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Dettaglio seduta n.3 del 22/07/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento: Statuto - Regolamento

Statuto Regionale. Adempimenti. (Seguito della discussione)


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Proseguiamo nella discussione del n. 4 dell'o.d.g.
"Statuto Regionale. Adempimenti".
Ha facoltà di parlare il Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, signori Consiglieri, io credo che la Presidenza abbia fatto bene a consentire una preliminare discussione sugli orientamenti e punti di vista dei singoli gruppi, in merito all'impostazione da dare ai lavori per la costituzione dello Statuto regionale. E credo che se noi ci attenessimo a questo indirizzo, potremmo già sin d'ora stabilire qualche criterio di fondo e soprattutto stabilire gli impegni da parte dell'intero Consiglio per arrivare, nei tempi previsti dalla legge, a costituire questo documento che rappresenterà indubbiamente la carta principale del nostro funzionamento.
Questa mattina però mi è sembrato che in alcuni interventi si aggiungessero, alle valutazioni sullo statuto, alcune considerazioni che a mio modo di vedere meritano attenzione. Io credo che siamo tutti disponibili - io parlo, anche se in questo momento non rappresento che me stesso, a nome dei compagni che fanno parte del gruppo socialista unitario a fare il massimo sforzo per avere il migliore degli statuti. E credo che ciò che è stato enunciato in termini concreti dal Presidente in alcuni interventi, possa essere accettato al completo. Ritengo però che dobbiamo distinguere ciò che diciamo qui dentro ad uso interno e ciò che diciamo ad uso esterno, trattandosi, in fondo, di instaurare un metodo che evidentemente potrebbe snaturare un tantino la funzione alla quale siamo chiamati. Io credo che non si debba drammatizzare eccessivamente sull'importanza trascendentale che può avere la costituzione del nostro statuto. E' vero, lo statuto sarà la legge fondamentale nella quale funzionerà la Regione, ed è altrettanto vero che i tempi richiedono uno statuto moderno, concetti moderni e criteri moderni. Quando però si cerca in questo discorso, di inserirne uno che porta avanti argomentazioni che hanno scarsa attinenza con i problemi dello statuto stesso, credo che si debbano richiedere alcune precisazioni e penso soprattutto che le precisazioni debbano essere chieste da quei gruppi che si accingono, è inutile dirlo - lo accennò il vicepresidente Oberto nel suo discorso di apertura - si accingono per volontà politica ad assumere la responsabilità nel Consiglio regionale e nella Giunta regionale. Ebbene, questi concetti non possono travalicare oltre certi limiti e soprattutto devono essere determinati gruppi a chiarire in maniera precisa che cosa si intenda realmente fare e qual'é realmente l'obiettivo che vogliamo perseguire. Noi vogliamo fare un buon statuto, abbiamo detto, vogliamo fare uno statuto moderno, dobbiamo fare uno statuto che operi nell'ambito delle funzioni costituzionali della Regione soprattutto non dobbiamo incorrere nell'errore di creare un qualche cosa che ci metta nelle condizioni di non avere mai limiti precisi tra un atteggiamento e l'altro e soprattutto che crei quelle zone di sfumatura, di slabbramento che non consentono mai di individuare una chiara e precisa volontà.
Io credo che quel che ha detto - per ciò che attiene alla praticità delle proposte - il vicepresidente Sanlorenzo, sia in larghissima parte accettabile, mentre non è altrettanto accettabile il concetto con il quale si intende dare sin d'ora all'operazione che ci accingiamo a fare, un indirizzo e una finalità che esulano o che comunque implicherebbero chiare discussioni a parte. Oggi si parla - l'ha detto anche il Consigliere Fonio di epoca supersonica, in cui è necessario adeguarsi ai tempi. Io per sono del parere che, nonostante tutto, le donne ci mettano sempre nove mesi ad avere i bambini e tutto sommato anche queste cose rivelano, in sostanza aspetti che devono essere opportunamente chiariti. E il chiarimento credo debba venire soprattutto da quei gruppi che, ripeto, si accingono a stabilire una solidarietà e una volontà politica. D'altra parte vorrei mettere in guardia i Consiglieri dal non aprire già sin d'ora una pericolosa discussione sul problema di un'antitesi che mi pare si delinei in qualche intervento, tra Consiglio e Giunta regionale, anche perch evidentemente tutto ciò nuocerebbe all'indirizzo pratico esecutivo e all'azione della Regione. Siamo d'accordo, la Regione deve essere il portavoce delle esigenze di fondo dei problemi piemontesi, deve tener conto delle istanze che sorgono da tutte le varie categorie sociali che fanno parte del nostro Piemonte; non può divenire l'assemblea rimorchiata da questa o quella iniziativa. Non si può fare uno statuto che non chiarisca in modo esplicito, i limiti entro cui l'azione della nostra Regione dovrà svolgersi, i limiti soprattutto della sua operatività perché, ripeto uscire con affermazioni demagogiche è facile, ma mentre siamo consenzienti nel portare avanti un discorso moderno, nel fare della Regione ciò che è rappresentato dall'aspettativa della popolazione piemontese, non siamo altrettanto d'accordo nel fare della Regione un banco di prova, oppure un banco di sistematici dibattiti su cui la Regione non abbia interesse, o per lo meno non abbia compiti istituzionali di soffermarsi.
Questo era ciò che mi premeva di dire, anche perché mi è parso che in alcuni discorsi fatti stamattina, (ne ho ritrovata eco in quello dell'avv.
Fonio) c'é una specie di riferimento a oscure manovre che vorrebbero trasferite dalla sfera governativa e parlamentare a quella del nostro Consiglio Regionale. Io credo che non dobbiamo suscitare spettri assurdi non dobbiamo soprattutto creare situazioni di comodo nel dare riferimenti arbitrari al tentativo di questo o di quello o creare situazioni abnormi che certamente per quello che riguarda il nostro gruppo non è nelle nostre intenzioni di attuare. Ritengo al contrario che il problema debba porsi con estrema chiarezza. E' vero, noi vogliamo e pensiamo che si debba avere anche nella Regione una chiara stabilità operativa. E' una stabilita operativa che passa attraverso un rispetto preciso, un rispetto assoluto dei diritti di tutti, minoranze e maggioranze, che deve trovare nello statuto proprio l'espressione della salvaguardia di questi interessi, di queste esigenze, ma noi riteniamo che tutto debba essere chiaramente delimitato da una visione politica che trova concorde i gruppi che hanno stabilito di dare un certo assetto alla nostra Regione.
Quindi collaboreremo per fare lo Statuto, nei modi più rapidi, nei modi più moderni, mettendo a disposizione le persone più capaci del nostro gruppo. Noi riteniamo che faremo opera costruttiva se faremo questo statuto aperto ai contributi tutti, ma inquadrato anch'esso in una visione che leghi una certa volontà politica e che stabilisca chiaramente i limiti di questa volontà politica costituita dai gruppi che concorrono a farlo. Che poi lo statuto debba dare risultati che tutti ci attendiamo, che debba rispondere a tutte le esigenze che abbiamo sentito proclamare questa mattina ci trova perfettamente concordi anche se non ce lo sentirete ripete a ogni piè sospinto perché siamo schivi da queste forme, mirando al sodo mirando cioè a - quella incisività che è la sola con la quale la Regione potrà bene operare. Anche perché riteniamo che la Regione oggi è una istituzione sulla quale si fondano molte speranze, ma non pensiamo e non crediamo e soprattutto non accediamo, a parole, al concetto che si possa ripetere un 1859 e che si possa straripare da questa Regione o da altre Regioni per correre in una marcia affannata verso il centro, allo scopo di creare situazioni antitetiche a quella che rimane pur sempre la stabilità politica, la stabilita del nostro Paese.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Zanone.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la formazione dello statuto regionale è il primo e fondamentale esperimento della nostra autonomia politica. Vi è, forse, un eccesso di enfasi nella definizione che è stata richiamata stamani dal Consigliere Armella, della fase statutaria come fase "costituente" della Regione: la Costituzione, come ricordava il Presidente Vittorelli, stabilisce per gli statuti delle Regioni ordinarie limiti precisi che, a differenza delle Regioni ad autonomia speciale circoscrivono il nostro compito all'organizzazione delle strutture interne.
