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Dettaglio seduta n.292 del 25/02/75 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'ordine del giorno reca: "Esame disegno di legge n. 232: 'Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1975"'; "Istituzione del Comitato regionale di Coordinamento dei Trasporti (art. 2 Legge regionale 30/12/1974, n. 41): nomina di nove esperti di Economia e Tecnica dei Trasporti"; "Istituzione Commissione tecnica regionale (art. 6 legge regionale 8/11/1974 n. 32): designazione di cinque esperti nelle materie chimiche o biologiche o di medicina igienistica o di ingegneria" "Esame progetto di legge n. 101 presentato dai Consiglieri Nesi Simonelli, Viglione, Fonio, Calsolaro: 'Concessione di un contributo annuo per il finanziamento dell'Istituto universitario di Studi europei di Torino"'.
Comunico che altri disegni di legge sono stati ritirati: il n. 158: "Interventi per lo sviluppo dell'elettrificazione delle zone rurali" presentato dai Consiglieri Ferraris, Revelli, Marchesotti il n. 167: "Provvedimenti straordinari ed integrativi per lo sviluppo della proprietà coltivatrice singola ed associata", presentato dai Consiglieri Ferraris, Marchesotti e Revelli, mentre il 163, il 168, il 164 il 116, il 124 e il 125 sono stati mandati in Commissione a richiesta dei singoli presentatori.
Questo l'ordine del giorno. Se nessuno intende chiedere inversioni o modificazioni, lo si intende approvato.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri: Chiabrando, Debenedetti, Giovana Sanlorenzo, Nesi.


Argomento: Pianificazione territoriale - Urbanistica: argomenti non sopra specificati

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

a) Incontro con una delegazione del Comitato di quartiere Borgonuovo di Leinì



PRESIDENTE

La Presidenza del Consiglio regionale ha ricevuto ieri una delegazione del Comitato di quartiere Borgonuovo di Leinì, venuta a segnalare la grave situazione di squilibrio urbanistico in cui si trova la zona a causa del sorgere di costruzioni industriali in zone residenziali. E' stato altresì rilevato come la grave carenza a livello di pianificazione territoriale sia causata dalla mancata adozione da parte del Comune di qualsiasi strumento urbanistico. A questo scopo la delegazione ha consegnato alla Presidenza una petizione firmata da oltre cinquecento persone in cui si chiedono servizi sociali, verde pubblico, opere di urbanizzazione primaria e secondaria.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame disegno di legge n. 232 "Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1975" (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo la discussione sul bilancio di previsione per il 1975. Sono iscritti a parlare i Consiglieri Gerini, Curci, Lo Turco, Fassino, Rivalta.
Il Vice Presidente Fassino mi ha fatto avvertire che, a causa di un importante impegno fissato per le 9,30, sarà costretto a giungere in aula con un certo ritardo.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Gerini.



