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Dettaglio seduta n.298 del 20/03/75 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Relazione della Commissione speciale di indagine conoscitiva sull'attività di eversione fascista in Piemonte


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri: Borando, Ferraris, Giovana Minucci, Revelli, Simonelli.
L'ordine del giorno reca: Relazione della Commissione speciale di indagine conoscitiva sull'attività di eversione fascista in Piemonte.
Signori Consiglieri, questa seduta del Consiglio Regionale riveste una particolare importanza e costituisce uno dei momenti più significativi della vita politica e democratica della Regione Piemonte.
La Commissione speciale di indagine sulle attività di eversione fascista in Piemonte presenta oggi, infatti, la relazione sui suoi lavori adempiendo pertanto al mandato che questo stesso Consiglio le aveva affidato il 26 settembre 1974.
E' giusto ricordare, prima di dare la parola al Presidente della Commissione, avv. Adriano Bianchi, ai componenti la Commissione ed ai Consiglieri, il clima di tensione che si era creato a partire dai fatti di Piazza della Loggia a Brescia, che si era andato accentuando con i fatti dell'Italicus e gli altri innumerevoli episodi di provocazione e violenza che avevano scosso il Paese, generando profondo sdegno in tutti gli strati democratici della popolazione, ma che avevano altresì rinnovato una ferma volontà di stroncare definitivamente la crescente spirale di violenza fascista.
Interpretando questa volontà, che noi eletti rappresentiamo, ponemmo al Capo dello Stato, nell'incontro che i Consigli Regionali ebbero a Roma il 24 luglio '74, l'urgente necessità di promuovere una inchiesta sulle attività dei movimenti fascisti e parafascisti; ribadimmo al Presidente della Repubblica la volontà delle Regioni di impegnarsi a tutti i livelli con la certezza che per sconfiggere il fascismo è necessario realizzare la più ampia partecipazione di tutti i cittadini, potenziando l'informazione ponendosi di fronte ai problemi regionali e del Paese con la consapevolezza che il fascismo nasce e si rafforza nelle situazioni di crisi e che pertanto i problemi economici, morali, strutturali, vanno affrontati nella loro globalità, con prontezza, ovunque essi si verifichino, al Nord come nel Mezzogiorno.
A seguito di quel solenne impegno, la quasi totalità delle Regioni italiane avviò delle Commissioni di indagine per approfondire la qualità e la fenomenologia della presenza del fascismo nel nostro Paese. La Commissione speciale di indagine del Piemonte è la prima, dopo l'incontro con il Capo dello Stato, che porta a termine il suo mandato, presentando una relazione sui fatti avvenuti, sulle cause, esprimendo proposte e forme di impegno antifascista. Tutto ciò non costituisce certamente un punto di arrivo, ma una ulteriore tappa nella lotta che noi, politici ed amministratori regionali, sorretti e guidati dalle popolazioni che rappresentiamo, insieme con esse andiamo conducendo contro ogni forma di fascismo, abbia esso l'aspetto violento e squadristico o quello della rispettabilità e del freddo razionalismo sovvertitore delle istituzioni.
Desidero pertanto ringraziare tutti i componenti della Commissione per il notevole impegno di lavoro e ideologico, che ha consentito di portare all'esame del Consiglio una materia tanto delicata ed importante, a cui certamente la comunità piemontese rivolgerà la sua attenzione, consapevole dei pericoli che porta in sé il fenomeno del neo-fascismo, se non combattuto e posto nelle condizioni di non incidere sugli squilibri socio economici già esistenti.
Il contributo dato alla Commissione da tutti gli Enti istituzionali dalle associazioni, dalle organizzazioni democratiche e dai singoli è stato determinante, ed ha testimoniato anche in questa circostanza la sensibilità e il profondo legame ai valori democratici che già in occasione di ormai numerose celebrazioni per il trentennale della lotta di liberazione è emerso come dato rilevante e garanzia per l'assetto istituzionale del nostro Paese.
Certamente, i dati che risultano dalla relazione, e che potranno e dovranno essere approfonditi ulteriormente, costituiscono un aspetto verso cui le forze democratiche dovranno guardare costantemente, affinché quanto già fin d'ora emerso non si radichi e aggravi ulteriormente.
L'impegno che oggi sentiamo di doverci assumere nei confronti del Piemonte è un impegno di informazione franca, aperta, responsabile di quanto emerso, continuando in quel rapporto di partecipazione e di informazione che è previsto nello Statuto del Piemonte e che abbiamo la volontà politica di ulteriormente sostanziare, soprattutto su questi temi per i quali il contributo delle Comunità locali è stato e sarà sempre insostituibile.
Come già facemmo per dare avvio all'inchiesta, riteniamo che anche di questo livello di approfondimento sulla presenza del neofascismo in Piemonte debbano essere investite le autorità che sono poste alla direzione del Paese. In particolare, riteniamo importante adempiere gli impegni assunti sottoponendo i risultati dell'indagine alla massima autorità, al Presidente della Repubblica, supremo garante della libertà costituzionale.
Operando in questa direzione, infatti, la Regione Piemonte darà un prezioso contributo di informazioni, analisi e considerazioni, cui potrà poi aggiungersi, a completamento ed ampliamento, il contributo delle altre Regioni che vorranno analogamente procedere, concorrendo pertanto a fornire un quadro globale del fenomeno del neofascismo, in Italia, e dimostrando anche su questi temi, di importanza vitale per un sereno sviluppo del Paese, la volontà delle Regioni di operare in senso democratico per garantire la civile convivenza fra i cittadini ed il rafforzamento delle istituzioni nell'interesse di tutti i lavoratori.
Dò ora la parola al Presidente della Commissione, avv. Adriano Bianchi.



BIANCHI Adriano, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho l'onore di esporre la relazione che la Commissione ha collegialmente redatto e licenziato.
Il Consiglio Regionale, a conclusione di un dibattito in cui intervennero tutti i Gruppi e che viene allegato (allegato I) a questa relazione, essendone la premessa, deliberò la costituzione di una Commissione speciale di indagine, approvando il seguente ordine del giorno: Il Consiglio Regionale del Piemonte richiamato il solenne impegno assunto innanzi al Capo dello Stato dai Consiglieri delle Regioni d'Italia di svolgere un'indagine sulle attività dei movimenti fascisti e parafascisti, per la difesa della legalità costituzionale e repubblicana preso atto dell'appello rivolto al Consiglio Regionale dell'Assemblea degli Enti locali del Piemonte, tenutasi a Palazzo Madama l'8 agosto e dal Convegno dei Comitati Unitari Antifascisti piemontesi, tenutosi a Novara l'8 settembre istituisce a norma dell'art. 19 dello Statuto regionale, una Commissione speciale di indagine conoscitiva con l'incarico di riferire al Consiglio sulle condizioni sociali e politiche da cui traggono origine ed alimento le attività di eversione fascista e sulle organizzazioni che sostengono e svolgono tali attività, procedendo a questo fine alle opportune consultazioni dà mandato al Presidente del Consiglio Regionale di determinare sentiti i Gruppi, il numero dei componenti e la ripartizione dei seggi della Commissione assegna alla Commissione il termine di tre mesi per riferire al Consiglio i risultati dell'indagine allo scopo di consentire le necessarie valutazioni da parte del Consiglio stesso.
La Commissione costituita dai Consiglieri: Beltrami, Bianchi Cardinali, Garabello, Nesi, Raschio, Sanlorenzo, Zanone, si è insediata in data 7 ottobre 1974 ed ha eletto il Consigliere Bianchi Presidente e il Consigliere Sanlorenzo Vice Presidente.
La relazione che viene presentata al Consiglio è stata elaborata sulla base delle risposte ottenute ad un questionario inviato a tutti i Comuni le Province e le Comunità Montane del Piemonte, cui hanno risposto 1007 Comuni su 1209.
La Commissione ha inoltre ottenuto una serie di contributi da un gruppo di giornalisti che avevano già rivolto la loro attenzione professionale all'argomento oggetto dell'indagine e che hanno effettuato ampie ed autonome ricerche e documentazioni su specifici aspetti del tema.
L'Associazione Magistratura Democratica, ha consegnato alla Commissione la sua pubblicazione "Neo-fascismo e giustizia" che raccoglie dati e valutazioni sul fenomeno in Torino dal 1969 ad oggi.
La Commissione ha ricercato ed ottenuto contributi positivi al suo lavoro da Prefetti e dal Comando Territoriale della Regione Nord-Ovest.
Sono infine pervenute alla Commissione documentazioni, segnalazioni e lettere di associazioni e di singoli cittadini: di quelle firmate la Commissione ha tenuto conto nell'elaborazione dei dati e nella stesura della sua relazione.
Alla relazione viene inoltre allegata la seguente, documentazione: a) le risposte pervenute dagli Enti locali alle quattro domande del questionario, riordinate per argomento; (allegato n. 2) b) la cronologia dei fatti di eversione fascista accaduti dal 1969 al 1975 in Piemonte, elaborata sulla base dei diversi contributi e delle varie fonti di informazione (allegato n. 3).
A questo riguardo deve subito essere chiarito che ogni episodio è riferito alla fonte da cui proviene che assume la responsabilità della versione fornita per quanto attiene, sia alla modalità e verità dei fatti sia alla forma con cui sono riferiti.
I dati così raccolti possono quindi contenere inesattezze e lacune, ma nel loro complesso sono, a giudizio della Commissione, significativi e rappresentativi della tipologia e delle dimensioni che i fatti esaminati hanno assunto.
I dati dell'inchiesta.
La Commissione, alla conclusione dei suoi lavori, ha voluto comporre il quadro dei fatti di eversione fascista che si sono prodotti nella nostra Regione dal 1969 al 1975.
Gli episodi, elencati nella cronologia, (allegato n. 4), possono essere così classificati: 1) Costituzione di organizzazioni e cospirazioni a fini eversivi: 28 2) Campi paramilitari ed esercitazioni: 12 3) Attentati dinamitardi avvenuti, segnalazioni di bombe, depositi di armi e munizioni: 48 4) Incendi a sedi di organizzazioni democratiche, vandalismi ed oltraggi: 37 5) Aggressioni davanti a scuole, minacce e segnalazioni di bombe: 82 6) Aggressioni davanti alle fabbriche e luoghi di lavoro: 32 7) Offese a lapidi o monumenti partigiani, scritte inneggianti al fascismo: 33 8) Aggressioni individuali: 32 9) Minacce e provocazioni tendenti a turbare la convivenza civile fra i cittadini: 41 10) Altri fatti di provocazione: 13.
Tali fatti risultano così distribuiti territorialmente: Provincia di Torino: n. 207 Provincia di Novara: n. 55 Provincia di Cuneo: n. 22 Provincia di Asti: n. 16 Provincia di Vercelli: n. 43 Provincia di Alessandria: n. 15 Rispetto agli anni considerati (1969-1975) la densità dei fatti registrati per anno presenta la seguente successione: 1969: n. 40 1970: n. 41 1971: n. 44 1972: n. 38 1973: n. 67 1974: n. 111 1975 (primi due mesi): n. 17 totale n. 358 Dimensione e qualità dei fatti eversivi.
L'analisi dei fatti censiti consente alla Commissione di pervenire ad alcune conclusioni di carattere generale o di sintesi: i nomi ricorrenti nei fatti di violenza o in margine agli stessi denunciano una determinazione ed una organizzazione che richiede ampi collegamenti e sostegni il ruolo svolto da alcuni individui di notorietà nazionale e da alcuni gruppi rivela che non sono mancati i collegamenti della nostra Regione coi centri dove sono stati ideati od organizzati tentativi di eversione delle istituzioni democratiche un certo rilievo hanno pure assunto l'allestimento di campi paramilitari ed il fatto, obiettivo, del traffico e imboscamento di armi l'attività squadristica e d'intimidazione davanti alle scuole si è concentrata attorno ad alcune sedi del capoluogo di Regione ed ha avuto caratteristiche simili a quelle denunciate in altre grandi città nelle fabbriche di Torino e del Piemonte gli atti di violenza e di provocazione non hanno trovato spazio e non hanno assunto particolare rilevanza i procedimenti penali iniziati e la quantità di avvisi di reato notificati nella Regione, l'hanno indicata come zona certo non marginale nella varietà di forme e continuità di iniziative nelle quali si è sviluppato in Italia negli ultimi anni il tentativo eversivo la posizione di confine e la natura del territorio con zone di montagna in via di spopolamento spiega il traffico di denaro, armi e documenti e la tentata organizzazione di campi di addestramento paramilitare un carattere specifico dell'attività eversiva in Piemonte è individuabile nel suo carattere antisindacale ed ostile alle forze di sinistra come emerge dalla serie di atti provocatori verso le loro sedi e verso quelle del movimento dei lavoratori.
Sintomatica è la caratterizzazione della propaganda neofascista nelle fabbriche, come dice il giornalista Rondolini, imperniata sul "richiamo nostalgico ed apologetico al passato regime, rappresentazione apocalittica delle lotte sindacali come causa del disordine sociale e civile e della rovina economica del Paese, vittimismo per le presunte violenze rosse negli scioperi, invito ed organizzazione della risposta con la violenza presentazione delle rivendicazioni dei lavoratori, del processo di unità sindacale, delle lotte operaie come manovra comunista per sovietizzare la nazione" la qualità e l'entità dei fatti verificatisi in Piemonte, porta a constatare che la nostra Regione è comunque rimasta al di fuori dell'area investita dagli atti di terrorismo che ha avuto così gravi e sanguinosi esiti in altre parti d'Italia.
A tale conclusione hanno certamente contribuito la collocazione geografica della Regione, la sua condizione socio-politica e la sua struttura economica.
L'attentato più grave, verificatosi a Torino contro la sede dell'ANPI è quindi da considerare piuttosto l'eccezione che la regola di azione del terrorismo.
L'attaccamento della popolazione alla Resistenza ed alle sue memorie e il suo genuino spirito antifascista, hanno impedito il formarsi di ogni base popolare o di ceto per le posizioni di eversione fascista e spiegano la rabbia e la frustrazione di chi, isolato, attacca e lorda lapidi e monumenti, quasi a voler cancellare una testimonianza ammonitrice.
Rapporti con autorità ed organi di Governo nella Regione.
E' stato pacifico per la Commissione che il rapporto con le autorità periferiche dello Stato doveva essere liberato da pregiudizi, diffidenza o dal sospetto di voler esercitare interferenze o pressioni.
La Regione, istituzione democratica cui la Comunità spontaneamente si rivolge, nella crisi economica e nell'inquietudine politica del momento per la rappresentanza e il concorso nella difesa d'interessi fondamentali ha voluto assumere l'iniziativa per conoscere ed informare.
Le lettere indirizzate a Sindaci, Prefetti, Comandi militari ed i colloqui con le stesse autorità sono stati improntati all'intento di favorire ed instaurare una concorde e fiduciosa collaborazione al fine di consolidare le istituzioni e di approfondire a tutti i livelli la consapevolezza dei valori che la garantiscono.
Le reazioni sono state in genere progressivamente positive man mano che si chiariva l'obiettività del metodo ed il carattere costruttivo dell'indagine.
Superata e non messa in discussione la distinzione delle competenze e le gerarchie delle responsabilità gli interlocutori hanno colto con visibile soddisfazione l'occasione che si offriva loro di rompere un certo isolamento e di mostrare la propria sensibilità sui temi della lealtà costituzionale e quindi il proprio interesse al collegamento ed alla comprensione fra organi e poteri dello Stato e la comunità regionale.
In particolare nei contatti con alcuni Prefetti, è emerso non solo l'impegno istituzionale alla vigilanza e la valutazione della delicatezza politica del momento, ma una viva sensibilità per le tradizioni, i valori della Resistenza e le convinzioni democratiche delle popolazioni piemontesi, con propositi ed atti positivi, intesi a tutelarli.
L'autorità militare ha voluto documentare l'ampio programma che essa si è proposta di seguire per la formazione civile e sociale del cittadino soldato.
Il contatto è certamente servito a confortare i propositi di approfondimento e di attuazione di tale programma cui lo stesso Consiglio Regionale dà un suo autonomo contributo di informazione e di promozione culturale.



