Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.29 del 09/03/71 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbali sedute precedenti


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego un Segretario Consigliere di dar lettura dei verbali delle sedute precedenti.



MENOZZI Stanislao, Segretario

da lettura dei processi verbali delle adunanze 1^ marzo '71 ore 10 e ore 15



PRESIDENTE

Mi è pervenuta una domanda di congedo per la seduta di questa mattina del Consigliere Oberto.


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati - Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Problemi del lavoro e della occupazione - Università

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Desidero fare alcune comunicazioni.
Nella giornata del 5 marzo u.s. si è svolto a Milano un convegno degli Uffici di Presidenza dei quindici Consigli Regionali, assente soltanto l'Ufficio di Presidenza della Basilicata a causa delle condizioni climatiche. Sono stati approvati cinque ordini del giorno che riguardano problemi di interesse di tutti i Consigli Regionali, e precisamente il problema degli Statuti regionali, quello dei decreti delegati, quello dei controlli sugli Enti locali, quello degli ospedali e quello della procedura di consultazione delle Regioni. Copia di tali documenti sarà distribuita in giornata a tutti i Consiglieri regionali.
Sono giunti al Consiglio alcuni indirizzi di sollecitazione e di appoggio per una rapida approvazione dello Statuto piemontese da parte del Senato. Una delegazione della Michelin di Cuneo, ricevuta dalla Conferenza dei Presidenti, ha espresso l'auspicio che lo Statuto sia rapidamente approvato, senza modifiche alle sue parti più qualificanti. E' pervenuto anche al Presidente del Consiglio un documento degli operai di Garessio essi, traendo occasione da un mortale incidente sul lavoro di cui è rimasto vittima un loro compagno, chiedono l'interessamento di tutti gli enti democratici al grave problema di sicurezza sul lavoro ed auspicano la rapida approvazione del nostro Statuto, con particolare riferimento all'art. 6. Analoga presa di posizione è contenuta in un documento del Consiglio comunale di Verbania, con particolare riferimento al problema dei controlli. E' giunta, d'altra parte, una comunicazione del Ministero dell'Agricoltura circa la collaborazione sui problemi agricoli: con riferimento alla mozione sui problemi agricoli votata dal Consiglio Regionale, il Ministero dell'Agricoltura e l'Ispettorato regionale delle Foreste hanno offerto, tramite gli Ispettorati ripartimentali, tutta la loro collaborazione allo scopo di raccogliere ogni elemento conoscitivo sulla situazione agricola locale.
Desidero poi fare anche alcune comunicazioni relative a problemi del lavoro. E' nota a tutti i Consiglieri la situazione critica degli stabilimenti Eti-Valle Susa; si profila la chiusura degli stabilimenti di Mathi, San Giorgio e Sant'Antonino, che danno occupazione a 900 lavoratori complessivamente. Su questo argomento sono giunte precisazioni delle tre organizzazioni sindacali, un telegramma del Sindaco di San Giorgio, una mozione dei Sindaci delle Valli di Lanzo, riuniti a Mathi il 19 gennaio una deliberazione del 19 gennaio del Consiglio comunale di Mathi, un ordine del giorno del Consiglio comunale di San Giorgio Canavese in data 21 gennaio '71, un ordine del giorno approvato all'unanimità dalle Giunte delle Comunità Alta e Bassa Valle di Susa del 23 gennaio '71, un ordine del giorno dei Sindaci dei Comuni di San Giorgio, Ciconio, Cuceglio Montalenghe, Aglié, San Giusto, riuniti a San Giorgio il 27 gennaio '71 una delibera del Comune di San Giorgio Canavese, in cui si chiede alla Regione di rendersi promotrice di una riunione sull'argomento.
Alcune di queste comunicazioni sono parzialmente superate dai fatti anche perché durante tutto il periodo in cui è durata la crisi mi sono astenuto dall'intrattenere il Consiglio su temi che non avessero riferimento alla crisi medesima.
Una situazione di crisi è denunciata anche nello stabilimento Seme di Caluso, che impiega 200 lavoratori;, a questo proposito è giunto un telegramma del Vice-Sindaco, per minacciata chiusura, il 13 febbraio '71.
In crisi è anche la ditta Vistarini di Omegna, che dà lavoro a 260 lavoratori: un telegramma del Sindaco di Omegna segnala la grave situazione dell'azienda.
Per un problema già in parte discusso in Consiglio il 16 ottobre, la situazione della Società per azioni ATA di Biella, vi è una comunicazione dei tre Sindacati.
Si è inoltre presentata qui al Consiglio una delegazione, che si è incontrata con il Vicepresidente Oberto, dello stabilimento Delta di Serravalle Scrivia, produttrice di trafilati di rame e leghe, che occupa circa 700 dipendenti.
E' giunta al Presidente del Consiglio una lettera della Segreteria regionale del Partito comunista italiano, contenente alcuni rilievi su "Tribuna regionale". Nella lettera si muovono osservazioni critiche sul modo in cui è stata condotta la trasmissione di "Tribuna regionale" dedicata al Piemonte e si chiede una riunione per discutere l'argomento riunione cui dovrebbero partecipare i rappresentanti della Commissione parlamentare di vigilanza, i rappresentanti dell'Ufficio di Presidenza della Regione e della Giunta regionale, i dirigenti della Rai-Tv e i rappresentanti dei partiti e dei Gruppi consiliari regionali. Di questa questione sarà investita la Conferenza dei Capigruppo.
Sono giunte parecchie comunicazioni relativamente alla riforma tributaria ed alla mozione del Consiglio Regionale in merito a tale riforma. Hanno preso posizione sul disegno di legge di riforma tributaria trasmettendo appositi documenti al Consiglio, ovvero facendo proprio il documento approvato dal Consiglio Regionale, i Comuni di Verbania Villadossola, Castelnuovo Scrivia, Collegno, Rivoli, Forno Canavese Vallemosso, Tollegno, Bussoleno, Guardabosone. La Regione Marche e la Regione Toscana hanno inviato il testo di un documento su questo tema adottato dai rispettivi Consigli, che è abbastanza analogo a quello adottato da noi. Lo stesso ha fatto la Provincia di Vicenza.
A proposito della questione degli insediamenti universitari, è pervenuto un ordine del giorno del Consiglio provinciale di Novara in cui si sollecitano gli organi regionali ad esaminare tempestivamente la situazione e ad elaborare un organico piano di sviluppo della Università in Piemonte. Sull'argomento vi era già stata una presa di posizione della Presidenza provinciale delle Acli di Alessandria in cui si invitava il Presidente del Consiglio Regionale ad investire direttamente del problema il Consiglio, sede naturale di tale dibattito.
A proposito del disegno di legge di iniziativa popolare n. 1167 presentato al Senato, riguardante interventi per gli handicappati psichici fisici, sensoriali e disadattati sociali, l'Opera nazionale Mutilati e Invalidi civili ha trasmesso al Presidente del Consiglio Regionale il testo del disegno di legge in argomento, affinché sia portato all'attenzione dell'Assemblea e il Consiglio consideri la possibilità di sollecitare il Senato ad affrontare rapidamente il problema.
Ci sono pervenuti fra ieri e oggi lettere e telegrammi che sollecitano una rapida conclusione della crisi della Giunta regionale, a firma del Vice Sindaco di Vercelli, Cerutti, del Sindaco di Nibbiola, Luigi Sempio, del Sindaco di Balzola, in provincia di Alessandria, del Comune di Scurzolengo in provincia di Asti, del Comune di Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria, e del Comune di Morano sul Po, in provincia pure di Alessandria.
Desidero fare ancora una comunicazione al Consiglio, prima di passare alla continuazione del nostro ordine del giorno, a proposito di un fatto increscioso che si è verificato nei giorni scorsi. Era stato indetto dal Comune di Chieri e dalla locale Sezione dell'Anpi un ciclo di lezioni di storia contemporanea per gli studenti delle scuole medie superiori di Chieri: una prima lezione doveva essere tenuta dall'on. Bodrato sulle "Origini del fascismo", una seconda dal prof. Ottino su "Fascismo e cultura", una terza dal prof. Lombardini su "Fascismo ed economia", una quarta dal Consigliere regionale Giovana su "Fascismo e colonialismo", una quinta dal Consigliere regionale Zanone su "Il fascismo nel mondo", una sesta dal prof. Quazza sulla Resistenza.
Due giorni prima della data fissata per la prima lezione il Provveditore agli Studi ha fatto sapere di essere contrario all'iniziativa in quanto le lezioni previste si svolgono durante l'orario scolastico, il sabato, dalle 10 alle 12 del mattino. Gli studenti hanno scioperato partecipando ugualmente alla lezione, tenuta in un teatro con oltre quattrocento presenti. Il Comitato di vigilanza antifascista di Chieri presieduto dal Sindaco, si è riunito ed ha deciso di protestare a tutti i livelli per ottenere che il Provveditorato modifichi il proprio atteggiamento prima della seconda lezione, prevista per sabato 13 marzo.
Questo argomento, faccio rilevare, è compreso nei programmi scolastici, ma non viene trattato, di solito, se non in modo vago ed equivoco; basta pensare al contenuto dei libri di testo che sono ancora diffusi nelle scuole del nostro Paese per rendersene conto. Iniziative di questo genere miravano e mirano a supplire a questa carenza nell'insegnamento della storia. Desidero accogliere la protesta del Consiglio Comunale di Chieri renderne edotto il Consiglio e farla mia propria, perché non vi è nessun dubbio che anche le nostre autorità scolastiche debbono cercare di rimodernare le concezioni del nostro insegnamento, se si vuole che nelle scuole si verifichi un dialogo più democratico fra il Corpo studentesco e il Corpo insegnante.
Non so se su questa mia comunicazione qualche Consigliere richiede la parola, altrimenti passiamo alla continuazione del nostro ordine del giorno.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Elezione del Presidente della Giunta e della Giunta regionale


PRESIDENTE

L'ordine del giorno dei lavori di oggi prevede al secondo punto: "Elezione del Presidente della Giunta e della Giunta regionale". Mi è stata preannunciata la presentazione del documento contenente il numero prescritto di firme per ottemperare alla procedura che era stata concordata fra i Capigruppo. Tale procedura desidero ora ricordare affinché tutto il Consiglio Regionale ne sia edotto e si possa poi passare alla esecuzione della procedura medesima.
Era già stato concordato all'unanimità, in precedenza, che per la elezione del Presidente e della Giunta nella attuale situazione legislativa, contemplata dalla legge n. 1084 del 23 dicembre '70 e dalla legge 10 febbraio '53 n. 62, si sarebbe seguita una procedura - approvata dal Consiglio il 25 gennaio, senza che fossero avanzate obiezioni articolata secondo i seguenti punti, tenendo anche conto delle variazioni apportate allo Statuto regionale nella seduta del 19 febbraio con la modifica dell'art. 31 comma secondo: presentazione del documento previsto dall'art. 32 comma secondo dello Statuto, aspetto non previsto dalla legge nel '62, ma non in contrasto con essa, e sua discussione da parte del Consiglio insieme al documento sono annunciati il nome del Presidente e la lista degli Assessori il numero degli Assessori proposto, di dodici, non è in contrasto con la legge n. 62, che prevede una Giunta composta da un numero di Assessori effettivi variante da dieci a dodici, né con lo Statuto, che prevede una Giunta composta da un numero di Assessori non superiore a dodici (si vedano le modifiche apportate allo Statuto il 19 febbraio '71) non si procede alla elezione di Assessori supplenti si passa, quindi, alla votazione per appello nominale del documento anche se l'art. 32 dello Statuto non lo richiede si ottiene, però, in questo modo, di procedere comunque ad una votazione palese del tipo di quella che è richiesta dallo Statuto per la elezione della Giunta e degli Assessori la elezione del Presidente e quella della Giunta avviene successivamente ed a schede segrete, al fine di ottemperare al dettato degli articoli 23 e 27 della legge n. 62 per quanto attiene alla validità della seduta ed alla maggioranza richiesta per l'elezione, stante il differente disposto della legge n. 62 e dello Statuto, il Consiglio ha deliberato di scegliere in entrambi i casi la norma più rigida, dato che in essa è senz'altro contenuto ad abundantiam anche il disposto dell'altro testo: quindi, per la prima seduta l'Assemblea deve essere composta da almeno i due terzi dei Consiglieri assegnati, in base all'art. 23 e 27 della legge n. 62, nulla disponendo invece in merito lo Statuto; la maggioranza richiesta per la elezione del Presidente dev'essere, in pratica, secondo quanto previsto dallo Statuto, pari alla maggioranza assoluta dei Consiglieri assegnati alla Regione, mentre per la legge n. 62 è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti; per gli Assessori componenti la Giunta non è richiesta la maggioranza qualificata poiché il documento contenente le linee politiche e amministrative presentato dai Gruppi consiliari propone la determinazione in dodici del numero degli Assessori, determinazione conforme sia alla legge n. 62 (da 10 a 12), sia allo Statuto (in numero non superiore a 12), resta inteso che con la approvazione di detto documento, a cui è allegato l'elenco dei candidati alla composizione della Giunta, il Consiglio delibererà altresì in dodici il numero degli Assessori componenti la Giunta.
Mi è pervenuto il documento previsto da questa procedura, con allegata la lista dei candidati proposti, ai sensi dell'art. 32 dello Statuto, per la elezione del Presidente della Giunta e della Giunta.
Questo documento reca le firme dei Consiglieri Adriano Bianchi, Aldo Gandolfi, Bertorello, Franzi, Giletta, Simonelli, Armella, Borello Garabello, firma illeggibile, Nesi, Cardinali, firma illeggibile Paganelli, Conti, Vietti, Menozzi, due altre firme illeggibili. Il numero delle firme lette è comunque già sufficiente alla presentazione di questo documento.
Viene proposto per la carica di presidente il nome del dott. Edoardo Calleri di Sala.
Per i posti di assessori, in numero di 12, vengono indicati i Consiglieri regionali Armella Angelo, Borando Carlo, Cardinali Giulio Conti Domenico, Debenedetti Mario, Falco Giovanni, Fonio Mario, Franzi Pierino, Gandolfi Aldo, Petrini Luigi, Simonelli Claudio, Vietti Anna Maria.
Seguono poi i nomi dei Consiglieri presentatori del documento e della lista.
Il documento è già stato distribuito ai Consiglieri regionali in precedenza. Non so se il Consiglio desideri che se ne dia ugualmente lettura, essendo presumibilmente noto a tutti.



NESI Nerio

Direi di no.