GERINI Armando

Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta colleghi Consiglieri, vorrei dare atto, innanzitutto, alla Giunta di aver offerto alla considerazione del Consiglio regionale un'ampia e ponderosa relazione, che nella parte iniziale, inerente alla situazione economica nazionale e regionale, con tutti i problemi economici italiani e piemontesi che da essa derivano, si appalesa, a me pare, più obiettiva ed aderente alla realtà rispetto alla relazione del 1974. Inoltre, mi è apparsa molto meno politicizzata, e quindi in sostanza più concreta.
Mi dolgo di non aver potuto ascoltare o leggere la relazione Dotti perché fui assente giustificato nelle precedenti sedute, inviato dal Presidente del Consiglio in missione, e pure mi dolgo di non aver potuto ascoltare gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto.
A leggere un lungo commento di pochi giorni fa, apparso su un quotidiano del pomeriggio, mi è sembrato di capire che i giudizi finora espressi sono stati abbastanza critici, non tutti invero contro la Giunta ma soprattutto evidenzianti le difficoltà in cui opera l'Istituto regionale, per la carenza di fondi, per essere ancora difficili gli rapporti tra Governo centrale e Governo regionale, specie se si tiene conto della crisi drammatica che il Paese e il Piemonte attraversano.
Di questo mi sono reso conto, pur essendone già convinto, in occasione della manifestazione di Roma di martedì scorso, anche se piuttosto strumentalizzata, in cui rappresentavo il Presidente Viglione, e poi ancora alla riunione dei rappresentanti dei Consigli e delle Giunte regionali a Napoli, venerdì scorso, per la preparazione del III Convegno regionale per i problemi del Mezzogiorno.
L'appello al Governo ed al Parlamento, teso ad esigere per i Comuni per le Province e per le Regioni un maggior grado di autonomia specialmente finanziaria, non può certamente essere ulteriormente disatteso, pena la disarticolazione più accentuata dello Stato.
Il crescente indebitamento degli Enti locali, giunto, mi pare, ai 20.000 miliardi, dovuto in parte, ma non del tutto, al crescente peso di obblighi e di competenze che lo Stato scarica sugli Enti locali, non può e non deve ulteriormente accrescersi, pena il blocco totale dell'attività amministrativa. Non saranno certamente quelle poche centinaia di miliardi (mi pare 300) che qualche giorno fa il Governo centrale ha autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti a scucire, per riequilibrare la situazione. E' la linea politica che è sbagliata, a mio avviso, perché è stata finora una linea politica rinunciataria, sprogrammata, non animata da volontà riformatrice; è la linea che ha caratterizzato l'ultimo decennio di Centro Sinistra.
Il nostro bilancio preventivo per l'anno 1975, al di là della impostazione economica, risente della particolare ed abnorme situazione di crisi che turba tutta l'economia nazionale, e particolarmente quella della nostra Regione.
Dati statistici precisi, relativi alla situazione di crisi della Regione, oltre a quelli della recessione che turba i vari settori industriali, ed in modo particolare quello dell'automobile e dei tessili purtroppo non ne abbiamo a disposizione. E' sensazione comune, però, che oltre all' industria, nel corso dell'anno 1974 sono stati gravemente pregiudicati in senso negativo anche i settori del commercio dell'agricoltura e dell' artigianato, tanto per riferirmi agli argomenti sui quali desidero brevemente intrattenermi.
Le difficoltà d'ordine economico che hanno influenzato da vicino il settore commerciale sono certamente quelle conseguenti alla diminuita possibilità di spesa connessa all'alto costo dei prodotti e del denaro.
Dobbiamo tutti ammettere che nel settore commerciale e distributivo la Regione è ferma alla fase conoscitiva di studio per gli interventi, per il piano di sviluppo commerciale, per le provvidenze circa la ristrutturazione della rete distributiva. Abbiamo sì delineato un Comitato regionale per i problemi della commercializzazione e del consumo, ma il disegno di legge della Giunta penso che sarà del dopo giugno, chiudendo così il bilancio per questo settore in modo negativo.
L'Artigianato, come la piccola e media industria, risente particolarmente delle cosiddette influenze indotte di carattere negativo che hanno colpito la grossa industria. E' un problema di per sé serio molto serio, e destinato a diventarlo di più, a mio parere, ancora per qualche tempo; un problema sul quale non molto tempo fa il Presidente della Giunta, gliene do atto, aveva fornito al Consiglio obiettive e puntuali precisazioni.
Qui, come nel settore del commercio, la Regione dovrebbe essere presente per favorire l'associazionismo e promuovere, m aggiunta alla iniziativa della legge sul credito agevolato, particolari forme di incentivazione più marcate per una riconversione della tendenza produttiva oggi in preponderanza agganciata all'automobile. Occorre dare corpo a particolari iniziative oggi solo accennate e non ancora disegnate, che agiscano sia sul mercato nazionale che soprattutto sui mercati esteri mercati nei quali il nostro artigianato gode di buona fama e di prestigio.
Rassegne, esposizioni ed altre forme rafforzerebbero anche il flusso turistico.
Il settore ove la crisi economica generale si evidenzia in tutta la sua gravità e quello agricolo, e penso che i colleghi che mi hanno preceduto lo avranno dibattuto ed ammesso. Questa crisi condiziona ancora la bilancia commerciale del Paese nell'ordine di 2500 miliardi. Le prime stime del reddito agricolo relative all'annata agraria scorsa, secondo i dati dell'INEA, registrano un incremento del 2% appena, ed in termini reali, a fronte dell'annata agraria 1972-'73. Questo fatto dimostra la scarsissima elasticità dei rapporti di mercato a cui si è allineato nel corso del 1974 il settore produttivo.
Sull'andamento della campagna agraria 1973-'74 sono emerse le particolari condizioni nelle quali è venuta a trovarsi l'agricoltura costretta ad affrontare l'urto degli aumenti dei costi di circa il 25 mediamente, e questo per l'acquisto di beni e per l'acquisto di servizi. E' pur vero che la Comunità economica europea è intervenuta a più riprese con l'adeguamento dei prezzi di intervento, e soprattutto mediante la svalutazione della lira verde, giungendo a fine anno a svalutarla di circa il 33%, e cioè da L. 625 a L. 833 per unità di conto. Tuttavia, il mancato adeguamento ai regolamenti CEE che si riferiscono ai rapporti di scambio fra gli Stati comunitari poneva l'agricoltura italiana in condizioni tali da dover subire la pressione degli Stati comunitari a moneta cosiddetta "più forte". Questi, infatti, potevano beneficiare dei famosi montanti compensativi. E' un motivo, questo, che più volte è stato dibattuto in questo Consiglio, se non erro dal collega Pierino Franzi, che ha permesso ai produttori tedeschi e francesi (produttori di latte in particolare) di poter offrire merce a prezzi concorrenziali.
Se a questa anomala situazione di rapporti infracomunitari aggiungiamo le operazioni di scambio con alcuni Paesi dell'Est europeo, avuto particolare riguardo al settore carne, il quadro si completa in tutta la sua drammaticità e giustifica il deficit della bilancia cui accennavo prima. La conseguenza più disastrosa è risultata quella di aver posto gli allevatori nella condizione di dover subire la concorrenza nel settore del latte e della carne senza poter essi stessi essere in condizione di trasferire sui prodotti aziendali i maggiori costi che man mano lievitavano sulla produzione.
I risultati di questa situazione si desumono dall'esame dei dati sulla consistenza zootecnica nazionale, che vede, nel giro di un decennio, la perdita di circa 20.000 capi; e nel settore del latte là smobilitazione è ancora più grave perché in campo nazionale la produzione è scesa da 53 milioni di quintali a 35 milioni.
In Piemonte, fermo restando, grosso modo, il patrimonio zootecnico, la produzione di latte è scesa da 6 milioni di quintali a 3 milioni e 200.000.
Questo fatto dimostra che l'orientamento dei nostri allevatori si è trasferito dal settore del latte a quello della carne, sperando di poter sfruttare meglio le poche favorevoli occasioni di mercato. L'enunciazione di questi dati ed i risultati a cui ho desiderato riferirmi hanno lo scopo di colmare una delle lacune che ho riscontrato nella buona relazione della Giunta, lacuna più che altro prefigurativa, che non offriva una visione per altro canto di programmazione almeno a medio termine in campo agricolo.
Gli interventi - interventi che mi permetto di chiamare occasionali in questo bilancio - per la verità sono indicati in misura ancora maggiore rispetto agli anni precedenti. Però l' agricoltura, a mio parere, più di qualsiasi altro settore produttivo, dovrebbe essere impostata rifuggendo sia dalle improvvisazioni che dagli interventi occasionali, e ciò è dovuto al fatto che la produzione richiede, sotto taluni aspetti, tempi lunghi e lunghi cicli.
Pur riconoscendo che le competenze in materia vennero assegnate alle Regioni a metà dell'anno 1972, e che pertanto i primi due anni possono essere considerati tempi di organizzazione strutturale, tuttavia per il 1975, che ci porta più lontani dalla fase iniziale, era lecito attendersi qualcosa di più. Il criterio della spesa, che è nell'ordine di decine di miliardi, a me pare seguire il criterio del passato.
La Regione, nel settore Agricoltura, che è certamente tutto suo, non ha, a mio avviso, saputo realizzare cose nuove, che erano nelle aspettative di tanti e che l'opposizione ha più volte indicato. L'Ente di sviluppo istituito da un anno, è ancora sulla carta: sembrava, e veniva indicato capace di affrontare i temi della programmazione agricola, mentre al termine della legislatura non ha ancora dato cenni di creatività (e qui alludo al piano delle acque, alle utenze irrigue, allo sfruttamento dei terreni incolti, agli indirizzi promozionali, ai piani di zona ecc, ecc.).
Ma c'è un'altra cosa che mi preme di mettere in risalto, cosa che mi viene di capire dal contatto che ho frequentemente con il mondo rurale. L'iter burocratico delle pratiche risulterebbe ancora rallentato rispetto a quello di prima, cioè a quello statale. Si accenna ad un eccessivo centralismo della Regione, che, volendo tutto vedere, tutto sentire e tutto controllare, ritarda la definizione delle pratiche. Abbiamo si, noi Consiglieri regionali, la conoscenza del numero delle pratiche avviate agli uffici, la valutazione a grandi linee che i finanziamenti sono insufficienti rispetto alle proposte, ma non ci è dato conoscere quante di queste pratiche sono già state finanziate e quante di esse abbiano ottenuta l'autorizzazione ad iniziare e o lavori o di ampliamento o di ammodernamento o di nuova costruzione delle strutture agricole. Eppure, uno dei presupposti dell'Istituto regionale era appunto quello di superare i punti morti della burocrazia statale, e pertanto ritengo sia importante snellire le procedure al massimo, dando maggiore autonomia ed iniziativa agli organi regionali periferici.
Non desidero affatto, signor Presidente della Giunta , finire il mio intervento con critiche e doglianze. Rispetto ed ammiro la persona del Presidente della Giunta, che conosco fin dagli anni Quaranta, e con lui voglio accomunare i suoi collaboratori. La legislatura dovrebbe essere quasi al termine, e so che la Giunta ha in cantiere cose interessanti da varare.
Nel dargli atto del lungo, stressante ed impegnativo lavoro che ha portato avanti, di alcune buone leggi che hanno qualificato la Regione vorrei pregare il Presidente della Giunta, con l'Assessore Borando, che non è qui presente, di voler studiare l'opportunità di aumentare gli stanziamenti necessari per il restauro delle opere di antichità e di arte che nella nostra Regione in buon numero attendono un intervento per la loro sopravvivenza. Ed ancora riterrei fosse opportuno rivedere lo stanziamento a favore delle biblioteche di Enti locali da istituire, le cui istanze, a me risulta, sono notevolmente accresciute, il che costituisce un confortante apporto di indirizzo culturale.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci, secondo l'ordine prefissato per gli interventi.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, il bilancio di previsione 1975 che il Consiglio si accinge a votare, si presenta con un pareggio di L. 387 miliardi e 325 milioni. E' un pareggio, però, che riteniamo possa essere definito "provvisorio", perché dalla relazione si apprende che saranno contratti cospicui mutui, sia per finanziare l'applicazione di diverse Leggi regionali, sia per continuare a dar vita - come possibile in questa congiuntura economica - a piani di sviluppo regionale, generali e di settore.
La relazione si sofferma poi diffusamente, nella prima parte, sulla crisi economica che ha colpito tutte le Nazioni industrializzate, quasi esclusivamente in conseguenza degli enormi aumenti del prezzo del petrolio operati dai Paesi produttori.
Per quanto riguarda "il modo" con il quale le Nazioni europee e gli Stati Uniti d'America si sono comportati di fronte a tale situazione economica, con le inevitabili conseguenze politiche che li hanno colpiti dobbiamo rilevare che troppe cose non hanno funzionato nelle comunità degli accordi, dei trattati, come quello di Roma, neppure quando ci si è trovati di fronte alla necessità di far fronte comune al pericolo che una contrazione di vendite e di consumi in qualunque parte della Comunità europea avrebbe avuto, a più o meno breve scadenza, riflessi prima e gravissime ripercussioni dopo, su tutte le altre parti della Comunità.
Cosicché, la recessione abbattutasi sull'Europa negli anni 1973 e 1974 con le sue conseguenze, specie di ordine monetario ed inflazionistico continua a farsi sentire e colpisce gravemente le condizioni di vita dei lavoratori e la loro possibilità di mantenere il posto di lavoro.
Dobbiamo tuttavia ricordare che in Italia la recessione è iniziata prima ed ha trovato tutte le categorie meno preparate che altrove ad affrontarla, proprio in conseguenza dell'autunno caldo del 1969, allorch si diede l'avvio alla strategia della conflittualità permanente, che determinò la contrazione delle esportazioni, l' aumento delle importazioni il grave passivo della bilancia dei pagamenti, e - con la insufficienza dei beni prodotti a fronte della maggiore richiesta dei consumatori - port all'aumento dei prezzi e della indennità di "contingenza-, e quindi alla progressiva riduzione del valore di acquisto della lira, all'inflazione divenuta così da "strisciante" galoppante.
Come hanno reagito i Governi italiani che si sono susseguiti dal 1971 in poi? La risposta e data, diffusamente, anche se non convincente- mente nella parte della relazione dedicata alla "situazione dei problemi dell'economia italiana". Naturalmente, la nostra parte non condivide l'ottica di tale esposizione né concorda su tutte le conclusioni: concordiamo, pero, la dove essa afferma che sarebbe necessaria una politica di rilancio economico e non una politica assistenziale come quella che è stata seguita e che tutt'ora continua, dalle varie forme di intervento della cassa integrazione, al salario garantito, politica che altro effetto non ha se non quello di ridurre ancora le esportazioni, colpire ancora l'occupazione, ed aumentare il tasso di inflazione.
Per quanto riguarda l'economia piemontese, la necessità di una diversificazione delle attività trainanti, soprattutto dell'automobile, era stata intesa e precisata dal Comitato regionale di programmazione economica, nel piano di sviluppo quinquennale 1965-1970, ma era poi mancata la volontà politica di muoversi in quella direzione, e di quel piano e di tutti quei piani regionali, anzi, fu detto da un ministro allora in carica che si trattava di "libri dei sogni".
