Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.290 del 21/02/75 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


FASSINO GIUSEPPE


Argomento: Bilanci preventivi

Esame del disegno di legge n. 232 "Bilancio di previsione per il 1975" (seguito)


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE FASSINO

La seduta è aperta. Sono in congedo i Consiglieri Beltrami, Chiabrando Debenedetti, Garabello, Gerini, Giovana, Nesi, Giletta.
Debbo comunicare, anche perché il pubblico abbia una spiegazione della scarsità delle presenze in aula, che due Commissioni, la II e la V, sono riunite per le consultazioni; i Consiglieri che ne fanno parte sono spiritualmente qui con noi, anche se materialmente si trovano nella sede del Consiglio per le riunioni che ho detto.
Prosegue il dibattito sul bilancio, secondo l'ordine del giorno letto ieri.
E' iscritto a parlare il Consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Presidente Oberto e la Giunta non credo che ce ne vorranno se il nostro Gruppo sceglie oggi il terreno di confronto sul Bilancio, non per una ennesima messa a punto delle convergenze o divergenza sulla linea generale di politica economica del Paese sulla crisi internazionale, sul petrolio e gli arabi, sul MEC e il Giappone, sul rapporto Nord e Sud. E lei sa bene, Presidente Oberto, che se noi in qualche modo oggi non vogliamo riprendere per esteso questi temi non è perché in qualche modo si attenui (anzi caso mai è accresciuta) la consapevolezza che da queste crisi si esce solo con un deciso avvio alla soluzione proprio di quei nodi essenziali che ho ricordato prima e, quindi solo con la cooperazione europea e con modifiche profonde della politica estera del nostro Paese e di alcune condizioni oggi esistenti in campo internazionale. Se il nostro Gruppo assume oggi il problema della occupazione in Piemonte, così largamente presente anche nella relazione della Giunta, il problema della sua difesa e del suo sviluppo, come problema centrale, è perché dà per acquisita una convergenza culturale che non è certo mancata in questi anni nei dibattiti che qui si sono svolti nelle mozioni, nelle relazioni al Bilancio, compresa l'ultima, compreso il dibattito e le conclusioni del recente convegno Nord-Sud che i comunisti hanno proposto e la Giunta ha lodevolmente organizzato, e che lo stesso giornale del nostro Gruppo, che verrà distribuito questa mattina ai Consiglieri presenti e sarà recapitato agli assenti, riporta e valorizza.
Il fatto è che le convergenze culturali certo contano, ma oggi contano moltissimo il grado di operatività concreta economica e politica che qualsiasi istituzione pubblica e privata del nostro Paese è in grado di esprimere con coerenza e per una finalità di trasformazione profonda dell'assetto agrario, industriale, terziario, sinora conosciuto dal nostro Paese e dalla nostra Regione. E allora il confronto deve calarsi più in concreto sul che fare, come fare, quando fare e con chi, per far uscire il Paese dalla crisi; la quale non solo è grave, ma galoppa. Sino a pochi mesi fa la prospettiva per il nostro Paese era di una crescita "zero" nel 1975.
Oggi è quasi certo che l' anno che stiamo vivendo sarà il primo del dopoguerra in cui non solo non si andrà avanti sul terreno dello sviluppo economico, ma si andrà indietro.
I dati sono eloquenti proprio in termini di occupazione disoccupazione, riduzione di orario. 1.200.000 disoccupati, cui deve aggiungersi la prospettiva del Presidente della Confindustria che ne annuncia come prossimi altri 300.000; le ore di cassa integrazione sul territorio nazionale al 2 febbraio registravano una impennata del 132%. Ma questi dati generali dovrebbero essere continuamente aggiornati con le notizie che si leggono ogni giorni sui giornali, notizie "nere" e frequenti come quelle della episodica degli attentati e delle aggressioni fasciste; e l'accostamento che faccio non è casuale, perché disoccupazione e aggressività squadristica o delinquenza comune, sono sempre andati di pari passo in ogni Paese. Non dimentichiamo mai che il fascismo non fu soltanto il regime della oppressione, ma anche il regime della stagnazione economica.
Sappiamo inoltre, proprio perché lo ha pubblicato in questi giorni la Banca d'Italia, che oggi, nell'Italia del 1975, 37 famiglie su 100 hanno redditi inferiori a 1 milione e mezzo all'anno e 68 famiglie su 100 hanno redditi inferiori a quello assunto come medio, e cioè 2 milioni e mezzo all'anno.
Sappiamo anche bene che la situazione non e solo italiana, ma non ci consolano né gli 8 milioni di disoccupati negli Stati Uniti, un milione in più di quelli che erano tre mesi fa, né i 600.000 senza lavoro nella Repubblica Federale Tedesca, cioè un Paese che sino a pochi anni fa importava mano d'opera, né la crisi delle piccole aziende svizzere che importavano emigrati italiani, mentre oggi la Svizzera continua solo a importare capitali. Non ci consolano queste notizie, né ci abbandoniamo alle cause oggettive, che pure ci sono, al fatalismo o allo spiritualismo.
Non siamo né testimoni di Geova, non attendiamo la catastrofe del mondo non siamo per salvarci l'anima, né siamo operatori politici ed economici che debbono oggi e meno che mai giustificare e accettare come inevitabile questa crisi che è capitalistica, economica e politica, e dalla quale potenti forze vogliono uscire facendone pagare le spese alle classi lavoratrici. Vogliamo invece impegnare tutte le forze della nostra Regione e del nostro Paese in una direzione necessaria e possibile. Oggi il Piemonte è nell'occhio del tifone.
Ciò è dimostrato non tanto dalle cifre, che sono anche ricordate nella relazione della Giunta, e cioè nel fatto che dall'ottobre '74 sono calati di 30.000 unità gli occupati con una percentuale del 3 mentre in Italia il calo è stato dello 0,4.
La gravità della situazione piemontese è data dai dati della cassa integrazione cioè dei lavoratori a cassa integrazione che nessuna fonte è in grado di dire con precisione Quanti siano oggi in Piemonte, e per le quali si hanno dati parziali, in difetto, ma assai eloquenti.
Abbiamo fatto, come Gruppo, una piccola indagine e vi portiamo qui gli dati, che devono essere impressi in ciascuno di noi per qualsiasi decisione si voglia prendere in relazione alla replica finale e alle leggi che potremo ancora attuare nella nostra Regione. Nella sola Provincia di Torino, la Federazione CGIL, CISL, UIL denuncia una situazione interessante: 190 aziende nelle quali lavorano 144.946 lavoratori a cassa integrazione nei settori: metalmeccanico, chimico e tessile. Per dare una aggregazione ai dati - qui è stato escluso il settore dell'edilizia che tutti sappiamo in quali condizioni versa -, ho rifatto l'analisi per le altre Province sempre depurandola del dato dell'edilizia, per avere alla fine la possibilità di dire o di avvicinarci alla verità circa quanti siano i lavoratori o le aziende che in questo momento, nell'intero territorio piemontese, sono in questa situazione.
In Provincia di Alessandria sono in cassa integrazione circa 4.000 lavoratori. Altri 4.000 sono in cassa integrazione nel Vercellese in sole cinque grandi o medie aziende, mentre altri 1.000 lo sono in 20 piccole aziende, 4.000 sono anche i lavoratori a orario ridotto nella Provincia di Cuneo, mentre 17.000 lo sono nel Biellese (qui c'é una divergenza fra il dato che riporta la rivista della Democrazia Cristiana, nel terzo numero che parla appunto di 17.000, e i dati che avevo appurato, e che erano di 11.000; ma, rispettoso come sono dell'autorità della Giunta e della Democrazia Cristiana, non ho difficoltà a credere che siano 6.000 in più di quelli che ho scoperto io). Nel Novarese sono 2.262 nella sola Montedison di Verbania, oltre a 1.374 nel settore metalmeccanico e 3.215 nel settore tessile per un complessivo di 6.851 lavoratori a orario ridotto. In totale in Piemonte, si può quindi dire, facendo la somma aritmetica, ignorando l'INPS, la Confindustria, l'ISTAT, il Ministero del Lavoro, tutti quelli che dovrebbero dare i dati e non li danno - perché la prima rivoluzione che dobbiamo fare nel nostro Paese è nel cercare sempre di capire come stanno le cose - che risulterebbe, dalla somma dei dati davvero confrontati censiti e recepiti, che ci sono oggi 180.000 lavoratori che lavorano a orario ridotto, sono a cassa integrazione, mentre altre migliaia sono in pericolo di licenziamento e molti, come vedremo, sono stati licenziati.
Ma la cifra globale, di per sé crediamo assai significativa e senza precedenti nella industria piemontese, occorre analizzarla nel suo interno per capirne il carattere e le peculiarità. Si sa quasi tutto sulla crisi dell'industria dell' auto, sulle sue origini, conseguenze e anche prospettive. Non voglio qui soffermarmi su una questione di cui si è già parlato, scritto, credo a sufficienza, per ciò che concerne l'analisi.
Vorrei piuttosto rilevare altre caratteristiche di questa crisi in ordine proprio alle scelte culturali che a suo tempo sono state fatte quando si parlava, senza farlo, del piano regionale di sviluppo, ribadite anche nella prima parte della relazione del dott. Gatti - scusatemi, della Giunta; ma la scusa è parziale, perché io ho visto che questa relazione del dott.
Gatti è contenuta anche nella relazione della Democrazia Cristiana sulla rivista, e, quindi, è giusto che io dica così, fa onore al dott. Gatti e fa onore alla Giunta che l'ha assimilata e messa nella relazione al bilancio in ordine proprio alle scelte che a suo tempo sono state fatte, sono state acquisite, su cui non c'é discussione, almeno a parole, e che per risultano essere profondamente in contraddizione con i processi reali che vanno avanti.
Così, ad esempio, la gravità di alcune situazioni non può essere limitata ai dati numerici.
E in Provincia di Alessandria si sta fermando il settore specializzato di macchine utensili che ora produce per il magazzino e sarebbe un vero disastro se i 3,000 occupati in questo settore si aggiungessero ai 4.000 che sono attualmente già in cassa integrazione e che sono occupati in parte per aziende che producono indotto Fiat ma anche in altri settori (elettrodomestici e metalmeccanici in genere, plastica, abbigliamento) Tiene meglio, ad Alessandria, in una certa misura, il settore tessile.
In tutte le Province si segnala da un lato una espulsione delle donne una estensione del lavoro a domicilio per effetto della più elevata mobilità e minor costo.
In particolare, i caratteri diversificati che in passato avevano impedito una trasposizione meccanica della crisi dell'auto sono messi in discussione.
In Provincia di Cuneo, analizzando le fabbriche nelle quali 4.000 lavoratori sono in cassa integrazione su 48.500 occupati, emerge che è in discussione proprio la piccola e media industria tessile e dell'abbigliamento (oltre all'indotto dell'auto). Nel Biellese, gli 11.000 (o 17.000) in cassa integrazione anticipano una tendenza che ha già portato a 600 licenziamenti negli ultimi 3 mesi e mettono in discussione nuovamente le strutture di un settore e di una zona che dal '60 al '70 ha perso 10.000 lavoratori e che nel '71, aveva, invece, avuto una grande ripresa di costruzione di piccole e medie aziende, che avevano approfittato di quella che noi chiamiamo una "espansione drogata".
L'ing. Frignani, Presidente degli industriali, all'assemblea dei soci ha previsto altri 2.000 licenziamenti nel settore tessile. Nella Provincia di Asti, la minaccia di 850 licenziamenti all' IBI-MEI, la chiusura della Sica, il mancato rinnovo a 130 stagionali alla Saclà, la chiusura della Modamassa con 230 licenziamenti, la chiusura, negli ultimi due mesi, della Spalla Rossa e della Viarengo, la fine dell'utilizzo della cassa integrazione alla Fassio Romolo, alla Palma, alla Macobi, ci dicono che in questa Provincia è in discussione la scelta di fondo che doveva essere alla base del piano regionale di sviluppo, cioè: lo sviluppo della piccola e media industria.
Che questa, invece, rimanga il punto di riferimento cui occorre guardare, non deriva solo dai dati di fatto della occupazione in Italia (oggi per l'80,7 % concentrata nelle piccole e medie industrie) ma anche dalla controprova offerta da una Provincia come quella di Novara dove la diversificazione produttiva è un fatto esistente da decenni, costituisce la sua forza, e dove (anche se non è vero tutto quello che è stato detto e ha scritto ieri Salvatorelli sulla Stampa perché, 3.000 lavoratori frontalieri in pericolo con le aziende svizzere che chiudono, il mancato insediamento Montedison, la crisi della Falconi, la crisi della Sorgato, sono fatti che non possono consentire di affermare che non ci sono crisi acute) è per vero che é, oggi, la Provincia dove l'assetto industriale tiene di più proprio per la sua varietà, diversificazione, dislocazione e particolare specializzazione.
Da questi fatti risulta che il Piemonte è, oggi, la Regione più colpita da questa crisi che è strutturale, che è di tutto il mondo industriale non solo italiano o europeo ma mondiale.
Ma il Piemonte non è stata forse la Regione in Italia che più di ogni altra, in questi 20 anni, ha impersonificato un certo tipo di sviluppo? Ecco, allora, la portata immediatamente nazionale del problema, del come difendere e sviluppare l'occupazione nella nostra Regione, una Regione dove sino a pochi anni fa poteva sembrare una discussione sul sesso degli angeli (anche se la piena occupazione non c'é mai stata nel senso di piena utilizzazione di tutte le risorse) discutere del posto di lavoro quando le fabbriche, piccole e medie, stampavano manifesti per la ricerca di manodopera specializzata e la Fiat occupava gli immigrati per le linee di montaggio, e quando discutere sulla necessità di un nuovo modello di sviluppo poteva sembrare un hobby culturale dei comunisti, sul quale, al massimo, fare delle belle tavole rotonde o pubblicazione dei numeri unici.
Oggi, invece, è proprio in crisi qualcosa che pareva non lo dovesse mai diventare e ciò che più conta è che tutti convengano nel dire che alla stessa situazione di prima, volenti o nolenti, non si tornerà più. Non si tornerà più perché il peso industriali degli Stati Uniti nei confronti degli altri partners del mondo capitalistico occidentale si è modificato nel senso che contano di meno: non si tornerà più perché il Giappone e l'Italia, cioè i Paesi usciti sconfitti dalla seconda guerra mondiale hanno ridotto le distanze rispetto alla capacità produttiva americana l'uno di sei, l'altra di tre volte. Non si tornerà più perché i Paesi produttori di materie prime non hanno più voglia di farsi spennare come hanno fatto per sei secoli; non si tornerà più perché, a fronte di questa volontà, non si può nemmeno pensare di risolvere il problema come ha suggerito il Segretario di Stato americano Kissinger, che propone di sterminare tutti gli arabi: il che, oltre tutto, è difficile trattandosi di cento milioni di individui e poi perché è sempre più facile, per loro, distruggere prima o pozzi di petrolio e allora sarebbe inutile - visto che a guidarli è sempre il criterio del massimo profitto, molto meno o principi morali - far tanta fatica senza riuscire a salvare il petrolio. E' certo, dunque, che alle condizioni preesistenti, che permettevano di costruire gli elettrodomestici per due anni e poi buttarli via - tanto l'energia costava poco - di costruire le macchine e di farne uscire fuori un modello all'anno - tanto l'energia costava poco - di far gonfiare fuori misura i consumi individuali di tutti i generi, tanto pagavano i popoli dell' America latina o i popoli dei Paesi sottosviluppati, non si tornerà mai più.
Ma più ancora delle cifre, la gravità è il carattere specifico del momento che sta vivendo tutta la struttura industriale del nostro Paese e della nostra Regione (certo, ripeto, come eco di fenomeni che hanno "anche" assai lontano da noi le loro origini remote) sta nel fatto che non avendo avviato prima la diversificazione produttiva, in tempo di boom o di alto sviluppo o di alta congiuntura, non si può (oltre che non si deve) aspettare un tempo futuro che non verrà più, per avviare domani ciò che non è stato fatto, e doveva esserlo ieri.
No, è oggi che, senza indugi, bisogna cambiare strada.
E oggi la diversificazione produttiva, la riconversione industriale diventa la condizione per lo sviluppo dell'occupazione, diventa il punto di partenza e di lotta per avviare una conversione industriale che non voglia significare un drammatico ridimensionamento della capacità produttiva complessiva del sistema, e centinaia di migliaia di disoccupati permanenti.
Ma attenzione, ecco il punto dello scontro politico! Ecco il discorso che riguarda diretta- mente la Giunta e le forze politiche di maggioranza! Un nuovo tipo di sviluppo va contro le attuali scelte politiche, di potere, di profitto, di clientele, di fabbriche impiantate in quella zona per far piacere a questa o a quella corrente del partito o dei partiti di maggioranza, di passaggio obbligatorio alla GEPI di questa o quella azienda perché nel crack sono implicate personalità del mondo bancario che devono essere difese a tutti i costi, o legami particolari in precedenza avvenuti con qualche ministro delle partecipazioni statali.
Un nuovo tipo di sviluppo presuppone una mobilitazione delle risorse che accresca le finanze immediatamente disponibili e, quindi, presuppone una eccezionale politica delle entrate fiscali, che faccia pagare chi deve e oggi tranquillamente evade, chi esporta capitali e lo può fare prendendo un qualsiasi treno per la Svizzera, chi continua a sperperare mentre le fabbriche chiudono.