PRESIDENTE

Penso anch'io che possiamo darlo per letto. La lista, di cui si stanno approntando le fotocopie, verrà distribuita fra poco. Qualcuno dei firmatari del documento desidera illustrarlo, prima che si proceda al dibattito sullo stesso e sulla lista, secondo la procedura che era stata concordata fra i Capigruppo? Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, signori Consiglieri, il documento che è stato presentato all'attenzione del Consiglio con la lista contenente il nome del Presidente e quelli degli Assessori proposti per l'elezione espone in forma sobria ed essenziale le linee politiche ed amministrative cui si ispira la nuova Giunta. Il documento intende aprire la possibilità di un dibattito la possibilità di esprimere un giudizio, e soprattutto quella di dare un apporto costruttivo.
L'accordo raggiunto tra i quattro partiti di Centro-Sinistra presuppone o realizza alcuni aspetti significativi che vanno pur brevemente ricordati ancorché il testo non richieda particolari commenti. Innanzitutto, la concreta manifestazione della volontà di dare puntuale attuazione allo Statuto, scontandone la definitiva rapida approvazione, specie dopo il recente costruttivo dialogo con il Parlamento. Questa innovazione, questa modalità anche di dibattito per giungere alla elezione, che si realizza ora per la prima volta, comportano l'iniziativa e l'assunzione di responsabilità dei Gruppi che hanno accertato di poter essere e di voler essere maggioranza, non tanto per l'emergere obiettivo della somma aritmetica, che raggiunge 30 Consiglieri e il 60 per cento di questo Consiglio, ma per l'impegno che queste forze sentono di essere chiamate a porre nell'identificare le ragioni culturali, politiche e programmatiche che le spingono a proporsi come guida responsabile del Governo regionale.
Non ho né mandato né autorità per esprimere giudizi che coinvolgano la valutazione di ciascun Gruppo di Centro-Sinistra costituente la coalizione ma credo possano essere condivise alcune constatazioni che stanno alla base delle scelte che la Democrazia Cristiana ha per la sua parte compiuto. Si tratta di forze politiche che si riconoscono nei principi della Costituzione repubblicana e negli ideali della Resistenza, base morale e di legittimità della nostra Repubblica, di forze che hanno storicamente combattuto il fascismo, ma che si qualificano soprattutto in senso positivo, ripudiando del fascismo - di ogni fascismo, vecchio e nuovo - i metodi, la concezione dello Stato, dei rapporti fra le comunità internazionali, lo spirito irrazionale e di violenza, e contrapponendovi la fiducia che la pluralità delle forze politiche, sociali, culturali, e la loro possibilità di espressione e partecipazione in modo civile alla competizione politica sono, non solo valori e conquiste irrinunciabili di civiltà, ma le condizioni stesse per la realizzazione del progresso sociale ed economico, per la faticosa salvaguardia e conquista della pace. Dove non vi è libertà non vi è progresso sociale, dove non vi è libertà non vi è pace. Vi sono partiti regionalisti, vuoi per condizione originaria, vuoi per acquisizione o maturazione storica, ma che non hanno mai concepito la Regione come strumento di contestazione nei confronti dello Stato e del potere centrale, vedendola, invece, in coerenza con la loro ispirazione democratica, come un momento di riforma dello Stato, come l'espressione dell'autonomia, dell'autogoverno, della partecipazione, della diffusione del potere, del decentramento delle responsabilità politiche, più ancora che delle funzioni amministrative, della reintegrazione della sovranità popolare, tanto spesso mortificata nei fatti. Si tratta, ancora, di forze che, in virtù dei loro collegamenti con le realtà sociali, con il mondo della cultura, della scuola, del lavoro, della produzione, sono portatrici di tutte le inquietudini della nostra società in trasformazione, soffrono per gli squilibri di questa, sentono la urgenza di un'azione di riforma che diventi sostanza, continuità e ragione dell'azione pubblica, amministrativa e sociale. Una coalizione, dunque, che fa proprio il metodo, la filosofia cosiddetta della programmazione democratica, sintesi fra le acquisizioni della scienza e della tecnica da un lato, le aspirazioni e le volontà popolari dall'altra, orientata però ad una visione di fondo dei fini umani e di civiltà da perseguire, perché le riforme non siano né velleità né miti né conati dell'irrazionale, perché la condizione umana non sia il risultato di meccanismi, di forze, di interessi che la società nel suo insieme non sappia controllare ed armonizzare.
Questa coalizione, che affronta la responsabilità della seconda fase costituente della Regione, quella in cui gli istituti prenderanno concretamente vita, ed il primo governo con possibilità operative, non ha bisogno né intende accentuare polemicamente le ragioni di distinzione, le divergenze anche profonde che la separano dalle opposizioni di destra e di sinistra, tanto esse sono note, evidenti e dibattute. La Democrazia Cristiana, in particolare, non dimentica il significato del confronto della lotta, della competizione che essa conduce con il Partito comunista da cui la separano una visione ed una ispirazione diversa in ordine al significato ed ai metodi della democrazia e dell'organizzazione del potere ai modelli di società e di sviluppo, alla scala di valori che motivano una presenza ed una azione politica. L'esperienza, la storia di queste ultime generazioni, è in ogni caso presente ad ammonire tutti, e ciascuno per la sua parte, e soprattutto chi volesse scambiare le speranze e confondere le pur legittime attese con la realtà.
Ma la Democrazia Cristiana, la coalizione di Centro-Sinistra, e direi anzi tutte le forze democratiche presenti in questo Consiglio sono interessate, pur nella chiarezza delle rispettive posizioni, a vedere attraverso le forze politiche la realtà e le forze sociali, le formazioni sociali, per dirla con termine statutario, che è comune interesse collegare, coinvolgere, impegnare, rendere protagoniste dello sviluppo democratico, economico e politico di cui la Regione può costituire, e di più diverrà, uno strumento essenziale. Formidabile strumento, certo, ma che è chiamato a misurarsi con problemi che appaiono colossali rispetto alle forze, ai mezzi disponibili.
In questo quadro, che vuole l'utilizzazione dialettica di tutte le energie, e non la loro elisione per rigida contrapposizione, si colloca la estensione delle responsabilità di conduzione delle commissioni consiliari permanenti alle minoranze che viene proposta dalla maggioranza. Il fatto innovativo non tende a condizionare, né vuole ingenuamente offrire pretesti di strumentalizzazione in un senso o nell'altro: offre una occasione importante per l'esperimento di un salto di qualità che collochi ad un più alto livello di corresponsabilità istituzionale il rapporto tra i Gruppi presenti in Consiglio. E quindi la struttura, l'organizzazione, la definizione dei compiti delle commissioni in questo quadro viene deferita lasciata, alla competenza che è propria dell'intera assemblea. In questo quadro, certo, la maggioranza farà le sue proposte, le sue indicazioni, che confronterà e discuterà con tutti i Gruppi consiliari.
E qui si afferma, a conclusione di una crisi dei rapporti fra i partiti e delle soluzioni politiche, la nostra fiducia, la nostra volontà che le istituzioni trovino contenuti di efficienza e di dignità, trovino contenuti di partecipazione popolare. Le istituzioni sono in gran parte affidate, per l'esercizio delle loro funzioni, a noi, ma a noi non appartengono: esse appartengono al popolo, e noi vogliamo che per il nostro esempio il popolo in esse possa continuare a credere.
Dicevamo dei problemi di grande momento che ci attendono. Noi non intendiamo certo in questa fase sottrarre spazio alle responsabilità ed ai poteri istituzionali del Presidente e della Giunta per quanto attiene alla determinazione della struttura interna di quest'organo ed alla formulazione del programma operativo che la Giunta insediata certamente vorrà presentare al Consiglio, anche facendo tesoro delle indicazioni, delle sollecitazioni e degli apporti che scaturiranno da questo dibattito. Vogliamo solo offrire alcune indicazioni, alcuni punti di riferimento, senza ripetere, riprendere o parafrasare quanto è già contenuto nel documento testé presentato.
Sappiamo che la efficienza del primo collegamento con la realtà regionale passa per l'efficiente organizzazione e predisposizione degli strumenti di lavoro degli organi regionali; le sedi, gli uffici, il personale, pur minimo, anche per le commissioni, i locali, i mezzi, le attrezzature perché i Gruppi consiliari possano svolgere una funzione che si ritiene giustamente condizionante la qualità, la rapidità, la rispondenza democratica del lavoro del Consiglio e della Giunta; la integrazione e l'acquisizione del personale qualificato, per costituire gli staff di base e di impianto dei principali settori di competenza regionale e che si possono identificare con i gruppi di materie che danno corpo alla competenza del Presidente ed alle prevedibili e pur sperimentali deleghe agli Assessori. Noi non vogliamo in questa fase, e anche per correttezza eviterei, onde rispettare le competenze, di indicare in modo tassativo questa distribuzione, ma possiamo elencare, anche in termini di massima e per doveroso riguardo nei confronti dei colleghi dell'opposizione, quali possono essere le materie da suddividere tra gli Assessorati: la programmazione, il bilancio, le finanze, il patrimonio; l'urbanistica, la pianificazione territoriale; l'agricoltura e foreste; la sanità; la formazione professionale e la cultura, l'assistenza scolastica ed i problemi del lavoro; la tutela dell'ambiente, la difesa dagli inquinamenti le sistemazioni idrogeologiche, idraulico forestali, le acque; l'industria l'artigianato, le cave, le torbiere, le acque minerali e termali; il commercio, le fiere e i mercati; il turismo, l'industria alberghiera, lo sport, il tempo libero, la caccia e pesca, i parchi naturali; i trasporti le comunicazioni, le infrastrutture e la viabilità; la sicurezza sociale, i servizi sociali, i movimenti della popolazione.
Come si può efficacemente sviluppare un dialogo, che si fa incalzante con lo Stato, sulle prerogative regionali e sui contenuti di riforme quali quelle della sanità, della casa, della scuola, della finanza; come si pu prendere contatto con realtà come quelle dell'agricoltura, del lavoro degli insediamenti sul territorio, dell'urbanistica, degli inquinamenti senza mezzi di rilevazione, di conoscenza, di elaborazione di dati, senza gli strumenti operativi e di indirizzo? La ristrettezza dei mezzi finanziari, però - io ritengo ed è un augurio che formuliamo - non sarà motivo di ritardo bensì sprone per la ricerca delle soluzioni più agili più moderne, più efficienti. Ma già in questa fase si presenta un rischio ed un motivo di apprensione per le caratteristiche, i contenuti, le procedure che le varie riforme in cantiere minacciano di assumere rispetto alla pur conclamata esigenza di fare delle Regioni la sede e il tramite essenziale o principale della loro attuazione. Si ha l'impressione e il sospetto che la stessa urgenza possa tramutarsi in fretta, che la stessa pressione e partecipazione sindacale, che si realizza per vertici centrali e qualche volta centralistici, possa finire con il fare il gioco di chi prende a pretesto la fase costituente delle Regioni per mettere in cantiere nuovi strumenti legislativi od operativi in cui il momento burocratico e decisionale di tipo accentratore e tradizionale sia prevalente. Questo pericolo e questa tentazione ci riguarda tutti, e noi qui non reclamiamo per l'ingordigia di accaparrare competenze e funzioni, ma per l'autentico timore che la riforma regionale venga di fatto messa in mora per lunghi periodi e per troppi settori vitali, realizzando una giusta apposizione di competenze in cui la Regione stessa svolga un ruolo consultivo, il ruolo di chi debba, tanto per accelerare l'iter delle riforme, essere sentito magari per essere disatteso.
Ecco quindi il nostro compiacimento per la costituzione della Giunta con pienezza e stabilità di mandato, perché il Piemonte porti immediatamente tutto il suo peso in queste partite, di cui dovremo analizzare aspetti ed implicazioni, materia per materia, nel dibattito che si aprirà sul programma che la Giunta vorrà formulare. Noi sentiamo, e dovremmo sempre meglio sentire, la dignità e la responsabilità che ci viene dall'essere istituzione partecipe e determinante della politica nazionale.
Nell'attesa dell'attribuzione dell'esercizio effettivo, nella pienezza dei poteri, la Giunta dispone già della pienezza dell'iniziativa per l'avvio vigoroso di indagini conoscitive per ogni settore di competenza, per ogni settore di rilevanza regionale. Con l'allacciamento di stabili ed organici rapporti con tutti gli Enti locali, non solo attraverso il nuovo e qualificante modello di controllo democratico, ma con l'avvio concreto delle forme più efficaci di consultazione e di partecipazione, deve, in sostanza, colmare un distacco, deve far sentire una presenza unificante e capace di interpretazione e di risposta, deve esprimere una guida, deve colmare larghi vuoti politici e di potere che si sono andati determinando nel Paese in funzione del sopravvenire di problemi che si sono aperti e che non trovano puntuale e sufficientemente rapida risposta. E' premessa politica, è ragione psicologica dell'assunzione delle piene responsabilità democratiche che gravano su di noi.