ANALISI DELLE RISPOSTE PERVENUTE DAI COMUNI SU "CONDIZIONI ECONOMICHE

SOCIALI, POLITICHE, CULTURALI, FENOMENI INCIDENTI SULLA STRUTTURA SOCIALE



DELLA COMUNITA' CUI CI SI RIFERISCE E SUL SISTEMA DI VITA DEGLI ABITANTI



CHE POSSONO AVER FAVORITO IL SORGERE DI ATTIVITA' E DI ORGANIZZAZIONI DI



EVERSIONE FASCISTA E PARAFASCISTA"

Le condizioni socio-economiche La vastità e la varietà delle risposte ottenute consente di tracciare una ricca motivazione delle cause che condizionano decisamente il nascere del fenomeno neofascista in tutte le sue forme. Fra tutte quelle indicate la Commissione mette in evidenza prima di tutto quelle che più si collegano all'attuale situazione socio-economica del Piemonte.
Così in un incontro tra la I Commissione del Comitato antifascista di Cuneo e le rappresentanze del Consiglio sindacale di zona e dei Comitati di Quartiere in preparazione delle risposte da dare al questionario, si pu leggere "le preoccupazioni degli organismi sindacali per i ricorsi a cassa integrazione, per le possibili chiusure di aziende nel Cuneese: questo provoca qualunquismo e richiamo al Governo forte".
Il Comune di Acqui sullo stesso tema dice che "La degradazione dell'economia cittadina ha dato luogo a forme di assenteismo politico facilmente strumentalizzabili dall'estrema destra".
Numerosi altri contributi insistono sulle stesse cause soprattutto se esse dovessero protrarsi nel tempo e quindi "generare quello scontento quella disperazione che darebbe vita a forme di intolleranza e violenza politica di tipo fascista" (FGCI di Valenza). Di converso, proprio da piccoli Comuni viene la riprova dell'importanza delle condizioni socio economiche nella determinazione o meno delle cause da cui può germinare ed alimentarsi il fascismo.
Infatti, dai Comuni di Tonco (Asti), Centallo (Cuneo), Niella Tanaro Gargallo (Novara), si rileva che le condizioni economiche buone dei rispettivi Paese non hanno dato origine a quel tipo di malcontento "che favorisce il sorgere di attività fasciste".
Circa il tipo di adesione che può ricevere il neofascismo, ancora il Comune di Acqui indica una causa "nella difficoltà di inserimento lavorativo dei giovani diplomati anche in carenza di una seria programmazione scolastica".
Altre risposte mettono in collegamento le peculiari specificazioni della crisi economica del Paese con l'attività politica del movimento che più esplicitamente fa riferimento a principi e pratiche fasciste. Così nella risposta data dal Comune di Novara si può leggere come "nella bassa novarese l'agricoltura sia rimasta legata alla logica corporativa, non sono stati assimilati contenuti tipici della trasformazione industriale della società, sono rimasti dominanti rapporti gerarchici di vecchio tipo innestati sulla tradizionale concezione privatistica dell'economia. Una politica aggressiva ed un'iniziativa pressante dell' M.S.I. verso il settore agricolo, specialmente dopo le vicende della legge sui fondi rustici, ha offerto ai neofascisti la possibilità di coprire spazi e di acquistare credibilità".
Così viene sempre dallo stesso Comune di Novara ricordato come, per quanto riguarda il Verbano, "la crisi del settore turistico della zona sia il terreno sul quale con indubbia scelta di tempi il M.S.I. ed i suoi aderenti conducano da alcuni anni efficaci manovre demagogiche e qualunquistiche, di sapore corporativo, nei con fronti dei commercianti e degli operatori turistico-alberghieri". Più in generale, il Comune di Casale Monferrato rileva "lo stato di prostrazione derivante dall'inflazione e dalla crisi che fa constatare alle masse popolari come l'impoverimento dei ceti abbienti sia progressivo ed allarmante, mentre il grande capitale si trasferisce all'estero".
Anche il Comune di Vercelli, dopo una dettagliata analisi delle condizioni di crisi in cui versa l'economia cittadina, mette in rilievo come "l'esistenza di masse di lavoratori in permanente stato di disoccupazione e di sottoccupazione costituiscono un elemento di tensione ed un substrato in cui possono facilmente agire elementi estremisti per proselitismo e per eventuali reclutamenti.
Lo stato di bisogno ed un clima esasperato di insofferenza al sistema sociale possono essere presupposti per il manifestarsi di fenomeni di eversione o quanto meno per il formarsi di una base di elementi disponibili per azioni intimidatorie di qualsiasi genere".
Differenti valutazioni, che però debbono essere tenute presenti per individuare poi la necessità di una determinata azione di rinnovamento economico-sociale e quindi politico, sono emerse per quanto concerne il fenomeno dell'immigrazione che così ampiamente ha caratterizzato lo sviluppo distorto e contraddittorio del Piemonte negli ultimi venti anni.
Così, mentre il Comune di Montanaro (Torino) segnala l'immigrazione che proviene da zone dove l'estrema destra ha trovato modo di inserirsi ed il Comune di Venaria segnala il pericolo che queste fasce di sottoproletariato immigrato possano contribuire ad un rafforzamento elettorale del M.S.I., il Comune di Rivoli afferma, dopo aver accennato al forte movimento immigratorio: "Non intendiamo dire che tra gli immigrati il fascismo trovi consenso; ciò sarebbe l'esatto contrario della verità in quanto questi lavoratori costituiscono una parte fondamentale del movimento operaio e democratico che si è sviluppato in questi anni".
Analoga affermazione ("l'emigrazione meridionale si è inserita nell'orientamento popolare ed operaio nettamente democratico") viene fatta dal Comune di Alessandria.
Il Comune di Novara, a sua volta, segnala l'alta percentuale del voto missino "nelle zone del fatiscente centro storico abitate da recenti immigrati che sono ivi giunti con tutto il proprio retaggio socio-politico dal Sud: essi, da poco inurbati, da poco integrati nel tessuto sociale della città settentrionale, sono posti allo sbando, facile preda del qualunquismo neofascista". Anche Novi Ligure e Valenza segnalano presenza fascista negli elementi immigrati negli anni sessanta, soprattutto provenienti dal Sud.
Il legame tra lotte derivanti da situazioni economiche e sociali di crisi o da interventi legislativi attinenti a problemi economici e reazioni di carattere eversivo e fascista è stato messo in luce da alcuni Comuni con una analisi che la Commissione giudica ancora largamente incompleta e non sufficientemente approfondita.
Ad esempio è stata segnalata come anche l'espropriazione di terreni o l'approvazione del piano di zona della 167 possa provocare reazioni di tipo fascista, ma insufficiente risulta l'analisi complessiva del perché forme di protesta portino determinati Gruppi sociali su posizioni fasciste.
Il modo come si è reagito a certe situazioni economiche "ed a certe lotte operaie avvenute in Val di Susa" è segnalata come causa di manifestazioni di episodi di neofascismo risorgente (Bassa Val di Susa).
Un piccolo Comune (Settimo Rottaro) segnala la troppa facilità con cui vengono attuati scioperi in genere, specie dei servizi pubblici ed ospedalieri.
Altri Comuni segnalano come altre lotte sindacali condotte in forme differenti e tali da non aver mai assunto "carattere virulento" abbiano portato ad escludere "la virulenza del lato opposto" (Valenza). Numerosi Comuni però danno una risolutiva indicazione laddove segnalano che "la grave crisi che ha colpito in particolare le nostre campagne, cambiando le caratteristiche di diverse famiglie, ha dato soltanto origine ad una battaglia democratica e non ad una attività eversiva" (Ovada, Ceppo Morelli, Chianocco).
Infine, le risposte di molti Comuni rurali, di collina e di montagna fanno intendere, anche con espressioni molto sintetiche che, malgrado le condizioni di disagio e di povertà, le popolazioni, per l'attaccamento al lavoro, la severità di vita e di costume, il ricordo della Resistenza, si mantengono immuni dal fascismo che hanno combattuto.
Le cause di natura politica.
Altri elementi di grande interesse provenienti dalle risposte dei Comuni permettono alla Commissione di concludere che la gravità della situazione economica è certo una condizione necessaria, ma di per sé non è sufficiente ad alimentare e sviluppare attività di carattere fascista. "Per quanto sia una zona economicamente depressa, non si è mai manifestato alcun rigurgito fascista o parafascista", ci dicono la Comunità Montana Val Borbera (AL), il Comune di Brignano Frascata (AL), il Comune di San Damiano Macra (CN), il Comune di Lemie (TO). Così il Comune di Rocchetta Belbo segnala che "la riduzione del reddito agricolo e l'esodo dalle campagne non hanno favorito finora il manifestarsi di attività fasciste" e la motivazione sta nelle "profonde tradizioni democratiche ed antifasciste della zona".
Altri Comuni segnalano come anche le grandi trasformazioni avvenute in questi vent'anni con tutte le loro contraddizioni e tensioni non siano di per sé cause sufficienti a creare spazi politici alle attività eversive fasciste.
Scrive il Comune di Roburent: "la trasformazione di una economia prettamente agricola ad una economia mista agricola-turistica non ha causato contraccolpi economico-sociali che abbiano favorito il sorgere di attività fasciste".
Ne consegue che con vigile responsabilità politica la Commissione indica nelle concause di carattere politico ed ideale delle componenti indispensabili per rendere attuale, pericoloso e grave il fenomeno neofascista in tutte le sue manifestazioni terroristiche e politiche.
"Il fascismo si alimenta più che mai alle fonti del qualunquismo e del disimpegno politico e civile. Queste tendenze a loro volta sono favorite da un funzionamento distorto e parziale della vita democratica del Paese, dal deterioramento delle istituzioni, dal venir meno di un comune senso di responsabilità civile" dice la relazione del Comune di Ovada.
Ma la considerazione di fondo è segnalata da decine di Comuni di tutte le Province. Così Castelletto Uzzone, Brandizzo, Pinasca, Montalenghe Valgioie, Carisio, indicano nel disinteresse politico dei responsabili della cosa pubblica per i problemi delle rispettive zone e nel senso di sfiducia nelle istituzioni il fatto conseguente che potrebbe portare a favorire soluzioni autoritarie. Così come è generale la segnalazione dello stretto rapporto che intercorre tra incultura e fascismo e tra carenze di vita democratica e fascismo.
I Comuni di Avigliana, Montanaro, Bassa Valle di Susa, segnalano "la mancanza di dibattiti politici, iniziative culturali, partecipazione alla vita amministrativa" quali cause non secondarie delle radici cui pu attingere un fascismo risorgente.
Non può essere trascurata sia la causale irrazionalistica che quella derivante da "sollecitazioni malsane" create dalla società consumistica ed alla pressoché illimitata disponibilità nelle edicole di pubblicazioni diseducative esaltanti la violenza ed il sadismo (Chianocco).
Le cause di arretratezza culturale. Le carenze della scuola.
La predilezione dei fascisti per le aggressioni agli studenti è un dato di fatto incontrovertibile che risulta dall'analisi degli episodi di violenza avvenuti in Piemonte dal 1969 ad oggi e che viene sottolineato anche nel volume "Neofascismo e giustizia" edito da Magistratura democratica, dove vengono così individuate le ragioni di tale fatto.
"Fra gli studenti, e soprattutto fra gli studenti di un certo ceto sociale, il fascismo vuole reperire un personale che ritiene utile alla propria auto-conservazione. Al tempo stesso contro gli studenti vuole esercitare una forza di pressione per spezzare le aggregazioni che rivendicano alla scuola un ruolo diverso da quello selettivo ancora svolto.
Pertanto alla scuola si rivolgono facendo ostentazione di violenza per attrarre i più deboli e spaventare coloro i quali si rendono conto che la scuola è strumento indispensabile per la costruzione di una società civile e democratica".
Anche il Comune di Asti si sofferma sull'attività "fatta più che altro di azioni di disordine, di provocazione ed anche di violenza, svolta dagli aderenti giovanili del MSI nell'ambito della scuola" denunciando il fatto che tale attività "ha trovato spazio in dipendenza delle ben note condizioni di arretratezza nei metodi e nelle strutture e di più o meno voluto agnosticismo politico nell'intero settore scolastico, condizioni peraltro generalizzabili sino a ieri a dimensioni pressoché nazionali".
Ma altri due aspetti della vita scolastica hanno stretta rilevanza col tema trattato: la carenza della preparazione scolastica in senso antifascista ed il contenuto di molti libri di testo.
La crisi della scuola e la sua carenza di indirizzo chiaramente ed univocamente antifascista nella preparazione scolastica, messa in rilievo da molti Comuni (Acqui, Chianocco, Avigliana, Comunità Montana Bassa Valle di Susa), è in parte attribuita alle strutture ed ai programmi scolastici ma in parte anche all'incapacità di insegnanti ad esprimere compiutamente un impegno politico sul problema educativo dell'antifascismo per caratterizzare ulteriormente il discorso della democrazia (Comitato Unitario Antifascista di Alessandria). Non manca la segnalazione della presenza e dell'azione di docenti nostalgici (Comune di Rivoli).
Per quanto attiene ai libri di testo, questi spesso ignorano - quando addirittura non li riportano in maniera distorta - i temi fondamentali della Resistenza e la denuncia del fascismo. A questo proposito è da segnalare la petizione promossa dal Comitato Unitario per il trentennale della Resistenza del Comune di Andorno Micca con la quale si richiede che venga proibita "l'adozione e la vendita, sul territorio della Repubblica dei libri di testo scolastici contenenti retorica e apologia del fascismo e vengano adottati testi di chiaro contenuto ed indirizzi educativi ispirati alla Costituzione ed agli ideali e alla storia della Resistenza da cui è nata la Repubblica italiana, ai quali deve essere improntata l'azione educativa e formativa di tutti gli insegnanti".
Si tratta di temi attualmente ancora troppo trascurati dall'insegnamento scolastico che dovrebbe invece far approfondire agli studenti la carta costituzionale ed il concetto di democrazia.
Sempre su questo tema, il Comitato per la Resistenza nel Verbano propone un'indagine sui contenuti e criteri di scelta dei libri di testo al fine di verificare l'atteggiamento dell'editoria scolastica e dell'apparato della scuola nei confronti del fascismo.
Alcune conclusioni sulle risposte alla prima domanda posta dal questionario.
In conclusione la Commissione rileva che fra le cause più generali cui si possono ricondurre i fatti accaduti, sta certamente il fatto che, come nota la relazione del Comune di Ovada "il fenomeno neofascista oggi affonda le sue radici nella crisi grave che il Paese attraversa: essa è a un tempo crisi delle strutture economiche, sociali ed istituzionali del Paese, crisi morale ed ideale di una società giunta ad un punto tale della sua crescita da richiedere profonde trasformazioni strutturali a pena di ricadere a livelli arretrati di sviluppo civile.
L'urto tra lo stato di cose esistenti e la necessità di cambiarlo produce continuamente tensione, conflitti sociali, intolleranza politica ed ideologica". Inoltre, l'inchiesta ha fatto rilevare come cause più specifiche degli episodi di neofascismo risorgente, oltre allo spazio creatosi per tale situazione di crisi del Paese, la riviviscenza di vecchi rimasugli dello sconfitto Partito fascista (Novi Ligure, Oleggio).
Carattere sintomatico e preoccupante assumono i costanti collegamenti rilevabili tra i protagonisti di episodi di violenza fascista gravi o meno gravi e il Movimento Sociale Italiano.
Senza questo legame e senza questa copertura politica non sarebbe stato possibile il protrarsi nel tempo, la coordinazione, la rete di complicità necessaria, i mezzi finanziari e gli strumenti tecnici indispensabili a compiere le varie violenze e provocazioni registrate nella. Regione.
Anche il ritardo nella decisione a suo tempo assunta per lo scioglimento di organizzazioni eversive come "Ordine Nuovo" ed altri elementi di incertezza e di insufficiente valutazione del pericolo, hanno consentito che potessero essere liberi di agire Gruppi eversivi che sono nati e vissuti fuori della legge, per anni, prima di essere colpiti.
Fra le cause generali, non di carattere socio-economico, hanno agito come freno le difficoltà e gli oneri gravanti sulle forze di P.S. ed un sistema legislativo che si è rivelato carente rispetto alle nuove gravi forme di delinquenza comune e politica che impongono, come si prospetta urgenti riforme ed adeguamenti delle leggi, dei metodi e degli strumenti.
La Commissione, premesso che ogni forma di violenza e di eversione politica deve essere energicamente condannata e combattuta, rileva, secondo la segnalazione di alcuni Comuni fra cui Casale Monferrato (richiamo agli opposti estremismi) come i giudizi politici di equivalenza devono essere respinti, perché destinati ad attenuare la vigilanza, a falsare il giudizio storico e ad introdurre un cinico atteggiamento politico, già fatale alla democrazia italiana, secondo il quale si potrebbe consentire che gli estremismi si combattano ed elidano fra di loro.
Lo Stato democratico non può lasciare in nessun momento spazio politico od operativo all'azione eversiva.
L'esperienza storica del fascismo, della dittatura, della tragica avventura bellica, la sopravvivenza di una forza politica che si pone quanto meno, come naturale erede ed approdo di quanti non ripudiano l'esperienza e l'ideologia fascista, il diffondersi progressivo e capillare di metodi, riti e violenze di stile fascista, la presenza di un movimento di estrema destra, con una certa base di massa, in alcune zone d'Italia non investite compiutamente dall'esperienza, rigeneratrice di valori, della Resistenza, ed infine il ricorso organizzativo al terrorismo ed alle bombe nel contesto di una grave crisi economica e sociale inducono a considerare il pericolo di un'involuzione radicale di destra o fascista permanente e grave e quindi da combattere con una coordinata costante azione educativa culturale, politica volte a rimuoverne le cause avvicinando sempre più le situazioni ai cittadini ed alle forze sociali ed impegnando ancora le forze dello Stato democratico rinnovate nella loro efficienza e consapevolezza.
Altri fenomeni, pur gravi e preoccupanti che non sono oggetto di questa indagine, non sono certamente minimizzati.
La Commissione si limita ad osservare che ogni azione incostituzionale ogni violenza ed intimidazione politica, ogni dileggio alle forme espressive della volontà democratica, del diritto al voto ed alla partecipazione, sono obiettivamente generatrici di fascismo, quando già non lo rappresentano sotto mentite apparenze.
LE ORGANIZZAZIONI NEOFASCISTE IN PIEMONTE Dalle risposte dei Comuni è emerso che sono presenti ed operano in Piemonte le seguenti organizzazioni: Avanguardia Nazionale - Europa Civiltà - Fronte della Gioventù - Fronte Nazionale - Giovane Italia - Ordine Nero - Ordine Nuovo - Squadre di azione Mussolini (allegato n. 5).
Compaiono inoltre nella documentazione ricevuta dalla Commissione altri gruppi o movimenti: Arditi d'Italia (Associazione combattentistica e di reduci) Campo scuola Sigfrido Fronte monarchico giovanile Gruppo di dalmati I giustizieri d'Italia La Fenice Lotta di popolo Movimento per la ricostruzione nazionale Nazionalisti germanici Nuclei aziendali corporativi Nuovo Ordine Europeo Riscossa sociale italiana Rosa dei venti.
Squadre di azione fiamma.
Alcune di queste organizzazioni hanno operato in collegamento con Gruppi e centrali eversive fasciste e naziste operanti in Spagna Portogallo, Svizzera e Grecia.
LA SOTTOVALUTAZIONE DELL' EVERSIONE FASCISTA Le risposte al questionario fornite dai Comuni assieme alla massa ingente di giudizi, dati, elementi di valutazione, analisi, proposte che testimoniano la grande e generale sensibilità democratica ed antifascista delle autonomie locali, efficaci interpreti delle volontà e della sensibilità delle popolazioni rappresentate, ha portato alla luce anche elementi di insufficiente conoscenza o di sottovalutazione del pericolo rappresentato dallo sviluppo della strategia della tensione e della successione non causale dei fatti gravi e meno gravi di criminalità fascista.
Intanto il fatto che 202 Comuni, tra i quali 19 oltre i 5000 abitanti non abbiano inviato alcuna risposta e un primo dato (pur nel quadro di una risposta di 1007 su 1209) che indica una indifferenza non spiegabile anche nel caso che in quei Comuni non siano stati registrati né fatti criminali né organizzazioni o nuclei o possibilità di dar vita o favorire l'eversione fascista.
Anche il fatto che 193 Comuni non abbiano risposto o abbiano risposto solo con N.N. alla prima domanda che esigeva unicamente uno sforzo di analisi socio-politico culturale ed una rinnovata presa di coscienza dei dati già acquisiti dall'esperienza storica del nostro Paese, sono la prova concreta di una oggettiva sottovalutazione di cui occorre intendere e scoprire le cause, per trovare le vie ed i modi per superarla. Questo comportamento può essere però attribuito, in una certa misura, ad un atteggiamento di insofferenza verso l'indagine su di un fenomeno che viene considerato completamente estraneo all' ambiente (principalmente piccoli centri rurali). Il fatto che inoltre il Piemonte è parso essere toccato almeno per una parte degli anni considerati, in misura minore rispetto ad altre regioni è certamente all'origine di certe risposte parziali o sommarie.
La monografia dei giornalisti Carcano-Papuzzi indica tra queste cause "la sottovalutazione politica, il calcolo propagandistico, la tradizione partigiana, la vigilanza operaia, tali da far considerare la Regione come affrancata dalla prepotenza neofascista, dalla violenza nera". E' del tutto ovvio che una serie di queste ragioni hanno costituito positivamente e di fatto un forte e radicale ostacolo allo sviluppo del neofascismo in tutte le sue espressioni violente o no. Ma si ricava altresì dal complesso dei contributi ricevuti dalla Commissione che anche le autorità di P.S. e la Magistratura non sempre furono sufficientemente e tempestivamente consapevoli della gravità, non solo dei singoli fatti, ma della loro finalizzazione e del possibile loro sviluppo.
Si può quindi assai facilmente segnalare il monito contenuto in "Neofascismo e Giustizia " laddove (pag. 3) si avverte: "Non inganni la relativa modestia di alcuni episodi di violenza fascista in Piemonte: essi mostrano una capacità di organizzazione ancor non del tutto espressa".
Anche se è indispensabile ribadire che proprio la situazione generale politica esistente in Piemonte, la forza delle convinzioni democratiche, le ripulse morale e culturale del fascismo, la volontà, la determinazione e la capacità di risposta del movimento democratico ed antifascista, non lasciano alcun dubbio sulla volontà e capacità della comunità regionale di difendere attivamente le istituzioni e con esse la propria libertà.