Entro i limiti costituzionali, il gruppo liberale èe però convinto che il momento statutario debba svolgersi in forme differenziate, secondo le specifiche vocazioni delle diverse regioni,e in modi capaci di risolvere una prima serie di incognite regionali e di definire un modello coerente della Regione che è nostro compito non solo costituire, ma per molti aspetti inventare.
Il gruppo liberale, come dichiarava nella seduta inaugurale il collega Rotta, accetta la regionalizzazione non come una federazione fra sovranità originarie che non sarebbero conosciute nel nostro ordinamento pubblico, ma come devoluzione del potere politico in un sistema di autonomie decentrate.
E il nostro impegno è quello di fare coincidere il decentramento dei poteri pubblici con un'effettiva espansione della partecipazione democratica.
Personalmente, credo di non essere fra quelli che hanno propagato il mito della Regione come catastrofe e proprio per questo non credo neppure che si possa accreditare il mito della Regione come miracolo. Il decentramento, di per sé stesso, non corrisponde né a una scelta conservatrice né a una scelta progressista, è un processo ideologicamente neutro, che può avere esiti di conservazione o di progresso a seconda del contesto socio-politico in cui si esplica. Questo è dimostrato dal fatto che in molti Stati a struttura federale le forze conservatrici e reazionarie puntano sulla difesa delle autonomie locali, contro il riformismo progressista dei poteri centrali; si può anzi affermare che tendenzialmente la difesa delle tradizioni locali è un atteggiamento tipicamente conservativo, come anche dimostra, in concreto, l'orientamento dei movimenti autonomisti che sono sorti e in alcuni casi sopravvivono nelle regioni speciali del nostro Paese.
Il nostro punto di vista è che il decentramento regionale, come lo descriveremo nello Statuto piemontese, non debba offrire rifugio a feudalità conservative, ma debba porsi come uno strumento di più diretta partecipazione di ciascun cittadino alla scelta degli agenti pubblici.
Nell'assumere questa posizione, noi restiamo interpreti della tradizione democratico liberale che promuove i corpi intermedi fra i cittadini e lo Stato come garanzia contro le tentazioni dispotiche dell'apparato centrale e insieme come scuola della democrazia; e cerchiamo un'applicazione aggiornata del principio di Tocqueville, secondo il quale come le scuole primarie sono il fondamento della scienza, così i poteri locali sono il fondamento della libertà.
Sulla base di questa posizione di principio, il gruppo liberale ritiene che la formazione dello Statuto non possa essere costretta nei vincoli della legge n. 62 del 1953, largamente sospettati di illegittimità costituzionale anche nel corso di questo dibattito.
Il Consigliere Sanlorenzo ha dichiarato stamani che se ritenessimo vincolanti tutte le norme della cosiddetta legge Scelba, il lavoro della commissione statutaria non andrebbe oltre una serie di disposizioni di carattere più o meno regolamentare. In realtà la legge del '53 è in se stessa una cornice dell'autonomia statutaria e forse addirittura una specie di Statuto tipo uniforme per tutte le Regioni, che noi non potremmo accogliere senza entrare in contraddizione con quei principi di decentramento differenziato e autonomo entro i limiti costituzionali, che poc'anzi ricordavo.
Noi contiamo perciò di trovare il consenso delle altre forze democratiche presenti in questo Consiglio su questa valutazione: che la legge del 1953 non debba vincolare la formazione dello Statuto, in quanto rappresenta un episodio di esorbitanza nella potestà di inquadramento legislativo dello Stato sulla materia regionale.
Il nostro contributo all'elaborazione delle norme statutarie si atterrà ad alcuni orientamenti generali. In primo luogo ci sembra sensato tenere conto della particolare rigidità della legge statutaria che potrà essere modificata o emendata solo con procedure di particolare complessità; e d'altra parte ci sembra anche sensato tenere conto delle molte incertezze che oggi sussistono circa il funzionamento della Regione e che si risolveranno solo gradualmente al confronto con la concretezza dei problemi da risolvere. Noi non potremo, nelle prossime settimane, stabilire una disciplina dettagliata per un futuro incognito. Siamo perciò dell'avviso che lo Statuto debba essere composto da poche norme, chiare, ma generali e flessibili in modo da servire come cornice programmatica alla successiva legislazione regionale.
In secondo luogo noi intendiamo il processo di decentramento come una scelta politica che deve diramarsi, coerentemente, fino alle strutture primarie della comunità. La Regione non deve istituire un centralismo torinese in luogo o in aggiunta al centralismo romano, non deve accamparsi con preminenza gerarchica sugli enti locali tradizionali, deve essere una centrale di iniziativa, di programmazione, di coordinamento che peraltro deleghi l'esercizio diretto delle funzioni amministrative - come proponeva stamani il Consigliere Fonio - agli enti locali territoriali e ad agenzie appositamente costituite nelle quali, nei casi opportuni, noi siamo favorevoli anche al concorso delle forze economiche private. Questo orientamento si riflette con tutta evidenza sull'organizzazione degli uffici regionali che è materia statutaria e che noi vorremmo contenuti m dimensioni ristrette e regolati secondo obiettivi di mobilità e di efficienza. Di qui discende anche la nostra opposizione alla tesi repubblicana dell'immediato scioglimento dei Consigli Provinciali, la quale avrebbe addossato agli organi regionali ancora in fase di strutturazione la gestione diretta di servizi e di incombenze che crediamo possano e debbano restare affidati alla gestione decentrata delle Province.
Il gruppo liberale sosterrà perciò tutte le formulazioni statutarie efficaci a evitare la proliferazione dell'apparato burocratico regionale.
In terzo luogo pensiamo che lo Statuto dovrà offrire le massime opportunità di partecipazione democratica. Noi siamo d'accordo sul concetto di "regione aperta" con qualche precisazione sul significato che attribuiamo a questo concetto. Siamo, ad esempio, d'accordo che la programmazione regionale debba attuarsi attraverso una concertazione permanente con le organizzazioni economiche e sociali. A nostro avviso questa concertazione deve però avere per interlocutori legittimi tutti i gruppi sociali e tutte le forze economiche, professionali e culturali della Regione. Si potrebbe, in questa direzione, arrivare alla formazione prevista nello Statuto - di una sorta di Consiglio Regionale dell'economia e del lavoro, con l'augurio di un destino meno deprimente di quello che ha avuto il suo corrispettivo nazionale. Le esperienze di altri Paesi, come principalmente il Belgio e l'Olanda, potrebbero forse offrirci utili suggestioni in proposito; come pure dovremmo proporci di ricavare dall'esempio delle Regioni di piano francesi, forme di colloquio anche con l'interlocutore statale che dovrebbe essere rappresentato - se si vuole avere una contrattazione programmatica efficiente a livello regionale - da una conferenza dei capi degli uffici statali operanti nella Regione presieduta dal commissario governativo.
Ma la Regione non dev'essere aperta soltanto alla concertazione con i poteri pubblici, con i gruppi di pressione e di influenza e con le forze organizzate collettivamente: deve anche essere aperta alla partecipazione all'informazione e al controllo di ogni singolo cittadino. In questa direzione pensiamo che si dovranno prevedere forme allargate e adeguate al sistema informativo attuale per la pubblicazione degli atti regionali, sia legislativi che amministrativi; e proporremo, in analogia con proposte già presentate nelle assemblee regionali della Sicilia e della Venezia Giulia la istituzione di un difensore civico, con funzioni simili a quelle dell' "ombudsman" che esiste nell'ordinamento svedese sin dall'inizio dell'Ottocento. Si tratta di un magistrato di influenza, non dotato di poteri decisionali, con il compito di raccogliere le proposte che qualsiasi cittadino voglia liberamente inviare per il funzionamento dell'Amministrazione regionale e le proteste contro le disfunzioni della stessa. Il difensore civico avrebbe il diritto di aprire inchieste e di eseguire indagini negli uffici regionali, esaminando i documenti relativi e raccogliendo direttamente deposizioni dai funzionari responsabili, e su ciascun caso sottoposto al suo intervento potrebbe inviare una segnalazione conclusiva al Presidente della Giunta regionale, informandone nel contempo il Consiglio e l'opinione pubblica attraverso la stampa.