Vi sono settori nei quali, a modesto avviso anche personale di, chi parla, sono urgenti indagini, è urgente che tutto il Consiglio, che ciascun consigliere prenda coscienza e conoscenza delle reali effettive dimensioni dei problemi. Guardiamo, ad esempio, al problema degli inquinamenti. Oggi ogni giorno i giornali, le riviste più qualificate, gli organi più autorevoli di tutto il mondo centrano continuamente la loro attenzione su questo punto: si è potuto dire persino che la nostra terra ha quindici anni di tempo per rimediare ad un corso di cose che altrimenti ci porteranno alla rovina. Abbiamo appresa con compiacimento la notizia della Commissione mista costituita presso il Senato e dovremo anche pensare a collegamenti costanti con tutte queste realtà, dovremo pensare alla mobilitazione di tutte le energie, di tutte le competenze, anche in sede regionale. Non so se esistano già formalmente anche comitati, organismi che raccolgono queste forze, queste competenze a livello regionale. Noi proponiamo anche a titolo personale al Presidente della Giunta e alla Giunta, che sappiamo particolarmente sensibili a questo settore, un campo di iniziativa immediata in questa direzione, che faccia sentire il potere unificante, il potere di iniziativa della mano pubblica in questo settore. Lo stesso dicasi per il problema degli insediamenti industriali, perché mentre si parla e si prepara una programmazione questa non venga svuotata scavalcata, anticipata con scelte anacronistiche; ma senza prevenzioni senza neanche l'atteggiamento di chi voglia arrestare lo sviluppo l'iniziativa, il lavoro di cui si ha bisogno. Ed ancora per le condizioni di vita nel mondo agricolo: noi sappiamo che c'è bisogno urgente di utilizzare tutte le competenze tecniche in questo settore, sappiamo anche che sono congelate tutte le competenze tecniche a livello burocratico bisogna operare per liberare tutte queste forze e farle ritornare ad un autentico servizio non di tipo burocratico dell'agricoltura. Sappiamo che ci sono competenze e capacità da raccogliere e da mobilitare, sappiamo che bisogna mettere insieme- sul piano della sperimentazione, dello studio della raccolta, tutte le energie regionali, e sono molte, che sono disperse, sono disanimate. Sappiamo che attraverso questa azione bisogna dare una risposta ai problemi immediati, urgenti, che riguardano i prezzi le condizioni di mercato, la situazione attuale delle aziende agricole, ma dobbiamo dare soprattutto una prospettiva, una speranza, una indicazione unificante che guarda lontano. E poi i problemi della occupazione operaia della crisi di settori industriali, raccordati, come si è fatto, con l'intervento puntuale, attento e realizzatore per risolvere alcune questioni singole ma inquadrate su un piano generale e collegate perch alla soluzione contingente risponda meglio l'indicazione delle soluzioni in prospettiva.
Noi diamo indicazioni solo a titolo esemplificativo, per offrire un'idea di quali e quanti compiti, pur nella carenza di mezzi, pur nella carenza ancora di tutti i poteri di cui la Regione può disporre, stiano davanti alla Giunta. Noi prendiamo l'impegno di sostenerla, con il nostro apporto, anche sul piano morale, perché sappiamo che ci sono difficoltà enormi, e proprio nel momento in cui si deve inventare, in cui si deve sintetizzare, in cui bisogna fare uno sforzo di assunzione di responsabilità politiche e quindi di indirizzo. Noi formuliamo l'augurio quindi, che tutti i sacrifici compiuti dalle singole forze politiche, anche i travagli attraverso cui le forze politiche sono passate per giungere a questa conclusione, a questo traguardo, vengano rapidamente superati riassunti in questo slancio, in questo impegno che galvanizza. Certo, in un confronto solo nel chiuso dei partiti, nel chiuso tra le forze politiche cui si è costretti, in fasi inevitabili, c'è sempre qualcosa di mortificante; ma quando si esce ad affrontare la realtà sociale, i problemi reali del Paese, in questo caso della Regione, anche se ardui, difficili tali da far tremare le vene e i polsi, subentra un qualche cosa che galvanizza, che spinge, che dà ragione e giustificazione dei sacrifici che si compiono e dà ad essi un fine valido. Ragione di vita di una coalizione è l'alto sentimento del bene pubblico che deve ispirarla, la carica di volontà politica di realizzazione, il gusto creativo sollecitato appunto a contatto con le possibilità di operare.
Questo anno 1971 ci auguriamo debba segnare il compimento della fase costituente dell'ordinamento regionale, con l'approvazione degli Statuti con l'emissione dei decreti di trasferimento dei poteri, con l'avvio all'approvazione delle leggi-quadro fondamentali, con l'avvio da parte nostra dell'azione di programmazione, con la partecipazione delle popolazioni, degli Enti locali alla nostra vita. E' un auspicio, il mio, di impegno e di collaborazione di tutte le forze secondo i singoli apporti in seno al Consiglio, perché la Regione, al di là dell'esercizio concreto di potestà legislative e di funzioni amministrative, possa affermarsi come punto di riferimento e di sintesi, come interprete unificante di tutti i problemi aventi dimensioni reali, senza alimentare attese miracolistiche o demagogiche ma dando interpretazione autentica ed indirizzo di soluzione ai problemi che sono di fronte a noi.
Occorre una preparazione accurata, quindi, a creare le competenze, a costituire gli strumenti che ci occorrono. Noi ci lamentiamo, e giustamente, dell'insufficienza, dell'esiguità assoluta dei finanziamenti.
Ma c'é un capitale prezioso, c'è un tipo di finanziamento che non ci pu venire da fuori, e questo dobbiamo prendere l'impegno di concretizzarlo noi stessi: è il capitale delle idee, è il capitale della volontà politica, è il capitale dello slancio nell'affrontare tutte le questioni che vengono sul tappeto. La conoscenza, innanzitutto, delle situazioni, fuori dalle suggestioni della cronaca che ingrandisce l'accessorio, che fa emergere il marginale, che rischia di soffocare una linea costruttiva che è quella storica. La preparazione adeguata, quindi, dei programmi, la diffusione, la partecipazione della corresponsabilità attorno a noi. Io penso che vi saranno ancora sicuramente momenti difficili, momenti di tensione, perch quanto meno precisi e delineati sono i confini delle competenze, quanto meno concrete, esatte e definite sono le possibilità di adottare interventi, tanto più sarà talvolta difficile intendersi; ma, ripeto, credo che se ci confronteremo soprattutto con la realtà che è fuori di noi troveremo molte più ragioni di convergenza e troveremo anche molta più dignità nelle ragioni di divergenza.
A nome del mio Gruppo, formulo l'augurio, per la Giunta, di un lavoro proficuo, di un lavoro ispirato ad una grande carica ideale. Se l'inizio della vita di una istituzione non è accompagnato da una profonda fede nelle sue possibilità, da una carica di entusiasmo che supera tutte le remore della routine quotidiana, non si possono raggiungere risultati positivi risultati stabili. Questa finalità, che è la ragione fondamentale e principale della coalizione che si è costituita, sia di sprone e di guida alla maggioranza che si appresta a costituire la Giunta, e sia anche termine di riferimento e garanzia di piena esplicazione della propria funzione da parte di tutti gli altri Gruppi, a ciascuno dei quali pure auguro di poter dare la pienezza del proprio apporto, di poter esprimere nel modo più compiuto e completo tutte le istanze sociali ed umane che esse hanno l'onore di rappresentare nella nostra assemblea.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Signor Presidente, signori Consiglieri, la discussione che si è aperta oggi in Consiglio, relativa ad un punto dell'ordine del giorno che si trascina da tempo, l'elezione del Presidente della Giunta e della Giunta regionale, ha posto un insieme di problemi che più correttamente dovrebbero essere ricondotti a due ordini distinti di questioni: l'una, relativa alla struttura e agli strumenti di lavoro della Regione; l'altra, relativa alla elezione della Giunta e del suo Presidente. Tra questi due ordini di problemi, pur non disconoscendo che esistono delle interrelazioni, sono riconoscibili soprattutto elementi e ragioni di distinzione che sono proprie delle diverse implicanze politiche, del diverso significato e del diverso grado relativo di labilità che ciascuno di questi ambiti di problemi possiede rispetto al lavoro del Consiglio e della Regione.
L'insieme di problemi che si riconducono alla questione "strutture e strumenti di lavoro della Regione", hanno come obiettivo quello di definire e costituire quegli organismi di funzionamento dell'istituto regionale atti ad affrontare i problemi che pone la realtà regionale; strumenti, cioè, di conoscenza, di analisi, di elaborazione di linee alternative operative, su cui fondare i processi di partecipazione e da cui far derivare le scelte l'altra questione, l'elezione della Giunta e del suo Presidente, riguarda la formazione di una maggioranza e l'individuazione di un esecutivo, di uno degli organi cioè della Regione, che si costituisce in funzione di un determinato e soggettivo modo di attuazione degli interventi sulla realtà.
La prima questione si riferisce, pertanto, a compiti di carattere costituente di organismi che devono il più possibile aderire agli aspetti oggettivi della realtà regionale ed ha pertanto un valore generale rispetto alla specificità della seconda questione. La prima questione può contenere i problemi della seconda, ma non può da questi essere contenuta. La definizione delle strutture e l'individuazione degli strumenti è pertanto per sua natura e per il carattere costituente che possiede, un lavoro che non può in nessun modo essere ritenuto compito di una parte delle forze politiche presenti in Consiglio. L'organizzazione strutturale e strumentale della Regione deve consentire di realizzare un rapporto oggettivo tra istituto regionale e realtà regionale nei suoi aspetti sia quantitativi che qualitativi; e la prima condizione perché ciò si realizzi e perché abbia questo carattere, è che gli strumenti e la struttura non vengano definiti come espressione di parte, e tanto meno come risultato di compromessi in cui i valori oggettivi dei problemi siano stati sopraffatti dagli interessi soggettivi delle parti.
Una fase costituente, quindi, che segue quella della formazione dello Statuto, che la continua e che ai metodi di lavori adottati per lo Statuto stesso deve fare riferimento. Un'elaborazione, una definizione che sia espressione diretta del Consiglio e che sia aperta fuori del Consiglio ai contributi e alla verifica delle varie componenti della comunità regionale.
Peraltro, credo si debba riconoscere che le strutture e gli strumenti di lavoro devono possedere un'autonomia e una validità funzionale temporanea assai più estesa di quanto non possano risultare i tempi di validità di una determinata composizione dell'esecutivo.
Sono queste le ragioni di contenuto e di metodo che ci fanno distinguere due ambiti di questioni all'interno dell'insieme dei problemi che sono stati sollevati con questo punto all'o.d.g. Non è una questione di carattere formale; dal modo in cui si opera in questa fase costituente dipenderà anche la possibilità di conseguire, con la Regione, le condizioni per il rinnovamento dello Stato, per quel rinnovamento nelle modalità di conduzione della vita politica italiana a cui faceva riferimento poc'anzi il Consigliere Bianchi. Già sin da questo momento si possono decidere i modi, le forme e i tempi in cui questo rinnovamento può avvenire e il carattere dello stesso. Siamo di fronte a una crisi delle istituzioni, ad un distacco dal modo in cui esse operano e l'esigenza che pone la nostra società, il livello sociale e culturale raggiunto, lo sviluppo in atto. Il pericolo che abbiamo oggi di fronte è che la prassi di potere e di regime a cui sono state informate le attività nelle assemblee elettive, si trasferisca anche nella Regione e riproduca qui le stesse posizioni di chiusura e di sordità rispetto alla realtà sociale, riscontrate in quegli istituti, e perpetui qui le condizioni su cui si affermano le posizioni conservatrici e le posizioni di delega tra eletti ed elettori.
Il pericolo che questa matrice si affermi sin da questa fase costituente, modellando alla prassi di governo che gli è congeniale anche la strutturazione e la strumentazione dell'istituto regionale, è sul piano culturale e politico presente. Il tentativo è esplicito nel modo con cui si sono affrontati i problemi; è chiaramente presente il pericolo che le forze politiche che si presentano come forze di governo in questo Consiglio, - al di là delle manifestazioni di buone intenzioni - non vogliano altro o non sappiano fare altro che ritradurre nell'istituto regionale l'esperienza e la prassi di lavoro degli Enti locali. E ciò per una scelta politica deliberata da parte di alcuni, per un limite culturale da parte di altri, o per l'uno e per l'altro aspetto insieme.
Le vicende di questa crisi di Giunta che oggi si tenta di comporre, per il modo con cui ha visto contrapporsi i partiti di maggioranza - su questioni di potere e non di merito, di contenuto e di metodo - per il modo stesso in cui si chiude mostra la presenza di questi pericoli. Lo stesso tentativo di chiudere la crisi sovrapponendo i due ordini di questioni a cui ho fatto riferimento, riconducendoli entrambi ad una visione di maggioranza e riducendo il primo ordine di questioni, quello della struttura e degli strumenti, ad un ambito di spartizione e di compensazione di potere, non ci fa certo sperare in bene. E per far questo si sono impiegati quattro mesi, imponendo una lunga stasi al Consiglio e all'attività della Regione; quattro mesi che hanno ritardato l'inizio di un processo di configurazione e definizione delle strutture e degli strumenti di lavoro della Regione e che imporranno ulteriori ritardi e incertezze nell'iniziare gli interventi operativi della nostra Regione. La gravità di ciò si può misurare nell'insieme dei problemi che si devono affrontare e nel fatto che i centri di decisione economici privati che quei problemi hanno determinato, hanno potuto e possono nel contempo continuare ad esprimersi, a consolidarsi, a produrre e frapporre ulteriori vincoli ed ostacoli alla soluzione dei problemi stessi ed all'intervento della Regione. Basta pensare a quanto è avvenuto e sta avvenendo in merito alla localizzazione industriale e alla possibilità di intervento della Regione in tema di pianificazione e di programmazione, ai problemi dell'occupazione che si sono andati aggravando senza che la Regione potesse intervenire alla risposta che la Regione in tutto questo periodo non ha dato ad un insieme di sollecitazioni che sono venute dai lavoratori; basta fare riferimento all'ultima assemblea, quella degli operai dell'ETI avvenuta sabato scorso, che sollecitavano appunto l'intervento della Regione.