Tuttavia, la necessità di una riconversione di attività economiche e di forze di lavoro resta, anzi oggi è ancora più sentita che allora, e non solo nel settore dell'automobile e produzioni indotte, ma anche per quello tessile, laniero e cotoniero. Ma tali riconversioni, totali o parziali, di attività economiche, come quelle della Fiat e di altri complessi, specie se tale conversione sarà indirizzata verso manufatti, comporta ovviamente la preparazione di maestranze, specie quelle giovanili, che vanno indirizzate verso studi più aderenti ai tempi o che vanno in parte anch'esse riconvertite.
Da ciò la necessità che la preparazione professionale, affidata alle Regioni, non sia più - anche per questo - solo di carattere assistenziale ma effettiva, e cioè coerente alle nuove situazioni che si andranno determinando e il cui orientamento comporta una notevole volontà politica.
E' certo che al punto di crisi al quale siamo giunti un programma regionale di riforma o di sviluppo occorre redigerlo, smettendola di recriminare per quello che la Fiat, la Lancia, la Montedison, o le Aziende laniere del Biellese potevano fare e non hanno fatto, guidate solo dalla logica del profitto, come se imprese che rischiano capitali potessero essere guidate dalla logica della perdita.
Ma soprattutto occorre che il programma regionale non cali dall'alto come un qualsiasi piano quinquennale russo o cinese, ma parta dalle categorie, da tutte le categorie della produzione, della tecnica e del lavoro, le quali devono essere incoraggiate finalmente a capirsi ed a capire, anziché chiudersi, come sempre è avvenuto, entro schemi dottrinari fissi, duri ed assolutamente contrastanti, molte volte fatti di slogans e sempre ispirati o alla lotta di classe, ormai superata, o a quel liberismo mancesteriano che era stato superato ancor prima della lotta di classe.
A questo punto la relazione si sofferma a lungo sulla necessità dei piani poliennali, e quindi sulla necessità di stanziamenti anch'essi poliennali, ed entra in polemica con il Governo, dando la più palese dimostrazione di come, a cinque anni dalla costituzione delle Regioni, si sia arrivati a delle discrasie non solo per la formazione e la distribuzione di questo o quel fondo, ma proprio per quanto riguarda l'essenza e la misura dei poteri che le Regioni chiedo no e che lo Stato è restio a concedere.
Ed a questo riguardo, Signori della maggioranza, la polemica da parte nostra è fin troppo facile. E' fin troppo facile dimostrare l'inutilità e l'assurdità delle lagnanze per la mancanza di fondi da parte delle Regioni come se le stesse forze politiche che governano lo Stato non governassero anche le Regioni. I socialisti, che da oltre dieci anni sono nel Governo nazionale, e da cinque anni in quello delle Regioni a maggioranza di Centro Sinistra ed in quello delle Regioni a maggioranza di sinistra, i democristiani, che detengono da sempre il maggior potere nel Governo nazionale ed in quello della maggior parte delle Regioni, perché non hanno realizzato quella maggior dotazione di mezzi per le Regioni che tutti ritengono necessaria? E quando si pensa che le stesse forze politiche nei Comuni e nelle Province sono in polemica, a loro volta, con le Regioni sul problema delle deleghe, il quadro della confusione che abbiamo davanti è completo.
L'autonomia degli Enti locali è, infatti, un'arma della quale si servono volta a volta, il Sindaco di un paesello ed il Presidente di una grande Regione, per affermare che le strutture sono rimaste accentratrici e non vogliono adeguarsi alla lettera ed allo spirito della Costituzione; ma appare sempre più evidente come questa polemica sia originata da preoccupazioni di ordine elettorale, per scaricare su altri la inefficienza o la mancata realizzazione dei programmi elettorali dei Partiti che hanno amministrato grandi Città, Province, Regioni.
Passando ad esaminare le varie postazioni di bilancio, prendiamo atto della volontà della Giunta di dare un impulso ai lavori pubblici con 4 miliardi per contributi ai Comuni ed ai Consorzi di Comuni, per la costituzione di aree industriali attrezzate, con 18 miliardi, da ottenere attraverso un mutuo, per contributi ai Comuni allo scopo di agevolare la realizzazione di opere pubbliche relative alla urbanizzazione primaria di aree destinate all'edilizia pubblica residenziale, e di 780 milioni che si aggiungono ai 2850 e ai 2370 milioni del bilancio 1974 per contributi ed interventi a favore di cooperative e di privati per l'edilizia residenziale e convenzionata; ma insistiamo sull'esortazione che abbiamo già rivolta in sede di discussione del bilancio del 1974 perché si faccia presto, perch si dia inizio subito alla costruzione di case per i lavoratori. Episodi come quello di San Basilio a Roma, di via delle Cacce e della Falchera a Torino, che hanno posto lavoratori contro altri lavoratori i quali avevano seguito tutte le defatiganti procedure per ottenere una regolare assegnazione di alloggi, non devono più ripetersi, e tutti i dirigenti politici, a qualsiasi livello, devono rendersi conto che quella della casa decente, per chi vive nei tuguri, è l'esigenza primaria non solo per un minimo di giustizia sociale ma anche per l'ordine pubblico, giacche la promiscuità e l'affollamento in abituri fatiscenti degenerano facilmente anche in gravi delitti che la cronaca ci fa conoscere.
A questo proposito, e con particolare riferimento ai "centri storici" richiamiamo l'attenzione della Giunta sulla grossa speculazione in atto nel centro storico di Torino, che si sta attuando attraverso l'acquisto, da parte di Società immobiliari, di vecchie costruzioni, la cacciata degli attuali abitanti, quasi tutti immigrati, la ristrutturazione e l'ammodernamento degli antichi palazzi e la vendita o l'affitto dei nuovi appartamenti a prezzi vertiginosi. Se l' edilizia popolare pubblica avesse assolto gli suoi compiti questo fenomeno potrebbe anche non essere tanto preoccupante in quanto potrebbe significare, oltre al lavoro per diverse categorie, anche un riammodernamento di vecchi stabili cadenti , potrebbe significare anche impiego di capitali e circolazione di risparmio accumulato; ma in questo momento di gravissima carenza di abitazioni popolari il fenomeno va seguito per tutte le ripercussioni di carattere sociale che esso potrebbe avere.
Non vediamo, invece, l'urgenza di dedicare ingenti somme in questo periodo ai piani regolatori non solo comunali ma anche di gruppi di Comuni la cui convergenza di interessi sia manifesta, giacché, a parte le nostre riserve sui comprensori, non condividiamo gli entusiasmi per, come dice la relazione, "una struttura che ricerca e forma i canali adeguati per calare sul territorio in tempi utili e con determinate garanzie le linee direttrici di uno sviluppo convergente in una rosa di obiettivi di carattere regionale-, parole che non significano assolutamente nulla se non, ci sorge il sospetto, a giustificare lo stanziamento di 6 miliardi a favore di gruppi di urbanisti nei confronti dei quali potremmo anche avere il massimo rispetto, ma non possiamo aderire a certe concessioni ispirate a schemi non adatti alla nostra società. Si tratta, comunque, di lussi assurdi in questo periodo, per cui proponiamo che i 6 miliardi disponibili siano spesi invece per l'edilizia popolare e per ceti medi, secondo i piani regolatori già sicuramente predisposti dai Comuni, in aree attrezzate.
Concordiamo, invece, sul piani per gli insediamenti produttivi, che si manifestano più che mai necessari, soprattutto per evitare o ridurre al minimo il triste fenomeno del 'pendolarismo" ed anche per raggiungere, dice la relazione, "una forma di controllo sugli insediamenti di una certa rilevanza".
In materia di Trasporti e Comunicazioni, dobbiamo rilevare il ritardo con cui si e giunti alla individuazione dei provvedimenti urgenti, come l'acquisto di 500 autobus all'anno per cinque anni, quando da tempo la grave situazione dei "pendolari' era nota, anche per l'indifferenza al problema delle Ferrovie dello Stato, nonostante tutte le segnalazioni e le denunce sempre ripetute in occasione delle annuali "conferenze orarie". Gli studi dei maggiori Comuni e delle Province "sui bacini di traffico" e tutte le costose rilevazioni, affidate a gruppi di lavoro specializzati, non erano pervenute a conclusioni soddisfacenti, tanto e vero che i lavoratori si sono andati sempre più orientando verso l'uso dell'auto privata. Oggi però, l'alto costo del carburante ha riproposto il problema in termini drammatici, ma non si conoscono ancora le decisioni delle Ferrovie dello Stato, che potrebbero dare la soluzione di maggior rilievo sia in termini di orario sia in termini di maggior impegno di materiale rotabile, cioè di numero di vetture.
Non condividiamo il rammarico che sembra trasparire a questo punto dalla relazione per l" impossibilità attuale di procedere alla totale pubblicizzazione dei trasporti, e rileviamo con soddisfazione, al contrario, il riconoscimento del fatto che la gestione pubblica comporta un aggravio dei costi di esercizio, constatazione, questa, che dovrebbe, a nostro avviso, diventare una specie di unità di misura per tutti coloro che intendono risolvere i problemi della economia italiana con le nazionalizzazioni e le statizzazioni.
Abbiamo già puntualizzato l'urgenza della costruzione di case per i lavoratori. Sullo stesso piano di priorità socio-economica poniamo i lavori pubblici, sia per i benefici che questi - quando non siano ispirati soltanto da motivi elettorali - recano alle popolazioni, specie se rurali e montane, interessate, sia per la incentivazione di numerose attività economiche.
Rileviamo, pertanto, che per il 1975 la spesa dedicata ai lavori pubblici dovrebbe aggirarsi sui 32 miliardi, che ci auguriamo siano spesi e non soltanto stanziati e poi passati nei residui passivi.
Se qualcosa di benefico potrà rimanere, quando la crisi attuale sarà passata, questo sarà il ritorno di lavoratori alle campagne, ma principalmente la revisione di certi pregiudizi, più che fondate convinzioni, secondo i quali soltanto l'industrializzazione è fonte di benessere e misura di civiltà.
Nell'ampio ventaglio di attività e di imprese cui la Regione si rivolge con sovvenzioni ed aiuti, non accettiamo la esclusione dai benefici degli allevamenti zootecnici "senza terra", come se, nella carenza di carne di cui soffriamo, sia riprovevole, e quindi punibile, l'allevamento di capi che vengono portati a maturazione, con tutti gli opportuni accorgimenti. Si potrà attuare un controllo dei sistemi di allevamento, si potrà attuare un sistema di controllo dei prezzi, dei costi e dei ricavi, ma non vediamo il motivo di una punizione a questi allevatori, anche perché l'eccezione e le norme, come sono poste, possono dare adito a trucchi ed a speculazioni.
Nella relazione si fa un lungo discorso sull' arretratezza delle strutture commerciali italiane e sui problemi della commercializzazione di tutti i prodotti, specie di quelli agricoli ed alimentari. Sembra che la ristrutturazione delle attività commerciali in genere ed il rinnovamento dei punti di vendita, essendo collegati all'urbanistica, meritino una infinità di parole, di piani e di leggi, fra i quali i Comuni non riescono a districarsi.
Ora la lotta, attraverso le varie Commissioni comunali, regionali ed il Ministero, si appalesa fra i proprietari dei vecchi negozi, più o meno specializzati, ed i supermercati, quasi tutti controllati da grandi società. La nostra parte è favorevole alla piccola imprenditorialità, per tutte le risorse umane che questa pone in essere, e non è favorevole alla proletarizzazione del commercio, anche se riconosciamo che o supermercati preparano categorie di lavoratori e lavoratrici specializzati. Ma è evidente che i piccoli imprenditori commerciali, cioè i titolari dei negozi tradizionali, non possono continuare a vivere su vendite eccessivamente modeste, sul gioco dei prezzi e sul rischio del fallimento.
E' necessario che la Regione favorisca la loro riunione in consorzi per la gestione comune di aziende commerciali che possano dare agli acquirenti quelle garanzie che danno alcuni supermercati e quelle forme di pubblicità che sono espresse dalla mostra contemporanea dei diversi prodotti e dei relativi prezzi. Bisogna far capire ai piccoli commercianti che essi potranno resistere alla spietata concorrenza dei supermercati solo con l'associazionismo, e non con l'intestardirsi a mantenere in vita le bottegucce, che, quando non vengono prodotti artistici o dell'artigianato come quelli di Venezia o di Firenze, rappresentano il segno evidente di una mentalità arretrata.
Per quanto poi riguarda gli riflessi dell'urbanistica sul commercio siamo favorevoli alla costituzione di centri commerciali nelle periferie delle grandi e medie città, anche perché riteniamo che questi nulla possano togliere all'attrazione di certe vie, come via Roma a Torino, via Condotti a Roma, via Montenapoleone a Milano, via Calzaioli a Firenze, per non parlare delle altrettante famose strade di Parigi e Londra e così via.
Per concludere, alcune considerazioni in merito alla politica sportiva.
Noi siamo sostenitori del massimo impulso al turismo popolare ed allo sport, specie allo sport che forma i giovani, nel fisico e nel carattere, e li tiene lontani dalla droga e da altre pericolose tentazioni.
In questo periodo di crisi morale della nostra società, per la confusione che viene fatta tra libertà e licenza, fra comprensione e lassismo, fra democrazia e permissivismo, riteniamo che lo sport, inteso come servizio sociale, può contribuire grandemente a salvare la nostra gioventù.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Lo Turco. Con il successivo intervento, del Consigliere Rivalta, si chiuderà, secondo l' accordo con i Presidenti dei Gruppi, la mattinata. I lavori del Consiglio riprenderanno alle 15,15, con l'intervento del Presidente della Giunta, le dichiarazioni di voto dei singoli Gruppi ed infine la votazione.
Chiede di parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Per mozione d'ordine. Abbiamo appreso in questo momento che alla Conferenza sui problemi dell' emigrazione, cui sono stati invitati i Presidenti delle Regioni e due rappresentanti per ogni Consiglio regionale la Giunta ha delegato a rappresentare il Consiglio due Assessori. Elevo formale protesta e chiedo il ripristino del diritto del Consiglio regionale di delegare un proprio rappresentante a questa Conferenza.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Faccio presente che non è esatto che il Consiglio apprende in questo momento quella decisione: il Presidente della Giunta aveva già comunicato in altre sedute di aver scelto come suoi collaboratori e delegati l'Assessore all'assistenza e l'Assessore al lavoro. In occasione di quelle comunicazioni, se un motivo di protesta c'era, poteva essere sollevato come pure si poteva censurare il metodo e la scelta dei collaboratori. Quel che non si può dire è che le decisioni si presentino a cose fatte: sono state annunciate prima di essere attuate.
Preciso poi che la scelta dei due delegati che rappresenteranno con il Presidente la Regione Piemonte è stata frutto di meditata considerazione ed attenzione. Per questa Conferenza, che ha avuto inizio ieri e dovrebbe concludersi sabato sera, articolata in quattro Commissioni, è necessario che i partecipanti siano preparati sull'argomento, sulla base dei testi delle relazioni, che sono arrivati soltanto in questi giorni. Nulla vieta che a questa Conferenza possano partecipare rappresentanti del Consiglio regionale, non come delegati ma con pieno diritto essendo la Conferenza aperta a tutti coloro che sono investiti di una certa responsabilità di vita pubblica.



