origine da una posizione politico-sindacale del padronato da condannare perché antidemocratica.
L'Intersind e lo stesso Glisenti, commentando alla TV l'accordo intervenuto tra sindacati e Italsider sulla classificazione del lavoro diceva che era stato costretto ad accettarlo a causa di pressioni di carattere politico.
Sui gravi fatti della Delta occorre che siano investiti, non solo il Ministro del Lavoro, ma anche quello delle Partecipazioni statali, il Ministro di Grazia e Giustizia ed il Governo. L'impressione che i sindacati hanno è che si voglia fare della Delta un banco di prova politico, contro le giuste rivendicazioni della classe operaia, per fermare i nuovi rapporti alle porte delle grandi aziende private. Se così fosse, è chiaro che si pone un problema di carattere politico e non più sindacale.
Ecco perché ci troviamo di fronte a una vertenza di grande importanza il Consiglio Regionale deve riconfermare il suo sostegno all'azione della classe operaia, il Governo ed i vari Ministeri debbono essere impegnati a trovare una soluzione adeguata alle più avanzate condizioni della lotta democratica e ai nuovi rapporti da instaurarsi nelle fabbriche e nella società italiana.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gerini, ne ha facoltà.



GERINI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, devo dare atto all'Assessore Regionale Conti di avere profuso rilevante interesse per la situazione venutasi a creare alla Delta di Serravalle Scrivia, anche per averlo visto recarsi personalmente, a più riprese, nell'alessandrino in visita alle autorità e ai dirigenti degli Enti locali. Attendevo oggi dalla sua relazione le notizie di questi giorni ultimi che mi mancavano. Purtroppo debbo rammaricarmi che la situazione sia ancora allo stato primitivo ed è doloroso vedere 600 lavoratori in una posizione di incertezza a causa di una situazione che si può definire anomala perché nella vertenza che investe la Delta non si è ancora capito bene se si tratta di serrata vera e propria o presunta tale, oppure di occupazione di fabbrica. Non tiene più conto fare la cronistoria del conflitto sorto tra la direzione della società ed i suoi dipendenti. Il dato di fatto più rilevante è che ormai da quindici giorni in quell'azienda il lavoro è fermo. Giovedì scorso in seduta straordinaria ci siamo riuniti al Consiglio provinciale di Alessandria per discutere nelle decisioni eventuali da prendere e il Consiglio ha ascoltato le relazioni dei sindacalisti. Venne concordato e votato un o.d.g. comune nel quale innanzi tutto veniva deplorato il rifiuto della direzione a trattare con i dipendenti in quanto la stessa affermava essere arbitraria l'occupazione dello stabilimento.
Noi riteniamo che la soluzione della crisi non possa venire che dagli organi centrali di Roma, anche perché giova sottolineare che la Delta è al 50 per cento a partecipazione statale (cioè la Finmeccanica) ed al 50 per cento a capitale privato: la SMI di Firenze, mentre alcuni anni fa era totalmente a partecipazione statale, il capitale privato subentrò in seguito per disincagliare l'azienda dalle secche in cui si era imbattuta dandosi poi un programma di lavoro che pare non possa oggi perseguire.