In questo atteggiamento di immobilismo in cui è stata posta in questi mesi la Regione e di cui non è chiaro il modo con cui se ne uscirà, si è realizzata una politica di carattere antiregionale che è stata incoraggiata dall'atteggiamento delle forze politiche del nostro Consiglio. La gravità di questa situazione di immobilismo in cui ci ha immersi il centro sinistra, e la difesa di questa formula nella nostra Regione, è tanto più grande in quanto è parte, che lo si voglia o no, di quell'immobilismo che è presente nel Paese come conseguenza di una chiusa difesa di maggioranza che porta ad ignorare i problemi reali, che si identifica con la conservazione che lascia aperta la via della reazione, che lascia maturare in modo ogni giorno più preoccupante i processi di disgregazione politica e sociale, che lascia aggravare le differenziazioni e le sperequazioni economiche e sociali. E' in questo quadro che deve collocarsi la crisi della Regione piemontese, la stasi di quattro mesi che i partiti di centro-sinistra hanno imposto e oggi la proposta di soluzione della crisi della Regione.
In questi quattro mesi è emerso nel nostro Consiglio, da parte di quella che si è definita maggioranza, un atteggiamento di pretestuosa attribuzione di competenze a riguardo del lavoro di completamento della fase costituente dell'istituto regionale che con la formulazione dello Statuto ha avuto inizio e non conclusione.
Si è determinato un atteggiamento che tende a rompere con il metodo di lavoro adottato per la formulazione dello Statuto e che tende a ricondurre all'interno dei patteggiamenti di alleanze precostituite la continuazione dell'attività costituente. Le parti più conservatrici e reazionarie hanno visto in questa definizione degli strumenti e delle strutture un primo momento di creazione di condizioni di potere e un ulteriore intervento di chiusura e di opposizione nei confronti di una realtà politica che a livello dei lavoratori e della popolazione va esprimendosi in termini di azione rivendicativa unitaria e in termini di richieste di partecipazione e di democrazia.
Certo, non tutte le forze componenti il quadripartito hanno condiviso questa posizione e in questo ritroviamo uno degli elementi di fondo della dibattuta crisi del centro-sinistra nella Regione, ma non è possibile sottacere che di fatto queste divergenze siano state congelate per mesi da parte di tutti, nelle forme di quel pericoloso stallo a cui ho fatto riferimento, pur di non venir meno ad un patto di alleanza.
Non è questa una valutazione di natura puramente polemica, che il comportamento della maggioranza peraltro consentirebbe di svolgere con estrema facilità e con maggiore estensione ed efficacia, ma una valutazione critica d'ordine politico che è necessario se si vuole capire appieno il significato che sta nel modo e nei contenuti con cui oggi i quattro partiti di centro-sinistra presentano la loro rinfrescata unità, od in altri termini nascondono le loro divergenze. Non può essere infatti attendibile e sminuirebbe più del necessario la natura dei rapporti politici, che sia possibile superare i contrasti che esistono all'interno del centro-sinistra attraverso una distribuzione di incarichi, per cui prima si modifica lo Statuto e poi si manipola attorno alle commissioni.
Peraltro la conclusione a cui siamo approdati questa mattina significa appunto che questi contrasti sono ancora aperti, che non sono affatto sopiti; significa anche però che c'è stata una prima parziale sconfitta di quelle forze che volevano la chiusura, che volevano risolvere in maniera completa ed esauriente i problemi di strumentazione e di strutturazione della Regione all'interno di una formula di maggioranza.
Questi elementi di contrasto si riflettono nello stesso documento programmatico dei partiti di centro-sinistra. Il documento programmatico e le dichiarazioni che sono state fatte qui questa mattina hanno un carattere di genericità tale da non fornire chiarezza di contenuti nelle scelte che la Giunta intende operare, da non lasciare intendere come e quando si opererà. La sovrapposizione delle due questioni, quella della strutturazione e della strumentazione della Regione e quella della formazione di una maggioranza ed elezione della Giunta, ha servito confondendo un argomento con l'altro, per evitare di affrontare in modo esauriente la discussione su ciascuno dei due argomenti. Si sono ripetute cose vecchie, che si stanno dicendo nel Consiglio dal giorno della prima assemblea, sia con riferimento alle strutture e agli strumenti, sia con riferimento agli impegni operativi da assumere.
Nel documento si riconoscono più anime accostate. Anche questo è un segno delle divergenze che esistono all'interno del centro-sinistra che non riesce ad amalgamare e ad esprimere una posizione omogenea. Si trovano enunciazioni di carattere illuministico: alcuni principi che dovrebbero illuminare l'attività del Consiglio soprattutto per quanto concerne la partecipazione e la programmazione; si trovano aggregate a queste posizioni di carattere illuministico, ma affatto chiare sul piano operativo concezioni di carattere tecnocratico che tendono a individuare nell'uso corretto di una procedura di pianificazione la soluzione dei problemi senza affrontarli nel merito, senza indicare con quali finalità devono essere risolti. Sono ancora e sempre formulazioni teoriche sulla ragione e sulla tecnica che mascherano l'incapacità di scelte politiche di fondo; e la cosa più grave è che mascherano dietro alla buona fede e all'astrattezza di quelle forze che ne sono portatrici, quelle forze conservatrici che tendono invece ad evitare di affrontare con concretezza i problemi.
Sotto un profilo di apertura, di fatto è presente quel coacervo di posizioni contrapposte che ha annullato ogni significato operativo al centro-sinistra.
Pur tuttavia da queste contraddizioni possono sorgere alcuni elementi di carattere positivo, i quali segnano la vittoria delle forze più progressiste che possono ritrovarsi all'interno del tentativo di maggioranza. Faccio riferimento al fatto che si cerca di stabilire in modo nuovo rapporti tra maggioranza e minoranza. Se questi rapporti, che ci sono stati qui illustrati con intenzioni di buona volontà dal Consigliere Bianchi stamattina, affinché non abbiano a risultare propositi teorici destinati a ridursi a semplici aspetti formali, affinché abbiano una certa credibilità, devono essere collocati nel contesto politico e operativo della realtà regionale al fine di chiarire con quali obiettivi e finalità si vuole che le commissioni operino. D'altra parte è necessario definire i rapporti che devono esistere tra commissioni e Consiglio e Giunta e l'esterno dell'istituto regionale.
Noi riteniamo che questo sia un passo ancora viziato da una visione meccanica e burocratica di competenze e responsabilità, che non tiene conto dell'esigenza reale di una modifica dei rapporti di forza, che non tiene conto che di fronte alla crisi della società odierna, delle sue istituzioni e delle sue partizioni ideologiche, si richiede di rinnovare completamente tutti i processi che portano alle decisioni e alla partecipazione delle scelte, si richiede di eliminare le condizioni di deleghe concesse ogni cinque anni agli eletti. Ecco quindi la necessità, pur esprimendo un primo giudizio favorevole al modo aperto con cui questa mattina si è posto il problema delle commissioni, di chiedere chiarezza su cosa esse debbono essere, quali sono i loro compiti, quali le relazioni con l'esecutivo, con le forze e le componenti sociali esterne al Consiglio. L'assenza di una tale problematica lascia un grande margine di incertezza nell'individuare realmente cosa e come potranno operare queste commissioni. Consideriamo un successo delle forze progressiste e della partecipazione nostra al dibattito, il fatto che stamani, abbandonando le forme di chiusura che sono state proprie della maggioranza in questi quattro mesi, si sia deciso di rimandare ad un lavoro di commissione la esecutività della formazione delle commissioni. Sin dalla definizione di questi problemi deve stabilirsi un nuovo rapporto all'interno del Consiglio e tra il Consiglio e la Regione che in parte continui il metodo di lavoro che si è instaurato con l'elaborazione dello Statuto. Noi riteniamo che la commissione adatta per portare avanti questo lavoro già esiste nel Consiglio, sia quella del Regolamento. Chiediamo quindi che di questo spiraglio di apertura apparso stamani circa la definizione della struttura delle commissioni, delle competenze, delle modalità di lavoro, ci si avvalga per definire i compiti di queste commissioni sin dalla conclusione di questa seduta.
Noi indichiamo alcuni elementi di metodo coi quali pensiamo si debba operare; noi pensiamo che le strutture di lavoro della Regione debbano derivare da un'individuazione precisa delle finalità politiche che le competono. Pertanto, non si può continuare ad esprimere le finalità nella forma generica in cui le stiamo esprimendo da nove mesi. Noi riteniamo che si debba partire dalle finalità che abbiamo introdotto nello Statuto come compiti di intervento e di lavoro della Regione e si debbano individuare gli obiettivi attraverso i quali queste finalità si possono conseguire: bisogna progettare la successione di operazioni, di temi, di obiettivi perché le finalità siano conseguite (soprattutto quelle contenute nell'art.
4 e nel 73) e trovino una concretezza di riferimenti con i problemi che stanno al di fuori di questo Consiglio e che sono oggetto di azioni di massa, di rivendicazioni delle masse lavoratrici.
Si tratta di individuare meglio le scelte che attorno a questi problemi di fondo vogliamo fare, come quelli della salute, della casa, dei trasporti, dell'occupazione, della distribuzione e del costo della vita, se vogliamo che quel rapporto di partecipazione di cui sempre e ancora qui ci stiamo beando, diventi un fatto concreto, se vogliamo che il lavoro del Consiglio Regionale, anche attraverso un linguaggio operativo basato sull'assunzione di determinati problemi, costituisca un mezzo di rapporto partecipativo per le popolazioni, se non vogliamo ridurci a discutere su temi teorici con un linguaggio esoterico che non può costituire certo uno stimolo alla partecipazione. Abbiamo quindi, all'interno di quelle finalità che in termini generali sono state poste nello Statuto, da riconoscere e definire alcuni problemi che ci pone la realtà regionale; sono quelli dei lavoratori, quelli per cui l'azione rivendicativa delle classi lavoratrici impone riforme di struttura. E' su questi temi che dobbiamo individuare dei compiti concreti di lavoro; sono questi i temi attraverso i quali possiamo presupporre di conseguire obiettivi che realizzino le finalità generali che abbiamo posto nello Statuto e che insieme possono dare un senso reale ai processi di partecipazione e ai processi di programmazione. E credo che partendo da questa realtà di lotte e di rivendicazione che pone la classe operaia nelle fabbriche, si possa dare concretezza a quell'azione di carattere antifascista che qui è stata giustamente richiamata da tutti i partiti antifascisti, poiché credo però che questa posizione antifascista non si possa limitare ad una dichiarazione di affetti, ma debba strettamente ancorarsi con l'azione rivendicativa di una politica delle riforme.
E' su questo, riteniamo si debba esprimerci con chiarezza per non creare degli equivoci. Pertanto pensiamo si debba rimandare alla commissione consiliare il discorso della strutturazione delle commissioni di lavoro del Consiglio.
A questi discorsi di finalità e di obiettivi, a questi contenuti delle lotte operaie, non può peraltro sfuggire neanche la strutturazione della Giunta. Anche se questo è un discorso che ha un maggior margine di autonomia rispetto al Consiglio, non può essere considerato un discorso della maggioranza; è un discorso che è del Consiglio nella misura in cui la struttura della Giunta e la Giunta stessa diventa l'elemento esecutivo per attuare una linea politica che nel Consiglio si è individuata attraverso il dibattito, attraverso il lavoro delle commissioni, che nel Consiglio si è definita attraverso un rapporto di partecipazione dall'esterno.
Io credo che l'elencazione degli assessorati che ci è stata rapidamente fatta stamattina porti una vecchia matrice di ripartizione burocratica delle competenze, che non tiene conto della esigenza pratica di ancorare l'attività della Giunta alle esigenze di intervento attorno ai problemi di fondo che angustiano le nostre popolazioni. Partendo da questo proposito si deve fare molta attenzione nel definire gli ambiti di intervento di ciascun assessorato e nel raggruppare nei singoli assessorati le materie di lavoro è necessario cogliere tutte le possibilità di interrelazioni che sono richieste dalla necessità di intervenire con concretezza sui problemi, e che rispondono ai principi fondamentali della programmazione e della pianificazione.
In conclusione, se alcuni punti positivi, dopo questi mesi di chiusura ci sono venuti, soprattutto emergono nel documento programmatico la quantità degli elementi ancora confusi e incerti con cui qui ci si presenta a lavorare. In questo si ritrovano gli elementi specifici che vanno a rafforzare i motivi generali dell'opposizione del nostro partito al centro sinistra. La nostra opposizione nei confronti del centro-sinistra non ha certamente pause e non cede ad allettamenti e concessioni; si attua con un atteggiamento che tende, attraverso la costituzione di nuovi rapporti di forza all'interno ed all'esterno dell'istituto regionale, ad operare per portare al completo disgregamento di questa maggioranza che non ha più nulla da dire nei confronti della realtà che dobbiamo affrontare, e per fare affermare una procedura nuova di scelte politiche, di decisioni, di partecipazione all'interno delle assemblee elettive.
In questo senso noi crediamo che si possano, attraverso la nostra partecipazione che tende a costituire rapporti di forza diversi, modi e metodi di lavoro diversi ancorati ai problemi dei lavoratori, costruire nuovi canali e nuove forme di governo. In questo senso noi ci presentiamo come partito di governo, e senz'altro significato formale, come qualcuno ha voluto insinuare.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rotta, ne ha facoltà.