Un nuovo tipo di sviluppo presuppone una politica di investimenti selezionati e finalizzati con rigore e, quindi, la fine del denaro disperso in mille rivoli, delle leggine regionali o nazionali per accontentare questa o quella pressione particolare, un colpo mortale al clientelismo uno sviluppo impetuoso della democrazia e del controllo democratico sulle scelte economiche. Un nuovo tipo di sviluppo esige un piano regionale che non c'è, i comprensori che sono tardati quattro anni a passare dall'indicazione dello Statuto a un progetto di legge della Giunta, e non si capisce ancora bene se è per salvarsi l' anima o per farli davvero presuppone piani di zona in agricoltura che sono di là da venire presuppone tutto questo perché altrimenti non solo non si ha difesa e sviluppo dell'occupazione e riequilibrio territoriale, ma si va a una riduzione complessiva dell'apparato industriale del Piemonte e ad una ulteriore e nuova concentrazione nell'area di Torino di ciò che rimarrà, di ciò che sarà ristrutturato e, forse, diversificato. E questo per la semplice ragione che se mancano dei punti di riferimento certi, quali sono il piano può dare, è inevitabile che le maggiori industrie tendano, ed ottengano, per il loro peso politico e contrattuale, ad una strategia difensiva; ottengano finanziamenti per gestire la recessione; fra loro ristrutturino e riconvertano concentrando e mettendo sul piatto delle convenienze le loro convenienze aziendali indipendentemente dagli interessi generali, in questo caso regionali, di uno sviluppo razionale che tenda ad eliminare anche gli squilibri. Non dobbiamo dimenticarci mai che nell'area di Torino abita, per l'appunto, il 55 % della popolazione piemontese mentre l'area territoriale su cui incide questo 55 % della popolazione è solo un quarantesimo dell'area del Piemonte. E questa questione, che appassiona da dieci anni i dibattiti di politica economica della nostra Regione, oggi è messa in discussione nel senso che può andare avanti malgrado la crisi politica, anzi, per effetto della crisi politica ed economica anche un ulteriore processo di concentrazione in questa direzione. Ricordiamo : 55 %,area di Torino 1/40 territorio regionale.
Questo ci dicono, quindi, quei fenomeni che, se quantitativamente sono di ben minore portata di quello che sta succedendo nell'area metropolitana torinese, qualitativamente ci dicono che sono in discussione gli orientamenti fondamentali che sul piano culturale e della volontà politica più volte qui da tutti dichiarata, a parole trovava tutti d'accordo e cioè il decentramento industriale e il riequilibrio territoriale.
In questa situazione così grave, si pone il problema del che fare e più precisamente di che cosa deve fare la nostra Regione, subito e nei prossimi mesi, anche durante la pausa legisiativa, ma non certo istituzionale, che sarà imposta dalla scadenza elettorale.
La prima questione, la prima proposta che il nostro Gruppo avanza è una questione di controllo democratico sull'andamento dei principali casi di aziende nelle quali è già in atto, o ci sarà, un processo di ristrutturazione o di imminente chiusura, di messa a cassa integrazione dei lavoratori, aziende nelle quali i lavoratori e le loro Organizzazioni sindacali abbiano richiesto l'intervento del potere pubblico. Una questione politica, quindi, quella che poniamo per prima, più ancora che una questione di investimenti, più ancora che una questione di qualche miliardo in più o in meno di un settore o di un altro del bilancio, Data la dimensione e la vastità del fenomeno che abbiamo e avremo di fronte, la nostra proposta è che intanto per ogni seduta del Consiglio regionale vi sia una rapida informazione, da parte della Giunta, sull' esito dei vari tipi di intervento politico, creditizio, o di altra notizia, in tutti i casi e le situazioni nelle quali la Regione sia stata richiesta di intervenire a cominciare dal problema Montedison.
Ma tutto questo non può essere affidato alle sole forze dell'Assessore al lavoro, Conti. Proponiamo la costituzione di un dipartimento di Assessori costituito dagli Assessorati alla programmazione, all'industria e artigianato, al lavoro, coordinato sotto la Presidenza del Presi dente della Giunta, per garantire non solo un aumento delle forze a disposizione ma per un coordinamento dei tipi di intervento che si rendessero necessari presso il Governo centrale, presso la Confindustria nazionale e regionale presso le banche, presso le associazioni di categoria e, soprattutto, per avere una linea di intervento non generica o di puro sostegno, ma per elaborare le forme di intervento che nei diversi casi si rendessero più idonee a dare una corretta soluzione al problema. Questa proposta e questa metodologia tendono a corresponsabilizzare tutto il Consiglio nel controllo democratico sull'andamento di questa situazione, nella gestione di questa situazione e a ricevere dal Consiglio, volta per volta, gli apporti e i contributi e le indicazioni che, a seconda della gravità della situazione si rendessero necessari per lottare incisivamente e risolvere una determinata questione. La quale non può essere, e non proponiamo che sia il salvataggio di ogni singola azienda in crisi e meno che mai il passaggio automatico sotto il controllo statale dei punti fallimentari, ma deve essere guidato da un'unica direttiva: salvaguardia e sviluppo della occupazione secondo le linee di un nuovo sviluppo anche industriale della nostra Regione. Si pone qui il problema di una politica della nuova occupazione che deve essere alla base di tutte le attività della Giunta e dello stesso Bilancio 1975 che, avendo assunto la questione dell'occupazione come questione centrale, ha teso a dare un contributo a questa discussione specializzando i vari interventi, unificandoli, per rispetto ad uno stesso obiettivo. Quindi, io non parlerò ora di tutti gli aspetti di una politica dell'occupazione: vorrò approfondire una questione un aspetto (gli altri verranno approfonditi dai compagni del nostro Gruppo). Io vorrei soltanto soffermarmi a indicare le linee di intervento della Regione nel settore della piccola e media industria che, come abbiamo visto, costituisce il problema da cui dipende se la nuova struttura produttiva, che diciamo di volere, se la conversione industriale, che è indispensabile, si tradurrà in Piemonte in un elevamento e non in una drastica riduzione del sistema produttivo industriale complessivo nella nostra Regione. So di affrontare un problema giuridicamente difficile, e sappiamo benissimo che l'art. 117 della Costituzione non ha affidato alle nostre competenze specifiche, legislative, il settore della piccola e media industria. Ma questo non è un ostacolo insormontabile, se c'è una ferma volontà politica e una precisa indicazione di intervento. Per intanto occorre partire per vedere il da farsi, da quelle che sono le esigenze attuali delle piccole e medie imprese industriali del Piemonte che già hanno una produzione differenziata e intendono diversificare, ulteriormente o per la prima volta, la loro produzione, avviare una politica di trasformazione e, quindi, di investimento, di aggiornamento tecnologico. E' chiaro che non considero qui il caso, in questa ottica, degli interventi di mero salvataggio di imprese fallimentari che ricorrono alla Regione o a quei notabili del Partito di maggioranza, per far pagare con il denaro pubblico il prezzo di una gestione che sia stata basata sulla cattiva conduzione, sulla assenza di investimenti, sullo sfruttamento dei lavoratori in violazione delle leggi, non pagando i contributi. Beh certo questa non sarebbe la forma di intervento che deve venire richiesto, ma anche per questo ci vuole un severo controllo politico, che deve essere compiuto da tutto il Consiglio. Perché muovere i Ministri e muovere anche i lavoratori di una determinata fabbrica in una direzione sbagliata non è poi molto difficile, quando ci sia una capacità ai vari livelli che porta poi a risultati sbagliati. In questi anni si è dato sovente il caso che, nella giungla (che non è soltanto retributiva e bancaria), siano andati ad affondare nel pozzo nero degli investimenti perduti, miliardi che si davano ad aziende fallimentari, mentre si negava il credito a piccole e medie aziende sane. E si è dato anche il caso che l'agitazione per il credito chiuso in realtà tendesse, soprattutto, ad aprire il credito per le grandi aziende, che se ne appropriavano poi immediatamente negli anni che abbiamo passato, lasciando alle piccole e medie aziende le briciole di questo credito improvvisamente riaperto. Ma, ripeto, dobbiamo prendere in considerazione il complesso delle aziende oggi colpite da problemi effettivi di riconversione e di ristrutturazione, e non quelle che non vogliono neanche tanto inseguire la situazione del vecchio modello di sviluppo, di cui hanno capito - ormai abbastanza chiaramente - che non è pensabile che a breve scadenza - e nemmeno a lunga - si possa ripristinare negli stessi termini, quanto inseguire più concretamente il sogno di tornare, approfittando della crisi, ai vecchi rapporti di forza interni, in campo sindacale, ed esterni alle aziende, in campo politico, prima degli anni '68-'69-'70. Parlo, insomma del sistema potenzialmente sano delle piccole e medie aziende esistenti, oggi, in Piemonte. Qui occorre per subito distinguere il sistema delle aziende piccole e medie, in tutto o in parte, dipendenti dalla Fiat e delle altre. Le prime occupano non meno di quarantamila lavoratori in Piemonte (su 80.000 in Italia) di soli addetti alla produzione di prodotti inerenti alla costruzione della macchina, prima che esca dalle linee di montaggio.
Ma poi c'è tutta la miriade di aziende che produce il mercato dei ricambi, degli accessori, dei semilavorati, degli oggetti e dei servizi. E poi c'è, direttamente collegato se non indotto, il sistema delle aziende della gomma, della RIV-SKF, della Italsider, che producono "anche" a seconda di ciò che produce la Fiat.
Ora è certo che anche in questo sistema ci sono dei punti di crisi e dei postulanti potenziali della Regione nei confronti dei quali dobbiamo avere una posizione severa, dove il controllo democratico deve significare prima di tutto, che, di queste aziende, deve essere chiamato a "rispondere" il capitale straniero che ne è oggi, in tutto o in parte, proprietario.
Parlo del complesso di queste aziende che dipendono, ad esempio, già oggi dalla cioè da multinazionali più forti ancora della Fiat, oppure di altre che sono dipendenti da capitale inglese, francese, etc.. In questi casi è chiaro che la Regione deve avere, essenzialmente, il compito di un organo politico che opera per premere sul Governo perché attui una politica economica e una legislazione che non permetta solo libertà di licenziare quando si attenua o si annulla la libertà di profittare.
Ma dicevo, a parte questo settore pur così rilevante in Piemonte (e non solamente nel campo del collegato Fiat, si pensi appunto alla situazione Bemberg), tutto il sistema delle piccole e medie aziende che intendono diversificare e produrre e avanzarsi verso un grado di minor dipendenza dal sistema Fiat, oggi hanno bisogno di tre cose: credito di esercizio, di assistenza tecnica e di assistenza commerciale.
Questo è ciò di cui hanno bisogno e questo è ciò che nessuno gli fornisce nei termini utili ad avviare sollecitamente, ora, un nuovo tipo del loro sviluppo. Oppure c'è chi ci riesce. Anche la Fiat ci pensa, ma ci pensa in una logica che tende ad assorbire ed a raggruppare una parte di queste aziende per aumentarne il grado di dipendenza nei confronti di un determinato sistema. Può la Regione intervenire? Sosteniamo di sì, e sosteniamo che deve essere colta la sostanza, se non l'indicazione concreta, delle rivendicazioni che il movimento sindacale piemontese ha recentemente avanzato alla Regione Piemonte e alla Giunta. La quale rivendicazione non si esaurisce, il Presidente lo sa, in una dichiarazione politica di sostegno alle lotte contro la disoccupazione. Questa dichiarazione il Presidente l'ha fatta puntualmente poche ore fa dopo che il movimento sindacale l'aveva espressa nel suo convegno, Ma non si tratta solo di questa.
E cominciamo ad esaminare il problema del credito e del rapporto attualmente esistente fra piccola e media industria e il credito. Ebbene il problema politico che abbiamo di fronte e sul quale deve esercitarsi l'intervento della Regione presso il sistema bancario piemontese, è quello di far cambiare linea di condotta alle banche. Esse devono cessare di pretendere garanzie patrimoniali e decidersi a considerare, invece, le effettive capacità delle imprese e operare per valorizzarle.
C'é qui un problema generale che abbiamo più volte sollevato e cioè una vera e propria riforma del sistema, che, tra l'altro, metta ordine nel caotico sistema del credito agevolato.
Ma, intanto, si può e si deve intervenire subito. Un sistema è quello del consorzio fidi che abbiamo già avviato con la legge sull'artigianato.
L'obiezione che interviene a questo punto e che il Presidente della I Commissione, Garabello, ha avanzato ai rappresentanti della piccola industria piemontese, è che una legge del genere la Regione non può farla per le piccole e medie aziende, e questo, per l'intervento sul credito, è vero. Ma chi può impedire alla Regione di costituirsi (assieme ad interi settori della piccola e media industria) una vera e propria forza contrattuale tale da permettergli di discutere con le banche per una doverosa concessione del credito? Chi può impedire, anche senza una legge di organizzare la raccolta delle richieste di credito da parte delle piccole e medie aziende e, dopo, sulla base di una richiesta qualificata poniamo di 20-30 miliardi di credito, aprire su questa base una trattativa con le banche? Ecco una linea che noi proponiamo di mettere all'opera subito utilizzando le esperienze già compiute dalle Regioni Emilia e Toscana in questo senso e che hanno già dato precisi e concreti risultati apprezzati dalle Associazioni delle piccole e medie aziende di quelle Regioni. Anche in questo campo il dipartimento dei 3 Assessorati avrebbe, quindi, un compito di intervento che va ben al di là della rincorsa al salvataggio delle situazioni disastrate, della rincorsa ai telefoni, per agganciare il Ministro di questo o quell'altro settore. Si deve qui dire, e noi vi chiediamo di rispondere in sede di replica, se c'è volontà politica effettiva in questo senso, quello, di pestare gli piedi al sistema bancario piemontese, il che vuol dire se avete la volontà di litigare in famiglia dato che a presiedere i Consigli di Amministrazione delle principali banche operanti in Piemonte, sono uomini vostri. Questa volontà politica sinora non l'avete dimostrata. Lo dimostrerà il fatto che, malgrado tutte le denunce da noi presentate, non avete nessuna intenzione di dare vita ad un sistema regionale di tesoreria. Non dico che non ci siano stati accenni qualche cauto sondaggio, qualche causa iniziativa. Ma questo è avvenuto fra due parti che non tendevano a porre con severo rigore il problema di un salto di qualità fra due parti che tendevano a trovare una mediazione. E la medesima non avveniva sovente al livello più alto degli interessi generali della piccola e media azienda o degli artigiani, ma al livello che permetteva di non rompere il sistema politico di alleanze e di unità che si realizza in questo campo. Questa volontà politica, invece, dovrete manifestarla. Non l'avete ancora manifestata perché, malgrado i documenti la relazione - anche questa al bilancio - le intenzioni dichiarate, un sistema regionale di tesoreria non l'avete creato, e non avete intenzione di crearlo. Lo dimostra il fatto che la mozione approvata sulla piccola e media azienda all'Assemblea del Consiglio regionale del Piemonte nientemeno che il 15 dicembre 1970, pochi mesi dopo che la Regione era nata, questo problema l'avevamo sollevato noi comunisti, era divenuto patrimonio di tutto il Consiglio regionale, e aveva dato vita a una mozione che sono andato a ripescare dai nostri archivi, che hanno già 5 anni di vita, è rimasta lettera morta per le cinque Giunte che si sono succedute: non si è fatto nulla in questa direzione, che dimostrasse l' intendimento di procedere in un campo sul quale il Consiglio regionale aveva invece manifestato con precisione una volontà unitaria. Fra le altre cose, vi si chiedeva di "realizzare sollecitamente" gli strumenti di intervento richiesti dalla politica di piano. C'è sempre un punto unificatore: qualunque argomento noi affrontiamo, da qualunque parte veniamo a parlare di politica economica, tutto poi ritorna sempre al piano, al piano che non c'è, agli strumenti che non si sono attuati.
Ma ora i tempi e le situazioni impongono di fare subito ciò che si poteva fare negli anni precedenti. E subito bisogna imporre, cioè riuscire ad avere e costruire, alle banche un nuovo credito agevolato e un unico costo del denaro. Ma è chiaro che dalla richiesta avanzata dai Sindacati di un intervento della Regione verso le piccole e medie industrie occorre vagliare quella indicazione secondo la quale bisogna intervenire perché i finanziamenti agevolati, siano concessi a quelle aziende che si impegnano a non licenziare e a contrattare con i Sindacati, orario e salario garantito.
