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Dettaglio seduta n.30 del 09/03/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Il Consigliere Borello ha chiesto congedo per questo pomeriggio.



PRESIDENTE

Desidero ricordare ai signori Consiglieri che non lo abbiano ancora fatto che non si è ancora potuto procedere alla stampa dei resoconti stenografici persino delle sedute che si riferiscono allo Statuto perch alcuni degli intervenuti non hanno provveduto a restituire i loro testi corretti. Li pregherei di affrettarsi alla consegna.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni - Presidente della Giunta Regionale

Elezione del Presidente della Giunta e della Giunta Regionale (seguito della discussione)


PRESIDENTE

Proseguiamo ora la discussione iniziata questa mattina sul secondo punto dell'odg : "Elezione del Presidente della Giunta e della Giunta Regionale".
E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi; ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo, Assessore regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, mi sembra che negli interventi di questa mattina la discussione sul documento presentato dai Partiti di centro-sinistra per la elezione della Giunta si sia un po' allargata rispetto al livello e al piano nel quale il documento cercava di fissare e di puntualizzare l'impegno dei Partiti in ordine alla costituzione della Giunta. Il documento voleva essere, ed è, una dichiarazione di volontà politica e di metodo per l'attuazione di quella che è stata chiamata la seconda e nuova fase costituente della Regione. Mi sembra che negli interventi dei Consiglieri comunisti - Rivalta, Marchesotti e Sanlorenzo che hanno parlato finora ci sia stato uno sforzo di allargare questo discorso e di collegarlo a momenti di più ampio respiro politico nazionale e di politica economica non solo nazionale, e di organizzazione di rapporti fra la Regione e gli Enti locali ai livelli inferiori. Invito interessante per i molti spunti che ci sono stati dati, di rilievo per alcune indicazioni che sono state portate, in parte contraddittorio (cercherò poi di spiegare in che cosa a mio avviso lo é); ma certamente un invito che ritengo dobbiamo accogliere per approfondire un discorso che è da fare e che dobbiamo cercar di fare e di articolare per chiarirci reciprocamente idee, posizioni e prospettive di lavoro di questa Regione che andiamo costituendo.
In sostanza, mi sembra che in questi tre interventi il momento di attuazione della Regione sia collegato ad una serie di elementi politici di vario tipo e di vario livello che cercherò di schematizzare: il discorso generale sulla situazione politica del Paese, con riferimento al centro sinistra, alle volontà politiche in atto e così via; il momento della Regione in rapporto con la programmazione nazionale; il rapporto tra l'azione della Regione e il disegno più vasto di pianificazione; e il discorso della Regione nei suoi rapporti con gli enti territoriali a livelli inferiori. Con questo tentativo di sistematizzazione, che indubbiamente può essere parziale, posso non aver colto certi dati collegati a tutto quello che è ovviamente il bagaglio politico del momento del Partito comunista, quindi il collegamento anche al discorso, alla iniziativa, allo sviluppo delle lotte per le riforme, al discorso della partecipazione. Di qui, evidentemente, un certo tipo di interpretazione di modi d'essere della Regione al suo interno e di articolazione della vita regionale e dei rapporti tra gli organi regionali al suo interno.
Mi sembra che tutte queste cose vadano colte e si debba cercare di rispondere con una globalità di discorso che permetta di confrontare e di approfondire questo discorso proprio in quanto, ripeto, taluni elementi che sono stati richiamati sono importanti e meritano ulteriore approfondimento.
Cercherò, quindi, di riprendere in maniera sistematica tutti questi elementi per vedere di collegarli al discorso politico che i Partiti di centro-sinistra hanno voluto iniziare con questo documento e che più correttamente e molto ampiamente certamente la Giunta farà nel quadro delle dichiarazioni programmatiche che presenterà nei prossimi mesi al Consiglio Regionale. Non c'é dubbio che tutto questo è terreno di discussione e di confronto, al limite anche di scontro, con il Partito comunista, che ha dimostrato di avere in queste cose un disegno politico e di riproporlo qui nelle forme che sono caratteristiche della azione politica che esso ha già svolto in questi anni nel nostro Paese.
Direi che il discorso del centro-sinistra in questi anni fa tutt'uno con il discorso della programmazione economica. Il centro-sinistra, mi sembra, è nato, almeno come disegno della sinistra laica, cioè quella che si colloca fra la Democrazia Cristiana e il Partito comunista, dal '58 al '63, come tentativo di inquadrare i problemi di sviluppo del Paese in una maniera organica e con un tipo di risposta che fosse anche una risposta verso il Partito comunista, non per isolare il Partito comunista - perché è certamente illusorio parlare, nel nostro Paese, nelle nostre condizioni, ed è tra l'altro assurdo, di problemi di isolamento del Partito comunista ma certamente come proposta di una politica articolata e guidata di sviluppo del Paese che si contrapponesse ad un disegno politico del Partito comunista, disegno che aveva cominciato ad elaborare Togliatti con i discorsi della lunga marcia del Partito comunista italiano e che si è venuto articolando in atti politici precisi. Ed era un tentativo di caratterizzazione di una presenza nel mondo politico italiano che avesse una sua fisionomia rispetto al disegno comunista e rispetto anche alla posizione della Democrazia Cristiana, posizione importantissima di centralismo democratico, cioè di partito che per la forza elettorale, per la collocazione politica eccetera aveva, ed aveva avuto, il problema di mediare, di garantire uno sviluppo equilibrato del Paese, aperto a prospettive nuove ma rispetto alla quale i Partiti di sinistra non comunista, con il disegno della programmazione economica, hanno tentato di introdurre una caratterizzazione ed una capacità di sviluppo proprie.
Direi che il discorso della programmazione economica, da questo punto di vista, in fondo è fallito in questi anni: oggi si tenta di riprenderlo in altre forme. E la ragione del disimpegno del Partito repubblicano a livello nazionale è proprio qui, a mio avviso: un tentativo, in una situazione in cui si va acuendo una divaricazione di ipotesi, di prospettive politiche, specialmente fra i due tronconi socialisti, di richiamare con più forza, direi con una forza che il Partito repubblicano in sede parlamentare e governativa, all'interno del Governo, non riusciva più ad avere, a questo disegno originario del centro-sinistra, a questo disegno che deve riportare ad una autonomia e ad una capacità di sviluppo politico queste forze, disegno che sappia contrapporsi, ripeto, ad un disegno del Partito comunista che mi sembra diverso. Il Partito comunista in Italia, in questi anni, si è mosso, direi, su una direttrice politica che ha alle sue spalle, fondamentalmente, mi sembra, due tipi di implicazioni, di interpretazioni politiche, di volontà politiche: una è il collegamento con il mondo comunista dell'Europa orientale, con il movimento internazionale (non è questa la sede per discutere di politica internazionale, perché altrimenti varrebbe la pena di discutere e criticare questo fatto caratterizzante, che è ragione di molte contraddizioni del Partito comunista nel nostro Paese, ma è certamente una caratterizzazione che dà ad esso anche peso, potere, forza); l'altra è il discorso dell'unità di classe, della lotta delle riforme attraverso l'unità di classe, che è un altro tipo di caratterizzazione, mediato dal tradizionale patrimonio marxista-leninista ma che nel nostro Paese, rispetto al discorso della programmazione economica e al discorso che poi il centro-sinistra nel suo insieme è andato articolando, non è stato, mi sembra, fonte di poche contraddizioni, perché evidentemente è un tipo di discorso e di prospettiva politica che ha un senso in una prospettiva rivoluzionaria, in una situazione propria e tipica di Paesi nei quali ci sia effettivamente un potenziale rivoluzionario. E' un discorso che, invece, in un Paese dove ci sia spazio e possibilità, dove può avere solo legittimità una politica riformista in senso buono, nella accezione giusta e democratica di questo termine, almeno negli ultimi anni ha finito con il dare, mi sembra all'azione del Partito comunista una dimensione di carattere esclusivamente e prettamente rivendicativo, con il contribuire in parte a far saltare una logica di programmazione. Logica di programmazione che significa, è chiaro logica di scelte, capacità di indicare delle priorità, di respingere delle richieste a vantaggio di altre esigenze che siano valutate come prioritarie, capacità, quindi, di dare coerenza ad una azione di governo e di sviluppo democratico del Paese.
Perché dico queste cose? Perché mi sembra che tutti questi problemi tutti questi elementi si ritrovino nel tipo di discorso che il Partito comunista ci ha fatto qui oggi. Però, con alcune novità, che, ripeto, è interessante cogliere e cercar di interpretare. Cioè, mi sembra che il tipo di argomentazioni che abbiamo sentito portare qui oggi si ricolleghino in parte a questo tipo tradizionale di impostazione del discorso politico del Partito comunista, così rivendicativo, e che porta avanti indistintamente tutta una serie di pressioni così spinte e dall'altro invece sia obiettivamente un discorso che introduce degli elementi di novità, come novità ci sono state, mi sembra, in tutta una serie di prese di posizione e di indicazioni politiche, prime fra tutte alcune che sono state fatte dal Vicesegretario del Partito comunista italiano in questi ultimi due anni proprio in rapporto a questo discorso di uno sviluppo economico globalmente coordinato all'interno del Paese come strategia di riforma e di sviluppo di una politica democratica nel nostro Paese.
Cosa ritengo che si possa e si debba accettare, come elemento di novità, e cosa invece si debba precisare come motivo che suscita preoccupazione, e ad un certo punto dissenso, nei discorsi che abbiamo udito? Il concetto, in sostanza, della collocazione della Regione nel contesto della politica programmata nazionale. Vediamo di analizzare con ordine quali sono questi problemi di rapporto tra la Regione, il Governo nazionale e l'azione programmata che il Parlamento e il Governo dovrebbero portare avanti. Stamattina si accennava alla preparazione del nuovo piano quinquennale a livello nazionale. Che cosa legittimamente può aspettarsi e che ruolo deve rivendicare la Regione? Evidentemente, la Regione pu richiedere che si inneschi un certo tipo di rapporto fra Governo nazionale e Regione, che veda la Regione come elemento che dopo una prima elaborazione del piano possa intervenire per sollecitare eventualmente indicazioni e soluzioni più aderenti ad un certo tipo e ad un certo quadro di esigenze regionali. Ma evidentemente questo è un meccanismo di carattere iterativo, che non può protrarsi molto nel tempo e che comunque presuppone un momento elaborativo che è fondamentalmente un momento di elaborazione dell'Ufficio del piano nazionale; e che presuppone, soprattutto, da parte della Regione, a nostro avviso, la consapevolezza di svolgere un ruolo a secondo livello, necessariamente subordinato, non autonomo, rispetto alle decisioni di carattere nazionale. Momento prioritario è certamente il momento delle decisioni a livello governativo e parlamentare, di dibattito parlamentare a livello nazionale, che deve dare le grandi indicazioni di sviluppo del Paese; decisioni e indicazioni che la Regione deve poi recepire anche nei limiti che queste obiettivamente possono porre alla sua azione. Il discorso della Regione si colloca effettivamente a questo secondo livello: cioè la Regione ha, deve avere, una sua autonomia di iniziativa e di decisione, in questa seconda fase, come momento di organizzazione sul territorio degli interventi e del tipo di decisioni che il Parlamento ha articolato, ha deciso, a livello parlamentare, avendo partecipato a dare tutte le indicazioni che essa deve giustamente dare per fornire un quadro conoscitivo completo alle Camere delle esigenze locali.
Qui torna a proposito un tipo di discorso di rapporti fra la Regione e gli enti territoriali ai livelli inferiori che stamattina è stato accennato e che secondo me va ripreso, perché nel momento in cui la Regione acquisti effettivamente questa dimensione e questo tipo di iniziativa politica cioè quello dell'ente che coordina e organizza, se necessario, gli interventi pubblici sul territorio verso determinati obiettivi di sviluppo di assestamento territoriale, di equilibramento territoriale evidentemente qui si instaura un tipo di rapporto fra le Regioni e gli enti territoriali a livello inferiore che dev'essere correttamente inquadrato in questa logica e non può essere accolto nel quadro dell'accettazione di rivendicazioni di autonomie locali o di dimensione di autonomie locali che non rispettino questo tipo di logica.
E' stato ampiamente accennato, nella dichiarazione programmatica dei Partiti di centro-sinistra, che il problema dei controlli per gli Enti locali a livelli inferiori si deve porre in maniera assolutamente diversa cioè la maggior parte dei controlli dev'essere nei limiti del possibile abolita: è perfettamente assurdo che si facciano controlli di legittimità sugli atti amministrativi, come la nomina di Commissioni comunali, o di rappresentanti dei Comuni in certi enti, o cose di questo genere, ma evidentemente non si può rivendicare in questa dimensione della pianificazione e della programmazione, che ritengo sia quella che in linea di massima tutti possiamo accettare, una sottrazione totale degli Enti locali ad un controllo di merito, che ha un senso se effettivamente è un controllo di congruenza con le linee di sviluppo, di organizzazione territoriale, di politica urbanistica che ad esempio la Regione si è data che non deve evidentemente significare prevaricazione degli Enti locali tutt'altro, nella misura in cui devono partecipare a questa elaborazione attraverso i piani comprensoriali, gli organi comprensoriali, il tipo di decisioni e di rapporti che si deve stabilire con le Regioni, ma che deve evidentemente presupporre, in ultima analisi, dopo tutto questo processo partecipatorio e decisionale, una responsabile accettazione di una serie di vincoli, di direttive di sviluppo che la Regione deve riuscire a dare.
Dico questo perché mi è sembrato di cogliere, in alcune argomentazioni svolte non ricordo più bene se da Marchesotti o da Rivalta, un tipo di preoccupazione e sollecitazione diverso, che secondo me si inquadra ancora in quel tipo di dimensione che io ho chiamato rivendicativa dell'azione del Partito comunista: cioè, un tentativo di portare avanti una serie di richieste settoriali, di spingere avanti un discorso di rivendicazione di autonomie, di dimensione autonoma degli Enti locali che se è visto in questa luce e concepito in questo modo è evidentemente un discorso che al limite rischia di portare, invece, ad una disarticolazione delle prospettive di politiche programmatorie a livello regionale. Anche il discorso della partecipazione, al limite, è un discorso che deve avere da questo punto di vista tutta una sua articolazione, una articolazione anche di carattere istituzionale, come esigenza e metodo di lavoro della Giunta nel raccogliere le esigenze, nel configurare, nell'elaborare le linee del piano, della pianificazione regionale, deve significare da parte del Consiglio, nel momento in cui il Consiglio sia chiamato ad esaminare ed a decidere atti di rilevante importanza legislativa e programmatoria l'attenzione verso tutta quella esplicitazione di esigenze che la comunità regionale ci deve dare. Ma deve evidentemente essere, questo della partecipazione, un discorso pronto a recepire tutti gli elementi conoscitivi e tutte le spinte e le richieste che devono nascere dalle varie categorie, dalle varie zone della Regione; un discorso che non può invece essere ovviamente accettato come un discorso legato ad una dimensione, ad un tipo di azione politica che non rivendichi poi il momento della programmazione come momento di scelte che diano effettivamente, ed abbiano capacità di dare effettivamente, ordine, logica e quindi una risposta organica ma anche di scelta a queste spinte che nascono dai vari settori del Paese.
Tutte queste cose erano in parte contenute, mi sembra, nel discorso in particolare di Sanlorenzo, ma sono tutte cose che mi sembra in prospettiva noi dobbiamo riuscire ad esplicitare, ad approfondire come discorso di metodo, come discorso di azione politica. Anche per chiarire, direi, qual è l'esatta dimensione, il tipo di rapporti che si devono instaurare tra la Regione e gli organi nazionali, e la esatta dimensione dell'azione che dobbiamo arrivare ad articolare nella Regione. Anche rispetto agli organi nazionali dello Stato, e direi alle politiche generali del nostro Paese bisogna fare molta attenzione. Nel discorso di Sanlorenzo era contenuto un elemento che mi sembra molto importante, l'attenzione verso i momenti di politica europeistica che si vanno organizzando. Mi sembra che se quello che ha detto Sanlorenzo, ad esempio, sulla unificazione monetaria europea significa una spinta per bloccare, o per cercar di interferire in senso limitativo, questo processo, questo diventa un discorso inaccettabile. Le argomentazioni che Sanlorenzo ci portava, a mio avviso, hanno valore in altro senso, cioè che evidentemente, al di là di questa dimensione di politica internazionale, che è una dimensione, ripeto, finanziaria tecnocratica, ci dev'essere la realizzazione di momenti di unità politica europea, cioè che creino il contrappeso politico a certi fatti tecnocratici, finanziari, economici, cioè che creino, anche a livello europeo, il potere politico effettivo di limitare, se mai, quel tipo di possibilità, che indubbiamente ci sono, di determinare attorno alla creazione di istituti economici comuni all'interno dell'Europa occidentale una possibilità di espansione di politiche monopolistiche al di fuori di effettivi controlli politici. Questo, ripeto, è un altro tipo di contraddizioni che mi sembra vada rilevato: se non di contraddizioni, di elementi che devono essere portati avanti in questo discorso di approfondimento del rapporto tra Regione e Governo nazionale.
Direi, peraltro, che all'interno della Regione tutto questo tipo di discorso che io facevo, di tentativo di individuazione di quello che a nostro avviso può essere più o meno accettabile nel tipo di istanze che il Partito comunista ha voluto farci presente nel corso di questo dibattito c'é un altro ordine di problemi, che noi dobbiamo attentamente esaminare.
Ci viene detto che il momento del lavoro e della elaborazione nelle Commissioni deve diventare un momento fondamentale nella organizzazione della partecipazione, ma per la elaborazione di certe direttive di carattere politico regionale: evidentemente, anche questo è un discorso che abbisogna di chiarimenti e di confronto di posizioni. Perché il ruolo che all'interno della Regione abbiamo voluto assegnare al lavoro delle Commissioni è un ruolo di carattere legislativo sugli atti regionali, ma il momento delle elaborazioni politiche è il momento o consiliare o, direi del lavoro di Giunta. Cioè, il discorso di carattere istituzionale che da questo punto di vista è importante chiarire è che ci dev'essere una estrema attenzione nel vedere ben nette le distinzioni di poteri tra gli organi che la Costituzione ha voluto precisare, che il nostro Statuto ha indicato all'interno della vita regionale. Cioè, c'è un momento che a me sembra fondamentale, che è il momento della Giunta, un momento di elaborazione e di indicazione di lavoro amministrativo, tipico della maggioranza in quanto tale; e c'è, al di là di questo, un momento di organizzazione della vita del Consiglio, nel quale il momento veramente politico è il dibattito consiliare, non il momento di analisi e di studio dei problemi in seno alle Commissioni, che devono accettare la dimensione legislativa e referente che lo Statuto ha voluto loro assegnare. Ho fatto una serie di considerazioni non certamente molto organiche nel loro insieme, che volevo consegnare a questo dibattito, e che evidentemente, per il tipo di considerazioni che sono state svolte oggi in Consiglio, hanno una loro logica, un loro collegamento, che richiedono uno sforzo di approfondimento organico e che investono certamente non solo gli aspetti interni di metodo di vita della Regione da noi sottolineati nel documento dato al Consiglio ma momenti più vasti di organizzazione di una politica di sviluppo economico nel Paese che noi non possiamo non accettare e non cercar di sviscerare in questo discorso.
Ritengo di dover ancora chiarire al Consiglio, proprio perché è stato oggetto di un certo tipo di considerazioni e di rilievi, il ruolo che il Partito repubblicano ritiene di poter sostenere oggi, in questa fase della vita regionale. Ho già detto prima che il Partito repubblicano ha ritenuto di dover abbandonare i suoi impegni di governo proprio perché riteneva che il disegno, il discorso politico, il tipo di contrapposizioni e di azione che si sta realizzando a livello parlamentare, sia ormai troppo distante dal disegno originale del centro-sinistra, al rispetto del quale noi ci vogliamo con coerenza centralmente richiamare. La divaricazione tra gli impegni che in sede di Governo le forze di centro-sinistra assumono e l'azione che poi in concreto in Parlamento si viene realizzando, con azioni divergenti e contrarie ai progetti di riforma che con un minimo di organicità il Governo si dà, è troppo lampante, e, direi, dà ormai troppo poco spazio al tipo di istanze e di sollecitazioni che noi abbiamo sempre portato, perché il Partito repubblicano non si ritenesse in dovere di sottolinearlo e di disimpegnarsi dal Governo per poter riacquistare maggiore forza in questo tipo di proposta politica che, ripeto, secondo noi, in prospettiva è l'unico tipo di proposta politica che pu correttamente mettere le forze di centro-sinistra in forma seria e costruttiva in rapporto con il Partito comunista.
Ma direi che questo significa che da parte nostra non può mancare, in un momento altrettanto importante di articolazione della riforma delle strutture dello Stato e di articolazione di questo discorso di politica programmata nel nostro Paese, l'impegno del Partito Repubblicano, in una fase, ripeto, costituente come questa a livello degli enti regionali: non potrà mancare nella misura in cui questa volontà, questa capacità di coerenza e di confronto non manchi anche negli istituti regionali. E' un momento istituzionale troppo importante perché una forza come la nostra non senta il dovere di dare il proprio contributo, nella misura in cui questo sia possibile, corrisponda effettivamente ad un disegno coerente. E noi riteniamo di poter collaborare, con il nostro aiuto e il nostro impegno diretto, in questa sede, al mantenimento degli impegni che fino ad oggi le forze di centro-sinistra complessivamente hanno assunto attraverso questo documento, le dichiarazioni programmatiche, le finalità più volte dichiarate.
Vorrei concludere sottolineando anch'io che a nostro avviso il disegno delle riforme che oggi preme nel nostro Paese è un discorso che necessariamente si salda e diventa tutt'uno, anche, in molti campi ed in molti settori, con il discorso della attuazione delle Regioni, di una corretta attuazione di questo istituto che incomincia oggi a prendere l'avvio. Non c'è dubbio, proprio per quello che dicevo prima, cioè per la necessità che la Regione si ponga come organo operativo delle decisioni di politica programmata e di coordinamento di tutti gli interventi sul territorio, che questo istituto dovrà necessariamente avere un ruolo importantissimo in tutta una serie di settori: la politica della casa quella della sanità eccetera. Direi che è il momento prioritario rispetto al quale questo discorso delle riforme, poi, nella sua concretezza locale deve essere un discorso di completamento, di rifinitura. Oggi è certamente in Piemonte, il discorso dell'organizzazione del territorio dell'equilibramento del territorio; rispetto al quale io credo che l'invito, e direi l'auspicio, che ci veniva dal discorso di Sanlorenzo, sia un auspicio che si può pienamente condividere. Cioè, nella concretezza dei problemi io credo che si possano trovare obiettivamente ampie convergenze fra tutte le forze che hanno dato la loro approvazione allo Statuto regionale, nel senso che evidentemente il problema del Piemonte é, in maniera così enormemente chiara, il problema di riequilibramento della struttura produttiva ed urbanistica, di localizzazione, di una diversa politica e concezione di localizzazione degli investimenti, che non c' dubbio che una politica regionale che, com'é stato dichiarato nel documento che è stato presentato, abbia questo respiro, questa volontà, questo tipo di indirizzi politici, non può non essere una politica che abbia una grossa forza alle spalle e grosse possibilità di convergenza. Non c'é dubbio che questo discorso passa attraverso una legislazione urbanistica, anche e soprattutto di carattere regionale, che introduca strumenti, metodi di lavoro nuovi, e una capacità di inquadrare lo sviluppo industriale del Piemonte in una logica diversa, non più spontanea ma questa volta coordinata; logica che non deve significare e non potrà significare un inceppamento di questo meccanismo di sviluppo e una volontà punitiva nei confronti di certi settori dell'economia piemontese, ma certamente un richiamo preciso, una volontà precisa di ricondurre sotto controllo politico tutte le variabili che nel meccanismo di sviluppo di una Regione come la nostra si vanno organizzando.
Il problema fondamentale, però, è inutile negarcelo, è il problema dei tipi di potere che il Parlamento e il Governo vorranno assegnare alle Regioni. Perché non c'è alcun dubbio che su talune importantissime materie come sono la materia urbanistica, o l'agricoltura, o il problema dei trasporti, e così via, se non si arriverà a decreti di trasferimento delle funzioni amministrative, o a leggi-cornice che diano strumenti concretamente operativi, potrà certamente organizzarsi una politica di pressione, direi di contrattazione articolata eccetera, ma questa rischia inevitabilmente di rimanere zoppa in mancanza di una volontà di realizzare una riforma dello Stato che trasferisca dallo Stato alle Regioni degli strumenti di carattere operativo concreto e delle possibilità legislative concrete, da questo punto di vista.
Quindi, io credo che, al di là delle volontà che noi oggi abbiamo voluto esprimere, indicare, e che il dibattito mi sembra poco alla volta vada raccogliendo, ci deve essere anche un impegno di pressione sul Parlamento e sul Governo perché un disegno di questo genere, così completo e con volontà politiche chiare da questo punto di vista, si realizzi. Io credo che sia questo un impegno fondamentale che nei prossimi mesi tutte le forze presenti in questo Consiglio possano accettare di portare avanti.
Direi che al di là delle volontà che noi possiamo esprimere, al di là delle indicazioni che potranno emergere da questo tipo di dibattito, al di là del lavoro che la Giunta potrà o saprà portare avanti, i prossimi due o tre mesi, da questo punto di vista, saranno davvero estremamente importanti per la realizzazione di tutte queste possibilità; e quindi credo che la raccomandazione che si possa rivolgere alla Giunta, ma che involge certamente tutto il Consiglio, sia una rivendicazione di estrema attenzione verso questo tipo di problemi, e un invito a tutte le forze politiche ad una azione veramente coordinata perché questo tipo di condizioni, che sono veramente fondamentali per la vita della Regione, si possano concretamente realizzare.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Lo Turco; ne ha facoltà.
LO TURCO Giorgio Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi inserisco in questo dibattito perché tanto negli interventi che sono stati finora svolti quanto nel documento a noi consegnato, che ho letto attentamente, non ho trovato nulla che richiamasse alla memoria i dibattiti già avvenuti in questa sede su un grosso problema, che è oggi all'ordine del giorno dell'opinione pubblica, in specie di tutti i lavoratori, suscitando vaste correnti di opinione e formando il substrato di base per quasi tutte le lotte che i lavoratori stanno oggi conducendo nel Paese. Intendo riferirmi alla riforma sanitaria.
Io speravo di rilevare nel documento presentato dalla maggioranza qualcosa di più chiaro in proposito: l'argomento vi è invece liquidato in una parola sola, "salute". Non si dice come si intende operare e lavorare in rapporto al problema della salute.
Già in altre occasioni, come dicevo, abbiamo dibattuto i temi della salute e delle iniziative necessarie per dare una risposta alla richiesta che nasce dal Paese, da tutti i cittadini ed in particolare dai lavoratori che con le loro lotte, e con i risultati conquistati, dimostrano che lo scontro in atto nelle fabbriche non è più soltanto in relazione al problema salariale - anche se quello del salario rimane tuttora un problema irrisolto - ma alla crescita di una coscienza nuova sui grossi problemi sociali e civili del nostro Paese, al cui esame non è più possibile sottrarsi, sui quali bisogna misurare idee e contenuti e soprattutto la volontà politica di concreta e positiva risoluzione. Tra questi problemi è in primissimo piano quello della salute, inteso nel senso più vasto della parola.
Questa coscienza nuova sta a dimostrare che la riforma sanitaria è profondamente attesa da tutti e che la Regione può e deve giocare un ruolo decisivo nel proporre un tipo di riforma sanitaria piuttosto che un altro.
Se questa volontà esiste, bisogna che il Gruppo che si presenta come maggioranza lo dica, lo precisi, bisogna che sia esplicitata. Fino a questo momento essa non emerge molto chiaramente, né dal documento, né dai discorsi che si sono susseguiti. Occorre invece che riaffermiamo in modo ben evidente che la nostra convinzione è che non può esserci progresso sociale e civile, né sviluppo democratico, se non viene tutelato con ogni mezzo il bene primario dell'uomo, che è la salute.
Nel dibattito sullo Statuto questo problema è stato vivo e presente a tutte le forze democratiche del Consiglio, determinando una larga convergenza unitaria, che si è concretizzata nell'art. 6. Noi ci auguriamo che questa unità di propositi permanga e dia buoni frutti, e per parte nostra assicuriamo di voler dare, come nel passato, tutto il nostro contributo in questa direzione. Dev'essere però chiaro fin d'ora che non defletteremo dal nostro impegno e porteremo avanti la lotta con tutti i lavoratori, che chiedono soltanto maggior giustizia nel nostro Paese, e vogliono si sappia che non sono più disposti a mettere la loro salute a repentaglio per servire il profitto capitalistico ed esigono un servizio sanitario capace di prevenire le tragiche situazioni di cui si è testimoni quotidianamente nelle fabbriche e ponga fine all'andazzo per cui, secondo un detto coniato dagli studenti di medicina e fatto suo dal movimento operaio, "la fabbrica ferisce, la mutua finisce".
Se siamo consapevoli di questo, dobbiamo sentire la necessità e anzi l'urgenza di passare dalle enunciazioni alla formulazione di proposte concrete e alla assunzione di impegni che mettano la Regione nella condizione di svolgere il ruolo che le compete, così come altre Regioni hanno già fatto con il documento votato il 2 febbraio a Bologna, che proponiamo come punto di partenza, svolgendo nei confronti del Governo tutta la pressione necessaria affinché esso dia vita ad un servizio sanitario nazionale nello spirito del dettato costituzionale, che attribuisce allo Stato il compito della tutela della salute, inteso non solo come impegno di assicurare a tutti i cittadini il più alto ed uniforme livello di assistenza sanitaria, un adeguamento del numero dei posti letto negli ospedali (quando dovessimo andare in ospedale la nostra sorte sarebbe già segnata) ma prima ancora e soprattutto di intervenire per prevenire l'insorgere delle malattie, meglio ancora per promuovere lo sviluppo dello stato di benessere psico-fisico del cittadino.
L'affermarsi della esigenza che la tutela della salute deve esprimersi nella globalità delle prestazioni di prevenzione, di cura e di riabilitazione, dev'essere integrata e sviluppata con l'indicazione dei compiti del servizio sanitario nazionale, in termini che, affermando l'obiettivo di modificare la condizione sanitaria del Paese, definiscano come prioritario il dovere di intervento atto a modificare l'ambiente per eliminare la nocività, a cominciare dai luoghi di lavoro. Intervenire sull'ambiente di fabbrica e sui processi produttivi industriali per imporre le modifiche radicali necessarie per la salvaguardia della salute, in primo luogo dei lavoratori e in genere di tutti i cittadini, è infatti il primo e principale impegno che deve avere un servizio sanitario nazionale che prima ancora di assicurare la cura delle malattie le prevenga, andando alla radice delle cause che provocano danni irreparabili alla salute, andando a colpire all'origine questi guasti, e nelle fabbriche moderne e nella cosiddetta moderna organizzazione del lavoro, dove si compie ogni giorno il dramma per tanti lavoratori e per le loro famiglie attraverso il flagello di cui anche queste pagano le conseguenze, delle affezioni degenerative.
Nelle sue comunicazioni il Presidente Vittorelli ci ha letto questa mattina l'ordine del giorno presentato da lavoratori per la morte di un loro compagno. Sono ancora molti, è purtroppo questa la realtà, i lavoratori che muoiono nelle fabbriche. Vorrei citarvi in proposito alcuni esempi significativi, anche se so benissimo che, essendo tuttora operaio in attività presso la Pirelli, potrei dover pagare con la perdita del posto di lavoro la loro denuncia, la loro divulgazione: non è certo questo timore che possa farmi tacere.
Nelle fabbriche, in special modo della gomma, i lavoratori corrono gravi pericoli in conseguenza dei moderni sistemi di lavorazione. Quelli della Michelin, ad esempio, lottano da quattro mesi per essere protetti contro l'eptano, che provoca l'essiccazione delle vie respiratorie: non vi è un ente di Stato o di ricerca scientifica di medicina del lavoro che sappia dire come si possa difendersi da questa sostanza, come la si possa eliminare, tale è la carenza che abbiamo oggi nella medicina preventiva e nella medicina del lavoro. Sono in uso, poi, alcune sostanze dannosissime come la parafenilendialina, un accelerante che fa si che una gomma anzich impiegare mezz'ora a cuocere e vulcanizzare, possa esser pronta in cinque persino tre minuti, ma che provoca gravi lesioni ai polmoni. Un altro ingrediente pure usato nella fabbricazione della gomma provoca la distruzione dei globuli rossi fino alla leucemia. E noi sappiamo come tutte le malattie che interessano il sangue possano diventare malattie ereditarie, e quindi, oltre ad avvelenare l'organismo di chi direttamente le contrae, si tramandino per generazioni. Nelle fabbriche noi stiamo preparando generazioni di ammalati.
Non è allora questione, caro collega Gandolfi, di slogan adottati dal Partito comunista per i discorsi dei suoi rappresentanti: sono i lavoratori, in questo caso il Consiglio di fabbrica dei delegati della Pirelli, con 145 firme di operai, che da mesi lottano per le malattie che rischiano di contrarre in fabbrica, a chiedere al Governo, al ministro Colombo, che fine ha fatto lo Statuto regionale piemontese, perché non viene applicato l'art. 6; firme scritte in calce a ordini del giorno vergati su fogli di carta di fortuna, reperiti nei raparti durante le assemblee. Il ministro Colombo non risponde, preferisce tacere su queste cose. In mezzo a questi problemi noi viviamo, perché ci teniamo a diretto contatto, quotidianamente, con la realtà di vita dei lavoratori. E se proponiamo un dibattito sui temi della salvaguardia della salute è proprio perché partiamo da una realtà costatata, non fondiamo i nostri discorsi su concetti nebulosi, su slogan adatti a fare belle sparate oratorie. Non è questione di posti letto, di vaccini: mia figlia è vaccinata contro la poliomielite e la difterite, ma so benissimo che quando l'avrò fatta entrare in una fabbrica, fra quattro anni, perché non potrò mandarla all'Università, e sarà inserita in un reparto di produzione, sarà esposta anche lei al pericolo di contrarre la leucemia o il cancro alla vescica come tanti altri lavoratori. Meno di quarantott'ore fa, durante un'assemblea, un lavoratore mi faceva notare su di sé le conseguenze penosamente evidenti del cancro alla vescica. Questa è la drammatica realtà che abbiamo nelle fabbriche: non sono slogan, ripeto, non si tratta di vaccini e neppure di posti letto, perché quando per il lavoratore viene il momento di occupare, un posto letto è soltanto per essere aperto e subito richiuso da un chirurgo, e non gli rimane che sperare nella generosità dei compagni per una bella colletta, nella fanfara e in un mazzo di garofani rossi.
Noi riteniamo e proponiamo che l'organo principale di attuazione di questi compiti debba essere la Regione, che ad essa vada attribuita la piena e completa potestà legislativa su tutta la materia sanitaria. Allo Stato resteranno i compiti legislativi, come la regolamentazione della produzione dei farmaci; ma per altre materie, come l'igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro ed altre in cui sia necessario determinare sanzioni penali, le funzioni legislative centrali dovranno limitarsi a dettare norme di carattere fondamentale, lasciando alla Regione la competenza normativa ed integrativa, come dispone l'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione. Alla Regione devono competere anche tutte le funzioni amministrative relative alla materia sanitaria in cui abbia competenza legislativa, e queste funzioni amministrative dovranno essere esercitate attraverso delega ai Comuni o consorzi di Comuni.
Noi comunisti pensiamo che se troveremo unità di intenti e chiarezza di propositi (questo ci attendiamo: più che discorsi di buona volontà vogliamo chiarezza), se uniremo i nostri sforzi a quelli delle tredici Regioni italiane che hanno già formulato proposte concrete, il Governo ci ascolterà, e riusciremo a costruire una riforma sanitaria secondo le esigenze che emergono dal Paese. Anche nella deprecabile eventualità che il Governo restasse sordo, o volesse attuare una riforma non nella direzione giusta, secondo la realtà oggi esistente, volesse cioè realizzare una forma che nella sostanza equivalesse soltanto a cambiare il colore al libretto della Mutua, la battaglia non sarebbe persa. Non sarebbe persa perché, al di sopra delle divergenze che qui possono sorgere, e quindi di una diversità di giudizi, vi sono i lavoratori, non dimentichiamolo, con tutta la forza delle lotte passate e presenti e con tutta la forza della loro unità - una unità che si va concretizzando sempre di più, di cui fanno fede gli stessi articoli dei giornali di questi giorni, le convergenze che si stanno attuando tra le confederazioni sindacali -; e questa unità è una grande cosa. Non sarebbe persa proprio perché la classe operaia è forte, è unita, e attende e giudica, pronta a battersi per contenuti più avanzati.
Avendo sempre davanti questa realtà, e riferendoci sempre ad essa, alle attese del mondo del lavoro in quanto lavoratori e cittadini, noi riteniamo che molto della validità del servizio sanitario nazionale dipenderà dal tipo di unità sanitaria locale che sapremo costituire. Noi riteniamo che l'unità sanitaria locale debba essere il complesso di servizi attraverso i quali il Comune, o il consorzio di Comuni, realizza tutti i compiti del servizio sanitario nazionale, nel suo territorio.
Altro aspetto importante è la gestione delle unità sanitarie locali che dev'essere attuata dal Comune, o da un consorzio di Comuni, con il concorso dei Comitati sanitari di base locali, di fabbrica, di cittadini in quanto utenti. La funzione e presenza di organi di partecipazione di tutti i cittadini sarà così articolata nelle unità sanitarie locali, in modo da consentire forme di controllo assembleare a tutti i livelli. In questa direzione abbiamo già assunto un impegno unitario, fissato nell'art. 6 dello Statuto. Ad esso dovremmo ispirarci rimanendo sempre fedeli allo spirito del nostro Statuto.
Un altro problema importante della riforma sanitaria, e sul quale occorre essere precisi, è quello dei farmaci. Noi diciamo con molta chiarezza che la riforma della produzione e distribuzione dei farmaci è irrinunciabile, se si vuole una vera riforma sanitaria. L'obiettivo di prospettiva che il servizio sanitario nazionale deve proporsi è quello di realizzare una produzione farmaceutica ad opera esclusivamente dello Stato per la evidente inconciliabilità tra la funzione sociale del medicinale e la sua produzione privata. Ecco perché riteniamo giusta e valida la richiesta di nazionalizzare l'industria farmaceutica, purché sia chiaro che questo non significa espropriazione con relativo indennizzo per tutte le aziende produttrici di farmaci ma passaggio allo Stato di un numero ristretto di imprese che lo stesso servizio giudicherà necessarie alla fornitura di medicinali di cui il Paese deve disporre. Occorre poi porsi l'obiettivo di una azienda di Stato, nei termini proposti su questa materia dal P.S.I.: una azienda di Stato che sia l'unica fornitrice del servizio sanitario nazionale, che abbia tutte le possibilità di intervento sul mercato, che realizzi la riserva per lo Stato di tutte le sostanze attive di base, che curi gli acquisti sul mercato interno ed estero e realizzi anche una produzione propria con l'acquisizione di una o più imprese di Stato e non a partecipazione statale.
Infine, un nodo da sciogliere e da non sottovalutare per la costruzione del servizio sanitario nazionale è rappresentato dalla scelta dei tempi e dei modi di attuazione della riforma. Secondo noi, tale scelta dovrà essere guidata da alcuni criteri ed impegni politici ben precisi: 1) mettere al centro del processo di riforma il mutamento della condizione operaia in fabbrica e della condizione umana nella città e nelle campagne 2) anticipare quanto più possibile l'attuazione di una medicina nuova, il che è realizzabile con l'arma decisiva della partecipazione popolare alla gestione del servizio e con il rapido mutamento del rapporto professionale degli operatori sanitari 3) passare in tempi brevi alla generalizzazione delle prestazioni accompagnata al maggior sforzo possibile per garantire l'uniformità delle prestazioni sanitarie al più alto livello su tutto il territorio del Paese e per tutte le categorie di cittadini senza distinzione 4) recidere quanto più presto possibile le radici del potere economico e politico che stanno all'origine delle degenerazioni mercantili del sistema sopprimendo i privilegi delle baronie sanitarie, eliminando gli strumenti del potere clientelare e di sottogoverno che si esprimono negli enti di ogni livello, dalle mutue agli ospedali, ed attuando le prime fasi di riforma del regime di produzione dei farmaci 5) con una particolare attenzione va poi precisato il ruolo degli operatori sanitari e sociali ad ogni livello, e di conseguenza la loro formazione professionale. Questo è il nodo tra la riforma sanitaria e la riforma della scuola che va sciolto, giacché sono sul tappeto le questioni inerenti alla ricerca scientifica e all'uso della scienza, questioni che postulano anch'esse di essere viste nelle prospettive indicate dalla lotta dei lavoratori e nel quadro di una reale estensione della democrazia.
Per questi motivi la scelta dei tempi e dei modi di attuazione della riforma deve vedere al primo posto, con precedenza assoluta su ogni altro momento, la costituzione delle unità sanitarie locali e la redazione dei piani sanitari delle Regioni, costituiti da una parte di immediata attuazione e da una seconda parte che sia di premessa all'approvazione del piano sanitario nazionale.
Assieme con queste attuazioni per l'immediato e di essenziale importanza la definizione del termine di tempo (a brevissima scadenza dopo la costituzione delle unità sanitarie locali) entro cui le prestazioni sanitarie di prevenzione, di cura e di riabilitazione saranno estese alla totalità dei cittadini, così come hanno proposto le Regioni nel loro convegno di Bologna del 2 febbraio scorso. E noi chiediamo che la Regione Piemonte prenda per base il documento concordato in tale occasione dalle tredici Regioni intervenute come proposte di elaborazione per la riforma sanitaria, per fare le necessarie pressioni nei confronti del Governo affinché sia portato avanti un discorso serio nella direzione di una riforma sanitaria quale è chiesta da tutti i cittadini e da tutti i lavoratori.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Fonio; ne ha facoltà.