FATTI EVERSIVI E PROCEDIMENTI GIUDIZIARI

Una constatazione suggerita dall'esame dei fatti è la differenza rilevante fra quelli delittuosi effettivamente accaduti e quelli denunciati, fra quelli denunciati e quelli per i quali è stato iniziato un qualsiasi procedimento istruttorio, fra quelli che sono stati istruiti e quelli che hanno avuto, anche a distanza, una conclusione, fra quelli che hanno avuto una conclusione con rinvio a giudizio dei responsabili e quelli che si sono conclusi con una condanna, e quelli che hanno portato ad una assoluzione. Infine, la contraddizione fra la quantità di colpevoli riconosciuti e condannati e quelli che sono stati assicurati effettivamente alla giustizia. Inoltre, è rilevante, a conclusione, il divario fra coloro di cui sono state accertate in epoche e momenti diversi la colpevolezza e la responsabilità in uno o più fatti delittuosi e la situazione di fatto che registra come molti di costoro siano oggi in libertà, o per condono e per scaduti termini della carcerazione preventiva, o perché fuggiti prima che fosse emessa la condanna o perché riusciti a fuggire poco prima di essere incriminati. Soprattutto per i maggiori responsabili.
Da questa situazione emerge una crisi di funzionamento complessivo della giustizia dovuto sia a deficienze di carattere strutturale (codici superati ed arretrati, scarsa efficacia della legge 20/6/52 n. 645 apparato insufficiente, dispersione e macchinosità dei centri operativi) sia al prevalere dei molti orientamenti che hanno portato a rinviare continuamente ed a cambiare le sedi dei processi con il risultato di lasciare senza risposta l'attesa di giustizia rapida della stragrande maggioranza dei cittadini.
LE PROPOSTE AVANZATE DAI COMUNI PER UNA EFFICACE LOTTA CONTRO



L'EVERSIONE FASCISTA

Le proposte che i Comuni hanno avanzato alla Commissione per combattere i fenomeni di eversione riguardano innanzitutto il ruolo che in tale lotta possono e debbono svolgere gli organi dello Stato e gli Enti elettivi. Da molte parti è stata ribadita l'esigenza del rafforzamento delle istituzioni che - come è affermato nella relazione presentata dal Comitato Unitario Antifascista di Alessandria - "può effettivamente verificarsi soprattutto alla condizione che venga perseguito un indirizzo rinnovatore sul quale si formi il consenso delle masse popolari". "La lotta contro il fascismo è la condizione necessaria per mantenere in un quadro democratico le contese politiche ed economiche del Paese, favorendo così le giuste soluzioni dei problemi" (Comune di Ovada).
Richieste precise sono rivolte al Parlamento ed al Governo. Si chiede al primo di non limitarsi ad affermazioni di fede antifascista, fini a se stesse, ma di dare anche l'avvio (si vedano le proposte del Comitato per la Resistenza nel Verbano) ad un'indagine parlamentare sulle trame nere (e il volume di "Magistratura democratica" rileva come in questa iniziativa la necessaria sensibilità sia stata dimostrata dalle Regioni e non dal Parlamento) e al secondo una serie di iniziative tese soprattutto a rinnovare il metodo e gli strumenti di azione caratterizzandoli in senso nettamente antifascista. Siano stroncate le trame eversive fasciste ed ogni forma di violenza, colpendone i responsabili ed attuando una politica di riforme delle strutture economiche e sociali, volta ad eliminare i privilegi e le macroscopiche differenziazioni sociali, e di rinnovamento e di risanamento dell'apparato statale e della pubblica amministrazione, in cui debbono operare persone democratiche ed antifasciste (Comune di Andorno Micca, Comitato per la Resistenza nel Verbano).
"E' fede comune - dice la Sezione del P.C.I. di Valenza - che solo un nuovo modo di gestire lo Stato, un nuovo modo di fare politica possano ridare ai cittadini la fiducia nelle istituzioni, eliminando in tal modo i motivi che generano il qualunquismo. Occorre il fermo impegno di tutte le forze che hanno come base ideale il principio di libertà e di progresso, ed operino unitariamente, fruttuosamente per un nuovo corso politico che si ponga in primo luogo il problema economico: con lo sviluppo del Mezzogiorno, dell'agricoltura, della scuola, della casa, con una seria politica di riforme per realizzare la necessaria riconversione industriale ponendo al centro di essa le funzioni dei Comuni, dei comprensori e delle Regioni. Una nuova politica di lotta al fascismo che elimini i centri di proliferazione, di qualunquismo, di corporativismo e di sfiducia verso le istituzioni. Una politica che sappia procedere speditamente contro i criminali attentatori della libertà e della vita dei cittadini. Una nuova politica che a livello nazionale, come a livello locale, sappia dare la fiducia sufficiente al cittadino sul piano politico, economico, sociale e morale".
Nei confronti della Regione vi è innanzitutto un generale consenso per l'indagine in corso, in merito alla quale si auspica, da un lato, una vasta diffusione dei risultati raggiunti affinché tutti i Comuni possano esserne informati (Rivoli) e dall'altro che essa prosegua la propria attività al di là delle conclusioni cui sta ora pervenendo (S. Germano Vercellese). Si creerebbe in tal modo una specie di struttura permanente, che vada al di là della manifestazione di un giorno e che possa essere un elemento di aiuto e sostegno all'azione degli organi dello Stato. Vi è poi l'invito alla Regione a voler diventare punto di riferimento di tutte le forze democratiche per una lotta capace di sconfiggere il fascismo in Piemonte sotto qualsiasi aspetto esso si manifesti (Novi Ligure). A questa proposta si riallaccia l'osservazione del Comune di Casale Monferrato secondo cui "la mancanza di collegamento tra le varie forze democratiche porta avanti un metodo di antifascismo che si fraziona in molte iniziative che dovrebbero invece essere unitarie in una mobilitazione antifascista permanente delle masse".
Alla Regione si chiede infine di intensificare le iniziative già attuate nell'ambito delle celebrazioni per il XXX Anniversario della Lotta di Liberazione ed il XXV Anniversario della Costituzione repubblicana in collaborazione anche con i Comitati Antifascisti sorti nei vari Comuni (proposte di Castelnuovo Scrivia, Mondovì, Romagnano Sesia, Cossato Oleggio ecc.).
Al di là di queste proposte di ordine politico generale e di quelle specificatamente rivolte ai principali settori della vita pubblica (scuola fabbriche, magistratura, forze dell'ordine ecc.) di cui si riferisce in altra parte, i Comuni hanno poi avanzato una serie di proposte settoriali le principali delle quali può essere opportuno ricordare: il Comitato per la Resistenza nel Verbano propone un controllo dell'apparato bancario, "indispensabile per scoprire fonti di finanziamenti tra fascisti, corpi separati e grandi industriali" lo stesso Comitato propone che siano bandite "dal nostro vocabolario le parole "opposti estremismi", finite per ogni onesto intelletto, nel tunnel di S. Benedetto Val di Sambro. A questo proposito il Comune di Casale Monferrato indica tra gli elementi che possono generare rigurgiti fascisti "la non chiara visualizzazione del problema e della teoria degli opposti estremismi nel senso che non tutti hanno compreso, come è avvenuto invece nelle alte sfere politiche più responsabili e democratiche che l'estremismo pericoloso si annida solo nella destra reazionaria" altra proposta del Comitato del Verbano è quella di istituire un "rapporto con i Comitati antifascisti della Svizzera da parte dei Comitati antifascisti delle zone frontaliere per un'inchiesta sui neofascisti rifugiati in Svizzera e sui traffici di esplosivo" il problema di ovviare alle disagiate condizioni di vita dei contadini e dei montanari, creando adeguate infrastrutture, intervenendo a favore dell'attività agricola e favorendo l'attività delle Comunità Montane, è al centro dell'attenzione di molti Comuni (Netro, Fabbrica Curone, Cartosio, Pradleves , ecc.). A questo proposito alcuni Comuni (ad es. Campiglia Cervo) segnalano come la montagna abbandonata possa costituire un'importante base tattica per le forze eversive (si vedano i campi paramilitari) altre richieste riguardano, infine, interventi specifici a favore dei Comuni sia attraverso idonei provvedimenti volti ad ovviare alla grave situazione finanziaria in cui versano, sia attraverso la modifica della vigente legge provinciale e comunale (Rocchetta Belbo, Brusnengo). PROPOSTE



PER NUOVE FUNZIONI E COMPITI DEGLI ENTI LOCALI IN MATERIA DI ORDINE

PUBBLICO Le proposte nei riguardi degli Enti locali sono di due tipi: 1) uno ha specifica attinenza alle peculiari funzioni di ordine pubblico che già spettano in base alle norme vigenti (artt. 152 e 153 del T.U. 14/2/1915 n. 148 e art. 1 R.D. 18/6/1931 n. 773) al Sindaco, funzioni di cui si chiede non solo una applicazione concreta in senso lato ed estensivo ma anche una integrazione ed un rafforzamento in senso decentrato e partecipativo. (Il Comune di Chianocco chiede espressamente che sia valorizzata la funzione del Sindaco quale ufficiale di Governo anche nei confronti delle Forze dell'ordine) 2) il secondo si riferisce al ruolo di dibattito ed al momento di presa di coscienza che le autonomie locali nei loro diversi livelli istituzionali e nelle loro diverse articolazioni (vedasi ad esempio il Consiglio di Quartiere) possono e debbono svolgere in senso democratico ed antifascista.
Per quanto attiene il primo aspetto della questione è evidente che ci comporta una più aggiornata interpretazione della concezione secondo cui l'attività di polizia è propria dello Stato. Bisogna infatti considerare gli organi di potere locale non in contrasto con lo Stato, ma come l'articolazione locale e democratica dello Stato, come uno dei modi di essere dello Stato. Non si può infine dimenticare il collegamento che l'intervento dei poteri locali può realizzare fra attività di tutela dell'ordinamento giuridico e di polizia e attività promozionale-sociale volta a rimuovere le cause che possono determinare certi fenomeni. Da ci deriva che anche nell'ambito della legislazione ordinaria vigente è possibile un più ampio inserimento del potere locale nell'attività amministrativa di polizia. Ma ne deriva anche la necessità di un'interpretazione della normativa costituzionale che consenta una migliore utilizzazione delle competenze legislative ed amministrative riconosciute alle Regioni in materia di "polizia locale urbana e rurale", di superare alcune delle limitazioni derivanti dall' art. 2 del D.P.R. 14 gennaio 1972 n. 1 ("Restano ferme le attribuzioni degli organi statali attinenti alla pubblica sicurezza"). Occorre a questo proposito notare come alleviare gli organi statali di pubblica sicurezza dei compiti di polizia amministrativa significa renderli disponibili per le tipiche attività di istituto affidate alla polizia. La disciplina delle riunioni in luogo pubblico, ad esempio può per certi aspetti formali essere utilmente affidata alle autorità locali.
Circa il secondo punto - e cioè il momento di presa di coscienza democratica ed antifascista che possono favorire le autonomie locali - è evidente l'esigenza che la vigilanza democratica e la lotta al risorgente fascismo in tutte le sue forme non possono essere solo compito degli organi di pubblica sicurezza, eventualmente integrato dell'apporto spontaneo e non coordinato di singoli cittadini. Esso deve diventare sempre più - come rileva il Comune di Ovada nella sua risposta al Questionario - "un dovere costituzionale dello Stato repubblicano, nei suoi organi di Governo, e nelle assemblee elettive: solo se la lotta antifascista verrà coerentemente assunta tra i compiti istituzionali dello Stato, delle Regioni, delle Province e Comuni verrà compiuta quella saldatura tra le parole ed i fatti che spesso è mancata nel passato". A ciò si aggiunge - attraverso la valorizzazione delle funzioni degli Enti locali - un momento, ancora più decentrato e soprattutto ancora più partecipativo di approfondimento democratico. Ad esempio nel corso dell'incontro tra Comitato Antifascista di Cuneo, il Consiglio Sindacale di zona ed i Comitati di Quartiere è stata evidenziata l'importanza che possono assumere le assemblee di quartiere come momento di sensibilizzazione antifascista. Da ciò deriva, come immediata conseguenza, la necessità di individuare quelle forme che consentono di discutere dei temi dell'antifascismo nelle assemblee predette nonché l'opportunità, in tali sedi, di dibattiti che rifiutino generici ricorsi agli slogans, ma portino i temi dell'antifascismo a stretto contatto con contenuti dei problemi che il quartiere affronta nelle assemblee.
A favore di un potenziamento delle istituzioni, al fine di evitare un funzionamento parziale e distorto della vita democratica, si esprime anche il Comune di Ovada: "La lotta antifascista va quindi condotta su un fronte esterno, ma anche all'interno delle stesse istituzioni in cui si incarna la democrazia, garantendone il buon funzionamento e la permeabilità alle istanze di partecipazione di tutti i cittadini". E a questo proposito, si può ricordare la segnalazione del Comune di Alpignano secondo cui la partecipazione di gran parte dei cittadini alla gestione dei servizi sociali è uno degli elementi che ha impedito in quel Comune il sorgere di organizzazioni eversive.
LE PROPOSTE DI INTERVENTO IMMEDIATO Un fermo indirizzo politico antifascista.
La risposta che lo Stato democratico deve dare dinanzi ad una sfida dell'eversione fascista, deve essere tanto ferma e rigorosa quanto mantenuta nel più assoluto rispetto dei principi costituzionali, che affermano l'esclusione del fascismo dalla vita nazionale e l'esigenza di prevenirlo e combatterlo per impedire che attenti alle istituzioni democratiche dello Stato. La Commissione suggerisce a tal fine l'adozione tra l'altro, delle seguenti misure: a) norme di prevenzione che consentano: di colpire lo squadrismo nella fase e nei covi in cui terrorismo e violenza fascista si organizzano e si preparano; di colpire le persone che abbiano fatto parte di associazioni disciolte ai sensi della legge 20/6/1952 o che siano indiziate di tale reato e che continuino a svolgere attività analoga alla precedente o detengano per qualsiasi titolo armi di qualsiasi genere o munizioni; di impedire che possano continuare la loro attività violenta le persone che sono imputate o condannate per più azioni squadristiche o teppistiche fasciste b) un'adeguata applicazione ed un'eventuale riforma della legge 20/6/1952, che consenta: di punire in modo specifico e più severamente chiunque compia aggressioni fasciste, che debbono essere qualificate con titolo autonomo di reato, nettamente distinto dal comune reato di violenza di perseguire qualsiasi fatto di apologia e di esaltazione del fascismo, da ritenersi di per sé manifestazione pericolosa e vietata, perseguibile come atto rivolto alla ricostituzione del Partito fascista; di reprimere l'attività diretta a ricostituire il Partito fascista anche da parte di Gruppi ristretti di persone e relativamente a singole località, anche se non assumono carattere nazionale; di emettere il mandato di cattura per i reati previsti da tale legge; di colpire severamente, con adeguati aumenti di pena, stante la loro evidente pericolosità, i recidivi per i reati contemplati da tale legge c) la modifica - in relazione specifica alla legge 20/6/1952, n. 645 delle norme processuali penali, in modo da conseguire la definizione sollecita di ogni procedimento e da evitare che pretestuose ragioni di competenza territoriale o di connessione oggettive e soggettive possano essere strumentalizzate per ritardare e vanificare il corso della giustizia d) di urgenti riforme, atte: a rendere più democratico l'apparato dello Stato e più efficace l'azione della polizia contro la criminalità in generale e contro quella fascista in particolare, a rendere più valida e concreta la collaborazione tra magistratura e polizia giudiziaria; a dare rapidità ed incisività al processo penale, onde consentire che gli autori dei crimini siano rapidamente individuati e giudicati (Estratto dalla parte propositiva della petizione nazionale contro i fascisti e i loro complici per il risanamento democratico dello Stato).



RIFORMA E RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI DI P.S.

E' giudizio largamente condiviso che lo stato di disagio materiale ed istituzionale in cui si trovano le forze di P.S. debba essere rapidamente rimosso, mentre è indispensabile rafforzare gli strumenti di prevenzione e di repressione dell'eversione, del terrorismo fascista e della criminalità comune.
E' opinione della Commissione che il problema non sia essenzialmente di quantità del personale, quanto di modalità del suo impiego e di revisione dei compiti affidati alla polizia.
L'attuale condizione crea però difficoltà per l'arruolamento di nuovo personale e può quindi trovare un correttivo nelle diverse prospettive che lo Stato deve offrire.
Senza presumere di esaurire la grossa questione che è all'attenzione del Paese, del Governo e delle forze politiche, la Commissione, preoccupata dell'influenza che ha l'efficienza e la preparazione di tutti gli organi dello Stato per la difesa dell'ordine civile e delle istituzioni democratiche, indica alcuni punti per una prima sollecita risposta alle esigenze di riforma riguardanti la P.S.: a) realizzazione di uno "status" più moderno e democratico del personale, per quanto attiene al pieno esercizio dei diritti civili, alle condizioni economiche, alle modalità di impiego b) adozione di criteri aggiornati di selezione e preparazione per il reclutamento e la conseguente specializzazione c) creazione delle condizioni che con la tutela della dignità e del prestigio rettamente intesi, assicurino la giusta comprensione, e l'apprezzamento dei cittadini verso chi è esposto a gravi rischi per la difesa della Società dagli attacchi della criminalità comune e politica d) riforma e riorganizzazione dei servizi in modo da sollevare gli Organi di Polizia da tutti gli oneri diretti ed indiretti di carattere amministrativo e di servizio, concentrando il loro impegno nelle funzioni fondamentali e d'Istituto.



CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE



RENDERE PERMANENTE L'INIZIATIVA E LA VIGILANZA DEMOCRATICA ED

ANTIFASCISTA Le conclusioni che la Commissione ritiene di poter trarre e proporre all'attenzione del Consiglio è prima di tutto una conferma dell'opportunità e della validità dell'iniziativa dell'inchiesta e della complessiva metodologia scelta, ispirata al criterio di sollecitare e rendere possibile la più ampia partecipazione della comunità regionale.
In realtà, l'entità dei contributi ricevuti per la maggior conoscenza di un fenomeno così rilevante per le sorti stesse della democrazia del nostro Paese, dimostra che la proposta del Consiglio Regionale è stata raccolta.
Deve inoltre essere messo in evidenza che il meccanismo dell'inchiesta avvalendosi di consultazioni dirette, strumenti di indagine, convegni e riunioni per sensibilizzare la pubblica opinione sugli scopi dell'iniziativa, ricorrendo in modo esplicito e corretto alle stesse istituzioni dello Stato preposte ad eliminare le cause ed a stroncare la fenomenologia, senza ingerenze e contrapposizioni, ma anzi, tutti ispirando ad un'azione di collaborazione e di sostegno nella lotta contro la criminalità politica, ha destato e messo in moto energie democratiche notevoli.
Per questa via, quindi, l'iniziativa del Consiglio Regionale: ha determinato la costituzione, in centinaia di Comuni, di gruppi di lavoro di Comitati unitari antifascisti; ha sollecitato, da parte dei Comuni maggiori, la consultazione degli organi di democrazia decentrata, quali i Comitati di Quartiere e le organizzazioni democratiche presenti nella scuola; ha mosso l'iniziativa dei partiti politici antifascisti, dei sindacati delle organizzazioni democratiche ad ancorare le iniziative celebrative del trentesimo anniversario della Liberazione agli scopi attuali dell'indagine volta ad acquisire da parte di tutte le forze interessate una più approfondita conoscenza per agire più efficacemente e con maggiore profondità ed incisività, per stroncare immediatamente la criminalità politica e nello stesso tempo per ordinare tutta l'attività amministrativa e legislativa della Regione all'eliminazione delle cause più remote e profonde che possono consentire l'insorgere o potrebbero favorire le attività di eversione fascista.
Concludendo i suoi lavori la Commissione sottolinea l'importanza che anche in futuro, con opportuni strumenti e metodi, si aggiornino e scientificamente si approfondiscano le conoscenze sulle condizioni della comunità regionale, sulle sue esigenze culturali e politiche, al fine di predisporre, con l'efficace azione amministrativa e legislativa, le condizioni e gli strumenti per la difesa da ogni suggestione antidemocratica.
Tra le questioni rimaste da chiarire ed approfondire vi è, ad esempio quella della connessione tra criminalità politica e criminalità comune.
"Magistratura democratica" nel volume "Neofascismo e giustizia" avanza alcune interessanti osservazioni.
"Tutti gli episodi di violenza fascista non hanno carattere politico sono delitti comuni, elencati sotto i titoli di violenza privata, lesioni porto d'armi proprio ed improprio, danneggiamento, oltraggio, e così via.
In nessun caso i Tribunali possono riconoscere il movente politico e mai di conseguenza, hanno applicato l'attenuante dell'aver agito per motivi di particolare valore sociale. Questa considerazione vale a collocare in una dimensione diversa il reato fascista che è e resta anche reato comune.
La considerazione di per sé ovvia, va integrata con altre più pregnanti: l'abitudine alla violenza, la scuola vera e propria di violenza in cui i fascisti si esercitano attraverso aggressioni ed attentati produce un'ulteriore violenza che si estrinseca in quella delinquenza comune che i fascisti si affannano a denunziare fingendosi tutori di un ordine che invece respingono".
Al di là dei rapporti sotterranei tra criminalità politica e criminalità comune (rapine e sequestri di persone) si constata la pericolosa possibilità di strumentalizzazione ed utilizzazione della criminalità comune da parte di chi persegue disegni eversivi nei confronti dello Stato e delle sue istituzioni. Il criminale comune ricerca o riceve pretestuose giustificazioni politiche al suo agire; il criminale politico ne somma le conseguenze distruttive a carico della convivenza civile.
Il cittadino ha la sensazione di non aver più protezione dallo Stato e dai suoi organi ed è preso da un crescente senso di insicurezza e di angoscia che lo spingono a ricercare o a tollerare soluzioni autoritarie nell'illusione di ottenere almeno una tutela fondamentale, la sicurezza ora insidiata, la tranquillante sensazione di ordine.
La tutela peraltro degli organi dello Stato, del suo apparato, delle parti e degli uomini più esposti ai rischi della lotta alla criminalità politica e comune, deve essere rafforzata, ma secondo concetti e metodi conformi allo spirito della Costituzione italiana, che impone una riforma dei codici elaborati sotto il fascismo, emendamenti ed integrazioni della legislazione vigente per liberarla da norme suggerite da una concezione statuale autoritaria.
Si auspica, infine, che le indagini conoscitive e le iniziative di tutte le Regioni consentano di operare una sintesi nazionale e di sollecitare più chiare conclusioni culturali, non solo su ciò che si deve intendere per fascismo storico, ma sulle nuove forme che il fenomeno pu assumere nella nostra società.
Mi sia consentito ancora, signor Presidente, esprimere l'apprezzamento più vivo ed il ringraziamento più caldo della Commissione e da parte mia non solo a quanti dall'esterno hanno compreso il significato del lavoro che ci era affidato e lo hanno facilitato con apporti e sollecitazioni tanto qualificanti, ma anche all'intelligenza, alla dedizione generosa di funzionari che hanno prestato senza risparmio di forze la loro collaborazione.
Riprenderò poi brevemente, se mi sarà consentito, la parola, nel corso della discussione, a nome del Gruppo.