Se gli ulteriori tentativi dovessero cadere nel vuoto, a noi pare che dovrà occuparsene immediatamente la magistratura. Viene però da riflettere sulla buona fede o malafede di taluni dirigenti sindacali quando si accingono ad emettere comunicati quali quello del Presidente provinciale delle Acli alessandrine, come si legge stamane su un quotidiano. In quel comunicato egli richiama demogogicamente alle loro precise responsabilità i dirigenti degli Enti a partecipazione statale e la Intersind, rammentando loro che, comunque, ben diverso è e deve essere il loro scopo, il loro agire da quello dei più retrivi gruppi monopolistici privati... Questo deve fare profondamente riflettere in quanto in materia economica, nella organizzazione industriale, nel modo di affrontare le difficoltà e le incertezze, il gruppo a partecipazione statale non può essere più disinvolto dell'altro gruppo, quello privato. E mentre si accentua la polemica in generale circa il comportamento dei sindacati e degli imprenditori dell'attuale momento economico, suscita interesse l'interrogazione presentata al governo da alcuni parlamentari del mio partito, con la quale si chiede al Ministero dell'industria se era a conoscenza della grave situazione economica delle officine aeronavali di Venezia il cui Presidente, certo Umberto Klinger, si è suicidato il 26 gennaio 1971, per l'impossibilità di pagare i salari dei lavoratori. Per quali motivi, prosegue l'interrogazione, non si è proceduto con tempestività ad arginare la situazione, dato che l'azienda, unica nel suo genere in Italia, e di interesse nazionale occupa 500 lavoratori altamente specializzati. Klinger si era recato a Roma il giorno prima del suicidio per ottenere il pagamento di crediti maturati e commentando lo sciopero dei 500 lavoratori a causa della discontinuità dei pagamenti dei salari avrebbe detto: "La situazione non è disperata, non vogliamo affatto chiudere, bisognerebbe però che vi fosse un iter meno lento dei contratti e vi fossero i normali finanziamenti con tassi meno pesanti". Vede signor Presidente, il suicidio di un imprenditore che aveva servito il Paese in modo esemplare, a causa di una situazione insostenibile per il disordine imperante, riassume l'angoscia di tutti coloro che oggi in Italia vedono vanificata la loro fatica e minacciata la sopravvivenza delle aziende a seguito della confusione e della paralisi politica in cui versa il Paese.
Siamo perfettamente d'accordo che il caso di Venezia, dove un imprenditore si uccide, è completamente diverso da quello di Serravalle Scrivia ove la direzione lascia la fabbrica in mano ai guardiani e rifiuta il dialogo con i propri dipendenti, ma perlomeno dovrebbe far riflettere chi, incautamente nei propri comunicati, fa di ogni erba un fascio.
Noi liberali non approviamo il comportamento della direzione per avere lasciato cadere il dialogo, pur comprendendo che il motivo sta nella formula di compartecipazione mista di capitale ed auspichiamo che tramite il Ministero del Lavoro, il Ministero delle partecipazioni statali, il Ministero dell'Industria e la collaborazione attiva della nostra Regione si addivenga prestissimo alla soluzione del conflitto che soddisfi le due parti, anche perché l'economia della provincia di Alessandria, già in fase di stagnazione, non abbia ulteriormente a soffrirne.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, sarò brevissimo ed eviterò di ripetere i concetti generali che sono già stati espressi dagli altri oratori.
Sempre più spesso esaminiamo i problemi dell'occupazione, del lavoro e dell'industria nella nostra Regione. Vuol dire che, in effetti, la Regione ha una sua particolare incidenza e competenza, ormai unanimemente riconosciuta, in questa materia, che noi riteniamo sia la più importante oggi in campo regionale. Ad esempio, il fatto che sia stato iniziato, per quanto riguarda la Magnadyne, un primo passo verso la soluzione che concerneva ben 3500 dipendenti, e si rifletteva, direttamente e indirettamente per Torino e la Valle di Susa, su circa 50 mila cittadini della Regione, vuol dire che in effetti la Regione ha già assunto un ruolo positivo in questo campo così importante e decisivo per il Piemonte.