FONIO Mario, Assessore regionale

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, come ha già ricordato il collega Gandolfi, svolgendo le considerazioni che più si addicono ad un Capogruppo, il documento con il quale i quattro Partiti del centro-sinistra propongono la elezione della nuova Giunta sottolinea che quella che stiamo per affrontare è pure ancora una fase costituente della Regione.
Si dice nel documento che nella più immediata prossima fase la Regione dovrà affrontare, pur negli attuali limiti di competenze effettive e di possibilità finanziarie, l'ampio ventaglio dei problemi aperti nella comunità regionale e dare agli stessi pronta ed adeguata risposta in forza della sua rappresentatività politica e delle sue possibilità di pressione.
Su questa premessa qualche collega si è sentito legittimato a chiedere quale sarà, dunque, in concreto, l'attività che la Regione si appresta a svolgere nei prossimi mesi. Il mio intervento, dall'angolo visuale della forza politica che rappresento, vuole soffermarsi essenzialmente proprio su tale premessa, collegandola con l'altra, espressa subito dopo nel documento, secondo la quale "l'istituto regionale si sarà realmente costituito soltanto quando sarà intimamente penetrato nella coscienza dei cittadini e ne avrà ottenuto la convinta e fervida adesione".
Noi siamo consci che realmente stiamo per affrontare la fase più importante e più decisiva e per la vita e per l'affermazione della Regione la fase in cui non solo, come abbiamo già detto, le articolazioni di struttura e di funzionamento che ci prepariamo a darci saranno destinate a ripercuotersi in molti campi dell'organizzazione dei pubblici poteri offrendo l'occasione per la riconsiderazione di tutto il tessuto istituzionale, ma nella quale soprattutto da noi dipenderà se si verificherà o meno la presa di coscienza dell'ordinamento regionale da parte dei cittadini ed una loro convinta adesione all'istituto.
A mio parere, quella parte del cosiddetto "biennio bianco" che ancora ci sta davanti sarà la più pericolosa e la più decisiva per la vita delle Regioni. Troppe aspettative, e financo forse illusioni, si sono accumulate con inframmezzate insinuazioni disfattiste e corrosive, perché non appaiono gravi i rischi che un "biennio bianco" porta con sé in un momento generale tutt'altro che facile e che a sua volta proprio alla riforma regionale chiede un aiuto per il proprio superamento.
Gli elementi positivi che in questo momento la nostra società poteva esprimere li ha espressi mettendo in moto la riforma regionale stessa prima, e poi tutte le altre già fatte o attualmente in cantiere. Noi soprattutto, dobbiamo vedere l'ordinamento regionale non come un fatto che deve risolvere una serie di problemi ma come un fatto di pressione per un nuovo assetto della società, come un momento organizzativo di pressione politica. E' soprattutto sotto questo aspetto che dobbiamo avere una ben precisa volontà di riempire questo biennio, che non può rimanere davvero tutto bianco se si vuole che la Regione si affermi nella realtà.
Abbiamo tutta una serie di cose da fare al nostro interno, a cominciare da tutte le leggi necessarie per l'attuazione dello Statuto: ma abbiamo anche all'esterno tutta una serie di battaglie da condurre per la conquista dei nostri poteri. Il documento indica nei controlli il nostro primo potere, e lo dobbiamo realizzare pienamente avocando alla Regione ogni tipo di controllo sugli enti sub-regionali; donde non solo l'esigenza che la legge statale sui Comuni e sulle Province sia profondamente modificata ed adeguata alle strutture regionali, ma la esigenza che venga soprattutto anche da parte nostra con ogni sollecitudine il disegno di legge regionale sui controlli stessi, così da vararlo immediatamente, appena lo Statuto sarà diventato efficace. E' chiaro il valore di tale atto regionale, che dà l'avvio all'esercizio di uno dei poteri più importanti attribuiti alla Regione dalla Costituzione; e proprio in difesa di tali poteri io penso che si debba sentire la necessità di qualificare l'organismo di controllo come espressione della Regione e che pertanto ogni azione già promossa a livello parlamentare per salvaguardare la natura di organo della Regione, con esclusione di presenze di nomina esterna, vada confortata dal nostro massimo appoggio.
Ma è chiaro che una delle principali battaglie da fare all'esterno è quella relativa ai decreti di trasferimento delle funzioni. Abbiamo sempre espresso le nostre preoccupazioni in ordine ad una sollecita emanazione dei decreti delegati, non solo, ma in ordine alla tentazione, sempre in agguato, di fare delle Regioni non una sede di decentramento irrevocabile e senza riserve, ma un luogo di duplicazioni di funzioni e di strutture amministrative. Purtroppo, più che mai oggi dobbiamo ancora sottolineare la necessità di opporci, al limite del possibile, ad una impostazione che va nascendo e che non sembra certo fatta per fugare le nostre preoccupazioni e tanto meno per soddisfare l'esigenza, inderogabile secondo noi, per cui lo Stato deve cercare il modo di delegare alle Regioni, in via legislativa o in via amministrativa, poteri che possano addirittura integrare ed ampliare il loro campo d'azione secondo le esigenze più attuali (ad esempio, per tutti, la nuova materia degli inquinamenti).
Vediamo infatti, contrariamente a tali esigenze, profilarsi sul nostro orizzonte progetti predisposti dai singoli ministeri che sono del tutto insoddisfacenti, e che nella migliore delle ipotesi hanno tutta l'aria di essere quasi dei mezzi per saggiare la reazione delle Regioni, tanto sono striminziti ed assurdi. Ciò non ci pare in perfetta aderenza all'art. 17 della legge finanziaria regionale, e, a nostro parere, invece che dai singoli ministeri, ove è più facile poi che sia dalla burocrazia, i decreti dovrebbero ricevere la loro formulazione dal Consiglio dei Ministri. Perch la vera riforma regionale sta qui, nel saper trasferire, spogliandone i vari ministeri, alla Regione innanzitutto quelle materie che la Costituzione loro assegna nella misura in cui il dettato costituzionale ha tratto le sue giustificazioni, una misura che è certo, per la Regione, non di subordine ma di prevalenza. Ben a ragione il Consigliere Lo Turco dice che anche nella materia sanitaria l'attività legislativa centrale deve fornire, se mai, semplicemente le linee fondamentali, il quadro entro il quale dev'essere la Regione a realizzare veramente questa grande riforma.
Ugualmente, dobbiamo essere attenti e fare tutto il possibile perché in una situazione del Paese quale attualmente stiamo attraversando, che richiede in tutti i settori interventi pubblici urgenti anticongiunturali non venga compromessa quella politica di piano che diciamo di voler adottare facendone il nostro scopo fondamentale. E' chiaro, è logico, è giusto che anche le organizzazioni sindacali, che pur dovranno trovare nelle Regioni il loro più valido interlocutore, in questo momento premano verso il potere centrale per tutta una serie di bisogni immediati che portano al finanziamento, o al rifinanziamento, di alcune leggi, di intervento nei vari settori, da quello industriale a quello agricolo.
Esiste però, ovviamente, il pericolo che la Regione veda compromessa la propria impostazione di fondo, che, attraverso la programmazione e la politica di piano, deve favorire il passaggio anche per la nostra comunità da un tipo di società ad un altro tipo, per ritrovarsi solo poi a gestire tali leggi centrali. E queste non sono solo la 590 e il Piano verde in agricoltura.
Ho sentito di una "legge per il risanamento delle industrie in crisi" che è già passata alla Commissione di una Camera e dovrebbe presto passare all'altra, che in materia concede ogni potere di decisione all'EFIM.
Esiste, quindi, e in forma concreta, il pericolo che ci troviamo messo il carro davanti ai buoi da parte dello Stato, così come paventava qualche collega in seno alla Commissione per gli insediamenti industriali.
Di fronte a questi pericoli le Regioni non devono rimanere passive: devono far sentire la loro voce e chiedere allo Stato che tutti gli interventi che esso intende compiere siano interventi di carattere congiunturale, ma collegati con la politica di piano, in modo da non permettere assolutamente uno slegamento tra interventi concreti e linea di piano.
Già in passato noi segnalammo la necessità che, dal momento che sono state costituite le Regioni, il potere centrale sentisse l'opportunità di regionalizzare le proprie leggi, tenendo presente che ormai viviamo, e più che mai oggi noi dobbiamo chiedere che si consideri la necessità più precisa che le leggi centrali limitino gli effetti dei finanziamenti in esse previsti e non più di un anno. Sarebbe un modo serio e concreto di considerare l'esistenza delle Regioni. Penso che si possa addirittura seriamente proporre che le richieste di finanziamento passino attraverso le Regioni, per ricevere dalle stesse una specie di imprimatur: non sarebbe pretendere troppo né esautorare alcuno, ma solo fare in modo che il momento anticongiunturale trovi le Regioni pronte ad esercitare un loro potere e a dare un loro contributo, almeno attraverso dei pareri.
Ecco quali saranno gli impegni e le battaglie che ci impegneranno nei mesi più prossimi a venire. E quando ho detto che abbiamo tutta una serie di cose da fare anche al nostro interno, a cominciare dalle leggi per l'attuazione dello Statuto, intendevo che si tratta soprattutto di riuscire a realizzare la nuova funzione che l'Ente locale deve avere nel quadro politico del Paese e che deve sapere: trasformare lo stesso da antagonista a protagonista delle lotte dei lavoratori contro il potere e lo strapotere economico realizzare un conseguente potenziamento della capacità di contrattazione dell'Ente locale nei confronti dei gruppi industriali realizzare l'instaurazione di nuovi rapporti di partecipazione e di delega reciproca tra Enti locali a vari livelli e tra gli stessi e la collettività amministrata nelle persone dei singoli o delle loro organizzazioni associative spontanee realizzare la pienezza della partecipazione dei cittadini al governo dello Stato e alla gestione dell'economia attraverso l'Ente locale, quale veicolo contrattuale e rivendicativo ideale della periferia nei confronti del centro, del rappresentato nei confronti del rappresentante.
Perché queste cose non restino nel limbo delle affermazioni teoriche ma si concretino in una realtà strutturale sulla quale possa basarsi l'impegno più propriamente programmatico che formulerà la prossima Giunta, occorrerà un impegno non da poco, ma non da poco sarà il risultato, se lo raggiungeremo, perché equivarrà alla realizzazione in concreto della riforma regionale.
Malgrado questa impostazione del documento oggi in discussione e la riserva - già ricordata - della presentazione di un vero e proprio programma, non sono mancati gli interventi e le precise domande su specifici problemi. Ne voglio raccogliere uno, che è quello del collega Rotta in materia di acque, della più completa e più razionale loro utilizzazione, e della da lui auspicata canalizzazione di tutti i nostri fiumi. Io penso che la prossima Giunta darà esauriente soddisfazione, nel proprio programma, a queste domande, che sono tra le più legittime, legate ai problemi più urgenti per le nostre popolazioni.
E' un problema, caro collega Rotta, quello da te toccato, che coinvolge tutto il rapporto naturale che esiste tra l'uomo, la terra e le acque, e che diventa di sempre più difficile soluzione. Una risposta mi sento in dovere di anticipare già oggi: per l'esperienza che ne ho, questo problema certamente non si risolve, ma anzi si aggrava, con la canalizzazione dei fiumi, da te auspicata certo con i migliori intendimenti e con le migliori intenzioni. Il mio partito ha insistito perché fosse conglobata in un unico Assessorato, fuori dagli schemi tradizionali, la competenza congiunta sulle acque, gli acquedotti, la sistemazione idrogeologica, gli inquinamenti, le foreste, non riuscendovi per una buona percentuale, anche se non al cento per cento. Queste competenze coinvolgono le attese più sentite delle nostre genti, delle quali il Consigliere Rotta si è fatto diligente portavoce e che in sostanza si concretizzano nell'ansia di voler mantenere rapporti ancor validi tra noi esseri viventi e il nostro ambiente, assoggettato invece con incredibile rapidità ad un tale deterioramento da mettere seriamente in discussione le possibilità di sopravvivenza sul nostro pianeta. Ma, proprio perché c'è un rapporto troppo stretto tra i vari problemi, occorre la massima attenzione sia nel regolare ed utilizzare le acque sia nel non compromettere lo stesso suolo sul quale esse scorrono e sul quale noi viviamo. Una volta, le acque che uscivano dall'alveo dei fiumi trovavano sfogo nelle paludi, negli stagni, e i corsi d'acqua avevano, insomma, una zona di espansione molto vasta. Con l'aumento della popolazione e il crescere dei bisogni di generi alimentari, in una società preminentemente agricola, si è andati mettendo a cultura sempre nuovi terreni, di pianura e di collina, si è proceduto a disboscamenti, a dissodamenti ed a bonifiche, rompendo così un equilibrio che si era formato nel corso dei secoli: esempio macroscopico, il delta padano. Oltre a costringere i fiumi in sezioni sempre più ristrette, si sono così favorite sulle montagne e sulle colline, che costituiscono l'ottanta per cento del territorio nazionale, quelle erosioni per cui i fiumi si colmano di materiali rendendo gli argini, già di per sé tutt'altro che incorruttibili insufficienti anche per il semplice decorso del tempo, a seguito del quale le montagne si spianano e i fiumi si colmano. Da ciò le grandi alluvioni quelle alluvioni che la gente non capisce perché diventino sempre più frequenti e più gravi.
Di fronte a queste conseguenze lo Stato ha pensato di trovare un rimedio organizzando i suoi interventi diretti per contrastare la tendenza delle popolazioni, degli Enti locali a canalizzare i fiumi. Nel caso, per esempio, del bacino padano, se tutti i fiumi fossero canalizzati, l'acqua arriverebbe al Po in poche ore, invece che in diversi giorni, e lo stesso grande fiume sarebbe in continuazione sotto pressione, con pericolo per i suoi argini di saltare ben più sovente di quanto non succeda da qualche tempo a questa parte. Il fatto che lo Stato abbia scelto questa impostazione centralizzata e diretta di intervento viene però ad essere di danno per la Regione, costituitasi nel frattempo, che rischia di rimanere così estromessa da uno dei compiti più seri e più sentiti per le sue popolazioni. La politica per la difesa del suolo ha tre componenti: quella sociale, quella economica e quella tecnica, e perciò stesso sarebbe paradossale che la Regione fosse ridotta al ruolo di semplice spettatrice se non silenziosa, con possibilità soltanto di presentare degli ordini del giorno. Fra i tanti poteri da difendere e da rivendicare c'è anche la presenza decisionale delle Regioni interessate nei Comitati di bacino e la competenza esclusiva della Regione nel suo ambito per i piani di bacino secondari e di sub-bacino. E' un grosso problema, che certo tratteremo più ampiamente in prosieguo e che nell'ambito delle nostre rivendicazioni di poteri deve avere una adeguata collocazione. Non sarà insolubile se sapremo utilizzare per tutte queste rivendicazioni quel colossale potere che è dalla nostra parte e che è rappresentato dalla volontà politica.
Se sapremo far coincidere tutti le nostre volontà politiche, davvero lavoreremo per l'efficacia e la bontà delle nostre strutture.


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione del sen. Bruno Massobrio


PRESIDENTE



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

A nome della Giunta e mio personale desidero aggiungere alcune parole alle nobili espressioni con cui il Presidente del Consiglio, Vittorelli, ha rievocato la figura del sen. Massobrio. L'uomo politico di cui ci è stata ora annunciata la scomparsa era largamente noto nella città e nella provincia di Torino: il suo impegno politico, ma soprattutto il suo impegno sociale, avevano creato attorno alla sua persona, al di là delle distinzioni tra partiti, una calda atmosfera di apprezzamento. Appunto a questo apprezzamento mi richiamo nell'associarmi con la Giunta al cordoglio qui espresso a nome del Consiglio e nell'esprimere al Senato della Repubblica ed ai familiari le nostre più sentite e vive condoglianze.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni - Presidente della Giunta Regionale

Elezione del Presidente della Giunta e della Giunta Regionale (proseguimento della discussione) (seguito)


PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone; ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente e signori Consiglieri, nella battaglia delle veline che ha ravvivato la storia di questa crisi vi è stato, tra gli ultimi, un episodio abbastanza curioso. Mi riferisco ad un comunicato della corrente democristiana di "Forze nuove", comparso sui giornali di ieri, in cui si informa che questo Gruppo ha precisato che "un corretto rapporto fra la D.C. e il P.S.I. è condizione essenziale per la propria presenza in Giunta ritenendo improponibile qualunque soluzione che, anche attraverso la formula monocolore, significasse uno spostamento a destra della politica regionale".
L'aspetto curioso di questa dichiarazione di "Forze nuove" non è nella scelta preferenziale in favore del P.S.I., che corrisponde al disegno perseguito da quella corrente in sede nazionale al fine non ultimo, come ha dichiarato giorni fa alla Camera il ministro Donat-Cattin, di provocare il cambiamento della maggioranza all'interno della Democrazia Cristiana: l'aspetto curioso è che questa corrente non si senta rassicurata da un esecutivo che fosse eventualmente formato tutto dal Partito di cui essa fa parte. Ciò equivale a dire, che per i democristiani di "Forze nuove" la D.C. è un caffè che si può bere soltanto se è corretto....