PRESIDENTE

Apro ora la discussione sulla relazione. Ha chiesto di parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, Norberto Bobbio scrisse anni fa che ci sono state due interpretazioni ideologiche della Resistenza italiana, quella liberale e quella marxista.
L'interpretazione liberale concepiva l'antifascismo come lotta contro una dittatura; l'interpretazione marxista come lotta contro un regime borghese dittatoriale.
Questi due filoni sono ancora presenti nella nostra dinamica politica anche se il tempo, la storia e le contingenze hanno provocato giuste revisioni di definizioni forse troppo schematiche ad entrambe le quali comunque (quella liberale e quella marxista) va riconosciuta - in questo libero Paese - piena legittimità politica e costituzionale.
Di questi due filoni ha indubbiamente risentito il lavoro della Commissione di Indagine nominata dal nostro Consiglio Regionale; la relazione che ne è uscita e che viene presentata con voto unanime, è il frutto di un giusto compromesso.
Ne siamo particolarmente soddisfatti perché, in occasione del dibattito del 26 settembre scorso, che diede luogo alla costituzione della Commissione di Indagine, rivolgemmo un appello ai colleghi del Gruppo Liberale affinché non si estraniassero dal grande patto costituzionale che lega tutti coloro che siedono oggi su questi banchi in questo Consiglio quel patto che è nato nella Resistenza e che non ha esaurito la sua funzione.
Il Gruppo socialista ritiene quindi che il risultato raggiunto sia positivo e non soltanto per le implicazioni politiche generali che esso comporta, ma anche per il contenuto stesso della relazione che ne è scaturita, poiché essa costituisce obiettivamente un passo avanti rispetto alle posizioni di alcuni dei Partiti rappresentati nella Commissione.
Nel confermare quindi la nostra piena adesione ai risultati della Commissione stessa, ci sembra opportuno richiamare l'attenzione del Consiglio su alcuni dei punti della relazione conclusiva, che sono stati oggetto di più appassionata discussione.
In primo luogo sull'antifascismo delle istituzioni.
In questo Paese, dove la Resistenza toccò il vertice più alto tra tutti i Paesi occidentali e riuscì a darci la più avanzata delle Costituzioni, in questo Paese da anni insanguinato dai fascisti, le istituzioni non sono antifasciste.
E' necessario che tutto il movimento democratico abbia piena coscienza di questa verità: non saperlo, o fingere di non saperlo, è colpevole.
L'Italia,per un quarto di secolo, ha mantenuto deliberatamente gli apparati e le attrezzature istituzionali contrarie alla sua Costituzione.
Né questo può meravigliare, anzi non sarebbe potuto accadere diversamente, perché le strutture dell'apparato dello Stato, la loro composizione, la loro cultura sono rimaste quelle di prima: d'altra parte non sarebbe stata pensabile un'improvvisa conversione democratica, perch una conversione del genere non sarebbe potuta accadere neanche se vi fosse stata una volontà politica generale.
Ma ciò, non è accaduto, e non a caso: ciò era coerente colla logica del centrismo, colla logica del 18 aprile.
Sulla base di questa logica - ed è questo il secondo punto sul quale si è discusso in Commissione - si è inventata la teoria degli opposti estremismi e si tenta ora di abbuiare il passato ed il presente.
Noi siamo perfettamente consapevoli delle preoccupazioni di coloro i quali sono contrari all'introduzione di leggi eccezionali: le leggi esistenti, se c'é la volontà politica di applicarle rigorosamente, sono sufficienti. Bisogna invece riformare i Codici, elaborati sotto il fascismo. Ma lo stato di diritto, dove nessuno può essere punito se non è provata la sua Responsabilità penale, non deve lasciare il posto allo stato di polizia, il quale, incapace di provare responsabilità penali, si compensa col colpire abbondantemente in base al sospetto.
Piuttosto, tutta l'indagine conoscitiva dimostra i legami strettissimi tra l'azione eversiva ed il Movimento Sociale Italiano.
Ed allora, in nome della legalità democratica ed antifascista, ci chiediamo se non sia venuto il momento di promuovere lo scioglimento del Partito fascista parlamentare.
Sarebbe questa una legge dovuta per la Costituzione; una legge voluta ne siamo certi, dalla maggioranza del popolo; una campagna di opinione che riuscirebbe a dare una precisa parola d'ordine anche a chi, per reazione sbagliata, rischia di buttarsi in azioni disperate, pericolose e condannabili; una campagna di opinione che metterebbe tutti i Partiti nella necessità di scegliere; una legge infine che certo non abrogherebbe il fascismo, ma gli toglierebbe la rispettabilità istituzionale, imponendo alle istituzioni stesse una nuova politica.
Certo è difficile, in piena crisi economica, quando c'è da difendere l'occupazione ed il potere d'acquisto del salario, impegnarsi con la stessa forza per la conquista democratica delle istituzioni e per la difesa delle liberta.
Ma dobbiamo battere la logica del ricatto economico: è proprio nei momenti di crisi economica che partono gli attacchi alla libertà ed ai diritti dei lavoratori.
E' necessario pertanto che le organizzazioni democratiche, politiche e sindacali non cessino un istante di far sentire il loro peso, per creare un'effettiva mobilitazione antifascista ed incalzare il Parlamento in questo senso.
L'ultimo punto sul quale vi è stata ampia discussione nella Commissione è stato quello sui servizi di sicurezza.
Dalle bombe sui treni, alla strage di Milano, al tentativo di golpe di Borghese, alla morte di Feltrinelli, all'assassinio del Commissario Calabresi, alle bombe alla questura di Milano, ai reiterati sequestri di persona culminati con il caso Sossi, al misterioso suicidio del colonnello Rocca, alle trame della Rosa dei Venti e del MAR. alle morti e sparizioni di testimoni dell'affare Freda-Ventura, per finire con le stragi di Brescia e dell'Italicus, per citare soltanto alcuni degli avvenimenti di questi anni, si è di fronte ad una impressionante serie di fatti oscuri, che hanno messo in luce non solo la impotenza dei servizi d'informazione, ma anche le gravissime deviazioni dai loro compiti istituzionali.
Il nostro pensiero è che questi servizi devono essere riportati ai loro compiti di istituto e sottoposti al controllo ed alle decisioni del Parlamento.
Signor Presidente, signori Consiglieri, il Partito Socialista Italiano ritiene che la strategia della tensione sia la risposta - scandita con stragi, assassinii politici, sequestri di persona, organizzazione di complotti eversivi e di rivolte in capoluoghi del Mezzogiorno - al profilarsi di un mutamento e di un avanzamento della vita politica e civile.
Alla spinta, che si muove nel senso della nostra Costituzione per i suoi contenuti e per essere espressione fisiologica della dialettica democratica, emergente nella società, alcuni ambienti e Gruppi, dotati di sostegni e solidarietà internazionali, sentendosi minacciati nei propri privilegi ed insofferenti delle forme istituzionali democratiche, hanno deciso di rispondere - anziché sul terreno legittimo del confronto politico ponendosi al di fuori della Costituzione ed imbastendo una serie di criminali provocazioni i cui naturali strumenti sono i resti e gli epigoni del fascismo e dello squadrismo.
Ne è risultato un intrecciarsi di tentativi reiterati di eversione fascista e di episodi di violenza freddamente architettati con la finalità di attribuir loro una matrice di "sinistra" e di esasperare l'opinione pubblica favorendo l'aggregazione di un blocco d'ordine.
E' contro questo disegno che noi chiamiamo a raccolta oggi il popolo italiano.
E' contro questo disegno che si è posta la nostra Commissione di Inchiesta, in una Regione chiave com'é il Piemonte: i risultati raggiunti confermano che contro questo disegno è la coscienza civile e morale dell'intera collettività regionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, la relazione testè letta dal collega Bianchi assume come risultato conoscitivo e come fondamento delle proprie conclusioni, fra molti altri validi contributi, essenzialmente le risposte che oltre mille Comuni piemontesi hanno dato al questionario della Commissione sulle origini, sui fatti e sulle organizzazioni che possono configurare oggi in Piemonte l'esistenza di trame eversive di carattere fascista.
Le risposte dei Comuni ci dicono, prima di tutto, che in una certa misura, senza dubbio inferiore ad altre Regioni ma tuttavia non trascurabile, dal 1969 ad oggi si sono venute costituendo nella nostra Regione le condizioni sociali, economiche e quindi le situazioni politiche propizie alla fermentazione di tendenze politiche reazionarie.
La tendenza reazionaria trova alimento in una duplice serie di condizioni: da un lato, nel fallimento di troppe intenzioni riformiste nella conseguente perdita di prestigio delle istituzioni e dei metodi democratici, nell'incertezza della situazione economica e dell'occupazione soprattutto dell'occupazione giovanile, nel malessere dei ceti medi, cioè in un insieme di fattori che di per se stessi ingenerano spinte irrazionali; dall'altro lato, in una situazione di debolezza dell'ordine pubblico e talora di disarmo morale da parte delle forze preposte alla tutela dell'ordine, nella presenza di un estremismo di sinistra, o sedicente tale, che è innegabile, e che, anzi, ha trovato una delle sue basi di cospirazione e di operazione più vistosa proprio in Piemonte, dal momento che in questa regione è stato recluso il giudice Sossi ed è viceversa evaso il capo delle Brigate Rosse. Ancora stamani un giornale torinese pubblica, nella stessa pagina, e con lo stesso rilievo, due titoli: il primo ci dice, raccogliendo le conclusioni della nostra Commissione di indagine, che "La vera violenza è di destra, conferma la Regione Piemonte"; il secondo ci informa che la dinamite rinvenuta a Novara, e che doveva servire, a quanto pare, per campi paramilitari, è stata rinvenuta nell'abitazione di un cittadino che "ha dichiarato di essere iscritto al Fronte antifascista di rinascita popolare".
Cito quest'ultimo di una serie di fatti non per gusto di polemica ma per scrupolo di oggettività, e per ripetere qui che non era infondata la dichiarazione del Gruppo liberale all'atto della costituzione della Commissione di indagine, nella riunione del 26 settembre '74. Noi dichiarammo allora: "Le trame eversive vanno denunciate e perseguite indipendentemente dalla loro colorazione, che spesso può essere di comodo poiché non ci interessa il colore delle trame ma la loro finalità".
I fatti successivi hanno dimostrato che la necessità di una ferma vigilanza contro l'estremismo, anche di sinistra, non era una fissazione un calcolo di propaganda politica, se pochi giorni fa un giornale, che non credo sia favorevole alla teoria degli opposti estremismi, quale "Il Manifesto", ha scritto: "Assistiamo ormai da alcuni mesi all'emergere ed al moltiplicarsi di episodi, certo non coordinati fra loro ma con una radice comune in un'area di estrema sinistra che sembra avere ormai perso ogni fiducia nell'azione di massa e scelto la strada dell'azione diretta isolata ed esemplare. Non si tratta ormai più di singoli episodi che possono essere ignorati ma di un fenomeno con il quale l'insieme della sinistra è chiamato a fare i suoi conti".
Noi, quindi, condividiamo le conclusioni contenute nella relazione della Commissione di indagine per questo aspetto. La teoria degli opposti estremismi, come è scritto nella relazione della Commissione, è di per s stessa, come giudizio storico, una equivalenza sbagliata; ma è tuttavia vero che nessuna azione eversiva, quale che sia la sua radice ideologica ed il suo colore politico, può trovare spazio ed legittimità nello Stato democratico.
Quanto alle tendenze reazionarie che, come si è detto, possono insorgere, sia per la disfunzione del sistema democratico, sia come risposta ai disordini provocati dall'estremismo di estrema sinistra, è nostra convinzione, che riteniamo del resto ampiamente condivisa in questo Consiglio, che si debba mantenere una distinzione fra il comportamento politico reazionario ed il comportamento eversivo. Il radicalismo di destra esiste in tutte le democrazie libere ed in tutti regimi che permettono la manifestazione del dissenso, e costituisce un motivo di repressione solo quando assume un carattere criminoso, invocando o praticando la violenza e l'illegalità. Fenomeni di questa specie sono stati pure rilevati e denunciati dalla Commissione di indagine, e sui provvedimenti che ne conseguono, o che devono essere auspicati, mi soffermerò fra poco. Ma quanto al radicalismo di destra come movimento politico e come tendenza elettorale, pare a noi che l'unica forma giusta di rifiuto e di denuncia è quella che qui viene ora data con l'intransigente dissociazione e contrapposizione politica delle forze democratiche.
L'indagine della Commissione conferma tuttavia che in molti casi, che non possono essere tutti spontanei ed occasionali, il radicalismo di estrema destra trapassa in atti e comportamenti che devono essere anche penalmente perseguiti. I dati della relazione indicano che i casi più gravi non sono, tutto sommato, quelli riconducibili all'apologia del fascismo storico, cioè alla nostalgia verso gli istituti, i personaggi ed i costumi del disciolto Partito nazionale fascista, di cui la Costituzione vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma. Le risposte dei Comuni piemontesi in ciò sono unanimi: lo spirito nostalgico, in Piemonte, è un fatto limitato che può destare scandalo ma non pericolo, perché attraverso l'antifascismo politico e culturale, la lotta per la liberazione, la crescita democratica della comunità regionale, l'antifascismo e l'avversione per il periodo storico segnato dalla dittatura sono un sentimento generale nella coscienza civile del popolo piemontese. Ciò che pertanto dev'essere oggetto di indagine e di vigilanza non è tanto il fascismo nostalgico di alcuni ritardatari quanto il nuovo fascismo, che si concreta nelle incursioni nelle intimidazioni verbali e fisiche, nelle aggressioni, nel teppismo politico organizzato. Anch' esso, fortunatamente, è di non grande rilievo in molte parti della Regione, nella maggioranza dei Comuni della Regione ma si concentra nelle città, e soprattutto nel capoluogo. Si tratta di un teppismo politico che dev'essere chiamato fascista, in quanto è un'imitazione palese, seppure in tono minore, dello squadrismo di un tempo.
Spetta alla Magistratura ed alla polizia, indagare sugli organizzatori sui finanziatori e sui mandanti del teppismo di estrema destra. Ma la connessione di luoghi e di persone ben note è sufficiente a provare che questo teppismo non può essere sottovalutato come una ragazzata od un disordine occasionale, perché dietro i provocatori ed i picchiatori esiste la copertura politica di dirigenti non secondari del Movimento Sociale Italiano. E l'elemento, o uno degli elementi, che ci persuade a differenziare l'estremismo di sinistra dall'estremismo di destra e ad attribuire all'estremismo di destra una pericolosità più grave per le istituzioni democratiche è proprio questo. Anche l'estremismo di sinistra esiste, come ho detto, ma esso opera in uno spazio dichiaratamente extra parlamentare, mentre l'estremismo di destra trova copertura e sostegno da parte di uomini che dirigono un partito rappresentato in Parlamento e in questo medesimo Consiglio Regionale, e che al tempo stesso si presenta agli elettori come Partito dell'ordine e delle autorità, salvo assecondare e proteggere i fautori del disordine e gli attentatori contro la legalità dello Stato.
Contro il teppismo politico non mancano sanzioni penali, a cominciare da quelle che perseguono l'associazione per delinquere, per il solo fatto della sua formazione, indipendentemente dai risultati che essa produce. Il problema essenziale e però quello di garantire l'effettiva applicazione delle leggi, e quindi di rimuovere le condizioni di disagio in cui attualmente operano le forze di polizia, sollevandole anche dalle incombenze meramente amministrative per un più efficace esercizio dei compiti di sicurezza e di polizia giudiziaria. Non mancano neanche le sanzioni penali contro coloro che promuovono, organizzano e favoreggiano la riesumazione dello squadrismo, o che rivolgono la propria attività politica alla denigrazione della democrazia, al tentativo di sopprimere le libertà costituzionali, al perseguimento di finalità antidemocratiche. Queste sanzioni sono previste dalla legge 645 del 1952, lungamente disapplicata come tutti sappiamo, e forse meritevole di alcune revisioni.
Non nascondo, per richiamarmi a ciò che ha detto poc'anzi il Consigliere Nesi, che su ciò la Commissione ha raggiunto, dopo discussione una formulazione indicativa che avrebbe forse bisogno di approfondimento.
Per quanto concerne il Gruppo liberale, devo qui ribadire che da parte nostra vi è una resistenza quasi istintiva alla persecuzione dei reati di opinione, quando anche si tratti di opinioni aberranti, e che comunque noi non riteniamo in generale che il modo migliore di perseguire le colpe sia quello di aggravarne le pene, soprattutto nel caso della cosiddetta "legge Scelba", che già prevede pene detentive di notevole gravità. Concordiamo invece, sulla necessità che, in presenza di violenze fasciste, palesemente assistite da supporti organizzativi e da coperture politiche, la legge Scelba sia applicata ed interpretata con maggior rigore di quanto non sia accaduto in passato.
Vi è, infine, un ultimo aspetto, il più grave, che connette gli episodi di teppismo e di violenza politica con disegni politici più complessi, di attentato alle istituzioni. La relazione prende atto del dato confortante che il Piemonte è un'area marginale nella strategia della tensione, almeno per quanto riguarda le forme più gravi di attentato e di terrorismo, anche se da alcuni anni le città e le Province della Regione sono state continuamente percorse da voci relative a cospirazioni più o meno velleitarie, tendenti alla sospensione delle libertà costituzionali ed al sovvertimento delle istituzioni. Una parte di queste voci non superano probabilmente il livello delle dicerie e della fantapolitica; per altri casi la Magistratura è all'opera per accertare la portata dei fatti e le persone dei responsabili. Noi ci auguriamo che gli accertamenti della Magistratura si concludano al più presto, anche ad evitare che nella pubblica opinione ai cospiratori fascisti più o meno velleitari siano confuse personalità e persone che hanno la colpa, ma colpa politica e non penale, di aver soltanto smarrito la fiducia nella democrazia o di aver progettato di salvare la democrazia per proprio conto, al di fuori dell'attuale sistema politico, che nonostante le sue crisi ed i suoi difetti deve invece essere salvaguardato contro ogni tentazione di avventura.
Le difficoltà della situazione politica non si risolvono con l'avventura, ma richiedono, per essere superate, da un lato una più efficace azione di Governo, centrale e locale, affinché i cittadini italiani, e particolarmente i cittadini piemontesi, che nella loro grandissima maggioranza sono sinceramente e pazientemente democratici trovino in questa democrazia e nei suoi governanti una formula di governo adeguata ai loro convincimenti; d'altro lato, una più efficace tutela dell'ordine pubblico e dei diritti soggettivi di ciascuno contro ogni violenza e contro ogni sopraffazione; infine, un più stretto e costruttivo rapporto fra gli elettori e gli eletti, a tutti i livelli rappresentativi perché nessun contributo venga meno alla crescita della comunità. La crescita della comunità, signori Consiglieri, è la forma più vera e più positiva dell'antifascismo, perché il fascismo è soltanto, in tutte le sue manifestazioni, una politica della decadenza.
Questa é, come risulta dalle risposte dei Comuni, la conclusione dell'indagine conoscitiva sull'attività di eversione fascista in Piemonte.
La maggioranza dei Comuni, soprattutto i piccoli Comuni, in cui forse il grado di politicizzazione partitica degli amministratori è minore, ma vi è un contatto più immediato con la comunità locale, ha insistito sulla necessità di interventi economici e sociali, sulla necessità di una riorganizzazione della vita pubblica dal basso, per rimuovere le velleità eversive, confermando con ciò che la migliore dimostrazione di antifascismo è quella non domenicale, ma operativa e quotidiana, di una democrazia che funzioni.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, ritengo anch'io che questa riunione del Consiglio Regionale ed il risultato dei lavori della Commissione d'indagine che ci è stato presentato dal Presidente della Commissione in quest'aula siano il modo migliore, più costruttivo, per le forze politiche presenti oggi in questo Consiglio Regionale, di rinnovare idealmente e materialmente la loro adesione a quel patto costituzionale dal quale ha preso avvio il cammino delle istituzioni repubblicane nel nostro Paese.
E' importante la relazione che ci è stata illustrata, anche per gli elementi conoscitivi e propositivi che contiene, e che riteniamo vadano senz'altro sottoposti, nelle forme dovute, agli organi competenti dello Stato. Ma è altresì importante che a questa analisi, a questo lavoro approntato dalla Commissione, si aggiungano alcune doverose considerazioni ed io ne farò alcune a nome della parte politica che qui rappresento.
Noi riteniamo che fascismo significhi, soprattutto ed innanzitutto lotta contro le istituzioni della democrazia rappresentativa, cioè tentativo continuo di rovesciare una situazione codificata di garanzie costituzionali e di istituti rappresentativi della democrazia da parte delle forze, degli ambienti, dei ceti che in queste istituzioni rappresentative non sanno, non vogliono trovare rappresentanza, modo, forme di esplicazione dei diritti sanciti anche per loro, e che tentano quindi di ricondurre il Paese a forme di dittatura ed a regimi politici illiberali e liberticidi.
Quello che teniamo a sottolineare è che il fascismo, se è una forma anche ricorrente di mentalità e di tentativo di impostazione della lotta politica in un Paese a democrazia rappresentativa, diventa un pericolo effettivo per le istituzioni quando esistono certe condizioni oggettive contro il cui verificarsi, obiettivamente, le forze democratiche debbono lottare. Il fascismo ha veramente spazio e possibilità di agire, forme eversive e delinquenziali di lotta politica possono affermarsi quando si innestano su situazioni di disagio, di malcontento popolare, reali e veramente pericolose per la democrazia perché polarizzano le tendenze sul fronte della reazione di estrema destra. Cioè, noi riteniamo che non siano solo in questione i problemi di una piccola o di una grande borghesia, con privilegi da difendere: il fascismo diventa forma di espressione politica e quindi acquista forza politica effettiva, quando ci sono situazioni di disagio obiettivo nella comunità nazionale che finiscono con il trovare espressione irrazionale, pericolosa, innaturale, ma espressione effettiva in forme di polarizzazione di tipo destrorso e reazionario.
La mia parte politica ha sempre sottolineato che i dati politici di reviviscenza di forme di violenza fascista nel nostro Paese di questi ultimi anni si inseriscono su un terreno politico oggettivo che ha dei fattori che devono rendere attenti e devono indurre a meditare profondamente le forze democratiche, le forze del patto costituzionale.