Non entrerò in altre indicazioni di dettaglio, per restare nel livello di orientamento generale che è prescritto per il dibattito odierno. Mi soffermerò, pertanto, solo sulla questione di maggior rilievo politico che dovrà essere affrontata dalla Commissione per lo statuto: la definizione dei rapporti fra Consiglio, Giunta e Presidente regionali. E' probabile che da domani o da dopodomani spetti al Gruppo liberale il compito dell'opposizione: se così sarà, lo affronteremo senza ostruzionismi pregiudiziali e con volontà costruttiva. Ma la previsione del ruolo di oppositori non ci induce a trascurare l'esigenza, oggi generalmente avvertita, di un esecutivo che possegga i requisiti della stabilità politica e della efficienza funzionale. Questi requisiti sono essenziali in qualsiasi ordinamento pubblico e sono oggi carenti in misura spaventosa nella politica italiana, dal governo centrale a quello delle municipalità.
Noi non possiamo, come liberali, non preoccuparci di questa carenza, perch una democrazia instabile ed inefficiente è già una democrazia compromessa.
Il gruppo liberale, perciò, è favorevole alla costituzione di un Esecutivo regionale dotato di stabilità, e fra le diverse proposte che circolano in merito a questo problema ci sembrano, ad un primo esame, particolarmente efficaci le seguenti. In primo luogo, il Presidente e la Giunta devono costituire un organo politico strettamente solidale. E' perciò opportuno che la Giunta venga eletta dal Consiglio con un'unica votazione su una lista proposta dal Presidente con l'indicazione dei rami di amministrazione assegnati a ciascun assessore; ovviamente, il voto contrario del Consiglio comporta la revoca del Presidente. In secondo luogo, la revoca del Presidente e della Giunta deve essere prevista in forme che evitino l'apertura di crisi al buio, ad esempio facendo carico ai promotori della revoca di indicare il nuovo Esecutivo che dovrebbe subentrare o stabilendo un termine entro il quale si dovrà procedere alla elezione del nuovo Esecutivo, com'é previsto dal cosiddetto progetto De Mita.
Però, assicurato un esecutivo che abbia requisiti di stabilità, sorge una seconda e concomitante esigenza del metodo democratico: quella di dotare il Consiglio regionale di adeguati poteri di controllo, in modo da assicurare l'equilibrio fra i poteri ed impedire la degenerazione in forme discrezionali o arbitrarie del governo regionale. Si pongono anche qui ad un primo esame possibilità di controllo o di intervento a diversi livelli: a livello di azione popolare, di Consiglio regionale, di Commissioni consiliari.
Quanto all'azione popolare, noi pensiamo che immettere direttamente nello Statuto la descrizione dettagliata dei modi in cui dovrà esercitarsi il referendum sulle leggi e sugli atti amministrativi della Regione vorrebbe dire appesantire e irrigidire il corpo delle norme statutarie, e in coerenza con le esigenze di generalità e di flessibilità dello Statuto che prima indicavo. Ci sembra perciò opportuno il rinvio dei modi di esercizio del referendum ad una apposita successiva legge regionale.
Quanto ai poteri dei Consiglieri, noi proporremo non solo che venga stabilito dallo Statuto, in analogia con i regolamenti parlamentari, il diritto di interrogazione, di interpellanza e di mozione, ma che si affronti con capacità di invenzione e di innovazione il problema della disponibilità parziale di dati conoscitivi non inquinati dal filtro politico del governo regionale. Ciò presuppone che si stabilisca per ciascun Consigliere il diritto di accedere direttamente agli strumenti conoscitivi che elaboreranno gli elementi della programmazione regionale.
Anche per questo riguardo non ci sembra né impossibile né eccessivo arrivare alla costituzione di un magistrato all'informazione economica che sia il gestore, politicamente neutro, della banca dei dati regionali.
Particolari poteri potranno poi essere riconosciuti alle commissioni consiliari permanenti, che dovranno disporre anzitutto di estese di audizione e di sopralluogo.
Signor Presidente e Colleghi Consiglieri, è evidente che lo statuto dovrà indicare una scelta precisa sul tipo di Governo regionale che si intende instaurare. In materia esistono posizioni politiche alternative nettamente differenziate, che sono già emerse anche in questo dibattito.
Per limitarci alle proposte provenienti dai due settori maggiori, vi è da un lato il disegno di una Regione di tipo presidenziale, con un ristretto numero di assessori, proposto dalla Commissione a suo tempo istituita dal Ministero Moro; dall'altro lato vi è la proposta comunista di un governo assembleare in cui il Consiglio regionale sarebbe detentore diretto della titolarità dei poteri non solo legislativi ma anche amministrativi e conferirebbe alla Giunta un mandato imperativo e non fiduciario. Si tratta di posizioni radicalmente diverse. Fino a quando questo Consiglio non abbia deliberato la propria opzione in merito, la nomina degli organi esecutivi della Regione sarà non giuridicamente, ma politicamente improponibile.
Mi permetto di anticipare qui una opinione del Gruppo liberale che forse sarà ribadita nell'ulteriore svolgimento dell'ordine del giorno di questa sessione, ma che trova la sua motivazione proprio nei principi dell'ordinamento statutario. Nei giorni scorsi abbiamo letto su "La Voce repubblicana" una serie di articoli sul cui contenuto siamo lieti di poter consentire. A parte il fatto curioso che quel giornale già dal 14 luglio dava per avvenuta a Torino la costituzione di una Giunta regionale forte di sedici assessori, sulla quale, per quel poco che mi risulta, dobbiamo invece ancora pronunciarci, noi concordiamo sul giudizio che l'elezione dell'esecutivo non sia fra i primi adempimenti obbligatori della Regione dal momento che fino all'emanazione dei decreti di trasferimento delle funzioni la Giunta avrebbe in pratica ben poco da fare.
Il gruppo liberale richiede perciò che sia rispettata la priorità della fase statutaria rispetto alla nomina dell'esecutivo, che proprio nello Statuto dovrà trovare l'interpretazione autentica del suo mandato e i modi stessi della sua composizione e designazione. Attendiamo di conoscere se il consigliere Gandolfi manterrà in questa sede la posizione ufficialmente assunta dal suo partito Per quanto ci concerne, dichiariamo di essere contrari alla elezione dell'esecutivo regionale prima che lo Statuto abbia definito il rapporto che deve stabilirsi fra l'esecutivo e questo Consiglio.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Mi sembra che la discussione che si è avviata sia, in sostanza centrata su due distinti ordini di problemi: quello che concerne il tipo di iniziativa che il Consiglio regionale deve assumere con riferimento alla legge Scelba, con richiamo al significato, all'importanza, al rilievo di questa legge-quadro, che per molti versi ci vincola pesantemente; quello che contempla i temi più propriamente di contenuto e di impostazione dello Statuto.