VIGLIONE Aldo, Assessore regionale

Corretto anche dai comunisti...



ZANONE Valerio

Benissimo, è una correzione un po' forte, di tipo alpino, diciamo.
Oppure, questa dichiarazione poteva significare che la preoccupazione di "Forze nuove" dipenderebbe dal fatto che il monocolore sarebbe deviato a destra dalla necessità di trovare l'appoggio di altre forze politiche. Ma allora la questione si risolverebbe in un confronto programmatico, sul quale i termini di sinistra e di destra sono piuttosto fuorvianti e si prestano a facili mistificazioni.
Cercherò, dunque, di sviluppare quel tanto di confronto programmatico che la mozione testé presentata ci consente in questa fase preliminare.
Al pari di altri colleghi, ho avuto anch'io l'impressione che questo accordo programmatico sia stato conseguito, per così dire, ad un livello di elevata generalità. Ed è forse questa stessa generalità che ha facilitato l'accordo fra i quattro Gruppi di maggioranza, quella che consente a noi di dichiarare, seppur da posizioni di totale autonomia critica, che le scelte fondamentali sui temi che nella mozione sono definiti "costituenti" non suscitano in via di massima il nostro dissenso. La nostra valutazione non obbedisce ad una posizione di condiscendenza verso l'unanimismo assembleare. Vi sono stati in questo Consiglio - e noi ci auguriamo ve ne saranno anche in futuro - momenti di unanimità democratica che riteniamo altamente significativi; ma non sarebbe onesto nasconderci che in altri casi il consenso generale è stato facilitato dalla genericità delle proposte in discussione e che la ulteriore necessaria specificazione del nostro lavoro comporterà una più precisa dialettica di posizioni differenziate.
Già questa mozione ce ne offre qualche esempio, nei pochi punti in cui scende ad indicazioni dettagliate di programma. Ad esempio, noi abbiamo qualche dubbio sulla opportunità di estendere alla Commissione di controllo sugli atti delle Province la competenza sul controllo delle delibere dei Comuni della provincia di Torino prima che vengano istituite le sezioni decentrate per i Comuni delle altre cinque Province: ci chiediamo se questa proposta non aggraverebbe in partenza i compiti di una Commissione che è appena ai suoi primi passi anche in fatto di attrezzatura e di personale, e soprattutto ci chiediamo se sia opportuno istituire una diversità di trattamento fra gli atti dei Comuni affidando subito le delibere dei Comuni della provincia capoluogo al controllo dell'organo regionale, mentre i Comuni delle province restanti rimarrebbero pro tempore sotto il controllo degli organi tradizionali, con evidente disparità, di trattamento, visto che la mozione prevede anche un certo metodo nell'esame di queste deliberazioni.
Un secondo esempio concerne gli strumenti tecnici della programmazione regionale. La mozione propone che l'IRES, anche avvalendosi di altri istituti, "svolga gli studi e le ricerche necessari, attrezzandosi altresì come centro di documentazione per il reperimento e la elaborazione dei dati". Ora, l'attuazione di questa proposta comporta, evidentemente l'assunzione da parte della Regione di impegni finanziari; impegni che una deliberazione consiliare del 17 settembre dell'anno scorso subordina, per alla preliminare revisione dello Statuto dell'IRES. Ci sembra perci necessario che l'affidamento all'IRES di incarichi di ricerca abbia come premessa la presentazione al Consiglio da parte della Giunta delle proposte di revisione statutaria di quell'istituto. Ma su questi e su altri punti avremo modo di tornare, con maggiore ampiezza, in sede di esame delle dichiarazioni programmatiche della nuova Giunta.
Per risalire ora ai problemi di impostazione e di metodo sui quali si impernia la mozione, dirò che il Gruppo liberale condivide ed apprezza la volontà espressa dalla maggioranza di avvalersi anche in sede programmatica dell'apporto di idee di tutte le forze rappresentate nel Consiglio e di riconoscere alle minoranze dirette responsabilità di direzione negli organi che esprimono la globalità del Consiglio.
Condividiamo l'impegno prioritario sulle norme attuative dello Statuto riconosciamo la legittimità della preminenza che la mozione assegna alla politica di programmazione regionale da attuarsi con metodo partecipativo.
Solo una ignoranza intenzionale dell'attuale indirizzo liberale potrebbe trarre ragioni di sorpresa dal nostro riconoscimento dell'esigenza di programmazione della politica economica, perché in realtà oggi la programmazione è in gran parte un sinonimo della politica economica. Il periodo privatistico dello sviluppo economico italiano ha conseguito il risultato fondamentale di migliorare il reddito individuale tra il '47 e il '62 e di consentire quella crescita dei consumi privati che colloca oggi l'Italia tra i Paesi dell'Europa moderna anziché tra quelli del Terzo Mondo mediterraneo. Ma è indubbio che negli ultimi anni il passaggio ad una economia coordinata si è imposto, sia per l'accresciuta domanda di servizi collettivi rispetto ai consumi privati, sia per la stessa rilevanza assunta dal settore economico gestito dalla mano pubblica.
E' del pari legittimo, a nostro avviso, individuare gli obiettivi principali della programmazione regionale piemontese nella preminenza dell'interesse pubblico sulle convenienze private e nella riduzione degli squilibri all'interno della Regione. Ciò peraltro richiede una presenza attiva della Regione presso gli organi centrali della programmazione economica, soprattutto per quanto concerne il problema attualissimo della definizione degli eventuali disincentivi a carico del Centro-Nord, che vengono ora riproposti dopo essere stati respinti dal primo Governo di centro-sinistra nel 1964.
L'orientamento del Governo in merito non è dei più chiari. Vi sono nell'ambito dei due dicasteri più direttamente competenti in materia, un ministro piemontese favorevole ai disincentivi contro il Nord ed un ministro meridionale contrario. Occorre che la Regione reclami il proprio diritto ad essere sentita in merito. Credo che la Regione dovrebbe essere sentita in merito ad alcuni punti principali, cioè: i criteri in base ai quali il Comitato interministeriale della programmazione economica dovrà definire le aree ad elevata concentrazione industriale; le dimensioni degli impianti che entro queste aree dovranno eventualmente essere oggetto di autorizzazione governativa; la misura dell'indennizzo per infrastrutture sociali che le aziende dovranno corrispondere per ottenere l'autorizzazione e i modi di impiego delle somme così percepite da parte della Regione. Ma il primo punto è soprattutto essenziale, perché qualora a Roma si commettesse l'errore di individuare come aree a forte concentrazione superfici troppo ampie, anziché ristrette aree omogenee, cadrebbe di fatto la possibilità di ridurre all'interno della Regione gli squilibri fra l'area torinese e le aree sottosviluppate, che pure ci sono e che cominciano già ad esistere a pochi chilometri dal confine del Comune capoluogo. Ancora, una politica di trasferimento al Sud dei nuovi impianti industriali è applicabile alle grandi industrie, ma non a molteplici situazioni di ampliamento di piccole e medie industrie, che non possono sdoppiarsi con facilità a distanze troppo lontane e che anche in Piemonte costituiscono la principale promozione dello sviluppo economico.
Io non intendo trarre da queste premesse le conclusioni politiche circa l'atteggiamento del Gruppo liberale su questa mozione: esse saranno illustrate dal nostro Capogruppo Fassino. Egli mi consentirà tuttavia di aggiungere una parola su alcune valutazioni che da altre forze politiche sono state recentemente espresse in merito all'indirizzo del Partito liberale nei confronti della coalizione di centro-sinistra, ormai palesemente avviata lungo il viale del tramonto. Abbiamo letto che da parte socialista sono stati espressi timori circa "il ritorno ad un centro sinistra moderato fondato sull'incontro delle destre dei quattro partiti e magari sulla utilizzazione strumentale dei liberali". Con linguaggio più pesante, non è mancato nella sinistra democristiana chi ha definito il Partito liberale come la ruota di scorta di questa coalizione, spesso attardata da forature di gomme. Questi giudizi non corrispondono all'attuale collocazione del nostro Partito né al nostro modo di concepire e di fare la politica. Essi sono, del resto, giustamente contraddetti e riequilibrati da quanti nell'intero arco dello schieramento democratico recentemente anche il segretario del Partito socialista, Mancini - hanno ritenuto giusto apprezzare pubblicamente la notevole dignità della tradizione e del programma liberale.
La convergenza che ci avvicina a tutte le altre componenti della democrazia non discende da un calcolo di potere ma dalla precisa coscienza della responsabilità che i liberali hanno verso il Paese e che è purtroppo superiore alle nostre forze quantitative. Questa responsabilità ci induce a ricercare anche nella dialettica delle divergenze di programma le convergenze di principio che ci accomunano ai socialdemocratici, ai repubblicani, ai cattolici ed ai socialisti, a tutti i cattolici ed a tutti i socialisti, purché sappiano essere se stessi e non si illudano di costituire il braccio secolare di una coalizione di sinistra che troverebbe fatalmente nel comunismo la propria forza egemone.
Qual è la sostanza dell'attuale trattativa per la formazione di nuove maggioranze aperte all'apporto comunista? La sostanza è che in politica interna "ciò che i comunisti vogliono è un totale rovesciamento dell'attuale schieramento politico, senza molte indicazioni per l'indomani salvo il vago disegno di un 'tu per tu' con la Democrazia Cristiana o un indistinto mondo cattolico, con in mezzo più niente e nessuno, secondo la logica di tutti gli integralismi". Questo giudizio non è di fonte liberale è stato espresso qualche giorno fa in Senato dall'uomo che è stato per un quarto di secolo il leader del socialismo italiano e che ha condiviso con il Partito comunista quarant'anni di lotta politica.



MINUCCI Adalberto

E' anche lui sul viale del tramonto.



ZANONE Valerio

E' troppo vecchio, vero Viglione? E' per questo che l'avete giubilato.
Questa interminabile crisi, colleghi Consiglieri, si conclude, perci senza risultati rassicuranti. Noi seguiremo la attività della nuova Giunta con attenzione critica, senza essere disponibili per operazioni sotto banco, perché non sarebbe nel nostro costume tentare l'ingresso nella stanza dei bottoni per la porta di servizio. Nella autonomia della nostra collocazione, che non ho trovato citata dal collega Bianchi, perché noi non siamo una opposizione di sinistra, ma neppure una opposizione di destra, le maturazioni positive che ci auguriamo avvengano all'interno della maggioranza non troveranno da parte liberale una negazione pregiudiziale e le eventuali difficoltà che in essa nuovamente insorgessero non ci troveranno spettatori indifferenti.



MINUCCI Adalberto

E quindi la ruota di scorta c'è.



ZANONE Valerio

Eh, no!



MINUCCI Adalberto

L'hai detto tu stesso.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Paganelli; ne ha facoltà.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, con l'odierna discussione e con la conseguente votazione per l'elezione del Presidente e della Giunta noi riteniamo prenda veramente avvio un nuovo periodo di vita della Regione, quello che il documento presentato dai quattro Gruppi che intendono proseguire nella collaborazione già fino ad ora attuata ha esattamente definito "seconda fase costituente".
Una parola, innanzitutto, sul documento. E' stato detto da più parti che è generico, che è una mancata risposta. Noi diciamo che nella sua chiarezza, e nello stesso tempo nella sua concisione, esso interpreta fedelmente il disposto dell'art. 32 del nostro Statuto, che vuole l'elezione accompagnata da un documento contenente le linee politiche ed amministrative. Un programma più dettagliato potrà essere discusso in seguito, allorquando ogni Assessore avrà proposto al Presidente ciò che nella attuale fase di sviluppo della Regione ritiene opportuno e doveroso prospettare, quando saranno recepiti gli apporti venuti da ogni parte del Consiglio, specie attraverso questo dibattito - ed in questi apporti collega Viglione, entrano anche quelli cui accennavi tu stamani, che si riferiscono alle singole Province, perché certamente il collega Falco non mancherà di far presente il documento programmatico della Democrazia Cristiana e del Partito socialista che sta a base delle istanze della nostra Provincia -, quando il Presidente della Giunta avrà potuto opportunamente trarre una sintesi da questo quadro complesso.
Ma è doveroso dire subito che già attraverso questo documento chiaro e conciso i quattro Gruppi di maggioranza dimostrano di avere ben presenti le prospettive e le possibilità della nostra Regione, senza nascondersi certi limiti in cui si deve operare. Queste linee di indirizzo, specie per quanto riguarda la programmazione e gli strumenti operativi, pur attendendo un innegabile approfondimento, dimostrano come si voglia fare della Regione veramente un qualcosa di nuovo. Certo, l'impegno che attende Presidente ed Assessori in questa delicata fase di vero e proprio impianto sarà difficile e pesante: sappiamo però che essi, per capacità ed esperienza, sono in grado di soddisfare le attese e le speranze di questo Consiglio e degli abitanti della nostra Regione.
Voglio sottolineare brevemente solo due punti delle linee politiche ed amministrative di indirizzo. In esse si parla chiaramente di un articolarsi in modo nuovo dei rapporti tra maggioranza e minoranza e si propone che i due Gruppi di minoranza numericamente più rappresentativi (il Gruppo comunista e il Gruppo liberale) abbiano ognuno una presidenza di commissione, e venga introdotto l'uso del voto plurimo nei lavori delle Commissioni. La proposta, che è di tutte le forze della maggioranza, e non di alcune soltanto come qualcuno ha detto stamani, e che ha trovato - e ce ne rallegriamo - rispondenza nei Gruppi interessati, ci trova pienamente consenzienti. Quello spirito che ci ha animati nella stesura del nostro Statuto, di chiarezza nelle reciproche posizioni, e di sereno e costruttivo confronto ed apporto senza preclusioni, può dunque continuare nel nostro Consiglio. E se da un lato è chiara l'autonoma posizione della Giunta dall'altro negli organi che annoverano la presenza di tutte le forze politiche si afferma il modo nuovo di rapporti fra maggioranza e minoranza.
Parlando delle Commissioni che verranno rapidamente costituite mi permetto ricordare un problema certamente ben presente alla nuova Giunta.
Siamo d'accordo: non basta costituire le Commissioni, bisogna anche metterle subito in grado di funzionare, come accennava stamani il collega Bianchi. Però, quanto alla formazione di queste Commissioni penso non ci si debba limitare al giudizio della Commissione del regolamento, trattandosi di un problema che interessa tutto il Consiglio, ma si debba investirne i Capigruppo: non dobbiamo dimenticare che sarà proprio in sede di Commissione che i Consiglieri potranno apportare, in specifici settori validi contributi. E già nella prima fase le Commissioni dovranno esaminare non soltanto quei disegni di legge, relativi a norme attuative dello Statuto (ad esempio, sulla partecipazione, sull'iniziativa popolare, sul referendum) che con encomiabile decisione la Giunta si è assunta l'impegno di presentare al più presto, ma dovranno pure esercitare un'attività conoscitiva e di studio per essere documentate e pronte per la loro piena attività legislativa.
Un secondo punto che mi è gradito sottolineare è quello relativo alla Commissione di controllo sugli Enti locali, su cui già sono intervenuti parecchi colleghi. Io non dimentico la mia esperienza di amministratore comunale. Considero pertanto fatto positivo, altamente apprezzabile ed innovatore, che si sia scritto che "la Giunta intende elaborare a tempi brevi una serie di proposte volte a limitare al minimo indispensabile gli atti degli Enti locali da sottoporre a controllo", così come giudico apprezzabile che si voglia già estendere anche ai Comuni della provincia di Torino il controllo da parte della Commissione esistente. Ma anche tutti gli altri Comuni delle altre province piemontesi, gelosi delle loro autonomie comunali, sempre affermate e sostenute, attendono il momento del cambio dell'organo di controllo, e soprattutto della modifica del concetto di tutela e controllo. Sappiamo che per poter istituire le sezioni decentrate - ed intendiamo, collega Viglione, un decentramento molto ampio consentite dall'art. 69 del nostro Statuto, occorre l'approvazione dello Statuto stesso, e soprattutto il trasferimento delle funzioni. Il collega Marchesotti questa mattina invitava la maggioranza a pronunciarsi su questi problemi, su cui egli è ampiamente intervenuto. Diciamo che non abbiamo alcuna difficoltà ad esprimere chiaramente il nostro pensiero in proposito o in sede di discussione del programma della Giunta o allorquando verrà in discussione la mozione che il Gruppo cui appartiene il collega Marchesotti ha presentato.
Concludendo questo breve intervento, diciamo ancora una parola sull'argomento dello Statuto. Abbiamo apprezzato l'attività solerte del Presidente del Consiglio, del Presidente della Giunta, dei Presidenti dei Gruppi consiliari, per superare certi intoppi che si erano manifestati nella approvazione del nostro Statuto. Abbiamo recepito quei suggerimenti che la Commissione senatoriale ha dato, apprezzando la procedura di rapidi contatti tra Parlamento e Regione che si è instaurata. Pare che vi siano promesse per una approvazione definitiva verso Pasqua. Noi attendiamo che queste promesse siano mantenute. Anche nel corso di questo dibattito riteniamo opportuno ripetere che il Piemonte attende dal Parlamento che si proceda con rapidità alla approvazione del suo Statuto: lo attende perch vuole operare con serietà e rispondere all'aspettativa di una popolazione che ha creduto e crede nella validità della riforma regionale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Raschio; ne ha facoltà.



RASCHIO Luciano

Signor Presidente, egregi colleghi, il dibattito di queste ultime ore ha assunto una sua propria tonalità, direi che il Gruppo consiliare comunista, partecipando così massicciamente con argomenti, con temi che sono stati riconosciuti da alcuni interventi di uomini della maggioranza ha sollecitato una presa di posizione che sta venendo fuori su alcuni problemi che, poc'anzi ancora, il Consigliere Paganelli ha ampiamente illustrato. E' chiaro che il nostro dibattito è partito da una condizione che è già stata giustamente messa in luce dai miei colleghi di Gruppo Rivalta, Lo Turco, Marchesotti. Indubbiamente la posizione della maggioranza ha inficiato tutta una serie di condizioni politiche, di situazioni che per troppo tempo si sono procrastinate. Non voglio insistere sulle crisi di una volontà politica del centro-sinistra che non trovava una sua espressione anche nel momento della formazione della Giunta, è questo compito di altri miei colleghi. Intendo invece, senza accogliere la boutade dell'amico liberale Zanone che ha proprio la tendenza al "genio pontieri" verso la Giunta, anche se ha tentato di farle passare con delle larghe attestazioni di generica opposizione, intrattenermi su alcuni aspetti delle linee della dichiarazione programmatica e portare come membro del Gruppo consiliare comunista un contributo alla discussione. Noi riteniamo giusto accogliere l'impegno che, a suo tempo, la Giunta si era assunta in questa sede di esaminare gli interventi dei vari Consiglieri, per poi proporre in modo chiaro, documentato, non più una linea di dichiarazioni programmatiche, ma un vero programma da sottoporre all'analisi dello stesso Consiglio Regionale.
Le linee delle dichiarazioni programmatiche della Giunta che ci sono state presentate appunto nelle scorse settimane, rivelano al fondo della loro affrettata e lacunosa esposizione, alcune parti sulle quali possiamo esprimere un'attenta valutazione. Non intendo rimarcare l'aspetto interessante sui problemi del rapporto tra maggioranza e minoranza che altri colleghi hanno già avuto occasione di segnalare come frutto di un movimento costituente che non sia disatteso, ma soffermarmi sugli strumenti del piano che purtroppo, pur rimanendo nel generico, hanno almeno il pregio di evidenziare, come strumento portante del piano, la funzione direzionale del potere pubblico che deve manifestarsi sempre più come potere di matrice democratica nel campo economico e quindi anche in quello sociale. E' pur vero che le linee della dichiarazione programmatica della Giunta hanno anche nel campo del piano marcate contraddizioni e lacune gravi per l'assenza di precise valutazioni sulla politica finanziaria che la Regione dovrebbe avere e per la genericità con la quale i problemi della distribuzione, della salute, dell'agricoltura, del commercio e dell'artigianato vengono affrettatamente trattati. Pur tuttavia ritengo di incentrare l'intervento sul problema dei trasporti e su quella parte delle linee programmatiche che lo evidenziano.
Premetto subito che le indicazioni date dal documento dei partiti del centro sinistra, a proposito dei trasporti, è troppo sommariamente indicativo e soprattutto avulso da quella tematica che in questi ultimi tempi, a livello nazionale ed anche regionale si è andata notevolmente arricchendo ad opera dei partiti democratici e delle organizzazioni sindacali. Non basta definire nelle linee la preminenza dell'interesse pubblico, occorre invece, a parere nostro, rimarcare le scelte del tipo di sviluppo che è necessario definire programmaticamente capace, in tal modo di modificare strutturalmente l'attuale tipo di organizzazione della società, che presenta, come tutti sappiamo, una permanente fonte costante di contraddizioni, squilibri fra città e campagna, fra nord e sud, fra sviluppo tecnologico ed esigenza sociale.
Ritengo necessario soffermarmi sul problema dei trasporti per l'influenza che esso ha nella politica di piano e per l'assetto del territorio ed anche perché alcuni mesi or sono, partendo dalla gravissima situazione dei trasporti biellesi ATA, con la collega Fabbris, avevamo sviluppato in sede di Consiglio regionale un'interpellanza a cui non ha fatto seguito alcuna iniziativa della Giunta e che ci ha costretti a procedere oggi ad una successiva interrogazione per conoscere dalla Giunta quanto finalmente intende fare e non solo per una parte del settore trasporti piemontesi. Avevamo indicato l'esigenza di convocare, in attesa dell'approvazione dello Statuto da parte del Parlamento, una conferenza regionale sui trasporti che offrisse, nel suo dibattito, una linea da percorrere con tempi accelerati, per assumere provvedimenti immediati in direzione delle situazioni esplosive come quella dell'ATA e per prefigurare anche l'intervento organico della Regione, in attuazione delle competenze che l'art. 117 della Costituzione le conferiva e che l'art. 17 della legge 16.5.70 n. 281 a sua volta le apre condizioni per esercitare un'ampia attività di iniziativa in materia di trasporti, senza attendere le leggi quadro che stabiliscono i principi fondamentali nei limiti dei quali la Regione dovrà svolgere l'attività legislativa in tale campo. Essendo i trasporti uno dei problemi a dimensione nazionale, che ha una sua particolare rilevanza per il posto che ha occupato e che occupa nel quadro delle lotte popolari per le riforme di struttura, debbo rilevare che anche per questo motivo la costituzione delle Regioni a Statuto ordinario ci deve consentire di porre con forza il problema di una profonda trasformazione dell'apparato statale e della legislazione attuale sui trasporti, ai fini di uno sviluppo economico unitario ed equilibrato. E' fuor di dubbio infatti, che il trasporto sia uno strumento promozionale di grande importanza per lo sviluppo economico e sociale, in quanto è strettamente legato alla politica urbanistica, agli insediamenti industriali, allo sviluppo delle zone agricole e delle aree sottosviluppate od in ritardo. E' ovvio quindi che la politica dei trasporti può incidere profondamente sulla politica del territorio e del suo assetto. Per ottenere ciò, la Regione piemontese dovrà avere, come organo competente a legiferare ed a dirigere tutta la materia del trasporto (investimenti, gestioni, infrastrutture) che rientra nella dimensione economica e sociale del territorio, una sua visione unitaria dei vari modi di trasporto delle persone e delle merci combattendo da un lato provvedimenti improvvisati e disarticolati dall'altro promuovendo, insieme con gli Enti locali, un'azione che la veda protagonista nella pianificazione dei trasporti e della viabilità, in stretto collegamento con i piani di sviluppo comunali, provinciali comprensoriali e con l'assetto del territorio regionale. Il Consiglio e la Giunta dovranno perciò assumersi al più presto una diretta responsabilità politica operativa nel campo dei trasporti, scartando la linea della costituzione dell'Ente regionale per i trasporti con personalità giuridica propria, (come invece le linee della dichiarazione programmatica ci indicano seppur sommariamente) ma sostenendo invece l'esigenza della costituzione di un'azienda per l'esercizio dei trasporti di interesse regionale, alle dirette dipendenze degli organi della Regione stessa.
Momento unificatore della politica del trasporto, deve diventare la Regione piemontese, in prima persona, a cui debbono essere trasferiti (e questo avrebbe dovuto almeno accennarlo il documento programmatico) tutti i poteri in materia di viabilità e trasporti, compresi quelli di concessione di autolinee (riformando l'attuale legge del 1939) e di ristrutturazione del settore merci. Ecco perché oggi è superato, dalla elaborazione politica e tecnica, il concetto della costituzione dell'Ente regionale dei trasporti che vide anche noi comunisti, nel recente passato, unitamente ad altre forze politiche della sinistra laica cattolica italiana, impegnati allora a sostenerlo. Non si tratta più, come allora, di indicare, in attesa che la Regione a Statuto ordinario divenisse una realtà nell'ordinamento statale italiano, una strada che fosse il momento portante per la prospettiva degli Enti locali e delle forze democratiche nella lotta, purtroppo spesso debole e disarticolata, per dare priorità al trasporto pubblico collettivo su quello privato, al fine di evidenziare, con un'alternativa globale a livello regionale, la gravità che lo sviluppo distorto dei trasporti ha pesato e pesa sulla collettività per la sua incidenza sui bilanci delle famiglie dei lavoratori e per la sottrazione di tempo prezioso al riposo alla famiglia, allo studio. Oggi, invece, dobbiamo essere in grado di attuare in prima persona come Regione, d'intesa e con il concorso degli Enti locali, una politica organica ed unitaria, che sia in stretta correlazione con i vari piani di sviluppo economico, essendo a noi tutti nota l'influenza che esercita ogni infrastruttura di trasporto sull'utilizzo del territorio ed individuando nell'art. 118 della Costituzione e 75 del nostro Statuto, il momento del decentramento mediante le funzioni delegate alle province ed ai comuni, come elemento basilare per la formulazione del piano di sviluppo che si articola attraverso i piani comprensoriali alla cui predisposizione ed attuazione partecipano gli Enti locali nell'ambito delle competenze proprie e di quelle delegate dalla Regione.
La costituzione di un unico Ente regionale dei trasporti verrebbe invece a sovrapporsi ad una realtà che individuando nel decentramento e nell'organizzazione del territorio i bacini di traffico, pone prospettive politiche e tecniche di gran lunga più valide che le superate indicazioni dell'Ente regionale dei trasporti. L'individuazione dei bacini di traffico e l'adozione dei relativi piani di trasporto, dovrebbero essere disposti d'intesa tra la Regione Piemonte e le amministrazioni comunali e provinciali interessate; e se qualche bacino di traffico interessasse, ad esempio, la nostra Regione e quella lombarda o ligure, la redazione di quel piano per quel bacino di traffico dovrà essere realizzata da questa Regione d'intesa con gli Enti locali. In tal modo viene individuata, secondo le più moderne concezioni, una particolare figura al bacino di traffico che pu interessare un territorio dai confini irregolari ed elastici, variabili anche nel tempo, determinati invece, indipendentemente dalla circoscrizione degli Enti locali territoriali sulla base di accertamenti statistici tenendo fermo il principio secondo il quale il traffico generato deve essere sufficiente a giustificare il servizio pubblico.
Tutte queste, in larga sintesi, sono le ragioni perché la Regione decentri il potere concessionario non tanto ai singoli Enti locali interessati, quanto invece ad un unico ente consortile costituito per ogni bacino di traffico fra i medesimi Enti locali interessati. Si avranno così in Piemonte più enti consortili in base a quei bacini di traffico che l'indagine preparatoria, coordinata dalla Regione con gli Enti locali individuerà sul suo territorio. La natura di questi enti consortili dovrebbe essere quella dei consorzi in base all'attuale legislazione, che si richiama a leggi e decreti legge del 1934, del 1925 e del 1912; pur tuttavia noi riteniamo che queste leggi, (vetuste e generate alcune in clima fascista) dovrebbero essere al più presto superate da una regolamentazione legislativa della Regione, legislazione regionale che sia più attuale e più attenta alle autonomie ed alle necessità locali e soprattutto contenga l'intendimento di promuovere e sostenere l'associazione tra gli Enti locali, ai fini di una gestione coordinata dei trasporti pubblici per bacini di traffico, con l'impegno di aiutare mediante l'azienda regionale, le imprese degli Enti locali nel campo dello sviluppo tecnologico garantendo, nel contempo, il mantenimento delle competenze attribuite attualmente ai comuni ed alle province in materia di trasporti.
La Regione inoltre dovrebbe regolare con una propria legge la costituzione, l'organizzazione ed il funzionamento della propria azienda pubblica, alle dirette dipendenze degli organi del Consiglio, per provvedere direttamente alla gestione dei trasporti aventi dimensioni regionali, affidando pure al Consiglio la nomina degli amministratori....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

E la Giunta che fa?



RASCHIO Luciano

Lo so, potevo mettere la Giunta, ma tengo a rimarcare che se questi elementi la Giunta intende avocarli a sé, trattandosi di problemi così importanti farebbe un grosso errore, sia di carattere politico che di orientamento. Lo so che lo Statuto ti può dare, caro Calleri, una forza momentanea, dando alla Giunta la possibilità di essere la sola a decidere....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

E' solo per sapere che cosa fare!