Questi fattori li identificherei sostanzialmente in una crisi economica che si va sempre più aggravando, e che rischia di gettare, ripeto, non solo una parte della piccola borghesia ma anche strati popolari nell'orbita delle tentazioni di carattere autoritario di destra. Ad attestarcelo stanno i fatti recenti, specialmente nell'Italia meridionale, e soprattutto la crisi istituzionale, il senso di sfiducia che in molti settori dell'opinione pubblica si è andato generando ed alimentando nei confronti dello Stato per la mancanza sostanziale di garanzie dell'applicazione dei principi dello Stato di diritto, per la diffusione all'interno degli organi statali di forme di gestione del potere amministrativo e di discrezionalità del potere amministrativo non sempre corrette, molto spesso legate a logiche di lotta politica o di rafforzamento delle parti politiche non consentite dal nostro quadro istituzionale, infine per una eccessiva tolleranza verso gli attacchi ai principi dell'autorità democratica, cioè dell'autorità che si esprime attraverso il voto popolare e la realizzazione di maggioranze all'interno degli organi elettivi che ha provocato molto spesso nelle scuole e nei posti di lavoro degli atteggiamenti prima di perplessità, poi di reale malcontento, verso un eccessivo lassismo nei riguardi di forme di lotta politica che questa volta si manifestavano da sinistra e che rischiavano, e rischiano tuttora, di ricacciare a destra larghi strati di opinione pubblica e di forze popolari che invece non avrebbero alcuna ragione di polarizzarsi e di agganciarsi ad ideologie di tipo autoritario o eversivo.
Pur facendo questo accenno, che evidentemente ha un significato polemico verso forme di lotta politica che si ricollegano ai movimenti extra-parlamentari nel nostro Paese, desidero anch'io sottolineare che la mia parte politica non mette ovviamente sullo stesso piano i tentativi di carattere eversivo fascista e la lotta politica di carattere estremista di destra. C'è indubbiamente, almeno nel nostro Paese, una differenza sostanziale: per le istituzioni democratiche la lotta politica eversiva che le centrali di ispirazione chiaramente fascista portano rappresenta un effettivo pericolo per le istituzioni rappresentative, mentre il tipo di azione disgregatrice che i movimenti extra-parlamentari conducono nel nostro Paese da alcuni anni a questa parte hanno un solo vero pericolo quello di ingenerare sentimenti di sfiducia, di angoscia, di dissenso nell'opinione pubblica atti a dar forza a reali tentativi eversivi e di destra.
Sono d'accordo pertanto con il collega Zanone per quanto egli ha detto poco fa: c'è un giudizio storico, politico, culturale completamente diverso anche da parte nostra nell'affrontare il discorso - che dobbiamo affrontare anche in questa sede - dei due tipi di estremismo che noi dobbiamo registrare nella lotta politica nel nostro Paese. Il pericolo per le istituzioni rappresentative della democrazia parlamentare volute dalla Costituzione repubblicana nel nostro Paese è quindi diverso a seconda che noi parliamo dell'estremismo di destra o dell'estremismo di sinistra: quello di destra, quello fascista, è un pericolo reale e permanente per la nostra vita costituzionale, ed in questo senso noi diamo, per quanto riguarda le analisi e le soluzioni propositive, piena adesione al documento che la Commissione di indagine ha elaborato.
Voglio però ribadire quello cui ho accennato nell'impostazione di questo intervento, e cioè che le forze politiche che si richiamano al patto costituzionale devono andare più in là delle analisi di tipo esclusivamente giuridico, penale, di ordinamento e di funzionalità del sistema degli organi di polizia nel nostro Paese. Non c'è dubbio che noi dobbiamo rendere più operanti, più spedite, più sicure le procedure di polizia giudiziaria per il perseguimento di questo tipo di delinquenza politica organizzata; ma resta fermo, mi sembra, e fondamentale, nel nostro Paese, il problema di risolvere alcuni nodi politici, che non riguarda tanto, innanzitutto, la realizzazione di maggioranze politiche diverse o di accordi politici diversi che diano una sostanza anche di direzione politica nuova al Paese quanto piuttosto il raggiungimento di un accordo fra tutte le forze del patto costituzionale per un disegno di rifondazione del nostro Stato, del nostro sistema politico, che allontani poco per volta i gravi pericoli che ci sovrastano e che derivano sostanzialmente dalla crisi economica e dalla crisi istituzionale che attraversiamo.
Sulla base di queste valutazioni, annuncio il voto favorevole del Partito repubblicano ai risultati complessivi del lavoro svolto dalla Commissione di indagine.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, perché credo che la relazione che compendia le risultanze del lavoro portato a termine dalla Commissione unitariamente sia, in un momento politico così teso ed oscuro quale quello che attraversa il nostro Paese, un fatto importante? Perché essa viene, in questo momento della situazione politica italiana, al livello delle istituzioni, al livello di un intero Consiglio Regionale, e perch costituisce, prima di tutto, una risposta politica, democratica ed antifascista a quelle forze interne ed internazionali che mirano attraverso il terrorismo, la criminalità politica, la strategia della tensione, a gettare il nostro Paese nel caos, a renderlo ingovernabile ed a creare per questa via le condizioni per soluzioni autoritarie.
Questa strategia, che è in atto nel nostro Paese ormai da sei anni, e continuerà ad operare nei prossimi mesi, con obiettivi ben precisi, in collegamento a certe scadenze che l'Italia ha, ha fatto pagare al nostro popolo ed alla nostra democrazia prezzi enormi in stragi, attentati provocazioni ed aggressioni. Le cifre ufficiali dicono che in Italia, dal 1969 al 1974, si sono avuti 840 attentati con ordigni esplosivi, 1192 attentati con mezzi incendiari, 102 attentati con mezzi diversi: in totale 2314 attentati terroristici. Ma la cifra - e lo dimostra la nostra inchiesta - è evidentemente inferiore alla realtà. Solo nel Lazio, l'ANPI e non ancora il Consiglio Regionale, ha censito 466 fatti di provocazione aggressione, assalti squadristici, prima della nuova ondata che ha caratterizzato il 1975. E la Lombardia, nel lontano 1971, aveva censito, in poco più di un anno, più di 300 episodi collegati al periodo più cruento dei fatti di San Babila. In Piemonte, gli episodi, quantitativamente, sono stati, abbiamo visto, 358.
Ma solo quando l'inchiesta delle Regioni sarà conclusa verranno alla luce migliaia di fatti di cui i giornali non hanno parlato: la mappa del terrorismo nero, e di quello mascherato con altro colore ma che è nero nei fini, nei metodi, negli obiettivi, configurerà una situazione eccezionale che solo la grande forza del movimento operaio e la capacità di risposta sul terreno democratico ed antifascista ha potuto fronteggiare, evitando che il Paese precipitasse nel caos. Proprio l'altro ieri, nel suo rapporto al XIV Congresso del Partito comunista italiano, l'on. Berlinguer ha rivendicato alla classe operaia ed al nostro Partito un ruolo ed una funzione determinanti nell'aver scongiurato tale iattura. Voglio ricordare qui le sue parole, che mi sembrano assai significative: "Ci sono state prove terribili - ha detto -, come gli attentati e le stragi. Di fronte a tali problemi, a prove siffatte, ogni errore, anche solo ogni pigrizia mentale, poteva comportare un costo politico, un arretramento, e se avessimo commesso errori gravi, come sarebbero stati, ad esempio, quello di limitarci alla denuncia, o di reagire con nervosismo, con uno stillicidio di ritorsioni, cadendo quindi nella provocazione, o peggio, se avessimo commesso l'errore di attendere che la crisi precipitasse catastroficamente isolando l'avanguardia operaia nel settarismo, se ci fossimo mossi così, ne sarebbe derivata, certo, una involuzione generale ed un precipitare della situazione". Dobbiamo quindi chiederci, prima di tutto, come siamo riusciti a superare finora una prova come questa, e trarre da questa esperienza le indicazioni per andare avanti.
La risposta politica data dalla Commissione consiste inoltre nella denuncia precisa dei fatti, degli autori, dei centri da cui le provocazioni sono partite e partono in Piemonte, nella coscienza raggiunta della loro pericolosità e del loro limite, del loro isolamento morale ed ideale.
Finora un quadro regionale non c'era: nessuno l'aveva dato, neanche chi aveva modo e potere di darlo. Ora che la Commissione ha fornito questo contributo, la comunità regionale deve esserne informata e deve prenderne coscienza in tutti i particolari. Sarà questo un compito, credo, che toccherà alla Presidenza del Consiglio ed al Consiglio Regionale assolvere.
La risposta politica consiste inoltre nel fatto che la Commissione ha tentato e compiuto un'analisi delle cause da cui questi fatti hanno potuto trarre alimento e per cui i loro autori hanno potuto trovare protezione e complicità in una regione così particolare come la nostra. Ebbene, è stata raggiunta la prova, e la piena consapevolezza, almeno da parte dei membri della Commissione, che vi è una forza politica, nel nostro Paese, non extra parlamentare, che quasi sempre risulta coinvolta - complice, protettrice ispiratrice - negli episodi di violenza e di provocazione: il MSI. Oggi questo Movimento è in crisi: una crisi che anche la nostra inchiesta ha contribuito ad accentuare, e che si è manifestata ai vertici con le dimissioni di Birindelli, con le dichiarazioni di Lauro, e con le risse interne, e che si manifesta altresì con la tendenza di una parte di questo movimento a rafforzare la componente eversiva e più scopertamente reazionaria. E' interesse della democrazia acutizzare questa crisi portandola a tutti i suoi sbocchi, ma naturalmente dopo avere bloccato gli sviluppi pratici della componente eversiva. Dev'essere portata avanti questa crisi, sul piano politico, ed occorre far attenzione a non fornirle alibi o pretesti perché possa richiudersi.
Per questo, la Commissione non ha presentato, fra le sue proposte conclusive, quella di una legge per lo scioglimento del Movimento Sociale Italiano. Non è quella la strada da battere. Io non ritengo di poter condividere la proposta che qui è stata avanzata dal Capogruppo del Partito socialista, Nesi. Bisognerebbe aver presente molto bene che cosa è oggi, in Italia, il Movimento sociale. E' un partito che dispone di 2 milioni e 894.837 voti, pari all'8,6% dell'elettorato italiano, l'1% soltanto in meno del Partito socialista italiano, per conto del quale il Consigliere Nesi ha avanzato la proposta; che ha il 14,66% dei voti nel Lazio, il 16,76% in Campania, il 12,53% in Puglia, il 12,19% in Calabria, il 15,89% in Sicilia l'11% in Sardegna; in Puglia, Sicilia e Sardegna è il terzo Partito precede il Partito socialista italiano.
Il problema che dobbiamo porci è come questa crisi vada alimentata, e se la proposta di scioglimento del Movimento sociale per via giuridico legislativa non favorisca, invece, la chiusura di questa crisi nella quale si manifesta la sua impotenza, nel momento in cui esso è stato messo alle corde, isolato sul piano politico e su quello morale, nel momento in cui è possibile colpire le sue due facce.
Il punto, quindi, non è se si debba combattere il Movimento Sociale Italiano, come ovviamente la Commissione propone, ma come lo si debba combattere, attraverso quale via. Si può liquidare un problema politico come quello del Movimento Sociale con una legge? Io credo di no. Anche perché non c'è bisogno di nuove leggi, da questo punto di vista. Bisogna in realtà, prima di tutto assicurare alla giustizia i terroristi neri e tutti coloro che già violano le leggi della Repubblica democratica ed antifascista. Bisogna tagliare qualunque base di massa e non lasciare spazio politico ad una forza che costituisce un pericolo ed una minaccia non in virtù di una nuova legge della Repubblica ma perché così è già stabilito dalla disposizione 12^ della Costituzione repubblicana, là dove essa recita: "E' vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito fascista", e dall'art. 1 della legge n. 465 del '52, là dove si precisa che "Si ha riorganizzazione del disciolto Partito fascista esaltando, minacciando od usando la violenza quale metodo di lotta politica e propugnando la repressione delle libertà garantite dalla Costituzione, o denigrando la democrazia, le sue istituzioni ed i valori della Resistenza".
Ma la Commissione sapeva che la legislazione italiana aveva altre leggi precise di riferimento che sorreggono, od avrebbero dovuto sorreggere l'impegno di ogni settore delle forze di P.S., della Magistratura, di ogni cittadino: la 865 contro il traffico di armi, la 43 contro le formazioni di tipo militare. Mi permetta il Consigliere Zanone di affermare che in Italia esistono tutte le libertà di espressione e di organizzazione politica tranne una: quella di fare del fascismo, in qualsiasi forma. E' consentito secondo la legislazione italiana, anche fare propaganda contro le istituzioni italiane, ma non è consentito far propaganda né apologia di fascismo. E questo è già sancito dalla prima Carta Costituzionale e dalle leggi successive che sono venute per l'attuazione del dispositivo costituzionale.
Detto questo, la Commissione non è sfuggita alle domande più di fondo che emergono dalle risposte all'inchiesta. Come ha potuto accadere tutto questo, come ha potuto svilupparsi una tale catena di attentati alla convivenza civile fra cittadini, oltre che di attentati alla democrazia? E perché gli anni che abbiamo preso in esame sono gli stessi che seguono una impennata ed un crescere della delinquenza comune, oltre che della criminalità fascista? Quali cause sono alla base di questa complessa fenomenologia che è al centro dell'attenzione della vita politica del Paese, ed anche, lasciatemelo dire, al centro di una strumentalizzazione che non possiamo non respingere? Io credo che alle risposte che sono state date, e che la Commissione illustra nella sua relazione, sia da aggiungere una causa più generale: la esperienza che l'Italia sta vivendo drammaticamente, e che è già stata vissuta da altri Paesi capitalistici in periodi di crisi economica acuta (l'espressione "giungla d'asfalto" fu coniata nell'America degli anni Trenta). Quelli che appaiono ai nostri occhi sono gli effetti di un caotico inurbamento, dell'aggravarsi degli squilibri fra i redditi, gli effetti della disgregazione sociale, del dilagare della corruzione, del prevalere di modelli di comportamento fondati sull'esaltazione del denaro e del potere, comunque ottenuti e comunque gestiti. Di tutto questo, ma non solo di questo, che in ogni caso non è un processo oggettivo per il quale non vi siano responsabilità: c'è un altro tipo di malessere, quello che nasce dalla consapevolezza delle ingiustizie non punite e delle responsabilità non accertate e non riconosciute, delle autocritiche che non si fanno n nei fatti né sul piano storico.
E' un dato della coscienza collettiva che la speculazione dilaga all'ombra del potere, che l'apparato fiscale taglieggia chi ha meno, che il ladrocinio ed il peculato sono protetti dalla immunità di corrente, che i corrotti, purché potenti, sono scagionati a colpi di maggioranza, che i nomi illustri scritti nei libri neri dei petrolieri della Montedison o delle organizzazioni mafiose continuano imperturbabili le loro carriere come se il Codice penale non li riguardasse.
C'é la consapevolezza che la giustizia è troppo spesso forte con i deboli ed assai debole con i potenti, troppo spesso ha gli occhi bendati, è lenta non solo per cause oggettive, non perché non sia possibile renderla più spedita, ma per altre cause, piena, sì, di problemi strutturali non risolti, ma anche non guidata da un orientamento unitario, antifascista e costituzionale. Per cui pieno è il consenso quando si processa e si condanna il brigatista assassino rosso Ognibene con procedura d'urgenza, ma profonda è l'indignazione quando, sei anni dopo i fatti di Milano, non si decide a celebrare il processo contro Freda e Ventura; pieno è il consenso dell'opinione pubblica quando la Camera concede l'autorizzazione a procedere contro i caporioni del Movimento Sociale Italiano Servello e Petronio, ma inquietanti sono gli interrogativi sul perché siano state concesse, queste autorizzazioni, così tardi da rendere oggi più difficile l'accertamento delle responsabilità sul giovedì nero di Milano, ed inquietante il fatto che non tutta la Camera e non tutti i Partiti antifascisti abbiano votato a favore di quelle autorizzazioni.
Positivo è che vengano alla ribalta, dopo anni di silenzio, per ammissioni e rivelazioni di Ministri, i legami internazionali fra la "trama nera" in Italia e centrali eversive di ogni altro segno straniere inquietante che vi siano stati implicati settori dello Stato dell'Esercito, e che capo del MSI sia oggi in carcere perché riconosciuto sinora colpevole di aver avuto una parte di rilievo in tutte queste trame.
Molto bene l'arresto e l'incriminazione di Natale Rimi ed Italo Jalongo, e l'incriminazione dell'ex Presidente di Giunta Regionale Gerolamo Mechelli; ma ci son voluti quattro anni, mentre quattro anni non sono neppure bastati a far luce sul delitto Calabresi, sul delitto Mauro, sul suicidio del col. Rocca.
Francamente sconcertante tutta la vicenda che si sta vivendo in Piemonte in questi giorni in rapporto alla denuncia presentata dal gen.
Della Chiesa attraverso un magistrato milanese, che presenta aspetti poco chiari, e che bisogna chiarire presto, con un rapido controllo pubblico rendendo di pubblica ragione il verbale sulla base del quale viene avanti l'imputazione. Noi condividiamo completamente quanto il giurista Conso ha pubblicato in questi giorni su "La Stampa", e che dev'essere presente a tutti noi: bisogna far chiarezza su queste cose, altrimenti è ovvio che si arrivi alla caccia alle streghe, senza che più nessuno sia in grado di comprendere, e si alimentano soltanto sospetti da cui la giustizia non esce certo rafforzata. Perché non c'è giustizia sociale quando un operaio, padre di otto figli, si spara in una baracca di Rho essendo rimasto senza lavoro non c'è giustizia penale quando Sindona, a New York, può godersi in pace i miliardi rubati a migliaia di risparmiatori ed allo Stato italiano.
Se un senso ha questo dibattito, che illustra il significato e la portata unitaria dei lavori della Commissione, questo si manifesta anche nella differenziazione e nel confronto dialettico sulle cause anche politiche che sono all'origine di ciò che l'inchiesta ha denunciato. Queste cause sono lontane, ed hanno radici purtroppo profonde. Ebbene, sul passato, che non è così lontano da non essere interamente legato ai periodi del presente, i comunisti indicano alcuni temi di riflessione ed alcune cause a cui bisogna risalire per individuare certi perché. E prima di tutto, allora, ricordare un indirizzo politico che non si è espresso solo nella tesi degli opposti estremismi, che ha disorientato le forze di polizia, la stessa Magistratura, invitata a stabilire l'uguaglianza tra fatti diversi che non erano omogenei (e quando un Ministro ha riconosciuto l'errore si è trovato il modo di non fargli più fare il Ministro degli Interni).
La carenza di un indirizzo politico veramente e concretamente antifascista risale a molto tempo addietro, è uno degli elementi che determinarono la rottura dell'unità nazionale a partire dal '47, dopo la Liberazione. Certo, è aperto il discorso su questo periodo storico, e noi l'abbiamo aperto anche autocriticamente, al nostro XIV Congresso. E' un discorso che riguarda, con responsabilità diverse, tutte le forze politiche, e fra esse anche noi, e che dev'essere portato avanti in tutte le sedi, ora che è finita l'epoca oscura e triste della guerra fredda anche se non è affatto scongiurata la minaccia di guerra, o guerre, calde che potrebbero anche diventare caldissime, atomiche. Ma per quanto ci interessa voglio qui sottolineare le origini lontane di un indirizzo errato dei Governi che si sono susseguiti in Italia per oltre venti anni - l'ha ricordato già il Consigliere Nesi e sono d'accordo con lui su questo punto : l'indirizzo impresso alle forze di P.S. dopo il 1948, in tutta l'epoca centrista. Guai se noi, qui, in Piemonte, non ci ricordassimo nemmeno di certi momenti che abbiamo vissuto.
Nel quadro della rottura antifascista del 1947, fu data una impronta antioperaia ed anticomunista alla gestione dell'ordine pubblico. I Governi si servirono dello status militare dei corpi di polizia considerandolo la condizione ottimale non per una restaurazione della democrazia o per l'instaurazione di una democrazia di tipo nuovo, quale prevedeva la Costituzione, ma per una restaurazione di tipo capitalistico. Si può dire che in questo senso l'esperienza repressiva dello Stato fascista sia stata messa a profitto, e che su questo terreno, più che, altrove, sia riuscita a sopravvivere, e perfino ad alimentarsi, una certa continuità con il passato.
Come non ricordare, anche per l'esperienza vissuta da ciascuno di noi e certo dai comunisti più che da altri - l'attività di controllo e di schedatura messa in atto nei confronti dei militanti del movimento operaio e democratico da parte degli uffici politici, da parte delle Questure, da parte degli uffici speciali dell'Esercito di allora, da parte di grandi aziende (che oggi, riconosciamo con soddisfazione, hanno cambiato collocazione, ed orientamento politico)? Come dimenticare le centinaia di operai perseguitati, licenziati, non perché fascisti, non perché negligenti sul lavoro, ma perché(comunisti, o sindacalisti? Come dimenticare l'officina "Stella Rossa", cioè il reparto in cui vennero confinati centinaia di operai che avevano salvato la Fiat dai tedeschi, per la sola colpa di essere sindacalisti unitari anche quando era difficile essere unitari, anche quando la comodità o altre opinioni facevano sì che le forze sindacali si scontrassero le une contro le altre, anche quando c'era bisogno di una nuova tessera del pane per andare a lavorare e chi non l'aveva non entrava in fabbrica, mentre se aveva la tessera del Partito comunista veniva cacciato via? Proprio perché non vogliamo più che torni quell'epoca, è bene che nessuno di noi dimentichi quell'epoca. Uno dei migliori protagonisti di quelle crociate contro il nostro Partito è stato appunto Edgardo Sogno. Non perché avesse perso amore per la libertà, ma perché aveva concepito il processo di sviluppo della democrazia in Italia in chiave anticomunista. E così siamo inciampati anche in lui, nella cronologia dei fatti e dei complotti eversivi pensati, tentati, orditi in Piemonte.