PRESIDENTE

Tengo a comunicare al Consiglio che, per parte mia, appresa questa notizia, ero intervenuto presso il Presidente della Giunta proprio perch uno dei delegati fosse...



BERTI Antonio

Su richiesta avanzata dal Gruppo comunista una settimana fa, per l'esattezza.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Dopo, però, che c'era stata la mia comunicazione in Consiglio...



PRESIDENTE

Dopo la comunicazione, certo: non potevamo farlo prima non sapendo su chi sarebbe caduta la scelta.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

La scelta era già caduta.



PRESIDENTE

La scelta potrà essere caduta una settimana fa, dieci giorni fa. Noi abbia mo immediatamente interessato il Presidente della Giunta, poiché è il Presidente della Giunta che deve comunicare alla Conferenza i nomi dei delegati. So bene, ed è d'altronde ovvio, che il Consiglio ha la possibilità di mandare un suo rappresentante, ma quel che interessava era che fosse mandato come delegato anche un elemento in rappresentanza del Consiglio La risposta è stata che quali delegati erano confermati i due Assessori.
Al termine di questa seduta potremo eventualmente riesaminare la questione in un incontro con i Capigruppo.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Lo Turco.



PRESIDENTE

LO TURCO Giorgio



PRESIDENTE

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo anch'io, come già hanno detto altri miei compagni nei loro interventi che questo bilancio sia un consuntivo di 5 anni di attività della Regione, delle maggioranze che l' hanno governata. Cinque anni in cui, da un lato le lotte operaie in un quadro sempre più ampio di alleanze, dall'altro le forze di sinistra, anche componenti della stessa D.C., hanno continuamente sollecitato le Giunte regionali, il Consiglio a risolvere i grandi temi della occupazione, della condizione di vita e di lavoro nelle fabbriche, della salute, della democrazia.
Non siamo stati certamente noi a credere che tutto potesse essere risolto con il semplice intervento della Regione, ma bisogna pur dire che al di là dei limiti in cui la Regione si e trovata ad operare, troppi spazi sono stati lasciati al vuoto di iniziative, alla mancanza di volontà di affrontare in concreto questi grandi problemi.
Nel dibattito sullo Statuto ricordo che fu proprio la mia fabbrica, la Pirelli, unitamente ad altre aziende della gomma (Michelin di Cuneo ecc.) a porre con forza il problema della salute, della condizione del lavoratore nella fabbrica e già allora dicemmo che questa condizione rifletteva una critica dl fondo alla organizzazione sanitaria, alla mancanza di una efficace azione preventiva anche fuori della fabbrica rispetto alle esigenze di tutti i cittadini, alla necessità che poteri concreti fossero delegati agli Enti locali ecc. Credo che l'approvazione di quell'articolo dello Statuto, anche per il fatto che direttamente gli lavoratori con le loro lotte, la loro partecipazione hanno contribuito alla redazione della carta fondamentale della nostra Regione, abbia rappresentato un momento di grande fiducia nei confronti dell'Istituto regionale; sappiamo con quanto travaglio e quante difficoltà da allora si sono potuti affrontare solo alcuni problemi (tipo l'IPCA) e come fondamentalmente quell'articolo sia stato disatteso nella sostanza e nella lettera in questi anni.
La situazione anche all'interno dei luoghi di lavoro non è cambiata molto rispetto a quegli anni se si pensa che non è sufficiente la contrattazione operaia, ma occorrono gli interventi, come dicevo prima degli Enti locali, della Regione ecc. Quale prezzo è stato pagato in credibilità dalle istituzioni democratiche? E' una domanda che dobbiamo porci, dovete porvi voi della maggioranza ed in primo luogo o dirigenti della D.C. A parole, nella elaborazione unitaria, quando si riconosce il contributo diretto dei lavoratori e dei partiti della classe operaia, si riesce ad andare avanti poi, quando si tratta di passare alla fase attuativa, tutto viene a complicarsi, si blocca nella giungla degli interessi che alcune forze politiche, in primo luogo la D.C., devono conservare.
Questa mi pare sia stata la vicenda non certo esemplare delle varie Giunte che si sono succedute al governo della Regione in questi anni. E ripeto, un prezzo in credibilità è stato pagato, non ci si è resi conto che proprio i lavoratori si sono battuti per questa conquista istituzionale democratica, non si è tenuto conto da parte delle forze di Governo che un prezzo grave si stava pagando e si è sprecato un patrimonio istituzionale.
Tocca quindi ancora ai lavoratori, alle forze democratiche battersi oggi perché fiducia vi sia nella Regione, perché non serpeggi il qualunquismo.
Ad un'altra riflessione vorrei invitare le forze che hanno governato.
In questi anni una unità crescente vi è stata, sia a livello sindacale che negli obiettivi economici e politici,da parte della classe operaia e dei coltivatori. Si è riconosciuto, nei fatti, da parte dei contadini, che quando la classe operaia poneva sin dall'inizio di questa legislatura e poi nel '71 e nel '72 gli obiettivi di sviluppo del Mezzogiorno, di diversificazione produttiva della necessità di privilegiare l'agricoltura negli investimenti e di dare avvio ad una seria politica di programmazione aveva ragione; ed essa portava avanti questa rivendicazione pagando di persona, lottando.
Anche su questo terreno il bilancio non è positivo non solo per la crisi che stiamo attraversando, ma proprio perché non si è avuto il coraggio di affrontare in tempo certe questioni e non si è voluto stabilire un rapporto diverso con le forze che esprimevano a livello politico questa realtà e questa giusta impostazione. E tutto ciò non riguarda solo la questione gravissima dell'occupazione nel settore dell'auto, dell'indotto ecc., ma anche le prospettive. Pensiamo ad esempio che nel Cuneese dove mi sono trovato ad operare in questi ultimi due anni, grosse questioni sono aperte: il settore cartario è tutto a cassa integrazione, molte cartiere sono in via di smantellamento. E ciò è legato alle materie prime, alla mancanza di una politica di forestazione, di sviluppo della montagna, come è stato affermato nella recente conferenza della Burgo. Menozzi l'altro giorno richiamava queste cose, giustissime, per dire poi che la Giunta ha fatto tutto bene, che gli obiettivi sono stati raggiunti, che bisogna giustificare tutto! Ecco la contraddizione di fondo di queste forze che si autodefiniscono popolari, che dicono di portare in questo Consiglio le istanze dei lavoratori, dei contadini e poi usano della loro forza, dei consensi che vengono loro conferiti per fare una politica asservita alle scelte di chi rappresenta gli interessi conservatori più retrivi. Sulla questione della cassa integrazione nel settore cartario credo che la Giunta debba dare al più presto una risposta.
Ugualmente dicasi per il settore del trasporto pubblico. La Fiat (lo avrete letto tutti sui giornali di questi giorni) ha polemizzato sulla questione degli autobus ecc. Io credo che la Regione si debba impegnare a dare una conferma in relazione alla produzione della Ferroviaria Fiat di Savigliano, dobbiamo sapere quali sono le reali intenzioni del monopolio Fiat, cosa intende fare degli investimenti previsti per il Sud, per gli quali anche i lavoratori di Savigliano hanno lottato in questi anni, e qual'è il destino della fabbrica di Savigliano, quali programmi sono previsti. Su questo punto è necessario, a mio avviso, che si vada, ad un confronto immediato con le forze interessate, con gli Enti locali, con i Sindacati, per dire una parola chiara, e fare una politica comune nel Consiglio regionale.
Ma se non sono stati risolti, e direi nemmeno affrontati con coerenza (e sarebbe già molto) o problemi della condizione di lavoro, oggi quelli della occupazione si fanno presenti soprattutto per la manodopera più debole, quella che ha dovuto subire il maggior sfruttamento in questi anni la manodopera femminile.
Anche su questo terreno mi pare che alcuni punti fermi siano stati fissati dalla conferenza femminile, ma da allora ad oggi, malgrado questi temi siano stati riportati direi quotidianamente in Consiglio, cosa ha realizzato la Giunta? Nulla di concreto, tale cioè da poter mutare gli indirizzi, le linee di tendenza che fanno sì che la manodopera femminile sia quella che prima di ogni altra viene espulsa dal processo produttivo soprattutto nelle zone più emarginate del Piemonte, nella piccola e media industria. Cresce il fenomeno dello sfruttamento del lavoro a domicilio e soprattutto mancano quei servizi sociali che potrebbero permettere alla donna di avere una diversa collocazione nella società, di poter concorrere alla crescita complessiva della società. Ed ha fatto bene la signorina Soldano a riportare qui, con indubbia forza, questo problema, anche se le devo chiedere: in che misura le osservazioni da lei fatte alla Giunta vengono recepite mentre intanto la linea della Giunta o dell'Assessore Vietti resta la stessa e si continua con la politica delle mance e della beneficenza? E proprio perché lei signorina Soldano lavora ed opera nella Provincia di Cuneo, sa bene quanto forte sia la domanda di cambiamento anche da parte delle coltivatrici e come questo cambiamento non sia più dilazionabile. Ebbene, cosa si farà? Se guardiamo a quanto si è fatto abbiamo ragione di non avere fiducia nell'atteggiamento di questa Giunta e dobbiamo chiederle: si apre una battaglia nel suo Partito su queste cose? Si va ad un confronto su queste cose? Riuscirete ad avere una sola faccia nelle cose che dite a Cuneo ed in quelle che dovete fare a Torino? Ecco il punto. Oggi vi sono le condizioni per cambiare, dipende dalla vostra volontà politica e se saprete imporle, questa volontà, alla Giunta e alla D.C.
Ed infine vorrei richiamare ancora un attimo la questione della formazione professionale. So che dobbiamo prendere atto tutti dei grossi mutamenti, della crescita profonda che vi è stata in questi anni nella classe operaia. E' una crescita sociale, politica, di capacità reali maturata anche all'insegna di una nuova proposta politica che è domanda posta al complesso del la società.
Non riprendo le cose già dette da altri colleghi, ma voglio richiamare il fatto che la gravità della disoccupazione è resa ancor più acuta dalle difficoltà di riciclare la mano d'opera e di affrontare, con un disegno strategico preciso, la riconversione e la diversificazione produttiva.
Anche qui, prima ancora che di nuovi incrementi, si tratta di non sprecare un immenso patrimonio di capacità umane. Su questo terreno voi avete dimostrato di non avere un disegno, di essere estranei alla politica di programmazione, di vivere giorno per giorno all'inseguimento dei centri di potere che sono al tempo stesso occasioni di immensi sprechi. Di questo vogliamo chiedervi conto, di questo discutono i lavoratori e voi dovete dimostrare, nel pur breve tempo che ci separa dalla conclusione dell' attuale legislatura, che c'è volontà e possibilità di cambiare.
Ecco allora che occorre proporsi un modo diverso di governare, partendo proprio dal modo in cui si forma e si attua un bilancio che noi oggi riteniamo profondamente negativo più che per le cifre, per il modo di governare che presuppone, per o centri di potere che ancora alimenta.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.
Con questo intervento si chiude la discussione generale, nel pomeriggio si passerà alle dichiarazioni di voto.