RASCHIO Luciano

Questa è la nostra posizione unitaria, naturalmente ci possono essere delle valutazioni diverse.
Ringrazio comunque perché l'interruzione ci è servita a chiarire ulteriormente la posizione reciproca della Giunta e della minoranza.
Ripeto, affidando al Consiglio la nomina degli amministratori e la vigilanza sul funzionamento dell'azienda. Al fine poi di realizzare un coordinamento tra tutti i sistemi di trasporto, operanti sul territorio regionale, il Consiglio Regionale potrà avvalersi di un comitato di coordinamento per i trasporti e le vie di comunicazione, la cui composizione dovrà essere stabilita con legge regionale, garantendo alla Regione la presidenza del comitato di coordinamento. Tale comitato dovrà avere compiti consultivi e di concorso all'elaborazione del piano di trasporti regionali ed alla attuazione delle linee indicate nel piano stesso.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, queste sommarie indicazioni che offriamo come primo elemento di elaborazione sul problema dei trasporti, servono però a segnatamente marcare il ruolo della Regione e la sua funzione di stimolo per l'espansione della gestione pubblica dei trasporti, per l'arricchimento dell'iniziativa degli Enti locali, per un più penetrante discorso con la collettività lavoratrice in materia di trasporti pubblici. La condizione di fondo è che tutto questo impegno lo si vincoli alla Regione e non già ad un ente regionale dei trasporti. Nella misura in cui sapremo mantenere ben saldo il rapporto tra rispetto dell'autonomia locale, il momento partecipativo e l'iniziativa regionale collegandoli nel più vasto piano dell'assetto del territorio, riceveremo come Regione maggiore autorità politica nel determinare le scelte nel settore dei trasporti e della viabilità, proprio perché avremo soddisfatto con il decentramento e la partecipazione, l'esigenza di procedere ad una visione politica unitaria degli interventi, combattendo ed eliminando frammentarietà e la concorrenza fra i diversi mezzi di trasporto. Riteniamo che come Consiglio Regionale piemontese dobbiamo esprimere, senza mezzi termini o sottili interpretazioni del ruolo nostro, la volontà politica di richiedere al Governo ed al Parlamento una inversione di tendenza nelle scelte di politica dei trasporti, scelte che finalmente guardino al mezzo pubblico ed alla sua pubblica gestione come ad elementi di fondo insostituibili. Dovranno essere messi, le Regioni e gli Enti locali, in condizioni di operare con immediatezza avendo quei fondi e quei poteri finora negati, necessari invece per realizzare quei benefici nel campo dei trasporti che i lavoratori e la collettività reclamano.
In pari tempo dovremo richiedere un riordino complessivo di tutta la legislazione e la normativa oggi esistente in materia di trasporti e di viabilità, da realizzarsi anche attraverso un testo unico che tra l'altro dovrà pervenire all'eliminazione delle contraddizioni attuali, alla semplificazione dei controlli, all'esaltazione della priorità delle aziende pubbliche, alla responsabilizzazione della Regione e degli Enti locali trasferendo alla Regione le competenze delle direzioni compartimentali della motorizzazione civile, del Provveditorato alle OO.PP., della direzione compartimentale dell'ANAS alle dipendenze della quale passano gli uffici ed il personale degli organi stessi.
Affermiamo questa esigenza fondamentale non già per muovere anche in questo consesso polemiche verso i partiti che compongono lo schieramento di centro sinistra, ma per ottenere, su un problema così grave e urgente, il più largo ed unitario schieramento, capace di contrastare gli intendimenti dell'alta burocrazia statale, che sappiamo sta operando contro il decentramento a livello regionale dei propri organismi e tende di fatto ad affidare alle Regioni, nel campo dei trasporti e della viabilità, marginali funzioni amministrative tenendo invece bene ancorati a sé i poteri decisionali.
Ci sarebbe, purtroppo, molto facile ricordare ai partiti della maggioranza ed a noi tutti, come in Italia, diversamente da altri Paesi europei, i vari governi succedutisi in questi lunghi anni, abbiano affrontato la questione dei trasporti nel peggiore dei modi, affidandone la soluzione soltanto allo sviluppo del mezzo di trasporto privato sacrificando i consumi sociali fondamentali delle masse lavoratrici sull'altare dell'esaltazione degli interessi e del profitto dei grandi gruppi monopolistici (vedi Fiat, vedi politica autostradale) trascurando i problemi dell'assetto del territorio non avvalendosi di una legge e di una politica urbanistica efficiente, moderna, sociale che avrebbe consentito l'eliminazione della speculazione su aree edilizie, consentendo la crescita delle città a misura dell'uomo.
Sono tutti questi problemi che consideriamo importanti, generatori a monte della gravissima crisi dei trasporti urbani ed extraurbani, e non intendiamo in questa sede ulteriormente sviluppare come momenti di denuncia, in quanto fin troppo noti e di per sé stessa, limitatamente, non costruttiva. Dobbiamo invece oggi saper cogliere l'occasione del momento regionale per imprimere, con un altro taglio politico e con basi di necessaria e indispensabile partecipazione popolare, una svolta nuova nel campo della programmazione, al fine di concorrere all'elaborazione del piano nazionale dei trasporti e delle vie di comunicazione; di predisporre piani di sviluppo dell'intero sistema dei trasporti e delle vie di comunicazione di interesse regionale; di stabilire una nuova disciplina per le concessioni relative all'esercizio di linee di trasporto e di interesse regionale che sia informata alla funzione pubblica e sociale dei relativi servizi; di adottare misure rivolte a promuovere e sostenere lo sviluppo dei pubblici servizi, favorendo le forme associative tra gli Enti locali di delegare le funzioni amministrative concernenti i trasporti e le vie di comunicazione alle province, ai comuni ai sensi dell'art. 118 ultimo comma della Costituzione; di batterci tutti assieme per impedire che altro denaro pubblico venga destinato alla motorizzazione privata (esempio mortificante sono i 26 miliardi dati dal Governo a fondo perduto alle aziende private di trasporto) e mettere a disposizione delle Regioni, degli Enti locali e delle aziende pubbliche di trasporti i mezzi per fronteggiare le necessità della collettività.
Ecco perché riteniamo come Gruppo comunista che occorra, alla luce di queste nostre indicazioni, dare un altro contenuto allo strumento che le linee di programmazione segnalano per il problema dei trasporti, assumendo come Regione piemontese in prima persona, la responsabilità di una politica dei trasporti su scala regionale e decentrando alle province ed ai comuni con i consorzi per bacini di traffico, un'azione di riforma delle strutture, di soddisfacimento delle esigenze collettive, di politica di piano comprensoriale. E' necessario però partire subito, senza attendere le leggi quadro, ma avvalendosi dei poteri che lo Statuto, con la sua prossima approvazione da parte del Parlamento, ci affida.
Indichiamo perciò con la convocazione di una conferenza regionale sui trasporti, preparata prima con incontri e dibattiti nelle province e nei comuni più importanti e alla presenza dei sindacati, delle Camere di Commercio e delle organizzazioni studentesche e contadine, l'occasione per assumere tutta la pienezza del nostro impegno politico nel campo della programmazione.
Sollecitiamo la costituzione della Commissione consiliare permanente sui trasporti ed il suo immediato insediamento, affinché operi a contatto con gli Enti locali e con l'apporto dei sindacati per attuare con sollecitudine uno studio sulla situazione dei trasporti nella Regione Piemonte e nel contempo indichi alla Giunta ed al Consiglio le misure immediate e gli interventi che si reputano indilazionabili in alcuni settori dei trasporti piemontesi, quali ad esempio l'ATA, minacciati da una completa gravissima paralisi.
Dobbiamo, insieme, dare responsabilmente una risposta valida articolata, immediata alla realizzazione dell'art. 4 del nostro Statuto nel campo dei trasporti, avendo ben chiara la linea del nostro intervento combattendo a tutti i livelli coloro che vorrebbero limitare il potere della Regione in materia di trasporti e di viabilità di interesse regionale, promuovendo un ampio dibattito fra la collettività lavoratrice e studiosa per ottenere dalla partecipazione popolare e dagli Enti locali il loro necessario apporto di presenza e di elaborazione critica e costruttiva.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali; ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio, Assessore regionale

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il documento che è stato presentato per il varo della Giunta formata dai quattro partiti di centro sinistra, è giustamente riassuntivo di un indirizzo generale, articolato sia per le indicazioni di metodo che di contenuto. E' evidente che non è il programma della Giunta, questo sarà preparato immediatamente dopo se questa Giunta passerà, e sarà oggetto di ampia discussione in Consiglio.
Io debbo ricordare, tuttavia, che è proprio questa concretezza del documento che dobbiamo sottolineare, perché se ricordiamo tutti gli interventi e i dibattiti svoltisi dal momento in cui è sorta la Regione, ci rendiamo conto che i problemi che abbiamo avuto davanti si sono allargati come l'acqua quando la pietra cade nello stagno. Così, nella necessità di seguire i cerchi più lontani, ci siamo messi a cavallo di essi alla ricerca di soluzioni che esorbitavano dalle nostre competenze istituzionali. Devo ricordare a questo proposito gli interventi ai quali siamo stati portati dalla crisi della piccola e media industria, che a quanto abbiamo sentito stamattina rappresenta uno dei temi più drammatici della nostra Regione in questo momento. Siamo infatti intervenuti in settori dei cui problemi le soluzioni sono uscite più che altro da iniziative di carattere personale oppure da iniziative che non hanno trovato nella Regione gli organi adatti per portarle a termine.
Quindi direi che il documento ha proprio questo pregio: riportare i problemi alla loro dimensione istituzionale e offrire un argomento di discussione, nella presentazione della Giunta al Consiglio aderente ai fatti concreti. Incominciamo dalla metodologia: la metodologia indicata nel documento è rappresentata fondatamente dal rapporto tra maggioranza e minoranza. Voi conoscete il punto di vista del nostro partito, ripetuto più volte in Consiglio, circa questi rapporti che noi abbiamo accettato di articolare in questo modo introducendo le minoranze alla responsabilità negli organi di emanazione consiliare. Abbiamo accettato il nuovo rapporto proprio perché non riteniamo che ciò rappresenti un'inframmettenza tra maggioranza e minoranza, che del resto, come abbiamo sentito questa mattina, neanche la minoranza chiede. Non l'abbiamo accettato secondo il principio che dovesse avvenire, perché nella Emilia Romagna è avvenuto, ma in un altro senso: si potrebbe ricordare infatti il caso di quel bisticcio "io dò una cosa a te tu dai diciotto cose a me". Ma sul metodo credo che nessuno abbia sollevato questioni di fondo, anzi, direi che è forse l'argomento sul quale si è parlato meno. Si è invece accennato molto ai contenuti e si è voluto attribuire, non so perché, al documento, il carattere della contraddittorietà, della non credibilità, addirittura il carattere dell'esagerata ristrettezza delle cose espresse. Direi che non è così: se lo analizziamo attentamente vediamo che nella prima indicazione scaturisce un indirizzo aderente alla realtà della nostra Regione poich diciamo di attuare lo Statuto ed è evidente che la cosa ci ha impegnati e ci impegna tutti, e noi ci auguriamo che lo Statuto possa essere approvato dal Parlamento nei tempi brevi che ci sono stati promessi.
Mi dispiace che non ci sia il collega Marchesotti, ma credo che l'argomento possa essere egualmente captato per quello che diremo: sui controlli abbiamo dato alcune indicazioni, vorrei però che fossimo chiari.
Io sono convinto che il controllo lo eserciteremo nel modo meno vessatorio con una presenza la più leggera possibile, in punta di piedi se possiamo dire così; abbiamo però delle idee chiare sull'argomento. Quando in tema di programmazione nello Statuto, tutti insieme, abbiamo detto che una delle fondamentali basi per l'attuazione della programmazione è la conoscenza del cosiddetto bilancio consolidato dei comuni, abbiamo posto non dico dei limiti alle autonomie locali, ma fatto dipendere largamente le stesse dalle indicazioni che scaturiranno dal piano di sviluppo regionale. D'altra parte non vorrei che in questa conclamata autonomia degli Enti locali, sulla quale peraltro concordiamo, si volesse adombrare sin da oggi l'ipotesi di un'autonomia che potesse, per un verso o per l'altro, trovarsi in contrasto aprioristico con gli indirizzi che assumerà la Regione.
Per quel che riguarda la programmazione, abbiamo indicato quali sono gli strumenti ed i mezzi attraverso i quali la Regione sarà in grado di formulare il proprio piano di sviluppo che - e qui si inserisce il piano generale che viene fatto dallo Stato - non può essere un piano che si adegui, ma deve essere (sono d'accordo con chi lo ha detto) un piano interlocutore di quello nazionale.
Dette queste cose, riportata la questione alla concretezza del documento che non è il programma, vorrei fare alcune considerazioni su ci che ha detto questa mattina, il Vicepresidente Sanlorenzo che ha parlato, a dire il vero, con il tono dell'opposizione di sua maestà, con un intervento di notevole interesse. Ebbene, io credo che non ci sia difficoltà a concordare con lui quando dice che in questo momento la Regione non pu esimersi dall'intervenire su tutti i problemi che stanno determinando indirizzi al vertice dello Stato e che possono tradursi in contraddizione con i punti di vista della Regione. Questo è un terreno sul quale occorre che la Giunta dia una risposta precisa. Io credo che i rimproveri fatti alla precedente Giunta siano stati solo in parte meritati perché non posso dimenticare che la Giunta era nata con molte ipoteche sulla sua provvisorietà. Tutti parlavano di Giunta temporanea, di Giunta statutaria alla quale non potevano essere conferiti poteri, al punto tale che non furono neanche, per questa considerazione, distribuiti degli incarichi.
Oggi si parla ancora di fase costituente; io non credo che la Giunta nasca sotto questo aspetto, nasce per essere funzionale, per portare avanti il suo programma e mettersi al servizio del Consiglio della Regione, secondo quegli obiettivi che saranno indicati dal programma. Però, ripeto, è un momento questo in cui occorre quella presenza che è stata lamentata. Io penso che la Giunta deve dare una risposta positiva a questo proposito. A me è capitato, nell'ambito della Giunta scioltasi nelle settimane scorse di partecipare a riunioni unitariamente ad altre Regioni, per discutere in merito alla preparazione dei decreti delegati da parte dello Stato per l'assegnazione delle funzioni alle Regioni. Ebbene devo dire che ci siamo trovati concordi, anche se personalmente trattavo un argomento che mi metteva in contrapposizione, se volete, con il Ministero che aveva proposto il decreto delegato, ma ci siamo trovati d'accordo nel dire che non si pu scherzare sull'art. 117 e che le funzioni devono essere integralmente trasferite alla Regione per quel che riguarda la competenza che la Costituzione le assegna.
Quindi direi che occorrerà che immediatamente, da parte della Giunta si possa operare per realizzare questi obiettivi di presenza, di elaborazione (che non intendiamo stabilire come elaborazione a priori contraddittoria) su tutti gli argomenti di vivo interesse che riguardano la Regione. Mentre raccogliamo le indicazioni che sono venute, tendenti a spingere, a operare immediatamente, esprimiamo la nostra completa adesione al documento che i quattro partiti hanno formulato per la presentazione della Giunta e che ci riserviamo di completare, per ciò che riguarda gli indirizzi programmatici concreti, in sede di presentazione del programma.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Fassino; ne ha facoltà.
Informo che sono iscritti ancora a parlare sei Consiglieri.