ROTTA Cesare

In questo mio breve intervento non vorrei fare delle critiche alla maggioranza costituita, ma soprattutto fare delle richieste sulle modalità del lavoro che la Giunta si prospetta di svolgere.
Il programma naturalmente è generico, i chiarimenti che ha dato il Capogruppo della D.C. sono valsi a perfezionare certe affermazioni contenute nel documento programmatico, però io desidererei conoscere quale sarà la modalità che la Giunta vorrà seguire per la soluzione dei problemi perché mentre da una parte si accenna alla loro grande complessità dall'altra si afferma che i mezzi a disposizione della Regione saranno assai limitati per risolverli. Io penso che il sistema migliore sia quello di interessare alla loro soluzione tutta la popolazione oltre che gli enti Comuni e Province interessati. Il lavoro della Regione sarà tanto più efficace quanto più ne decentrerà la soluzione, decentramento che io vedo quando è possibile, al singolo individuo, quando non è possibile almeno agli enti comunali e provinciali che lo rappresentano. La soluzione di molti problemi se l'affidiamo ai singoli, non soltanto diventa un elemento educativo, ma viene semplificato. Un esempio (adesso pare superato dai nuovi provvedimenti, se pure saranno presi) è quello dell'assistenza malattia: se ognuno ne rispondesse per conto suo o amministrasse una parte dei contributi versati per l'assistenza, questa sarebbe in gran parte risolta. Io sarei perciò dell'avviso che la Regione definisse quali saranno le sue mansioni e quali saranno quelle decentrate ad altri. Per questo accetto con piacere il fatto che nel programma non si accenna a dei dicasteri, ma ad una Giunta responsabile in toto. E credo che questo sia un'ottima cosa.
Il collega Bianchi ha voluto accennare, fra le cose su cui si è soffermato, anche agli inquinamenti. Su questo tema dovremmo insistere molto e ho piacere che questo sia stato un motivo particolare di impegno soprattutto per quel che riguarda le riserve di acqua. Noi siamo in una zona non povera di acqua, eppure la provincia di Torino (non parliamo della provincia di Asti) ha appena il 25 per cento del terreno irrigabile. Noi dovremmo creare dei bacini o fare in modo che i bacini già preventivati possano trovare una soluzione immediata o per lo meno molto prossima, anche perché non possiamo sperare di poter succhiare ancora acqua dal sottosuolo che è diventato una spugna quasi spremuta. E' per questo che abbiamo infiltrazioni di sostanze tossiche che, riversate in superficie, possono penetrare profondamente nel terreno sottostante. Secondo me la soluzione ideale sarebbe avere bacini numerosi affinché non una goccia d'acqua vada al mare prima di essere stata utilizzata. Arrivare a trasformare i nostri fiumi in canali è un programma che non spetta alla nostra generazione portare a termine, ma sul quale dobbiamo orientarci.
E' stato accennato anche alla questione agricola ed ai relativi finanziamenti. Dobbiamo tenere presenti le condizioni attuali del Piemonte cioè proprietà frazionata e invecchiamento degli addetti. Non possiamo neanche pensare che questi addetti che hanno passato tutta la vita a contatto con la terra, possano volentieri liberarsene. Io credo che una soluzione - se la Regione deciderà di finanziarla sarebbe quella di creare una cooperativa, società, chiamatela come volete, di servizi, in modo che il proprietario, pur potendo ancora svolgere una parte della sua attività sul terreno, possa appoggiarsi a questi servizi per tutte le cose che gli sono necessarie. Con questo risolveremo il problema del frazionamento da una parte e della mancanza di idee dall'altra per le nuove colture mancanza di idee normalmente lamentata dagli stessi coltivatori. Una cooperativa o una società del genere avrebbe il grande vantaggio di indirizzare anche il tipo di coltura secondo i nuovi principi, le nuove scoperte e anche di risolvere i problemi dei mercati in quanto che saprebbe già preventivamente indicare quali saranno i prodotti maggiormente ricercati.
Mi fa piacere che ci sia stata una richiesta da parte del Consiglio provinciale di Novara sul decentramento e vorrei accennare al decentramento dell'insegnamento universitario, nonché delle altre scuole. Noi non vogliamo fare di Torino una città universitaria, una città degli studi in generale, o del lavoro o ospedaliera, quindi dobbiamo cercare di risolvere il problema attraverso un decentramento universitario. Un aumento notevole degli iscritti fa sì che Torino dovrebbe, se questo fosse l'unico centro universitario, aumentare sensibilmente le sue strutture in relazione a quell'insegnamento, sarebbe il momento opportuno per decentrarlo, anche perché così facendo avremo più facilità di adire alle scuole, non soltanto ma porteremo nuovi stimoli di carattere scientifico anche alla periferia del Piemonte.
Se n'è parlato tanto di questo e se ne parla soprattutto per quello che potrebbe essere il decentramento del lavoro, ma lì abbiamo delle materie prime che qualche volta richiedono impegni di trasporto, invece il decentramento universitario no. La scienza non pesa molto, si può dire che il percorso che lo studente compie è praticamente inutile e gravoso a confronto di quello che potrebbe essere in caso di decentramento universitario.
Lo stesso potrei dire per i decentramenti ospedalieri. Noi abbiamo purtroppo in Piemonte e nella provincia di Torino, concentrata nella città quasi ogni attività ospedaliera; questo credo sia un errore e ricordo che fin dal 1960, quando ero Assessore all'Igiene e Sanità della Provincia avevo presentato alla Giunta che l'aveva approvato (il Consiglio si era trovato di parere discorde, per lo meno nell'attuazione) un decentramento ospedaliero; ricordo alla Giunta che esiste un disegno di Cavallai Murat alla Provincia, disegno che mi pare molto apprezzabile perché risolve i problemi sia degli ospedali minori che di quelli con un numero maggiore di letti. Il disegno comporta la possibilità di ricovero da 150 a 300 letti senza cambiarne le strutture fondamentali. Non so se la Giunta vorrà tenere presente quello studio, che penso sia utile, che abbiamo perfezionato assieme e con il quale Cavallari Murat ha saputo risolvere dei problemi che in altri ospedali non ho visto risolvere così bene.
Vorrei poi accennare, anche se questo non competerà forse del tutto alla Regione, alla medicina preventiva. Sappiamo che la prevenzione, cioè le vaccinazioni ecc. sono l'unico elemento veramente biologico che possiamo usare per stimolare gli organismi alla difesa, sappiamo anche che proprio le medicine sono un tossico sul quale viene posto un allarme per tutte le modificazioni di carattere anche genetico che può determinare un eccesso delle medesime. Naturalmente non voglio addentrarmi in questo campo, voglio soltanto riferirmi a un tipo di vaccinazione che non abbiamo ancora attuato in Italia e che non so se la Regione potrà, di sua iniziativa promuovere: la vaccinazione antitubercolare. Per la tubercolosi siamo in uno stato di stallo che le altre nazioni hanno superato attraverso la vaccinazione. Io penso che noi dovremmo insistere, se non possiamo farlo direttamente perché il Parlamento prenda questa decisione.
Le nostre amministrazioni comunali e provinciali si sono dimostrate, in generale, attente, forse per la caratteristica degli amministratori ma soprattutto per la vigile critica dei cittadini per i quali vent'anni di dittatura non sono stati sufficienti a sminuire il senso di responsabilità.
Il decentramento ai cittadini, ai comuni e province ci trova perfettamente d'accordo non solo nelle fasi decisionali, ma anche in quelle operative.
Esaltare le forze spirituali della popolazione, che è sempre stata così attiva nelle iniziative e così pronta nella soluzione dei problemi, credo sia un elemento che dobbiamo tenere presente e credo sia uno dei compiti che la Giunta dovrà assolvere.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Marchesotti, ne ha facoltà.