In merito alla legge Scelba il mio partito è perfettamente d'accordo sui rilievi che sono stati mossi ad essa da più parti, fortemente preoccupato anche delle norme, del tipo di vincoli che, si deve obiettivamente riconoscere, la legge Scelba pone. Ci sono in essa aspetti che possono certamente dare adito a contestazioni di incostituzionalità, e altri aspetti che forse non sono incostituzionali ma che configurano certamente un tipo di concezione della Regione che non risponde perfettamente a quello che la Costituzione ha previsto negli articoli che riguardano l'ordinamento regionale. Cioè, la nostra impressione è che nel '53 il legislatore, in sostanza, abbia trattato la Regione più che altro come un grosso comune, prevedendo un certo tipo di controlli e di impostazioni normative che erano propri degli enti locali minori, anzich tentare di realizzare una legge-quadro più aderente allo spirito del dettato costituzionale. Alcuni punti sono già stati elencati. Io ne indicherò un altro che mi pare avesse già accennato in particolare Sanlorenzo: il tipo di controllo previsto per la Regione ci lascia affettivamente molto perplessi, e direi che per molti versi è inaccettabile, specialmente per le norme che sono previste in fatto di possibilità di interventi, di valutazioni di merito, di controlli di merito sugli atti della Regione. Si tratta certamente di una interpretazione un po' troppo estensiva del breve cenno contenuto nella Costituzione sui controlli di merito che devono essere fatti sugli atti regionali.
Peraltro, dobbiamo anche valutare come si colloca la legge Scelba, nel momento in cui le Regioni si stanno realizzando. Non c'é dubbio che un momento normativo di carattere nazionale che garantisca un minimo di omogeneità per tutti gli statuti regionali ci debba essere. Per varie ragioni, che sono ben comprensibili: non si tratta tanto di limitare le Regioni, ma siccome le Regioni si collocano in un contesto estremamente complesso di rapporti con lo Stato da una parte, con gli enti locali dall'altra, e evidente che una normativa avente carattere di omogeneità su tutto il territorio nazionale deve pur esserci. Poniamo, ad esempio, il problema del tipo di controlli che la Regione potrà esercitare sugli enti locali a livelli inferiori: sarebbe ben strano che in Piemonte un Comune o una Provincia si trovassero a dover sottostare, per effetto di uno Statuto regionale, a controlli diversi da quelli che un Comune o una Provincia del Veneto vedono esercitati sui loro atti.
Ora, se riconosciamo la necessità di un inquadramento legislativo che garantisca omogeneità su tutto il territorio nazionale, è evidente che dobbiamo essere anche estremamente attenti al tipo di procedura che possiamo avviare per una revisione della legge Scelba. E mi sembra che dovremmo anche essere preoccupati di una revisione che avvenga di fatto attraverso una vicenda episodica di disattendimenti fatti in sede di realizzazioni di statuti locali, perché certamente rischieremmo di trovarci di fronte a situazioni che possono, al limite, anche venire contestate alle Regioni dagli enti Comuni e Province; cioè, potremmo, al limite, trovarci in una situazione in cui siano i Comuni e le Province ad impugnare gli statuti regionali in quanto contravvengono ad una legge organica di carattere nazionale. C'é poi l'altro fatto, che evidentemente la legge Scelba, così com'è, è comunque una legge dello Stato, e sarebbe pericoloso mi sembra, introdurre il principio che le leggi dello Stato si possono disattendere, attraverso iniziative dei singoli enti, delle singole istituzioni, che si muovono nel contesto delle strutture statali.
A me sembra che l'unica procedura corretta che si possa realizzare su questo terreno sia quella di una iniziativa parlamentare di revisione della legge Scelba. Cioè, è chiaro che prima di tentare altre soluzioni bisognerebbe sperimentare la possibilità di provocare un'iniziativa parlamentare, sul che mi pare concordano tutti i partiti di maggioranza. A me sembra cioè opportuno che, dopo una prima fase di discussione sulla possibile impostazione dello statuto regionale, il Presidente del Consiglio regionale avvii, sulla scorta delle indicazioni che potranno emergere dalla Commissione per lo statuto, un discorso nel senso di sollecitare il Ministro incaricato dell'attuazione delle Regioni a vedere se si possa tempestivamente varare - qualcosa di analogo dovrebbero fare i singoli partiti nei confronti delle loro Direzioni nazionali - una iniziativa a livello parlamentare, che potrebbe anche avere tempi di attuazione estremamente brevi. Ripeto, questa mi sembra l'unica possibilità corretta che ci sia di risolvere questo tipo di problemi.
L'altra strada che, direi, si potrà tentare a mano a mano che si andrà avanti a discutere lo statuto è quella di operare all'interno dell'attuale normativa cercando e creando punti base per interpretazioni evolutive integrative, estensive, al limite, della legge Scelba. Non è certamente ripeto, consigliabile un disattendimento della legge Scelba voluto e programmato su tutti i fronti dei problemi regionali.
Peraltro, in merito a questo problema costituito dalla legge Scelba e dai vincoli che ci troviamo a dover affrontare in sede di elaborazione dello statuto regionale, mi sembra che dovremmo essere più attenti anche al tipo di obiettivi che vogliamo proporci con l'iniziativa che dovremmo realizzare attraverso le Regioni: forse ci accorgeremmo che, in definitiva i problemi reali più consistenti sono problemi che in definitiva la legge Scelba tocca poco, o tocca solo marginalmente. Cioè, se, la Regione deve diventare, come sembra tutte le forze politiche sostengano, il perno, per lo meno uno degli strumenti di attuazione, da un lato di una politica programmata, moderna e democratica nel nostro Paese e dall'altro di una politica istituzionale democratica, io direi che evidentemente il discorso va più aperto su un arco di problemi che la legge Scelba sfiora solo marginalmente. Proverò ad accennare rapidamente al tipo di argomenti che secondo me sono invece di estremo rilievo dal punto di vista della impostazione dello statuto.
A nostro avviso - ribadisco quanto ho già detto nella seduta di apertura -, la Regione si deve porre come momento dell'organizzazione della politica di programmazione nel nostro Paese. La politica di programmazione deve avere una fase decisionale che è chiaramente di competenza del Parlamento, anche se formulata su un insieme di dati, di informazioni e di sollecitazioni provenienti dalle altre organizzazioni dello Stato.
Rispetto alle grandi decisioni del Parlamento di carattere macro economico, cioè sui grandi aggregati economici - destinazione delle risorse, politica dei redditi, politica degli investimenti, politica finanziaria e così via - la Regione si pone chiaramente come momento operativo di realizzazione degli indirizzi della politica di piano, il che non significa limitazione dei poteri e delle prerogative della Regione.
Cioè, la Regione interviene, e deve intervenire, nel momento in cui il Parlamento ha deciso il grosso assetto, la grossa struttura, la grossa impostazione della politica economica degli anni avvenire, e deve porsi come il momento pubblico operativo, cioè di realizzazione dei programmi delle opere pubbliche, di realizzazione dei programmi urbanistici, della concretizzazione in termini operativi di quei grandi fatti di indicazione di spesa pubblica, di investimenti pubblici che il piano nazionale deve aver dato.
Da questo punto di vista è estremamente importante il discorso sui modi e sulle strutture attraverso le quali la Regione può realizzare una politica operativa di questo genere; cioè, è chiaro che da un lato essa deve realizzare dei piani regionali di opere pubbliche, di assetto del territorio, di equilibramento dell'assetto produttivo, di intervento sul piano delle strutture socio-economiche; ma deve preparare, poi, dei piani di dettaglio esecutivi già pronti, che possano far trovare un certo tipo di decisioni di carattere nazionale a fronte di progetti di carattere esecutivo già elaborati, e pronti per l'attuazione. E qui ci sono, direi due tipi di momenti: da un lato il momento dell'organizzazione burocratica e degli organi di intervento della Regione, dall'altro il momento della partecipazione, cioè del modo in cui la Regione può recepire tutto quel tipo di istanze, di carattere sociale, economico, e di sollecitazioni che il tessuto connettivo della Regione può portare. Il discorso della partecipazione, a nostro avviso, passa necessariamente attraverso il discorso dell'organizzazione territoriale al di sotto del livello regionale, della partecipazione anche delle organizzazioni degli imprenditori, dei sindacati, e direi di tutti gli organismi sociali che hanno in qualche modo strutture e sollecitazioni da portare nel campo della politica socio-economica da realizzare nell'ambito della Regione.