Certo, i Sindacati hanno chiesto, invece, di utilizzare i fondi della Regione per dare credito alle piccole e medie aziende. So bene che questo non si può fare; ma la Regione può intervenire per un controllo politico perché i crediti intanto siano dati di più, siano qualitativamente diversi e siano dati a condizione che l'occupazione sia garantita e un processo di diversificazione sia avviato. In fondo, quando faremo il bilancio della attività di tutta questa Regione, che cosa potremo certamente dire? Che ogni qualvolta la Regione è riuscita a far prevalere la sua forza politica unitaria espressa dal Consiglio, ha conseguito dei risultati che già rimangono come patrimonio positivo della vita della prima legislatura: lo Statuto, i decreti delegati, l'antifascismo, tutte cose che se non avessimo fatto assieme, nessuno avrebbe certamente fatto. Al momento di fare un bilancio di questa nostra prima legislatura, si troverà che quando la Regione ha influito di più, è giunta a tale risultato operando come un corpo unito. E questo vale anche per le questioni del lavoro: quando si farà l'analisi di tutti gli interventi che abbiamo compiuto circa le situazioni di ristrutturazione, di disoccupazione delle aziende in cinque anni, si vedrà che abbiamo ottenuto di più allorché abbiamo potuto far pesare la volontà unitaria di tutto il Consiglio, di tutta la Regione. E quando guarderemo alle cose che non sono andate, vedremo che, allorché si è interrotta questa forza unitaria, contrattuale, complessiva, allora i risultati sono stati diversi, e in genere, guardate, abbiamo ottenuto sovente cose importanti in settori che il 117 della Costituzione non prevedeva: non era scritto che dovessimo fare l'inchiesta di massa sulle attività fasciste, ma quando faremo il bilancio ci accorgeremo che se non l'avessimo fatto noi non l'avrebbe fatto nessuno; non c'era scritto nel 117 che dovessimo fare quello che abbiamo scritto nello Statuto (compiti di programmazione di quel tipo, di quella portata); non era nemmeno scritto esplicitamente che dovessimo dar vita ad un sistema di partecipazione, che in effetti non si è poi sviluppato, ma per carenze di altra natura. Non possiamo cercare nella gabbia del 117 l'alibi per non intervenire, come d' altra parte sovente non l'abbiamo fatto per le questioni che, invece, la società ci poneva con scadenze molto precise.
Occorre, inoltre, dire che anche le leggi esistenti pur così carenti vengono a morire per mancanza di finanziamento. La legge sul finanziamento della piccola e media industria, in vigore dal 1959, ha pochi fondi a disposizione, mentre vi sono richieste di 1500 miliardi di investimento produttivo da parte di piccoli e medi produttori di ogni parte d'Italia e di ogni settore che chiedono di essere esaudite.
Certo che bisogna discutere le compatibilità, le scelte, gli indirizzi e siamo a richiedere questo non da oggi, ma la scelta non può essere quella di dare un colpo al sistema produttivo generale del Paese nel settore delle piccole e medie aziende. E allora per attuare questo proposito sollecitamente, noi proponiamo, inoltre, un rapido incontro degli Assessorati riuniti con i rappresentanti di tutte le associazioni della piccola e media industria di tutte le Province piemontesi, perché abbiamo avuto la sensazione che quelli che sono venuti alla consultazione sul Bilancio - forse anche per un certo disamore derivato dal fatto che le cose che avevano detto negli anni precedenti non si erano effettuate in alcuno dei punti che avevano consegnato anche in documenti del 1972 - non fossero del tutto proiettati a rendersi conto di dover intervenire in questa direzione, per perfezionare il meccanismo della richiesta dei finanziamenti, i tempi, i modi, i rapporti. E proponiamo, anche, di invitare a questa riunione quelle Regioni che già hanno esperienze in merito e che possono anche darci, quindi, un aiuto. Chiederemo consiglio a quelli che hanno esperienze più avanzate, saremo in grado di darne a quelle Regioni che in altri campi non hanno fatto le cose che abbiamo fatto noi.
Ma la seconda linea di intervento che si può attuare subito è quella di assistenza tecnica, di ricerca di mercato, di informazione. Si tratta di fornire loro gli elementi per un aggiornamento delle tecniche adottate nei processi produttivi, per i materiali nuovi da impegnare nella produzione per l'organizzazione aziendale e la possibilità di un suo miglioramento.
Noi proponiamo che si dia vita ad un Ufficio regionale Marketing e a un centro di ricerche tecnologiche che metta sollecitamente in grado di assolvere i compiti sopra indicati e, inoltre, per accogliere ciò che era stato proposto dalla piccola e media industria nelle consultazioni sul bilancio 1972, per farne notizia ai piccoli e medi imprenditori piemontesi sulle prospettive del mercato interno e dei mercati stranieri in generale sulla situazione dei singoli mercati merceologici Infine in questo campo non sono da trascurare anche quelle iniziative per le quali esiste già una specifica competenza regionale in materia di fiere e mercati, e c'é persino un apposito capitolo di Bilancio, che va incrementato e differenziato, fra ciò che si destina all'artigianato e ciò che si destina alla piccola e media industria.
Naturalmente, al finanziamento di tale Ufficio regionale dl Marketing e al Centro di Ricerche tecnologiche occorre procedere sia con un investimento regionale sia con il contributo diretto delle piccole e medie imprese. E' possibile arrivare per legge a fare questi interventi? Credo che dobbiamo valutare il fatto che in questo campo occorre muoversi e camminare subito, per poi trovare la sanzione giuridica e modi per risolvere i problemi e i limiti posti dal 117. E un fatto che ciascuno di noi può leggere nella legge n 44 dell'Emilia Romagna promulgata regolarmente e vistata dal Governo, a tutti gli effetti oggi legge regionale dell'Emilia, e nota sotto il nome di "Norme per la costituzione di una società per la valorizzazione economica del territorio", che tale società, cioè l'ERVET, potrà svolgere "tutte le operazioni idonee a conseguire il predetto scopo (lo scopo dello sviluppo del territorio), e particolarmente continuerà a definire, creare e sviluppare aree attrezzate destinate ad attività economiche, a organizzare servizi di assistenza tecnico-amministrativa e di formazione dirigenziale, a sostenere le applicazioni economiche della ricerca, a fornire consulenze e servizi di mercato, a svolgere consulenze finanziarie, a favorire iniziative economiche in forma associata".
C'e qui la base di un intervento anche giuridico nostro, nella Regione Piemonte, che sia collegato agli interventi per la costruzione delle aree attrezzate, e in questo quadro per dare certezza e inquadramento legislativo ad una attività che va iniziata, promossa e studiata subito anche empiricamente, ma con la partecipazione diretta e impegnata delle piccole e medie aziende interessate. Non si tratta di prendere una decisione di Giunta: si tratta di avviare un processo di collaborazione e di confronti con gli interessati, per costruire insieme e superare insieme le difficoltà giuridiche che eventualmente si frapponessero. Occorre infine, ricordare che la Costituzione per le Regioni non finisce all'articolo 117, dato che esiste anche un 118 il quale, tra l'altro, dice che "Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative"; il che vuol dire che, anche le modifiche generali nazionali a quelle che sono le competenze attuali delle Regioni non verranno mai da sole, ma solo quando saranno sperimentate e consolidate esperienze che indichino l'indispensabilità, l'urgenza di ottenere competenze nuove per battere strade nuove.
Per questo noi proponiamo che la Giunta in questi ultimi mesi, mentre deve porsi il problema anche dello strumento legislativo, cominci per subito ad operare sul piano dei contatti, dell'iniziativa politica, della promozione da parte del Dipartimento per "L'occupazione e la riconversione industriale" (come si potrebbe chiamare l'associazione degli Assessorati) di tutte le iniziative necessarie a rispondere in questo campo alla domanda che viene dai Sindacati e dalle piccole e medie industrie.
Certo, per porsi sul terreno di una concreta linea di azione, bisogna anche conoscere di più. I colleghi ricorderanno forse che, in occasione delle consultazioni con la Presidenza della Fiat, il nostro Gruppo ebbe a chiedere l'elenco delle aziende fornitrici della Fiat. Dopo un notevole lasso di tempo, un primo elenco è stato fornito, ma questo e stato limitato alle aziende con fatturato annuo superiore di un miliardo e alle aziende con fatturato annuo fra i 500 milioni e un miliardo. Del primo elenco fanno parte 107 aziende, del secondo 112. Senonché, i fornitori della Fiat per l'anno '72 sono stati non 107 o 219 (cioè la somma dei due elenchi a noi forniti) bensì, in Italia, 14.600 ditte (circa) e, in Piemonte, 4.029.
Per avviare una politica in questa direzione occorre che la Regione conosca il nome di queste 3.800 ditte, ignote per il momento non certo alla Fiat ma a chi - ad esempio - dovrebbe licenziare la legge sulle aree attrezzate, dovrebbe fare il piano regionale, dovrebbe attuare una politica di riequilibrio territoriale, dovrebbe dar vita ai comprensori, Se pensiamo che i 4/10 delle 14 600 ditte sopra ricordate, ricevono liquidazione del gruppo Fiat per forniture occasionali o di modesta entità per circa un miliardo l'anno questa miriade di fornitori non può essere significativa per la Fiat ma lo è per chi ha competenza in materia di artigianato e vuole cominciare ad operare nel settore della piccola e media industria. Occorre inoltre, ricordare che la stessa Fiat ci ha detto che le 4.029 ditte che operano in Piemonte, non rientrano in questa categoria di esigui fornitori rientrano nella categoria delle aziende che hanno un fatturato inferiore ai 500 milioni, quindi, aziende di una certa consistenza, di una certa responsabilità, tessuto di gran parte della piccola e media azienda piemontese collegata all'indotto Fiat. La nostra proposta al riguardo e che la Commissione Programmazione e Bilancio, la stessa che aveva richiesto - a suo tempo - alla Fiat queste informazioni, richiede alla Fiat il panorama completo e aggiornato della situazione delle sue ditte fornitrici in Piemonte, di modo che sia possibile conoscere per operare nelle singole Province, secondo un indirizzo preciso, e con conoscenza approfondita documentata e sicura, che anche la Regione può avviare sul tipo di azienda oggi fornitrice della Fiat, sulle sue possibilità di diversificazione o trasformazione produttiva, del suo grado di dipendenza o meno dalla attuale produzione della grande industria.
Non si può avviare una politica di controllo democratico se c'è disparità di conoscenza fra chi ha m mano tutti gli strumenti della conoscenza e chi ha in mano soltanto gli strumenti della volontà politica.
E' un fatto che il grado di dipendenza è in relazione al grado di autonomia finanziaria da un lato, e anche solo dalla rapidità dei pagamenti da parte della Fiat verso i fornitori. Adesso li paga ogni 6 mesi, E bisogna dare atto alla maturità del movimento sindacale piemontese, che fra gli obiettivi della piattaforma di lotta rivolta verso la grande azienda, ha posto anche il problema di condizioni di pagamento più favorevoli per le aziende fornitrici e di abbandonare il drastico annullamento delle commesse se tardano di pochi giorni le consegne, mentre il grande monopolio tarda 6 mesi a pagare le forniture.
Infine, la linea di intervento è certo quella delle aree industriali ma ad alcune condizioni che evitino il fenomeno apparso nel Mantova no, nella Provincia di Padova, dove esistono aree attrezzate in cui non c'e poi andato a finire nessuno, o in altre zone dove aree attrezzate per la piccola e media industria sono finite poi per essere sedi a buon prezzo per la grande industria. E, quindi: aree dove le società o i consorzi devono acquisire la proprietà dei suoli, avvalendosi delle facoltà di esproprio della 865 dotate di servizi economico-sociali per i lavoratori dove sia possibile il leasing, cioè l'affitto riscatto di edifici industriali dove non si faccia una politica di incentivi più o meno indiscriminata aree che non perseguano fini di lucro (cioè che permettano il recupero dei fondi impegnati e delle spese di gestione sostenute).
In questa direzione sì che abbiamo piena competenza giuridica per abbiamo ritardi favolosi nell'andare avanti.
Una posizione politica, e concludo signor Presidente, quella che complessivamente esprimiamo su questo punto, su questo aspetto, che riteniamo tuttavia rilevante, dell'occupazione in Piemonte. Non e n tattica né strumentale, né di breve periodo per il Partito Comunista Italiano: l'abbiamo assunta sin dall'VIII Congresso.
Non abbiamo mai condiviso, anzi abbiamo tenacemente combattuto, le teorie degli apologeti delle concentrazioni monopolistiche secondo le quali le grandi, anzi grandissime imprese, sarebbero in condizioni di raggiungere uh elevato livello di efficienza e di produttività, in quanto soltanto esse potrebbero impegnarsi a fondo nel campo della ricerca scientifica e realizzare una piena applicazione di tutte le conquiste della scienza e della tecnica.
Si vedono, in Italia, gli esempi assai negativi delle fusioni fra la Montecatini e la Montedison, o quelle altre della Bombrini Parodi Delfino, della Snia Viscosa, della Zoppas e della Zanussi. Altro che maggior capacità di ricerca tecnico-scientifica! Ma poi sono gli stessi dati dell'economia dove più alta è la concentrazione industriale e finanziaria che ci ricordano come il ruolo della piccola e media industria non solo non e oggi marginale ma continua ad essere determinante. Nella Germania Federale e in Svezia, le imprese con meno di 500 addetti occupano il 55% di tutti i lavoratori industriali Ma la stessa percentuale sale negli Stati Uniti d'America a 57, a 70 in Francia e a 76 in Giappone, tutti i Paesi più industrializzati, e dove c'è anche il monopolio della ricerca scientifica.
E' significativo, inoltre, che in Francia le imprese con meno di 50 addetti, contribuiscono con il 23 % alla produzione del valore aggiunto di tutta l'industria francese. In Giappone la piccola e media industria occupa 25 milioni di persone e partecipa con il 40 % alle esportazioni complessive di quel Paese; e negli stessi Paesi socialisti, quelli dove si è potuta realizzare una collaborazione economica e, quindi una saldatura politica con la piccola e media azienda privata, e come la Germania Democratica ebbene è lì che si sono avuti i progressi economici e sociali più rapidi.
Ora, poiché il problema politico dello sviluppo democratico del nostro Paese sta essenzialmente nell'unità delle classi lavoratrici con i ceti medi produttivi, i ceti medi del nostro Paese, che sempre hanno deciso dell'equilibrio politico in Italia, quello che noi andiamo dicendo non è la proposta di un giorno, non è la proposta del momento.
Tutto quello che abbiamo proposto non è questo: il P.C.I. si ponga come protettore dei piccoli industriali. Essi, del resto, non chiedono protettori, chiedono una politica. Tra operai e imprenditori c'è una contraddizione sociale che non è neanche positivo attivare. La questione non è di negare i contributi, la questione è come affrontarli! La questione non è di negare i contrasti, ma di superarli. La questione, più in generale, non è, quindi, di trovare un accordo tattico, ma di porre le basi di un'alleanza tra classe operaia e ceti medi produttivi, destinata a dare un nuovo corso alla economia italiana.
Qui il discorso si sposta dalla Giunta al Partito di maggioranza relativa, la D.C.
Cari colleghi della D.C., voi rappresentate oggi politicamente tanta parte di questi ceti medi di cui ho parlato, noi rappresentiamo, assieme ai compagni socialisti, tanta parte della classe operaia. Dalla possibilità di un'intesa, di una collaborazione tra queste forze sociali e politiche dipende il futuro del nostro Paese, il suo divenire democratico. Il punto di convergenza oggi si può trovare, da parte dei piccoli e medi produttori solo in una programmazione economica e democratica, in una lotta contro la corruzione, contro le inefficienze della Pubblica Amministrazione e per la sua riforma, per il rinnovamento tecnologico, per una più alta produttività, per una tassazione più equa, per una riforma dello Stato e della Pubblica Amministrazione, e per i lavoratori nella garanzia dell'occupazione, nella difesa delle loro qualifiche e salari e, più in generale, nella garanzia che nessuno possa pensare di andare avanti facendo tornare indietro la classe operaia dalle sue conquiste storiche e recenti.
E' un problema che voi dovete sciogliere. Perché la crisi sociale è crisi politica, e la crisi della Democrazia Cristiana non è crisi di identità astratta, è crisi del suo rapporto con questa sua base sociale. Ma non pu pensare di risolverlo guardando all'indietro o cercando di usare i vecchi metodi: il rinnovamento è il rinnovamento del rapporto con questi ceti. Ma il rinnovamento dei rapporti con questi ceti medi, nel momento in cui essi stessi si rivolgono al nostro Partito, che cosa è se non la sostanza politica della strategia del compromesso storico? Voi potete negarla Fanfani può alzare la bandiera rossa del capostazione per cercare di frenare i treni, ma la sostanza della crisi italiana è questa, e la domanda che viene avanti è questa.
Noi abbiamo fatto una proposta. Tocca a voi guardare in casa vostra fare un lavaggio delle vostre incrostazioni, avere il coraggio di imboccare una strada nuova: non per fare il compromesso con il Partito comunista perché lo chiede il Partito comunista, ma per far uscire il Paese dalla crisi. E' questo il tema che abbiamo di fronte anche discutendo questo Bilancio. Questa intesa è tanta parte di quella che è la linea e la strategia del compromesso storico.
Ora è in crisi il nostro vecchio rapporto con gli ceti medi e non dovete pensare di non poterlo riconquistare sulla base del vecchio (ma tutt'ora operante) modo di gestire il potere o del vecchio modello di sviluppo.
Questo vi è imposto dalla crisi sociale che è diventata crisi politica anche vostra. Ma dalla soluzione e dalla realizzazione della nostra proposta politica complessiva, di cui ho qui oggi illustrato una parte, non dipende il successo o meno della politica comunista, dipende la possibilità di far uscire il Paese dalla crisi.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE FASSINO