Però vorrei soffermarmi su due punti. Qualche mese fa, parlavo con il Presidente Calleri sull'argomento della programmazione, ed egli esprimeva il concetto che era venuto via via formandosi fin dal lontano 1963 dall'inizio della programmazione in campo nazionale, circa il vincolo della stessa. E dobbiamo ritornare a questo concetto del vincolo della programmazione, sia di carattere nazionale che regionale, nel campo dell'economia, nel campo sociale e in quello dei servizi, per uscire dall'impasse che si è usato. Debbo richiamare la vostra attenzione su questo fatto: su 27 o 28 riunioni di Consiglio Regionale, per lo meno la metà sono state dedicate a problemi di questo ordine, il che vuol dire che c'è una spinta veramente importante in questa direzione, spinta che noi eluderemmo se non ponessimo ora dei punti fermi. Io ritengo che sia indispensabile, quindi, fissare un concetto basilare del vincolo in questione, che sia accettato dal Consiglio nel suo insieme: ciò affinch tutta la programmazione che potrà essere portata dalla Giunta all'esame e alla discussione del Consiglio, non diventi il libro dei sogni.
Ricordo che proprio il Presidente affermava che il vincolo doveva essere esteso nel suo insieme a tutte le attività, anche a quelle minori ma che, da un certo livello in su, il vincolo deve essere veramente concreto, operante. Se facciamo un esame dell'economia, dell'industria della nostra Regione, vediamo che è vero quanto ha detto il collega Nesi: il Piemonte si trova collocato in una area europea economica fra le più importanti, però se andiamo a fondo vediamo che forse è un gruppo solo quello che conta, al massimo due che incidono su tutta l'economia della nostra Regione.
Quale può essere il dialogo che possiamo iniziare? Evidentemente soltanto quello del vincolo. La prossima relazione della Giunta dovrebbe essere in questo senso, non possono esserci vie traverse.
In secondo luogo, una delle manchevolezze che rileviamo in questa Regione è quella derivante dall'assenza dell'impresa pubblica, che invece in Lombardia o in altre Regioni ha assunto un ruolo importante. In Lombardia, l'ENI prima andava sotto il nome della Montecatini e della Edison, oggi va sotto il nome di Montedison, ma in sostanza è riuscita a condizionare - non ancora a determinare, ma a condizionare parzialmente gli investimenti nel settore chimico.
In Piemonte tutto questo non esiste, fatta eccezione per il gruppo della Cogne che opera ad Aosta e che ha la sede a Torino, e per la Ilte.
Altre imprese pubbliche di una certa entità, condizionanti rispetto al capitale privato, non ne troviamo. Poiché l'IRI ha stanziato per i prossimi anni 7000 miliardi, speriamo che anche la Regione piemontese ne possa usufruire.
Chiudendo il mio intervento, ribadisco pertanto la necessità che vi sia un vincolo per la programmazione, specie per quel che riguarda l'assetto del territorio e le zone di espansione: altrimenti avremo il solito insediamento nelle zone di Crescentino e di Albiano, avremo la Lancia chissà dove e poi faremo la commissione, chiameremo l'avv. Garino con i suoi esperti tecnici che ci relazioneranno in ordine a quello che fanno, ma non avremo alcun potere direzionale, per cui sempre di più si verificheranno i casi verificatesi in questi ultimi tempi. Chiudo il discorso chiedendo espressamente alla Giunta che nella prossima relazione voglia, su questo punto, essere chiara e precisa.