VISONE Carlo

Chiedo la parola per fatto personale.



PRESIDENTE

Nel pomeriggio, adesso sentiamo l'intervento del Consigliere Rivalta.



RIVALTA Luigi

Anche quest'anno, come già l' anno scorso, la Giunta di centro sinistra presenta il bilancio con un'ampia relazione, la prima parte della quale ove si svolge l'analisi dei problemi dell'economia piemontese e della crisi che la nostra Regione ed il nostro Paese stanno attraversando - sollecita il nostro interesse e, per molti giudizi in essa contenuti, richiama il nostro consenso.
Questa parte della relazione, per i suoi contenuti critici verso la politica economica che i Governi nazionali hanno messo in atto per affrontare la crisi e verso l'azione condizionatrice e limitatrice politica e finanziaria, che il Governo nazionale esercita nei confronti delle Regioni, potrebbe essere assunta come una vera e propria relazione di minoranza sull'operato delle forze politiche che hanno la responsabilità della direzione del Paese. E' una relazione che nella sua prima parte esprime la opposizione che le Regioni sono costrette a svolgere nei confronti del Governo. Non solo l'argomentazione è stroncante per le politiche dei Governi che alla crisi, all'inflazione, allo squilibrio della bilancia dei pagamenti hanno risposto con politiche recessive, di contenimento della domanda, di stretta indiscriminata del credito, di manovra monetaria, ma - nella sostanza - è critica con l'attuale politica governativa, per la mancanza di interventi operativi che siano capaci, al tempo stesso e nell'immediato, di impedire la caduta degli investimenti e dell'occupazione, e di innescare modifiche profonde e strutturali nei meccanismi economici italiani.
Su questa base di analisi è certo che la relazione, se redatta oggi non potrebbe non contenere severe critiche alle misure prese in questi ultimi giorni dal Governo presieduto dall'on. Moro.
Le conclusioni che emergono da questa parte della relazione, e quelle che al di là delle enunciazioni si possono dedurre, e ciascuno può trarre indicano la necessità, da un lato, di un'azione politica per incidere sulle scelte del Governo nazionale, e dall'altro di un comportamento operativo della Regione che tenda ad una rigorosa e selettiva articolazione della spesa.
Rimandando il confronto e le disquisizioni sui contenuti dell'analisi economica generale, e la loro messa a punto, ai vari dibattiti già svolti e da noi promossi, e agli altri che svilupperemo, per rendere chiare le reciproche posizioni e per evitare facili unanimismi è con riferimento all'azione politica che è necessario alla Regione porre in atto, che noi vogliamo giudicare l'operato e le proposte della Giunta.
Per questo concerne l'azione per incidere sulle scelte nazionali, si deve rilevare che l'iniziativa che la Regione, su promozione della Giunta svolge nei confronti della politica governativa, è più di principio e dimostrativa che fattiva. In questi ultimi tempi la Regione ha assunto iniziative di dibattiti interessanti (come quella recente dell'incontro con le Regioni meridionali), ma mai ha elevato la propria azione al ruolo di organizzatrice della comunità regionale, delle sue componenti sociali sindacali e amministrative, per rivendicare e imporre le soluzioni necessarie.
Senza costruire e caratterizzare in questo modo l'azione verso il Governo ed il Parlamento, le prese di posizioni e o pronunciamenti, possono apparire più un gioco delle parti che una convincente azione politica di un istituto che, forte del suo legame con la realtà locale, vuole partecipare al processo di formulazione delle decisioni nazionali. In questo modo qualcuno può pensare invano di mascherare le responsabilità dei Partiti che governano o formano le maggioranze sia a livello nazionale sia alla Regione.
Un'azione puramente dimostrativa non modifica la situazione, e d'altra parte consente di attribuire a questi Partiti due facce, di cui la più vicina alle Comunità locali, quella che opera alla Regione, sarebbe quella che si fa portavoce della loro volontà, quella positiva, anche se impotente e vittima dell'insipienza non già del Partito a cui appartiene, ma di una istituzione gerarchicamente superiore e inaccessibile.
Noi diciamo qui, a tutte lettere, che l'insufficienza della politica nazionale, l'opposizione al pieno realizzarsi della riforma regionalista l'inadempienza dei trasferimenti di competenza e di spesa dallo Stato alle Regioni, sono e rimangono responsabilità dei Partiti di maggioranza, da cui si solleveranno solo nella misura in cui, nei fatti, siano in grado di produrre le trasformazioni richieste, con un comportamento coerente a ogni livello.
Per quanto concerne l'intervento operativo della Regione nell'ambito delle sue competenze settoriali e il suo modo di affrontare gli problemi dell'economia piemontese e di contribuire ad uscire dalla crisi, dobbiamo rilevare una profonda inadeguatezza rispetto a quanto sarebbe necessario e possibile.
Gli interventi di spesa indicati nel bilancio e l'impostazione politica indicata nell'analisi settoriale riportata nella seconda parte della relazione, ne sono una dimostrazione. La analisi contenuta nella prima parte della relazione, risulta così contraddetta e smentita nei fatti.
E' dalla vostra analisi, e non solo dalla nostra interpretazione della realtà, che si deduce la necessità di un intervento regionale coerente con una strategia di riforme e di rinnovamento dello sviluppo economico.
In questo senso, se la Regione - sia per essere un Istituto di immediato contatto con le realtà locali, sia per gli limiti delle sue possibilità rispetto alla portata dei problemi - è sollecitata a dare risposte di tipo congiunturale ai problemi che le vengono posti, ci nonostante è indispensabile che essa non si lasci sopraffare da un'inconsistente dispersiva azione di sussistenza, ma inserisca la propria azione contingente in una linea di riforma strutturale.
Di qui l'esigenza di non disperdere le iniziative, ma di operare la scelta di pochi obiettivi qualificanti e prioritari, in direzione dei quali convogliare le risorse disponibili che sono assai limitate. Di qui l'esigenza di dare tempestività ed efficienza alla spesa regionale, di evitare sprechi, di eliminare investimenti improduttivi o scarsamente produttivi, di impedire il riprodursi di posizioni di rendita e di speculazione. Di qui l'esigenza che il bilancio sia inquadrato in una strategia di programmazione degli interventi.
Ma la politica della Giunta e il bilancio che I a traduce finanziariamente, non esprimono queste esigenze e questi orientamenti.
Ad esemplificazione di ciò, prendo in esame le iniziative e gli interventi riguardanti le opere pubbliche, intese nella loro generalità considerando i riflessi che essi hanno sul settore dell'edilizia.
Questo settore è fortemente in crisi. Le restrizioni creditizie introdotte, e la contrazione progressiva dell'effettiva disponibilità finanziaria degli Enti locali, hanno impedito di protrarre il flusso di investimenti normalmente indirizzati nel settore edilizio. I riflessi sul piano occupazionale sono gravissimi. Si calcola che, dopo la stasi invernale, l'attività edilizia conosca un crollo drammatico, mai avuto in questo dopoguerra, e che a livello nazionale, su un milione e 200 mila occupati nel settore, oltre al calo già avuto dopo l'autunno di oltre 200.000 occupati - e in questo caso gli effetti non sono stati così evidenti solo perché ha coinciso con il rallentamento annuale e stagionale dell' attività del settore, e si è trattato soprattutto di lavoratori stagionali, semi-stabili, secondo le condizioni di lavoro saltuario ancora esistente nell'edilizia - si abbia in primavera un ulteriore calo di occupazione reale di altri 300.000 lavoratori.
Sia per l'intensità che ha avuto lo sviluppo del settore nella nostra Regione e nell'area torinese in particolare, sviluppo esaltato patologicamente dai processi di concentrazione di persone e attività e dai meccanismi di speculazione, sia per l'effetto di una più sensibile e generale recessione in atto nella nostra Regione a causa dell'indirizzo produttivo del suo apparato industriale incentrato sull'auto, cioè sul settore maggiormente in crisi, questo andamento occupazionale colpirà proporzionalmente in modo maggiore il Piemonte.
E' un settore, quello edilizio, che per la sua struttura arretrata e per le forme di sfruttamento nell'applicazione della manodopera (subappalti, cottimo, intermediazione, stagionalità) non consente di avere dati esatti.
Le stime dicono che dall'ottobre sono stati persi 5000 occupati nella Provincia di Torino, e le previsioni - stante l'andamento dei lavori nei cantieri - sono quelle di una caduta occupazionale di altre 10,000 unità.
Gli iscritti alla cassa edile sono passati da 27.000 a 22.000. E' in atto, in queste settimane, una strisciante riduzione di occupati in ogni impresa, in quasi ogni cantiere. Anche le imprese maggiori, che per trattenere gli operai più qualificati hanno resistito, mascherando la mancanza di lavoro con rallentamenti motivati da ragioni climatiche, in un inverno che invece è stato assai favorevole alla continuità del lavoro stanno per promuovere licenziamenti. Nell'intera Regione gli occupati sono passati già da 70.000 a 62.000, e si prevede che il calo complessivo sarà di qualche decina di migliaia; le stime dicono 30.000 per la prossima primavera.
Il settore edilizio, nel corso dell'ormai prossima primavera, rischia di presentare una riduzione occupazionale del 30/40 % rispetto all' occupazione dell'anno scorso. Per questo settore non esiste cassa integrazione nei casi in cui l'impresa non dimostra di avere prospettive di lavoro.
Nella Provincia di Torino incombe lo spettro di 15.000 disoccupati nell'edilizia, e altrettanti nel resto del Piemonte. Ad Asti e a Vercelli l'attività edilizia si è già spenta, ma presto lo sarà in altre aree. La conclusione dei lavori dello stabilimento Lancia di Verrone metterà in crisi l'occupazione di un migliaio di addetti; altrettanti la conclusione dei lavori autostradali nell'Alessandrino.
E' facile immaginare le conseguenze sul piano economico, e non solo sul piano economico.
Si tratta quindi di intervenire con urgenza in questo settore, sia per difendere l'occupazione, sia per modificare le sue condizioni operative. Il settore delle costruzioni rappresenta un punto nodale delle contraddizioni dei limiti e delle deformazioni, dello sviluppo economico italiano: le modifiche strutturali sono indispensabili.
E' attraverso l'edilizia che sono stati possibili intensi processi di speculazione e l'acquisizione di rendite fondiarie, immobiliari finanziarie a danno della politica della casa a basso costo e della diffusione dei servizi. Ed è stato attraverso a questo meccanismo che si è reso possibile accumulare ricchezze da destinare allo sviluppo di altri settori produttivi e non alla ristrutturazione del settore (esempio palese è quello della rilocalizzazione e ristrutturazione industriale sostenuta finanziariamente in base alla speculazione sull'area fabbricabile lasciata libera dall'industria; ma più in generale, attraverso il passaggio di risorse finanziarie dai meccanismi di lievitazione e acquisizione della rendita ai processi produttivi attraverso la politica bancaria e creditizia). Questo settore come bacino di occupazione intermedio della manodopera non qualificata, è stato utilizzato per regolare il passaggio dei lavoratori dalla campagna all'industria e per manovrare i livelli occupazionali e salariali.
E' un settore, quello dell'edilizia, responsabile e vittima, al tempo stesso, del distorto sviluppo economico italiano. Costituisce quindi uno dei terreni su cui è necessario intervenire per modificare i caratteri strutturali della nostra economia, per liberarla dalle irrazionalità e dal gioco delle rendite, per difendere i livelli di occupazione, per qualificare le condizioni di applicazione della forza lavoro, per affrontare problemi sociali, sostanziali, come la casa e i servizi.
Il rilancio del settore edilizio deve essere considerato ancora un fattore stimolante di tutta la economia e una condizione per mantenere alta la produzione e la domanda interna: con l'attività del settore si promuovono domande di beni a settori indotti; sono 34 i settori che vengono considerati indotti dall'attività edilizia, e di questi, ben 21 fanno parte dell'industria manifatturiera. E' un settore che non incide sulla bilancia commerciale, poiché limitato è il suo fabbisogno di materie prime importate, e che può invece promuovere lo sviluppo di industrie di base e di produzione di macchinari che possono rivolgersi alla esportazione; è un settore in cui è aperta una possibilità di grande sviluppo tecnologico, e che, d'altra parte, in questo primo momento, stante proprio il suo basso livello tecnologico, è in grado di mantenere un'intensa occupazione.
Con riferimento a questo settore si rilevano quindi tutte le ragioni per un intervento della Regione che colga aspetti congiunturali e al tempo stesso partecipi a una linea di riforma strutturale. In questo senso, dal punto di vista economico, insieme all'agricoltura, è quindi il campo di maggiore importanza su cui la Regione può operare con interventi diretti rispondenti ad una domanda qualificata, orientati alla soluzione di problemi sociali e disancorati, se si usano opportunamente le leggi esistenti, da forme speculative.
Certo, una politica di riforma strutturale, economica e produttiva del settore, non può essere compito solo della Regione, e delle Regioni. Le implicanze e le competenze della politica nazionale sono prevalenti, ed è quindi necessario stabilire rapporti attivi e incisivi della Regione nei confronti delle strutture di direzione nazionale, perché si introducano gli opportuni provvedimenti legislativi, finanziari, istituzionali.
Per svolgere questa azione noi abbiamo chiesto, per fare un esempio pertinente, proprio in queste ultime settimane, che la Regione, il Consiglio regionale prendano posizione circa il rilancio della politica della casa e dei lavori pubblici, che è stata prospettata prima del Presidente del Consiglio e dal Governatore della Banca d'Italia Carli, poi dal Ministro dei lavori pubblici Bucalossi, ed ora dal Governo con una precisa proposta. La Regione, il Consiglio regionale devono esprimere la propria posizione in merito; devono indicare, e imporre anche, le soluzioni che maggiormente esaltano il ruolo della Regione, che maggiormente corrispondono ai fabbisogni e alla volontà della comunità regionale, che consentono di introdurre riforme strutturali nel processo di produzione edilizia, nelle condizioni d'uso del suolo, nel controllo dei processi di organizzazione territoriale e di allocazione di attività, di residenze, di infrastrutture.
E non si tratta solo di esprimere un'opinione, ma di imporre una linea e per questo di realizzare un confronto permanente tra Regioni, Parlamento e Governo, dando vita ad una dialettica fra momenti istituzionali che sono diversi per compiti e ruoli, ma che devono poter concorrere paritariamente ai processi di formulazione delle decisioni relative a problemi e settori di comune interesse e competenza.
Questa azione deve fare erogare tutti i fondi della legge 865 stanziati per il triennio 1971-73, dando alle cooperative le condizioni per un effettivo loro utilizzo; far deliberare il finanziamento delle opere pubbliche, nell'ambito delle priorità accettate dallo stesso Governo, sia delle opere già in corso e da ultimare (si tratta di 1500 miliardi circa già stanziati), sia del piano delle opere pronte ma ancora da appaltare definito, in intesa con le Regioni, già dal precedente Governo, nei settori particolarmente nella difesa del suolo, della viabilità ordinaria dell'edilizia ospedaliera e di quella scolastica (circa 3000 miliardi) promuovere, stimolare, imporre il rifinanziamento dell'edilizia sovvenzionata in primo luogo, e delle altre forme di intervento edilizio agevolato.
E per imporre a livello nazionale nuovi inoltre ad un'azione efficace incisiva nei confronti della politica governativa, è necessario pur nelle limitate disponibilità della Regione, introdurre elementi ed esempi concreti di un nuovo orientamento operativo, e in questo in odo far affermare la scelta di nuove finalità. E questo il senso che deve assumere l'intervento congiunturale, anche se straordinario, della Regione congiungendosi così con un'azione di riforma strutturale.
Che cosa invece dobbiamo rilevare? Assenza, o quasi, per questo settore, di iniziative nei confronti del Governo centrale. E insufficienza e inefficienza di scelte e di interventi a livello regionale.
Lo dimostrano i fatti. E' sufficiente prendere in esame la politica dei lavori pubblici promossa dalla Giunta e ribadita e ripetuta con questo bilancio e considerare, non solo quello che si intendeva fare e non si è fatto, ma anche quello che si poteva fare e neppure si è preso in considerazione.
Fino ad ora sono stati approntati due programmi annuali per la costruzione di asili nido, il piano relativo all'esercizio 1972 prevedeva contributi parziali per 64 asili nido, più due contributi per completamenti di altrettanti asili Alla fine del 1974 solo per la costruzione di 10 asili era avvenuto l'appalto dei lavori; per sette erano in corso le gare di appalto; per tutti gli altri - e si trattava di 47 asili nido - si era ancora lontani dall'appalto (per sette di questi, comuni interessati avevano reperito i fondi per completare i contributi della Regione, ma non ancora avviata la procedura d'appalto; per altri sette, i Comuni interessati avevano ottenuto soltanto la promessa di mutuo; per 19 esistevano difficoltà serie addirittura per il completamento del finanziamento; i restanti otto, del Comune di Torino, erano ancora in fase di progettazione).
Del piano del 1973, che prevedeva contributi per altri 70 asili (47 è la cifra iniziale, poi aumentata di altri tredici asili con provvedi mento degli ultimi tempi) per solo due alla fine del 1974 erano stati appaltati i lavori. Neppure ancora varato è stato il piano di intervento del 1974, che deve essere contenuto in un programma pluriennale.
Somme impegnate nel 1972 e nel 1973, e somme disponibili del bilancio 1974 non sono quindi state impiegate, somme del bilancio 1975 non sono ancora state assegnate ai Comuni, e questo in una fase di forte crisi economica generale, di crisi del settore edilizio, di calo dell'occupazione; in una fase in cui è necessario sostenere la domanda interna e la sua qualificazione sociale.
Non sappiamo neppure se queste somme saranno tutte utilizzate in futuro; dalle denunce delle difficoltà a completare i contributi della Regione che continuano a fare gli Enti locali c'è da dubitarne.