MARCHESOTTI Domenico

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, noi discutiamo su un documento che ci è stato consegnato l'altra settimana e devo dire che non so fino a che punto abbia la stessa credibilità che poteva avere otto giorni fa, non solo perché sono passati otto giorni, ma perché questi giorni non sono passati inutilmente.
Pertanto il Consigliere Bianchi che lo ha illustrato ignorando completamente la discussione che pure è avvenuta in questo Consiglio Regionale lunedì scorso, ha parlato come se i contrasti esistenti all'interno della maggioranza, come se le questioni che pure conosciamo non fossero esistiti. Sono del parere che la cosa meriti da parte della maggioranza un'ulteriore spiegazione e precisazione.
Il documento in discussione, proposto dai Gruppi della D.C., del P.S.I., del P.S.D.I. e dei P.R.I. mi pare risulti ricco di contraddizioni probabilmente un maggior legame con la realtà in movimento avrebbe consentito a queste forze una piattaforma più concreta; appare debole e limitato sulle questioni di merito che rinvia; non è equilibrato, tra le aperture di metodicità che contiene e le chiusure implicite sulle strutture, ad esempio per quanto riguarda l'organizzazione della partecipazione. Ma dobbiamo anche dire che ci troviamo di fronte a un documento aperto e parla esplicitamente di un "confronto dialetticamente costruttivo con le forze presenti in Consiglio". Fino a che punto l'affermazione sia credibile dovrà essere concretamente verificato e dal dibattito e dalle proposte che il Presidente designato alla Giunta ci vorrà fare.
La proposta di nuovi rapporti con la minoranza è certamente di grande importanza per costruire una Regione aperta, al servizio dei lavoratori del Piemonte. Inoltre, il documento appare come un compromesso tra forze di orientamento diverso, con un diverso legame con la realtà in movimento.
Forse è anche la conferma o di un disaccordo sul merito dei problemi urgenti o della scarsa conoscenza di questi. Il documento nella sua ricca ed anche interessante contraddittorietà, conferma o tenta di confermare la frontiera aperta proposta al Consiglio dal P.S.I. e lascia uno spazio alle tendenze moderate che può diventare assai pericoloso per le forze di sinistra e per i lavoratori. Il travaglio di questi ultimi giorni a me pare ne sia una conferma, ma dimostra anche e direi soprattutto la necessità di instaurare diversi rapporti con i comunisti nel Paese e nelle assemblee elettive, per realizzare nuovi equilibri politici. Noi quindi partiamo dal metodo del confronto dialettico, ci crediamo e di qui vogliamo muoverci confronto dialettico con la realtà e con le forze politiche e sociali senza con fusioni tra maggioranza e minoranza, convinti di poter dare un contributo, entrando nel merito dei problemi che interessano da vicino la classe operaia, i contadini e le assemblee elettive. Pertanto noi ci muoveremo su una linea di confronto e di scontro, di accordo e di disaccordo, facendo sempre salva la nostra autonomia di giudizio e di atteggiamento rispetto alla maggioranza sulla quale diamo un giudizio critico e complessivamente non positivo.
Sulla parte del documento dedicata ai controlli, sono d'accordo di esentare il maggior numero possibile di delibere dall'obbligatorietà di trasmissione alla commissione di controllo; d'accordo anche sulla riaffermazione del pluralismo democratico da perseguire con la piena valorizzazione delle autonomie locali; non concordo invece sul rinvio della costituzione delle sezioni o comitati provinciali decentrati, né sulla proposta di assegnare al comitato regionale di controllo sugli atti delle Province e degli enti ospedalieri, il controllo sugli atti dei Comuni della provincia di Torino.
Su questa materia ci richiamiamo all'abbondante materiale e alle proposte, pervenuteci dalle assemblee elettive, per la formazione dello Statuto e abbiamo concrete possibilità di operare presto e bene e di avere una larga partecipazione e collaborazione.
Di qui una prima proposta, partendo da questa documentazione che peraltro è in possesso di tutto il Consiglio: la questione dei controlli secondo noi deve essere discussa e le soluzioni elaborate con le assemblee elettive del Piemonte, perciò bisogna convocare subito assemblee di amministrazioni comunali e provinciali, Consiglio e Giunta debbono essere impegnati in questa direzione e in questo lavoro nei prossimi giorni. Noi abbiamo elaborato un documento e presentato una mozione, abbiamo chiesto e chiediamo sia posta al più presto all'o.d.g. del Consiglio. Ciò mi consente di richiamare, nel corso di questo dibattito, solo alcune questioni rinviando le altre al dibattito sulla mozione.
Il primo problema che abbiamo di fronte è il rapporto che vogliamo stabilire autonomamente, come Consiglio Regionale, con il Parlamento e con il Governo. A lor signori è certamente noto che al Senato sono stati presentati due disegni di legge (un terzo verrà presentato prossimamente): della D.C., del P.S.I. e del P.C.I. sulle questioni dei controlli. Occorre che il Consiglio e soprattutto la maggioranza prendano posizioni precise chiare, sulle seguenti questioni: sulla composizione degli organi. Noi siamo perché i membri siano eletti tutti dal Consiglio Regionale, dalle Province e dai Comuni; sullo scioglimento o meno della commissione centrale finanza locale. Noi siamo per lo scioglimento di detta commissione e per la separazione dei controlli dai problemi delle finanze, siamo cioè per assegnare al CIPE il potere di coordinare le decisioni nazionali sui fondi della Cassa depositi e prestiti, togliendo al Ministero degli Interni questa competenza che non può e non deve essere sua. Inoltre l'approvazione dei bilanci in deficit da parte del Comitato di controllo dovrebbe essere l'atto unico e decisivo che dà diritto al mutuo di copertura. Noi siamo quindi per la modificazione della legge comunale e provinciale; Consiglio e maggioranza riteniamo debbano prendere posizione nel breve termine di alcune settimane, sulla questione dei controlli sostitutivi e sugli organi. Noi riteniamo che, sia l'uno che l'altro spettino alla Regione ed ai suoi organi e sappiamo che gli stessi disegni di legge dei vari partiti al Senato vanno nella direzione che noi indichiamo. Sappiamo che queste proposte sono condivise dagli amministratori degli Enti locali e sappiamo anche, che sono contrastate dai burocrati, per questo chiediamo un pronunciamento preciso e tale da non lasciare equivoci se davvero, come affermiamo e come la maggioranza afferma nel documento si vogliono esaltare le autonomie locali.
Secondo problema. Noi riteniamo che occorra liquidare il concetto di tutela, di subordinazione gerarchica se vogliamo andare davvero alla esaltazione delle autonomie locali. I controlli non devono essere finalizzati ai programmi della Regione. Per raggiungere presto e bene questo obiettivo, che pare unitario, salvo prese di posizione della maggioranza, a nostro avviso diventa indispensabile che i controlli non siano finalizzati ai programmi della Regione; che i comitati siano autonomi ed il terreno per un confronto dialettico, ma niente di più; che le materie dei controlli nel merito siano poche ed essenziali: bilancio e qualche altro atto fondamentale; che le sedute dei comitati siano pubbliche; che alle riunioni degli organi di controllo sia sempre assicurata la facoltà agli Enti locali di parteciparvi, anche per un eventuale confronto in contraddittorio; che siano organizzate conferenze periodiche alle quali partecipino gli organi di controllo, gli Enti locali, la Regione per specifiche questioni di linea generale e per concordare unità e uniformità di indirizzi; che gli organi decentrati siano autonomi dal comitato regionale di controllo sugli atti delle Province, sia cioè respinta ogni supremazia; che si stabilisca, tra i membri eletti dagli organi di controllo e gli amministratori degli Enti locali controllati, un rapporto nuovo di collaborazione e di consulenza legale gratuito, che rifiuti il paternalismo e che abbia come obiettivo lo sviluppo dell'autocontrollo e dell'autonomia; che gli apparati siano snelli, qualificati al massimo ed al servizio degli organi di controllo e non viceversa, come avveniva per le GPA; che i membri del comitato di controllo, almeno quelli eletti dal Consiglio, siano a tempo pieno; che la presidenza sia assunta a turno dai tre eletti del Consiglio Regionale, a cominciare dal primo giorno di insediamento; che la rotazione della presidenza avvenga anche per i comitati decentrati sugli atti dei comuni; che si raggiunga un'intesa fra tutte le forze politiche democratiche e regionaliste del Consiglio per la composizione degli organi decentrati.
Tutta questa materia noi riteniamo sia di competenza del Consiglio Regionale che può, nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, definire con un apposito regolamento.
Il terzo problema che abbiamo di fronte sulla materia dei controlli molto importante per i rapporti tra Regione e Comuni, tra Regione e Province, nell'organizzazione della partecipazione, è quello del decentramento e delle sue dimensioni. L'art. 69 dello Statuto ci impegna nel decentramento. Noi riteniamo debbano essere subito istituite, con deliberazione del Consiglio, sei sezioni o comitati decentrati nei capoluoghi di provincia per il controllo sugli atti dei Comuni. Subito dopo l'approvazione dello Statuto, quando sarà possibile legiferare, istituire con legge regionale la sezione o il comitato decentrato, con una dimensione territoriale adeguata alle esigenze della partecipazione, collaborazione controllo. Noi non vediamo la dimensione comprensoriale come un elemento solo del controllo, ma come elemento di organizzazione della partecipazione e della collaborazione. Si tratta quindi di definire la giusta dimensione territoriale; noi scartiamo il vecchio circondario-mandamento, perch politicamente, ed economicamente superato. Riteniamo che si potrebbero invece considerare le attuali aree ecologiche come punto di partenza per una nuova e rapida consultazione, promossa dalla Regione verso tutti i Comuni e le Province, al fine di acquisire tutte le valutazioni ottimali e per avviare la definizione dei comprensori da fissare con la legge regionale.
L'organizzazione della partecipazione, la programmazione democratica l'organizzazione dei controlli ci portano ad affrontare il modo effettivo di esercitare il controllo sugli atti degli Enti locali, nel rispetto e nell'esaltazione delle loro autonomie.
In definitiva, organizzare i controlli secondo noi significa disciplinare i rapporti tra gli organi stessi: quello regionale con i provinciali, quelli provinciali o comprensoriali fra di loro, del comitato di controllo con gli organi della Regione (Consiglio e Giunta), degli apparati burocratici con i comitati adeguando il numero del personale ai contenuti dei controlli da esercitare, e infine tra organi di controllo ed Enti locali.
Sembra logico a questo punto sostenere che tutta questa materia non possa e non debba essere sottratta al Consiglio e alla sua commissione permanente, che sia costituito cioè un ufficio della Regione a disposizione del Consiglio e della Giunta, per i necessari collegamenti, informazioni coordinamento ecc. in tutta questa attività.
Il quarto problema è quello del tempo. Su questa materia la maggioranza credo sia cosciente che è in grave e colpevole ritardo. Non si sa chi se ne occupa, tutti e nessuno. Infatti nella distribuzione degli incarichi, agli assessori che stamani il Capogruppo della D.C. Bianchi ci ha letto, tutta questa materia urgente ed importante non appare, non si sa bene chi dovrà occuparsi di tutte queste questioni. E' una dimenticanza? Sarebbe grave. Se non è così, quale soluzione si vuole dare? A quale conclusione la maggioranza intende arrivare, quali proposte ci vengono fatte su queste questioni? Perché occorre dire che da ottobre ai primi di marzo la maggioranza, il centro-sinistra aveva tempo a disposizione per approfondire gli argomenti, per rispondere alle province, per dare dei giudizi e degli orientamenti.
Per giudicare quindi, occorre conoscere, perciò sollecitiamo una risposta che sia di orientamento sul metodo e sul merito, politica organizzativa e di lavoro, che sia precisa sulle scelte e sui tempi di attuazione e non ci si venga a dire le faremo fra due o tre anni, no, qui bisogna che le scelte siano precise perché i Comuni chiedono, e tempestive che investa direttamente le assemblee elettive del Piemonte e che investa anche la classe operaia e le sue organizzazioni, i contadini, i ceti medi urbani; che realizzi, in concreto, una seria riforma dell'attuale accentrato Stato italiano, non solo a parole ma con iniziative e con proposte. Noi abbiamo fatto le nostre, ci attendiamo che la maggioranza, la D.C., il Presidente della Giunta ci facciano le loro perché vogliamo confrontare e discutere con i sindaci e con gli amministratori valorizzando e sviluppando davvero le autonomie comunali, puntando sul pluralismo, sul decentramento, sullo sviluppo della democrazia, sulle collaborazioni e sull'autocontrollo dei Comuni, come antidoto all'accentramento all'autoritarismo, alle imposizioni ed alla mortificante tutela che lo Stato italiano ha portato avanti nei confronti delle amministrazioni comunali e provinciali.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Onorevoli colleghi, chiedo scusa a voi ed anche al Presidente designato se scenderò in alcuni particolari che interessano la provincia di Cuneo, ma ritengo non sia puro campanilismo far sentire la voce della periferia. E vorrei anche illustrare al Consiglio il documento che abbiamo elaborato in comune con la D.C. nel luglio del 1970, che prevedeva alcune scelte di carattere prioritario che oggi vorrei sottolineare e di cui gradirei che la futura Giunta ed il suo Presidente tenessero conto. Chiedo ancora scusa di questo, perché a volte siamo accusati, noi della periferia, di vedere i problemi in modo campanilistico e settorialmente e di non inserirli in un discorso unitario che noi invece riteniamo generico, in quanto non tiene conto dell'effettiva realtà delle province del sud del Piemonte.
Nell'accordo elaborato nel luglio-agosto del 1970, furono messe in evidenza alcune scelte prioritarie che comprendevano l'assetto del territorio e la politica urbanistica dei trasporti. Spiegherò poi perché la nostra provincia è completamente isolata, ma forse non è necessario perch presumo che il Presidente Calleri la conosca assai bene, essendo egli della provincia di Cuneo, come la conoscono bene altri nove consiglieri originari della stessa provincia.
Mettemmo l'accento sui problemi dell'agricoltura. E' risaputo che la provincia di Cuneo incide, come reddito di carattere agricolo, per il 20 per cento, mentre per tutto il resto del territorio siamo intorno alla metà, dall'8 al 10 per cento. Noi abbiamo un reddito complessivo agricolo che quest'anno tocca circa i 200 miliardi, mentre il reddito industriale è di poco superiore; nella provincia di Torino il divario è enorme: il reddito di carattere industriale per il '70/71 sarà di duemila miliardi mentre quello dell'agricoltura, se tutto va bene, toccherà forse i 200 miliardi.
Mettevamo poi l'accento sul problema della sanità, inteso sia in senso stretto, sia per quanto riguardava la sicurezza sociale. Come commissione di indagine, in sede di amministrazione provinciale, quando era presidente il collega Consigliere dr. Falco, si è posto l'accento sui problemi più urgenti della sanità, che nella provincia di Cuneo assumevano caratteristiche diverse da quelle di città a carattere industriale come Torino o, altre zone, perché la radice sociale delle malattie (e mi riferisco anche al settore importante delle malattie mentali) è quella della miseria, di un'antica oppressione.
E vorrei soffermarmi su alcuni punti determinanti per noi e che spero il Presidente della Giunta, che è della nostra provincia, vorrà tenere in seria e giusta considerazione: irrigazione e acque del Gesso. Tutti sanno che l'Enel, nell'antica riserva reale, nel parco naturale più bello che abbia il Piemonte, sta attualmente facendo lavori per cento miliardi. Si dice, che non verrà deturpato questo paesaggio così conservato attraverso una cura millenaria, però dobbiamo insistere per la sua tutela perché cento miliardi di lavori postulano una serie di dighe, di condotte e di tante altre opere.
Anche se "Italia nostra" ha fatto dei convegni su questo argomento e si sono avuti innumerevoli dibattiti sui problemi delle acque del Gesso e delle centrali che L'Enel sta approntando, noi della provincia di Cuneo, li dobbiamo ugualmente porre all'attenzione del Consiglio.
Alcuni anni addietro è stata fatta una certa disciplina, sono stati uniti i consorzi irrigui della nostra provincia, perché avessero la capacità operativa di derivare le relative acque (acque che poi interessano anche la provincia di Torino, perché la derivazione delle acque del Gesso scende su Poirino, su tutto l'agro dietro la collina torinese). Quando le dighe saranno approntate, sarà assai facile la derivazione e mi pare che la spesa preventivata non sia enorme. Prego perciò chi sarà addetto alla programmazione di volerne tener conto.
Proprio in questo momento stavo facendo vedere al collega Simonelli un bollettino degli allevatori della razza piemontese e gli dicevo: "Sembra uno scherzo parlare oggi dell'allevamento del bestiame; ma quando diciamo che la provincia di Cuneo ha circa 700 mila bovini su un complesso di otto milioni circa esistenti nel Paese, vuol dire che ha quasi il 10 per cento".
Di questa realtà dobbiamo tener conto. Fino adesso dobbiamo con amarezza sottolineare che proprio sui problemi della agricoltura e dell'allevamento del bestiame è stato fatto ben poco da parte delle pubbliche istituzioni. I contadini hanno operato nel modo migliore possibile, si sono dati da fare a Cuneo è stato creato il mercato della carne più importante d'Italia.
Ricordiamo certi movimenti che si sono verificati nei paesi dell'Est proprio perché non c'era stato sufficiente interesse per quei problemi dell'agricoltura sui quali, invece, in provincia di Cuneo richiamiamo l'attenzione del Consiglio Regionale piemontese.