FASSINO Giuseppe

Signor Presidente, signori Consiglieri, richiamandomi a quanto hanno avuto motivo di esprimere i colleghi del Gruppo liberale che mi hanno preceduto, Consiglieri Rotta e Zanone, su taluni aspetti particolari del documento politico amministrativo, al quale ormai è legata la storia breve o lunga che essa sia, di questi ultimi dieci giorni, così come alle certamente dimenticate, ma non per questo meno coerenti conclusioni cui il nostro Gruppo era pervenuto per la dichiarazione di voto sull'elezione della prima Giunta di questa nostra Regione, non posso non rilevare per prima cosa come l'impostazione generale del documento stesso, che pure su alcuni punti ci trova d'accordo, ripeta buona parte di quanto già espresso dallo Statuto, restando quindi sotto il segno - a nostro avviso almeno dell'ordinaria amministrazione, senza guardare più lontano e più a fondo anche se, nella sua illustrazione, il Capogruppo democristiano Bianchi ha fatto accenno ad un "capitale di idee", che non deve di certo essere sottovalutato, ma la cui precisa valutazione potremo definire soltanto quando avremo esaminato, e discusso il "cosiddetto programma operativo" che ci verrà a suo tempo presentato dalla Giunta eligenda. Per ora, fatto quasi miracolistico, può considerarsi l'accordo cui soltanto ieri, a quanto ci risulta, è pervenuta la maggioranza, accordo al quale, dopo aver vuotato il sacco di tutte le riserve mentali, ma soprattutto assessoriali ed altre ancora, i contendenti hanno finalmente apposto la loro firma.
Quando infatti ci si propone di voler assicurare al nuovo istituto regionale una guida (lo stesso Sanlorenzo ne parlava stamattina) che possa affrontare il ventaglio dei problemi aperti nella comunità regionale attraverso la solidale collaborazione dei quattro Gruppi consiliari del centro sinistra, ebbene, noi liberali, di fronte anche a quanto in questi ultimi giorni è avvenuto sul piano nazionale, oltreché su quello locale non possiamo non esprimere tutta la nostra perplessità. Ma dov'é oggi in Italia tale solidale collaborazione? Dove si manifesta? Al centro, forse dove essa è finita nella misura in cui non esiste più come linea politica e sono falliti tutti i suoi obiettivi e l'area democratica si è allargata solo materialmente e lo sviluppo economico ristagna ed il progresso sociale è compromesso dalle inconciliabilità dei diversi punti di vista dai singoli partiti della maggioranza? Al centro, ripeto, dove alla teoria predicata da Mancini della "maggioranza aperta", a quella di Ferri della "maggioranza chiusa" ed a quella infine di Forlani della "maggioranza un po' aperta e un po' chiusa", ha risposto La Malfa predicando quella tutta sua, del "dissenso-assenso", del "disimpegno-appoggio", indubbiamente molto originale, e forse elettoralmente molto utile, anche se non altrettanto abile per convalidare, ripeto ancora, l'esistenza di quella solidale collaborazione cui accenna il documento. O in periferia, allora, dove l'estromissione dei socialdemocratici e talvolta anche dei repubblicani da non poche giunte (siano esse comunali o provinciali), è la dimostrazione vera che tale solidale collaborazione sta diventando un secondo libro dei sogni, ogni giorno di più, al vertice come alla base ovunque? La verità é, invece, come fino ad oggi tale solidarietà è servita alla D.C., per scaricare sul P.S.I. e sul P.S.D.I. le sue contraddizioni interne, è servita al P.S.I. e al P.S.D.I. per scaricare sulla D.C., la loro costante polemica, è servita al P.R.I., per governare, primo disimpegnandosi, poi, arroccandosi infine, in una posizione della quale nulla potrà fare, più di prima, per condizionare il Governo e nulla per diminuire la propria corresponsabilità sugli indirizzi di fondo della maggioranza. Ma nonostante ciò a Roma il Governo, magari zoppo, è però al momento salvo e quasi contemporaneamente a Torino, dopo tanti inspiegabili ed ingiustificati ritardi, lo è finalmente la Giunta Regionale.
Già a Roma come a Torino il centro sinistra cammina (e per il momento non "balla" proprio al contrario di quanto affermava un celebre Ministro degli Esteri del Congresso di Vienna), cammina, sì, ma al prezzo di un diminuito prestigio al Centro, ammesso che ancora ne avesse un po', e di una accresciuta diffidenza in Piemonte, dopo le troppe o troppo significative fumate nere che si sono susseguite. E tutto ciò in un momento in cui abbiamo tutti la consapevolezza della gravità della situazione in cui versa il Paese (neppure sottaciuta dal Governo) e che per noi non è che la logica conseguenza dell'esperienza negativa di questi ultimi anni esperienza che per di più si vuole riproporre, anche in campo regionale dove analogamente a quanto accade in campo nazionale, lascerà le cose del tutto immutate, sia per il persistere degli equivoci di fondo, come per la formula che questi equivoci ha impersonato, ed impersona.
La formula! La mistica formula di questo centro sinistra, a cui pare si debba credere e prestare osservanza (anche se moribonda), finché essa conserva un soffio di vita, a nostro avviso e di questo passo non può che sfociare al centro come alla periferia, se l'elettorato non interverrà nel bicolore cattolico socialista, avallato prima o poi dal Partito Comunista con la definitiva emarginazione delle forze socialdemocratiche e repubblicane, che ormai è già iniziata ed andrà via via perfezionandosi con tutte le prevedibili conseguenze.
Rilevava prima il collega Zanone, che non per nulla è stato affermato recentemente da parte socialista proprio a Torino, che un eventuale ritorno ad un centro sinistra moderato, fondato sull'incontro delle destre dei quattro partiti e magari sull'utilizzazione strumentale dei liberali sarebbe anacronistico. Ma non è stato rilevato invece che, mai, i liberali hanno manifestato l'intenzione di fare i "tappabuchi" per conto di alcuno dei partiti di centro sinistra, ognuno dei quali le proprie difficoltà deve sapersele risolvere da solo. Se poi tali difficoltà risulteranno insuperabili, allora occorrerà cambiare politica. Ma questo è un altro discorso e nulla ha di anacronistico: sta nella logica veramente democratica, almeno perché in essa crede ancora! Cambiare politica! Ma secondo Mancini per andare alla ricerca di "equilibri più avanzati" pensiero ufficiale del segretario del partito socialista, chiarito senza equivoci di sorta dal collega Nesi in questa sede, con la tesi delle "frontiere aperte" che porta con sé, come logica conseguenza, la dottrina delle "maggioranze aperte", ovvero, per definirla altrimenti, delle "opposizioni collaboranti". In una parola: meno confini ci sono, e meglio è. Ma, ci chiediamo, a quale prezzo, ma alla fin fine, con quali risultati? Positivi se tale apertura si limiterà al superamento della logica tradizionale, per mantenere nelle Commissioni la stessa fisionomia del Consiglio mediante una ripartizione delle presidenze, non vincolate al criterio della maggioranza, così come si legge sul documento.
Negativi, invece, se le "frontiere aperte" ben altro dovessero significare! E cioè superamento magari graduale, ma continuo della indispensabile distinzione tra maggioranza ed opposizione, rifiuto dei confini, annebbiamento.
E' evidente che una volta annebbiato il confine fra Giunta e opposizione, all'elettorato non resterebbe che scegliere fra nebbie vaganti, brancolare nel buio, favorire il doppio gioco di chi sta all'opposizione quando è sulla piazza, ma tiene un piede nella maggioranza quando è in Assemblea per portare avanti fino alle estreme conseguenze, che sono poi quegli "equilibri più avanzati" cui accennavo prima. In una parola: "il Parlamento governante! " che diventerebbe qui "il Consiglio ampliato di fatto in Giunta di Governo regionale! ".
Cambiare significa invece per noi, prima di tutto l'esigenza di un chiarimento! Ma chiarimento, in tal senso, non c'è stato perché chiarezza e centro sinistra sono termini inconciliabili, oggi più che mai, al di là della buona volontà degli uomini. E c'è stata uno sola volontà: quella di continuare, comunque, nell'equivoco di sempre, appellandosi alla insostituibilità della formula, alla assenza di alternative da noi contestata, a considerazioni che non si fondano su realtà obiettive! Non si è parlato ancora, dopo tanto tempo, di un vero e proprio accordo sul programma, non si parla oggi di un vero e proprio programma come non se n'è parlato nel luglio scorso.
Se è vero, quindi che non sempre una creatura cresce con le stesse caratteristiche fisiche e psichiche con le quali è nata, è altrettanto vero che talvolta alcune, talaltra molte di queste caratteristiche, permangono o si modificano di poco: non per nulla si afferma che per conoscere e giudicare occorra risalire alle origini. Vediamo quindi le origini di questa creatura che si chiama Giunta e che stiamo per votare.
Prima di tutto è nata la Regione appena costituita, in un momento in cui nessuno riteneva necessario o indispensabile tale evento: ed è nata subito con la vocazione istintiva cui prima alludevo; la vocazione al centro sinistra. Precisamente è nata quando forse non era indispensabile, e i fatti successivi dimostrano che non erravamo allora nel sostenere ciò, ma è nata con il grande desiderio di calcare le orme dei padri romani e con alcune manie di grandezza che sono a Roma abbastanza comuni, per il numero ad esempio, degli Assessori si discusse molto anche allora, quando non erano indispensabili perché le "necessità" amministrative erano irrilevanti. La verità è che, in tal modo, tanti Assessori erano la conseguenza inevitabile di un connubio, basato allora come oggi, più su ragioni di opportunità e di convenienza che su esigenze tecniche amministrative: le stesse esigenze di opportunità che tornarono a prevalere, portando alla modifica dell'art. 31 e al conseguente aumento del numero degli Assessori, senza alcuna giustificazione. Incomprensibile davvero un così radicale istinto al centro sinistra con assoluta preclusione ad ogni altra forma di governo regionale. E si è parlato, e alcuni ne parlano ancora, di irreversibilità. C'é qualcuno che dice che il centro sinistra è incominciato a calare d'importanza al momento stesso in cui qualcuno ha parlato della sua irreversibilità. Ma c'é qualcuno che ancora crede al mito della irreversibilità. E se ci crede sul serio perch in buona fede, come riesce a dimostrarci che essa ancora sussiste? Veniamo tuttavia al dunque, siamo qui per discutere le linee politiche ed amministrative, enunciate nel documento così come vuole l'art. 32 dello Statuto. Bene! Sulla prima ci siamo già pronunciati. Sulla seconda restano da fare alcune considerazioni. Normalmente l'indirizzo politico della forza o delle forze politiche, che hanno ottenuto la maggioranza dei suffragi vero e proprio, è indispensabile che si addivenga alla costituzione della Giunta la quale, a sua volta, dovrà tenere conto dei consigli degli altri Gruppi politici, non solo, ma, sempre restando alla lettera dello Statuto delle istanze di tutte le categorie: sindacali, imprenditoriali economiche, da consultarsi attraverso l'istituto nuovo della partecipazione.
Soltanto dopo la formazione della Giunta, infatti, l'indirizzo politico si trasforma in vero e proprio programma operativo di maggioranza. Ma allora in questa sede, vengono a mancare proprio gli atti mediante i quali si esplica la funzione di direzione politica della Regione, ossia: 1) le dichiarazioni programmatiche del Presidente, che ancora non c'è; 2) il voto sia esso di fiducia o di sfiducia alla Giunta, appena costituita, circa l'indirizzo politico da questa programmato. Vogliamo dire che non è logico procedere all'elezione di una Giunta sulla base di un documento quale quello presentatoci e in assenza di un programma che, data la genericità del documento stesso, quando verrà formulato potrebbe anche presentare dei punti contrastanti. In tal modo si elegge una Giunta, che in sede di presentazione successiva di programmi potrebbe non trovare più gli stessi consensi! E come potremo poi votare una Giunta, che presenta, colore precedenti, attitudini che noi liberali non approviamo? Naturalmente, trattandosi di una Giunta di centro sinistra, ci rendiamo conto che scegliere è tutt'altro che facile per le forze che, al vertice convivono da otto anni, unendosi, dividendosi, tornando ad unirsi e poi a ridividersi. Certo, il convivere è già un modo di collaborare, ma il meno elevato; ed altresì più facile che non lo scegliere. Ed essendo ormai risaputo che la D.C. non sceglie fra gli alleati, per non scegliere al suo interno, ne deriva che la sua regola generale, a tutti i livelli, è quella di fare prima un governo, o come nel caso nostro una Giunta, con definizioni inconsuete, magari improvvisate, per rinviare a dopo la soluzione dei problemi, con delle riforme, discusse poi a tamburo battente come sta avvenendo, realizzato peggio e, ovviamente, delle crisi che periodicamente si susseguono. In poche parole: quando si ha soltanto uno scopo da raggiungere e non una causa da difendere, appena lo scopo viene a mancare, tutto va in sfacelo. Questo accade nel Paese. Ci auguriamo che non accada nella Regione Piemonte! E infine, come potremmo accordare fiducia alla Giunta di centro sinistra, se la vita della Regione può essere compromessa, da un Governo centrale, dello stesso colore, oggi peraltro appena parzialmente rientrato da uno stato di crisi che non è in grado di garantire le istituzioni, l'ordine, l'economia del Paese? Se è vero infatti, che la Regione è un'entità autonoma, lo è però nei limiti di tutta la politica generale per cui è esposta a tutti i contraccolpi, sia politici che economici, che ne derivano! Ora è soprattutto la politica finanziaria ed economica del governo che mette in gioco le funzioni della Regione e non è qui il caso, di riparlare dei bilanci pubblici, della crisi di finanziamento in cui versa l'economia privata, della legge sulla finanza regionale, della riforma tributaria della legge comunale e provinciale e via di questo passo. Non possiamo quindi, di fronte a tutte queste considerazioni, né dare la nostra approvazione al documento né il nostro voto alla Giunta propostaci perch se pure prendiamo atto che anche fra mille difficoltà non è venuta meno la volontà di costituire quest'ultima, la stessa non è che l'evidente espressione di un compromesso continuo: non si dimentichi che l'accordo, se mai oggi c'è sul serio, come ricordava un collega dell'opposizione l'accordo fra trenta Consiglieri ha richiesto dei mesi. E, pertanto, al di là degli uomini che non discutiamo, ma rispettiamo come colleghi ed amici le parti sono sempre le stesse e quindi l'accordo non può considerarsi come nessuno infatti lo considera, né spontaneo né sincero! Con tutte le conseguenze che ne possano derivare.
Nel far voti, tuttavia, che qualcosa di valido possa nascere, e di veramente utile per il nostro vecchio Piemonte, mi auguro che trovino realizzazione alcune indicazioni del collega Rotta in materia di agricoltura, sanità e decentramento universitario e del collega Zanone che particolarmente si è soffermato sui problemi della programmazione, del controllo sugli Enti locali e del funzionamento dell'IRES. Mi si consenta infine, non come Capogruppo liberale, ma come cuneese, che mi associ a quanto già espresso dal collega Viglione circa la particolare situazione di una parte almeno della "provincia granda", che non può essere ignorata.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, con questa premessa e con l'apporto dei colleghi di Gruppo è evidente che la nostra autonomia critica non è indiscriminata, non investe la Giunta ed il suo indirizzo politico amministrativo in tutti i suoi multiformi aspetti, ma, al contrario intende essere seria, responsabile, costruttiva. E', e rimane, consapevole dei diritti e dei doveri che l'ideologia e la tradizione storica impongono ad una opposizione liberale, saldamente ed irremovibilmente ancorata al terreno democratico. E la sua ragione è una sola: la sfiducia in una formula che, nonostante le belle parole, resta quella di prima, resta quella di sempre, quella che troppe volte ha dimostrato, a tutti i livelli di saper vanificare anche le migliori intenzioni. Noi, con tutta lealtà, ci auguriamo che questo almeno non avvenga nella Regione Piemonte.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giovana; ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, è molto probabile io non abbia sguardo analitico così penetrante e acuto quale quello dei colleghi Paganelli e Cardinali intervenuti prima di me, giacché mi trovo seriamente imbarazzato nel prendere il documento che ci è stato presentato come base programmatica per l'elezione della nuova Giunta e trarne spunto per un tentativo di discorso globale o che tenda a contestare anche solo punti specifici di un programma specifico. Ho rilevato la volta scorsa che il documento mi pareva esangue e perciò mi sono attirato il contrappunto polemico del Presidente Calleri. Non ho cambiato opinione, in questi otto giorni concessici per rimeditare. Direi, anzi, quanto più mi è occorso di rileggerlo, tanto più ho trovato che il documento - come già è stato detto stamattina da altri colleghi dell'opposizione di sinistra - contiene una serie di elementi affastellati, una serie di enunciazioni che si intersecano senza sbocco concettuale, di dati giustapposti, taluni dei quali hanno una matrice chiaramente di tipo burocratico amministrativistico, altri non fanno che ricalcare enunciati generali e scontati. Se dovessimo riassumere ancora in una formula (me lo consentirà il collega Calleri) si potrebbe asserire che il documento "ammicca" allo Statuto. Sembra vogliate, in sostanza, limitarvi a dire: esiste questo Statuto, l'abbiamo votato, impone determinate definizioni, attorno a queste definizioni vi forniamo un documento che le adorna con qualche frangia e vi dichiariamo che questo è il programma della Giunta. Allora, credo sia doveroso affermare che è davvero troppo poco. Ci si poteva attendere che di fronte a un documento così carente, fornitoci otto giorni fa, oggi nella discussione, i colleghi i quali si predispongono ad essere responsabili della maggioranza in via di costituzione portassero almeno quegli approfondimenti indispensabili a riempire quei voti e quelle carenze macroscopiche che il documento stesso rivela. E' accaduto invece paradossalmente, che gli unici contenuti di cui ho sentito qui parlare sono venuti da una serie di colleghi dell'opposizione di sinistra i quali, con i loro interventi puntuali, documentati, precisi, con le loro ipotesi, hanno costruito una sorta di quadro di quello che potrebbe essere un piano di governo della Regione, mentre, dalla parte di chi questo governo deve costituire non è venuto alcunché. Sono venute delle riletture di elementi generici contenuti nel documento; talché si è consentito per esempio al collega Zanone (in modo legittimo, dall'ottica della sua parte politica) di trovare qualche spazio per esprimere una benevola attenzione verso tutta una serie di proposte le quali di fatto, dovrebbero essere caratterizzanti di un programma politico, e che se indirizzate in un senso o nell'altro qualificano un orientamento politico.
Perciò la genericità di questo documento (rilevata non solo da colleghi dell'opposizione di sinistra, ma anche, prima di me, giustamente e con accenti che io condivido, dal collega Fassino) non permette una discussione. Era naturale non pretendere che nel quadro dell'indicazione di linee di svolgimento, di orientamento di un indirizzo politico, si portasse qui un completo programma articolato, approfondito e dettagliato; ma era lecito aspettarsi che dentro questo abbozzo di programma vi fossero indicate, in modo più diffuso e puntuale, alcune scelte in assenza delle quali il programma medesimo rimane una dichiarazione di buona volontà, un insieme di richiami petitori, una piattaforma di una genericità tale che può essere aperta a tutti gli sbocchi e a tutte le eventualità.
Non voglio soffermarmi sull'insieme degli aspetti di questo documento ma vorrei ancora indugiare (perché è un punto centrale veramente qualificante del discorso politico e amministrativo del quale siamo investiti) sul problema che ha toccato stamattina in modo esauriente il collega Sanlorenzo. Questo perché tale problema nel documento, per la sua elusività, per il carattere filiforme della trattazione rivela tutta l'inconsistenza della piattaforma programmatica offertaci dalla costituenda Giunta. Mi sono permesso di interrompere il collega Sanlorenzo, stamani mentre stava facendo una osservazione molto giusta: e cioè che il fatto di essersi accontentati di sunteggiare in tre punti quali siano le scadenze temporali attraverso cui si svolge l'attività programmatoria, è addirittura una procedura elementare, ovvia, non mai messa in discussione. Io ho interrotto il collega per rilevare che tutto questo era già reperibile nelle dichiarazioni che hanno accompagnato quel grandioso fallimento (grandioso non per la sua consistenza di fatto politico, bensì per il modo in cui era stato propagandato) andato sotto il nome di piano Pieraccini. In effetti, l'elencazione di questi tre punti non dice assolutamente nulla.
Constata una esigenza che qualunque programmatore, da un'angolazione di un certo tipo o da un'angolazione di altro tipo, deve necessariamente prendere in considerazione. Le modalità di principio e i tempi di attuazione di un disegno di questo genere sono passaggi che di per sé non qualificano affatto una linea programmatoria. E vorrei aggiungere che - ed è un aspetto molto serio per ciò che riguarda l'approvazione data dai compagni socialisti al documento - di per sé, così come è presentata, questa visione della programmazione non esce da una logica di rettifiche e di riordinamento ad uno stato di disordine accolta come necessità primaria dalle stesse forze egemoni del grande capitale, le quali hanno imposto in tutti questi anni il meccanismo di sviluppo che determina le scelte nella nostra società. C'è una frase molto sintomatica da me colta nell'intervento del Presidente Bassetti durante la conferenza televisiva dedicata alla Regione lombarda, quando egli definì la programmazione "necessità di mettere ordine". Su questa necessità di "mettere ordine" convengono tutti persino coloro i quali per decenni hanno visto la programmazione come un fantasma che minacciava la società italiana e in genere tutte le società sicché oggi, lo stesso collega Zanone, il quale rappresenta un partito tradizionalmente contrario alla programmazione, ci ha dato qui conto di come le forze liberali (quanto meno di quella parte liberale che più dinamicamente sente le urgenze della società attuale) non pongano più alcuna pregiudiziale a taluni aspetti programmatori. E noi sappiamo, per essercelo sentito dichiarare e per averlo visto scritto in documenti regolarmente firmati dall'avv. Agnelli, da Pirelli ecc. che il problema della programmazione investe direttamente e impegna fortemente le forze del grande capitale monopolistico. Ma è su questo terreno che le scelte devono essere chiarite; perché mi è già occorso di sottolineare, quando abbiamo discusso della crisi della piccola e media industria in Piemonte, è indubbio che c'é un tipo di programmazione che deve ovviare agli squilibri più macroscopici, che deve mettere ordine, che deve cercare di ridurre i dati di sottosviluppo riproducentisi nello sviluppo, ma che ha un punto fermo sul quale oggettivamente (aveva ragione il collega Sanlorenzo: non è questione di buoni o di cattivi; è una questione di dati oggettivi) le forze egemoni non possono transigere: e cioè che esso sia costantemente correlato alle loro scelte di profitto.
Noi non sappiamo, non abbiamo alcuna indicazione che ci informi se il tipo di programmazione che si vuole affrontare rientra nell'ambito delle compatibilità del sistema degli interessi delle forze che guidano il sistema, o se esso tende invece a rompere siffatto meccanismo di sviluppo e perciò predispone le uniche possibilità di ovviare ai fenomeni di equilibrio, di scompenso e di caos creati nella società proprio dal meccanismo correlato alle scelte del profitto privatistico.
Riecheggiando frasi consuete nei discorsi dell'on. Moro (non a torto definiti discorsi di un uomo che "si spezza ma non si spiega"), il programma enuncia: "la programmazione nella politica di piano nel nuovo sviluppo ha lo scopo di contrastare un processo spontaneo di sviluppo meccanicamente accettato e di determinare metodi obiettivi di uno sviluppo diverso". Che cosa vuol dire "un processo di sviluppo spontaneo"? Vuol dire un processo di sviluppo che è avvenuto per la fatalità delle cose? Ritorna sempre questa entità fantascientifica dell'imponderabile che incombe sulla società, per cui nessuno è responsabile di nulla. Oppure non si deve ammettere che questo processo ha battuto le strade che ha battuto perché le forze economiche che lo hanno guidato hanno trovato nelle forze politiche aventi le responsabilità di governo a livello centrale e periferico il necessario sostegno affinché il disegno si sviluppasse secondo una certa logica? Che cosa vuol dire "meccanicamente accettato"? E' un riconoscimento autocritico da parte delle forze della classe dirigente politica di avere "meccanicamente accettato" le scelte del grande capitale monopolistico? Ma allora deve essere esplicitato. Anche qui la frase, come è formulata, dà la sensazione che ancora una volta un congegno fatale, inarrestabile, ha fatto sì che queste scelte così squilibranti, queste scelte le quali portano la società italiana sull'orlo dell'esplosione per le sue infinite contraddizioni a livello economico e sociale, non siano dipese da alcuno.
Non si trova mai il responsabile.
Abbiamo, tutti quanti, il dovere di essere molto chiari, molto franchi se non vogliamo mistificare le questioni e perderci in rodei accademici senza senso. Esiste (sono domande che esigono una risposta) una D.C.
piemontese con una volontà politica diversa dalla D.C. che guida il Paese e la coalizione di centro sinistra? Esiste un'operante solidarietà, come è scritto all'inizio del documento, una solidale collaborazione fra i Gruppi del centro sinistra piemontese che rappresenti qualche cosa di profondamente diverso da quella che è la configurazione, la fisionomia e i modi di vita quotidiani del patto di centro sinistra a livello nazionale? Penso sarà consentito alla nostra parte di rispondere che non è ammissibile, a meno che esistano diverse D.C., diversi partiti socialisti diversi partiti repubblicani. La verità è che il centro sinistra appare come una caravella in navigazione sbattuta dalle onde, soprattutto perch ci sono molti marosi nella società italiana, e queste bufere in mezzo alle quali esso naviga non sono occasionali, sono i prodotti di una realtà che si è lasciata andare nel tempo per un certo verso e che oggi causa queste scosse. Ma la caravella naviga nel modo che sappiamo (si potrebbe dire "avanti adagio, quasi indietro") soprattutto perché non c'è accordo fra gli ufficiali di rotta. Io non mi addentrerò certo nell'elaborata esegesi storico-politica che ha svolto il collega Gandolfi e che riguardava soprattutto i compagni comunisti (saranno loro a doversi trarre d'impaccio da quell'analisi); affermo però che, non solo non c'é accordo fra gli ufficiali di rotta, ma uno di questi, il rappresentante di una parte in questo patto di alleanza, è addirittura sceso dalla caravella e la segue a remi sulla barca, forse adoperando, per orientarsi un portolano, che tiene conto ancora del sistema tolemaico, quando credo larghissima parte dei cattolici abbia ormai ben compreso come per seguire qualsivoglia rotta, di mare o politica, occorra prendere atto dell'esistenza del sistema copernicano.
Ecco quindi come, da questo punto di vista, non ci può essere credibilità, perché non esistono le basi minime. Bisogna che dimostriate il contrario: in questi mesi di crisi non lo avete certo fatto. Le forme e i metodi adottati per giungere alla formulazione di questo programma ivi compreso un dato che io come altri colleghi ritengo positivo, ossia l'affermazione di volontà di nuovi rapporti tra maggioranza e minoranza, il problema delle commissioni da non risolversi in sede di trattativa chiusa ma da rivedersi in sede di regolamento; tutta questa metodologia voi l'avete usata in un quadro che sa troppo di un tentativo permanente di tenere assieme con cuciture posticce un tessuto che non sta più assieme. E quando si dice questo, si dice che non è possibile esista una volontà politica reale di portare avanti, in modo omogeneo e organico, una qualunque scelta capace di dare alla regione piemontese le gambe per camminare, capace di dare consistenza a un programma effettivo di rinnovamento della Regione come momento di "rifondazione" dello Stato italiano, così come noi abbiamo concepito la nascita e la funzione dell'Ente regionale. Non possiamo estraniare, infine, la condizione piemontese dalla realtà politica generale del Paese. Tutti gli atti che avvengono nazionalmente, egregi colleghi del centro sinistra, non vanno nella direzione delle affermazioni che qui sono state fatte. Non potete certo sostenere che il modo con cui è stata concepita e portata alle Camere la riforma tributaria dell'on. Preti sia un qualche cosa che rientri nello spirito di un rinnovamento non solo del sistema fiscale italiano per modificarne un vecchio meccanismo di ingiustizie, ma che vada altresì nel senso di una promozione delle funzioni dell'autogoverno locale. Non potete sostenere che le scelte da voi operate col "decretone" tendevano a bloccare lo strapotere dei grandi gruppi di interesse privato e perciò stesso a permettere, da parte delle Regioni, un modo nuovo di contrattazione della programmazione dalla periferia con una classe dirigente di governo sganciata dalle scelte dei grandi gruppi privati. Saremmo in grado di citare decine di altri atti che si susseguono ogni giorno nella vicenda del centro sinistra e che non vanno nella direzione da noi auspicata e necessaria per far procedere le autonomie locali.
Per queste ragioni, che ho cercato di sintetizzare rapidamente, non è da ritenere il patto di centro sinistra, localmente come nazionalmente possa dare frutti tali da consentire di superare non soltanto i ritardi gravi che già abbiamo alle nostre spalle, ma gli ostacoli quanto mai elevati che si ergono di fronte alle prospettive di portare la Regione ad essere un'entità funzionante, operante nell'interesse dei lavoratori e dei cittadini tutti.
Ed è per queste ragioni che, a conclusione di questo breve intervento annuncio il voto sfavorevole della mia parte.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi; ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il P.S.I., consapevole delle esigenze di questo momento politico, il quale richiede una ferma ed autorevole azione di governo, pur nella piena autonomia ideologica di tradizioni, di ispirazioni e di esperienza, assume leale impegno per la costituzione della Giunta della Regione Piemonte. Firmando questo accordo il P.S.I. ha inteso raggiungere questi obiettivi generali: concorrere anche nella nostra Regione, a difendere le libere istituzioni, attribuire quote sempre maggiori di potere e di responsabilità alle forze popolari fornendo a queste forze un punto di riferimento per controllare lo sviluppo civile ed economico e per indirizzarlo, creare nuovi spazi per le autonomie locali che vanno rafforzate e potenziate, perché diventino centri reali di azione politica ed amministrativa.
Risponde, l'accordo raggiunto, a questi obiettivi? Io non verrò in questa sede a dire che l'accordo che è stato raggiunto questa notte è un accordo entusiasmante e non dirò nemmeno, per usare un linguaggio caro ai nostri amici cattolici, che è un accordo edificante. Dirò invece che la somma algebrica dei dati positivi e negativi che rappresenta questo accordo, è parso al P.S.I. positivo. E quando dico positivo non intendo per gli interessi immediati di programma o di potere del P.S.I., ma per gli interessi di più ampio respiro, di più ampia portata della classe lavoratrice.
Abbiamo cioè responsabilmente valutato che quel tanto di programma socialista che siamo riusciti a far diventare programma della coalizione fosse sufficiente ad impegnare la nostra presenza nella coalizione stessa.
Ed a questo proposito vorrei fare presente al compagno ed amico Giovana che ha definito esangue il documento politico, che si tratta molto probabilmente di un documento poco sanguigno, ma certamente di un documento non leucemico. Vorrei rileggere insieme a Giovana la pag. 6 del documento stesso, che egli ha citato ripetutamente, su cosa si intende per nuovo sviluppo. Le parole sono edulcorate, non c'è dubbio, dopo le varie stesure a cui sono state sottoposte, ma l'impegno è preciso: quando abbiamo scritto che "i partiti della coalizione intendono battersi con coerenza per realizzare le condizioni politiche indispensabili per assolvere gli impegni presi" abbiamo inteso dire che una politica di questo genere, è una politica che non può essere indolore perché colpirà certamente degli interessi costituiti, quindi non una politica neutrale, una politica non indolore; solo quegli interessi che prevalendo sul potere pubblico, come abbiamo ripetutamente affermato pubblicamente, non hanno permesso che si facessero nelle nostre città piani regolatori, che hanno scatenato la speculazione edilizia, che hanno permesso insediamenti residenziali e industriali fatti secondo scelte che in realtà erano prive di efficienza interna anche per le stesse industrie. E d'altra parte, la più recente problematica della sinistra italiana, ha messo in luce il fatto che il sistema capitalistico italiano non è in grado di sopportare nemmeno le riforme razionalizzanti e normali, le riforme fatte in altri paesi capitalistici e che quindi ogni riforma, quella della casa, quella della scuola ecc., comporta degli squilibri nel sistema, squilibri portatori di equilibri successivi. Questa è la ragione fondamentale per cui riteniamo che questo documento non sia poi così poco sanguigno come il collega Giovana afferma.
Quando abbiamo dichiarato e scritto che "occorre per la nostra Regione uno sviluppo che prescinda dalle convenienze aziendali e determini i metodi e gli obiettivi di uno sviluppo diverso" come scritto a pag. 6 del documento, abbiamo inteso dire che il mezzo col quale si risolvono i gravi problemi della Regione Piemonte, non è più di quantità, ma di qualità; è un problema di capovolgimento del metodo. Sono dichiarazioni di intenzioni, è stato detto, ma sono anche parole che pesano, tenendo conto delle forze che si impegnano ad operare per questi obiettivi, vale a dire che si impegnano a cambiare radicalmente il sistema di sviluppo della nostra Regione.
Ed a questo proposito io ho già detto altre volte e devo ripetere in questa sede, che una concezione realistica, non astratta, non da libro dei sogni, del piano nell'anno di grazia 1971, comporta un continuo incontro scontro con la grande industria privata e con le concentrazioni finanziarie che di questa industria sono il supporto internazionale.
E sono lieto di constatare che anche i compagni comunisti, nei discorsi che ho sentito questa mattina, concordano nell'impostazione che questo scontro si manifesta attraverso una contrattazione e che questa contrattazione, per essere reale, deve essere fatta da forze che abbiano la stessa capacità contrattuale e la stessa volontà di agire e di non subire.
E' giusta la domanda di Giovana se le forze della coalizione hanno questa capacità e questa volontà: non abbiamo mica firmato un impegno per la vita abbiamo firmato un impegno che ha bisogno di continui riferimenti e di continue verifiche.



GIOVANA Mario

Quanto meno, se me lo consenti Nesi, è un'avanzata adolescenza!