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, signori della Giunta, la relazione al bilancio di previsione '75 pone come sua premessa l'esame dei rapporti internazionali che investono il nostro Paese, il deficit della bilancia dei pagamenti, non distinguendo, però, attentamente, al momento attuale, tra quello che è un deficit per l'approvvigionamento del petrolio l' "oil deficit", e il non "oil deficit", che è stato motivo di grossa preoccupazione per il futuro della nostra economia.
Mi pare che i dati degli ultimi mesi dell'anno 1974 e quelli che si riferiscono al primo mese del '75 abbiano confermato in via di consolidamento l'annullamento del deficit per non prodotti petroliferi.
Rimane quindi come problema della nostra economia, comune a tutte le economie occidentali, o capitalistiche, come sono state in precedenza definite mi pare dal collega Sanlorenzo, di modificazioni, solo il problema petrolifero.
Io non credo che la situazione di nuovi equilibri che si vengono a creare fra i Paesi a produzione industriale avanzata ed i Paesi fornitori di materie prime, che hanno indubbiamente segnato un più giusto rapporto fra le due parti, possa determinare o rappresentare la fine di un sistema basato sull'economia libera di mercato, che si realizza su rapporti che proprio dal contrasto e dagli assestamenti su nuove posizioni traggono nell'economia di mercato, nella libertà di mercato, la forma più efficiente per superare ingiustizie che si erano create, situazioni che non possono permanere lungamente e che si devono modificare, non per volontà dall'alto ma per interpretazione delle realtà che si pongono.
Quindi, per la prima volta e dato di vedere, o intravedere, uno spiraglio roseo in un quadro cupo quale per anni sempre più drammaticamente noi avevamo anche evidenziato e denunciato, e ciò che emerge in questo momento dalla situazione economica nazionale dev'essere punto di riferimento che pone a noi, Consiglio regionale, responsabilità direi di ordine diverso. Sono notizie di ieri quelle della disponibilità, in termini di numerario, per la prima volta dopo mesi e mesi di carenze, a mani del Governo centrale, di oltre 750 miliardi, che diventeranno circa 1000, che possono essere ridestinati immediatamente a sostegno di azioni o produttive o di equilibrio di ingiustizie che si sono realizzate. Esistono anche impegni di spese correnti, e anche per questo il mio giudizio è positivo.
In un momento di tensione sociale estremamente preoccupante, in un momento in cui molte volte nei cittadini sorge il timore che le istituzioni democratiche possano essere travolte dai pochi facinorosi, uno dei provvedimenti di spese correnti che il Governo intende assumere è quello rivolto ad una più giusta remunerazione di coloro che sono i tutori dell'ordine pubblico nel rispetto delle leggi democratiche e costituzionali del nostro assetto sociale.
Allora, c'è da chiedersi se si sta avviando una fase di ripresa degli investimenti, grazie ai sacrifici che il Paese, con una ulteriore prova di maturità, ha sopportato; un Paese che indubbiamente nella sua collettività si dimostra migliore e più serio della classe politica che poi esprime, un Paese che ha saputo concentrare nelle mani dei suoi governanti disponibilità economiche che oggi possono essere reinvestite per scelte sulle quali si potrebbe discutere in questa sede ma che a livello regionale dobbiamo prendere ed acquisire come scelte avvenute. Parlo degli investimenti produttivi nel settore della scuola, a sostegno dell'industria, della esportazione che dovrebbero permetterci di riassorbire il deficit valutario per l'aumento del costo dei prodotti petroliferi. Noi sappiamo che esistono altri tipi di promesse di intervento: mi riferisco al settore della casa, in cui necessariamente si dovrà operare a tempi più lunghi.
In questo quadro, tenuto presente che stiamo esaminando il bilancio finale della nostra legislatura regionale - una legislatura che ovviamente palesa tutte le carenze e le mancanze congenite in un istituto in fase di rodaggio, un istituto sorto malamente, solo come espressione di volontà politica, come si ama dire oggi, senza che ci si rendesse conto di quelle che sarebbero state le sue difficoltà di sussistenza, un istituto realizzato con una classe di amministratori che hanno dovuto compiere stanno compiendo e dovranno compiere uno sforzo culturale per rendersi conto di che cosa voglia dire la realtà regionale nel contesto di uno Stato che per necessità storiche si era posto come accentratore, come livellatore di interessi, al fine di creare in una Nazione con interessi così disparati una unità formale (ancora notiamo, trascorsi 120 anni da quando questa fusione è stata operata, il sopravvivere di elementi di totale contrasto tra le sue componenti sociali ed economiche) - noi dobbiamo vedere inserito questo documento, anche se non abbiamo approvato un piano di sviluppo regionale, anche se il dibattito da tempo si è fermato su quelle che più che nostre dichiarazioni sono nostri convincimenti circa gli obiettivi da scegliere per un'azione immediata, a lungo e a medio termine, tendente al raggiungimento del riequilibrio del territorio e della diversificazione produttiva, finalità sulle quali si è concentrato il totale consenso (il problema è però di vedere se questo accordo è frutto di convinzioni concrete o di opportunismi tattici, e a che cosa si tende e quale tipo di sistema si vuol realizzare). E' indubbio, ad ogni modo, che questi due tipi di obiettivi, compatibili con qualsiasi sistema economico, con qualsiasi tipo di strutture sociali, sono elementi indubbiamente molto vaghi per una vera programmazione, ma possono e debbono essere punto di riferimento per l'azione concreta.
Ecco, io ritengo che l'azione e l'esame del bilancio, in questo quadro di situazione mutata nella realtà proprio degli ultimi mesi dell'economia nazionale e di prospettive che si pongono, che però sono a tempi medi ripropongono la validità delle sollecitazioni che come Gruppo liberale abbiamo portato nel dibattito interno.
Mi sia concesso di far richiamo alle critiche, o ai suggerimenti, o agli inviti che dal momento in cui questa Giunta si presentò al Consiglio regionale ebbi a fare a nome del mio Gruppo, sostenendo, in sostanza, che ritenevo eccessivamente ampio il campo d'azione che la Giunta si proponeva.
Rileggendo il mio intervento sul programma della Giunta nel 1974, ho constatato ieri che, pur apprezzando il nesso logico con cui i problemi venivano posti, definito quel programma un petit Larousse della politica economica ed amministrativa di un consesso, sollecitando, proprio in considerazione della ristrettezza dei tempi operativi, una precisa scelta di pochi settori.
Indubbiamente, i problemi, o il tipo di azione politica che noi dovevamo porre in essere dovevano essere tali da modificare le strutture, e ciò con riferimento al settore dei trasporti, a quello dell'agricoltura in crisi, e, con visione molto più a tempi lunghi, al radicarsi di una mentalità nuova per affrontare certi tipi di problemi, come una efficiente politica per la montagna, per i quali indubbiamente sono state da tutti spese le parole più nobili. Occorreva, e occorre, che noi ponessimo chiare indicazioni per modificare le strutture che esistono. Ora, io ritengo che proprio in questi tre settori - agricoltura, trasporti e Comunità montane noi non abbiamo intuito la possibilità, a parte l'intervento, anche un po' emotivo, che abbiamo fatto, tanto da dover realizzare stanziamenti in concorrenza o in aggiunta a quelli dello Stato, di creare le premesse per effettive valide trasformazioni. Occorreva - e il tipo di azione che è stato posto in essere dalla Giunta, e il tipo di investimenti che questo bilancio evidenzia non sono indubbiamente interventi che possano modificare le strutture - fare qualcosa di diverso come prospettiva operativa socio economica, qualcosa che non si basasse sulla demagogia classista, ma sull'efficienza della realtà.
Soltanto in sede di variazione della legge al bilancio, presentata a fine '74, si è afferrata una realtà del movimento di cooperazione agricola collegato con le necessarie azioni di cooperazione commerciale che potevano essere punto di passaggio alla modificazione di certi tipi di strutture sclerotizzate che indubbiamente sono strozzature nel sistema produttivo. E questo è necessario, mi pare, in una logica proprio di diversificazione produttiva, mirante a creare posti di lavoro, condizioni di lavoro che diano a coloro che sono impegnati la credibilità di essere utili socialmente, e non soltanto assistiti come oggi purtroppo nel settore dell'agricoltura si riscontra. Direi che tutta la nostra azione legislativa, in questo continuo tentativo di migliorare il reddito di nostri amministrati, di nostri simili che si trovano in condizioni di netta inferiorità rispetto ad altri settori produttivi, si è risolta soltanto in una attività di carattere assistenziale, non atta a determinare mutamenti di strutture.
E' ovvio che esistono scelte politiche di fondo o di campo essenziali che dovevano essere compiute, che doveva e deve compiere chi gestisce direttamente, avendo il potere esecutivo, le sorti della Regione. Perch quando si parla di cooperazione, quando si parla di modifiche di struttura si ricade nell'indefinito, nell' ibrido: si può cooperare come si coopera nei Paesi occidentali, si può cooperare come si coopera nei Paesi dell'Est europeo. Bisogna enunciare con chiarezza quali sono le modificazioni che si intende fare, non giocare a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte perché altrimenti non si modifica nulla e si ottiene il risultato di ulteriori deterioramenti. Le scelte devono essere veramente scelte in profondità.
E' indubbio che da parte della nostra Giunta non c'è stato dato di rilevare questo tipo azione innovativa, con investimenti che potessero modificare le strutture. Anche quando siamo intervenuti nel settore dei trasporti, la scelta è stata rimandata. E sì che si tratta di un campo in cui la Giunta e la maggioranza hanno fatto indubbiamente un grosso sforzo e le forze di opposizione, apprezzando questo sforzo di risposta immediata in numerano a determinati urgenti problemi, hanno, sia in Commissione che nel dibattito consiliare, arrecato ogni apporto perché gli provvedimenti fossero il più possibile utili a fronteggiare la situazione di crisi. Anche qui è tempo che si ponga chiaramente il problema non soltanto di mantenere quello che oggi è necessario mantenere - una struttura gracile ed ormai fatiscente di sistemi di comunicazione, affidati non di rado a piccole aziende che hanno indubbiamente bisogno del sussidio, del contributo assistenziale dell'Ente pubblico - ma di formarsi una visione di utilità diretta e di risposta immediata, in termini concreti, che non giochi soltanto sul carattere pubblicistico e non privatistico, per quello che dev'essere un discorso di risposta al servizio sociale nei confronti della nostra collettività. Rimane così, questo settore, argomento di dibattito di esposizione, per quella che sarà poi la volontà del nostro elettorato di modificare, o di confermare, in un modo o nell'altro, certi tipi di scelte politiche.
Altro settore di attività al quale dobbiamo dedicare il nostro impegno culturale ed etico, per la grande responsabilità che ci investe - e il mio Gruppo accoglie pienamente l'invito alla ricerca di responsabilità avanzato dal collega Sanlorenzo, una responsabilità che su certi tipi di intervento ci coinvolge tutti, visto che essi presuppongono, per avere validità, il consenso generale dell'assemblea, e ciò per azioni che riqualifichino i costi dei servizi pubblici e sociali che noi abbiamo a nostro carico - è quello, fondamentale, del servizio sanitario. Questo compito ci è stato calato sulle spalle con 250 miliardi di costi preventivati dall'Assessorato che non riescono a bilanciare i 198 miliardi messi a disposizione dal Governo centrale. Conosciamo bene tutte le carenze del servizio e gran parte delle cause di queste carenze: amministrazioni ospedaliere deboli, le quali, per un bisogno di copertura di loro inefficienze, etiche o di carenza di capacità amministrative, per incapacità di imporsi, cedono al continuo ricatto, o minaccia, o azione portata avanti dai Sindacati con visione stretta pente corporativa, e pertanto in contrasto con gli interessi della collettività. E conosciamo le situazioni assurde che in queste aziende ospedaliere si sono create nel rapporto fra i posti letto e il numero dei dipendenti posti a servizio degli assistiti: l'1-1 riscontrato in certi ospedali cittadini, o l'1-1,2 di nuovi ospedali (mi pare che quello di Ivrea rientri in questo quadro) credo impongano a noi tutti, indipendentemente dal clientelismo politico, o dagli interessi politici che si sono insinuati in queste consorterie, un'azione decisa.
Dobbiamo deciderci a prendere drastici provvedimenti, se vogliamo recuperare questi sessanta miliardi, che indubbiamente, se non agiremo in questa maniera, ci troveremo ad elemosinare, perdendo nel contempo un'ultima occasione per presentarci come politici seri e non oratori da operette.
Ma c'è dell'altro, quando noi sappiamo che gli assenteismi che sono stati portati più volte come motivo di una crisi economica dalle forze imprenditoriali hanno raggiunto al massimo il 16% nel settore metalmeccanico e tale tasso fu motivo di grave perdita di finanziamento, in queste aziende ospedaliere, del parastato, degli Enti locali (non credo che il termine sia esatto, ma è Riso per raffigurare il rapporto diretto tra potere politico e amministrazione fatta da politici) ha raggiunto il 40 se questo assenteismo sceso nel settore metalmeccanico al 4/5 % come conseguenza della situazione di crisi economica, in questi Enti rimane uguale e costante al giorno d'oggi e ciò perché c'è la sicurezza, la garanzia che la classe politica non ha il coraggio di intervenire a punire determinate situazioni di immorale sfruttamento di leggi eque. Ecco dove l'azione - uso un concetto che molte volte non viene usato - deve preliminarmente essere etica perché da parte nostra su questi problemi si impone, in collaborazione con la Giunta, originaria depositaria dell'azione, una risposta drastica, perché il costo dei servizi sociali ricade sulla collettività e dovrebbe essere il denaro speso meglio e con maggiore serietà. Io credo che il settore sanitario sia quello che ci permetterà o perlomeno dovrebbe permetterci questo tipo di intervento. E allora se affrontiamo questo settore nel quale siamo nuovi, siamo intonsi siamo puliti, sentiamo le grosse responsabilità e ci poniamo con coerenza questo obiettivo di riqualificazione dei costi sociali. Inoltre c'è già un settore che da anni è di competenza nostra di non grande portata (vedo che il bilancio di previsione 1975 comporta solo una spesa di nove miliardi spesa che rappresenta il 6/7 delle nostre disponibilità) e parlo dell'istruzione professionale: anche qui ritorna la riaffermazione di principi e di valori etici, prima ancora che di funzionalità e ciò per rendersi conto che qualche cosa nel Paese, come diceva Sanlorenzo, è mutato e chiede che siano mutati anche gli metodi e i sistemi di gestione del pubblico denaro.
Noi sappiamo (ed è inutile che ci nascondiamo anche questa realtà) che l'istruzione professionale è gestita nella misura più clientelare che sia possibile e in questa responsabilità sono coinvolte tutte le forze politiche tranne quelle liberali. Sono responsabilità che contano, che possono veramente incidere con la loro volontà perché certe modificazioni avvengano. Noi sappiamo che dei corsi inefficienti vengono realizzati in un momento in cui invece è necessario, vuoi per le carenze culturali che il Paese ha dato alla gran parte dei suoi cittadini negli anni passati e che non sono di molto modificate, vuoi per quelle tecniche operative che l'istruzione professionale dia qualche cosa che non è stato dato in precedenza e nello stesso tempo determini in questi beneficiari del servizio un qualche cosa di più utile e concreto per la collettività.
Noi da tre anni puntualmente, ad ogni bilancio, diamo in materia suggerimenti dimostrando la serietà e la volontà di collaborare ad un migliore assetto di azione regionale. E' tempo che la Regione riesamini tutta la materia dell'istruzione professionale e non abbia paura di colpire gli interessi dell'uomo politico A o B, di certi gruppi e di certe correnti, o di grossi movimenti sindacali o parasindacali perché su questo tipo di finanziamento occulto, gli Enti interessati non rispondono in quei termini etici che bisogna avere per amministrare il denaro pubblico.
Ma c'è un ultimo problema che riguarda ancora il tutto: noi ci ritroveremo, anche nel '75, a molto parlare e poco fare e questo è emerso molto chiaramente nella relazione del collega Dotti, quasi tentativo di autocritica e di presa di coscienza di quelle che sono le deficienze della nostra azione regionale e che impongono, specialmente alla Giunta, di afferrare quei concetti di novità che sono emersi e che sono stati portati avanti il più delle volte proprio dall'opposizione; e dico "opposizione" con un senso di estrema serenità perché in Commissione indubbiamente la maggior capacità di contatti di base che il Gruppo comunista ha, gli ha permesso molte volte di conoscere i problemi e di riportarli con estrema chiarezza a conoscenza delle altre componenti politiche, ma con la stessa serenità azioni e individuazioni, indicazioni di temi e di soluzioni nuove aperte che possono determinare un circuito di nuove forze, di nuove linfe sono venute egualmente dal Gruppo liberale di cui mi onoro di fare parte.
Ed è il fatto che noi realizziamo questi aumenti continui, cronici dei residui passivi o residui attivi che siano, perché purtroppo gli strumenti...