E passiamo ai trasporti. Noi vediamo ancora oggi, a 25 anni di distanza, sulla Torino-Fossano-Mondovì-Ceva e sulla Fossano-Ceva, linea importantissima che attraversa la nostra provincia per circa 40/50 chilometri, che il secondo binario, asportato per eventi bellici dai tedeschi, non è ancora stato rimesso, sicché i treni hanno costantemente ritardo e i pendolari che dalla nostra provincia vengono a lavorare a Torino spesso impiegano due o tre ore per percorrere 70 chilometri. E dobbiamo rilevare che soltanto adesso, dopo 25 anni, si è dato inizio ai lavori della Cuneo-Nizza, ma giungono già notizie di rallentamenti, di intoppi. Siamo stati tutti a Limone per una cerimonia che mi ha ricordato quelle di altri tempi, con il "Giornale luce" che filmava l'inizio dei lavori: sono passati circa cinque mesi da questa bella manifestazione e le opere sono ancora ferme a causa di nuovi intoppi. E mi sono sentito dire da un alto dirigente delle Ferrovie: "Già, la linea Torino-Cuneo, è di interesse regionale, credo che la rimetteremo alla Regione ". "Linea regionale" quella che dovrebbe essere la linea internazionale Torino-Cuneo Nizza! Evidentemente, essa viene considerata dai tecnici delle Ferrovie, da un membro del consiglio di amministrazione, una cosa da scartarsi, quasi la Torino-Chieri, la Torino-Carmagnola e la Piobesi-chissà che. Un ramo secco! Vi chiedo scusa se insisto su questo; ma l'accordo che abbiamo sottoscritto deve necessariamente integrarsi con una politica di carattere regionale da cui discende una politica di carattere provinciale che a sua volta si ribalta poi sui comuni. Perché se noi non indicassimo le scelte prioritarie che riteniamo siano da farsi nei prossimi cinque anni e la Regione agisse per suo conto, la Provincia per il proprio e i Comuni anche se una città qualsiasi decidesse improvvisamente una cosa e la Regione ne facesse un'altra, non ci sarebbe quel collegamento che noi desideriamo.
Ma vi dirò di più per quanto riguarda la provincia di Cuneo e il settore dei trasporti: è stata creata un'autostrada il cui costo nel 1978 quando sarà raddoppiata, sarà di oltre 150 miliardi. Noi avremmo voluto che invece dell'autostrada si fossero potenziate la razza bovina piemontese l'agricoltura, la derivazione delle acque del Gesso e tante altre cose che a noi interessano. Ma l'autostrada c'è, la scelta è stata quella del trasporto su strada e non è stata, invece, una di quelle scelte prioritarie che avrebbero potuto incidere sulla riforma della nostra società. Ma anche su questo punto (ne ho già parlato con il Presidente Calleri) la provincia di Cuneo è del tutto tagliata fuori.
Pensate che Fossano, che sarebbe l'anello di congiunzione fra Alba Bra, Fossano e Cuneo, non dispone di un casello di immissione nell'autostrada: per passare dal casello di Fossano bisogna percorrere ben oltre 10 chilometri, scendendo verso il mare, verso Mondovì. A chi vuole prendere l'autostrada per andare al mare, può anche fare piacere, ma a chi deve venire a Torino non interessa, salvo fare altri 18 chilometri di una strada tortuosa, provinciale, fatta apposta adesso per arrivare a Marene Il casello così detto di "tagliata" sarebbe l'anello di congiunzione con quella che adesso è la superstrada che il comune di Alba, in unione con la provincia, ha ormai appaltato e che unirebbe quasi Santa Vittoria con Bra e si stenderebbe poi con la variante di Fossano, che viene proprio a cadere sopra il casello di "tagliata". Non siamo ancora riusciti ad ottenere che la Fiat, che è proprietaria dell'autostrada, esamini anche solo benevolmente ciò che interessa 200 mila abitanti: naturalmente la proprietaria vorrà che la Provincia o la Regione, secondo a chi sarà passata la strada Cuneo-Fossano-Bra-Alba, faccia il casello e tutte le immissioni e spenda il miliardo-miliardo e mezzo che sarà necessario. Non siamo ancora riusciti a far fare un manto di asfalto sulla strada Fossano Cuneo, rotta, distrutta, dove le macchine si rompono ogni momento nonostante l'intervento presso il Presidente. Costerà alcune decine di milioni. E così per tutte le nostre strade statali, tutte dissestate; in qualche tratto si salva la Torino-Savigliano-Racconigi.
C'é un disinteresse per la provincia di Cuneo, a livello statale, a livello di pubbliche istituzioni che fa spavento. E così per le scuole, per l'assegnazione di fondi. Abbiamo dovuto intervenire presso il Ministro Lauricella perché finalmente si ricordasse dei comuni della Langa, dei comuni della montagna; finalmente, dopo 6/7 anni, abbiamo ottenuto che 30/40 comuni avessero un finanziamento. Comuni come Torre Bormida Perletto, che hanno 400/500 abitanti, non riescono ad avere neanche un bilancio di due o tre milioni per pagare il medico, sia pure consorziato in dieci comuni, l'ostetrica, il veterinario; il segretario comunale fa il giro di 4/5/6 comuni e naturalmente lo si vede poco in tutti. Da Dogliani a Cortemilia ci sono oltre 40 comuni che fanno parte del consorzio delle Langhe, compreso Bossolasco, che viene chiamato "la perla delle Langhe" perché è posto in alto e si vede tutta la Langa nelle giornate serene; su 40 comuni vi sono due o tre medici, due farmacie, nessuna ostetrica, nessun tipo di ospedale, salvo un piccolo ricovero a Dogliani.
Dopo oltre venti e più anni l'acquedotto delle Langhe, che dovrebbe giungere fino ad Alba ed estendersi ancora, perché ne ha la possibilità verso l'astigiano, è arrivato in parte fino a Mondovì, mentre avrebbe dovuto già essere ormai ad Alba, avere attraversato tutte le Langhe, avere dato l'acqua a tutti questi comuni che sono assetati: l'estate scorsa decine e decine di comuni hanno dovuto portare l'acqua con autobotti, ci sono state delle proteste violente. Eppure in questi venti anni gli investimenti sono andati in tutt'altra direzione. L'acquedotto delle Langhe, che dovrebbe rappresentare il punto chiave, in vent'anni ha avuto 250 milioni di stanziamenti per cui, con ogni probabilità, non arriveremo ancora a Brigherio che è il punto più alto della Langa, dove l'acqua potrebbe distribuirsi per caduta, senza altra necessità, per tutta la Langa.
Questi sono i problemi che vorremmo fossero risolti, perché gli acquedotti, i trasporti, l'agricoltura sono settori di competenza diretta e primaria della Regione.
E vogliamo anche parlare dell'industrializzazione, ma ormai, con gli orientamenti che si sono determinati, forse giusti dell'industrializzazione del Sud, è assai difficile che una forza di industrializzazione (salvo quella di trasformazione dei prodotti dell'agricoltura) possa ancora instaurarsi nella nostra provincia: secondo l'ultimo accordo e io lodo Colombo, mi pare che l'80 per cento degli investimenti cada sul Sud e resti soltanto il 20 per cento per tutto il Nord. Poi c'è il problema della disincentivazione, dell'incentivazione, è assai difficile che per le nostre province si possa parlare di un tipo nuovo di industrializzazione oltre quello già esistente.
Vi chiedo scusa se il mio intervento non è scritto, ma è dettato dalle proteste che continuamente ci vengono presentate in tutte le riunioni negli incontri con i sindaci, nelle giornate che passiamo in montagna nella nostra pianura e nella nostra Langa. E vorrei tanto che la Giunta, e soprattutto chi si occuperà della programmazione, tenesse conto del Sud del Piemonte; perché noi siamo esattamente il Sud del Piemonte, quelli che guadagnano di meno, mi pare che oggi siamo vicini alle 80 mila lire pro capite, perciò come reddito individuale, o siamo dopo Asti o vicini ad Asti. Il Sud del Piemonte si lega nel suo insieme, con Asti e con Cuneo all'entroterra ligure, savonese, genovese, si unisce in un'unica falda e se non sarà aiutato decrescerà, perché è dimostrato che nonostante tutto quello che si è voluto fare, ma non si è fatto nel modo giusto, il divario fra il Nord e il Sud è cresciuto. Nello stesso modo, il divario fra le province piemontesi che stanno al Nord e che hanno maggiori possibilità di produzione industriale, quindi di realizzazione di beni, crescerà ancora rispetto a quelle del Sud. Noi investiamo il Consiglio di questo problema e nel corso dei lavori dei cinque anni torneremo ancora su ogni argomento.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, è già stato detto da due colleghi di opposizione, e di opposizione diversa - da un collega liberale e da un mio compagno comunista - che il documento che la maggioranza ci ha presentato è assai poco credibile, parecchio generico ed un po' contraddittorio. E rimane così, perché neppure il Capogruppo Bianchi si è dato da fare per tentare di diminuire un po' la incredibilità, la genericità del suo contenuto, per portare un approfondimento al testo proposto.
Il collega Bianchi ha parlato di altro: ha parlato dei principi ideali che informano la maggioranza. Niente da dire su questi principi, ognuno ha i suoi. Qualcosa c'è da dire, invece, sulla conclusione politica finale cui egli arriva. Il collega Viglione poi ha fatto un interessantissimo intervento in merito alla provincia di Cuneo, ma non è entrato nel merito delle discussioni programmatiche. Io spero che nel prosieguo del dibattito qualcuno di questa maggioranza un po' silenziosa - che sia questa la maggioranza che ha organizzato il convegno di piazza San Carlo? - troverà modo, poi, di dirci qualcosa di più di quello che è stato qui scritto.
Perché se tutto quello che avete da dire è contenuto in queste nove cartelline, dopo un esordio in cui si afferma che la Giunta proposta vuole innanzitutto assicurare al nuovo istituto regionale una guida, voi capite bene che, data l'esperienza che abbiamo avuto modo di fare negli ultimi due mesi, siamo piuttosto indotti a concludere che la cosa di cui questa Regione dovrebbe soprattutto guardarsi è che alla Regione Piemonte fosse ancora mantenuta una guida di questo genere.
Insieme al nostro voto contrario, che, potete esserne certi, non vi mancherà, credo dobbiate anche accettare la sfida del confronto delle idee degli approfondimenti, se si riesce a darli. E io spero proprio che il prosieguo del dibattito faccia fare un passo in avanti ai contenuti su cui una nascitura maggioranza, se non cambia idea prima di stasera, intende presentarsi qui per il voto. Voi capite bene che il nostro partito non pu accettare di discutere soltanto il documento. Abbiamo imparato ad apprezzare le forze politiche e a giudicarle per le cose che scrivono, per le cose che dicono di volere, per le cose che dicono di voler fare, ma soprattutto per le cose che hanno già fatto; e poi sappiamo anche distinguere i connotati politici, e i discorsi che non vengono nemmeno fatti ma che sono dietro alle parole. Quindi, il confronto bisogna farlo su quello che avete scritto qui, ma anche su quello che non avete scritto, e che noi dobbiamo però tirar fuori: altrimenti, se il confronto avviene soltanto sulle parole e non anche sulle cose, nasce una maggioranza che alla sua debolezza aggiunge anche ulteriori elementi di equivoco.
Io mi occuperò, in questo mio intervento, essenzialmente di quella parte del documento - all'incirca la metà di esso - che è dedicata ai problemi della programmazione. E' positivo, lo riconosco senz'altro, che un documento pur così sintetico e generico dedichi ampia parte ai problemi della programmazione. Il mio consenso, però, si ferma all'elemento quantitativo di questa parte, perché per quanto concerne invece la qualità delle cose scritte mi sorgono numerosi dubbi, perplessità, dissensi.
La maggioranza ha voluto chiaramente eludere, limitandosi ad una dichiarazione di principi e ad una ipotesi metodologica, impegni concreti scelte di contenuti, scadenze che incalzano, in tutte le Regioni: si tratta di problemi che non tollerano né rinvii né deleghe ad alcuno, che non tollerano neppure rinvii alla partecipazione. Perché se davvero poi di fronte a tutti i problemi, alle scelte politiche concrete, una maggioranza che vuole avere la fiducia del Consiglio dovesse sempre rifugiarsi in una metodologia tutta da attuarsi, darebbe la prova di voler sfuggire a responsabilità che le sono proprie, incombenti, immediate, sulle quali deve misurarsi la Giunta. Se questo dibattito è interlocutorio rispetto alla presentazione di un concreto programma da parte della Giunta bene: ci attendiamo però che questo programma, quando arriverà, e speriamo presto sia fatto con precisazioni estreme riguardo a tutti i contenuti, che qui non ci sono ma che dobbiamo far emergere attraverso il dibattito in corso.
In effetti, la definizione dei principi generali e della metodologia da seguire nella formazione del piano di sviluppo è già consegnata nello Statuto, non era il caso di ripeterla tutta quanta. Ed è consegnata per il breve, per il medio e per il lungo periodo. Una Giunta che voglia nascere in questa Regione, quale che siano i suoi connotati politici, trova già scritto nello Statuto come deve operare per arrivare a fare il piano, a rispettarlo, ad attuarlo, a correggerlo. Ricalcare queste indicazioni come avete fatto voi é, tra l'altro, ricalcarlo in termini vecchi, perché quel discorso del breve, del medio e del lungo periodo riecheggia i discorsi dei primi tempi della programmazione, del 1962, quando davvero si cominciava a sgrossare l'argomento. Allora c'era qualcuno che, non volendo scegliere immediatamente, diceva: non scegliamo subito, perché nell'immediato dobbiamo preoccuparci di altre cose; sceglieremo nel medio e nel lungo periodo. Poi abbiamo visto come è andata, per quanto riguarda il primo piano di sviluppo nazionale. Una maggioranza che intenda formarsi non pu accontentarsi, a questo punto, direi proprio in questa fase della lotta politica e dei fatti economici che accadono in Piemonte, in Italia ed in Europa, di ripetere i principi, tra l'altro nemmeno tutti e nemmeno in modo corretto, che abbiamo già fissato e su cui conveniamo tutti quanti. Deve invece cominciare a guardare - caso mai, se si vogliono guardare i problemi di metodo - i principi, il metodo e i fatti che sono già successi.
C'é scritto nel documento che con la pianificazione da un lato la Regione entra in contatto organico con lo Stato e dall'altro in riferimento ad essa elaborerà i propri interventi. Ma quando e come entrerà in contatto o è già entrata in contatto - con lo Stato (credo che qui si intenda dire Governo, Parlamento ecc.). E che cosa dirà quando entrerà in contatto? Qui siamo, signor Presidente, in una situazione paradossale, ma nello stesso tempo grave, che sembra ripetere il meccanismo che ha portato alla elaborazione, ma poi al fallimento, del primo piano nazionale ed anche dei piani approntati regionalmente: da un lato, tutte le Regioni chiedono di partecipare in un rapporto diretto con lo Stato alle scelte nazionali di programmazione, dall'altro il Governo a parole non solo riconosce questo diritto ma quando ne parla dice che non ne può fare a meno. E' di questa mattina un intervento su questa questione dell'on. Giolitti, in questi termini: "La consultazione sulle leggi per la casa e sulla riforma sanitaria avrebbe avuto un risultato meno negativo se fossero stati già risolti i problemi di competenza. Così, per il piano quinquennale, se nella fase di elaborazione ciascuno si arrocca sulle rispettive competenze, il dialogo si blocca e non produce alcun risultato costruttivo".
In sostanza, sembrerebbe che fra la volontà del Governo e la volontà della Regione di partecipare, di incontrarsi, di stabilire questo rapporto organico non ci sia contraddizione. Sta di fatto che sono passati parecchi mesi da quando analoghe dichiarazioni vennero rilasciate da Giolitti o da altri esponenti del Governo, e come sono andate le cose in pratica? Il famoso "contatto organico" con lo Stato si è finora tradotto, in realtà, in un misterioso, e per quanto riguarda questa nostra assemblea "silenzioso" contatto avuto una volta dal Presidente della Giunta con il ministro Giolitti, senza che l'assemblea mai ne conoscesse il contenuto; si è tradotto in realtà in una esclusione delle Regioni dalla elaborazione dei progetti concreti di riforma, soprattutto quelli fondamentali, sulla casa e sulla sanità (in fondo, si è riusciti a stabilire un rapporto persino più vivo, in qualche modo, fra lo Stato e i sindacati che non fra lo Stato e le Regioni, che pure in queste materie hanno competenze fondamentali); in terzo luogo, in generale la nostra Regione ha fatto assai poco per partecipare all'iniziativa di lotta e di pressione, ha, in fondo "snobbato" tutte le iniziative che vi sono state in Italia da parte delle Regioni che in questa fase chiedevano di partecipare e si organizzavano per premere per partecipare: non potendosi fare altro, perché non ci sono ancora né mezzi né leggi né Statuti approvati che diano altre facoltà concrete di intervento, l'iniziativa delle Regioni in questo periodo è stata necessariamente una iniziativa di pressione politica, di organizzazione di pressione politica, per stabilire questo rapporto con lo Stato, che in realtà o non c'era o era assai labile e generico.
La nostra richiesta a tal proposito è, quindi, precisa: che la Regione Piemonte, la Giunta che sarà eletta, immediatamente, nel mese di marzo esiga dal Governo che siano mandati qui, alla Regione Piemonte, e siano messi in discussione, i due progetti di legge sulla casa e sulla sanità affinché la Regione possa pronunciarsi concretamente su di essi: essi andranno poi varati dal Parlamento, ma con una partecipazione delle assemblee regionali, che non si risolva in contatti di qualche assessore che partecipa a qualche riunione senza mai riferire ad alcuno le cose che ha detto né precisare in nome di chi le ha dette e soprattutto chi si è assunto la responsabilità di fargliele dire in quelle determinate sedi.
Questa è una proposta concreta, che attendiamo che la maggioranza esamini per darci sollecitamente, prima della fine di questo dibattito, una risposta. Fra l'altro, questa nostra proposta, avanzata nella riunione degli Uffici di presidenza delle Regioni d'Italia a Milano, è stata accolta da tutti gli Uffici di presidenza delle Regioni italiane ed è contenuta nel documento che vi è stato consegnato. Adesso si tratta di tradurla in pratica, se vogliamo che la Regione Piemonte, su questi due fondamentali progetti di legge, possa esprimere un parere meditato, entrare nel concreto. Voi capite benissimo che se i poteri che deriverebbero alle Regioni da questi due progetti di legge non fossero quelli che devono essere, anche tutta la storia dei decreti delegati e di quello che succederà nel futuro sarebbe fortemente condizionata da queste due questioni. Qui non si tratta di esprimere ordini del giorno generici: si tratta di esprimere un pronunciamento di quindici Regioni italiane su progetti di legge concreti che contemporaneamente vengono discussi nel Parlamento. Allora il discorso della partecipazione comincia a calarsi dall'empireo e a diventare qualcosa di concreto.