PRESIDENTE

Non ho altri iscritti a parlare. Dichiaro chiusa la discussione.
Siccome su questa materia il Consiglio Regionale aveva già deliberato quando approvò una mozione sulla crisi della piccola e media industria che coinvolgeva anche gli indirizzi che sono stati discussi in questa seduta ritengo che il Consiglio non desideri approvare nuovi testi che ripetano la stessa cosa. Siccome, d'altra parte, in seguito anche...



CONTI Domenico, Assessore

Siccome sono stati posti dei quesiti, avrei voluto rispondere.



PRESIDENTE

Mi dispiace, ma la discussione è già chiusa.



(L'Assessore Conti insiste)



PRESIDENTE

Allora parli pure. Però pregherei i Consiglieri che vogliono prendere la parola di chiederla prima che la discussione sia chiusa.



CONTI Domenico, Assessore

Chiedo scusa se non sono stato così celere come avrei dovuto.
Naturalmente il mio intervento non ha affatto la funzione di una sintesi del dibattito, ma vuole soltanto rispondere ad alcune domande che mi sono state rivolte.
Mi è stato chiesto da parte del Consigliere Nesi circa le alternative che sono in vista per quanto riguarda la ETI. Mi sembrava di essere stato chiaro nel mio intervento, ma forse eccessivamente sintetico, quindi è sfuggito. Per ciò che riguarda l'eventuale costituzione di una tessitura da 150 a 200 posti di lavoro, è stata ventilata l'ipotesi, una eventualità senza nessun impegno, durante la riunione che c'è stata presso il Ministero del Lavoro con le due parti e con la rappresentanza dei comuni interessati più la partecipazione della Regione e della Provincia. Si tratta di un'eventualità. Esistono già degli studi in proposito: la ETI sta sperimentando dei tipi di telai e sta facendo delle ricerche di mercato per vedere la possibilità o meno di realizzare qualcosa di interessante, per non esiste un impegno. Il Ministro del Lavoro, nel prendere contatto con la direzione, intende portare avanti il discorso per studiare altre eventualità, come quella di creare uno stabilimento di maglieria o di confezione, in sostituzione di quelli che andrebbero chiusi. Siamo verso la visione del problema più organico, nella direzione indicata dal Consigliere Berti, cioè con l'eventualità di un ciclo più completo di lavorazione che assicuri adeguati posti di lavoro e mantenga il livello dell'occupazione.
Il Consigliere Zanone, sottolineando il mio intervento, affermava che da parte mia c'era l'impegno di una verifica conoscitiva. Questo senz'altro, ma (e questo mi pare sia sfuggito), anche l'impegno di continuare un'attiva collaborazione presso gli organi centrali che si stanno interessando del problema rendendo presente, attiva la Regione durante questa fase di trattative.
Il Consigliere Gerini chiedeva notizie nuove. L'avevo già detto ma lo ripeto: c'è una convocazione delle parti per mercoledì presso il Ministero del Lavoro, speriamo che ci sia la ripresa di questo dialogo. Io spero di potervi partecipare per ciò che riguarda la Delta.
Al Consigliere Marchesotti ripeto ciò che ho sostanzialmente già detto: da quanto emerge dai dati raccolti dal colloquio con i sindacati l'atteggiamento della direzione non è accettabile perché suona duro e autoritario e pone i lavoratori in una condizione che essi giudicano una vera e propria richiesta di capitolazione senza alcuna garanzia per il futuro. Il primo passo è che si ritorni al tavolo delle trattative senza imposizioni di sorta.
Circa il riferimento al merito delle richieste, ho detto che si richiede tra l'altro un superamento della distinzione impiegati-operai. In linea di principio, da tenersi presente, come esigenza maturata nella coscienza ormai generale, che bisogna assolutamente riclassificare le forze di lavoro con altri criteri che non siano puramente oggettivo-tecnici, ma tengano conto dell'uomo che lavora e perciò di tutti quei processi di intelligenza, di esperimento, di capacità operativa che l'uomo deve esprimere in ordine alla sua produzione.
La ringrazio signor Presidente e domando ancora scusa della mia intempestività.


Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Siccome sui temi sui quali intendevo fare comunicazioni mi risulta che è in corso di presentazione un documento da sottoporre all'approvazione del Consiglio che perciò mi esenta dall'esprimere l'opinione del Consiglio medesimo in quanto si verificherà su questo documento; siccome, d'altra parte, altre comunicazioni si riferivano allo stato di approvazione dello Statuto della Regione e richiedono la iscrizione all'o.d.g. di un'ulteriore modifica allo Statuto che può avvenire soltanto in seduta successiva, avvalendomi dei poteri che mi sono conferiti dal comma secondo e dal comma terzo dell'art. 20 del Regolamento provvisorio del Consiglio, che consente al Presidente di abbreviare i termini previsti per la convocazione di nuove sedute per motivi di speciale urgenza (qual è il motivo attuale che richiede una lieve modifica dello Statuto in termini brevissimi, allo scopo di consentire al Senato di poter prendere in esame ed approvare lo Statuto della Regione Piemonte il giorno 30 marzo, come è stato garantito ieri al termine della seduta del Senato dal Presidente del Senato), ritengo sia più utile fare le comunicazioni relative allo Statuto nella seduta successiva.
Perciò a momenti toglierò la seduta in corso e riconvocherò il Consiglio a brevissima scadenza, e cioè alle ore 19,30, con l'o.d.g. "Esame dello stato di approvazione dello Statuto della Regione ed eventuali emendamenti; 2) Mozione presentata dal Consigliere Nesi ed altri".
Vi sono osservazioni su questo o.d.g.? Allora il Consiglio è riconvocato in questa sede con, spero, il numero legale necessario per approvare eventuali modifiche dello Statuto che è di 26 Consiglieri almeno alle ore 19,30 con l'o.d.g. testé comunicato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,20)



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