BERTI Antonio

O attivi o passivi.



ROSSOTTO Carlo Felice

Nel senso che tecnicamente sono residui passivi perché sono spese impegnate e che non vengono spese, ma siccome noi i denari li abbiamo, io continuo a evidenziare la particolarità del fenomeno, le somme impegnate che tra l'altro non ha, si risolve in un sistema per non inflazionare, da parte nostra queste somme le abbiamo in deposito.
Le polemiche, signor Presidente, sono completamente escluse, ogni volta che si è affrontato il problema l'ha preso come un attacco personale a lei bisogna andare oltre a questa posizione, o che esistessero....



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Sono una mortificazione per me che non sono riuscito a far capire le ragioni per cui il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia, la Romagna, la Toscana, tutte le Regioni italiane si trovano impegnate in questa situazione. Quindi è un difetto che non è nostro, è nel manico.



ROSSOTTO Carlo Felice

Esatto, e se permette io dico che bisogna modificare il manico.



BERTI Antonio

Sei tu che devi dire, a questo punto, se si può oppure no uscire da questa storia dei residui passivi, perché noi una via l'abbiamo indicata.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Ma nessuno è ancora riuscito fino a questo momento.



ROSSOTTO Carlo Felice

Presidente, la realtà è che noi abbiamo residui passivi che aumentano e sono purtroppo certo che questo bilancio sarà fonte di ulteriori residui passivi, l'ha detto con estrema serenità il relatore di maggioranza, e io ne prendo atto e direi che anche per questi motivi voto contro, ma dico signor Presidente, che ciò che mi preoccupa estremamente per la mia responsabilità è che disponibilità che con tanto sacrificio vengono tolte dal circuito del mondo economico, vengano fermate senza possibilità di reinvestimento. Per quale motivo accade ciò? Perché esistono strumenti e strutture che hanno fatto fallire il più delle volte, o sempre negli ultimi decenni, l'azione dello Stato e noi, pur come Ente nuovo ragioniamo e operiamo con lo stesso tipo di mentalità e di difetti.
Suggerimenti ne sono esistiti signor Presidente, nati dalle possibilità congiunturali; so che hanno fatto inorridire l'Assessore Vietti, ma e certo che per oltre due anni, intervenendo su questa materia, ho suggerito alla Giunta di farsi lei stessa iniziatrice delle realizzazioni, per esempio nel campo degli asili nido e ciò per impedire quelle remore, quei ritardi che un certo tipo di attività burocratica impone ai Comuni che si trovano nella situazione drammatica di inoperatività, proprio perché gravati da impegni che si sono dovuti assumere, che non erano più di loro competenza e a causa dei quali oggi non possono neanche più operare in quelle che sono possibilità che noi diamo a loro concretamente. Qual'è il risultato? Lo vedremo. L'Assessore Vietti ha sempre negato che esistessero nel campo della programmazione degli asili nido dei forti ritardi, o delle larghe fette di speranze di realizzazione che non sarebbero mai diventate operative; lo vedremo nei tempi se questo avverrà. Io mi auguro che abbia ragione l'Assessore Vietti, ma indubbiamente l' aumento dei residui passivi nel nostro bilancio non e conseguenza altro che di avere assunto strumenti strutture, mentalità e logiche anche nella realizzazione delle nostre leggi, prettamente di leggi statali che si erano dimostrate già in precedenza inoperanti.
Ecco il salto di qualità inventivo che doveva essere compiuto e che tutti insieme dovevamo compiere e che indubbiamente questo bilancio ancora una volta dimostra di non avere recepito.
E non ha recepito mi pare anche l'altro dato di fatto; se è vero, come mi pare dalle realtà che emergono dai provvedimenti assunti dal Consiglio dei Ministri, che esistono delle possibilità di riavviare investimenti e che quindi si può incominciare a pensare che la crescita sotto zero raggiunga almeno livelli di crescita zero e che ciò possa essere l'inizio di qualche crescita in numeri positivi, le previsioni, pur essendo drammatiche per certe conseguenze che conosceremo e che dovremo attentamente esamina re, danno però una speranza di qualche cosa di più positivo. Noi abbiamo - e qui mi richiamo a quella mozione che il Gruppo liberale aveva presentato proprio nei limiti di quelli che erano i punti su cui eravamo tutti d'accordo in questo Consiglio - obiettivi che dovevano essere realizzati come azione di programmazione: riequilibrio del territorio, diversificazione produttiva, per indicare due settori prioritari e uniti sui quali dovevamo concentrare tutte le nostre forze.
Dell'agricoltura ho parlato, indubbiamente un tipo di massiccio intervento si è compiuto in questo settore e io ritengo che non produrrà molto di utile nel senso di modifiche di strutture quindi di quel volano iniziale che dà possibilità di successivi autonomi interventi che modificano totalmente un quadro sociale ed economico.
Altro è quello dell'edilizia. E qui realmente lo sforzo che si richiedeva e che ancora si richiede e si sollecita alla Giunta proprio in una visione di complementarietà in attesa che i provvedimenti nazionali intervengano e possano determinare la massiccia ripresa nel settore della casa, deve rispondere a un'esigenza prima di ordine sociale con un intervento che premia e qualifica di più le forze politiche in questo momento. Proprio in risposta a quelle che sono le disagiate condizioni di vita di migliaia e migliaia di nostri fratelli che risiedono in questi grandi agglomerati urbani che si sono realizzati (problema anche strettamente economico che coinvolge non soltanto il mondo dei lavoratori e il mondo degli imprenditori e che può rappresentare un notevole contributo a quell'attesa di interventi che non sono certo di competenza nostra e che ricadono sulle competenze dello Stato: dovevamo fare un grosso sforzo in questa direzione) La rapidità con cui interventi nel settore edilizio trovano una risposta operativa per la carenza di iniziative che oggi esistono è immediata e questa è risposta sociale ed economica.
In questo quadro e con questa visione è colpa della Giunta di non aver voluto afferrare questi continui, martellanti suggerimenti che il Gruppo liberale ha dato nei due anni da quando questa Giunta si è presentata puntualmente con promesse e con impegni di azione. Abbiamo sentito finalmente l'impegno di dotare l' area metropolitana torinese del piano di coordinamento territoriale, piano che sembrò di un' estrema facilità perch essendo di vincoli gli si diedero termini talmente ristretti che era quasi incredibile pensare che a settembre noi avremmo conosciuto lo stesso, ma da settembre in avanti piccoli slittamenti hanno portato indubbiamente a dover ritardare in Commissione il suo riesame per tutta l'impostazione che il piano presupponeva. Anche su ciò la Giunta ha dimostrato una grave carenza di fronte a denunce chiare e precise che sono sorte dalle forze non coinvolte nella gestione della Regione parlo della politica delle infrastrutture, in un momento in cui più violenta sembrava che si preannunciasse la crisi che avrebbe colpito la nostra Regione. E' stata una politica di denuncia portata avanti dalle opposizioni le quali hanno denunciato le realizzazioni un po' faraoniche, inutili che si sarebbero venute a determinare sul territorio con il conseguente prosciugamento di disponibilità finanziarie, disponibilità invece necessarie per altri tipi di interventi; sono cose che il piano territoriale di coordinamento non ha nella prima proposizione da parte della Giunta chiaramente dimostrato di aver recepito, ed oggi siamo ancora carenti di questo strumento. Se lunedì prossimo ci ritroveremo alle nove di sera per riesaminarlo è perché nelle proposte della Giunta esistevano delle grosse lacune o delle proposte che non potevano essere chiaramente accettate e sulle quali, per merito anche liberale, pare che ci sia stato un notevole ripensamento o totale ridimensionamento.
Un bilancio presuppone un piano di sviluppo. Un piano di sviluppo deve essere attuato attraverso i bilanci pluriennali, d'accordo, ma l'elemento di fondo che emerge a cinque anni di distanza dalla nostra nascita nell'esaminare questo tipo di bilancio, è che noi dobbiamo trarre esperienza da tutte le lacune che abbiamo dimostrato, in parte per mancanza di volontà nel voler rendersi conto di certe realtà che la nostra Regione poneva e dall'altro perché c'è mancato quel senso di originalità o di inventiva che era necessario proprio per essere giusti operatori di un istituto nuovo che si era realizzato.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE FASSINO

Ha facoltà di parlare il Consigliere Ferraris.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi, la gravita della crisi che colpisce in questo periodo l'apparato industriale della nostra Regione, con le sue drammatiche conseguenze per i livelli dell'occupazione operaia, già ben evidenziati sia nella relazione, sia dal relatore di maggioranza e con l'incisiva ricchezza dei dati riferiti questa mattina dal mio compagno Sanlorenzo, non pone e non può porre in ombra la gravità della crisi che continua ad attanagliare l'agricoltura nazionale e regionale, le sue negative ripercussioni non solo per gli operatori del settore, ma sull'intero apparato produttivo regionale e nazionale. Anzi, oggi emerge più che mai, dai dati della situazione, la conferma dei guasti provocati da una scelta politica che aveva emarginato questo settore subordinandolo ad un tipo di sviluppo economico squilibrato che non ha retto e non poteva reggere oltre, in parte anche per il collasso produttivo del settore primario che concorre così al deficit della bilancia agricola commerciale per circa tremila miliardi, con tutte le conseguenze di carattere inflazionistico e in drenaggio di risorse che ciò comporta per l'economia nel suo complesso.
Non è certo nelle mie intenzioni spingermi oltre su questo tipo di discorso, ho voluto solamente partire da queste considerazioni di ordine generale per riaffermare due cose fondamentali: 1) la validità e l'attualità della scelta prioritaria a favore dell'agricoltura, proposta dal mio Gruppo in precedenti occasioni e soprattutto durante il dibattito sul bilancio 1974, scelta che riaffermiamo ora assieme a quella della difesa dell'occupazione, della casa, della scuola anche in relazione ai problemi della riconversione industriale e dell'assetto territoriale 2) l'esigenza anch'essa più volte da noi affermata di affrontare gli problemi dell'agricoltura e delle campagne non più come problemi settoriali tecnicistici e peggio ancora, corporativi, ma come un problema politico di fondo e come tale sollecitava e sollecita scelte politiche coraggiose, idee nuove, confronti tra le forze politiche e le Organizzazioni di categoria per la costruzione del consenso degli operatori agricoli attorno alla Regione, certo per un massiccio intervento finanziario, ma finalizzato a modificare, a trasformare le strutture produttive e di mercato e naturalmente finalizzato a modificare gli assetti civili e sociali ancora esistenti nelle campagne.
Di qui l'esigenza di operare per costruire, attraverso l'impegno ed il sostegno politico della Regione, un nuovo e diverso rapporto fra industria ed agricoltura, con particolare riferimento al controllo del costo dei mezzi tecnici per l'impresa agricola, rapporto nuovo e diverso che passa certo, attraverso alla riforma della Federconsorzi, alla ristrutturazione dell'AIMA ma anche e soprattutto attraverso un adeguato sviluppo della cooperazione e dell'associazionismo; come ha dimostrato di riconoscere finalmente anche l'Organizzazione maggioritaria dei coltivatori diretti nella sua recente conferenza tenuta a Montecatini. Così come questo nuovo rapporto passa pure attraverso il sostegno da parte della Regione all'azione dei produttori agricoli nei confronti delle industrie alimentari di Stato o private che operano nel campo delle trasformazioni e della commercializzazione dei prodotti agricoli. Anzi, io ritengo che sia di grande rilievo e portata il ruolo che l'industria alimentare, sia essa di Stato, privata o cooperativistica, può assolvere oggi nel quadro della riconversione dell'apparato industriale di cui tanto si parla, per un più equilibrato ed armonico sviluppo della nostra Regione.
Si trattava e si tratta di costruire, in un quadro di certezze che ovviamente non dipendono solo dalla Regione, ma anche dalla politica economica e agricola nazionale, una proposta politica che non sia una mera risposta a problemi contingenti, a fabbisogni pregressi, ma sia capace agendo in accordo con il mondo sindacale e contadino, di utilizzare tutte le residue risorse materiali ed umane dell'agricoltura nella prospettiva di un diverso sviluppo economico.
A questo fine, ovviamente, il quadro fondamentale e di riferimento e di direzione non possono che essere il piano regionale di sviluppo, i piani zonali di sviluppo agricolo, i piani delle Comunità montane, o comprensori e le deleghe; così come sul piano operativo e gestionale, al vertice, si sarebbe dovuto operare a livello interassessorile o compartimentale, come abbiamo più volte sollecitato, attraverso una stretta intesa fra Assessorato alla agricoltura, Assessorato al commercio, all'ecologia soprattutto per i problemi della forestazione, della difesa idrogeologica dell'irrigazione o meglio, dell'uso plurimo delle acque.
Ma il dibattito e il confronto sull'insieme di questi problemi ha, sì prodotto qualche risultato a livello di norme statutarie, dopo di che per qualche riferimento, qualche labile traccia la si trova ancora consegnata nelle relazioni programmatiche di questa Giunta, o neglit elaborati per il piano di sviluppo ormai impolverati e niente, o poco più. L'attività legislativa ed operativa della Giunta, con qualche rara eccezione, è ricaduta nel solco della fallimentare routine, senza riuscire ad affrancare la Regione dalla legislazione statale e in particolare dalla legislazione che va sotto i nomi famigerati del piano verde n. 1 e n. 2. Cosicché, anche quando in termini di bilancio e sia pure con molto ritardo e cioè solo nello scorso anno, si è finalmente arrivati non dico ad uno sforzo adeguato alla gravità ed alla vastità delle esigenze effettive dell'agricoltura, ma ad uno sforzo rispettabile con lo stanziamento dei 35 miliardi e 649 milioni, ebbene, questo stanziamento è stato collocato non all'interno di quella linea di cui dicevo prima, non al servizio di una proposta politica capace di utilizzare e mobilitare le risorse materiali e umane dell' agricoltura nella prospettiva di un suo rinnovamento, ma per affrontare problemi contingenti e solo parzialmente, in modo frammentario, alla vecchia maniera e peggio, sulla base di criteri discutibili e, a mio avviso, illegittimi; mi riferisco, sempre ed ancora, alle norme di attuazione emanate dall'Assessore all'Agricoltura, norme di attuazione che per la sostanza e la forma sono indicative di una malintesa concezione delle prerogative delle funzioni dell'Assessorato stesso, peraltro di un rapporto non corretto verso la Commissione agricoltura e verso il Consiglio e soprattutto di una linea tendente ad emarginare le piccole aziende contadine senza offrire loro alternative di una prospettiva diversa attraverso l'associazionismo e la cooperazione. Nonostante queste norme che avrebbero dovuto, secondo l'Assessore, razionalizzare, snellire le pratiche e quindi l'impegno dei fondi e la erogazione di quei 35 miliardi e rotti fino ad oggi solo una minima parte di quei fondi è stata effettivamente impegnata; e se si esclude il credito di conduzione, solo qualche trascurabile briciola è stata erogata. D'altra parte come si potevano erogare quei 7 miliardi e 300 milioni di mutuo che qualcuno (non so bene chi) si è dimenticato di perfezionare e che si potrà perfezionare solo quando vistata e sarà pubblicata la legge che abbiamo approvato soltanto ieri mattina? Avendo già tirato in ballo un Assessore assente e purtroppo ammalato e prevedendo qualche altra critica pesante sul suo operato, mi scuso per averlo fatto e per doverlo fare in sua assenza e invio al collega Chiabrando un sincero e cordiale augurio di rapida e piena guarigione.
Certo è che se la legislazione agraria è stata non solo carente ed inadeguata, ma sostanzialmente finalizzata a soddisfare in modo frammentario le più svariate richieste, cioè quell'innaffiamento che non avrebbe fatto male, come dice ironicamente il relatore di maggioranza Dotti, è però vero che la gestione è stata anche peggiore per cui l'irrorazione non è ancora neppure giunta sull'azienda agricola e nelle tasche degli imprenditori.
Per quanto riguarda in modo specifico la legislazione, se escludiamo la legge n. 17 per la zootecnia che abbiamo faticato tanto a conquistare (che però non è ancora entrata in vigore perché si è voluto dare la data del 1975 e che non si vuole addirittura più lasciarla entrare in vigore con l'intento di migliorarla) e se si esclude una legge, sì, innovativa, ma che non è entrata in funzione (mi riferisco a quella per il risanamento e la ristrutturazione delle Cantine sociali) e che è di difficile applicazione come abbiamo avuto occasione di denunciare quando la si è voluta far passare in quel modo, se si escludono queste due leggi non possiamo certo vantare di avere a tutt'oggi altre leggi che abbiano un minimo di organicità ed una validità pluriennale che è invece indispensabile per l'agricoltura e per gli operatori agricoli.
E non parliamo di altre leggi, come quella istitutiva dell'Ente di sviluppo, che a distanza di quasi un anno da quando è stata approvata non ha ancora prodotto alcunché; questo Ente non esiste, né si riesce a capire bene perché, né si riesce a capire quando entrerà in funzione, se prima della chiusura della nostra legislatura. Eppure da parte nostra non sono mancati certamente contributi, né in occasione di dibattiti generali, n attraverso precise proposte sul piano dell'iniziativa legislativa, come ad esempio le ultime cinque proposte che figuravano all'ordine del giorno quelle che abbiamo presentato per il bilancio del 1974 tendendo già in quell' occasione ad innovare la legislazione nazionale, a non più rifinanziare il piano verde, a predisporre interventi di carattere pluriennale, come abbiamo proposto si facesse per l'elettrificazione. E sono lieto di sapere che sono diverse le Regioni che si sono date piani di quel tipo, che l'hanno fatta finita con le domande che ognuno deve presentare: Emilia e Toscana, in modo diverso, hanno risolto questo problema attraverso un piano pluriennale, realizzabile attraverso piani esecutivi delle Comunità montane, dei circondari, dei Comuni, costruiti attraverso l' Enel per cui non avverrà più quello che avviene adesso. Il sottoscritto, ad esempio, viene a volte sollecitato per questa o quell'altra pratica e l'interessato arriva già con tre o quattro lettere di risposta di uno o dell'altro Consigliere (potrei fare i nomi). E' ora di finirla con questo sistema: un piano per quel settore dovrebbe essere creato dal Consiglio, realizzato attraverso l'Enel e con la collaborazione degli Enti locali e dei Sindaci, senza che ci sia la petizione continua dell'interessato.
Ma lo stesso discorso abbiamo cercato di farlo per altri settori come quelli della casa e dell'attività agricola più importante della nostra Regione dopo la zootecnia, cioè delle coltivazioni pregiate. Su queste proposte da parte della maggioranza e della D.C. si è tentato di svicolare anziché avviare un confronto concreto e puntuale.
Sorte non migliore e toccata ad altre nostre proposte, mi riferisco a grosse questioni di fondo come quelle per lo sviluppo della superficie irrigata e del riordino delle utenze agricole; mi riferisco ai tentativi di avviare i piani zonali di sviluppo agricolo che avete voluto consegnare in quella legge per l'Ente di sviluppo che deve ancora entrare in funzione e che in ogni caso finirebbe di operare escludendo la partecipazione dei protagonisti fondamentali della pianificazione anche agricola nelle campagne; mi riferisco ai problemi irrisolti della Centrale del latte di Torino e più in generale ai problemi della lavorazione, della commercializzazione del latte. E lo stesso discorso lo potrei fare per quanto riguarda la commercializzazione del vino.
Si tratta, per queste due ultime iniziative, di carenze che riguardano sia l'Assessore all'agricoltura, sia quello del commercio, oltre che la Giunta e la maggioranza nel suo complesso.
Sull'insieme di queste iniziative la sordità della Giunta ed in particolare dell'Assessorato all'agricoltura è stata insuperabile, così come si sono lasciati marcire per la stessa sordità problemi come quelli della Baraggia e della Winchester che hanno figurato e che ancora figurano da tre mesi all'ordine del giorno della VI Commissione, senza che sia stato possibile venirne a capo.
Ma si tratta soltanto di responsabilità proprie dell'Assessore Chiabrando, o non sono sordità di tutta la Giunta e della sua maggioranza e soprattutto della D.C.? Credo che le responsabilità vere vadano ricercate proprio e soprattutto nella D.C. per la sua incapacità a scegliere, a mutare politica, a modificare il modo di fare politica.
Del resto problemi come quello dell'irrigazione, che in Piemonte è grosso modo, ancora alle dimensioni realizzate da Cavour, sono aperti da vent'anni, almeno per quanto concerne la utilizzazione delle acque del Tanaro, del Belbo, o i progetti per l'irrigazione dell'agro di Poirino; si sono spesi decine, forse centinaia di milioni per studi, progetti generali progetti di massima e anche esecutivi, decine di milioni per costruire e mantenere gli consorzi che hanno ordinato, predisposto quegli studi e quei progetti. Ma le forze che ne impedirono sempre la realizzazione prima dell'avvento della Regione, evidentemente hanno continuato ad operare negativamente, non vi è altra spiegazione. E intanto, se non si interviene prontamente, rischia di saltare anche il consorzio del Cebano (con l'inevitabile blocco delle opere già appaltate ed avviate in quel di Ceva e Lesegno, relative all'irrigazione di un migliaio di ettari al servizio di oltre 600 aziende agricole) per le dimissioni del Presidente e del Consiglio di amministrazione per difficoltà di ordine finanziario. Vorrei sapere se qualcuno della Regione si è occupato o si sta occupando della questione.
Così come non vi è altra spiegazione per quanto riguarda l'inerzia sino ad ora dimostrata attorno ai problemi della Centrale del Latte di Torino mentre dobbiamo denunciare aspramente il tentativo avviato dall'Assessore all'agricoltura, (e spero bloccato) di affrontare e risolvere il problema della Produttori latte di Novara S.p.A., regalando alcune centinaia di milioni al Consorzio agrario, peraltro a gestione commissariale e se non sbaglio fallimentare e con gli amministratori indiziati o qualcosa di simile. Di fronte ad una situazione di questo tipo si vorrebbero dare al Consorzio agrario i soldi per acquisire quella struttura, che del resto è già sua, per farla funzionare. No, la soluzione corretta e accettabile non può che essere quella - che del resto richiedono o produttori organizzati di una gestione cooperativa da parte dei produttori, con l'eventuale acquisizione degli impianti da parte della Regione o dell'Ente di sviluppo se verrà veramente posto in funzione e con la cessione di quegli impianti in affitto ai produttori associati.