Rimane comunque il fatto (anche se verranno utilizzate in futuro) che concedendo contributi parziali e non totali, non solo si è ritardato - e verificheremo se si tratterà solo di ritardo - la costruzione e l'entrata in funzione del servizio (rinviando nel tempo la fruizione e i benefici per le famiglie e per i bambini), e rinviato la creazione di nuovi posti di lavoro derivanti dalla attività del servizio (e qui il discorso sull'occupazione femminile diventa pertinente), ma si è reso meno produttivo l'intervento finanziario.
Nel solo 1974 si è verificata un'inflazione del 25 %, e ci sono stati aumenti dei costi conquistati dalle imprese negli appalti, in genere anche superiori. La stessa documentazione fornita dall'Assessorato competente ci dice che degli asili progettati, e che facevano parte del programma del 1972, quei pochi che sono stati appaltati solo sul finire del 1974, hanno visto aumenti di base d'asta del 35 %, del 43,80 %, del 33,85 %, del 64 del 35 % e solo per altri due si tratta di aumenti marginali. Quindi aumenti consistenti. Il solo arco di un anno, l'ultimo, ha fatto si che con le risorse con cui si potevano costruire tre asili, se ne possono solo più costruire due.
Piani di intervento insufficienti e inadeguati al fabbisogno (la Giunta si propone di coprire il 10 7 del fabbisogno virtuale) divengono così ancora più insufficienti, e noi temiamo che in parte saranno addirittura inattuati.
Ora l'Assessorato propone un aumento di contributo di altri 20 milioni portando il contributo per ciascun asilo nido, compresi quelli del programma 1972/73, a 85 milioni; cioè, oggi, nel 1975, dopo aver provocato questa situazione di improduttività della spesa, l'Assessorato promuove l'aumento del contributo a 85 milioni che, badate bene, non è lontano dalla cifra - e qui mi riferisco ancora alla documentazione fornita dall'Assessorato - che nel '72 e '73 era prevista per la costruzione degli asili nido. Per esempio per il Comune di Arona la cifra di partenza era di 76 milioni, per il Comune di Caluso era di 86 milioni, per il Comune di Crescentino era di 85 milioni, per il Comune di Mondovì era di 108 milioni per il Comune di Varallo era di 94 milioni. Quindi nel 1975, dopo aver provocato gravi ritardi e generato sprechi, si è giunti ad elevare il contributo al costo previsto, al momento in cui sono stati progettati gli asili relativi al programma del 1972, Ma ora la costruzione degli asili nido richiede non meno di 150 milioni, e ci troviamo nella stessa situazione di prima.
Questo ci dice che la nostra richiesta di intervento a totale carico della Regione è motivata. Nel '73, con gli stessi finanziamenti che oggi vengono concessi per contributi parziali, si sarebbe potuto assumere l'onere di costruzione a totale carico della Regione e si sarebbe avviata effettivamente la costruzione degli asili nido. Si sarebbe rallentato il calo di domanda verso il settore edilizio - 120 cantieri sarebbero oggi aperti - e forse qualche asilo sarebbe già entrato in funzione.
Ecco quindi una constatazione delle conseguenze del vostro modo di governare, che non può non lasciare dubbi sul giudizio che ne può derivare e che noi esprimiamo. Questa situazione e conseguenza dell'impegno finanziario inadeguato a fronteggiare la situazione, assunta in questo settore, e del meccanismo legislativo che assegna contributi parziali senza che esistano garanzia di loro completamento. Non possiamo proprio cambiare opinione sul vostro operato, che voi imponete rifiutando ogni indirizzo di modifica da noi richiesto. Il bilancio è un'ulteriore occasione di manifestazione del vostro rifiuto. Abbiamo noi chiesto maggiori stanziamenti e modifiche dei dispositivi di interventi. E' necessario costruire gli asili nido per rispondere alla domanda di servizio e dare impulso alla attività edilizia, ed è necessario farlo con tempestività, con dei programmi precisi che garantiscano la totalità dei finanziamenti e gli tempi di realizzazione.
Ma nonostante la dimostrazione negativa e palese degli errori commessi con i passati programmi, la Giunta e l'Assessorato ancora si rifiutano di prendere in considerazione la linea di intervento che noi proponiamo.
Non si può continuare a correre il rischio che per impossibilità oggettive dei Comuni a completare i contributi regionali, gli finanziamenti impegnati dalla Regione restino inattivi per anni. Per evitare questo rischio, o anche solo le dilazioni, che di per sé stesse sono già riduttive della capacità di intervento della Regione, è necessario che la Regione operi secondo un programma di intervento specifico nel settore degli asili nido, in cui siano garantiti e programmati la totalità dei finanziamenti.
Ciò significa impegnarsi per la totalità della spesa se necessario, quando si sia verificata preventivamente o si sia successivamente accertata la impossibilità che al proprio impegno finanziario si affianchi quello dei Comuni e quello degli Istituti di credito. Questa verifica è anzi necessario, onde eliminare i ritardi, che sia preventiva, e costituisca una fase della definizione del programma.
Analogo discorso può essere fatto per altre opere pubbliche finanziate dalla Regione. Abbiamo posto questo problema relativamente al programma di realizzazione degli impianti di depurazione .e restiamo dell'opinione che si dovrebbe intervenire a totale carico della Regione, con un preciso programma temporale che, in questo caso avrebbe potuto prendere avvio entro pochissimi mesi, probabilmente nella prossima estate o nel prossimo autunno. Operando attraverso contributi parziali, invece, non sappiamo da quale impianto e quando questo programma prenderà avvio . Non ci sono state scelte di priorità nella costruzione dei vari impianti, né una definizione temporale del programma. Dobbiamo ora aspettare l'iniziativa e l'intervento finanziario degli Enti locali.
Un programma di intervento qualificante come quello delle grandi opere comprensoriali di depurazione può rischiare di non prendere avvio , pur fornendo contributi per il 90 %, a causa delle difficoltà degli Enti locali di apportare il restante 10%, e comunque è ora necessario aspettare, e si dovrà procedere secondo i tempi che gli Enti locali saranno costretti a seguire.
Analoghe considerazioni di insufficienza e di inefficienza di spesa si debbono fare nei confronti delle infrastrutturazioni primarie. Qui in più dobbiamo lamentare mancanza di una rigorosa selezione della spesa, oltre che l'assenza di una programmazione degli interventi. Noi pensiamo si debba dare assoluta priorità alle spese per infrastrutture igienico-sanitarie, su ogni altra, compresa la spesa per la viabilità e per la sua manutenzione.
Non diciamo di spendere meno, chiediamo che per le opere prioritarie si faccia il possibile di spendere di più. E come? Intanto, attraverso un'opportuna ripartizione dei finanziamenti a disposizione dell'Assessorato ai lavori pubblici e attraverso una opportuna partizione della spesa generale della Regione. Ma chiediamo anche che la spesa non venga più erogata sulla base di una distribuzione a pioggia, in cui la Regione funziona da mero selezionatore di domande, ma venga orientata in base a specifici programmi di settore, approntati con gli Enti locali secondo articolazioni comprensoriali, e definiti sulla base di un'approfondita conoscenza dei fabbisogni.
In questo modo sarà possibile dare efficienza alla spesa e coordinare l'impegno della Regione e quello dei Comuni, in una visione consolidata delle risorse disponibili.
Oggi noi dobbiamo annotare che l'assenza di una politica di questo genere, non solo non ha consentito l'effettuazione della spesa prevista nei bilanci degli anni passati, ma costringe la Regione a rincorrere, anche in questo settore, gli aumenti, che permanentemente si generano, dei costi di costruzione delle opere.
Così l'aumentato importo dei capitoli di spesa relativi agli asili nido e ai lavori pubblici che presenta questo bilancio, è tendenzialmente assorbito dai maggiori costi e dai maggiori oneri che si sono già determinati nel corso dei ritardi accumulati e che si determineranno in futuro.
Non a caso noi avevamo operato perché la legge sugli asili nido imponesse dal 1974 in poi !a formazione del piano pluriennale: per programmare nel tempo (e questo significava fare il programma nel 1973 e non aspettare di fare nel 1975 il programma che doveva essere attuato a partire dal 1974) ogni aspetto e fase esecutiva del piano, dalla predisposizione dei finanziamenti totali necessari, alla progettazione all'espletamento delle pratiche amministrative burocratiche, Lo scopo era quello di coordinare e attivare preventivamente gli impegni dei vari Enti e Istituti chiamati ad operare per la realizzazione dei programmi, creando condizioni di certezza operativa ed evitando sfasature, ritardi e dilazioni.
Ferme restando le responsabilità dell'Assessorato all'assistenza, che oggi cura l'esecutività dei programmi, noi pensiamo che l'Assessorato ai lavori pubblici debba intervenire e svolgere un'azione di coordinamento dipartimentale, di controllo e direzione della spesa riguardante ogni opera e costruzione finanziata dalla Regione; e debba svolgere questo ruolo con il compito di promuovere un'effettiva e completa programmazione degli interventi; con il compito cioè di garantire la efficiente e tempestiva realizzazione dei programmi.
Le critiche che noi portiamo all'Assessorato ai lavori pubblici, che e ridotto ad operare come sportello di sussidi per un'indistinta e lunga sequela di postulazioni, hanno lo scopo di fargli superare i limiti operativi e metodologici che presenta, e fargli acquisire la qualificazione necessaria per garantire la esecutività dei programmi di attuazione delle opere finanziate dalla Regione. Ma ciò significa che la Regione deve operare attraverso politiche di Intervento e scelte di priorità, garantendo il finanziamento dei programmi.
Altro esempio di insufficiente intervento programmatorio della Regione lo si è rilevato nel recente dibattito in occasione dell'approvazione delle ultime leggi, per la politica dei trasporti. Noi siamo convinti che nella polemica sviluppata in questi ultimi giorni dalle case produttrici di autobus ci sia una strumentalizzazione, tentata ai fini della loro politica aziendale: introdurre condizioni favorevoli alle loro iniziative di ristrutturazioni produttive, disattendere impegni e non procedere alla costruzione dello stabilimento di Grottaferrata. Diciamo però chiaramente che questa polemica è resa più facile ed è consentita dalla carenza di una attività politica regionale nel settore dei trasporta Se si fossero attuati i comprensori, se si fosse organizzato il trasporto a livello di bacino comprensoriale di traffico, e con riferimento ad esso si fosse dato vita ad un programma di pubblicizzazione dei servizi di trasporti, le possibilità della Regione di definire con precisione e tempestività una domanda di mezzi di trasporto sarebbero senz'altro state maggiori. Questo tipo di politica sarebbe stato più incisivo ai fini di impegnare l'industria produttrice dell'auto a fare programmi di ristrutturazione produttiva e a mantenere gli impegni assunti di localizzazioni di industrie nel Sud.
Le politiche di settore ed i propositi operativi della Giunta regionale e dei vari Assessorati, non fanno emergere elementi di una vera politica di programmazione che parta dalla precisazione dei fabbisogni e degli obiettivi per giungere alla garanzia dei finanziamenti e alla esecuzione e alla consegna dei lavori ultimati. La politica di programmazione, a cui si fa riferimento nella relazione che accompagna il bilancio, è pertanto una pura presunzione della Giunta.
La parte generale della relazione, rappresenta quindi ancora una volta il tentativo di mostrare un quadro di buone intenzioni, e insieme il tentativo di individuare, negli impedimenti che sarebbero imposti dalla politica nazionale e dalla situazione economica, gli alibi per giustificare che nei fatti non si attua quanto l'analisi suggerirebbe e la volontà perseguirebbe? Oppure è il risultato di una dicotomia interna alla Giunta fra una mente pensante (l' Assessorato alla programmazione, forse? ) e una natura operante (gli altri Assessorati) dominata dalle esigenze clientelari, elettorali e dai legami con gli interessi locali, e non disponibile per una strategia di intervento pianificato e programmato? Probabilmente coesistono entrambe le ragioni.
Il nostro giudizio critico sul modo con cui la Giunta interviene nel promuovere e attuare opere pubbliche, si affianca con quello relativo alla limitatezza dei settori in cui opera. L'assenza di programmi in direzione di opere per l'irrigazione, per la sistemazione idrogeologica, per la trasformazione, la conservazione e la distribuzione dei prodotti agricoli per la costituzione di parchi e di attrezzature sportive e ricreative, o il ritardo e l'incertezza con cui si affrontano questi problemi, non pu essere sottaciuta. Si tratta di investimenti che non solo interessano il settore delle costruzioni e che forniscono servizi, ma di investimenti che realizzano strumenti per produrre. Si tratta di investimenti con cui si realizzano le trasformazioni strutturali in settori quali l'agricoltura e la distribuzione; con cui si inducono domande di produzione di beni ad altri settori produttivi. Quindi interventi importanti non solo per il loro fine specifico e diretto, ma anche per i meccanismi indotti che promuovono.
Infine, per quanto concerne interventi a favore del settore delle costruzioni, il problema della casa. Anche qui dobbiamo lamentare una gravissima assenza e ritardi.
Noi siamo convinti che il problema della casa possa trovare soluzione solo attraverso un' opportuna politica nazionale, e l'abbiamo dichiarato anche nella relazione che accompagna la nostra proposta di legge regionale.
Ma per il peso che questo problema ha assunto e per quanto ho detto prima relativamente al settore dell'edilizia, ai problemi dell'occupazione e alla esigenza di ristrutturazione che esso presenta, e per concretamente introdurre nuovi orientamenti di intervento nel settore dell'edilizia abitativa, siamo convinti che la Regione debba operare.
Nel giugno del 1973 (mi rifaccio a una data che è ormai di due anni fa) abbiamo sostenuto un ordine del giorno che impegnava la Giunta a ricercare le vie di intervento e le forme per costituire un fondo speciale. Abbiamo richiesto interventi in questa direzione in ogni dibattito sui programmi di presentazione delle Giunte e sui bilanci degli anni passati. Nel novembre scorso abbiamo presentato una proposta di legge per finanziare la costruzione di abitazioni, con linee alternative a quella presentata in ottobre dalla Giunta.
Il disegno di legge della Giunta era stato presentato con grande battage propagandistico, e la portata dell'intervento era stata indicata in cento miliardi. Quel disegno di legge si è dimostrato poi, ben diverso dalla immagine propagandistica data. La sua portata finanziaria è risultata molto al di sotto di quella propagandata: di poco superiore ai trenta miliardi. Non tiene conto dell'effettiva natura del fabbisogno e rivolgendosi a coloro che dispongono di capitale iniziale, e quindi di un reddito non modesto, si propone di concedere loro agevolazioni. Il meccanismo può forse fornire alcune occasioni di lavoro nel settore delle costruzioni, ma non è assolutamente in grado di affrontare il contrasto di fondo tra domanda e offerta, che costituisce un motivo permanente della crisi edilizia, oltre che della drammaticità con cui è presente il problema della casa.
In questo modo il fabbisogno di abitazioni viene assunto come un tutt'uno, indiscriminato, su cui intervenire con gli stessi meccanismi che nel passato, rivolgendosi ai ceti più abbienti, nonostante la grande produzione di vani (dieci milioni dal 1951 in poi), non hanno risolto il problema per milioni di cittadini a basso reddito.
Contro questo disegno di legge noi abbiamo contrapposto il nostro progetto, in cui abbiamo operato una scelta: quella di rispondere prioritariamente al fabbisogno dei ceti meno abbienti, indirizzando l'intervento soprattutto a favore degli I.A.C.P. e delle cooperative indivise consentendolo nei centri storici per operazioni di risanamento e ristrutturazioni. E' stata questa la nostra risposta a quell'azione disperata, che noi non abbiamo politicamente condiviso ma che abbiamo capito, di coloro che nell' autunno scorso sono stati costretti a ricorrere all' occupazione di edifici in fase di ultimata ostruzione, per uscire da una condizione abitati va inaccettabile e compre un'attesa senza prospettive di soluzioni.
Abbiamo indicato nella legge un meccanismo normativo programmatorio per l'attuazione dell'intervento dando certezza di luogo e di tempi; in questo senso abbiamo voluto anche porlo come esempio del tipo di meccanismi legislativi ed operativi che noi sollecitiamo. Abbiamo considerato l'intervento nel settore della casa, come straordinario e urgente, e abbiamo quindi fatto in modo che ogni scelta necessaria, anche quella localizzativa, non fosse rimandata, e in modo che ogni procedura fosse ordinata nel tempo. Secondo questo programma, entro sei mesi dall'approvazione della legge, si potrebbero aprire i cantieri. Se si fosse operato subito (e si era nel mese di novembre) in questa prossima primavera, nei mesi di maggio-giugno,si sarebbe data possibilità alle imprese edilizie di lavo rare.
Si e perso invece tempo, e gli effetti dell' intervento congiunturale che si doveva promuovere nell'autunno scorso e mettere in atto nella prossima primavera si sono persi.
A questo punto non resta da pensare che la legge, se approvata, sarà operante nella primavera del 1976. E considerati i tempi richiesti della procedura di approvazione della legge, e considerato che le costruzioni non si iniziano in inverno, forse anche la previsione del 1976 può diventare quella più probabile, se non si accumuleranno altri ritardi.
Non comprendiamo quindi la posizione che la Giunta esprime nella relazione, ove si vanta del suo proposito di intervenire nel campo dell'edilizia abitativa, e dove si vanta di aver presentato fin dal 1973 una proposta di legge per i centri storici. La informazione così come e data nella relazione non è corretta perché, come tutti ricorderanno, non si trattava di una legge per interventi di risanamento e ristrutturazione dei centri storici, bensì di una legge per costruire delle case in zone di espansione, al fine di liberare, dagli abitanti, le case del centro storico, e lasciarle libere alla speculazione, secondo i processi che si sono avuti fino ad oggi. Non era previsto nessun meccanismo normativo, in quella legge.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Basta che la Commissione modifichi.