NESI Nerio

Non c'é dubbio.
Ed a questo proposito io debbo dare atto al collega Sanlorenzo di avere portato il discorso su un argomento ripreso anche adesso, se pur brevemente, dal collega Giovana: la decisione del Consiglio dei Ministri della Comunità Economica Europea dell'8 febbraio scorso, argomento apparentemente non connesso alla discussione in corso, ma in realtà ampiamente legato al discorso regionale per le implicazioni dirette ed indirette che avrà sulla situazione economica del nostro Paese ed in particolare della nostra regione, oltre che delle regioni del Sud. Ed è importante che sia stato portato, forse per la prima volta in una sede regionale, ma direi anche in sede politica nazionale, da un partito di sinistra, il grosso problema dell'integrazione dei capitali in Europa. E' ragionevole temere, infatti - concordo con quanto diceva Sanlorenzo - che date le condizioni prevalenti di partenza dello stato dell'economia del nostro Paese, la liberalizzazione dei capitali trasferisca sul piano comunitario l'insufficiente utilizzazione, anzi, lo spreco dei fattori di produzione già tipici dell'economia italiana. La distribuzione e l'impiego dei capitali troveranno una giustificazione sempre maggiore nel criterio della produttività marginale privata: vale a dire che il Mercato Comune Europeo potrà rappresentare il luogo in cui liberamente si incontreranno la domanda e l'offerta di capitali. Questo avrà delle conseguenze assai gravi in un Paese come il nostro nel quale occorrono investimenti massicci, la cui utilità sotto l'aspetto del reddito immediato, è certamente scarsa.
Se lasciata allo spontaneo movimento speculativo, la liberalizzazione dei capitali comporterà inevitabilmente una concentrazione degli stessi laddove il reddito immediato è più forte, vale a dire nelle zone europee più ricche e ciò avrà come conseguenza immediata che l'Europa ricca diventerà sempre più ricca e l'Europa povera diventerà sempre più povera.
Io dico questo perché la nostra Regione, nella quale si concentreranno contro tutte le direttive, anche della programmazione nazionale, un numero sempre maggiore di capitali, subirà conseguenze, proprio per l'ordinamento regionale, assai gravi. E anche perché dobbiamo veramente stare attenti a dimistificare questo fatto della moneta unica che va prendendo piede anche nelle classi alle quali dovrebbe sfuggire questo problema; il fatto che con la lira si possa andare in Germania, in Francia senza cambiare non interessa in realtà nessuno, ma i giornali d'informazione, i giornali del capitale cominciano a insinuare questo bisogno.
E' chiaro quindi che l'economia in un Paese come il nostro che ha bisogno di investimenti nelle zone più povere, sarebbe travolta se la organizzazione dei capitali all'interno dell'area comunitaria rispondesse al solo criterio dell'utilità marginale privata. Ma questo discorso riporta il ragionamento alle possibilità reali e su questo vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi - di una programmazione europea non sorretta da una volontà politica unitaria, in paesi retti dai governi più diversi: è ciò che ha consentito fino ad ora alle banche centrali e alla Banca d'Italia nel nostro Paese (in carenza degli organi della programmazione) di fare e disfare la politica monetaria interna ed internazionale. Ma la forza delle banche centrali costituisce anche il loro limite perché esse non possono, e sarebbe assai grave se lo facessero, sostituirsi al potere politico: i problemi dei prezzi, della politica di pieno impiego dell'assetto regionale, in definitiva il discorso sugli obiettivi ultimi della programmazione torna alla ribalta inesorabilmente quando si vogliano affrontare seriamente.
D'altra parte il problema della creazione di una economia europea integrata nella quale emerga il ruolo delle varie regioni europee (e qui il discorso ritorna alla nostra Regione come regione di confine del nostro Paese) diventa sempre più pressante anche in presenza di un continuo tributo che l'Europa sta pagando anche in termini monetari alla politica economica degli Stati Uniti largamente influenzata dalle conseguenze delle enormi spese militari che quel paese incontra per la guerra nel Vietnam.
E' quindi un discorso aperto quello che stiamo facendo e problematico.
E' un discorso di alternativa ad una linea politica monetaria che la classe lavoratrice e i partiti di sinistra devono porsi e che ha bisogno di approfondimenti, di esperienza, di studio. Ma questo discorso ci fa ricondurre al piano: io accetto tutte le critiche di evanescenza che sono venute sul piano, nella misura in cui peraltro queste critiche partono da un stimolo costruttivo, non da uno stimolo distruttivo e siano fatti anche con durezza, ma con una durezza costruttiva.
E desidero rispondere, per quello che mi riguarda, anche a ciò che è stato detto sui rapporti con il Parlamento ed il Governo. Il mio partito ritiene che la linea dei rapporti tra la Regione e lo Stato non deve essere intesa in senso giuridico, ma come rivendicazione chiara dello spazio politico che spetta alle Regioni secondo la Costituzione. In questo modo io credo si risolvano correttamente anche i rapporti - se ci deve essere alternativa di polemica e di polemica politica naturalmente - fra le Regioni e le altre organizzazioni dello Stato. Uno spazio che va inteso come premessa corretta dell'azione regionale, la quale, nella misura in cui sarà autonoma, sarà in grado di operare un'inversione di tendenza nella dinamica del potere. Il nostro partito ritiene necessario che la Regione si muova subito - questo lo dico per rispondere a una domanda precisa che è stata fatta - non solo sul terreno dei decreti delegati, ma anche sul terreno generale della legislazione oggi vigente, individuando via via le leggi che sono in contrasto con l'autonomia regionale. Così come riteniamo che sia necessario conoscere subito le proposte dei vari Ministeri e soprattutto lo schema che il compagno Giolitti ha preparato per il piano generale dello Stato.
Il nostro giudizio quindi, relativamente alla situazione generale e alle condizioni generali della coalizione non è negativo per il programma ed è invece positivo per gli schieramenti. Nel valutare positivamente l'accordo noi abbiamo valutato che la responsabilizzazione delle forze democratiche presenti in Consiglio, soprattutto di quelle che rappresentano larghi strati della classe lavoratrice, (responsabilizzazione che ponemmo a suo tempo come condizione per elevare il numero degli assessorati) sia un fatto importante anche perché un fatto nuovo nella pur breve storia delle assemblee regionali italiane.
Abbiamo valutato che esiste in questo Consiglio Regionale uno schieramento antifascista così forte da permettere l'approvazione di un ordine del giorno di tutto il Consiglio Regionale (esclusi ovviamente i fascisti) il che non è stato possibile fare nel Parlamento nazionale soprattutto di un o.d.g. nel quale non vi è traccia della famosa e famigerata tesi degli opposti estremismi che il nostro partito respinge e che ha trovato invece credito nelle parole del Presidente del Consiglio dei Ministri nel suo ultimo discorso al Parlamento. Abbiamo cioè valutato che in termini di programma, in termini di schieramento, il giudizio sull'accordo raggiunto può essere considerato positivo. Abbiamo anche valutato come serie e reali la presenza e la possibilità di intervento del nostro partito sul piano generale attraverso il controllo della politica della entrata e della politica della spesa e del piano e in un campo specifico di grande attualità, quale quello della difesa dell'ambiente.
Non altrettanto possiamo dire per la presidenza delle commissioni sulle quali non è stato raggiunto un accordo. Desidero fare un breve accenno a questa vicenda, perché alcuni colleghi, anche di parte comunista hanno criticato l'intera coalizione in modo frettolosamente generico per il tempo perduto su questo argomento. C'era stata da parte nostra una precisa richiesta per la presenza in un settore assai importante quale quello della sicurezza sociale della sanità. Questa richiesta rispondeva anche alla più volte conclamata opportunità che i presidenti delle commissioni principali non appartenessero allo stesso partito dei responsabili dei corrispondenti assessorati. Questa commissione è stata in un primo tempo concordata, poi rinnegata. Abbiamo allora riproposto un'alternativa di tre commissioni: anche a questa proposta è stato risposto negativamente.
A questo punto il nostro partito ha ritenuto che la sua dignità e la dignità e il prestigio del compagno che era stato designato a questo incarico non consentissero altre alternative. Pertanto l'accordo su questo punto non esiste, tutta la materia sarà regolata in modo assembleare nella conferenza dei Capigruppo, peraltro ponendo il nostro partito come impegno preciso a non fare della scelta della commissione una ragione di rottura della Giunta. Nostro preciso impegno peraltro è che i più forti gruppi di minoranza siano presenti nella presidenza e nella vicepresidenza di commissione.
Riteniamo in questo modo di avere dato l'ennesima prova di subordinare l'interesse del nostro partito agli interessi generali.
Signor Presidente, nei giorni scorsi è stato lungamente discusso di comportamenti e di metodi ed io desidero dire qualcosa a questo proposito.
Devo dichiarare subito che, anche in riferimento a quello che diceva Giovana circa la anomala presenza del P.R.I. nella coalizione proprio nel momento in cui questo partito si stacca dalla responsabilità del governo nazionale, pur rimanendo nella maggioranza, che il nostro partito, pur nel dissenso, ritiene legittima la posizione del partito repubblicano. Questo dico anche per coloro che ad ogni occasione di dissenso ricordano a noi socialisti le situazioni di Novara, di Asti o le giunte di sinistra anche in piccoli paesi del retroterra torinese.
Riteniamo che per i nuovi rapporti che si sono venuti a creare tra le forze politiche e la realtà del Paese, non sia possibile pensare (come ha detto recentemente alla Camera il segretario del nostro partito) a maggioranze di governo basate su formule "prussiane", vale a dire a solidarietà rigide ed estensive tali da giungere ad annullare la capacità di iniziativa autonoma dei singoli partiti a livello dei rapporti con la società e con le forze emergenti nel Paese.
Sulla base di questa posizione abbiamo respinto in passato la proposta di una specie di direttorio di governo nel quale fossero presenti i segretari dei partiti di maggioranza, il che avrebbe annullato completamente il rapporto dialettico che deve esistere fra i partiti ed il Governo e che è imprescindibile per il nostro partito.
Abbiamo anche respinto tentativi di "universalizzare" la formula di maggioranza e conseguentemente la sua estensione ed il tentativo di trasformare un discorso di tendenza in obbligazioni vincolanti ed inderogabili, perché riteniamo che ciascun partito non può essere in sostanza diverso da quello che è e che ciascun partito deve partecipare alla coalizione conservando inalterata la propria fisionomia, esercitando globalmente la propria autonoma e originale funzione nella società.
Lo stesso discorso vale per i rapporti della coalizione con il Consiglio Regionale. Ed a questo proposito non ho nulla da aggiungere a quanto deliberato dalla direzione del nostro partito nella sua riunione del 1^ marzo scorso. La direzione del nostro partito - ribadendo che la coalizione di governo deve essere a carattere aperto - ha riconfermato il metodo già positivamente sperimentato nel cercare sui contenuti delle riforme convergenze ed accordi con i sindacati, gli Enti locali, i gruppi parlamentari che rappresentano interessi popolari. Difficilmente questa posizione può essere considerata più chiara ed è a questa posizione che il Gruppo socialista si atterrà nella sua azione nella Giunta, nelle Commissioni e nel Consiglio.
Discorso doveroso è quello dei metodi e diciamo subito che non abbiamo nulla da aggiungere, anche in questo campo, a quello che abbiamo dichiarato il 23 luglio '70 al momento della costituzione della prima Giunta in questa Regione, quando abbiamo considerato il metodo di governo con funzioni precise e significato collegiale. Funzioni precise perché mentre non siamo favorevoli, siamo anzi contrari, ad un assemblearismo che porterebbe a soluzioni confuse, siamo anche contrari ad ogni super potere dell'esecutivo. Significato collegiale vuol dire che i nostri compagni designati a ricoprire cariche in Giunta non si potranno né si dovranno intendere collocati a presiedere settori limitati, nettamente definiti da confini di competenza, ma come attiva delegazione politica, abilitata a sviluppare un discorso politico sulla conduzione della Giunta in tutti i settori.
Signor Presidente, signori Consiglieri, in molte occasioni della sua storia recente il nostro partito ha pagato un prezzo assai caro per salvaguardare le istituzioni (i fascisti servono sempre a qualcuno) o per impedire involuzioni moderate o tentazioni centriste. Forse anche oggi ci troviamo di fronte a questo pericolo e la nostra scelta ha come obiettivo fondamentale, ancora una volta, quello di impedirlo. Affidiamo alla classe lavoratrice e a coloro che ci hanno mandati qui, il giudizio sul nostro operato. Per parte nostra abbiamo la coscienza di aver fatto il nostro dovere.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Ferraris; ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi, intervenendo a questo punto del dibattito io non insisterò sulla precarietà dell'accordo raggiunto all'ultimo momento che oltre tutto è un aspetto della crisi patologica che investe la formula stessa di centro sinistra, né insisterò sulla gravità dei danni provocati da questa lunga crisi, né sulle macroscopiche deficienze, carenze del documento già del resto denunciate da altri compagni del mio Gruppo e colleghi di altri Gruppi; ma raccogliendo l'invito contenuto nel documento stesso a fornire contributi per l'elaborazione del programma vero e proprio che la Giunta si impegna a presentare in una delle prossime sedute, mi limiterò ad intervenire per sottolineare alcuni problemi relativi all'agricoltura e alla distribuzione. Ovviamente tratterò questi problemi solo per indicazioni di massima, con riferimento agli strumenti, alla metodologia di lavoro ed agli obiettivi di fondo che lo stesso Statuto ci impone di perseguire. Soprattutto ne parlerò in stretto riferimento a quella che io ritengo debba essere considerata come la "seconda fase costituente", (di cui si parla pure nel vostro stesso documento) cioè una fase di lavoro intenso, stimolante, impegnativo e soprattutto decisiva ai fini della costruzione della Regione come entità deliberativa, operativa finalmente dotata delle proprie potestà legislative come previste dalla Costituzione, e quindi pronta ad agire per soddisfare le attese e le speranze dei lavoratori, dei coltivatori che sono fra coloro che più hanno creduto e credono nella Regione.
Nel corso di questa "seconda fase costituente", a mio modo di vedere occorre procedere rapidamente non solo a definire l'organigramma, la strutturazione interna del Consiglio e della Giunta, la definizione o costruzione di altri strumenti, ma occorre fare procedere insieme la definizione delle scelte politiche, degli obiettivi che si intende perseguire, la formulazione dei programmi e soprattutto occorre avviare un confronto con il Governo, il Parlamento non solo per sollecitare il passaggio dei poteri delegati, delle leggi quadro (o cornice che dir si voglia), ma per ottenere che gli uni e le altre esauriscano in tutto e per tutto lo spirito e la lettera dell'art. 117 della Carta Costituzionale senza riserve di sorta. Altrimenti la Regione, o meglio le Regioni, non saranno nate bene e per quanto ci riguarda non basterà il nostro Statuto per quanto buono e avanzato, a modificare le cose. Ma allora occorre avere coscienza del grave ritardo e della responsabilità, che certo non è nostra con la quale la nostra Regione si è fino ad ora mossa in questa direzione.
Non solo nel senso che non abbiamo esercitato alcuna pressione efficace verso il Parlamento ed il Governo perché voi, in tutt'altre faccende affaccendati non ci avete pensato, ma avete impedito al Consiglio e quindi a noi di formulare proposte e indicazioni per un confronto di merito, oltre che per una pressione politica verso il Governo, verso i Ministeri, e contro l'alta burocrazia statale, la quale non solo lavora con il rallentatore alla predisposizione degli schemi per i decreti di delega dei poteri ecc., ma tenta di introdurre una serie di riserve restrittive ai danni della Regione, del tutto inaccettabili; questo sia per quanto riguarda il trasferimento dei poteri e delle strutture periferiche dello Stato, sia per quanto riguarda le competenze di cui alle leggi quadro o cornice.
Caro Fonio, è soltanto attraverso questa via che possiamo superare il periodo del così detto "biennio bianco".
Infatti, per quanto riguarda l'agricoltura e le foreste, non solo come ho già avuto modo di denunciare altra volta, gli alti burocrati del corpo forestale, ad esempio, si sono costituiti in comitati di agitazione per impedire il passaggio del demanio forestale e delle competenze relative alle Regioni, ma negli uffici del Ministero dell'Agricoltura si sta lavorando a ritroso: già due schemi di decreti sarebbero stati buttati al macero perché troppo avanzati e ora si sta lavorando su ipotesi arretrate conservatrici, mutilatrici delle competenze regionali. Tutti ben conosciamo le competenze della Regione in agricoltura che sono pressoché esclusive per cui non è il caso di elencarle, ma occorre invece che si sappia che è in atto un tentativo per sottrarre alle Regioni la disciplina e l'organizzazione dei mercati, la sperimentazione agraria e la difesa fitosanitaria e, cosa di primaria importanza, la disciplina dei rapporti privatistici in agricoltura, con tutte le conseguenze limitatrici che ci comporterebbe in materia di bonifica, della trasformazione agraria e sul terreno della distribuzione della produzione agricola. Pertanto, nel corso di questa seconda fase costituente, se si vuole che essa abbia un senso vero e produttivo e costruttivo, occorre impegnare battaglia; fare un braccio di ferro sul terreno dell'autonomia e della responsabilizzazione di tutti gli enti autonomistici: Regioni, Province, Comuni, comunità montane consigli di valle con la più ampia ed attiva partecipazione delle organizzazioni sindacali di categoria e soprattutto con la più ampia partecipazione dei lavoratori, degli operai, dei coltivatori, contadini artigiani, studenti.
Se è questo che si è voluto dire, io concordo con quanto si afferma a pag. 2 del documento, dove si dice che "l'Istituto Regionale sarà realmente costituito soltanto quando sarà intimamente penetrato nella coscienza dei cittadini e ne avrà ottenuto la convinta e fervida adesione". Tutto ci però esige impegno ed elaborazione da parte nostra, chiarezza di idee capacità di formulare proposte credibili e di recepire i contributi dal basso che occorre stimolare. Così come presuppone che da parte nostra si inizi subito a lavorare non solo sulla base dell'art. 117, ma anche attorno all'art. 118 della Costituzione e quindi agli artt. 66, 67 e 68 del nostro Statuto il quale prevede appunto che la delega in favore dei Comuni e delle Province non sia solo un fatto amministrativo, ma un reale potere politico che ci siamo impegnati a conferire alle autonomie locali. Questa prassi dovrà essere particolarmente applicata per l'agricoltura, perché essa si configura strettamente con le questioni del territorio, per la qualità e quantità dei suoi problemi, delle sue particolarità locali, ecc.
Pertanto, se in materia di agricoltura occorre affermare con forza che non si può fare luogo ad alcuna riserva di poteri all'organizzazione centrale, che non siano quelli previsti dalla Costituzione, si deve contestualmente affermare il più ampio uso del ricorso alla delega verso gli Enti locali. Più in generale, a parte ogni polemica nominalistica sull'abolizione o meno del Ministero dell'Agricoltura, al Governo centrale dovranno rimanere, secondo noi, solo compiti di programmazione nazionale e di economia agraria, di collegamento internazionale, (commercio estero politica comunitaria) e anche su questi temi, in particolare sul tema della politica comunitaria, sarà indispensabile al più presto un confronto fra le Regioni e il Governo, un confronto e una verifica per le necessarie modifiche che occorre apportare.
Il Ministero dell'Agricoltura dovrà assumere una fisionomia del tutto diversa rispetto all'attuale, in quanto anche solo il solo passaggio delle sue funzioni periferiche alle Regioni, impone un radicale ridimensionamento e ristrutturazione dei compiti e delle funzioni degli apparati centrali sulla base appunto delle funzioni che si daranno le Regioni.
In questo senso la riorganizzazione del Ministero non sarà allora il risultato di un semplice decentramento amministrativo, come da alcune parti si propone, ma il risultato di un profondo processo di trasformazione conseguente e coerente ai compiti e alle funzioni assegnati alla Regione dalla Costituzione repubblicana.
Intanto per nessun motivo ci pare che si possa accettare l'ipotesi della permanenza a livello regionale e periferico della doppia presenza di strutture amministrative dello Stato e delle Regioni.
Per quanto concerne gli organi periferici del Ministero dell'Agricoltura - e con ciò intendiamo non solo gli Ispettorati agrari, ma anche gli Ispettorati compartimentali, che invece da parte dei burocrati del Ministero dell'Agricoltura si vorrebbero mantenere al Ministero stesso il discorso sembra semplice, ma tutti sappiamo che non lo è. Dobbiamo pretendere che questi strumenti passino subito alle Regioni, ma non per mantenerli come sono ora, bensì per acquisirne le funzioni. Una parte del personale, che rappresenta un patrimonio ragguardevole, dovrà andare all'ente di sviluppo, altro personale potrà essere delegato alle province altro ancora potrà essere inserito nei ranghi della Regione con compiti funzioni di studio e di elaborazioni programmatiche, ecc.
Naturalmente sono problemi che dovremo affrontare più avanti con leggi regionali, ma guai se tardiamo ad occuparcene ulteriormente, perché queste questioni sono parti decisive della "seconda fase costituente". Noi come Regione Piemonte, possibilmente in accordo con le altre Regioni dobbiamo elaborare non solo una nostra posizione ma un vero e proprio schema per i vari decreti per il passaggio dei poteri e andare su tale base al confronto col Parlamento e col Governo. Naturalmente attorno a questi problemi, per la loro soluzione, dobbiamo costruire un ampio schieramento unitario ed in primo luogo abbiamo bisogno della partecipazione dei coltivatori e delle loro organizzazioni e dobbiamo prospettare sin d'ora se non veri e propri programmi operativi, almeno linee di intervento capaci di dare credibilità ai propositi di rinnovamento che la Regione può e deve realizzare.
E qui rapidamente vorrei affrontare alcune questioni di metodo e di merito. Premesso che si tratta di operare per realizzare le indicazioni e gli obiettivi stabiliti nel nostro Statuto, che in materia di agricoltura impegna, ad esempio, la Regione a realizzare un ordinamento agricolo che trovi nell'impresa di proprietà coltivatrice familiare singola ed associata, l'elemento fondamentale dello sviluppo e del rinnovamento dell'agricoltura e per l'affermazione di più giusti rapporti sociali e più civili condizioni di vita nelle campagne, emerge immediatamente l'esigenza di operare con politiche e strumenti diversi dal passato. Di qui l'importanza del piano di zona e dell'ente di sviluppo agricolo regionale.
Infatti, la questione centrale presente nella formulazione dell'obiettivo finale dello Statuto, in materia di agricoltura, sta nella ricerca di una funzione nuova, attiva, a guisa di volano dello strumento pubblico, che solleciti la ristrutturazione dell'agricoltura, nell'ambito di una concezione nuova dell'uso del territorio e della proprietà e nella sollecitazione attiva imprenditoriale dei singoli e delle forme associative e cooperative. Il volano di base che dovrà operare questa trasformazione, a mio modesto avviso, può essere soltanto il piano zonale di sviluppo agricolo e la conferenza agraria di zona come strumento permanente di partecipazione alla elaborazione e di controllo sull'esecuzione. Piano di zona che io vedo come un insieme di tessere settoriali che concorrono partendo dai problemi del settore primario, a determinare un'organica ed equilibrata configurazione del piano generale di sviluppo economico di ogni singolo comprensorio o area ecologica o subarea ecologica. Pertanto a livello del piano zonale di sviluppo agricolo si dovranno affrontare i problemi delle trasformazioni agrarie, delle specializzazioni produttive dell'irrigazione, dell'associazionismo minore ecc. Rinviando al piano di comprensorio o di area ecologica la realizzazione dei problemi più generali della difesa del suolo, del riordino idrogeologico, degli assetti sociali (unità sanitarie locali) trasporti, scuola ecc., delle localizzazioni industriali, o degli impianti consortili a più grande dimensione per la conservazione, trasformazione e commercializzazione della produzione agricola. Decisivo, a questo fine, è il ruolo primario che dovranno assumere gli enti elettivi territoriali e la partecipazione della categoria interessata e quindi poi sul piano della operatività la funzione dell'ente di sviluppo agricolo regionale.
E qui io non posso evitare di lamentare il ritardo imposto dalla crisi così come mi permetterete di dire che è troppo poco riaffermare, come fate nel documento che ci avete presentato, che si tratta di istituire l'ente di sviluppo agricolo. E' ora di dire come e quando. In merito vi sono iniziative parlamentari a livello nazionale, idee e proposte in altre Regioni, ma da parte vostra nulla! Un gruppo parlamentare ha anche chiesto un incontro, in parte l'ha avuto col Presidente del Consiglio, ma attende di conoscere il pensiero del Presidente della Giunta. Insomma, dobbiamo rapidamente andare ad un confronto con le iniziative legislative di carattere nazionale e con le idee che vengono avanti nelle altre Regioni.
Per quanto ci riguarda, noi siamo per una legge nazionale che stabilisca l'immediato passaggio degli Enti di Sviluppo già esistenti alle Regioni e che preveda l'istituzione degli ESA là ove non esistono lasciando però alle Regioni di deciderne i compiti, i poteri, le funzioni.
Noi sosteniamo che l'ente di sviluppo dovrà essere uno strumento operativo della Regione per gli interventi nei vari settori della produzione, della trasformazione e della commercializzazione, per la promozione e costruzione degli impianti consortili ecc.
Infine, si tratta di configurare la strutturazione dell'ente di sviluppo con una strutturazione democratica, un'articolazione provinciale e zonale e di definire i suoi rapporti con gli Ispettorati agrari, i consorzi di bonifica, molte funzioni dei quali dovranno passare all'ente di sviluppo agricolo, come ho già detto più sopra.
Da tutto quanto sono venuto dicendo sinora, credo di essere riuscito a fare emergere: 1) che gli orientamenti di politica agraria e gli strumenti di intervento in materia di agricoltura, non possono e non devono essere una traduzione meccanica degli orientamenti nazionali, come cercano di imporre le forme antiregionalistiche, ma dovranno scaturire da un profondo dibattito democratico, concretamente ancorato alle realtà operanti e alle spinte rinnovatrici 2) l'importanza del rapporto tra la politica di programmazione e la politica agraria, per cui se per l'autonomia regionale è decisiva una politica di programmazione concordata con le Regioni, ogni intervento politico programmatico nel settore dell'agricoltura deve passare per le Regioni, per le Province, per i comprensori sulla base degli obiettivi e delle scelte individuate o da individuare attraverso i piani zonali di sviluppo.
In questo ambito si dovrà però puntare su una politica dell'intervento pubblico che sia capace di modificare le strutture produttive, favorendo e privilegiando non solo l'azienda contadina come tale, ma soprattutto lo sviluppo dell'associazionismo e della cooperazione agricola nelle sue varie forme di conduzione, di servizio ecc. La funzione dell'associazionismo e della cooperazione, di primo o di secondo grado, sarà decisiva soprattutto nei settori della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti vitivinicoli ed ortofrutticoli, così come sarà decisiva ai fini della stessa produzione per quanto concerne il settore zootecnico. Di qui l'esigenza di procedere con urgenza ad acquisire i vari studi e progetti per il risanamento e la ristrutturazione delle cantine sociali. Di qui l'esigenza di acquisire, come Regione, o quanto meno di intervenire nella "Zoo-Piemonte". Ma allo scopo di contribuire alla costruzione di un organico ed articolato movimento cooperativo, la Regione dovrà pure operare per trasformare la rete degli attuali Consorzi Agrari in autentiche cooperative articolate in assemblee di zona a livello di agenzia contribuendo anche in questo modo all'unità del movimento cooperativo della Regione, come una delle condizioni per il rafforzamento del potere di contrattazione dei contadini.
E qui io potrei anche concludere se non ritenessi necessario anticipare già in questa sede alcuni fra i capitoli generali che secondo noi devono concorrere a configurare una nuova politica agraria regionale.
Un capitolo importante della politica regionale dovrà essere rivolto al territorio, all'uso del suolo ed alla regimazione delle acque. Ci presuppone uno sforzo generale a livello di programmazione, teso a verificare le politiche che investono i problemi del territorio, della montagna, della difesa idrogeologica, dell'uso plurimo delle acque e della lotta contro gli inquinamenti. Che vi sia urgenza di intervento in questo settore nella nostra Regione già lo avevamo ricordato illustrando la mozione presentata a nome del mio Gruppo sull'agricoltura. Nella scorsa settimana siamo tornati alla carica con un'interpellanza. Che tanta insistenza non fosse un nostro pallino abbiamo avuto modo di verificarlo non più tardi del 28 febbraio ad Ormea ove le preoccupazioni per l'offesa e la minaccia di legittimi interessi, la preoccupazione per danni o altri pericoli ed altre incomprensioni dovute a difetti di informazione e di consultazione, rischiano di schierare le comunità dell'alta valle Tanaro contro comunità liguri, con pregiudizio per opere di civiltà, di sviluppo agricolo ed economico quali la utilizzazione delle acque del Tanaro.
Altri capitoli di non poco momento che a nostro parere occorre affrontare sia sotto il profilo degli obiettivi che degli strumenti in questa seconda fase costituente, sono i problemi del credito e della sperimentazione agraria. Si tratta di rivedere l'intera legislazione del credito agrario per reimpostarla e rifondarla sulla base di nuovi criteri di intervento formulati secondo priorità precise, a favore delle aziende contadine, della cooperazione agraria, degli impianti consortili nell'ambito dei vari programmi di produzione settoriale da formulare attraverso i piani di zona, o su progetti già elaborati. Ma intanto si tratta pure di fare subito qualcosa per colmare il vuoto creatosi a proposito degli investimenti in agricoltura con l'avvenuta scadenza di tutte le leggi di finanziamento pubblico. L'occasione ci deve vedere impegnati e presenti per ottenere non solo l'immediata emanazione di un provvedimento transitorio-ponte, ma di un provvedimento che riconosca subito nella Regione, a partire da oggi, così come essa é, il solo canale erogatore e il solo organismo politico avente potestà di orientare e definire i criteri e le priorità da rispettare negli investimenti in agricoltura.
In quanto alla sperimentazione agraria ed alla ricerca, non è questo il momento più opportuno per dire dei nefasti eventi che ha avuto e sta avendo, sia su scala generale, sia in particolare nella nostra Regione, il Decreto Presidenziale n. 1318 del 23/11/1967 dettante "norme per il riordinamento della sperimentazione agraria". Ma di fronte alle ipotesi avanzate in alto loco per mantenere le cose come stanno, cioè per trattenere questa branca di attività e con essa la difesa fitosanitaria allo Stato, ebbene, occorre pur dire qualcosa. Qui se le cose già non andavano bene in passato, dopo il decreto citato si è creato un vero e proprio caos fatto di vuoti, di doppioni, di sperperi.
Di qui dunque l'esigenza di operare, di avere una posizione per creare le condizioni politiche ed amministrative per ottenere la regionalizzazione della ricerca e della sperimentazione agraria, che andrà successivamente ristrutturata e decentrata per un più concreto rapporto con le forze produttive, al fine di superare una situazione nella quale grandi masse di produttori non vengono raggiunti dai nuovi orientamenti della più moderna tecnica agraria. Su questa base è possibile una nuova funzione della scienza e della tecnica, grazie alla quale le forze produttive contadine potrebbero trovare nuove possibilità di affermazione e di egemonia in tutto il processo di produzione agricola. E' questa, amici della Coldiretti, la via più sicura per la valorizzazione dell'attività del coltivatore.
A questi problemi si aggiungono, o meglio a questi problemi si intrecciano quelli aperti dal processo della ristrutturazione dei mercati generali, dei macelli comunali, delle centrali del latte e via di seguito per la cui soluzione bisogna elaborare una politica che superi i municipalismi, le vecchie impostazioni e che si muova nella direzione di colpire le intermediazioni ripetitive, le speculazioni parassitarie delle grandi concentrazioni industriali, commerciali e finanziarie.
Quello della distribuzione è un problema che merita un discorso a parte, ma da farsi al più presto, in quanto proprio nella nostra Regione sono in atto iniziative private ed anche pubbliche che potrebbero pregiudicare ogni possibilità di rinnovamento in questo settore. L'urgenza di questi problemi mi induce pertanto a rubare ancora qualche minuto al Consiglio per formulare subito alcune indicazioni di merito ed alcune proposte concrete. Molti colleghi conosceranno certo la storia della ideazione e costruzione di quell'elefantiaco macello torinese, ideato e progettato al di fuori di ogni programmazione regionale, senza tenere in alcun conto le esigenze della produzione, i programmi degli Enti locali piemontesi e via di seguito. Ora gli stessi errori compiuti per il macello si stanno ripetendo per quanto concerne la costruzione dei nuovi Mercati Generali ed in particolare per il Mercato ortofrutticolo. Questa è l'impressione che ho ricavato partecipando al recente convegno indetto dall'Assessore all'Annone del Comune di Torino; l'ex Assessore Benzi era presente e mi è buon testimone: l'impostazione presentata dall'Assessore all'Annona del Comune di Torino, che risponde al nome del rag. Costamagna non è solo vecchia, ma assurda, inaccettabile e non ha riscosso l'approvazione di nessuno in quella sede.
Anche in questo settore quindi, occorre un intervento immediato della Regione che sarà chiamata a far parte della commissione di studio per la commissione del nuovo Mercato, così almeno è stato deciso in quel convegno.
Di qui però l'esigenza di definire al più presto la nostra posizione, una posizione della Regione che non sia mutuata da "Piemonte Italia" per fare un esempio, la quale si è occupata dei mercati, e anche bene, ma se ne è occupata soltanto sotto l'aspetto delle loro strutture fisiche e della loro localizzazione. Ma occorre una posizione che sia conseguente ad una nuova impostazione politica del problema, alla quale certo anche le strutture fisiche devono essere adeguate, ma una nuova impostazione che abbia per obiettivo finale di trasformare i Mercati Generali in strumento al servizio del pubblico interesse; e oggi non è così.
Per questo insistiamo nell'affermare che il discorso va spostato su ci che si può, si deve fare e va fatto a monte ed a valle delle strutture mercatali nei vari settori della produzione agricola e della distribuzione.
Per sintetizzare e concludere, occorre porre il problema del rapporto del mercato torinese e degli altri grossi mercati della nostra regione con l'agricoltura piemontese in primo luogo e con i mercati della produzione occorre porci il problema del rapporto del mercato torinese con l'agricoltura meridionale, che già oggi rappresenta una delle fonti fondamentali del rifornimento del mercato torinese, e dell'uso del mercato dei macelli ecc. ai fini della ristrutturazione della rete distributiva al dettaglio.
Ecco una serie di ipotesi e di proposte di lavoro capaci di andare nella direzione di affrontare ad un tempo i problemi della difesa del giusto reddito dei produttori e quelli della difesa del consumatore contro il caro vita e di rappresentare nello stesso tempo anche uno strumento per concorrere alla soluzione dei problemi del Mezzogiorno nel senso di contribuire a liberare i produttori di quelle zone dalla mafia che domina il mercato in partenza ed in arrivo. Di qui l'esigenza di una presa di contatto con le Regioni, con gli Enti locali del Mezzogiorno, per verificare la possibilità di costruire con essi una nuova politica nel settore della raccolta, della commercializzazione e della distribuzione della produzione agricola.
Concludendo, non vi è dubbio che con le questioni che ho qui sollevato abbiamo inteso porre non solo problemi che rientrano in quella che abbiamo definito "seconda fase costituente", ma altresì linee ed obiettivi di intervento della Regione, proposte che ci auguriamo vengano recepite nel programma che la Giunta si impegna a presentare prossimamente e che in ogni caso sono ormai oggetto di impegno, di iniziativa e di lotta da parte delle grandi organizzazioni sindacali operaie, agricole. Ma se così è, non vi è alcun dubbio che i problemi posti non abbiano anche un preciso riflesso sulla strutturazione della Giunta, delle commissioni consiliari e sulle rispettive attribuzioni. L'intreccio delle questioni agrarie, della produzione agricola con le questioni della difesa del territorio dell'utilizzazione delle acque con quelle dei mercati e della distribuzione ai quali ho accennato, viene a confortare la tesi di una strutturazione della Giunta e degli Assessorati per dipartimenti e per un metodo di lavoro che porti alla convocazione congiunta di commissioni diverse, per problemi che altrimenti non potrebbero essere affrontati e risolti settorialmente.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci; ne ha facoltà.
CURCI Signor Presidente, signori Consiglieri, dopo una lunga e travagliata gestazione, il centro sinistra piemontese ha finalmente dato alla luce un bel pigmeo, anche se piuttosto esangue, come è stato detto. Un parto siffatto, in termini scientifici si definisce distocico in quanto ha potuto aver luogo soltanto grazie all'uso del forcipe che dilatando le strettoie statutarie ha consentito l'estrazione del nanerottolo. Nanerottolo il cui primo vagito è costituito da questo documento che viene sottoposto oggi alla nostra approvazione, il quale, al di là di alcune generiche affermazioni di buoni propositi, rappresenta un campionario di luoghi comuni, di considerazioni ovvie, di enunciazioni astratte. Noi ci rendiamo conto degli sforzi che il Presidente designato della Giunta ha dovuto compiere per frenare le impennate e gli strattoni dei cavalli che dovranno tirare la diligenza regionale, ma sinceramente non immaginavamo che la necessità di accontentare tutti, senza scontentare alcuno, lo costringesse alla formulazione di un documento tanto zeppo di vacuità e di astrattismi.
Che senso ha, per esempio, affermare che "nella nuova fase costituente la Regione deve sapersi esprimere nella capacità di stabilire estesi collegamenti con le popolazioni e con i loro problemi, nella volontà politica di creare solidi legami di partecipazione e di consensi, nella determinazione di collocarsi nella società regionale come interprete e sostegno delle esigenze di giustizia, di avanzata democratica, di crescita culturale ecc."? Quando non un cenno è fatto agli istituti, ai mezzi, alle azioni con cui si intende realizzare tutto questo. E' lecito il sospetto quindi, che si tratti di affermazioni rivolte unicamente a tacitare le pretese demagogiche di alcune delle forze politiche che costituiscono la composita e tutt'altro che organica maggioranza.
Io mi auguro che nell'esposizione programmatica che la eligenda Giunta ci ha promesso, vengano precisati i modi con i quali essa vorrà intervenire per eseguire un esame obiettivo delle ragioni che hanno determinato gli attuali squilibri nello sviluppo socio-economico della Regione; e venga indicato con quali interventi essa intende avviare a soluzione i problemi che minacciano il soffocamento del Piemonte, come quello della montagna dell'abbandono delle campagne, dell'asfissia dell'agricoltura, dei nuovi insediamenti industriali.
Molto poco si dice nel documento a questo riguardo. Un breve accenno si fa in merito agli strumenti operativi per realizzare il nuovo sviluppo come la Finanziaria pubblica, l'Ente nazionale dei trasporti e l'Ente di sviluppo agricolo. Riguardo ai quali non abbiamo obiezioni da muovere in linea di principio, ma molte riserve abbiamo il dovere di formulare riguardo alla pratica della loro attuazione, sulla base delle esperienze compiute che hanno dimostrato come in realtà tali istituti si sono trasformati in carrozzoni ed in centri di potere nei quali, ad essere soddisfatta, è stata soltanto la voracità delle mezze calzette della fauna politica delle diverse Regioni.
Con un certo interesse abbiamo poi accolto la dichiarata volontà di superare la logica tradizionale che esclude la minoranza dalla responsabilità di direzione di strutture interne degli organi che annoverano la presenza di tutte le forze politiche. Lealmente dobbiamo dichiarare che in linea di principio siamo contrari a questa nuova concezione dei rapporti tra maggioranza e minoranza; anche se in prospettiva potrebbero essere danneggiati gli interessi particolari della nostra parte politica, riteniamo, per una ragione di chiarezza e di funzionalità, che la maggioranza debba assumersi tutte le responsabilità.
Fatte queste considerazioni di principio, dobbiamo constatare come la tesi proposta rappresenta un ulteriore passo verso un assemblearismo che noi potremmo accettare, purché non vengano attuate discriminazioni verso alcuna forza politica. Tale tesi si concretizza nel documento con la proposta formulata dalla maggioranza che ciascuno dei gruppi maggiori della minoranza assuma la presidenza di una commissione permanente. Ciò rientra appunto nella logica della nuova articolazione dialettica che si vuole dare ai rapporti tra maggioranza e minoranza, articolazione però che dovrà investire tutti gli gruppi politici. Quanto prima, approvato lo Statuto da parte del Parlamento, il Consiglio Regionale dovrà procedere all'ampliamento del proprio ufficio di presidenza, che noi intendiamo venga reso più largamente rappresentativo delle forze politiche rappresentate in quel Consiglio, analogamente a quanto avviene negli uffici di presidenza dei due rami del Parlamento. Se ciò non avvenisse, se i gruppi della maggioranza si sottraessero in quelle ed in altre circostanze, alla logica dell'assemblearismo da essi voluta, allora dovremo dare una diversa interpretazione alla tesi che ci viene prospettata: dovremmo ritenere che l'assemblearismo, la volontà di superare la logica tradizionale, di dare l'avvio a nuovi rapporti dialettici tra maggioranza e minoranza rappresentano soltanto la copertura per contrabbandare un ulteriore passo verso la stipulazione formale di quel patto costituzionale che consentirà al partito comunista, attraverso le Regioni, di impossessarsi dello Stato.
Signor Presidente, concludendo, vorrei tentare, col suo consenso, di porre un argine, anche se modesto e molto fragile alla logorrea straripante da tutti i settori di questo Consiglio, anticipando sin da questo momento la nostra dichiarazione di voto, preannunciando cioè il voto contrario del Gruppo del M.S.I. al documento e alla composizione della Giunta.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Conti; ne ha facoltà.