BORANDO Carlo, Assessore all'istruzione, formazione ed assistenza scolastica

C'è una società cooperativa già avviata.



FERRARIS Bruno

No, c'è una società fatta dal Consorzio agrario per il 90%, e tu lo sai benissimo e poi c'è qualche altro che conta per il 10% . Si tratta invece di creare una cooperativa in grado di gestirla e a quella cooperativa dare quelle strutture, con un intervento appunto della Regione.
Una soluzione di questo tipo credo vada peraltro impostata ed avviata per quanto concerne il centro carne e ortofrutta; anche questo è un grosso passo avanti, ma la situazione alla lunga finirà di non reggere se non si modifica anche la proprietà di quegli impianti che sono ancora una volta del Consorzio agrario.
A questo fine, quali che siano i limiti di formazione degli organismi dirigenti e anche istitutivi, ritegno che un ruolo decisivo ed importante potrebbe essere assolto dall'Ente di sviluppo agricolo, del quale sollecitiamo l'entrata in attività, con l'immediato insediamento dei suoi organismi dirigenti. Così come si impone un rapido adempimento di quel deliberato del Consiglio che impegnava a condurre all'approvazione di un'organica legge per la cooperazione agricola e per l'associazionismo in agricoltura, problema che dopo un braccio di ferro durato qualche mese è stato finalmente avviato a soluzione, speriamo in modo soddisfacente, anche se tardivo.
Io non ho ancora parlato del bilancio 1975 e delle scelte ivi contenute e quasi non avrei voglia di parlarne perché vi è ben poco da dire, se non dare atto al relatore di maggioranza di avere obiettivamente voluto esprimere le critiche fatte dalla consultazione della società piemontese.
Per il resto, se è vero che il bilancio recepisce le leggi regionali approvate o in corso di approvazione, di approvato e di più o meno valido abbiamo già detto che resta ben poco: gli stanziamenti vengono portati da 35 miliardi 649 milioni a 45 miliardi 200 milioni, ma stando alle cose dette dal collega Dotti, che del resto è una verità, si tratta di un aumento che non copre la svalutazione della moneta e quindi non consentirà un ulteriore sviluppo degli investimenti.
Ma il problema non è soltanto quello delle risorse che si decide di destinare all'agricoltura. Certo, noi siamo per risorse maggiori e più adeguate, ma siamo anche per un diverso impiego di queste risorse, siamo per un impiego che agisca direttamente sulle strutture, che sia in grado di modificarle sia per quanto si riferisce alle strutture produttive, sia per quanto riguarda le strutture di mercato, siamo soprattutto per il potenziamento dell'iniziativa cooperativa ed associazionistica che del resto, nonostante appunto i timori che tutti potevamo avere, abbiamo visto che ha espresso una domanda nel corso del '74 di gran lunga superiore ad ogni previsione e tale che i fondi stanziati non sono assolutamente adeguati a soddisfarla. Avevamo previsto una spesa a carico della Regione per due miliardi e 750 milioni, la domanda di spesa regionale, non parlo di investimento, è stata di nove miliardi 415 milioni. Quindi si tratta di sollecitare, di stimolare e di soddisfare questa domanda che cresce, così come si tratta di scegliere e di concentrare gli interventi nei settori decisivi, secondo una previsione pluriennale di spesa. E per quanto ci riguarda i settori decisivi li abbiamo già spesse volte indicati e restano: la zootecnia, le colture pregiate, la cooperazione. Tutto ciò però non è la linea che emerge dal Testo Unico, la linea del disegno di legge della Giunta n. 245.
Io capisco, siamo alla vigilia delle elezioni, caro Dotti, e tu l'hai detto, un po' di irrorazione sul territorio regionale non fa male, sarà una pioggia però che rischia sia di arrivare tardi, sia di lasciare le cose come stanno. Noi vi invitiamo a considerare invece che se siamo di fronte alle elezioni siamo però soprattutto di fronte a scadenze altrettanto e ben più importanti, quali quella di fare uscire il Paese dalla crisi e di orientare la produzione agricola in funzione di una più elevata remunerazione dei suoi addetti e per un più adeguato soddisfacimento dei bisogni alimentari del Paese.
Di qui l'esigenza prioritaria di partire dagli impegni che noi ponemmo già durante la discussione del programma di questa Giunta e che riprenderemmo nel corso del dibattito sul bilancio 1974 e che ho, forse in modo disorganico, ricordato or ora.
Noi siamo del parere di aumentare gli stanziamenti previsti e soprattutto di dare agli stessi una proiezione più certa nel futuro mediante stanziamenti pluriennali, ma siamo dell'avviso che si tratta fondamentalmente di concentrare ogni sforzo nei settori decisivi, ai quali oltre a quelli che ho prima accennato, devo aggiungere quelli dello sviluppo dell'irrigazione e delle opere collettive dello sviluppo della civiltà nelle campagne. Ma su queste scelte, su questi contenuti il confronto verrà fatto più in concreto quando entreremo nell'esame delle proposte di legge che sono finalmente inviate alla consultazione, le nostre e le altre, unitamente al disegno di legge della Giunta.
Ciò che qui vorrei invece porre all'attenzione dei colleghi del Consiglio, della Giunta e soprattutto all'attenzione dell'Assessore Simonelli (il quale, quando parlava da quel banco, non finiva mai di proporre progetti speciali) è se non si ritenga utile, in un momento come questo, porre allo studio la predisposizione di alcuni progetti speciali per l'agricoltura ad esempio per l'irrigazione, per la forestazione e così via.
Così come vorrei chiedere all'Assessore Fonio se dopo il varo della legge per i disinquina menti non ritenga necessario assumere un'iniziativa concreta per il disinquinamento delle due Bormide che interessano vaste zone delle Province di Cuneo, di Asti, di Alessandria, iniziativa che comporta un accordo con la Regione ligure, trovandosi, com'è noto, la causa originaria dell'inquinamento di quei due corsi d' acqua in territorio della Provincia di Savona e quindi in Liguria.
Infine, prima di concludere, vorrei chiedere all'Assessore Conti quando insedierà il Comitato sui problemi della distribuzione dei prezzi quando ritiene che si potrà riprendere in sede di VII Commissione l'esame delle proposte di legge per lo sviluppo della cooperazione e dell' associazionismo per o dettaglianti e per le misure incisive di riforma nel settore della distribuzione, secondo i criteri che del resto avevamo discussi e sui quali ci sembrava di trovarlo consenziente in sede di Commissione. Ed inoltre quanti Commissari sarà costretto a nominare il Presidente Oberto, o chi si troverà ad occupare eventualmente il suo posto nel mese di luglio prossimo, per la formazione ed approvazione dei piani comunali di adeguamento e di sviluppo della rete commerciale; e se e quando l'Assessore Conti pensa di presentare all'esame del Consiglio un disegno di legge per la riorganizzazione dei mercati ortofrutticoli, per recuperare queste strutture oggi dominate da vere e proprie mafie ad una funzione positiva di collegamento fra la produzione agricola organizzata ed il commercio al dettaglio, pur esso ristrutturato ed organizzato.
Come vedete mi sono limitato a porre degli interrogativi. Niente di nuovo per un settore così importante; niente di nuovo ma perché niente o poco è stato fatto in precedenza.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Chiedo scusa ma mi devo assentare per problemi occupazionali, ho degli appuntamenti non rinviabili.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE FASSINO