RIVALTA Luigi

La Commissione ha appunto richiesto la modifica e l'Assessorato ha ritirato la legge per modificarla; eravamo nel 1973.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Non mi consta che la legge sia stata ritirata.



RIVALTA Luigi

Formalmente sarà ancora agli atti signor Presidente...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Per legge è ancora pendente alla II Commissione.



RIVALTA Luigi

Ma è certamente a verbale delle riunioni di Commissione del 1973, che l'Assessore si era impegnato a modificarla...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

A me non è stato notificato, per me e pendente alla II Commissione come risulta dal documento che è stato fornito dalla Presidenza del Consiglio.



RIVALTA Luigi

Vedrò di farle mandare una documentazione dell'attività della Commissione in cui risulterà, e credo che lo stesso Assessore Benzi possa qui dare testimonianza, quanto è avvenuto in Commissione...



BENZI Germano, Assessore all'urbanistica

E' vero.



RIVALTA Luigi

...ecco, la sta dando. Dai verbali della Commissione risulterà che unitariamente (non ricordo che ci fossero state posizioni discordi) tutti i membri avevano espresso le loro riserve su quel tipo di intervento che tendeva a liberare abitazioni del centro storico, senza controllarne il successivo utilizzo.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Io ho qui "Commissione consiliare - Regione Piemonte - Progetti di legge in esame Aggiornamento al 22 gennaio 1975". Se la dichiarazione che lei fa si riferisce a qualche cosa accaduto dopo il 22 gennaio 1975 pu avere ragione, diversamente...



RIVALTA Luigi

No no, io mi riferisco a fatti accaduti nel 1973.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Io leggo qui "Legge 102. Costruzione case per abitanti in case da abbattere o sistemare ai fini di interventi urbanistici, con particolare riguardo al risanamento dei centri storici" presentata dalla Giunta regionale il 26.7.1973 e mi risulta m esame. Io mi fido dei documenti che mi vengono dati.



RIVALTA Luigi

Lei, signor Presidente, probabilmente mi può dimostrare che c'è stato un errore nella compilazione dei bollettari di carico e scarico delle leggi da parte delle Commissioni, ma riferendoci alla sostanza della discussione avvenuta in Commissione non c'è dubbio che la vicenda stia nei termini che ho riferito e che ribadisco nel 1973, quando si è discussa la legge di cui stiamo parlando, c'era stata una posizione unanime, compresa quella dell'Assessore, per una revisione del disegno di legge al fine di regolamentare gli interventi sugli edifici liberati dei centri storici.
So che la legge non e stata modificata; passato il tempo, si è giunti ad oggi, e l'Assessorato ha ritenuto di assorbire quel disegno di legge nella nuova proposta di cui siamo in attesa dell'ultima stesura annunciata.



BENZI Germano, Assessore all'urbanistica

Hai ragione.



RIVALTA Luigi

Riassumo. La Giunta manifesta orgoglio per il tipo di atteggiamento che ha assunto sui problemi della casa; fra l'altro cita, oltre al disegno di legge, insoddisfacente, come e emerso in Commissione e nelle consultazioni presentato nell'ottobre scorso, anche il disegno di legge presentato nel marzo del 1973, proposto falsamente come provvedimento per o centri storici, che dalla Commissione non era stato ritenuto valido e che quindi era stato ripreso dall'Assessore, se non ritirato formalmente, per una correzione.
Con questo penso di aver chiarito perché non riteniamo motivata la soddisfazione della Giunta, e richiamato le ragioni di questo scambio polemico, riguardante atteggiamenti e impegni non mantenuti.
Ritornando alla nostra proposta di legge del novembre scorso sottolineo che con essa avevamo indicato la necessità di un intervento consistente, altrimenti senza significato sostanziale sarebbe l'iniziativa della Regione. Avevamo indicato la necessità di intervenire in funzione anticongiunturale e straordinaria con dei provvedimenti finanziari tali da promuovere investimenti nell'edilizia, dell'ordine di grandezza dei cento miliardi (la cifra che era stata indicata dalla Giunta nel mese di ottobre e poi largamente ridotta nel suo disegno di legge).
Ed è necessario che questi capitoli siano disponibili in un periodo di due o tre anni al massimo; se il provvedimento per l'edilizia, non solo e limitato, ma è anche dilazionato nel tempo, non può assumere alcun significato sostanziale e si riduce ad essere un intervento puramente simbolico.
La Giunta ora propone di rendere disponibile per cinque anni, sei miliardi all'anno. Con un provvedimento finanziario di così limitata entità è possibile, nella Regione costruire al massimo tre o quattro complessi significativi (1.500-2.000 vani caduno) in cinque o sei anni.
E' evidente che, l'intervento è sostanziale e le disponibilità finanziarie vengono erogate in un periodo molto breve, oppure l'intervento perde significato ai fini occupazionali e rispetto al fabbisogno di case tanto che potrebbe essere messa in dubbio la opportunità di promuoverlo.
E' poi necessario intervenire a favore delle cooperative indivise, se lo Stato non provvederà; e qui noi chiediamo che fino in fondo vengano esperiti tutti i tentativi perché lo Stato intervenga a correggere in diminuzione l'onere lasciato a carico delle cooperative indivise. Siamo in presenza di fondi erogati dallo Stato che non vengono utilizzati per l'eccessivo costo del denaro; operiamo perché lo Stato corregga questo costo, oppure con un nostro intervento legislativo, concediamo i contributi necessari per far sì che il costo dei finanziamenti concessi attraverso la legge 865 alle cooperative indivise risulti conveniente, e si attivi così l'utilizzo dei fondi giacenti.
Ci troviamo, in sostanza, di fronte, anche per la casa, a una carenza di iniziative della Giunta, o alla solo promessa e proposta di provvedimenti, limitati e dilazionati nel tempo, senza nessuna possibilità di avere una portata congiunturale ne sostanziale, se rimarranno tali e quali sono stati annunciati dalla Giunta con questo bilancio.
Ci direte certamente che noi vogliamo troppe opere. Noi vogliamo molte opere, ma non più di quelle che si possono fare. Voglia- m.) intanto che si facciano quelle necessarie e che si escludano quelle non necessarie. Non pensiamo assolutamente di fare delle richieste che vadano al di là dei finanziamenti disponibili Ma per questo diciamo che si devono utilizzare le possibilità di accensione di mutui, In una situazione di inflazione come quella che s t 'amo attraversando, l'utilizzare tempestivamente i fondi rende produttiva la spesa; sempre meno opere, saremo in condizioni di realizzare in futuro, con gli stessi mutui che si possono accendere.
Inoltre è necessario allargare la possibilità di intervento, attraverso la creazione di strumenti quali la finanziaria, e prendere inizia- uve politiche, affinché la politica creditizia delle banche sia orientata al finanziamento dei programmi specifici e speciali indicati dalla Regione dai comprensori, dai Comuni, e da questi attuati.
E' questo il consolidamento dell'uso delle risorse che è necessario attuare, per realizzare indirizzi di priorità e per ampliare l'investimento finanziario necessario. In questo modo deve essere impedito che le banche finanzino le opere che non sono prioritarie, o che non è opportuno oggi fare, o che non devono più far parte del nuovo indirizzo economico: e mi riferisco alla politica della seconda casa e della terza casa delle grandi infrastrutturazioni, dei grandi interventi speculativi residenziali.
La situazione di crisi presente deve essere superata positivamente abbandonando vecchi meccanismi di sviluppo, per ristrutturare settori come l'edilizia, per modificare sostanzialmente al processo di valorizzazione capitalistico tipico dell'edilizia e dare a questo settore un ruolo diverso nello sviluppo del Paese, dal punto di vista economico, occupazionale e produttivo.
E' necessaria una produzione edilizia realizzata da imprenditori pubblici, e privati ma su terreni pubblici; localizzata territorialmente secondo criteri di pianificazione regionale e quindi di riequilibrio interno della Regione.
In questo senso, anche, appare di fondamentale importanza la politica di piano, economica e territoriale. E qui dobbiamo denunciare l'assenza del piano di sviluppo, che non può essere imputata al Consiglio (come ha fatto l'Assessore Simonelli nella sua relazione, assolvendo a Giunta) ma deve essere imputata alle forze politiche di maggioranza. Non ci sentiamo assolutamente responsabili dei ritardi accumulati nell'elaborazione del piano di sviluppo; anzi, ci sentiamo unica forza che con coerenza e persistenza ha sostenuto la necessita di formulazione del piano di sviluppo.
Dobbiamo denunciare il ritardo con cui si è affrontato il problema dei comprensori, strutture necessarie (e Simonelli ha detto "obbligatorie per Statuto") ai fini della pianificazione.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

L'abbiamo anche scritto da parecchio tempo, ma dal pensare le cose, al farle, architetto, lei lo sa.



RIVALTA Luigi

Ma il nostro giudizio non può essere che sulle cose fatte; non pu essere fondato sulle parole dette.
Aggiungo, a quanto ha detto Simonelli (i comprensori sono "obbligatori"), che i comprensori sono necessari per realizzare la politica di partecipazione, non solo in forma consultiva come avviene oggi, ma in forma sostanziale e attiva; necessari per procedere all'attuazione della riforma regionale e per promuovere il potenziamento delle autonomie locali.
E permettetemi di aggiungere, in questo momento di grande volontà di partecipazione, come dimostrano le elezioni scolastiche, che lo stesso significato innovatore e rivoluzionario dei nuovi strumenti di democrazia e di partecipazione (comitati di quartiere, consigli di zona, comitati scolastici, le future unita sanitarie) prenderà corpo nella misura in cui la Regione svolgerà appieno il suo ruolo di soggetto promotore di un processo di decentramento, e nella misura in cui i comprensori diverranno strumento di organizzazione e di espressione dell' attività di questi centri. E quindi i comprensori non solo sono obbligatori per una ragione tecnica, metodologica, inerente la pianificazione, ma sono necessari per realizzare una effettiva partecipazione.
E dobbiamo denunciare, infine, il ritardo e le resistenze con cui viene portata avanti la politica urbanistica e di coordinamento territoriale. Si sta solo ora elaborando il piano territoriale dell'area torinese. E' un dato certamente positivo, che noi abbiamo considerato tale, e continuiamo a considerare tale, ma diciamo anche che doveva essere compiuto prima considerati i problemi che l'area torinese presenta.
Un giudizio definitivo su questo piano territoriale lo potremo per solo dare se questa elaborazione avrà uno sbocco, e se i suoi contenuti saranno positivi. Per positivi intendiamo la coerenza con i principi del riequilibrio regionale, del contenimento dell'espansione della conurbazione torinese, della salvaguardia delle zone agricole e delle condizioni ecologiche, dell' inversione di tendenza ai processi in atto di espulsione della popolazione dal centro storico di Torino e della sua sostituzione con attività terziarie Positivo se rispetterà il principio dell' introdurre i vincoli per cui è stato deciso, nei confronti di quegli interventi che non sono immediatamente necessari, nei confronti delle grandi infrastrutture dei grandi insediamenti speculativi residenziali. Positivo se sceglierà la linea operativa di opporsi alle rendite, e si collocherà nel solco quindi di una politica edilizia rinnovata rispetto ai meccanismi del passato.
La convinzione di questa linea non pare ancora acquisita dall'Assessorato. I dubbi provocano ritardi (e ne hanno già provocati) tendono a impedire le scelte politiche che sono da farsi e che possono immediatamente, oggi, essere fatte, senza altre dilazioni. Anche la discussione di ieri sera della I Commissione ci dimostra che le scelte sono possibili con immediatezza Non comprendiamo pertanto il trionfalismo che appare nella relazione, per il solo fatto di aver dato l'avvio alla elaborazione del piano territoriale Sarà vera gloria l'aver dato avvio al piano territoriale - e noi ne daremo atto - se veramente verrà formulato nel corso di questa legislatura, e se avrà quei principi e quei contenuti validi che succintamente ho richiamato.
D'altra parte questo è l'unico piano territoriale che si sta elaborando. Già dalla sua elaborazione appare l'esigenza di estendere l'azione di coordinamento e di direzione dello sviluppo territoriale in altre aree regionali, ad esempio su quelle di Ivrea e di Pinerolo. E sull'intera Regione è necessario che noi estendiamo questo tipo di osservazione e analisi riguardante l'organizzazione territoriale, anche come elemento di promozione della pianificazione globale.
Ecco quindi le critiche che sotto il profilo dell'intervento della Regione nel campo delle opere pubbliche e della pianificazione e della programmazione, noi facciamo. E dobbiamo riconoscere che soltanto alcuni proponimenti sono stati indicati; che solo alcune iniziative sono state avviate, ma che nulla di concreto si è fatto.
Non si sono costruiti strumenti comprensoriali; si accentra a livello regionale ogni elaborazione.
In questo modo si limita la stessa possibilità operativa della Regione oltre che impedire l'espressione di volontà politica della comunità regionale. Di fatto al di là del lavoro in corso per il piano territoriale dell'area torinese, non rimane altro che un esercizio burocratico amministrativo delle competenze urbanistiche regionali. E la maniera di uscire da questa dimensione operativa non può che essere quella del promuovere la pianificazione territoriale di coordinamento su tutto il territorio regionale.
E' questo il quadro non confortante che emerge dall'attività della Giunta, e il bilancio ne è il riflesso.
Il nostro giudizio non può essere positivo per le poche cose avviate ma non concluse; è di attesa per quanto deve essere definito: piano territoriale di coordinamento, legge sulla casa; è certamente negativo per le tante cose che si potevano e si dovevano fare, con tempestività, e non si sono invece fatte.
La critica nostra non è quindi strumentale, nasce da una valutazione obiettiva dell'operato della Giunta, e dal confronto con quanto, come espressione di volontà politica di ampie componenti della comunità regionale, noi indichiamo come proposta alternativa e costruttiva.