Sul piano, invece, dell'organizzazione della Regione, direi che qui si impone il discorso sulla organizzazione burocratica della Regione, che deve essere estremamente snella. E' chiaro che nello statuto sarebbe estremamente importante porre dei limiti, se necessario anche dei vincoli alle possibilità di espandere la organizzazione burocratica della Regione.
E' invece estremamente importante configurare per la Regione - è questo un discorso che è già stato fatto da parecchie parti - la possibilità di realizzare poi in concreto gli interventi programmati e predisposti con organicità di indirizzi e di possibilità di intervento attraverso agenzie società finanziarie, o comunque le si voglia chiamare. Questo è un discorso che dev'essere poi aperto sulle modalità tecniche di esecuzione, ma, direi con strutture snelle e capaci di intervenire con estrema rapidità e con alti livelli di efficienza.
In questo contesto, un problema particolare, che mi sembra non sia stato ancora toccato, è quello dell'organizzazione degli Assessorati e del tipo di organizzazione che la Regione si deve dare con particolare riferimento ai funzionari, chiamiamoli cosi, politici che la Regione deve avere. Cioè, la struttura degli Assessorati - se è questo il tipo di concezione cui noi dobbiamo arrivare - deve, a nostro avviso, essere una struttura non, di tipo tradizionale, cioè verticale, tipo quella che gli enti locali, Comuni e Province, ci hanno abituati a considerare dalla fine della guerra in poi, che presenta l'inconveniente di creare, al limite, dei compartimenti stagni e di non permettere quegli interventi globali e coordinati che sono particolarmente importanti rispetto al territorio. Cosa intendiamo per struttura di Assessorati di tipo orizzontale? Assessorati che abbiano competenze globali su tutta una fascia di problemi: Assessorato alla Programmazione, alle Finanze, ai Servizi sociali, all'Urbanistica agli Interventi sul territorio, quindi con competenza diretta sulle agenzie che poi devono coordinare i loro interventi, in una visione globale sulla struttura regionale. Questo e il tipo di proposta che noi sosterremo in sede di discussione di statuto e di definizione anche di attribuzione degli Assessorati.
C'è poi il problema della organizzazione dei servizi della Regione e dell'organizzazione della burocrazia; il problema, in sostanza, come dicevo prima, dei "funzionari politici", o "direttori generali", come potremmo anche definirli, con riferimento alla struttura ministeriale, E' chiaro cioè, che dobbiamo pensare, in una moderna concezione appunto degli interventi pubblici, a qualcosa di diverso dai direttori generali dei ministeri, a funzionari di tipo politico, funzionari, in altre parole capaci di recepire indicazioni di lavoro della Giunta e di assumersi la responsabilità del coordinamento dei servizi burocratici ed anche dei servizi e degli organi di intervento della Regione. Da questo punto di vista riteniamo che il discorso vada approfondito. Pensiamo che, al limite sarebbe importante pensare ad un unico funzionario politico responsabile di tutta l'organizzazione dei servizi regionali. Ma è un discorso che va fatto concretamente, e che è strettamente connesso alla proposta, che prima illustravo, di una struttura di assessorati di tipo orizzontale anzich verticale.
Un secondo ordine di problemi che si collegano strettamente a quello che dicevo è quello della organizzazione delle autonomie e della organizzazione del territorio al di sotto del livello regionale. Da questo punto di vista sembra fuor di dubbio che, proprio in relazione alla impostazione moderna di politica economica e di organizzazione anche democratica della programmazione economica, come quella che ci auguriamo di riuscire a realizzare nei prossimi anni nel nostro Paese, il momento dell'organizzazione degli interventi pubblici passa attraverso tre tipi di strutture: il Comune, il Comprensorio e la Regione. Salto volutamente la Provincia, immaginando che conosciate bene la posizione del Partito repubblicano a proposito di questo Ente: sono d'accordo con l'osservazione fatta che l'abolizione immediata delle Province avrebbe comportato oneri di carattere operativo e di gestione di attività che le Regioni non avrebbero potuto immediatamente sobbarcarsi, ma non c'è dubbio che in una concezione moderna di interventi di carattere economico e strutturale sul territorio il momento istituzionale e quello delle autonomie, e fondamentale da questo punto di vista è quello del comprensorio, o delle aree econogiche, come lo definiscono gli economisti; è questo il momento al quale dobbiamo rivolgere una estrema attenzione, dedicandoci con particolare cura ad articolare anche in seno allo statuto un discorso particolarmente attuale ed efficiente. Perché è nel discorso del comprensorio che può passare veramente il discorso anche della partecipazione: cioè, su una realtà geografica-economica omogenea, avente interessi economici ben definiti e una dimensione geografica appropriata, è chiaro che il discorso della pianificazione degli interventi pubblici, della organizzazione del territorio, della organizzazione dei servizi sociali, della organizzazione dei trasporti acquista una sua dimensione concreta e deve richiedere effettivamente la partecipazione di tutte le forze sociali in grado di far convergere sollecitazioni e indicazioni, e quindi in grado di dare un contributo creativo ad una dimensione di iniziativa pubblica di questo tipo.
Quindi, il discorso che noi faremo - direi, del resto, in coerenza con la nostra richiesta di revisione della struttura attuale delle Province - è invece il discorso della organizzazione della politica regionale attraverso autorità comprensoriali. E ci sembra estremamente importante farlo, perch noi vediamo che oggi anche le Province, quando debbono fare proposte sul piano pratico, e quindi richiedono piani di studio di carattere economico di carattere programmatorio, si ritrovano nelle mani, portato da tecnici economisti e programmatori, questo discorso del comprensorio e della organizzazione degli interventi sul comprensorio.
Ciò detto, vorrei soltanto più soffermarmi sull'argomento della Giunta dei rapporti fra Giunta e Consiglio e così via, che peraltro sono certamente problemi molto importanti, A tal proposito l'intervento del Consigliere liberale mi tira per i capelli a fare ora dichiarazioni che sarebbe stato più logico riservassi al momento delle dichiarazioni di voto per la elezione della Giunta, Di questa anticipazione spero vorrete scusarmi.
La delegazione repubblicana che è stata incaricata delle trattative a livello regionale nelle scorse settimane ha proposto, direi come elemento preliminare di discussione, di meditazione, agli altri partiti di centro sinistra la tesi repubblicana della non opportunità della elezione della Giunta provvisoria: non opportunità per ragioni di carattere giuridico politico, ma sostanzialmente giuridico. La legge Scelba non prevede, in effetti, fra i primi adempimenti del Consiglio regionale, l'elezione della Giunta. Questa elezione si giustifica per alcuni atti di carattere esecutivo, ma di importanza limitata e certamente differibili nel tempo; a noi comunque sembrava poco sostenibile la necessita del dar luogo alla elezione di una Giunta quando non c'e ancora uno statuto che stabilisca il numero degli Assessorati, le attribuzioni degli Assessori e così via.
In sede di trattative ci siamo trovati di fronte ad una posizione nettamente contraria degli altri partiti di centro-sinistra, ed essendo questa certamente materia piuttosto opinabile, sulla quale non ci sentiamo di avere delle certezze assolute ma solo valutazioni di opportunità abbiamo accettato di proseguire le trattative sugli altri importantissimi problemi della vita regionale, rinunciando ad insistere perché fosse accettato questo nostro punto di vista, che peraltro ribadiamo in questa sede senza alcuna esitazione.