CONTI Domenico, Assessore regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, non è mia intenzione intrattenere il Consiglio sul documento che è stato presentato anche per una questione di correttezza in quanto il mio nominativo è compreso nei dodici indicati come probabili componenti della Giunta. Tuttavia mi corre l'obbligo di rispondere all'intervento del Consigliere Zanone che mi ha chiamato in causa citando il comunicato stampa di "Forze Nuove". E' comprensibile che il Consigliere Zanone con il suo intervento abbia espresso il suo disappunto circa la costituzione di una Giunta Regionale formata dai quattro partiti del centro sinistra. Gli è infatti sfuggita l'occasione di potersi inserire, con il suo Gruppo, in modo da assicurare al suo partito il concorso quasi determinante dei voti liberali con la speranza di renderlo determinante in particolari situazioni. Ed è naturale che egli lanci i suoi strali verso coloro che, anche mediante la stampa hanno manifestato la loro determinazione di mandare a vuoto le speranze liberali. Incautamente però, il Consigliere Zanone, riferendosi alla partecipazione alla Giunta del P.S.I. ed alla necessità di corretti rapporti tra la D.C. e il P.S.I. entrambi ribaditi dalla corrente di "Forze Nuove", accusa quest'ultima di voler correggere, per mancanza di fiducia "il caffè" della D.C. con "l'additivo" del P.S.I. Egli insomma, non sa vedere altro nella partecipazione del P.S.I. che un correttivo per la D.C.
proprio come vorrebbe che lo fosse l'intervento del suo partito. Caro Consigliere e amico Zanone, non si tratta di "correggere" la D.C. come tu e il tuo partito vorreste fare, è proprio quello che la D.C. vuole evitare Il fondamento della collaborazione tra la D.C. e gli altri partiti del centro sinistra, risale alla vocazione popolare della D.C., all'esigenza di realizzare maggioranze e governi della più vasta rappresentatività popolare possibile, nel sicuro rispetto delle libertà formali e costituzionali.
Rispondenza alle esigenze popolari e autentica e piena democrazia, sono le direttive che hanno guidato, pure in mezzo a difficoltà e a tentennamenti l'azione della D.C. Sono le esigenze che, credo, la guideranno anche nel futuro. Che la collaborazione del P.L.I. possa essere altro che non un correttivo all'esigenza di dare spazio alle più vaste istanze popolari è ancora un fatto che attende una dimostrazione, come l'attende altresì la validità della "conversione" regionalistica del P.L.I. dopo che tanta energia ha speso nell'individuare nell'istituzione delle Regioni addirittura una minaccia nei confronti dello Stato.
Ecco quali sono le ragioni (rispondo con questo anche al Consigliere Fassino) per cui riteniamo irreversibile la scelta della D.C.
Del resto, a bucare "la quinta ruota di scorta", quella del P.L.I.
sostanzialmente ipotizzata dal collega Zanone, ha già provveduto il Capogruppo liberale con la sua dichiarazione di netta chiusura verso il centro sinistra.
La corrente di "Forze Nuove" non ha nulla da aggiungere. Per ora le basta rilevare il fatto che il suo comunicato stampa è stato seguito, nel volgere di ventiquattro ore, dall'attuazione della Giunta quadripartita di centro sinistra. E poiché quello che conta sono i fatti, in questo caso i fatti sono nel senso che volevamo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Io ero convinto di fare una dichiarazione di voto, ma non la faccio perché so che dopo di me ci sono altri iscritti.
Sarebbe forse stato opportuno sentire tutti per poi esprimerci soprattutto se l'ultimo è il Presidente designato, ma tant'è la risposta....



PRESIDENTE

Se vuole limitare il suo intervento a una dichiarazione di voto, la pu fare.



BERTI Antonio

No no, non importa, tanto il voto è scontato e semmai il giudizio lo daremo in una successiva seduta.



PRESIDENTE

Una pre-dichiarazione insomma!



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non è che ti possa convertire!



BERTI Antonio

Appunto, ho paura che tu mi possa convertire! Il Consigliere Bianchi, nel suo intervento, ha sottolineato le profonde divergenze che esistono tra D.C. e Partito comunista sul tema della democrazia e del potere. Il Capogruppo D.C. ha esordito con un tentativo (appena abbozzato) di riproporre una distinzione netta tra comunisti e D.C.
che è certamente ovvia ma che in questa fase deve essere verificata in rapporto ai problemi posti dal movimento positivo delle masse lavoratrici.
Questa verifica, nel nostro Consiglio Regionale dimostra incontestabilmente che dal giorno della sua costituzione chi ha dato lezioni di democrazia è certamente il nostro Gruppo. Tutte le vicende di questo Consiglio dimostrano che il nostro partito, che il nostro Gruppo consiliare si è mosso sulla base di una concezione della democrazia riscontrabile in ogni atto o iniziativa del nostro Gruppo.
La concezione che noi abbiamo della democrazia in Consiglio lo abbiamo dimostrato per il tipo dei rapporti che abbiamo con le esigenze reali del Paese; ogni nostra proposta, ogni iniziativa da noi assunta in questo Consiglio Regionale ha sempre avuto la caratteristica essenziale di essere portatrice di esigenze e di problemi che il Paese esprimeva, e ciò è un elemento essenziale della democrazia. Noi ci siamo mossi sul terreno della democrazia per il modo come abbiamo concepito i lavori di questa assemblea le nostre proposte in ordine allo Statuto regionale, in ordine al funzionamento delle commissioni, hanno sempre avuto la fondamentale continua preoccupazione di essere collegate, di costruire un rapporto nuovo, che è appunto quello che si riscontra nella capacità di rappresentare, non soltanto, ma di portare le esigenze e i problemi che esprime la classe operaia e che esprimono le categorie produttive del Paese.
Lo stesso modo di presentarci oggi in Consiglio, difficilmente pu essere giudicato non democratico. Noi abbiamo partecipato con una serie di interventi, ognuno dei quali ha portato un contributo iniziale (a cui ne seguiranno altri) sui temi fondamentali attorno a cui oggi c'é un movimento di masse, su cui il Governo è impegnato con i sindacati a dare delle risposte e sono i temi dei trasporti, della casa, della politica di programmazione, quelli comunque che sono stati oggetti dei nostri discorsi e noi li abbiamo portati qui come contributo alla discussione che, per quanto era scritto in quel documento, si presentava aperta agli apporti positivi che dalle varie forze del Consiglio potevano venire. Ebbene, noi questa possibilità l'abbiamo esercitata di fatto, ogni nostro intervento si è mosso in questa direzione. Che cosa abbiamo avuto dall'altra parte? In generale, salvo alcuni accenni su cui tornerò, abbiamo avuto essenzialmente indicazioni di metodo, qualche negazione a problemi già peraltro affermati dallo Statuto, ma non è venuta un'effettiva, concreta indicazione di merito sui problemi, salvo da Paganelli che sui controlli ha espresso una sua opinione. E allora che cos'è questo modo di lavorare nel Consiglio Regionale nostro e della maggioranza, se non un diverso modo di collocarsi nei riguardi di una democrazia che è tale, lo ripeto, nella misura in cui è capace di collegarsi ai problemi reali? Credo che nessuno possa contestare lo sforzo continuo che noi stiamo facendo dall'inizio dei lavori del Consiglio ad oggi, per dare ad ogni nostro intervento un carattere positivo, di critica, ma positivo. E credo che nessuno possa contestare che ogni nostro intervento, ogni nostra iniziativa, ha comunque sempre teso a fare operare positivamente il Consiglio Regionale ed ha comunque sempre espresso la volontà di procedere unitariamente con tutte le forze del Consiglio che hanno veramente l'intenzione di muoversi per la soluzione dei problemi delle masse lavoratrici. Anche lo spirito unitario che sempre ci ha animati credo vada collocato in questa nostra disponibilità, in questa concezione del nostro modo di lavorare in rapporto alle esigenze democratiche che il Paese esprime.
Mi si consenta qui di ricordare - era da tempo che lo volevo fare - che il Presidente della Giunta Calleri per fare il consuntivo di fine anno sui giornali cittadini, ha dovuto citare una serie di dibattiti, di iniziative assunte dal Consiglio in materia di agricoltura, di crisi della piccola e media industria, di salute ecc. tutte quante proposte dal nostro Gruppo. Se non ci fossero state queste nostre iniziative che consuntivo avrebbe potuto fare il dott. Calleri? E come non prendere atto, come non cogliere questa presenza precisa, costruttiva, continua del nostro Gruppo su problemi tesi a costruire, pur nella chiara denuncia delle responsabilità ritardatrici e di tutti quegli atti che invece tendevano e di fatto hanno frenato per mesi l'attività del nostro Consiglio? Ecco quindi elementi di giudizio, di fatto, attorno a cui si possono esprimere pareri. Mi consenta il Consigliere Bianchi di dire che questo momento di vita piemontese in questo Consiglio Regionale, ha certamente visto più noi comunisti esercitare una politica democratica che non il Gruppo della D.C. il quale in questi mesi ha dimostrato essenzialmente di esercitare una ricerca di potere, come si è visto durante le vicende dell'ultima settimana.
A proposito della collocazione dei comunisti, il tema è stato ripreso dal Consigliere Zanone che nel corso del suo intervento, a proposito della crisi attuale della maggioranza, ha sottolineato il pericolo (e ha citato Nenni che a nostro parere è un personaggio non molto attendibile) di un futuro incontro D.C.-P.C.I. che finirà per emarginare, mi pare di avere compreso, e infine schiacciare le forze politiche minori. Io credo che debba essere detto molto chiaramente che questo giudizio è profondamente errato nella misura in cui ogni forza politica si presenta con una propria capacità di essere presente nella società, di svolgere un ruolo positivo rispetto ai processi di sviluppo della stessa. Questo credo sia l'elemento essenziale. Noi ci accorderemo con la D.C.? Fandonie, sciocchezze di chi non ha argomenti validi e quando parlo di argomenti validi, parlo di capacità di portare non soltanto la sua voce personale in questo consesso ma qualcosa di più. Ebbene, anche da questo punto di vista noi diciamo chiaramente che preferiamo alcune forze in questo Consiglio, cioè le forze di sinistra, i compagni dello P.S.I.U.P., compagni del P.S.I., quelle forze di sinistra della D.C. che nei contenuti delle loro proposte, nell'azione che svolgono esprimono una volontà di presenza, la volontà dei processi di sviluppo democratico presenti nel nostro Paese. Noi cogliamo ogni atto positivo di queste forze. E' una prospettiva reale questa non fondata sul nulla, è una prospettiva profondamente aderente alla realtà del Paese qualche mio compagno, tra cui Lo Turco, ha detto che nel Paese oggi avanza un profondo processo di unità delle masse lavoratrici, processo che è fatto di unità d'azione su contenuti precisi, che è una politica di riforme per trasformare il Paese. Ed allora questa nostra capacità, questo nostro desiderio di collegarci, di preferire comunque questa forza, è direttamente collegato a processi reali in corso che sono un elemento storicamente caratteristico della società attuale e direi che veramente questo è un processo irreversibile della situazione italiana contro cui tutti i tentativi di destra, per quanto pericolosi essi possano essere, sono destinati ad infrangersi. E la parola "irreversibilità" trae alimento dalla realtà del movimento nelle fabbriche, nei quartieri, nella società, anche nelle forze politiche; quanto avviene oggi nel Paese, lo stesso ruolo assunto dal P.S.I. è in parte riconfermato credo dallo stesso collega Nesi nel momento in cui dà un giudizio sul documento definito poco sanguigno ma non leucemico, un giudizio politico importante che sta a dimostrare che la maggioranza che qui si presenta come organica, capace di assolvere ad una funzione di guida di cui qualcuno qui ha parlato, in effetti è una maggioranza che malamente nasconde le sue profonde contraddizioni che emergono quando da questioni di formule e di metodo si passa ai contenuti reali.
Ad esempio la politica di piano è stata un argomento presente nella nostra discussione ed io sento il bisogno di fare una precisazione, anche perché credo consente a noi comunisti di cogliere questo elemento di differenziazione palese nelle dichiarazioni di oggi poiché più andiamo avanti e più ne emergeranno di queste contraddizioni, tanto che la formula non può avere credibilità, come non ce l'ha ormai storicamente il centro sinistra italiano. A proposito di politica di piano, noi abbiamo detto chiaramente (anzi lo dice lo Statuto) che le finalità di una politica di piano devono consentirci di operare e pianificare per piegare lo sviluppo a strumento atto a risolvere i problemi sociali: occupazione, casa, scuole sanità, trasporti ecc., in Piemonte come in altre zone d'Italia, nel Sud d'Italia. Questa è l'indicazione fondamentale delle finalità stabilite dal nostro Statuto. Mi sembra che nell'intervento del compagno e collega Nesi ci sia una conferma essenziale di questa finalità quando indica chiaramente la volontà di determinare un cambiamento del meccanismo attuale di sviluppo. Ma altrettanto non appare dagli altri interventi i quali, mi pare, perseguono essenzialmente il proposito di operare con la politica di piano per eliminare gli intoppi che lo sviluppo spontaneo ha creato e che oggi si pongono come ostacoli e impedimento allo sviluppo dell'industria piemontese, e per rendere possibile la creazione di nuove condizioni di convenienza aziendale nell'area torinese come elementi di razionalizzazione di uno sviluppo che, così com'è oggi, non è conveniente neanche per le industrie. E se vogliamo entrare nel merito - non lo farò questa sera, lo faremo, anche in rapporto alla risposta che ci verrà dalla maggioranza nella prossima seduta - dirò che noi cogliamo in quel documento la necessità per la Regione piemontese di collegarsi in politica di piano con le aree vicine, le aree oltre frontiera e con le regioni vicino al Piemonte. Che cos'é questa se non una riaffermazione (io mi vorrei sbagliare) del fatto che occorra, con la politica di piano, inserire il triangolo industriale, il Piemonte, nelle aree forti del MEC, dell'Europa occidentale? Ma se questa è la verità, se questa è l'intenzione del centro sinistra, così come mi pare emerga da quello che è votato scritto nel documento, è chiaro che viene messo in causa quell'articolo fondamentale dello Statuto regionale piemontese in cui invece la politica di piano persegue finalità diverse, di superamento dei grandi squilibri fra le aree territoriali, soprattutto con particolare riguardo al Mezzogiorno d'Italia.
C'è una contraddizione palese tra questa espressione scritta nel documento e il dettato statutario circa le finalità di una politica di piano. Sono questioni che meritano una risposta, non soltanto di principio, ma con iniziative immediate molte delle quali qui sono state citate.
A questo punto occorre che noi diciamo chiaramente qual è il giudizio che diamo sul documento che c'é stato presentato. Per fare questo non possiamo non tenere conto di quanto è avvenuto la settimana scorsa. Si è parlato stamani e anche in altri interventi oggi, di credibilità e della volontà espressa dal documento e dalla formula di centro sinistra di condurre questa politica. Per quanto riguarda il documento e la credibilità che si può dare, non si può fare a meno di mettere in dubbio questa volontà, alla luce di quanto avvenuto la settimana scorsa e che fortunatamente è rientrato (così almeno noi ci auguriamo). Nessuno, credo può quindi nascondere il fatto che la settimana scorsa il Consiglio è stato convocato per eleggere Presidente e Giunta, con un documento avente gli stessi contenuti che si discutono oggi, in cui si afferma la volontà di creare un rapporto nuovo con l'opposizione, con le minoranze, di recepire i contributi che vengono dalle forze di tutto il Consiglio, ma con una definizione completa di tutte le strutture; si afferma di volerle discutere in Consiglio, ma si arriva con il piatto fatto. Ebbene noi diciamo che un documento con certe aperture che possono essere giudicate positive, ma nei fatti invece con atteggiamenti di chiusura, rientrati successivamente, è un indice della difficoltà, dei limiti con i quali questa maggioranza si presenta e suscita diffidenza poiché ci viene proposto, ad una settimana di distanza come un tentativo di uscire da una crisi, da un impasse in cui la maggioranza era caduta e attorno a cui dobbiamo essere vigili. Diciamo subito che faremo in modo che la proposta non resti qualcosa di scritto nel documento ed enunciata, sia pure abbastanza chiaramente oggi; l'accogliamo come la migliore delle intenzioni e colgo l'occasione del fatto che dopo di me parla il Presidente designato della Giunta che certamente sarà eletto per chiedergli di precisare entro quali termini la commissione presenterà al Consiglio delle proposte precise. Per quanto ci riguarda noi intendiamo una commissione che discute delle strutture, il che vuol dire che vengono messe da parte le attuali proposte e si ricomincia daccapo con i contributi che possono venire da tutti i Gruppi, dopo di che si creeranno le commissioni e in ordine a queste e alle competenze specifiche che ogni Gruppo è in grado di portare si nomineranno i Consiglieri che devono dirigere. Noi sventeremo ogni tentativo della maggioranza di presentarsi con una soluzione e con l'invito alle opposizioni di accettare l'offerta di questa o quell'altra commissione. Voi oggi vi siete assunti l'impegno di aprire un discorso con tutto il Consiglio per quanto riguarda le strutture dello stesso, noi vogliamo cogliere questa vostra intenzione nel senso più valido della sua espressione e diciamo che vi impegniamo a collocarvi nella commissione con questi intenti. Lo verificheremo e denunceremo ogni tentativo di eludere questa importante decisione.
Ma c'è un'ultima questione che voglio portare quella delle forze politiche che possono portare avanti un discorso di rinnovamento delle strutture del Piemonte. Ciò che ha affermato il collega Nesi, è vero? E cito il discorso di un componente di una forza politica di maggioranza, del resto affermato in altre occasioni anche da autorevoli esponenti delle altre forze politiche; ricordo la dichiarazione del Presidente Calleri al convegno di Montecatini, circa il fatto che nell'attuale situazione italiana occorreva perseguire degli obiettivi precisi. Mi sembra persino di ricordare la frase: modificare l'attuale meccanismo di sviluppo per imporre delle scelte che non fossero quelle privatistiche ma quelle invece che attengono alle esigenze e ai problemi delle masse lavoratrici. Se questa è la volontà di tutte le forze che oggi compongono la maggioranza (ma la nostra impressione non è questa dalla lettura del documento e da ciò che hanno detto altre forze presenti intervenute oggi) se questo è l'intento con cui si deve lavorare, è chiaro che non si tratta di un parto indolore una conquista di questo tipo urta contro enormi interessi, urta contro gli interessi della Fiat con le conseguenze negative che oggi finalmente la gran parte delle forze politiche denuncia. Pertanto, ogni iniziativa che tenderà a contrastare questo meccanismo di sviluppo, urterà contro questa forza enorme che già oggi si è posta sul terreno del contrattacco forsennato con le conquiste operaie. Il Governo di centro sinistra, la Giunta di centro sinistra é, da quanto ha dimostrato in questi anni di attività nel Paese, incapace, impari al bisogno. Non è in grado, il centro sinistra, per le contraddizioni esistenti, per le forze diverse che lo compongono, di collocarsi seriamente in funzione positiva per realizzare questa politica. E diciamo anche che acquistano valore tutte le indicazioni che sono sorte da certe componenti (mi riferisco ancora al P.S.I. che ha parlato della creazione di nuovi equilibri, di nuovi rapporti tra le forze politiche del Consiglio per realizzare nuove posizioni di avanzamento delle masse lavoratrici). "Nuovi equilibri" significa discorso aperto a tutte le forze politiche del Consiglio, significa portare avanti una politica di sviluppo che risolva i problemi delle masse lavoratrici e che si scontri con le forze conservatrici e del monopolio Fiat; questa politica si fa o non si fa, a seconda che alla stessa partecipi o no la grande forza del nostro partito.
Il modo di presentarsi, la formula politica e il modo abbastanza incerto, equivoco con il quale il documento si esprime per quanto riguarda gli impegni sul piano della politica di programmazione e sulle iniziative immediate che si intendono assumere, salvo precisazioni che sul piano operativo verranno dalle dichiarazioni programmatiche della Giunta (che noi chiediamo avvengano il più presto possibile) non possono avere quella credibilità di cui si è parlato.
E' per questo pertanto che noi, mentre riconfermiamo il nostro voto negativo alla formazione di maggioranza che ci viene qui presentata, mentre diamo questo giudizio sul documento, di presa d'atto di certi elementi interessanti in esso contenuti e di altri che paiono smentirli ci collochiamo, come abbiamo sinora fatto, in funzione di critica costruttiva che si rafforzerà sempre più nella misura in cui (e questo è un impegno che tocca a noi comunisti assolvere) sapremo accostarci sempre più ai problemi che emergono dalle classi lavoratrici.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Presidente Calleri; ne ha facoltà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho ascoltato con grande attenzione tutto il dibattito che si è svolto oggi in quest'aula, al quale hanno dato il loro contributo sia i colleghi appartenenti alle forze della maggioranza che quelli appartenenti alle forze della minoranza.
Noi ci siamo collocati in questo dibattito in una posizione di ricezione dei suggerimenti, delle indicazioni che in termini concreti, in termini propositivi potevano scaturire dal dibattito stesso. E io devo dire che ne ho tratto utili indicazioni per quanto attiene alla elaborazione, in termini evidentemente più analitici, di quello che dovrà essere il programma che la Giunta presenterà in sede di Consiglio per richiamare su di esso il contributo ancora delle critiche e dei suggerimenti delle forze politiche presenti nel Consiglio stesso.
Ma mi pare di dover cogliere soprattutto, negli interventi che sono stati fatti, una critica che io ritengo non sia esatta né sia motivata: la critica sulla contraddittorietà di questo documento; contraddittorietà pertanto, riferita non soltanto ai contenuti del documento stesso ma alle forze politiche che hanno insieme elaborato questo documento, che insieme l'hanno proposto all'attenzione del Consiglio unitamente alla proposta della formazione della Giunta.
Ebbene, certamente le forze politiche - lo abbiamo rilevato anche nelle dichiarazioni dei partiti della maggioranza - che hanno formulato questo documento e che si propongono di dar vita alla Giunta hanno in sé stesse degli elementi di contraddittorietà. Ma è una contraddittorietà che evidentemente nasce dalla autonoma esperienza che ciascuno di questi partiti reca come retaggio della propria storia, reca come obiettivo e come finalità della propria azione politica. Nessuno dei partiti che hanno dato vita al centro sinistra ha mai ritenuto di poter affermare di essere qualche cosa di più o di diverso dal compartecipe di un cammino possibile per un certo tratto di strada; però certamente le finalità, i modelli, i quadri di indirizzo verso cui la politica di centro sinistra poteva avviarsi e poteva camminare erano identici, o rappresentavano una convergenza di carattere sostanziale. Ebbene, se ciò è vero, ed è storicamente vero, è chiaro che esistono degli elementi di diversificazione ed esistono anche degli elementi di contraddittorietà. Ciò che importa non è tanto rilevare questi elementi di contraddittorietà quanto piuttosto evidenziare gli elementi di convergenza, gli elementi di identità che si possono verificare per quanto riguarda il tragitto da compiere insieme per raggiungere determinati obiettivi. In questo senso si giustificano le diversificazioni e si giustificano anche le contrapposizioni e i contrasti che vi possono essere all'interno delle forze che danno vita al centro sinistra; ma è in questo senso che il centro sinistra può trarre ancora dai partiti che lo compongono forza ed alimento per portare avanti un disegno politico. Disegno politico che, d'altronde, nella concreta esperienza regionale mi pare che tutte quante le forze politiche del centro sinistra abbiano affermato essere un disegno che possono costruire in collaborazione fra loro tutte le forze del Consiglio, ciascuna evidentemente con la propria autonoma fisionomia e nell'ambito delle proprie specifiche responsabilità, ma non rifiutando sicuramente, come in una chiusa fortezza quell'apporto che può essere un apporto determinante per la costruzione di queste nuove strutture, di questa politica regionale che attraverso le nuove strutture si viene formando.
Noi non abbiamo certamente mai assunto - e mi pare appaia chiaro anche nel nostro documento, indicando come ci si avvii a questa seconda fase costituente e si tratti di stabilire delle strutturazioni della Regione un atteggiamento di preclusione al contributo delle forze presenti nel nostro Consiglio. La nostra sottolineatura non derivava dal fatto che noi riteniamo illegittimo proporre delle strutturazioni che siano nate e maturate nell'ambiente di un confronto interno della maggioranza. Credo che una maggioranza non si possa sottrarre a questo specifico dovere: ma certamente, nel momento in cui affermavamo questa disponibilità alla discussione, abbiamo voluto dire, e ribadiamo, che queste strutture che si propongono sono evidentemente strutture sulle quali è aperta la discussione, è aperto il confronto fra maggioranza e minoranza. Dico questo per replicare a valutazioni che in questa sede sono state fatte sia dal Consigliere Zanone che dal Consigliere Berti, per rispondere ad una domanda che mi pare l'uno e l'altro abbiano voluto porre alla maggioranza.
Tuttavia, debbo dire, se si tratta di rilevare elementi di contraddittorietà, che noi a nostra volta possiamo - me lo vorranno consentire i colleghi - rilevarne negli interventi della minoranza. Questo va detto non per amor di battuta ma sul piano di una correttezza di rapporti fra i diversi organi della Regione, non per una definizione giuridica di competenze ma per una determinazione delle reciproche responsabilità e del rispetto delle medesime.
Mi riesce in una qualche misura difficile, ad esempio, conciliare la critica al vuoto di potere che si sarebbe creato nell'ambito della Regione durante il lungo periodo - così è stato detto - di vacanza della Giunta e del travaglio della sua formazione - che evidentemente sottintenderebbe una funzione di guida da parte della Giunta, la cui mancanza metterebbe in obiettive difficoltà lo svolgimento del lavoro regionale - con un'altra affermazione, che è stata fatta con una sorta di ironia, proseguendo per sostanzialmente secondo una linea da lungo tempo adottata dalla minoranza comunista, secondo la quale la Giunta è l'organo esecutivo del Consiglio e tutti i poteri sono nel Consiglio, al quale spetta indicare anche in termini di proposte (e qui sono state fatte alcune affermazioni in proposito), attraverso i suoi organi, attraverso, ad esempio, l'Ufficio di Presidenza, o attraverso le Commissioni, le scelte che la Regione dovrebbe fare. Ora, mi pare di rilevare un elemento di contraddittorietà tra questa accusa rivolta alla maggioranza rispetto alla formazione della Giunta e questa presa di posizione che palesemente affermerebbe l'inutilità della Giunta stessa.
Così come mi sembrano contraddittorie talune affermazioni che sono state fatte in ordine al cosiddetto "biennio bianco", cioè biennio vuoto di poteri, una sorta di biennio virginale, che forse non è tanto il caso di temere che venga tinto in rosso, magari anche con metafora non precisamente edificante da un punto di vista cattolico-clericale, per ricordare una affermazione dell'amico e collega Nesi; biennio in cui, evidentemente mancando di poteri, riesce in certo modo difficile riuscire a capire come si possa mettere tutto in moto a gran velocità e fare, come suggeriva il Consigliere Sanlorenzo, subito, con scadenze immediate, con rapidità, con velocità. (Apro una parentesi per dire che mi son domandato tante volte perché per una sua automobile molto veloce la Fiat abbia scelto il nome "Dino": mi rendo ora conto, dopo aver udito le reiterate sollecitazioni alla velocità del Consigliere Sanlorenzo, che probabilmente in questo nome c'é un riferimento sottinteso al suo dinamismo).
Credo che siano in sostanza questi i problemi relativi alla formula politica ed alle iniziative che la Regione stessa, nella sua operatività può mettere in essere. Io credo che questo secondo momento costituente della Regione sia di rilevante interesse, prima ancora dei problemi specifici sui quali la Regione può misurare il proprio intervento politico un intervento di pressione politica più che una effettiva e concreta possibilità operativa. Fino a quando non saranno fatti questi decreti delegati, non saranno trasmesse le funzioni amministrative, e quindi la Regione non avrà potere legislativo, è evidente - ed è stato detto nel documento - che la Regione non potrà muoversi se non esercitando la sua pressione politica in ordine a taluni problemi che la società propone, che certe particolari condizioni della società propongono. In questa direzione sia pure con i pochi poteri che poteva esercitare, io ritengo che la Regione si sia mossa, esercitando tutta la sua pressione politica in ordine ad un argomento o a taluni argomenti che a mio avviso sono da considerare qualificanti e di rilevante importanza.
Questo dal punto di vista di quella credibilità che è stata messa largamente in dubbio qui e che si riferisce di fatto ai problemi relativi alla lunga, tormentosa vicenda della Magnadyne, che purtroppo non è stata ancora definita ma che ci auguriamo - ed abbiamo fondati motivi per ritenere l'augurio realizzabile - di poter presto definire, in ordine ai problemi relativi a ciò che era stato chiesto circa la soluzione, sia pur temporanea, evidentemente, dei problemi dell'ATA, nel Biellese, in ordine a taluni altri problemi di intervento limitato relativo proprio a casi gravi a casi che venivano via via rendendosi difficili, come quello dell'ETI e di altre aziende, che si sono verificati nel corso di questo periodo, in cui la Regione ha esercitato quelle pressioni che poteva esercitare ed ha fatto ciò che riteneva suo dovere fare, sia pure con tutte le limitazioni che incontrava nel corso del suo cammino. Sono questi, io penso, gli aspetti sui quali, non per dare un giudizio del passato né fare di questo eventuale giudizio il presupposto di una piattaforma per un giudizio futuro, il Consiglio Regionale può essere chiamato a dare un proprio parere, ad esprimere un proprio giudizio.
Ebbene, altri termini di contraddittorietà sono emersi, si sono evidenziati in ordine ai temi della programmazione. Vorrei qui ricordare che in un documento che, per Statuto, non poteva che essere un documento di larga indicazione, nessuno poteva pretendere che si potessero esprimere la scoperta dell'ombrello o della ruota, ma si poteva soltanto esprimere una indicazione di carattere generale, i cui contenuti certamente vanno precisati, e non ci poteva essere, per quanto riguarda la programmazione che una larga indicazione di metodologia più che di contenuto e di finalità, sembrandoci peraltro evidente che un discorso sulle finalità atteso che sono largamente condivise per quanto riguarda i riequilibri di carattere territoriale e settoriale - era un discorso di contenuto programmatico, evidentemente, da definirsi nell'ambito di un piano che è da discutere in questa sede; e sarebbe stato davvero strano che noi avessimo anticipato la definizione di queste finalità prima di portare alla discussione del Consiglio una elaborazione di piano e prima di poter discutere sulle eventuali alternative del medesimo facendole emergere come scelte del Consiglio. Quindi, non poteva che essere una indicazione di carattere metodologico, con tutte le carenze, con tutte le insufficienze che indicazioni di questo genere palesano quando si abbia la pretesa di contenerle, come noi abbiamo ritenuto di doverle contenere, per un equilibrio del documento e per evitare disarticolazioni o eccessi di disarmonia del documento, entro certi limiti.
Ha ragione il Consigliere Giovana: certamente quello che vi proponiamo è un piccolo pacco, legato con nastrini di vario colore, con merletti. Ma con i merletti non c'é affatto dell'arsenico. Esso non vuol essere nemmeno un elemento sul quale si possano produrre confusioni nei rapporti fra le diverse forze politiche, né dietro ad esso si nasconde, in ciò che non è detto, qualcosa di non voluto. Mi pare, a questo proposito, di dover dire come la Democrazia Cristiana abbia già altra volta, in questa come in altre sedi, espresso propri precisi pareri in ordine al tipo di programmazione che desidera portare avanti a livello regionale, ed abbia chiaramente affermato come evidentemente il tipo di sviluppo che si è verificato in Piemonte debba essere modificato, e come questa modificazione passasse sicuramente attraverso un intervento degli Enti pubblici, ed in particolare, io credo, della Regione, attraverso gli strumenti che la Regione potrà mettere in essere quando avrà la pienezza dei propri poteri certamente, ma intanto con il proprio intervento di pressione per modificare una certa logica di sviluppo. Una logica che noi abbiamo criticato, una logica che non abbiamo esitato a dire rispondente a convenienze private, che ha portato a localizzazioni sbagliate con il risultato di congestionare l'area torinese caricando sugli Enti locali una serie di oneri per le opere di urbanizzazione, ponendoli sempre in una condizione di ritardo rispetto alle risposte che questi devono dare nella creazione di infrastrutture; che soprattutto ha creato delle situazioni di tensione e di sofferenza umana in considerazione delle quali noi crediamo non soltanto che sia un errore proseguire in questa direzione ma che sia necessario mettere in movimento una inversione di tendenza che tragga dagli Enti locali, in particolare dalla Regione, la forza per modificare l'attuale stato di cose.
Colgo qui - scusate la parentesi, anche se è un argomento che potremo forse meglio definire ed approfondire in sede di dichiarazioni programmatiche - un argomento che è stato portato all'attenzione di questa Assemblea, se ricordo bene, sia dal collega Sanlorenzo che dal collega Berti, in ordine al rapporto tra il Piemonte e il Mercato Comune Europeo alla coerenza di questo rapporto rispetto alla politica, che è pure condivisa da tutte le forze politiche italiane, per lo sviluppo del Mezzogiorno. Io credo che non vi sia nulla di contraddittorio tra il fatto di connettere lo sviluppo dell'area forte piemontese e padana con l'area forte transalpina e la politica del Mezzogiorno. Io credo che intanto possiamo alimentare la creazione di capitali nella misura in cui teniamo competitiva la nostra economia, la nostra struttura imprenditoriale industriale ecc., in quanto possiamo creare dei capitali da dirottare, con la volontà politica ed attraverso la programmazione nazionale, nel Mezzogiorno, in quanto seguiamo una politica di coerente mantenimento della competitività delle nostre strutture economiche. Invano, se non affrontassimo questo problema di competitività, noi cercheremmo di avere capitali a disposizione da investire nel Mezzogiorno. Sono temi che accenno molto sommariamente ma che potranno e dovranno essere oggetto di attenta considerazione da parte di tutte le forze politiche presenti in questo Consiglio Regionale, perché esse saranno decisive rispetto alle scelte che noi dovremo fare in ordine alle indicazioni dello sviluppo regionale del nostro Piemonte.
Sono stati toccati dai colleghi che oggi sono intervenuti in questo dibattito molti argomenti di specifica competenza della Regione. Le indicazioni che qui sono emerse sono di carattere particolarmente interessante, hanno recato sicuramente un contributo valido. Vorrei ricordare, se mi è consentito, alcune considerazioni del collega Rivalta in ordine a quel discorso relativo alle strutture e agli strumenti di lavoro da predisporre, che mi pare vada riferito alle Commissioni legislative in particolare e vada anche riferito alle finalità di lavoro ed al carattere oggettivo che le strutture rispetto a queste finalità dovrebbero avere superando quindi la scelta specifica che le forze politiche di maggioranza possono fare nella strutturazione di queste nuove articolazioni della Regione. Vorrei tuttavia respingere una affermazione che mi sembra vada molto al di là della realtà delle cose, e che comunque non è sicuramente presente nell'ottica con la quale noi affrontiamo i problemi della programmazione: questa sorta di visione tecnocratico-illuminista che evidentemente non è certo presente in una forza così largamente popolare e rappresentativa quale si considera la Democrazia Cristiana e quale nella realtà del Paese essa sia. Non è in noi alcuna visione tecnocratica n tanto meno alcuna visione illuministica su questo problema: vi è il tentativo, l'approccio, che non è sicuramente un approccio né dogmatico n credo scientificamente predeterminato, con la realtà che deve essere programmata; un approccio che presuppone il collegamento con le forze reali, con i problemi reali del Paese, e per noi della Regione, con una indicazione soprattutto di realizzare un modello di sviluppo ed un modello di società sulla quale possiamo anche essere discordi. E' rispetto a questo modello che il Consigliere Bianchi definiva una frontiera con i comunisti definiva la divisione dalla visione propria del Partito comunista. Ma certamente questo collegamento non può prescindere dal contatto con le forze reali del Paese né può prescindere dal contatto con gli organismi sociali e con le esigenze che emergono in questa fase di sviluppo e di avanzamento della democrazia nella nostra Regione e nel nostro Paese.
Altre indicazioni interessanti sono venute rispetto alla politica della Sanità, e le ha portate il Consigliere Lo Turco, altre rispetto alla politica dei Trasporti; così come sono stati fatti suggerimenti interessanti, che peraltro andrebbero approfonditi, in ordine alla particolare visione che ha portato il Consigliere Raschio in rapporto all'Ente regionale dei trasporti. Ecco, nessuno di noi crede di poter fare queste cose, né la Giunta ritiene di poter fare queste cose, senza confrontare i diversi strumenti operativi attraverso i quali rendere concreta la propria azione. Questo è il contributo che si potrà verificare a livello di Consiglio, a livello di Commissioni, quando elaboreremo le leggi istitutive di questi organi, e anche prima: è un contributo che noi siamo apertissimi ad accogliere, nella scrupolosa ed attenta considerazione che ciò che proviene dalle specifiche esperienze che ciascun Consigliere porta e da ciò che egli rappresenta costituisce materiale conoscitivo di cui noi dobbiamo tener conto, dato che desideriamo operare in modo da poter assolvere pienamente i doveri che alla Regione sono demandati attraverso le competenze che le sono state attribuite.
Molto interessanti sono state anche le considerazioni svolte in ordine alla questione dei controlli. Io credo che anche questo sia uno degli argomenti da approfondire. Non vorrei che cadessimo in un errore, che io credo obiettivamente si tenda a commettere rispetto al contenuto dell'attività dell'organo di controllo previsto dalla Costituzione per le Regioni a Statuto ordinario. Il Consigliere Marchesotti ha dato alcuni suggerimenti rispetto alla composizione degli organi, rispetto al loro modo di funzionamento. Il mio parere è che, per quanto noi possiamo fare delle proposte legislative alla Camera ed al Senato, tocchi allo Stato, a norma della Costituzione, dettare le leggi sulla composizione degli organi di controllo, e soprattutto tocchi allo Stato dettare le leggi attraverso le quali questa funzione si esercita. Certamente, il compito nostro, proprio nell'essere interpreti di quella esaltazione delle autonomie locali, è anche quello di prendere iniziative di carattere legislativo, per poter far avanzare questa autonomia anche in termini di sottrazione di controlli che nella nostra esperienza, anche di amministratori locali, abbiamo spesse volte verificato essere defatiganti, ritardatari, non di rado mortificanti dell'attività degli organismi locali.
Da parte del Consigliere Zanone prima e del Consigliere Fassino poi sono stati recati contributi che io ritengo debbano essere non sottaciuti ma anzi evidenziati, nonostante la critica in essi portata non tanto sulla contraddittorietà quanto sulla genericità del documento. Quel che ho detto per la contraddittorietà vale anche per la genericità. Lo Statuto prevedeva un documento di larga indicazione, e noi abbiamo portato un documento di larga indicazione. Io sono personalmente convinto che il formulare e il fare un dibattito prima della formazione della Giunta possa essere un metodo di lavoro, così come può essere un metodo di lavoro quello di non fare il dibattito ma di eleggere la Giunta e aspettare che la Giunta faccia delle proposte aperte. L'uno e l'altro metodo possono avere degli aspetti positivi e degli aspetti negativi; ma dal momento che ci siamo trovati tutti d'accordo a scegliere questo tipo di dibattito, credo che dobbiamo anche accettare in questa genericità uno dei difetti conseguenti al modo in cui abbiamo articolato questo documento, e pertanto reputo non giusto sottolineare questo aspetto quando esso risiede nelle cose e non nella volontà di coloro che presentano il documento.
Al di là di questa critica, penso che si debbano dare, in ordine ai problemi sollevati, alcune risposte. Ad esempio, spiegare la ragione per cui noi abbiamo contemplato nel documento la possibilità di cominciare ad esercitare il controllo anche sui Comuni della provincia di Torino. E' evidente che non potremo creare né rendere operanti le sezioni decentrate di controllo previste dallo Statuto prima che questo venga regolarmente approvato; data tale impossibilità, sembra a noi che il pretendere che i Comuni di tutte le province mandino le loro deliberazioni a Torino sarebbe proporre un modello di centralismo in palese contrasto con le indicazioni date dal nostro Statuto. Ci sembrava, invece, molto importante accelerare il passaggio alla Regione del controllo sui Comuni senza attirare sul nostro istituto l'accusa di tendenza al centralismo, e l'unico modo per giungere a ciò era di farlo rispetto a quei Comuni che già sono abituati a mandare le proprie deliberazioni a Torino, al capoluogo della regione, che in questo caso è capoluogo di una provincia. E' questo l'unico motivo per cui è stata fatta questa proposta. Vi sono certamente in essa degli aspetti negativi, fra cui la disparità di trattamento che verrebbe ad aversi fra i Comuni appartenenti alla provincia di Torino e quelli appartenenti alle altre province. Ma questi, evidentemente, sono motivi di opportunità la cui valutazione è lasciata all'intero Consiglio, e credo possa essere portata avanti senza forme di contrapposizione o di contrasto suscettibili di creare divisioni fra le forze politiche.
Una precisazione debbo fare anche rispetto alle proposte relative alle modifiche statutarie dell'IRES. Il Consiglio Regionale ha votato una deliberazione che autorizzava la Giunta a proporre queste modifiche; la Giunta ovviamente ha aspettato la sua ricostituzione per poter fare, non in una fase di provvisorietà ma in una fase di effettiva assunzione di funzioni, proposte specifiche in rapporto alle modifiche da apportare allo Statuto di questo organismo di ricerca; nel documento, così come è stato presentato, ha però definito quali sono i compiti specifici che si intende affidare all'IRES, nella fase di studio e nella fase di proposta alla Giunta e quindi al Consiglio di linee alternative di sviluppo a livello di programmazione regionale nei rapporti con la programmazione di carattere nazionale.
Non mi faccio certo l'illusione di aver rimosso ogni motivo di dissenso con questa mia risposta, che è stata necessariamente una risposta limitata in forma di dialogo con le forze della minoranza, mentre non ha preso in considerazione le argomentazioni svolte dai colleghi appartenenti a formazioni che sono rappresentate nella Giunta, con i quali il confronto dei punti di vista è più facile, potendo avvenire nell'ambito della comune responsabilità di governo. Gli interventi svolti dai colleghi Bianchi Cardinali, Viglione, Fonio, Gandolfi, Conti, meritano sì di essere valutati, per le prospettive politiche che essi hanno aperto su temi di carattere programmatico - il collega Viglione si è riferito in particolare ai problemi della provincia di Cuneo -; si tratta però di problemi che rientrano nell'attività che la Regione dovrà svolgere, di problemi sui quali la Regione dovrà misurarsi. Dei contributi anche di tanti altri colleghi - mi scuso con coloro che non ho citato, ma il cui apporto è stato pure senza dubbio qualificante, ed ha richiamato alla nostra attenzione, o sottolineato, problemi di particolare urgenza -, contributi in ordine alla formazione delle strutture della Regione, ai contenuti di carattere programmatico, e via dicendo, la Giunta intende avvalersi, inserendoli nell'abbozzo di programma che verrà sottoposto al Consiglio il più presto possibile, non appena si saranno potute elaborare e confrontare le diverse alternative ed anche collocarle non solo in un quadro di attività ma anche nel quadro di possibilità operative e finanziarie di fronte alle quali la Regione verrà a trovarsi. Tutto ciò non soltanto per poter manifestare una pressione politica in ordine alla soluzione dei problemi rispetto al trasferimento dallo Stato alla Regione delle attribuzioni della Regione stessa, ma anche per incominciare a tradurre in atto, per incominciare a prendere contatto in concreto con quelli che saranno i compiti legislativi propri del Consiglio Regionale e propri delle strutture regionali che si vengono formando.
E' stato detto da molti, in particolare qui mi pare dal collega Sanlorenzo, che noi abbiamo snobbato l'attività collegiale delle Regioni, o degli Uffici di Presidenza, che certamente hanno dato un poderoso contributo all'attività turistica nazionale in questo periodo, essendosi trasformate in una sorte di clerici vagantes - lo dico senza alcun intento polemico, semplicemente manifestando un mio personale punto di vista -. Io sono dell'avviso che il nostro confronto e la nostra maturazione deve avvenire dall'interno dei nostri problemi: non credo che si possa costituire, con una sorta di unione regionale, una contrapposizione al Parlamento, una contrapposizione al Governo. Penso invece che ogni singola Regione, proprio per il fatto di essere e di voler essere qualcosa di autonomo rispetto allo Stato, deve maturare in sé stessa le sue linee, che non sono linee di contrapposizione ma linee di definizione delle competenze, e contrattare queste competenze con la burocrazia dello Stato intanto, e poi soprattutto con le forze politiche a livello nazionale. Ci non significa che non ci debbano essere dei collegamenti, che non debba essere fatta una sorta di coordinamento tra queste forze; significa per che bisogna innanzi tutto guardare all'interno dei propri problemi, dei singoli problemi regionali, e far maturare da essi le posizioni che la Regione deve avere nei confronti dell'autorità dello Stato, nei confronti del Parlamento e del Governo.