La parola al Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il bilancio di previsione per il 1975 è l'ultimo di questa legislazione regionale e credo che, proprio per questo motivo, assuma quella rilevanza politica sulla quale da parte delle opposizioni è già avvenuto un chiaro pronunciamento. Intendo riferirmi al grido di dolore nel dover dire di no da parte del Consigliere Rossotto e, tutto sommato, anche alle note vibrate dell' intervento del Vice Presidente Sanlorenzo il quale, purtuttavia, non trova in questo bilancio elementi tali da non consentire la rinnovata proposta di una ricerca con la D.C. di un abito comune che, a mio modo di vedere (e qui la D.C. deve stare bene attenta) avrebbe, rispetto alla camicia di Nesso, una caratteristica certamente peggiore.
Ciò nonostante sono state dette delle cose estremamente interessanti non però esclusivamente in senso critico rispetto al bilancio, ma avviate su quella direttrice che ci ha visti molte volte in contrapposizione sul modo in cui deve determinarsi l'atteggiamento della Regione in merito ai grandi problemi della crisi e dello sviluppo.
Ebbene, io credo che il bilancio preventivo per il 1975 e la relazione che lo accompagna abbiano inquadrato il problema in termini corretti, con una unicità di visione da parte dell' organo esecutivo che, mentre valorizza una nuova metodologia di lavoro, dà atto anche di uno sforzo notevole per dare ai problemi una visione globale che si inquadri nella realtà che duramente stiamo attraversando. L'analisi sulla situazione economica contenuta nella relazione della Giunta al bilancio è molto più approfondita di quanto non lo fosse quella dell'anno scorso in cui sembrava che ci si cullasse in qualche illusione di più. Oggi la realtà appare in tutta la sua evidenza e non c'è dubbio che il Piemonte, in modo particolare, si trova in quello che i progettisti di fognature chiamano il "centro di scroscio della pioggia", cioè il punto in cui la pioggia assume la maggiore violenza. E in Piemonte assume la maggiore violenza perché (è inutile stare a ripetere queste cose) non solo è entrato in crisi il settore trainante della monocoltura automobilistica, ma sono entrati pesantemente in crisi anche i pochi settori alternativi, soprattutto il settore tessile che potrebbe rappresentare una diversificazione già obiettivamente operante.
Credo che i termini della crisi siano ormai chiari davanti a tutti, le cifre che stamattina il Vice Presidente Sanlorenzo ci ha portato sono estremamente eloquenti e credo che dobbiamo essergli grati di questa esposizione di dati perché essi inquadrano realmente la situazione così com'è, soprattutto ci tolgono molte illusioni rispetto alla possibilità di uscirne in tempi rapidi. Ed è chiaro che di fronte a questa crisi, la prima domanda che dobbiamo porci è se il bilancio del 1975, il nostro bilancio di previsione, si pone in termini corretti, adeguati.
Se una constatazione, che non intende suonare critica, si può fare, è questa: il bilancio di previsione del 1975 segue gli avvenimenti e in modo organico cerca di sopperire alle esigenze che si manifestano, ma a posteriori, cioè in una situazione che noi andiamo man mano seguendo e che ha tale ritmo di evoluzione che francamente i provvedimenti che riteniamo di prendere in questo momento potrebbero, nel giro di poche settimane essere largamente superati.
La prima risposta comunque che possiamo dare è che certamente il bilancio si inquadra in questa situazione e dà delle risposte concrete nella direzione che tutti noi vogliamo, cioè quella di utilizzare la presenza della Regione; valorizzarla soprattutto come elemento fondamentale per mantenere non soltanto i livelli di occupazione che ci sono in Piemonte, ma anche le basi occorrenti per il rilancio dello sviluppo regionale.
E qui è chiaro che il discorso non può essere disgiunto da quelli recentemente fatti analizzando le situazioni che riguardano determinate industrie del Piemonte; mi riferisco in modo particolare a quello fatto recentemente sulla Montefibre dal quale ricaviamo l'insegnamento che la situazione che spesse volte si determina nell'ambito delle ristrutturazioni delle grandi imprese non è purtroppo di facile controllo da parte dell'Ente pubblico, Governo o Regioni. Non voglio portare ih questo Consiglio una nota di pessimismo, ma ritengo che dovremo purtroppo bere il calice amaro di una situazione che non abbiamo voluto e che passerà purtroppo ancora una volta al di sopra delle nostre teste. Il motivo di tutto questo è da ricercarsi nella inesistenza della programmazione nazionale nell'incapacità dello Stato democratico fino a questo momento di esprimere indirizzi precisi, chiari, e nell'impossibilità da parte nostra di fronte alle proposte che ci vengono dalle aziende, di offrire situazioni tecnicamente alternative, motivate e valide, che ci consentano di assumere atteggiamenti precisi e coerenti tali da appoggiare il nostro impegnato no alla riduzione dei livelli di occupazione in Piemonte. In altre parole ci troviamo in una situazione economica che tuttora non siamo in grado di dominare e di controllare. Credo che la ricerca delle soluzioni possa avvenire con uno sforzo straordinario da parte della Regione per anticipare tempi e momenti di una diversificazione produttiva sulla quale non possiamo operare in senso diretto, ma verso la quale possiamo certamente esercitare azioni promozionali ed incentivatrici. Tali azioni possono essere attuate non nella variazione o nella modificazione degli elementi che compongono il pure eccellente bilancio di previsione del 1975, ma con l'attuazione immediata di quegli organismi a latere della Regione ai quali possono essere attribuite le possibilità di operare all'interno sia del mondo finanziario che di quello economico, in maniera tale da portare avanti chiaramente gli obiettivi della programmazione regionale.
E' evidente, sotto questo profilo, che un discorso può essere anche fatto immediatamente nei confronti dell'Istituto di ricerche della Regione che attualmente, avendo avuto la nuova ristrutturazione, può e deve diventare non tanto il centro della raccolta e; dell'elaborazione di dati quanto, il centro, su cui la Regione Possa contare per l'anticipazione di previsioni e, per l'avvio di modelli e di possibilità che guardino già sin d'ora al futuro, un futuro che dobbiamo anticipare con la fantasia, con la volontà di ricercare in tutti i modi soluzioni che non siano quelle tradizionali fin qui seguite. Ritengo pertanto che la proposta che il Consigliere Sanlorenzo faceva, di affidare allo staff della Giunta regionale i compiti di studio e di previsione possa essere obiettivamente riportata nel settore, dell'Ires, perché non credo nella possibilità che le staff assessorili possano sopperire, con il lavoro che hanno, a questo tipo di incombenza, mentre attraverso il canale dell'Ires c'è certamente la possibilità di indicare quei risultati su cui successivamente dovrà maturare un indirizzo politico e la volontà politica di raggiungerli.
Per quel che riguarda strettamente il bilancio credo aie 'le cifre dimostrino come l'intervento regionale, sia pure con le carenze i e le deficienze dovute ai residui passivi a cui faceva cenno il Consigliere Rossotto, sia stato portato avanti tempestivamente. Siamo intervenuti in maniera molto massiccia nel settore dell'agricoltura, con uno sforzo che è di carattere fondamentale, impegnativo e io mi auguro che anche sotto questo profilo la Giunta non si accontenti di notificare al Consiglio attraverso alla relazione, il numero delle domande fatte rispetto alle disponibilità, ma dica anche come queste leggi sono gestite e quali risultati ottengono. E questo ragionamento vale per tutti gli altri settori dove le nostre leggi incentivanti hanno iniziato ad operare.
Giustamente dice la relazione che l'indirizzo assunto è quello dell'incentivazione. Io mi domando che cosa potremmo fare di diverso, la possibilità di fare qualcosa di diverso essendo legata a tutta un'altra ristrutturazione del meccanismo di intervento della Regione mentre gli artt. 117 e 118 della Costituzione stabiliscono il campo delle competenze pur ritenendo che la battaglia è sempre aperta perché alle Regioni vengano attribuiti compiti e funzioni che oggi ancora non ci sono e che fatalmente lo Stato sarà costretto a cedere se realmente vuole risollevare le sorti generali del Paese, pur tendendo a questo, oggi noi operiamo su un terreno che è quello che è e non credo si possa obiettivamente misconoscere il lavoro che questa maggioranza, questa Giunta hanno portato avanti per dare risposte concrete ed immediate alla realtà che scaturisce dal Piemonte.
Quando le cifre per gli investimenti in un bilancio di 347 miliardi rappresentano 110 miliardi, si ha una chiara visione dell'impegno che è stato assunto e facendo riferimento, ripeto, ai settori agricoltura trasporti pubblici, istruzione professionale, artigianato ed altri in cui siamo intervenuti, non si può contestare la validità di questo tipo di impegno.
Ritengo ancora elemento estremamente valido il contenimento delle spese correnti, direi che facendo riferimento alla spesa del personale, che rappresenta l'8 % del complesso del bilancio, noi diamo la dimostrazione che la tendenza non è quella di risolvere i problemi della Regione con una finalità di terziarizzazione che sarebbe certamente esiziale rispetto alla necessità di valorizzare la potenzialità produttiva che esiste in Piemonte.
Dobbiamo riconoscere che molte cose sono state fatte nei vari settori altre sono in cantiere, altre purtroppo sono appena accennate; la legge sulla razionalizzazione della rete distributiva commerciale tarda ancora a venire e credo che il suo iter deve essere rapidamente concluso perché è un momento di presenza fondamentale quando le spinte inflazionistiche portano a contatto di una realtà scottante tutte le famiglie della nostra Regione.
Ma molti altri interventi hanno avuto e stanno ottenendo dei successi rilevanti. Io tralascio il discorso sui lavori pubblici che abbiamo già dibattuto insieme. Oggi ci siamo incanalati verso una strada giusta cercando di sopperire alle deficienze del sistema creditizio per andare incontro agli Enti locali la cui finanza, è ben lontana dall'essere risanata e i cui grossi problemi diventano uno dei nodi principali di tutta la realtà italiana. Nel campo dei lavori pubblici, se posso dare un suggerimento, e di guardare al settore della grande viabilità regionale dove ci sono forse già da questo momento possibilità da parte della Regione di intervenire là dove la grande viabilità rappresenta, per determinate zone, un elemento prioritario per lo sviluppo delle zone stesse. Citer appena la strada Piedimulera - Macugnaga che interessa la Valle dell'Ossola perché si tratterebbe di piccolo argomento sul quale torneremo a suo tempo ma credo che il problema debba essere visto nel suo insieme.
Per quanto riguarda il settore dell'urbanistica ritengo che l'attesa per il piano territoriale di coordinamento dell'area di Torino debba avere (e io credo che l'avrà nelle prossime settimane) una risposta rapida e concreta; penso però che il problema debba essere visto in termini che anticipino anche soluzioni future.
Gli interventi relativi alla casa sono stati non diretti, ma collaterali; si è cercato cioè di gestire una legge nazionale che non ha dato certamente buona prova e si è tentato di portare avanti con i pochi fondi che c'erano a disposizione una serie di problemi che richiedevano ben altri impegni finanziari; il problema della casa però potrebbe essere inquadrato dalla Regione in termini di concretezza se noi (e qui credo che ci siano obiettivamente anche le possibilità giuridiche di realizzare una finalità di questo tipo) potessimo, nell'ambito di quell'intervento presso gli istituti bancari, ed in quell' attività di coordinamento che è stata già segnalata per altro tipo di presenze, configurare una vera e propria cassa depositi e prestiti a livello regionale. A questo punto saremmo in grado di favorire tutte le possibilità realizzatrici per il rilancio di una edilizia convenzionata e di un'edilizia agevolata che mentre mette in moto i lenti meccanismi della struttura pubblica, dall'altro non mortifica e pu tendere a valorizzare gli interventi privati che non abbiano finalità meramente speculative.
Il problema della casa in Piemonte ha una rilevanza enorme, che certamente meriterebbe da parte del Governo un'attenzione particolare. Io non so se il programma del Governo Moro dei centomila vani andrà in porto se sarà realizzabile, ho l'impressione che la macchina pubblica sia lentissima a mettersi in moto e quando si mette in moto non ha la scorrevolezza opportuna; ma questo proposito non possiamo dimenticare che gli unici organismi validi che abbiamo per la realizzazione di una politica della casa restano pur sempre gli Istituti autonomi delle case popolari i quali possono collegarsi con i sistemi cooperativistici che esistono nella regione per realizzare gli obiettivi che vogliamo raggiungere.
Per quanto riguarda la tutela dell'ambiente, a poca distanza dal giorno in cui abbiamo votato la legge per il risanamento delle acque credo di poter affermare che qualcosa già si sta muovendo nelle more dell'approvazione della legge. L'aspettativa da parte dei Comuni e dei comprensori interessati è enorme e credo che anche in questo settore potremo operare con efficacia, avviando a soluzione un importante problema.
Per quel che riguarda il turismo ho preso atto che c'è il rifinanziamento della legge per la ricettività alberghiera nella Regione e credo sia utile raccomandare la rapidità nel disbrigo delle pratiche perché non c'è niente di peggio che stanziare dei fondi e attendere poi che vengano erogati in un lungo iter che non risponda alle esigenze di tempestività dei richiedenti.
Circa la legge sullo sport vedo purtroppo che la previsione di bilancio rimane quella che era nella presentazione del disegno di legge della Giunta e noi non possiamo pertanto non considerare la legge stessa che come un avvio sperimentale, del tutto modesto e sul quale la consultazione ha già espresso, proprio per la scarsezza dei fondi, un giudizio purtroppo scarsamente positivo.
Ho voluto esporre questi concetti generali perché mi pareva che dovesse prevalere la valutazione politica sull'indirizzo che il bilancio 1975 ci offre, naturalmente poi ognuno fa il suo mestiere, e mentre la maggioranza sostiene il proprio bilancio nonostante qualche scintillio al suo interno comparso nel momento in cui l' amore per la battuta fa premio sulla razionalità, l'opposizione dice un no motivato ed offre elementi di confronto ai quali non ci sottrarremo. Il Gruppo socialdemocratico per parte sua dice che il documento all'esame ha le caratteristiche di un bilancio solidamente impostato che ancora una volta si inserisce nella vicenda congiunturale del Piemonte e opera come può, meglio che può, per aiutare a risolvere i problemi posti dalla crisi economica. E' un bilancio inoltre che ha la possibilità di tenere aperte parecchie strade per contribuire al rilancio dello sviluppo economico della nostra Regione.
C'è un elemento - e concludo - sul quale intendo soffermarmi: sono comparse accensioni di mutui che nella misura in cui l'incremento delle entrate non corrisponderà adeguatamente alla passività degli interessi relativi, porterà fatalmente e rapidamente ad una elasticità del bilancio stesso. Io credo che a questo punto non possiamo non valorizzare proprio quegli organismi a latere di cui parlavo, perché il trasferire determinate funzioni, determinate incidenze o presenze nella realtà economica ad organismi che non necessariamente gravino sul bilancio della Regione per le azioni indotte che possono portare avanti, rappresenti un contributo fondamentale al rilancio dello sviluppo piemontese.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE FASSINO

E' iscritto a parlare il Consigliere Raschio. Ne ha facoltà.