Abbiamo posto però un altro problema, come affermerò poi in sede di dichiarazione di voto per la elezione della Giunta: se è pur vero che alcuni adempimenti di carattere esecutivo ci sono, e questo giustifica la elezione di una Giunta, questa Giunta non potrà che avere carattere di provvisorietà. Cioè, è chiaro che la Giunta che dovrà essere eletta oggi avrà poteri e potestà di intervento estremamente limitati e definita nel tempo, che saranno certamente modificati dalle decisioni che il Consiglio prenderà in sede di deliberazioni riguardanti lo statuto. A nostro avviso la posizione che va assunta è quella di concepire la Giunta che sarà eletta in questa tornata di lavori come una Giunta provvisoria, che al momento in cui recepirà lo statuto regionale, con tutte le indicazioni che in esso saranno contenute in termini di rapporto fra Giunta e Consiglio, di attribuzione di competenze alla Giunta, di struttura e tipo di assessorati di organizzazione generale della Regione, dovrà necessariamente sentirsi in obbligo di presentarsi dimissionaria al Consiglio regionale, per riceverne eventualmente un nuovo mandato, ma un mandato questa volta definitivo, con pienezza di poteri, sulla base di un programma che sarà anch'esso un programma definitivo, che potrà tener conto di tutto quello che nel frattempo lo statuto avrà stabilito. Questo ho voluto dire per rispondere alla domanda che mi è stata rivolta dall'amico liberale.
Sull'altro ordine di problemi che invece è pertinente con la discussione che stiamo facendo vorrei sottolineare che le considerazioni svolte sui rapporti fra Giunta e Consiglio da parte del consigliere Sanlorenzo non mi sembrano correttamente inquadrate. Secondo me, non è che sostenendo un certo tipo di competenze dell'Esecutivo in sostanza si prevarichi, come mi sembra egli abbia affermato, i poteri del Consiglio regionale. Questi sono poteri di carattere legislativo e normativo.
L'Esecutivo non deve limitarsi a eseguire meccanicamente le indicazioni che dà il Consiglio regionale, sulla base di un regime assembleare, ma intervenire nel quadro, poi, della legislazione, della normativa espressa dal Consiglio, con poteri che sono anche largamente decisionali, cioè sono di organizzazione degli interventi esecutivi della Regione, e, come si deduce proprio dalle considerazioni che ho fatto prima, sono poteri anche largamente decisionali di organizzazione dei tipi di intervento, di definizione anche dei tipi di intervento, di programmazione di tutte le attività della Regione.
Da questo punto di vista, il problema di un tipo di competenze che garantisca alla Giunta efficacia negli interventi e stabilità e continuità di lavoro mi sembra sia un problema che il Consiglio assolutamente non pu ignorare. E' chiaro che in Italia, come è stato in Francia prima della Quinta Repubblica, abbiamo, a livello nazionale, realizzato un tipo di istituzioni che ci presentano un Esecutivo caratterialmente debole. Ed è esatto quello che diceva Sanlorenzo: che è debole, molto spesso, per ragioni di carattere politico, cioè per una debolezza interna ai partiti e per i rapporti politici tra i partiti che compongono la maggioranza di governo; ma è debole anche per certe caratteristiche istituzionali che possono accentuare, o attenuare, evidentemente, certe debolezze di carattere politico. Cioè, la configurazione che si è data con la nostra Costituzione il nostro Paese è una configurazione che presenta un Esecutivo estremamente debole e in condizioni di vita sempre molto precarie.
Ora, noi dobbiamo anche trarre frutto dall'esperienza che è stata acquisita nelle Regioni a statuto speciale, ed anche, a livello nazionale nel nostro Parlamento, e vedere di configurare un tipo di rapporti fra Consiglio e Giunta che non sia per niente lesivo dei diritti del Consiglio ma garantisca efficacia agli interventi e possibilità di continuità di lavoro alla Giunta. Quindi, il discorso, ad esempio, della elezione solidale della Giunta fatto prima da parte liberale, il discorso dell'assoggettamento delle revoche a certe norme che limitino la possibilità di rovesciare un Esecutivo allorché non vi sia una soluzione alternativa pronta, mi sembra presupponga l'inserimento nell'ambito dello statuto di norme per dare una garanzia di funzionamento e di continuità di lavoro a livello esecutivo.
Da questo punto di vista, mi sembra che noi dovremmo cercare di imitare un certo tipo di inquadramento dei rapporti per cui potremmo prendere a modello le esperienze anglosassoni, in particolare inglesi. Per esempio, in seno allo statuto noi vedremmo volentieri a favore della Giunta una riserva delle iniziative legislative di spesa. Cioè, se la Giunta è l'organo responsabile del bilancio della Regione e dell'attività di programmazione degli interventi della Regione, essa non si deve assolutamente trovare di fronte ad iniziative di spesa prese dal Consiglio regionale senza aver potuto dare preventivamente almeno un parere, senza aver avuto una possibilità di intervento in fase di discussione e di elaborazione di queste proposte. Questo ci sembra sia un punto particolarmente importante che può trovare una fase di composizione in una commissione consiliare che sia una commissione-filtro per tutte le iniziative legislative che la Regione dovrà realizzare e rispetto alla quale la Giunta possa intervenire nel momento in cui ci siano delle iniziative legislative di spesa, con un parere che in qualche modo sia vincolante rispetto al bilancio che e stato approvato dal Consiglio regionale.
Credo di aver toccato forse anche troppi punti; però mi sembra, e sono anch'io del parere espresso in un intervento che vi è stato in precedenza che qui ci troviamo, in sostanza, a lavorare su un terreno in cui c'é un po' tutto da costruire, un terreno sul quale la Regione deve erigere un edificio tenendo conto di tutta una serie di realtà: i quadri legislativi nazionali, l'assetto legislativo che ci è dato dal Parlamento l'organizzazione attuale degli enti territoriali, le iniziative legislative in corso di attuazione o che devono essere realizzate. Da parte dei Consigli Regionali dovrebbe venire una forte sollecitazione dei decreti che il Governo dovrebbe emanare, perché è evidente che lo spazio di due anni previsto è eccessivo, e sarebbe invece auspicabile che Governo e Parlamento affrontassero al più presto, con estrema serietà ed estremo impegno, tutti gli adempimenti di carattere legislativo parlamentare che possono sbloccare la vita regionale. Ma come dicevo, su questo terreno vi è ancora tutto da costruire, tutto da modellare. Molto dipenderà, direi, dalla nostra capacità di sfruttare tutte le possibilità di lavoro che si possono aprire nel contesto legislativo che ci troviamo a dover fronteggiare.
Mi sembra, peraltro, che i discorsi vadano seriamente approfonditi in sede di discussione proprio di una prima bozza di statuto. E' chiaro che rischiamo di rimanere estremamente nel vago se non ci troviamo a misurare certe enunciazioni di principio con una formulazione precisa e con una discussione anche di carattere molto tecnico. Quindi, direi che l'augurio che possiamo farci è che si possa avviare rapidamente il lavoro di preparazione dello statuto, perché è solo, mi sembra, in sede di formulazione anche tecnica di proposte statutarie che i dubbi, le perplessità, le proposte possono trovare un terreno concreto di verifica.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Lo Turco.
LO TURCO Giorgio Signor Presidente, signori Consiglieri, siamo tutti consapevoli dell'importanza che assume per l'assemblea lo statuto che ci proponiamo di approntare. Ritengo che dalle cose che vi saranno scritte e sancite dipenderà l'efficacia del nostro lavoro e la possibilità di un intervento tempestivo su tutti i problemi che da troppi anni attendono di essere affrontati e risolti. Sono i problemi della gente che lavora, che oggi si fanno sempre più pressanti e che nelle lotte operaie sono all'ordine del giorno, come in primo luogo la condizione umana dei lavoratori nelle fabbriche. E non mi riferisco soltanto ai bassi salari, che resta tuttora un problema aperto, ma soprattutto a quello più grave che richiede la nostra attenzione ed il nostro intervento, cioè le condizioni umane, civili e morali cui il lavoratore si trova di fronte nella fabbrica, tutti i giorni. Mi rendo conto che siamo soltanto all'inizio e quindi in fase di ricerca e di studio, ma il contributo che può venire dalle esperienze che i lavoratori hanno fatto nelle fabbriche in tutti questi anni di lotte, sarà positivo perché nascerà dalle cose di tutti i giorni.