FURIA Giovanni

Ciò che lei sta dicendo è molto grave: è un attacco agli Uffici di Presidenza. Sarebbe il caso di sentire che cosa ne pensano gli altri Gruppi della maggioranza.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non c'é proprio nessun attacco agli Uffici di Presidenza. Se queste mie parole possono essere interpretate come attacco agli Uffici di Presidenza vuol dire che in questo Consiglio Regionale non sono ammesse le battute, il che mi sembrerebbe francamente eccessivo.



FURIA Giovanni

La battuta potrebbe essere accettata se fosse a sé stante, ma essa si collega ad un atteggiamento che vi ha portati a disertare tutta una serie di riunioni. Sta in questo la gravità della sua dichiarazione.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Il che non vuol dire che la mia sia una critica agli Uffici di Presidenza: è un atteggiamento che si diversifica dall'atteggiamento dell'Ufficio di Presidenza.



BERTI Antonio

C'é il fatto che mentre le altre Regioni si riunivano, quella piemontese ufficialmente era assente.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Penso sia meglio evitare di metterci a dialogare. La Regione piemontese ha elaborato le sue proposte, come tutte le altre, non c'è alcuna particolare diversificazione: nessuno ha scoperto la polvere, credimi.
Ho ritenuto di dover dire queste cose con intento di collaborazione e di puntualizzazione che mi sembra anche doveroso. Se però ogni considerazione che io faccio è destinata ad essere interpretata come una critica o come un atteggiamento di contrapposizione drastica, radicale....



FURIA Giovanni

Permetta. La preoccupazione nostra deriva dal fatto che noi abbiamo avuto bisogno di questo contatto con le altre Regioni, e ne avremo bisogno ancora domani. Non si tratta di coalizzare le Regioni in una contrapposizione allo Stato: si tratta di vedere come possiamo, in un rapporto consultivo con le altre Regioni, fare passi in avanti in una direzione che è invece raffrenata da tutte le parti. Si tratta, quindi, non di cosa secondaria e marginale, ma di una questione decisiva.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Si tratta di vedere, Furia, se il contenuto è quello al quale tu accenni o se è di carattere diverso.



FURIA Giovanni

Avendo letto i cinque documenti che ci sono stati consegnati, ritengo sia quello.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta regionale

Io invece non do lo stesso giudizio, sta qui la differenza: perché se il contenuto fosse quello che tu dici non avrei nulla da eccepire, ma in realtà non è così. Sono dispostissimo, però, ad accettare una verifica dei contenuti, a fare un discorso serio sui contenuti.
Per quanto riguarda in particolare la costituzione delle Commissioni la loro strutturazione eccetera, mi pare fosse stato raggiunto un accordo a livello di conferenza dei Capigruppo nel senso che la definizione di queste Commissioni sarebbe stata curata da questa conferenza dei Capigruppo. Il Consigliere Berti ci ha chiesto di precisare entro quanto tempo si intende fare queste cose: penso possiamo dichiarare la nostra piena e completa disponibilità perché si arrivi anche subito a questo discorso a livello di Capigruppo relativo alla formazione delle Commissioni e ad una regolamentazione dei loro lavori. In ordine a questo problema non credo di aver altro da aggiungere se non riconfermare il nostro desiderio, la nostra volontà di avviare rapidamente la costituzione delle Commissioni e la regolamentazione dei loro lavori.
A conclusione di questo primo dibattito in ordine al documento programmatico, che evidentemente prelude ad un secondo dibattito sul programma che la Giunta intende presentare, non mi resta che ringraziare i colleghi della maggioranza per la designazione che personalmente mi riguarda e per la designazione che riguarda gli altri componenti la Giunta e ringraziare i Gruppi dell'opposizione per il contributo che hanno recato a questa discussione e per l'apporto che hanno voluto dare affinché, nella elaborazione del proprio programma, la Giunta potesse ampliare il proprio cerchio visivo tenendo conto dei contributi e degli apporti dati da tutte le forze politiche presenti in Consiglio.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa. Dobbiamo ora procedere a quattro votazioni: la prima riguarda la scelta fra le opzioni che ci sono offerte dalla legge del 1953 e dallo Statuto nella determinazione del numero degli Assessori; la seconda il documento politico che è stato presentato da diciannove Consiglieri dei quali rileggerò i nomi al momento della votazione; la terza la elezione del Presidente della Giunta; la quarta la elezione dei componenti la Giunta.
La prima votazione si può effettuare votando per divisione il documento politico presentato dalla maggioranza, il cui primo capoverso riguarda la determinazione del numero degli Assessori. Credo che a questa votazione si possa procedere per alzata di mano, se non vi sono proposte in senso contrario.
Do lettura di questo primo capoverso, che porrò successivamente in votazione: "I Gruppi consiliari della D.C., del P.S.I., del P.S.D.I. e del P.R.I.
propongono al Consiglio Regionale l'elezione di una Giunta organica di centro sinistra composta dal Presidente e da dodici Assessori".
Nessuno chiede di parlare? Pongo dunque ai voti il primo capoverso del documento politico presentato dalla maggioranza, per alzata di mano. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'esito della votazione è il seguente: presenti 49 votanti 48



(Non partecipa alla votazione il Presidente Vittorelli)



PRESIDENTE

favorevoli 28 contrari 20 Il numero degli Assessori componenti la Giunta è quindi fissato in 12.



PRESIDENTE

Dobbiamo ora procedere alla votazione del documento politico presentato da diciannove Consiglieri, cioè dai Consiglieri: Bianchi, Gandolfi Bertorello, Franzi, Giletta, Simonelli, Armella, Garabello, Falco, Nesi Cardinali, Debenedetti, Paganelli, Conti, Vietti, Menozzi, Beltrami Borello, Borando.



PRESIDENTE

A questa votazione era stato convenuto di procedere per alzata di mano, in modo da attenersi, essendo una votazione qualificante, alla esigenza prevista dallo Statuto e non in contrasto con la legge del 1953, di effettuare a scrutinio palese la scelta politica dalla quale dovrà poi scaturire quella del Presidente della Giunta e della Giunta.
Credo che il documento politico sia noto a tutti, perché è stato anche distribuito a tutti i Consiglieri nella giornata di oggi. Si intende naturalmente, che questa votazione si riferisce esclusivamente al documento vero e proprio, non alla lista dei candidati allegata al documento, perch per votare su tale lista dovremo continuare ad applicare la legge del 1953 che rimarrà operante fino al momento dell'entrata in vigore dello Statuto.



PRESIDENTE

Prego un Segretario Consigliere di leggere i nomi dei singoli Consiglieri in ordine alfabetico. Chi è favorevole a questo documento è pregato di rispondere "sì", chi è contrario "no", chi si astiene "astenuto". Prego anche i Consiglieri Segretari di annotare le risposte in maniera che si possa poi procedere allo scrutinio.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti 49 votanti 48 (Non partecipa alla votazione il Presidente Vittorelli) hanno risposto SI 28 Consiglieri hanno risposto NO 20 Consiglieri Il documento è quindi approvato.
Procediamo ora alla elezione del Presidente della Giunta. Ricordo che questa votazione deve avvenire, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 62 del 1953 a scrutinio segreto. Perché essa sia valida vi devono partecipare almeno i due terzi dei Consiglieri assegnati alla Regione. Avendo il Consiglio deliberato di applicare le norme più rigide di ciascuno dei due testi di legge ai quali si è deciso di attenersi, e cioè la legge del 1953 e lo Statuto, perché la elezione possa avvenire a primo scrutinio deve avvenire a maggioranza assoluta dei Consiglieri assegnati alla Regione, e cioè con un minimo di 26 voti favorevoli sul nome designato.
Prego di distribuire le schede relative alla elezione del Presidente della Giunta.
Procediamo allora alla votazione. Prego un Consigliere Segretario di fare l'appello nominale. Ciascun Consigliere al momento di essere chiamato deponga la propria scheda nell'urna.



(Si procede alla votazione. I Consiglieri Segretari procedono allo spoglio delle schede)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione.



(numero dei presenti richiesto per la validità della seduta: 2/3 dei Consiglieri assegnati alla Regione 39)



PRESIDENTE

presenti e votanti 49



PRESIDENTE

hanno ottenuto voti: Calleri 29 Berti 14 Curci 2 schede bianche 4 Essendo stata conseguita la maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio Regionale, proclamo eletto Presidente della Giunta il dott.
Edoardo Calleri di Sala.



PRESIDENTE

Procediamo ora alla elezione dei componenti la Giunta. Prego di distribuire le schede elettive.



(Si procede alla votazione. I Consiglieri Segretari procedono allo spoglio delle schede)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 49 (maggioranza richiesta 25) hanno ottenuto voti: Armella 29 Borando 29 Cardinali 29 Conti 29 Debenedetti 29 Falco 29 Fonio 29 Franzi 29 Gandolfi 29 Petrini 29 Simonelli 29 Vietti 29 schede bianche 20 Proclamo quindi eletti Assessori i seguenti Consiglieri: Armella, Borando Cardinali, Conti, Debenedetti, Falco, Fonio, Franzi, Gandolfi, Petrini Simonelli, Vietti, che hanno ottenuto la maggioranza richiesta.


Argomento:

Annunzio di mozioni e interrogazioni


PRESIDENTE

Prego il Consigliere Segretario Rotta di dar lettura delle interrogazioni presentate.



ROTTA Cesare, Segretario



PRESIDENTE

La data di discussione della mozione verrà concordata in una prossima conferenza dei Capigruppo.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno sulla grave situazione verificatasi allo stabilimento DELTA-SMI di Serravalle


PRESIDENTE

E' stato anche presentato, a firma dei Consiglieri di quasi tutti i Gruppi, il seguente ordine del giorno, con carattere di urgenza: "Il Consiglio della Regione Piemonte di fronte alla grave situazione verificatasi allo Stabilimento DELTA-SMI di Serravalle, ove la Direzione aziendale, in occasione di un'azione rivendicativa dei lavoratori, ha abbandonato la fabbrica, rinunziando alle proprie responsabilità ed attuando di fatto una serrata rileva con preoccupazione il permanere di tale stato di cose nonostante gli interventi sollecitati anche dal Presidente della Giunta Regionale ed in particolare dopo l'incontro odierno promosso presso l'Ufficio provinciale del lavoro di Alessandria, che si è concluso senza alcun risultato.
Il Consiglio della Regione Piemonte esprime la più viva preoccupazione per le famiglie dei lavoratori del DELTA e per l'economia dell'intera zona novese sollecita i Ministri per le Partecipazioni Statali e per l'Industria ad intervenire per porre fine alla preoccupante situazione del DELTA invita la Giunta Regionale a proseguire l'azione già intrapresa e ad intervenire attivamente per una giusta soluzione della vertenza nel rispetto della legalità e del costume democratico".
E' firmato dai Consiglieri: Simonelli, Debenedetti, Bianchi, Raschio Marchesotti, Gerini, Armella e altra firma illeggibile.
La Giunta desidera pronunciarsi su quest'ordine del giorno, che contiene un invito alla Giunta a proseguire nella azione già intrapresa? Possiamo allora metterlo in votazione? Pongo ai voti quest'ordine del giorno.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Nell'incontro con i tessili, i rappresentanti della Regione - il sottoscritto, il Consigliere Nesi e l'Assessore Garabello - si sono impegnati di fronte ai lavoratori a chie dere una convocazione dell'Assemblea per discutere i problemi della ETI così come abbiamo fatto per la Magnadyne. Le chiedo se non ritiene di convocare i Capigruppo per eventualmente concordare un ordine del giorno ed anche eventualmente l'Assemblea per discutere i problemi della ETI.



PRESIDENTE

Non potendo fissare alcun ordine del giorno, è evidente che debbo convocare i Capigruppo per decidere il programma dei nostri successivi lavori. In quella occasione stabiliremo quando eventualmente l'Assemblea potrà occuparsi di questa questione.
Il Consiglio sarà riconvocato a domicilio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 22)



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