RASCHIO Luciano

Signor Presidente, colleghi, prima di affrontare i problemi dell'artigianato, tema che il Gruppo comunista mi ha affidato nel quadro del nostro dibattito sul bilancio 1975, desidero fare eco al collega Cardinali in merito alla sua puntualizzazione circa la qualità diversa dal passato della relazione che accompagna il bilancio per il 1975. E' una constatazione che è giusto venga sottolineata, con compiacimento dai componenti la maggioranza, ma la stessa maggioranza non deve dimenticare che a questo risultato si è giunti grazie alla continua azione di critica e di orientamento che la Minoranza comunista da almeno tre anni conduce in Consiglio ed in Commissione per giungere ad un mutamento radicale sul modo di preparare, la stessa reazione della Giunta sul bilancio.
Quest'anno abbiamo ottenuto, dopo una tenace battaglia anche in Commissione, che le stesse Commissioni della Regione Piemonte fossero consultate direttamente nel momento in cui veniva elaborato il bilancio e soprattutto veniva discussa tutta una serie di osservazioni su di esso ottenendo la presenza degli Assessori al dibattito con le varie Commissioni. Questo metodo nuovo unito alla forte spinta critica ed analitica venuta dalla consultazione con i Sindacati, gli Enti economici e le Organizzazioni, spiega come mai tante cosa sono state dette Non più a danti stretti dalla stessa relazione della maggioranza della I Commissione.
In essa si parla infatti anche di tutta una serie di problemi di fondo che nel 1974 erano stati appena abbozzati 'e che non trovarono poi applicazioni nell'attività della Giunta e della maggioranza.
Certo che a questa nuova relazione della Giunta si è giunti con l'apporto notevole dato dall'Assessore Simonelli che ha voluto anche distinguersi dal modo davvero grave con il quale la maggioranza ha affrontato i consuntivi per il 1972 e per il 1973. L'Assessore Simonelli ha capito che non si può definire serio un bilancio che si chiuda poi con un consuntivo vergognoso quale fu quello per il 1972 e il 1973. Ma non mi dilungo su queste considerazioni, che sono state esposte con una adeguata documentazione dal collega Rivalta e da me in occasione dei dibattiti in Consiglio sul consuntivo di bilancio per il 1972 e 1973.
Veniamo dunque ai problemi dell'artigianato, come ho preannunciato.
Intendo fare rapidamente il punto su quanto è stato fatto. E' innegabile che alcune cose sono state realizzate con serietà, ponendo a raffronto con quanto poteva e doveva essere fatto in questa prima legislatura regionale facendo conto poi soprattutto sugli ultimi 18 mesi, da quando si è riformata la Giunta di centro sinistra che sotto la nostra pressione ha tentato di qualificarsi, in qualche modo, in direzione dell'artigianato.
Il nostro Gruppo è sempre stato diligente, e ciò ci è stato ampiamente riconosciuto, nell' evidenziare concretamente quali iniziative dovevano essere prese dalla Regione Piemonte, in direzione dell' artigianato presentando, già sin dal novembre 1972, e di gran lunga per primo, due progetti di legge: l'uno sul credito all'artigianato, l'altro per il potenziamento dell'associazionismo artigiano, che poi diedero luogo, con molto ritardo (rimasero infatti questi progetti di legge per più di un anno e mezzo nel cassetto della Giunta di centro-destra, venendo poi ricuperati dall'attuale Giunta di centro-sinistra) alla approvazione della legge del 9 aprile 1974: "Provvedimenti per l'ammodernamento tecnologico e l'incremento della produttività nel settore dell'artigianato", una legge comprensiva sia delle indicazioni della Giunta quanto dei nostri due progetti.
Sostanzialmente, questa legge è stato un passo importante perché ha fissato un intervento specifico della Regione nell'ambito del credito. La legge sul credito all'artigianato ha un punto di debolezza - assolutamente non voluto da noi - e riguarda la decisione del Commissario di Governo che ha, su decisione del Governo stesso, respinto la misura che avevamo adottato come Regione per l'incentivazione e per lo sviluppo del movimento consortile fra aziende artigiane.
Un altro punto non positivo della legge sul credito all'artigianato e che noi abbiamo già avuto modo di evidenziare in Commissione e quello di preparare come Consiglio e Giunta una leggina composta di un solo articolo che preveda di aumentare l'arco delle garanzie che diamo come Regione agli artigiani singoli ed associati nei confronti delle banche, per dare loro più possibilità di accedere con più facilità ai mutui stessi in quanto la situazione creditizia è paurosamente mutata in questi due anni e ciò che allora poteva essere positivo oggi non lo è più. Inoltre la Giunta dovrebbe da un lato raccogliere le domande degli artigiani e dall'altro trattare direttamente con le banche le richieste di mutuò dei singoli artigiani.
Credo quindi, Assessore Paganelli, che questi elementi debbano essere presi in considerazione e sollecitamente portati in discussione con relativi provvedimenti in seno al Consiglio regionale.
Il nostro Gruppo ha, in tutti questi anni, sempre evidenziato, proprio per il grande peso specifico che hanno l'artigianato e la piccola industria in Piemonte, l'esigenza di una nuova e diversa politica del credito, che veda la Regione Piemonte protagonista: per incontri permanenti e programmati con gli istituti finanziari; per orientare l'azione della Regione nella individuazione, unitamente agli Enti locali, di zone nelle quali impostare una politica di aree attrezzate per la piccola industria e l'artigianato; per incentivare con una propria politica nuovi indirizzi tecnologici-commerciali e quindi anche produttivi per l'artigianato; per produrre una costante azione di pressione politica (che a nostro giudizio è stata purtroppo molto debole da parte della Giunta) nei confronti del Governo nazionale affinché la legislazione in materia artigianale oggi vigente (legge n. 860) venga ampiamente riformata. Questa legge deve essere adeguata all'evolversi rapido della realtà economica ed al nuovo ordinamento regionale, battendosi come Giunta regionale senza opportunismi contro l'impostazione assurda che i Governi di questi ultimi anni stanno cercando di portare avanti: la riduzione da 10 a 5 operai del numero di elementi occorrenti per configurare la posizione giuridica dell'azienda artigiana (quando la stessa CEE fissa in almeno 10 operai la dimensione aziendale accettabile per produrre un intervento finanziario europeo a suo sostegno), l'esautoramento, di fatto, delle Regioni dalle competenze in direzione dell'artigianato, la definizione giuridica da parte dello Stato di quello che deve essere la piccola industria per essere considerata tale la politica finanziaria di potenziamento del credito all'artigiancassa come strumento collaterale all'intervento autonomo delle Regioni in materia di sostegno all'artigianato.
Passare da dieci a cinque elementi non vuol dire solo l'intisichimento della condizione economica dell'artigianato; ma vuol dire di fatto assestare un durissimo colpo alla stessa occupazione operaia. Il Gruppo comunista questa mattina, non a caso, è partito sul dibattito per il bilancio dalla situazione occupazionale. Sanlorenzo infatti a nome di tutto il Gruppo comunista ha illustrato la gravissima situazione occupazionale in Piemonte ed ha collegato questa nel quadro delle iniziative che debbono essere assunte dalla Regione in direzione della piccola industria che in Piemonte è un po' l'asse portante della nostra economia e della necessaria diversificazione industriale che deve allargarsi.
Ecco quindi che anche per l'artigianato i problemi occupazionali sono decisivi! Guai se la legge che il Governo vorrebbe varare venisse ulteriormente a ledere la possibilità di sviluppo dell'artigianato!. Ecco perché da parte della Regione Piemonte occorre muoversi con le altre e con gli Sindacati per modificare non solo in senso democratico ma soprattutto in senso funzionale la legge sull'artigianato.
E' poi necessario che mentre la Regione conduce questa lotta venga anche evidenziata, fino in fondo la responsabilità, la competenza che ci viene anche dall'art. 117 della Costituzione, della Regione in direzione dell'artigianato. Oggi ancor più che ieri occorre una grande politica di intervento finanziario, di orientamento produttivo che rilanci il settore dell'artigianato che in Piemonte è una delle forze economiche e produttive più importanti.
Invece, esaminando la relazione della Giunta, vediamo che all'artigianato ed ai suoi problemi sono dedicate in tutto per tutto poche righe: in sostanza si dà per concesso che quanto è stato fatto era il massimo che si poteva e si doveva fare. E poi si lascia troppo alla fantasia dei singoli Consiglieri regionali immaginare gli intendimenti della Giunta: forse è questo il tipo di fantasia cui faceva cenno il collega Cardinali, a proposito anche delle piccole industrie che sono addirittura ignorate.
Occorre varare al più presto la legge sulle aree attrezzate per la piccola e media industria, prevista nei comprensori di Mondovì, di Casale di Vercelli e di Borgosesia. Però questa legge - giustamente è stato chiarito, e non poteva essere diversamente, e su questo concordiamo riguarda solamente gli insediamenti della piccola e media industria bisogna invece vedere come noi possiamo e dobbiamo predispone anche un'azione attenta, diretta, responsabile per creare delle aree per l'artigianato.
Dobbiamo anche nel campo dell'artigianato vedere di portare avanti la politica della diversificazione industriale in Piemonte, e la lotta alla cosiddetta monocoltura industriale, puntando sul potenziamento, quindi, da un lato, delle aree per la piccola e media industria in zone che, come quelle citate, sono tra le più disastrate in Piemonte, dall'altro approntando in zone ben determinate anche aree per gli insediamenti artigiani.
Dobbiamo poi provvedere anche alla creazione di strumenti con intervento diretto della Regione e sotto la sua responsabilità politica economica e finanziaria, che preveda la costituzione di centri al servizio della piccola industria e dell'artigianato. Sono aspetti che si riferisco no al "marketing" che stamattina è stato ancora molto bene ed opportunamente citato dal collega Sanlorenzo, all'attuazione di un Ufficio regionale di ricerca ed assistenza tecnica, che contribuisca salvaguardare e consolidare la vita dell'artigianato e delle piccole industrie. Queste richieste da oltre due anni vengono avanzate non solo dal Gruppo comunista ma dalle stesse Associazioni artigiane. Un altro aspetto di ciò che non è stato fatto riguarda le esposizioni fieristiche a livello regionale, di cui già avemmo occasione di parlare come comunisti in occasione della presentazione del bilancio per il '74, poi nel corso dell'anno stesso.
Ritengo che la nostra Regione debba battersi unitamente alle altre per una nuova legge- quadro che contempli la possibilità per le Regioni di intervenire anche per le fiere e le mostre a carattere internazionale.
Infatti, data la natura di certo artigianato artistico di grande pregio che abbiamo in Piemonte e in virtù dell'esigenza di accoppiare l'artigianato artistico piemontese, come elemento di valorizzazione, alla iniziativa di fiere e di mostre a carattere nazionale, interregionale ed internazionale è più che mai necessario valutare attentamente la nostra proposta.
Sarebbe stato doveroso, oltre che opportuno da parte della Giunta - lo propongo per la seconda volta, prima dello scadere della legisiatura approntare, attraverso i nostri Uffici studi, con un discorso concreto per gli Enti locali, una mappa della situazione fieristica e dei mercati in Piemonte. Potremo avere le idee più chiare sui problemi delle fiere e dei mercati come Regione Piemonte e con legge regionale, mediante opportuni stanziamenti, evitando le dispersioni finanziarie e la tanto deprecata politica di intervento a pioggia sostenere il potenziamento dell'iniziativa fieristica e artigiana ed emarginare certe forze che nulla hanno a che vedere con l'artigianato, con la piccola industria, ma che vivono in modo parassitario a margine delle fiere e dei mercati.
Veniamo ora ad un altro tema che già da altri interventi è stato toccato. Chiediamo all' Assessore Debenedetti, unitamente all'Assessore per l'Artigianato, all'Assessore per il Commercio, in rapporto agli aspetti che legano l'artigianato al turismo, ed ai riflessi che lo interessano in campo anche culturale di esercitare una azione coordinata per lo sviluppo delle mostre in Piemonte, ed a livello interregionale; di svolgere un'azione di coacervo e di iniziativa unitaria. Non deve accadere di sentirsi dire, parlando delle fiere con l'Assessore Paganelli, per fare un caso, che questa parte può avere si un suo peso sull'artigianato e la piccola industria, ma dipende l'iniziativa dall'Assessorato al Commercio cui va rivolta l'istanza. E' perciò necessario giungere al più presto ad un orientamento unitario dei vari Assessorati su tali problemi.
Ritorno sul problema delle aree attrezzate per l'artigianato. Noi non possiamo pensare che, affrontato il problema delle aree industriali, non ci sia più nulla da dire da parte della Giunta. Anzi, proprio perché già nel piano territoriale della zona torinese che si sta discutendo nelle competenti Commissioni il problema dell'insediamento dei servizi rappresenta uno degli aspetti fondamentali, riteniamo che il settore dell'artigianato venga posto perciò nel dovuto risalto e che si debba fare una scelta; vedere, ad esempio, non una politica di contributi in senso generale per tutte le aree che possono essere create al servizio dell'artigianato in Piemonte (sarebbe un errore tremendo ed una bella demagogia dall'altra parte), ma esaminare, zona per zona e prima di ogni altra quella dell' area torinese, dove l'esigenza di nuovi insediamenti artigianali si manifesta con un'acutezza particolarmente grave. Pure l'area del pinerolese che occorre prendere in considerazione in quanto sappiamo che il Comune di Pinerolo è favorevole a mettere aree a disposizione dello stesso artigianato. Dobbiamo essere in grado come Regione facendo applicare la legge 865, art. 27, da un lato di localizzare le aree in Piemonte e dall'altra parte partecipare direttamente alla progettazione di queste aree in accordo con gli Enti locali da noi interessati allo scopo.
E' bene ripetere che vi sono dei momenti troppo spesso dimenticati, in merito a questi approntamenti di aree attrezzate per l'artigianato: 1) la necessità di localizzare queste aree in zone non troppo decentrate rispetto alla città 2) la convenienza di creare strutture edilizie modulari da concedersi in proprietà o in leasing, con importanti agevolazioni creditizie 3) l'opportunità di favorire una integrazione tra le diverse produzioni artigiane da insediare, in modo da creare autonomie unite per complementarietà nella fornitura dei servizi e dei semilavorati.
Occorre, a nostro avviso, in questo caso - è una richiesta fatta anche dalle stesse Organizzazioni sindacali - rilanciare l'applicazione della legge 20.10.1960 n. 1230, che prevede la realizzazione di locali a servizio delle attività artigiane in complessi di edilizia economica e popolare.
Certo, nel fare queste considerazioni non pensiamo al fabbro: ci riferiamo a quei tipi di servizi che possono allogarsi in modo adeguato, in questi edifici ad edilizia popolare.
In carenza di questi orientamenti, le scelte urbanistiche possono rischiare di accelerare l'espulsione degli artigiani dalle città senza dare alcuna garanzia di possibili nuove sistemazioni, scaricando ancora una volta sull'artigiano i gravi costi di trasferimento.
Vi sono, anche in questo quadro, due problemi che non possono essere sottovalutati: 1) l'integrazione tra l'attività artigianale e l'attività commerciale 2) la difesa e la valorizzazione dell'artigianato come mezzo per vitalizzare anche i centri storici di alcune nostre città.
Sul primo punto, cioè sulla stretta interdipendenza che esiste fra residenza, attività commerciali e artigianato di servizio, occorre che la Regione, nella sua funzione di stimolo, di indirizzo e di coordinamento per i piani di urbanistica commerciale che debbono essere elaborati dai Comuni in base alla legge 426, affronti anche il problema delle localizzazioni artigiane, in quanto molti settori dell'artigianato, almeno secondo il nostro parere, sono direttamente interessati al commercio, e vi è quindi la necessità di disporre dei servizi delle attività commerciali.
Sul secondo punto, facendo leva sulla vitalità delle aziende artigiane (particolarmente quelle artistiche e di servizio) è possibile ricostruire equilibri in centri storici degradati. Non è concepibile, infatti, pensare che aziende artigiane (come sarti, orologiai, parrucchieri, idraulici elettricisti, legatori, ecc, ecc.) possano ragionevolmente essere espulse dal centro e spinte verso la semiperiferia, mentre questi settori artigiani nel centro stesso producono e vendono direttamente.
Le pesanti restrizioni creditizie, colleghi Consiglieri, l'aumento del prezzo dei carburanti e delle tariffe elettriche decisi, dal Governo, hanno ulteriormente accresciuto le sperequazioni che già esistevano tra l'artigianato e la grande industria. L'aumento delle tariffe ferroviarie ad esempio, per i trasporti merci, ha annullato la tendenza manifestatasi anni fa del potenziamento del trasporto per questa via. Le stesse restrizioni alle importazioni, che spingono, per il modo in cui sono congegnate, ad elevare ancora di più i prezzi delle materie prime importate ed a restringere nel contempo la circolazione del credito, sono elementi unitamente ad altri ancora, che non sto ad elencare (per esempio, per l'artigianato, la crisi generale che schiaccia tutto il settore) che hanno portato, unitamente alla grave crisi dell'auto in Piemonte (visto che buona parte dell'artigianato torinese è legato all'auto) ad un divario notevolissimo tra costi e ricavi, per l'artigianato e la piccola industria.
Abbiamo sempre sostenuto, come Gruppo comunista, che non si doveva attendere passivamente che il Governo nazionale varasse la legge-quadro per l'artigianato e quelle misure giuridico-finanziarie per la piccola industria che permettessero di individuare una volta per tutte, su quali basi configurare giuridicamente tale settore produttivo.
Abbiamo perciò sempre chiesto che, in attesa del varo della legge quadro, si operasse con proprie iniziative ed atti legislativi per far sì che nel Piano di sviluppo del Piemonte - che purtroppo, come tutti sapete non è ancora stato varato dal Consiglio regionale - l'artigianato e la piccola industria diventassero protagonisti e contribuissero, con il loro peso di forza economica, alla diversificazione industriale ed allo sviluppo economico-occupazionale in Piemonte.
La diversa organizzazione ed utilizzazione del suolo urbano è sempre stato perciò posta fra le questioni di fondo dalla cui soluzione positiva possono scaturire spinte importanti per favorire da un lato la minore impresa nel suo sviluppo e dall'altro per ottenere una svolta decisiva sull'avvio dell'associazionismo dell'artigianato in Piemonte.
A tutt'oggi purtroppo non più del 4-5 per cento delle categorie artigiane in Piemonte vive in forma associativa l'attività creditizia attività produttiva. Questo è un elemento di grossa debolezza dell'artigianato piemontese che si fa tanto più grave in presenza dell'acutizzazione della crisi, che richiede un'accentuazione del carattere della competitività che il settore può offrire, debolezza che può portare di contro alcuni settori dell'artigianato ad essere travolti dal peso esterno che su di essi grava.
Siamo- e lo ripetiamo, se volete, in modo solenne - per scelte programmate dirette come Regione, contrari invece alla continuazione di una politica fondata sui contributi dispersi a pioggia su tutta l'area piemontese. Siamo per la ricerca, come si è fatto con la legge per le aree industriali attrezzate nei comprensori di Mondovì, di Casale, di Vercelli e di Borgosesia, di alcuni punti nodali per le aree artigianali in Piemonte fra cui individuiamo la zona di Torino,quella del Saluzzese,del Valenzano e dell'Ovadese, della Valsesia. Sono problemi che interessano anche i Comuni di queste zone, che debbono essere investiti, non con mezze misure ma con un programma ed un piano che solo la Regione può fare con un taglio di carattere programmatorio e finanziario.
Avevamo proposto lo scorso anno (mi avvia rapidamente alla conclusione avendo forse abusato un po' troppo della vostra attenzione), in occasione del dibattito sul bilancio per il 1974, l' organizzazione, con urgenza, di una conferenza regionale sull'artigianato per stabilire, anche attraverso un censimento generale di questo settore produttivo, il tipo, la qualità degli interventi, in relazione al piano regionale di sviluppo, che prevedevamo allora potesse essere varato nei primi mesi del 1974, secondo gli impegni della Giunta. Certo, la relazione della Giunta nel bilancio del 1975 dice che l' IRES entro il corrente anno provvederà a consegnare alla Regione lo studio, o meglio il censimento, sulla situazione artigianale in Piemonte. Questo è indubbiamente già un passo molto importante seppure tardivo; però, la nostra richiesta di fondo per il 1974 è andata, come tante altre, completamente disattesa: oggi non è più possibile evidentemente, effettuare questa Conferenza regionale sulla situazione dell'artigianato.
Allora la Giunta tentò di sfuggire alla nostra richiesta dicendo che non era possibile giungere alla organizzazione della Conferenza senza avere prima risultati sull'accertamento della forza lavorativa nei vari settori dell'artigianato. E' un po' il solito dilemma se prima è nato l'uovo o la gallina. Quello che conta sono i fatti: la Conferenza non è stata indetta i dati dell'IRES arriveranno alla fine del 1975. Noi potevamo e dovevamo comunque offrire questo nuovo elemento non già per dettar legge in materia dell'artigianato, ma almeno per recepire attraverso ad un forte contatto politico e partecipativo, quanto di meglio le valide Organizzazioni sindacali ed i singoli artigiani potevano fornire come orientamento, come tematica di lavoro, al Consiglio regionale ed alla sua Giunta.
Nella relazione della Giunta sul Bilancio si torna a parlare ancora una volta di giungere, prima della scadenza dell'attuale legislatura regionale al varo definito dell'Ente di sviluppo per l'artigianato. Desideriamo cogliere l'espressione meramente velleitaria di tale manifestazione di volontà da parte della Giunta, in quanto e noto a tutti che il tempo materiale per concretizzarla prima dello scioglimento del Consiglio regionale non esiste. Purtuttavia, non vorremmo che, tanto per soddisfare l'impegno, si ripetesse il non lieto esperimento dell'Ente di sviluppo per l'agricoltura, che dopo la sua tormentata costituzione ancor oggi non si è riunito, e non ha neppure assolto il compito di insediamento burocratico amministrativo.
Altro problema ancora è quello di non creare degli Enti che fin dalla loro costituzione rivelano debolezze paurose sulla prospettiva funzionale è necessario su questo problema discuter preventivamente in modo serio e approfondito. Per l'Ente di sviluppo agricolo le cose sono andate come tutti sappiamo e non resta che augurarci che si possano modificare in meglio. Cerchiamo di non fare, signori della Giunta, altrettanto per l'artigianato! Dovete con noi e con il Consiglio esaminare l'opportunità o meno di giungere alla costituzione dell'Ente di sviluppo: per l'artigianato: non potrà, lo riaffermiamo, essere seguito il criterio che ha presieduto la nascita dell'Ente di sviluppo per l'agricoltura. Ho già detto che da almeno due anni se ne parla in Giunta, nelle Commissioni, in Consiglio, mentre da più parti evidentemente aumentano le perplessità sulla sua validità, proprio perché si moltiplicano le osservazioni e le critiche che hanno presieduto la necessità dell'Ente non come validità in sé di sviluppo per l'agricoltura.
Il carattere che la Giunta di centro-destra nel suo disegno di legge per l'Ente agricolo aveva dato come "organo di intervento polivalente ed omnicomprensivo" è in netto contrasto con le esigenze di specializzazione e di articolazione territoriale e settoriale che sono realtà indiscusse per una organica azione di tutela e di sviluppo dell'artigianato in Piemonte.
Non si capisce perché la Giunta ed il Consiglio non debbano produrre iniziative in direzione dell'artigianato in prima persona e delegare invece ad un Ente di sviluppo quanto la Regione con più organicità politica potrebbe sviluppare.
Oggi poi che è di prossimo varo la legge sui comprensori l'iniziativa della Regione anche nel settore artigiano, dovrà muoversi e dovrà fare gli conti con questa realtà territoriale che non ammette interlocutori diversi e non qualificati. Con la prospettiva invece del vecchio disegno della Giunta di centro-destra, l'Ente di sviluppo per l'artigianato dovrebbe essere, nella realtà, un organismo privilegiato, al di fuori addirittura dello stesso Consiglio regionale, e che instaura un rapporto di vertice tra Governo regionale e rappresentanze delle categorie artigianali con un profilo istituzionale al tempo stesso settoriale e tendenzialmente corporativo. Vengono fatte prevalere, da parte della Giunta, anche senza dichiararlo, concezioni e spinte corporative nelle scelte di fondo che investono l'economia del Piemonte, scelte che richiedono invece, se vogliamo essere sinceri con noi stessi, un forte ancoraggio alla politica di pianificazione dello sviluppo piemontese ed un doveroso prevalere di questa pianificazione sui vari settori economici. Solo così, non in chiave corporativa, sarà possibile creare, con il piano regionale, un nuovo modello di sviluppo, che risponda alle esigenze economiche e sociali di una Regione come il Piemonte, che conosce profondi squilibri nel saggio di crescita tra l'area economica torinese ed il resto della Regione, tra gli centri industriali e le zone agricole, tra l'artigianato e il resto dell'economia piemontese.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE FASSINO

Con l'intervento del Consigliere Raschio si conclude l'elenco degli iscritti a parlare nella mattinata. La seduta riprende oggi, alle 15,30: raccomando la puntualità ai colleghi presenti ed anche agli assenti, la seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,15)



< torna indietro