E' importante, se si tiene conto che i lavoratori (e io con loro) hanno conosciuto un regolamento solo, una legge sola, quella dei padroni, cioè la legge del più forte e i padroni erano i più forti finché noi operai siamo stati divisi. Ma oggi le cose stanno cambiando, l'unità operaia avanza e prende sempre più coscienza della sua nuova e ritrovata unità di classe oggi i problemi della condizione operaia esplodono in tutta la loro drammaticità e con la lotta i lavoratori hanno detto chiaramente che occorre dargli una risposta urgente.
Le mie non vogliono essere proposte, sono cose che devono essere ricordate dai colleghi Consiglieri che redigeranno la bozza di statuto e da tutta l'assemblea quando sarà chiamata a votare lo statuto. Se questo documento sarà fatto in modo chiaro, che permetta di intervenire con forza su tutti i problemi della condizione operaia, dovrà sancire anche dei principi ai quali ognuno di noi sarà vincolato e sui quali saremo chiamati a rispondere, non dimenticando mai che dovremo rispondere anche ai lavoratori del nostro operato, perché essi esigono che le loro questioni siano affrontate e risolte; lo esigono le stesse lotte, non possiamo scostarci da esse se vogliamo avere presente il quadro della grave situazione esistente nelle fabbriche. Grazie alle lotte unitarie questa situazione si sta già modificando, ma non basta, è necessario che anche da questa assemblea nascano degli impegni e vengano delle risposte.
A seguito di un'inchiesta condotta nella zona di Settimo- Chivasso abbiamo accertato che su cento lavoratori tredici hanno subito infortuni gravi (mani schiacciate, perdita delle dita) mentre 73 sono gli infortunati leggeri. Quali sono i motivi che vengono denunciati come cause principale degli infortuni? I ritmi di lavoro. E quando esaminiamo più da vicino gli ambienti di lavoro, constatiamo quanto gravi siano le condizioni di lavoro e come incomba continuamente il pericolo di malattie.
Volgiamo soltanto un attimo la nostra attenzione al concetto che i padroni hanno della fabbrica: si deve produrre di più per far guadagnare di più loro. Il concetto della fabbrica modello, moderna che si è andato affermando ha un solo difetto: che è costruita in modo che possa produrre di più. Non importa se gli uomini che vi lavorano si rovinano la salute, se vivono male, quello che conta è che i padroni possano avere più larghi profitti.
E' così che abbiamo le situazioni più assurde, con pericolo per la nostra salute: fabbriche costruite in un unico camerone dove si fanno le lavorazioni più diverse e dove, a causa dell'assenza delle più civili forme di prevenzione e protezione, i lavoratori che per la natura del loro lavoro sarebbero meno esposti a rischi di malattie, devono subire la stessa sorte degli altri che a questi rischi sono esposti tutto il giorno. Questo è ci che succede alla FACIS, fabbrica moderna dove l'età media è di 25 anni tutte ragazze tra i 16 e i 25; nel reparto decatizzazione (e chiunque abbia una moglie in questi raparti sa perfettamente cosa significa), tenendo conto che i tessuti sono quasi tutti in fibre sintetiche composte con materiali chimici, i vapori acquei emanano dei gas tossici e si hanno così molte operaie ammalate di tubercolosi. In questi ultimi anni numerose giovani di 16/17 anni sono state ricoverate in cliniche specializzate per malattie nervose.
Alla Pirelli la situazione non è migliore, solo nel '69 si sono registrati numerosi svenimenti causati dai ritmi e dall'ambiente; in un capannone lavorano 900 operai, nell'altro duemila e i casi di invalidità grave sono di una regolarità preoccupante. Nel reparto dove si eseguono le mescolanze di sostanze sintetiche, si sono avuti casi di tubercolosi e i sistemi di protezione sono ancora antiquati.
Anche alla Giovannetti c'é un unico camerone, e chi svolge un lavoro nocivo e dovrebbe essere isolato non lo é.
E vediamo il caso della Lancia, citata come una delle fabbriche più moderne d'Europa. Qui i lavoratori lottano soltanto per conquistarsi il diritto ad una boccata d'aria, perché la fabbrica non ha finestre. Così il fumo delle saldatrici e della verniciatura si mescola formando un'unica nuvola che invade tutto il reparto, investendo anche gli operai che sarebbero in condizioni di lavoro migliori, se fossero isolati dagli altri.
E inoltre si tenga conto che i ritmi sono tali (e non solo alla Giovannetti e alla Lancia) che difficilmente il dipendente può realizzare dei buoni guadagni, perché è impossibile raggiungere un plafond di rendimento, quindi è in gioco anche il salario. Il padrone però ha ottenuto dei risultati immediati: quello di una forte produzione perché anche se il lavoratore non ha dato il massimo del rendimento ha raggiunto i suoi obiettivi avendo una forte incentivazione nella produzione; nello stesso tempo ha raggiunto l'altro obiettivo, quello di pagare, come è successo nel passato, anche per nostre gravi responsabilità, indennità di nocivo nelle lavorazioni nocive e recupera attraverso i ritmi quella parte di spesa che deve portare avanti durante le lotte per pagare le rivendicazioni dei lavoratori. Non bisogna dimenticare che questo recupero è un punto fondamentale per non spendere milioni negli impianti di prevenzione e di garanzia della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori. I soli mezzi che garantiscono un sistema di aspirazione nei reparti sono ancora e soltanto i polmoni dei lavoratori. E questo vale in modo particolare per la Farmitalia e per l'Oreal. Basta citare alcuni dati per avere un'idea del logorio fisico che le operaie della Oreal devono sopportare: 5200 pezzi all'ora, un pezzo ogni minuto e tre secondi per le addette al caricamento delle bombolette lacca spray, mentre le addette alle vasche, alle pedane, sollevano circa 14.000 chili ogni giorno e sono ragazze al di sotto dei vent'anni; 40.000 pezzi al giorno per mesi e per anni. Ma dobbiamo chiederci: per quanti anni riescono a portare avanti un ritmo di lavoro di questa natura? Per la Farmitalia il discorso sarebbe molto più lungo e io non lo faccio, è valido quanto abbiamo detto sui mezzi di protezione inesistenti o che funzionano male; qui inoltre c'é il pericolo di avvelenamento, di assuefazione ai farmaci e un piccolo raffreddore (per l'impossibilita di curarlo per chi usa gli antibiotici) diventa un dramma.
Ecco un quadro che, se ancora parziale, è già abbastanza significativo e drammatico per dirci, se ancora ce n'era bisogno, come dovremo impegnarci a fondo in questa direzione. Gli stessi lavoratori dicono che il padrone strappa loro la pelle, il sangue, la salute, li condanna alle malattie e agli infortuni più gravi, li sottopone ai ritmi di lavoro più sfrenati accumulando sempre maggiori fortune. Tutto questo in cambio di cosa? In cambio di salari di fame: 86.000 lire per gli uomini e 68.000 lire per le donne. Questo è quello che ci dicono i lavoratori della Pirelli, della Ceat e di tutte le altre fabbriche. Nel passato, a causa delle divisioni sindacali, abbiamo spesso preso la strada della monetizzazione del rischio da lavoro, oggi i lavoratori, in base alla nuova coscienza della propria forza, della propria unità, non l'accettano più, chiedono una lotta costante e ferma per cambiare e trasformare le fabbriche.
Signor Presidente, signori Consiglieri, abbiamo di fronte a noi una grave responsabilità, quella di combattere questa vecchia e trita concezione della fabbrica efficiente, questo tipo di benessere che fa della fabbrica non un luogo civile di lavoro, ma un luogo simile ad un'enorme cassa da morto. Questi problemi, gravi ed urgenti, esigono una risposta.