Bisogna avere coscienza di questo per rendersi conto che i tempi sono cambiati, che tutti sono cambiati, e l'Italia è cresciuta. Perch dimenticare, perché non voler ammettere che ci sono radici che sono più profonde della teoria addirittura degli opposti estremismi. Perché non ricordare che gli uffici politici della Questura qualificavano elementi pericolosi per la sicurezza dello Stato, con la relativa formazione di fascicoli "A 8" persone che avevano dato il loro contributo alla nascita dello Stato repubblicano (in particolar modo i comunisti, ma non essi soli)? Veniva precisandosi altresì tutto un sistema di definizione, di classificazione e schedatura nei confronti dei vari militanti nei vari Partiti politici. I fascisti, ad esempio, dei quali tutti noi oggi conveniamo sulla necessità di una condanna che non sia morale o politica soltanto, ma di misure anche legislative per perfezionare l'efficacia degli strumenti che devono colpire i fenomeni eversivi in tutte le loro manifestazioni, venivano schedati dalla Questura e dagli uffici politici della Questura dello Stato nato dalla Resistenza come individui orientati verso i Partiti dell'ordine, i liberali come orientati verso i Partiti di centro, i socialdemocratici come elementi di sinistra, i socialisti ed i comunisti come estremisti di sinistra. "Estremismo di sinistra" è una espressione che oggi viene ancora usata alla televisione, in questa accezione che adesso, certo, tutti capiscono fare riferimento a qualche altra cosa; ma negli uffici e negli scaffali e nei formulari e nei dossier di certe Questure italiane ci sono ancora fascicoli intestati, e penso nomi catalogati, secondo questa classificazione.
Con questi orientamenti si può ben spiegare anche perché alla televisione della Repubblica italiana, il giorno dopo i fatti di Milano sia comparso il Questore ad annunciare che tutto era chiarito, tutto era risolto, che Valpreda era stato arrestato e che giustizia era fatta. E si può anche capire perché un Prefetto, come il Prefetto Massa, abbia potuto dire e far pubblicare dai giornali che il vero pericolo in Italia non era certamente il fascismo ma l'estremismo di sinistra. Certo, con questi orientamenti si spiega anche perché per sei anni abbiamo subito e visto maturare tanti tristi eventi.
Naturalmente in questi sei anni l'Italia è cresciuta, cambiata, oggi noi individuiamo, compiendo aggiornamenti e modifiche, gli orientamenti anche storici del movimento operaio perché i mutamenti sono avvenuti attraverso un processo di lotta e di conquista che hanno cambiato molte cose, anche i giudizi che sulla realtà del nostro Paese noi diamo.
Tutta la problematica e le proposte che il nostro Partito, che il movimento operaio ha avanzato nei confronti dell'esercito, e delle forze di pubblica sicurezza, sono un'indicazione di questa maturazione, di questo processo e se oggi puntiamo il dito sulle difficoltà strutturali, certo non dimentichiamo la necessità di svolte politiche radicali su cui queste difficoltà strutturali possono favorire risultati positivi di tipo nuovo.
Oggi diciamo che sono in crisi l'orientamento politico della direzione delle strutture dello Stato, la loro funzionalità, la preparazione professionale e culturale ad esempio del personale di pubblica sicurezza, è necessario un diverso trattamento economico, una diversa dislocazione abbiamo ragione di dirlo ed abbiamo anche ragione di dire che bisogna fare in fretta a fare tutte queste cose perché se voi pensate che la Costituzione è diventata il libro di testo obbligatorio nelle scuole di polizia con una legge del 1974, capite che cosa significa questo, e se qualcuno ha tempo di leggere alcuni dei libri su cui si sono formati i quadri della pubblica sicurezza, può inciampare ad esempio in una enciclopedia di polizia dove alla voce "comunismo" c'è scritto: "Il carattere sostanziale, costitutivo di esso, è distruggere l'umana personalità". E se uno legge la dispensa "Comandare e servire", distribuita agli allievi ufficiali al quarto anno di Accademia, vi trova scritto che "un reparto tenuto in pugno e meno istruito, vale più di un reparto istruito e non tenuto in pugno".
Si spiega ampiamente, con questo orientamento, quanto hanno scoperto venti cappellani di pubblica sicurezza quando hanno condotto un'indagine per conto loro: essi hanno potuto accertare, nel contingente di agenti arruolato recentemente, che il poliziotto modello 1974 ha un'impreparazione intellettuale, morale e psicologica da far paura, la qualifica "ottimo" e stata data allo 0,30%, i buoni sono il 4,48%, i sufficienti il 49,22%, gli scarsi il 46% esatto, ad avere il diploma di scuola media inferiore è solo 15%; e poi avviene che con una pubblica sicurezza così organizzata non si riesce più a tenere in mano la situazione anche con un basso livello culturale e con un forte accentramento di direzione, perché succede che vi sono contraddizioni anche all'interno di questa struttura così organizzata.
E allora, certo, bisogna cambiare e sta cambiando per effetto di una crescita di consapevolezza e di maturità democratica che passa all'interno ad esempio della pubblica sicurezza, che ha dato vita alle manifestazioni di cui i giornali sono stati pieni in queste ultime settimane.
Il problema del sindacato di polizia e quindi di un intervento che non sia soltanto economico, ma che riguardi la personalità del poliziotto, oggi viene messo in una situazione esasperante, è stato oggetto di analisi, di indagini estremamente interessanti: non più di tre poliziotti su dieci sono addetti al servizio di ordine pubblico, mentre la maggioranza è assorbita da compiti burocratici; ben 2227 agenti, per esempio, sono al servizio personale dei 94 Prefetti italiani, sono sotto organico la grande maggioranza delle questure, i criteri della selezione sono arcaici, la preparazione insufficiente, mentre la nuova criminalità è altamente specializzata e con ramificazioni internazionali.
Ma ci sono anche le testimonianze che vengono dalle lettere che i poliziotti scrivono sui quotidiani e non soltanto della sinistra, C'é ad esempio, una lettera di Michele Carnevale ad uno di questi quotidiani che dice, prendendo in esame l'episodio drammatico dell'agente Marchisella: "L'agente Marchisella non era sposato legalmente secondo le leggi vigenti, aveva contratto un matrimonio cosiddetto "di coscienza" per l'assurda regolamentazione che non permette ad un militare di sposarsi prima del 26° anno di età e sino a poco tempo fa questo limite era fissato a 28 anni. Dico questo perché pure io ho vissuto esperienze del genere sono un ex finanziere, anch'io pugliese come il giovane assassinato e per potermi sposare, in quanto mi era già nata una bambina, ho dovuto congedarmi".
Certo, vengono alla ribalta le condizioni in cui vivono: 120/130.000 lire al mese, alzarsi al mattino alle 5, vestirsi di tutto punto, con le attrezzature per prendere servizio alle nove, svegliarsi a qualsiasi ora della notte e poi essere oggetto di tutte le contraddizioni di una società come quella italiana, come quella piemontese, se volete, dove appunto tutte le contraddizioni hanno un livello esasperato.
Un'indagine condotta, sempre dall'inchiesta dei cappellani che hanno interrogato questi agenti di pubblica sicurezza, dice alla fine: "La demoralizzazione in genere è resa più incisiva dal linciaggio morale continuo cui sono sottoposte le guardie dalla stampa di qualsiasi colore dalla conseguente disistima dei cittadini, dalla carenza di considerazione (non si sentono rispettati per quanto effettivamente meritano), dalla sensazione di inutilità, della loro opera per il rispetto delle leggi dalla mancanza di adeguata tutela giuridica e dal sentirsi anche strumenti di una politica della quale non vedono il principio e la fine, comunque certo non l'utilità per la democrazia del nostro Paese".
Le proposte che la Commissione avanza vanno nella direzione che questi fatti che ho denunciato indicano e tendono non solo a combattere la criminalità fascista, ma quella recrudescenza di criminalità comune che in Piemonte ha uno dei suoi maggiori epicentri e qui la Commissione non ha potuto svolgere un'indagine più approfondita - non era neanche suo compito tuttavia ha incontrato lungo il suo cammino spunti, richieste ed interrogativi che collegavano i due fenomeni e qualche cosa bisogna pur dire a questo proposito, perché è un problema che oggi è al centro della vita politica del nostro Paese e nel momento in cui licenziamo un documento sulla criminalità fascista non possiamo nasconderci che in Piemonte c'é uno dei più alti indici di criminalità comune.
Prima di tutto nessuna sottovalutazione, nessuna ambiguità. Cosa si intende per "aumento della criminalità politica e della criminalità comune"? Si intende, per noi comunisti, avere presente e denunciare una situazione che è caratterizzata proprio dal distorto sviluppo economico e sociale del nostro Paese, dove la regola è quella del profitto a tutti i costi e l'ideale della concorrenza esclude quello della solidarietà. Ma c' un'altra peculiarità nazionale, noi siamo afflitti dalla criminalità tipica dei Paesi ricchi: rapine, sequestri, stragi, droga, industria del crimine che ha superato, soprattutto nel nord, la fase artigianale per arrivare alla fase industriale e nello stesso tempo prostituzione, scippi, piccoli furti caratteristici di paesi con vaste aree di sottosviluppo. Ebbene, da quando comincia l'impennata della criminalità? Se si guardano i dati si vedrà che essa comincia a crescere a partire dal 1969/'70 e la crescita dei due fenomeni è parallela, anche nella nostra regione, come dimostrano i dati dei mesi e degli anni che sono stati censiti dalla Commissione.
Tuttavia, è ovvio, il problema della criminalità e della sua recrudescenza non si risolve se non si affrontano, assieme a tutta una serie di misure legislative, anche a monte, le cause economiche, sociali e morali che la generano; ma l'azione di prevenzione e di repressione, che pure è indispensabile, non sortirebbe ad alcun risultato se non si proponesse di colpire il vertice dell'organizzazione della criminalità e si limitasse a reprimere soltanto i manovali del crimine, tanto più che la recrudescenza della delinquenza è connaturata con la presenza sempre più estesa sul territorio nazionale dell'organizzazione mafiosa di cui ci siamo occupati anche in questo Consiglio in un'altra Commissione di indagine speciale, la quale aveva accertato indizi inquietanti, che poi la magistratura ha soltanto in parte confermato, ma che ci dicono come il nostro Piemonte sia anche qui terreno di esercitazione, di presenze, di attività di forme nuove di delinquenza in questo campo. E lo provano significativi episodi di sequestri di persona ed altri atti criminosi consumati dalla banda del mafioso Liggio e dalle SAM del fascista Fumagalili. Sono evidenti allora, di fronte al connubio sempre più stretto fra criminalità comune e criminalità fascista, gli indirizzi che devono essere alla base dell'azione di ordine pubblico in difesa dell'incolumità del cittadino, in difesa dell'ordine democratico.
Le proposte finali della Commissione si muovono in questa direzione, il collega Bianchi le ha illustrate, io non ho nulla da aggiungere perch fanno parte oggi del terreno di confronto fra le forze politiche, è molto importante però che il Consiglio Regionale abbia raggiunto un' unità di fondo su queste proposte, è un contributo alla ricerca dell'unità delle forze democratiche anche a livello parlamentare, un contributo che oggi è essenziale perché se a questa unità non si arriva il Paese viene messo di fronte ad una crisi politica delle assai incerte conseguenze, prima di tutto però sarebbero, queste conseguenze, accompagnate dallo scioglimento del Parlamento e dalle elezioni politiche generali. Ma noi dobbiamo, anche in questo caso, sconfiggere quel Partito dell'avventura che può puntare attraverso a questa via all'esasperazione di tutti i dati già abbastanza gravi della criminalità politica e della criminalità comune.
Signor Presidente, signori Consiglieri, l'inchiesta e stata anche un fatto culturale di massa che si aggiunge e completa, in fine di legislatura, l'ampia attività informativa ed innovatrice che il Consiglio Regionale del Piemonte ha svolto sui temi dell'antifascismo. Essa si è concretata in 300.000 copie, distribuite ai giovani, ai lavoratori, ai soldati nelle caserme, agli studenti della Costituzione, delle lettere dei condannati a morte della Resistenza e di altre pubblicazioni che rievocano fatti, avvenimenti della Resistenza piemontese, italiana ed europea. Si è sviluppata con l'espressione della Mostra della Resistenza - che ora viene esposta nelle Regioni meridionali con grande successo, attualmente e in Basilicata - che ha visto ovunque grandi masse, soprattutto di giovani. Vi sono stati sinora 250.000 visitatori che hanno rilasciato oltre seimila testimonianze scritte, che sarebbe interessantissimo pubblicare, come inchiesta di massa questa volta, di ciò che pensano i giovani del fascismo e dell'antifascismo. Tuttora è in pieno sviluppo con le proiezioni cinematografiche che saranno state, al termine del ciclo in corso, 585 interessanti 94 Comuni della nostra Regione, con una presenza che supererà le 150.000 unità e che si stanno svolgendo in questi giorni anche nelle caserme del Piemonte, per la prima volta nella storia dell'esercito italiano dopo la liberazione ed è la prima volta che un Consiglio Regionale riesce a stabilire una collaborazione di questo tipo. Si può quindi dire che sinora a queste attività del Consiglio Regionale abbiano partecipato direttamente oltre 700.000 cittadini piemontesi e questa cifra non comprende minimamente le altre decine di migliaia che hanno partecipato alle celebrazioni che si sono svolte in quasi tutto il Piemonte in questo trentennale della Resistenza, che non abbiamo certo aspettato l'aprile del 1975 per ricordare.
Un'attività imponente che è stato possibile seguire, coordinare promuovere, organizzare con la collaborazione dei Comuni, delle Associazioni partigiane, delle associazioni culturali dei magistrati democratici, degli Istituti storici della Resistenza ed anche con il lavoro straordinario, come ha già ricordato il Presidente Bianchi, in tutti i sensi straordinario, dei giovani funzionari del Consiglio Regionale che non hanno certamente lesinato sforzi, né contato le ore col contagocce, n fattesele pagare per impegnarsi in questa attività.
Signori Consiglieri, se la violenza, come ricordava Einstain, è il rifugio dei mediocri, l'inchiesta ha dimostrato che il nostro popolo vuole ordine democratico e non violenza, ma ordine democratico vuol dire oggi sviluppo della democrazia, e sviluppo della democrazia vuol dire sviluppo della partecipazione, ma per sviluppare la partecipazione bisogna creare gli strumenti e trovare le forme perché non è un fatto che possa svolgersi spontaneamente; abbiamo quindi trovato, attraverso questa esperienza e ritrovato in fine di legislatura l'origine ispiratrice fondamentale di quello che devono ancora essere le Regioni del nostro Paese: partecipazione vuol dire uscire dalla crisi del Paese politicamente per una strada nuova rispetto al recente passato e tuttavia non così nuova da non avere precedenti illustri a cui collegarsi, precedenti che l'Italia ha già conosciuto ed a cui bisogna riandare se vogliamo davvero dare vita ad un periodo nuovo della rivoluzione democratica ed antifascista nel nostro Paese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Cardinali, ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la relazione per la Commissione sull'indagine delle attività fasciste nella nostra Regione è ormai nelle orecchie di tutti e la seduta, come sempre avviene, ha perso molto nella sua solennità iniziale per trasformarsi in uno stanco dibattito, a dimostrare come molte volte si percorrano strade che forse sono sentite come strade di obbligo, ma in cui la convinzione gioca un ruolo molto modesto.
Io non so se la Commissione può dire "exegi monumentum aere perennius" personalmente mi auguro che questo monumento possa rapidamente rappresentare un momento storico nella vita del primo Consiglio Regionale del Piemonte, un ricordo di un'attività che fu necessario svolgere, di un'attività che sarà superata da un rinnovato ritrovo nella vita italiana di un convivere civile e di una ripresa dello sviluppo e del progresso.
Certo è che il momento in cui è stata nominata la Commissione e svolta l'indagine, si basava su uno stato d'animo delle cittadinanze, di tutta la popolazione che obiettivamente non è ancora stato superato. La piaga della violenza, vuoi di tipo politico, vuoi di tipo comune, le inframmettenze fra l'una e l'altra hanno provocato certamente nei cittadini italiani uno stato di angoscia, una necessità ed un desiderio di sapere essendo troppi i motivi di dubbio, essendo soprattutto troppi i fatti non spiegati, troppi i fatti interpretati in maniera difforme dalle forze politiche e credo che il concetto di fondo, il tessuto che emerge da questa nostra relazione sia sostanzialmente quello che ci è affidato dalle risposte che abbiamo avuto dalle Amministrazioni comunali. Esse hanno rappresentato realmente la risposta più pertinente ed io credo che le risposte dei Comuni, degli Enti locali abbiano messo in evidenza come in quelle località si sia fatto un onesto esame di coscienza che non è rimasto scevro da dubbi che rimangono tuttora aperti. I nostri Comuni ci hanno risposto, in sostanza, esprimendo una grande sete di giustizia, affermando che il Piemonte non è una terra di conquista, per il momento, da parte di forze eversive, che è una regione dove ancora il lavoro fa premio sull'ozio, che è una regione dove tuttora si ha la possibilità di guardare sereni al futuro, ma mettendo in risalto anche come questa giustizia sia, spesse volte, troppo tarda a giungere e soprattutto non tolga quelle ragioni di squilibrio sociale, di difficoltà economiche che tormentano le popolazioni amministrate e sulle quali si innestano obiettivamente i presupposti per il prevalere di piani eversivi soprattutto di marca fascista.
Ma direi che nelle risposte dei Comuni viene messa in evidenza la preoccupazione dei vuoti democratici, che spesso si sono rilevati; noi abbiamo la certezza, la convinzione di aver fatto pienamente il nostro dovere, ma questa segnalazione dei vuoti democratici, dei vuoti che non sono riempiti, del sospetto che i pubblici poteri siano essi stessi un vuoto completo, è realmente il dramma dei cittadini che si sono espressi attraverso i loro amministratori. E allora dobbiamo anche chiederci: esiste realmente questo vuoto del potere pubblico? Io credo che la risposta non possa essere "no, non esiste", il potere pubblico esiste, ma esiste anche una serie di attacchi sistematici al potere pubblico che pervengono da tutte le direzioni nel momento in cui si individua, nella difficoltà delle situazioni economiche, nella difficoltà della situazione politica generale il pretesto per passare a proposte di rovesciamenti di posizioni, per passare a modifiche sostanziali dell'equilibrio politico che esiste nel nostro Paese. E sotto questo profilo non è necessario evocare nessuna posizione di estremismi opposti, né fare altre considerazioni di questo genere perché, mentre abbiamo detto chiaramente che la violenza non ha fisionomia e va combattuta ogni qualvolta essa si manifesta, non possiamo non riconoscere obiettivamente che la vera trama, il tessuto eversivo quello che punta in maniera più particolare, ha una colleganza stretta con le posizioni politiche dell'estrema destra anche a livello parlamentare.
Ma dicevo che questi attacchi al potere pubblico sono attacchi concomitanti e non ci preoccupano quelli che vengono all'esterno dei Partiti che oggi, per mandato elettorale, non dimentichiamolo, hanno la responsabilità di reggere il potere pubblico, quando vengono dall'esterno possono avere motivazioni varie, obiettivi vari, ma si spuntano di fronte alla omogeneità ed alla compattezza delle forze politiche su cui grava in questo momento ancora la responsabilità di risolvere i problemi italiani.
Riteniamo invece che ci siano degli attacchi obiettivi a questo potere pubblico i quali avvengono per la scarsa chiarezza con cui le forze che fanno parte della maggioranza conducono le loro azioni politiche ricercando spesse volte, con manovre esterne, supporto a forza che presumono di avere ma che in realtà non hanno. Certamente contribuiscono a ridurre la credibilità del potere pubblico, gli scandali, il modo in cui tuttora si svolgono, a livello dei grandi complessi industriali in Italia, manovre e alchimie che la gente non capisce e che hanno in sé, comunque, per il solo fatto che si verificano, elementi di estrema importanza. Ma direi soprattutto che l'attacco fondamentale al potere pubblico nasce dalla sfiducia che potrebbe essere alimentata dai cittadini se il potere pubblico rinunciasse a portare avanti quello che gli compete e cioè il programma serio, concreto per la risoluzione della crisi economica del Paese ricercando fra tutti i cittadini non solo un impegno solidale, ma un impegno proporzionato a ciò che ciascun cittadino è in grado di sopportare.
Io credo che le cause che noi abbiamo individuato come cause di carattere economico, sociale e politico siano valide, ma si inseriscono in un discorso più generale che occorrerà pur fare, mentre mi pare che in questo dibattito il discorso si finisce per non farlo nel momento in cui tiriamo le conclusioni politiche di un'indagine di questo tipo e soprattutto non ci chiediamo a chi compete di tirarle queste conclusioni: ai comitati antifascisti, ad un fronte cosiddetto dell'arco costituzionale che va dal Partito liberale al Partito comunista? E' questo il programma la prospettiva che in sostanza viene legata per dare una risposta che sia politica ai risultati della nostra inchiesta? Io credo che questo sia un nodo che dovrà essere sciolto, non so se il momento per scioglierlo sia l'attuale, certamente lo sarà al momento della prossima consultazione elettorale in cui le forze politiche, soprattutto le forze politiche democratiche, dovranno assumere chiare responsabilità e dire cosa intendono fare. Perché è evidente che c'é una sola strada che pu essere battuta, che può sventare ogni manifestazione di tipo fascista ed è quella della salvaguardia e del riempimento di contenuti dello stato democratico. Al di fuori di questa strada non vi è la possibilità di risolvere i problemi italiani e si dà spazio alle forze eversive di tutti i tipi, non si dà una risposta all'interrogativo che il cittadino ormai si pone: lo Stato democratico, le forze democratiche sono capaci, da sole, di risolvere questi problemi? Io credo che questo sia il momento in cui non si devono perdere di vista i fatti generali, si deve dire chiaramente agli italiani se il futuro dell'umanità o il futuro del nostro Paese è necessariamente legato ad una disputa tra opposti tipi di totalitarismo, se cioè non esiste altra via che quella di dedicarsi fiduciosamente ad un totalitarismo, o di attendere che ne prevalga un altro reazionario, occhiuto, con tutte le caratteristiche che abbiamo conosciuto.
La risposta che occorre dare è in questo senso, gli esempi che ci sono nel mondo sono scottanti, ma le nostre responsabilità sono enormi soprattutto quando manchiamo ai compiti essenziali di interpreti di quella realtà sociale che emerge dal Paese e che non dobbiamo ignorare, ma che deve spronarci, al contrario, a ricercare tutta l'omogeneità, tutta la compattezza che le forze democratiche possono darsi per mantenere spazio alla democrazia.
Io credo - per concludere questo intervento a nome del mio Partito che non si possa negare la validità di una frase che il segretario del mio Partito ha avuto occasione di pronunciare in occasione dei gravissimi fatti che si sono recentemente verificati in Portogallo e cioè che molte forze in Italia, forze di un arco enorme, sono disponibili per la lotta contro il fascismo, ma non tutte queste forze le ritroviamo nel momento in cui si deve condurre una battaglia per la democrazia e per la libertà, a salvaguardia del metodo democratico al quale non intendiamo in nessun modo rinunciare.