PRESIDENTE

Con l'intervento del Consigliere Rivalta dichiaro chiusa la discussione generale, secondo l'accordo intervenuto con i Presidenti dei Gruppi.
Vi è stata stamane una richiesta di parola per fatto personale da parte del Consigliere Visone. Gli dò la parola, ricordando che il Regolamento prescrive che il richiedente indichi esattamente in che cosa consiste il fatto personale.



VISONE Carlo

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho ritenuto di dover chiedere la parola per fatto personale perché mi pare doveroso da parte mia fare una messa a punto, con estrema chiarezza e senza intenti polemici, in merito a due passi dell'intervento del Consigliere Revelli, in quanto sono stato da fui chiamato in causa personalmente, e come dispensatore di denaro a tutti e come responsabile di un atto compiuto dall'Assessorato che ridicolizzerebbe l'Assessorato stesso.
Il Consigliere Revelli ha affermato: "Abbiamo dato soldi a tutti, il primo anno, con l'Assessorato Visone in particolare. Non tutti hanno poi rendicontato cose che hanno rasentato addirittura il Codice penale. Abbiamo avuto delle truffe, se non concrete, ideali, anche nei confronti dei giovani..." Non so di quali truffe egli abbia inteso parlare. Comunque essendosi fatto il mio nome mentre si accennava a truffe, penso che, se dispone di elementi concreti, farebbe bene a precisarli esplicitamente.
E' un fatto incontestabile che nel primo anno di gestione dei corsi da parte della Regione si è proceduto a concedere finanziamenti a quegli Enti che già ne beneficiavano da parte del Ministero del lavoro: in Commissione III - mi spiace che il Presidente sia uscito - si è discusso il piano, e la Commissione che ha preso atto, dopo ampia discussione dalla quale è emerso che non si disponeva di elementi per giudicare la validità o meno degli Enti gestori. L' Assessorato - allora a me affidato - ha richiesto all'Ispettorato del lavoro di mettere a disposizione degli ispettori per controllare gli corsi: la risposta è stata negativa, e si è dovuto pertanto creare un corpo ispettivo nostro.
Per quanto riguarda la rendicontazione '72-'73, questa dev'essere presentata sempre l'anno successivo, e quindi ritengo che l'Assessorato stia facendo i relativi controlli di merito. Già con l'anno formativo '73 '74, nel preparare i piani dei corsi, discussi in Commissione, si è tenuto conto dell'esperienza dell'anno precedente e ci si e orientati a non finanziare i corsi di primo anno di quegli Enti che non davano sicuro affidamento e ad arrivare successivamente alla I oro esclusione, come e avvenuto di fatto quest'anno, perché hanno concluso il ciclo, dei finanziamenti.
Il Consigliere Revelli ha poi voluto richiamare l'attenzione sui corsi per apprendisti '72-'73, accennando al fatto di migliaia di lettere e a corsi iniziati ad agosto come sintomo di confusione e di inefficienza. Devo precisare che, per quanto riguarda i corsi dell'anno formativo '72-'73 fino a dicembre inoltrato il Ministero non aveva dato assolutamente certezza di finanziamento - in quanto allora la Regione, non avendo stanziamenti propri, doveva fare i corsi in base a quanto veniva dato dal Ministero. Appena si è avuto un impegno verbale (d Presidente Besate sa quante volte abbiamo parlato di questo in Commissione), si è provveduto ad indire i corsi per apprendisti. Ora, mentre per il resto del Piemonte è stato relativamente facile reperire gli elenchi delle imprese che impiegavano apprendisti, per Torino nessuno ha saputo o voluto fornirceli.
Allora, per garantire a tutti gli apprendisti il diritto dovere di partecipare, e per far partecipare i datori di lavoro, si è dovuto scrivere una lettera, che reca la data del 7 dicembre '72 n. 4732 F 27 a tutti i titolari di azienda e un'altra, in data 12/12/'72 n. 4722 F. 30 alle Associazioni aziendali di categoria con le quali era stato concordato questo meccanismo, che era indubbiamente farraginoso, ma senza possibilità di alternativa. I corsi, nonostante queste difficoltà, sono iniziati tutti nel mese di febbraio del '73 e sono terminati la maggior parte entro giugno alcuni a luglio, qualcuno proprio ai primi di agosto; quindi il 15 agosto gli apprendisti non dovevano iniziare i corsi, come ha sostenuto il Consigliere Revelli, ma si sono trovati liberi di andarsene in vacanza come tutti, compreso il Consigliere Revelli, stando alla sua affermazione.



PRESIDENTE

Prendiamo atto di queste precisazioni, pienamente giustificate dai riferimenti che sono stati fatti alla sua persona come Assessore.



BESATE Piero

Chiedo la parola per essere a mia volta stato chiamato in causa.



PRESIDENTE

Per la verità, il Consigliere Visone si è riferito alla Commissione non a lei personalmente.



BESATE Piero

Ha detto che la Commissione aveva preso atto, come a verbale...



PRESIDENTE

Se il riferimento e solo alla Commissione il fatto personale non sussiste.



BESATE Piero

A quel che mi dice il compagno Raschio, sarei stato citato qui come pezza giustificativa, e perciò mi sento in dovere di interloquire...



PRESIDENTE

Il Consigliere Visone ha detto soltanto che di questi problemi si era parlato in Commissione.



BESATE Piero

C'è differenza fra il parlare di un piano e l'approvarlo.



PRESIDENTE

Il Consigliere Visone non ha affatto detto che la Commissione avesse approvato l'operato dell'Assessore. Ne diamo atto.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni del Presidente della Giunta sulla "Montefibre Montedison" e sulla "Bemberg"


OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Poche la Giunta aveva preso impegno di dare in tutte le riunioni notizie in ordine ai problemi del mondo del lavoro, reputo mio dovere informare il Consiglio che questa mattina l'Assessore Conti mi ha riferito su un incontro al quale ha partecipato ieri sera a Vercelli. In questa circostanza, il Ministro dell'industria ha dato indicazioni su fatti nuovi in corso di maturazione, che permetteranno con ogni verosimiglianza che l'incontro del 4 marzo con la Montefibre e la Montedison possa avere prospettive molto più confortanti di quelle che si immaginavano fino a questo momento. Sono indicazioni e prospettive fondate, mi assicura l' Assessore Conti, quelle date dal Ministro, da verificarsi in incontri con altri Ministri.
Ieri, poi, è venuto - mi spiace sia assente il collega Sanlorenzo visto che era stato lui a chiedere la persona prima -, accompagnato dal direttore generale dotta Petrali, il presidente della società Bemberg Angelo Costa. In merito all'incontro e stato diramato un lungo comunicato raccolto integralmente da "l'Avvenire" e dal "Corriere della Sera", mentre nessun giornale torinese ha ritenuto di ospitare questa notizia, che ha pure una certa rilevanza.



BIANCHI Adriano

Su "La Stampa" è apparsa, ma nella pagina di Novara.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Io non ho occasione di vederla...
Il dott. Costa ha spiegato che la società Bemberg e costituita per il 66,66% da capitali appartenenti a gruppi stranieri, con azionisti italiani privati di minoranza, ha precisato di non avere alcun interesse azionario nella società, ed ha confermato il suo impegno di difendere, nei limiti del possibile, l'attività produttiva ed il livello occupazionale dell'azienda.
Ha fatto presente che l'attività della Bemberg si articola su due produzioni ben distinte: il filo cupro e il filo nylon, che approssimativamente impegnano ciascuno 900 unita lavorative. Mentre per il filo nylon non esistono problemi al di fuori di quelli normali dipendenti dall'attuale crisi di mercato, il filo cupro ha una sua crisi specifica legata all'alto costo di lavorazione rispetto a quello di altre fibre tessili concorrenti. La crisi specifica del filo cupro deve far prevedere la necessità, sia pure a non breve scadenza, di trovare una produzione sostitutiva al fine di consentire il mantenimento della struttura dell'azienda con riassorbimento di parte delle unità lavorative lasciate libere nel processo cupro, In questo senso il problema è da anni allo studio da parte della Direzione della azienda: non ha avuto possibilità di risoluzione perché l'azienda non ha potuto in questi anni autofinanziarsi.
A questa situazione si sovrappone il problema ecologico: la legge regionale piemontese, entrata in vigore il 4 dicembre '74, potrebbe consentire il raggiungimento dei tassi provvisori con una ingente spesa e sacrificando una parte notevole della capacità produttiva del filo cupro. L'intervenuta proposta di legge nazionale n. 3193, che impone anche per i tassi provvisori limiti praticamente irraggiungibili, rende attualmente impossibile prendere decisioni immediate per tentare di soddisfare la legge regionale piemontese, sia pure qualora quest'ultima possa prevedere allargamenti di tassi e allungamenti di tempi. Questo quanto è stato dichiarato e quanto ho ritenuto mio dovere riferire all'assemblea.



PRESIDENTE

Chiede di parlare sulle comunicazioni del Presidente della Giunta il Consigliere Besate, Ne ha facoltà.



BESATE Piero

Come il Presidente della Giunta ha riferito, ieri sera il ministro Donat-Cattin ha tenuto, su iniziativa della Democrazia Cristiana di Vercelli, una conferenza informativa, presente anche l'Assessore Conti della quale stamattina i giornali danno - almeno in certe pagine provinciali - ampio resoconto.Dalle affermazioni riportate risulterebbe che il Governo, in sostanza, mette a disposizione 500 miliardi sulla legge 464 con riserva della disponibilità di una parte di questa cifra alla Montefibre.
Secondo questa logica, spetta alla Montefibre accedere o meno a questo finanziamento. Certo, se verrà davvero concretizzato, questo costituirà un passo avanti, che toglie ogni alibi alla Direzione di quella azienda.
Dobbiamo tuttavia rilevare che si rimane legati alla vecchia logica dello Stato-sportello che dice: qui ci sono i finanziamenti, sta a voi decidere se volete o no accedervi. In altre parole, si lascia all'imprenditoria di tipo privatistico, aziendalistico, decidere la sorte, il destino di intere zone e di migliaia e migliaia di lavoratori.
Io mi richiamo anche alle precedenti dichiarazioni del Presidente della Giunta, secondo le quali il presidente, o direttore generale, di Montefibre, dott. Massimiliano Gritti, gli aveva comunicato, cortesemente ma altrettanto fermamente, che per ciò che concerne la Monte- fibre la questione occupazionale è definitivamente chiusa. Il problema, insomma rimane del tutto aperto: c'e la sostanza finanziaria, ma la volontà politica...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Ho già detto che si prospetta un fatto nuovo per il 4 marzo. Perch dobbiamo rimestare sempre le cose in chiave polemica...!?



BESATE Piero

Signor Presidente, io sto esprimendo un giudizio. A questo punto sembrerebbe di dover trarre questa conclusione: il Governo è a posto perch ha messo a disposizione gli miliardi (vedremo poi se ci saranno o no, e in che modo), quindi restiamo tutti tranquilli ad aspettare le prossime mosse della Montefibre. Io dico invece, attenendomi alle sue dichiarazioni Presidente, visto che siamo in quest'aula, ignorando quanto riferito dai giornali, che assolutamente non può essere questa la nostra posizione tanto più che la riunione del 4 marzo potrà esserci unicamente se l'azienda farà rientrare gli operai messi in cassa integrazione a zero ore, come del resto era precisato nel suo telegramma letto a suo tempo in Consiglio, e secondo una prospettiva che veda una modificazione globale e radicale di Montefibre L'azione politica dev'essere pertanto più incalzante che mai: non si può assolutamente restare in attesa che Montefibre decida di sfogliare la margherita, anche perché Montefibre ha già detto chiaramente che per parte sua la questione occupazionale è definitivamente chiusa.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Lei ha voluto veramente far eco alle mie parole, non altro.



PRESIDENTE

Non vi sono più Consiglieri iscritti a parlare. La seduta è pertanto chiusa. Riprenderà alle ore 15, con viva raccomandazione di puntualità anche in considerazione dello sciopero ferroviario che inizierà alle 21.
Pregherei di trattenersi ancora brevemente i Capigruppo unitamente al Presidente della Giunta ed ai Presidenti delle Commissioni I, II e VIII per prendere alcuni accordi.



(La seduta ha termine alle ore 12)



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