Non posso che dare atto alla presidenza di aver voluto sentire le organizzazioni sindacali nei giorni scorsi sulla questione dello statuto.
Questo è già un fatto nuovo positivo, ma è necessario ricordare che quando si parla di condizione operaia si parla dei lavoratori e quindi anche dei loro organismi di potere riconosciuti: delegati di reparto, commissioni interne, ecc. Se vogliamo dare una risposta a questi problemi è necessario allargare il dialogo e soprattutto scendere in fabbrica, perché in questa nascono i mali peggiori che poi la società non solo non guarisce, ma peggiora. La fabbrica è il nostro terreno di lotta dove tutte le illusioni tutte le promesse cadono e lo scontro di classe è frontale. In questi ultimi anni i lavoratori hanno dimostrato tutta la loro genialità creativa hanno saputo dirigere lotte importanti, hanno saputo gestire le battaglie sindacali, indicare soluzioni e tipi di rivendicazioni, decidere quando era ora di smettere le lotte. Questo era un fatto che da anni non avveniva nei luoghi di lavoro. Alla Pirelli (e lo dico con una punta di orgoglio) hanno saputo dimostrare che sono in grado di dirigere le fabbriche sul piano tecnico ed io sono convinto che se sapremo tener conto dell'intelligenza della capacità creativa dei lavoratori, chiamandoli e discutendo con loro sui principi che vogliamo vedere sanciti nello Statuto per garantire la salvaguardia dell'integrità fisica e morale degli stessi, da essi potrà venire un contributo costruttivo per portare avanti, anche nel nostro Paese, nella nostra Regione, un discorso nuovo che serva a fare delle fabbriche luoghi di lavoro civili.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori colleghi, un dibattito a freddo, per così dire sui criteri generali cui dovrà uniformarsi il progetto di statuto che l'apposita commissione dovrà redigere, un dibattito cioè che non prenda le mosse da un qualsivoglia documento, relazione, traccia, non poteva non essere quanto mai generico, investendo più o meno superficialmente tutti gli aspetti del complesso argomento, senza avere la possibilità di approfondirne particolareggiatamente alcuno. Già durante l'apposita riunione dei capi gruppo furono manifestate delle perplessità in ordine a un siffatto svolgimento dei lavori, perplessità che hanno trovato conferma nella parte del dibattito che si è sin qui svolta.
Questa, bene inteso, non vuole essere una critica alla decisione della presidenza, ma soltanto una constatazione di una realtà di fatto. Chiudo la parentesi e passo ad alcune brevi considerazioni sull'argomento che forma oggetto della discussione.
L'art. 117 della Costituzione, contiene una elencazione delle materie devolute alla potestà legislativa della Regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Il dettato di questo precetto costituzionale, pone pertanto un limite invalicabile ai nostri costituenti i quali nel porre le norme per regolare le materie indicate nell'elencazione, dovrebbero rifarsi alle leggi vigenti di ciascuna delle materie attribuite alla competenza delle Regioni. La legge 10.2.53 per attenua la rigidità imposta dalla noi ma costituzionale, prevedendo l'emanazione, da parte dello Stato, di leggi contenenti, per ciascuna materia, i principi fondamentali cui deve attenersi la legislazione regionale. Pur subordinando l'esercizio della potestà legislativa del Consiglio Regionale all'emanazione di tali leggi, tale norma è stata posta a nostro avviso, al fine di prevenire, entro una certa misura e mediante formulazioni normative dotate di un margine di elasticità, l'insorgere frequente di conflitti che deteriorerebbero l'unità dello Stato dalla quale non è possibile prescindere senza distruggere l'essenza stessa dell'istituto regionale voluta con una legge dello Stato.
Se la potestà legislativa delle Regioni a statuto speciale è sottratta all'obbligo di riferirsi ai principi della legislazione statale per ogni singola disciplina, i loro statuti sono adottati però con legge costituzionale. Alle Regioni a statuto ordinario è invece attribuita la potestà statutaria, in deroga al principio generale del nostro ordinamento che attribuisce allo Stato il potere di regolare l'organizzazione degli enti territoriali E se anche l'art. 123 della Costituzione stabilisce che lo statuto della Regione debba essere approvato con legge della Repubblica il Parlamento non può intervenire per apportare modifica al testo deliberato dal Consiglio Regionale che è l'unico organo al quale spetta la formazione dello Statuto.
E' indubbio, tuttavia, che il complesso delle fonti pone alla potestà normativa della Regione dei limiti che da talune parti politiche possono essere considerati troppo esigui, ma che trovano la loro ragion d'essere nell'esigenza primaria di tutelare l'autorità dello Stato. La legge 10.2.53 fu voluta, presentata ed approvata in Parlamento dai fautori del regionalismo. Nel 1964, in Parlamento D.C. e P.S.I. insabbiarono la discussione di un progetto di legge presentato dal governo, che apportava sostanziali modifiche a quella legge. Ed è sintomatico che oggi, in tutti i Consigli regionali, a difendere quella legge regionalista, siano coloro che a suo tempo ad essa si opposero, Questo perché essa rappresenta l'unico strumento legislativo al quale sia possibile aggrapparsi per difendere quel che rimane dell'autorità dello Stato, Ed anche a tale riguardo noi sosterremo la previsione, nello Statuto, del giuramento di fedeltà alla Repubblica da parte dei Consiglieri regionali.
Altro criterio fondamentale, cui lo Statuto dovrà ispirarsi, è quello della strenua difesa delle autonomie locali dalle tentazioni soffocatrici cui la Regione potrebbe lasciarsi vincere. Nelle Regioni già operanti quelle a Statuto speciale, Comuni e Province vengono soffocati dal sistema clientelare. Nella delega delle funzioni amministrative, pertanto, previste dall'art .118 della Costituzione e dall'art. 39 della legge 10.2.53, la salvaguardia delle autonomie locali dovrà essere tenuta quale costante punto di riferimento. Il punto 1) dell'art. 1 della legge 10.2.53 precisa che lo Statuto regionale "deve contenere norme sull'organizzazione degli uffici regionali". Le strutture amministrative del nuovo ente, quindi devono essere create dal nulla. E' questa una situazione ideale per realizzare un rinnovamento delle strutture stesse e per adeguarle ai ritmi imposti dalla programmazione economica. Requisito fondamentale di tale rinnovamento è quello relativo alla qualificazione del personale.
La costituzione delle Regioni dovrà indurre le amministrazioni centrali dello Stato a ridimensionare le funzioni dei loro organi periferici trasferendo alla Regione parte del loro personale. La riforma della pubblica amministrazione, perciò, da decenni in cantiere, dovrà attuarsi tenendo conto della nuova realtà e della necessità della formazione di una nuova figura di funzionario che possa svolgere i compiti relativi alla programmazione, con una visione ed un'apertura mentale e soprattutto con la disponibilità e l'impiego di mezzi diversi da quelli con cui ha finora operato il burocrate tradizionale.
Per consentire inoltre al Consiglio Regionale la conoscenza immediata dei problemi dei vari settori del lavoro e dell'economia, proponiamo che lo Statuto preveda assemblee di categorie che affianchino il Consiglio regionale nella sua attività e che nello stesso tempo attuino la più larga partecipazione dei cittadini alla vita politica. Questo servirà soprattutto a vivificare l'esi stenza, altrimenti asfittica, di un organismo che è nato ma che vitale non è e che è costretto a stare per due anni nell'incubatrice a causa dell'ostinazione, per non dire altro, delle forze politiche che si sono opposte all'approntamento, secondo il naturale ordine cronologico, degli strumenti legislativi indispensabili alla sua vita.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, alcuni colleghi si sono iscritti a parlare e mi hanno pregato di dar loro la parola domani. Attualmente non ho altri iscritti. Non so se qualcuno voglia chiedere la parola questa sera ancora.
Se nessuno chiede la parola la seduta è rinviata a domani mattina alle ore 10.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 17,30)



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