PRESIDENTE

Se non vi è più nessun Consigliere che desidera intervenire, darei ancora la parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano, relatore

Signor Presidente, non dimentico di aver qui svolto poc'anzi la funzione di Presidente della Commissione e quindi resisto alla tentazione sollecitata dal dibattito, di riprenderne i motivi anche più salienti. Far alcune precisazioni che vorrei fossero sobrie e nello stesso tempo generali e di principio, lasciando alla sensibilità dei colleghi di trarne le necessarie specificazioni. Non ci mancherà comunque occasione, nell'impegno politico comune, di chiarire ogni ulteriore questione e problema che riguarda la nostra azione ed il significato della nostra presenza politica.
Per il mio Gruppo, per noi, per me se mi consente il Presidente anche il riferimento personale, il fascismo nelle sue varie e possibili forme ed incarnazioni, è in contraddizione radicale profonda, insanabile non solo con la concezione dello Stato, della società e del potere e del suo esercizio che può averne chi si ispiri a principi di democrazia generati ed arricchiti dalle convinzioni e dalla cultura cristiana, ma investe il giudizio sull'uomo, sul suo destino e ruolo personale e nella comunità sulle sue scelte, sulla sua etica.
L'essere coerenti a questa visione è certamente impegnativo e difficile, ce ne accorgiamo tutti i giorni e qui sta il nostro impegno ed il nostro travaglio quotidiano.
Alcune conclusioni politiche sono comunque per noi definitive, quali che siano le difficoltà ed i problemi della nostra democrazia e dei suoi sviluppi, quali che siano le evoluzioni dei rapporti internazionali e la collocazione dell'Italia in essi, quale che sia il comportamento di altre forze politiche, qui ed altrove, la condanna del fascismo, palese o larvato, vecchio o nuovo è per noi senza appello perché è una scelta morale prima ancora che una scelta politica.
Questo impegno e questo patto con la società italiana e con le altre forze politiche va rafforzato. Noi siamo dell'avviso che i confronti politici, quando la democrazia viene instaurata, li realizza nella lotta politica e non attraverso gli strumenti meramente giuridici. Questo impegno e questo patto va rafforzato e ci porta a ricercare, con le altre forze politiche sociali e democratiche, le vie della costruzione di strumenti di prevenzione e di difesa, di strumenti di persuasione democratica, di ricupero democratico senza cedere alla tentazione delle intimidazioni psicologiche da proporre o da subire (noi non siamo disposti a subirne) senza minimizzare violenze ed atti eversivi, più o meno consapevoli riedizioni di miti e rappresentazioni irrazionali.
Ricordiamo, per essere capiti, come sia, a distanza di un tempo così ravvicinato, abbastanza significativo il veder riproporre come coloro anche nella nostra società, la confusione tra fogge militari e fogge borghesi, la commistione tra fogge militari e fogge borghesi, il disprezzo per le forze politiche organizzate e per le istituzioni che si possono, sì, riformare ma non travolgere o minacciare di travolgere soprattutto da chi non ha proposte, o alternative, né base popolare.
Ed infine ancora l'emblematico, il significativo insulto a quella che parve essere, non tanti anni fa, come una delle prime conclusioni concrete della lotta della Resistenza, la conquista di uno dei più preziosi doni per il popolo italiano, il diritto di partecipare alla vita nazionale ed alle scelte politiche anche mediante il voto liberamente preparato e liberamente espresso. Nessun atteggiamento, quindi, passivo e difensivo, tutte le Maginot della storia, militari o politiche, sono saltate per aggiramento e noi non vorremmo essere complici dell'aggiramento di questa democrazia dimostrando il fronte in modo non completamente organizzato.
L'impegno positivo riguarda le istituzioni, qui è la prova, lasciando l'analisi storica che possiamo riproporre tutti, sui motivi, sulle cause sui ruoli svolti dalle forze politiche nel nostro Paese; qui è il terreno positivo di confronto, e riguarda le istituzioni, i loro contenuti, il loro modo di essere, la formazione civile, la formazione culturale, sociale del cittadino, la risposta efficace e pronta al problema delle istituzioni, la loro partecipazione sempre più vasta ed autentica alla costruzione di una società più giusta.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta avv. Oberto.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, non mi nascondo e non nascondo a loro che mi faccio una certa violenza per prendere la parola.
Sono perfettamente d'accordo con quanto ha detto testè il Consigliere Cardinali: se quelle luci abbacinanti che hanno accompagnato l'inizio di questo dibattito fossero ancora qui presenti in questo momento e le riprese fossero di questo momento, la conclusione che coloro i quali vedranno il quadro sarà che dei Consiglieri Regionali resistenti per dibattere un argomento di questo genere non sono molti. E tuttavia, difficile per il tempo, difficile per quello che già stato detto, mi sembra che sarebbe un venir meno al mio dovere di Presidente del Governo Regionale di questo Piemonte - e vorrei dirlo in modo particolare al Consigliere Nesi, il quale ha parlato evidentemente in termini generali di istituzioni che non hanno in sé il nerbo dell'antifascismo, mentre questo nerbo il Consiglio Regionale, la Giunta Regionale l'ha sempre dimostrato e sempre sistematicamente praticato - se non intervenissi e se non fosse tarda l'ora il mio intervento dovrebbe essere più ampio di quello che non sia.
Signori, o si crede in queste cose, o non si crede; se sono delle semplici manifestazioni esterne possiamo anche farne a meno, non lo si combatte così il risorgente fascismo, o si è intimamente convinti di assolvere ad un precetto costituzionale, di rispondere ad un'esigenza intima di ribellione a tutto ciò che èe antilibertà e antidemocrazia ed allora si va avanti per questa strada, ma se a questo non si crede si diserta, invalidando nella loro sostanza le stesse istituzioni dall'interno.
Mi scusino questo sfogo, ma era dentro di me e lo dovevo fare.
Non poteva mancare la voce di chi ha la responsabilità del Governo regionale ed io desidero innanzi tutto esprimere l'apprezzamento più vivo per il lavoro che è stato svolto dalla Commissione che tutto il Consiglio Regionale ha voluto e per il modo in cui la Commissione ha lavorato andando all'accertamento di documenti, di dati, di elementi certamente preziosi. E desidero esprimere anche l'apprezzamento più vivo per l'alto vigile senso di responsabilità che l'ha guidata e l'ha animata, al di là di quelli che potrebbero essere soltanto dei momenti di risentimento e quasi di rabbia, andando invece alla ricerca di ciò che deve essere acquisito perché si possa sapere e conoscendo e sapendo, si possa tempestivamente provvedere.
La sintesi fatta dalla relazione nella stesura che ha efficacemente tenuto conto di tutta questa complessa espressione di pareri che ha lumeggiato anche, in nuce - e qui è stato evidenziato più chiaramente quella che poteva essere la ragione di un intimo dissenso, di valutazione storico-filosofica del fenomeno della Resistenza fatto in chiave marxista o fatto in chiave liberale o crociana che si voglia dire, ha un'altissima significazione di principio perché accredita questo nostro fatto di un'espressione altamente di cultura.
Bianchi Adriano, che è stato il Presidente di questa Commissione, che è stato il relatore, che ha agito con uno spirito che tutti gli conosciamo che gli deriva anche dall'essere stato partecipe di quella lotta di liberazione pagando di persona, portando nelle sue carni, ancora adesso, il segno di quella che è stata la sua partecipazione, che si onora e si fregia di una medaglia che gli riconosce i meriti, non poteva non essere il più degno di quelli che facevano parte della Commissione per rendersi interprete della volontà di tutti. Questa Commissione non ha straripato, è rimasta nei limiti dell'argine che il Consiglio Regionale piemontese si era dato in termini precisi e concreti, con quell'ordine del giorno al quale oggi torniamo a fare riferimento, accettando la consegna di questo documento; non ha certamente invaso delle competenze altrui, è rimasta coerente, coraggiosa e responsabile ed ha visto il pericolo reale.
Badino, signori Consiglieri, qualcuno lo leggerà nel tempo, vorrei che nessuno avesse da leggerlo con rammarico; badino che la difficoltà più grave di oggi è quella di troppa gente che non vede il pericolo, che lo contesta e che lo nega, che chiude gli occhi dinanzi ad una situazione che è invece sotto le mani di tutti coloro i quali hanno la capacità e la possibilità e la sensibilità di incontrare la realtà verso la quale siamo diretti se non blocchiamo in tempo questa corsa che involge, nella rapidità del corso, molta gente sprovveduta la quale può arrivare, senza volerlo probabilmente, al traguardo finale di un'altra perdita di libertà per tutto il nostro Paese.
Questa Commissione fa la denuncia e determina dei momenti costruttivi identificando le cause, o forse meglio i momenti ispiratori di questo risorgere del fascismo indicando e proponendo dei correttivi; è un grosso suono di campanello di allarme che attraverso alla collaborazione della stampa, quanto mai preziosa, dovrebbe diventare un suono di campane a stormo perché tutti si rendessero conto di come il pericolo c'è e vada ostacolato prima che diventi una realtà difficile. E' un allarme che il Consiglio Regionale del Piemonte porta innanzi.
Signori Consiglieri, me lo consentano, molto rapidamente: anche allora nel 1919/'20/'21 si usciva da una guerra, a differenza di quella di adesso vittoriosa, si era nel pieno di una crisi che attanagliava tutti, che ci prendeva tutti sotto un profilo socio-economico, anche allora come adesso vi era un tessuto sul quale potevano essere insediate le forze insidiatrici della libertà e della democrazia e si incominciò allora con il manganello con l'olio di ricino. Si poteva anche sorridere di questi atteggiamenti, ma poi dal manganello e dall'olio di ricino si è passati attraverso ad una strada che ha condotto ai tribunali speciali dove si condannava per l'espressione, supposta, di una opinione. Si è arrivati alla soppressione della libertà di stampa, sui giornali non si poteva più scrivere quello che si pensava e si voleva e ci si doveva adattare alla voce del padrone, si sopprimeva la libertà di riunioni e non era possibile che cinque galantuomini i quali avevano in mente di scambiarsi delle idee, potessero trovarsi e non era possibile che qualcuno, su di una piazza, potesse rendere testimonianza del suo credo interno agli altri suoi concittadini. E si arrivò alla soppressione dei partiti e vi fu la forza del Partito unico e milioni di italiani (e sottolineiamocelo per noi, perché il pericolo è anche di oggi) per amore del quieto vivere, accettarono tutto questo subirono tutto questo. Vi furono che si ribellarono, che pagarono con l'esilio, con la vita la loro ribellione, ma milioni di italiani affascinati da questo barbaglio di luce che faceva portare in casa tre volte la posta, che faceva rendere servizievole il telefono, che faceva rendere utile il treno, che dava lo spettacolo sulle piazze con il "carro di Tespi", milioni di italiani hanno rinunziato insensibilmente alla libertà. E' il pericolo che possiamo correre anche oggi, anche oggi è soltanto il piccolo segno di violenza, con delle espressioni tremende e tragiche tuttavia che possono involgere tutti e distruggerci. E ad un certo momento si impedì l'espressione democratica dei Comuni, delle Province, si soppressero, con una finzione che andava al sistema del plebiscito, le libere elezioni e dall'alto, dal centro di potere, con la violenza morale e psicologica, si dominava tutta l'amministrazione della cosa pubblica, anche la magistratura era inquadrata. Chi vi parla ricorda una sfilata per via Roma di magistrati con tanto di divisa e tanto di gradi, anch'essi inquadrati nel sistema della violenza e della prepotenza del regime.
E poi si conobbe il confine, e poi si conobbe l'esilio, e poi vi furono le soppressioni: Matteotti, Gobetti, Rosselli, Don Minzoni; sono soltanto dei nomi. E poi vi furono le guerre di conquista,e poi vi furono le guerre perdute, e poi i campi di concentramento e di sterminio, e poi quelle migrazioni bibliche, quel razzismo spietato, e poi uno che pensava per tutti.
E ancora, non per la voce mia, ma per la voce di un ragazzo di 19 anni che alla vigilia della morte ha scritto ai suoi amici: "Non dite mai di essere stanchi, non diciamo mai di essere stanchi, di non volerne più sapere, tutto quello che è accaduto, è accaduto perché non ne volemmo più sapere". E tutto è incominciato proprio così, per amore di quieto vivere si è persa, senza accorgersene, la libertà. Ora la libertà è un bene individuale, personale, ma un bene essenzialmente comunitario, o c'è per tutti, ed è libertà, o non c'è per qualcuno,e non è più libertà per nessuno. E' un bene indivisibile. Sono i valori essenziali, quelli di democrazia e di libertà, valori di una società pluralistica come quella nella quale noi viviamo e per la quale noi lavoriamo, con un concetto di rispetto dell'autorità, con un ripudio assoluto della formula di autoritarismo perché l'autoritarismo, selciata o no, della dittatura che porta inesorabilmente alla tirannide.
Hanno parlato, per la voce di Bianchi e della sua Commissione, mille Comuni, alcune Comunità - montane, alcune Province, alcune forze sociali di diverso orientamento ed hanno recato la certezza della loro testimonianza di quanto sta accadendo attorno a noi per dirci che il pericolo è realtà. E allora noi rispondiamo prendendo in consegna questa relazione e le determinazioni che dovranno essere consequenziali ad essa e diciamo che con questo atto il Consiglio Regionale, la Giunta associandosi, obbedisce al precetto della Costituzione, è irrinunciabile il principio dell'antifascismo: applicare le leggi, applicarle tutte, applicarle con respiro responsabilmente democratico, ma, se mi è consentito di dire l'espressione di maggiore adesione alla relazione testè letta, farle applicare le leggi, in termini concreti, impedendo che siano rimessi in circolo coloro i quali sono i maggiori insidiatori della libertà e della democrazia e rimuovere le cause.
In pieno la Giunta che ho l'onore di presiedere accetta questo concetto, rimuovere le cause, rimuovere i motivi e tutta l'adesione che viene portata dai vari Assessori insieme al Presidente all'attenzione dei problemi che scompaginano il mondo del lavoro, che creano delle turbative nelle vite delle famiglie, è un rimuovere le cause, se è vero quello che hanno scritto mille sindaci dicendo che innanzi tutto a monte si deve guardare per cercare i momenti determinanti del verificarsi di questa nuova forma eversiva fascista.
Ecco allora che non è soltanto un motivo di protesta, ma è una viva presenza che la Giunta Regionale intende di portare innanzi associandosi alle condizioni che sono state relazionate nella relazione della Commissione.
Vorrei sottolineare in modo particolare e rapidamente concludere, ho avuto occasione di dirlo forse altre volte in questo stesso Consiglio, ho avuto occasione di scriverlo: accanto a questo grosso pericolo della violenza di un fascismo risorgente, vi è un'altra forma di insidia alle istituzioni ed è il qualunquismo che sottilmente si porta innanzi, è l'aggressione più sottile, di una violenza diversa ma violenza anche quella, di suggestione, di inganni, di menzogna detta a coloro che, non provveduti, possono accettare anche questa forma; guardiamoci dentro guardiamoci dentro signor Presidente del Consiglio, signori Consiglieri anche dentro di noi antifascisti e uccidiamo in noi il tema della violenza della prepotenza, dell'intolleranza, della sopraffazione, persino nell'essere fermamente e dichiaratamente antifascisti ricordiamoci che lo dobbiamo essere con la forza del ragionamento, delle opere concrete, della rimozione delle cause, dei momenti che determinano il verificarsi di questo fascismo prima e più ancora che attraverso ad una contrapposizione che potrebbe ad un certo momento, per motivi di legittima difesa, rendersi necessaria.
Anche oggi nella mia città, come nel 1922, l'altro ieri, quasi in prossimità del luogo in cui avvenne nel 1922, si è verificato uno scontro violento tra studenti ed operai di una certa formazione, e studenti e operai di un'altra formazione. Nel 1922 accadde una cosa di questo genere vi fu il rinvio a giudizio di un gruppo di antifascisti del quale facevo parte e di un piccolo gruppo di fascisti che non potevano essere accertati sicuramente come partecipanti al contrasto ed al conflitto. E' stato un atto di violenza per difenderci legittimamente ed io credo nel valore delle difesa legittima, ma nego ogni possibilità di accreditamento alla violenza come tale, come espressione di conquista, di dominio e di prepotenza. E nella mia città si vivono giornate di inquietudine che non sono recepite nella relazione soltanto perché temporalmente avvenute dopo.
Rientriamo allora, se mi è consentito di dire - non per la mia autorità di Presidente della Giunta Regionale, ma soltanto per l'autorità che deriva dalla mia età e dall'esperienza vissuta - cerchiamo di rientrare in noi stessi, resistendo alla tentazione della violenza, non facciamoci ragione da noi, rendiamo omaggio a chi porta il peso pesante della difesa, alle forze di polizia che muoiono per difendere il nostro ordine, per difendere i cittadini. Siamo presenti, non chiudiamo gli occhi di fronte a quello che avviene, rimettiamoci a chi di dovere per la tutela dell'ordine, ma invochiamolo fermo e sereno, senza riluttanza e senza prepotenza.
Noi, consegnando questa relazione ed il dibattito che ne è seguito sono convinto, diamo un contributo di alto valore che sarà consegnato a coloro i quali dovranno prenderne atto, considerarlo nei provvedimenti che spetta loro di prendere.
E' certamente un titolo di merito per il nostro Consiglio, è un titolo di merito per coloro che hanno collaborato, vorrei dire i giornalisti anzitutto, che hanno dato alla Commissione un apporto notevole e che l'hanno dato oggi notevolissimo, con lo spazio ampio, con i titoli vistosi che hanno dato a questa relazione per far sentire all'esterno che cosa il Consiglio Regionale pensa di questo fenomeno che ha la sua ragione di preoccupazione vivissima. Ebbene, grazie a loro, ai Magistrati, ai Prefetti, al Comando militare ed anche ai privati.
Gli Enti locali, i 1209 Comuni, le sei Province in persona e dei Sindaci, dei Presidenti di Provincia, dei Consiglieri provinciali e comunali insieme ai Consiglieri regionali ed al Presidente del Consiglio Regionale, in occasione dell'incontro celebrativo che si svolgerà al Teatro Regio come manifestazione celebrativa della ricorrenza del trentennale diranno ancora una parola anche in questa direzione, confermando quanto hanno detto rispondendo alla Commissione che li interessava.
Certo, la conclusione dev'essere pure ricavata come motivo di meditazione che io faccio prima mio e prospetto poi alla vostra considerazione; certo, sono momenti difficili, vi è stata l'irruente presa di posizione ed il ricordo analitico da parte del Consigliere Sanlorenzo di quelli che sono stati gli errori che si sono verificati negli ultimi anni in questo momento di ripresa del nostro Paese. Mi consentano però di dire che questi 30 anni, certamente duri, certamente difficili, certamente con errori, certamente con scandali sono stati tuttavia anni governati dalla pace e dalla libertà, dalla libertà per tutti, dalla libertà anche per coloro che insidiavano i valori della libertà, di quella libertà che è tanto facile perdere, terribilmente difficile da ricuperare.
Senza esitazione quindi, signor Presidente del Consiglio Regionale agisca per quanto il Presidente della Giunta Regionale possa darle questo suggerimento, per l'espletamento completo di questa iniziativa. Quello che noi abbiamo fatto, lo ripeto, è una legittima difesa oltre che una precisa scelta di campo ed è un adempimento costituzionale che non può essere vulnerato nella lettera, nello spirito che è in fondo lo spirito della Resistenza.



PRESIDENTE

Avevo preannunciato una proposta di mozione: "Il Consiglio Regionale del Piemonte approva la relazione e le conclusioni presentate dalla Commissione di indagine speciale sulle condizioni sociali e politiche da cui traggono origine ed alimento le attività di eversione fascista e sulle organizzazioni che sostengono e svolgono tale attività incarica la Presidenza del Consiglio a presentare al Capo dello Stato le conclusioni a cui è giunto il Consiglio Regionale in adempimento dell'impegno assunto il 24 luglio 1974 e a presentare le indicazioni, le conclusioni e le proposte contenute nella relazione della Commissione al Governo, alle autorità regionali di P.S. ed alla Magistratura, agli Enti locali, alle forze politiche e sindacali, ai Comandi militari ed alle autorità scolastiche impegna altresì la Presidenza del Consiglio ad attuare tutte le misure che in applicazione dell'articolo dello Statuto regionale consentono all'intera comunità regionale, di venire a conoscenza degli elementi e dei dati approvati dalla Commissione d'indagine nonché delle conclusioni e delle proposte cui è pervenuta".
Qualche Consigliere desidera intervenire sulla mozione? Pongo in approvazione la mozione di cui ho dato lettura.
Presenti e votanti n. 31 Favorevoli n. 31 Consiglieri.
E' approvata all'unanimità.
Ringrazio il Consiglio e dichiaro tolta la seduta.



(La seduta ha termine alle ore 18,20)



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