E' stato concordemente convenuto presso la Commissione del Senato, a suo tempo, sempre sui problemi di metodo, circa l'opportunità della sospensione dell'esame del progetto di legge sulle procedure della programmazione, proprio per permettere una adeguata sperimentazione che consigliasse poi tutte le forze politiche e le stesse Regioni a trasferire in termini di legge una sperimentazione positiva. Tutte le forze politiche convennero sull'opportunità di rinviare l'esame dei disegni di legge sulla procedura della programmazione per arrivare poi a definire questo stesso progetto contemporaneamente all'adozione del nuovo piano, per arrivare a definire questo stesso progetto di legge in accordo con le Regioni. In sostanza, non si doveva arrivare a far sì che tutta la metodologia della programmazione venisse decisa dal Parlamento senza che vi fosse la partecipazione dei soggetti primari della programmazione quali abbiamo sancito nel nostro Statuto. Anche tutto questo va molto bene sul piano dei principi e anche sul piano della metodologia, ma, di fatto, che cosa è successo? Che la legge sulle procedure non è stata varata, è stata accantonata, e nel frattempo non si esperimenta un bel niente, non è che questa fase che sta passando, questi mesi che stanno trascorrendo siano mesi intensi, caratterizzati da una sperimentazione vasta, ampia, voluta attuata dal Governo.
Ho già accennato ai rapidi e vaghi contatti conquistati, tra l'altro da certe Regioni nei confronti dei vari Ministeri: al di là di questo però, non c'é niente, non ci sono né idee né formulazioni. Ancora il ministro Giolitti questa mattina ci dà l'annuncio che il piano adesso è fatto, è finito, e che inizierà ora la fase di consultazione con le Regioni. D'accordo, ma ormai il piano c'é, e gli obiettivi generali, quelli che noi abbiamo scritto nel nostro Statuto, cioè la definizione delle grandi scelte, dei grandi obiettivi, sono stati fissati senza che noi vi abbiamo potuto contribuire in alcun modo. E chi ha approntato questo piano? Probabilmente Rufolo, con i suoi collaboratori. Ma al di là della bontà o meno del contenuto di questo documento che ci sarà inviato, e che nessuno ancora conosce, già questa fase di sperimentazione è trascorsa senza che effettivamente le Regioni abbiano potuto dare un loro contributo consultivo, si intende, perché la responsabilità delle scelte di carattere nazionale opzionali è indubitatamente del Governo, del Parlamento. E sappiamo benissimo quanto sia difficile modificare le scelte dei tecnocrati, una volta che essi hanno deciso, su questo piano.
Di contro a questo rinvio della fase di sperimentazione sta il fatto che i gruppi privati, le concentrazioni industriali, a livello nazionale piemontese, europeo, hanno operato in piena libertà, come tutti sappiamo benissimo, determinando aspetti della programmazione regionale, nazionale ed internazionale che valgono per l'immediato futuro ma anche per gli anni che sono di fronte di noi. E' evidente che si crea un vuoto colpevole pericoloso, di cui qualcuno approfitta, anche se ha dovuto subire, non essendo riuscito ad impedirla, la nascita delle Regioni, per affrettarsi avvertendo che il processo che dovrà rendere questi nuovi istituti effettivamente operanti va per le lunghe, ad effettuare gli insediamenti e gli investimenti che più gli aggradano, utilizzando tutti gli strumenti che le legislazioni attuali consentono ai grandi gruppi monopolistici.
Di fronte a questa situazione di fatto la Giunta deve qualificarsi e deve venire alla ribalta con le sue scelte politiche. Se il Governo non vuole, o ritarda, o si accontenta della consultazione per "cenni", questo non può costituire un alibi per l'apertura di un dibattito immediato, in questa sede, ma che poi deve immediatamente trasferirsi e allargarsi a tutta la Regione, deve coinvolgere i Comuni, le Province, i Sindacati? Qualche cosa noi abbiamo per aprire questo dibattito, e questa è la seconda richiesta che avanziamo: abbiamo, in fondo, le elaborazioni del CRPE, che riguardano anche il futuro, non solo il passato; abbiamo non solo i consuntivi dietro le spalle, abbiamo anche già delle elaborazioni a questo riguardo. Bene, verifichiamole, aggiorniamole, ma in modo da poter aprire un dibattito non alla cieca su queste questioni; e facciamolo presto, se vogliamo intervenire almeno in maggio, in giugno, in luglio, prima che il piano sia definitivamente concluso e prima di essere inseriti in una determinata logica che poi, tra l'altro, non avremo contribuito nemmeno noi a determinare ma coloro che hanno il potere economico nelle mani, che poi avranno già fatto le cose. E' una proposta che il Gruppo comunista avanza sulla quale noi pregheremmo di dare una risposta non in termini dilatori dicendo: sì, certo, la proposta è giusta, lo faremo.... Bisogna cominciare a precisare i tempi, a dire quando lo facciamo. Perché un altro dei difetti del documento è che alcune proporzioni giuste che esso comprende sono proiettate verso un futuro che nessuno capisce quando capiterà, e mi riferisco soprattutto agli strumenti che vengono poi indicati alla fine della programmazione. Si dice di voler fare l'ente di sviluppo agricolo. Ma quando? Perché l'indicazione è di somma importanza. Se si vuole veramente fare, si deve cominciare a mettere in cantiere gli studi per fare cominciare a studiare i problemi, incaricandone le Commissioni legislative del Consiglio, e raccomandando loro di accelerare i tempi. Si deve non frapporre indugi, al lavoro di preparazione, sull'esempio delle Commissioni legislative della Toscana, che sono all'opera da quattro mesi per approfondire tanti aspetti dei loro problemi, sull'esempio delle Commissioni della vicina Regione lombarda. Se vogliamo recuperare il tempo che si è perduto anche per colpa di una crisi durata "ufficialmente" due mesi, dobbiamo chiarirci le idee anche su ciò che intendiamo siano i risultati della Commissione di indagine che abbiamo costituito sugli insediamenti industriali. Va bene che siamo riusciti ad agganciare la Fiat sia pure con ritardo che la Fiat verrà a riferire alla Commissione; sta bene che il Consiglio sarà informato, il più presto possibile, auspico, sui lavori della Commissione per gli insediamenti industriali. C'è tuttavia un rischio, che il Presidente Calleri conosce certamente, e del quale dobbiamo tutti renderci obiettivamente conto: il rischio che il Presidente della Giunta regionale, tutto sommato, anche ai termini dei lavori di questa Commissione, venga chiamato a fare l'alzabandiera degli stabilimenti che sorgono, a rompere una bottiglia di spumante quando saranno sorti, a pronunciare un discorso di elogio per le aziende che li hanno realizzati ed a prendersi una prima boccata dell'aria inquinata dai gas derivati dalle lavorazioni di queste industrie. Se questo non è ciò che si vuole dalla Commissione è sufficiente allora affidarsi ad una metodologia corretta, che consiste, per esempio, nel convocare la Fiat, per sentire i suoi pareri ed esporre i nostri. Se si riduce il tutto a questo dopo il confronto di pareri si sa già come va a finire, se essi non collimano. Se vogliamo che ci sia una contrattazione paritetica fra queste due entità, tra forze politiche e potere economico, dobbiamo far intervenire altri interlocutori insieme alla Commissione per gli insediamenti industriali: è tempo di indire la conferenza di comprensorio, che fra l'altro, se non erro, era stata persino promessa dal Presidente Calleri al Sindaco di Torino, su una questione di questa natura, come è tempo di far entrare in campo i sindacati, i lavoratori, tutti i comuni, se vogliamo poter avere qualcosa nelle mani con cui andare a concludere i lavori della Commissione degli insediamenti industriali. Se non facciamo così, anche attenendoci ad una metodologia corretta arriveremo a dover costatare una impotenza che non vogliamo che sia: perché, tutto sommato, l'idea è stata giusta, è stato un atto di volontà politica, che però ora bisogna rendere coerente, bisogna rendere concreta, bisogna rendere capace di produrre dei risultati.
Non è il caso che indichi qui i risultati cui possiamo giungere, perch l'avete certo già capito: possiamo ottenere risultati importanti anche da questa iniziativa, a condizione che facciamo intervenire la partecipazione cioè i lavoratori, le forze politiche, i comuni ecc. Questo dev'essere fatto preventivamente là dove gli insediamenti si annunciano, a Tortona per esempio, ed in altre zone del Piemonte, badando a captare ogni sintomo di iniziativa al suo primo profilarsi attraverso le inevitabili indiscrezioni, e promuovendo azioni che tendano a condizionare in partenza gli insediamenti in modo da incanalarli in una politica di programmazione.
Ci varremo a tal fine dei mezzi che abbiamo, che sono ancora una volta, e saranno per un anno almeno ancora, essenzialmente armi di pressione politica, fino a che non potremo disporre di strumenti legislativi dipendenti da noi o dal Governo, capaci di fissare un sistema di vincoli non affidati soltanto alle dichiarazioni.
In effetti, è tempo di dare e di promuovere una consultazione non più cartacea delle forze sociali, dei sindacati, degli Enti locali, partendo dalle quindici aree ecologiche che già ci sono in Piemonte. C'é già stata una certa divisione. Non è detto che sia una divisione definitiva, ma serve già come base su cui aprire un dibattito, su cui allargare la partecipazione concreta dei Comuni, delle Province, delle forze economiche e sociali, in una situazione di grave difficoltà di intere zone: undicimila lavoratori nel Novarese ad orario ridotto, crisi preoccupanti che portano ogni giorno alla ribalta della Regione le zone del Biellese e della Valle di Susa. Non dobbiamo più intervenire in queste situazioni con provvedimenti tampone buoni solo per tappare provvisoriamente una falla per cercar di impedire che il dramma esploda in tutta la sua gravità: cerchiamo invece di passare all'iniziativa, di promuovere una consultazione attraverso conferenze di comprensorio, per aree ecologiche, che permetta a tutte le forze di misurarsi, di confrontarsi, di acquisire forza politica di destare energie che possano contrattare con il potere economico.
In effetti, c'è del positivo in questo risveglio di Enti locali, che malgrado tutto c'è stato nella Regione, che si manifesta attraverso documenti che vengono mandati alla Regione - anche se poi non riusciamo a rispondere nemmeno per dire che siamo d'accordo su quello che hanno scritto . C'è di positivo una consapevolezza, che c'era già, d'altra parte, proprio sulla questione degli insediamenti, in uno dei documenti fatti in Piemonte precisamente nell'ultimo documento che riguarda le previsioni appunto per il '66/'70. Questa consapevolezza bisogna che l'abbiamo tutti. E sarebbe stato molto importante che da parte vostra venisse testimoniata nel documento. Qui è detto che "l'attenuazione delle tendenze di polarizzazione nell'area di Torino è stata dunque assai scarsa, e ciò, oltre che a causa della mancanza di strumenti di intervento nell'assetto territoriale, anche per la carenza della più semplice facoltà di rilasciare le licenze di localizzazione per le unità produttive di dimensioni superiori alle cento unità soltanto in determinate aree, secondo una chiara politica di aree industriali attrezzate. Anche questa osservazione ci rinvia però alla necessità di una seria riforma urbanistica, poiché allo stato attuale, per quanto riguarda il territorio, esistono strumenti che hanno un livello di operatività inefficace e frammentario. La grande protagonista dello sviluppo è ancora la rendita fondiaria, che può considerarsi assoluta mentre per la sua parte differenziale, cioè imputabile ai miglioramenti urbanistici, essi sono stati effettuati e pagati a spese della collettività, e non dei proprietari". Ebbene, scrivete, per intanto questo, che è la verità, che è quello che effettivamente è successo: e allora sì, allora il documento comincerà a migliorare in fatto di credibilità, a diventare una carta politica impegnativa, su cui il confronto può essere più concreto.
E adesso veniamo ad alcuni problemi fondamentali di contenuto che potevano, dovevano esserci, nel documento, se questo voleva essere un passo avanti sul piano della "metodologia". Mi pare che dobbiamo essere tutti d'accordo, se crediamo nello Statuto che ci siamo dati, che non dobbiamo avere del piano regionale una visione né autarchica, cioè chiusa nei confini della nostra Regione, né tecnocratica, ma dobbiamo vedere il piano come uno strumento democratico, e quindi anche meridionalista nella ispirazione. Lo abbiamo detto e sanzionato nell'art. 73; capace, quindi, di collocare correttamente il Piemonte nel processo di integrazione che va avanti a tutti i livelli, anche europei. Ma cosa vuol dire, oggi, "un orientamento meridionalista", e cosa vuol dire "avere presenti i reali interessi regionali e nazionali" nei confronti, per esempio, delle decisioni prese il 9 febbraio, a Bruxelles, dal Consiglio dei Ministri della Comunità europea? Cosa vogliono dire queste frasi che abbiamo pronunciato e scritto per il Piemonte? Trascuro, perché non val la pena di polemizzare, l'osservazione di quei notabili della Democrazia Cristiana che abbiamo incontrato al Senato e altrove e che si sono stupiti del fatto che noi abbiamo scritto appunto l'art. 73 dello Statuto. Quasi che questo articolo denotasse un atteggiamento di neocolonialismo piemontese nei confronti dei problemi del Mezzogiorno. Chi avesse qualche dubbio in materia si legga i giornali di oggi e veda la posizione che il nostro partito ha assunto in Sicilia, in questo momento, nei confronti delle rivendicazioni, che noi riteniamo non corrette, di 7500 dipendenti della Regione: il nostro partito, in piena campagna elettorale, dice di no alle rivendicazioni e alle intese sindacali di governo che sono state raggiunte in Sicilia su questa questione, e propone anche la riduzione del 15 per cento degli emolumenti ai Deputati siciliani e lo spostamento delle somme così risparmiate in investimenti, con coerenza ad una politica meridionalista che dev'essere valida per il Nord come per il Sud.
Non vale la pena, dicevo, di soffermarsi a polemizzare con chi non vuol capire o non ha interesse a capire. Non vorrei, però, che qualcuno qui credesse che il meridionalismo di cui dobbiamo essere portatori consista essenzialmente nel destinare al Mezzogiorno in qualche modo, in qualsiasi modo, tutti i nuovi insediamenti industriali, oppure nella modifica del sistema degli incentivi, oppure semplicemente nella trasformazione della Cassa del Mezzogiorno. Cioè, consista nel sostenere sic et simpliciter il trasferimento delle industrie del Nord al Sud. Non è questo che hanno chiesto le Regioni meridionali a quel Convegno cui avrebbe fatto bene a partecipare in rappresentanza del Piemonte anche la Giunta, oltre all'Ufficio di presidenza. Esse hanno detto, e sanno benissimo, che non è solo questione di cifre, e che rischia di essere una tragica farsa quella di promettere la cifra di quarantamila miliardi di investimenti per risolvere il problema del Mezzogiorno, cifra che si ricava moltiplicando 40 milioni, somma valutata necessaria per ogni addetto, per il numero dei disoccupati del Sud, che si può valutare sul milione. Tutti sanno, per l'esperienza fatta nel Mezzogiorno d'Italia in questi ultimi anni, che un milione dato ad un contadino, ad un bracciante di Gioia Tauro, pu significare investimenti in agricoltura, ma un milione dato ad un agrario significa, oggi come oggi, speculazione edilizia; e tutti abbiamo potuto verificare come miliardi di investimenti nelle grandi raffinerie della Sicilia abbiano significato ingenti profitti, poca occupazione e indiscriminati inquinamenti.
Quindi, non è nemmeno solo un problema di cifre, o di investimenti, o di qualità degli investimenti. Il problema non lo si risolve nemmeno limitandosi ad estendere ulteriormente al Sud la sfera d'influenza delle partecipazioni statali; né si risolve, per quanto riguarda il Nord o il Piemonte, richiedendo per ogni industria in crisi l'intervento delle partecipazioni statali. Dobbiamo rifuggire da ogni mitologia, da ogni falso sistema, se vogliamo risolvere i problemi che abbiamo di fronte a noi nella nostra provincia, nella nostra regione. E' stato giustamente osservato in altra sede che vi sono regioni dove c'è solo l'industria di Stato che agisce in questo momento; come la Campania, per esempio, ma non si può certo dire che in Campania il divario fra Nord e Sud sia diminuito e i problemi siano stati risolti. Se non si tratta solo di questione quantitativa, se non è di trasferimento di risorse dal Nord al Sud, se non è solo di modifica di meccanismi di incentivo, il problema è un altro: è quello del controllo degli investimenti, al Nord e al Sud, per impedire ai grandi gruppi privati di fare di loro arbitrio, in Piemonte o in Molise, e costringerli ad obbedire alla logica dell'interesse collettivo, non a quella del massimo profitto.
Certo, anche questo del controllo è un compito difficile da attuare, ma bisogna parlarne, molto più esplicitamente di quanto non sia vagamente accennato nel vostro documento. E soprattutto bisogna poi almeno individuare i grandi filoni attraverso i quali questo controllo si pu effettuare. E questi grandi filoni sono in primo luogo le riforme, senza le quali non si controlla nessuno, e in secondo luogo la rapida messa in atto di tutti gli strumenti dell'autonomia regionale, e quindi i contenuti dei decreti delegati, in modo da creare, con la partecipazione dei sindacati con la lotta dei lavoratori, con il sistema delle autonomie, con le riforme, un sistema di vincoli che possa prefiggersi l'obiettivo di controllare gli investimenti, al Nord e al Sud.
Se questo è il problema, proprio per la presenza in Piemonte di quasi tutte le società multinazionali che operano in Italia - Fiat, Olivetti Pirelli, Ferrero, ecc. -, il documento sulla programmazione che deve venir fuori come impegno di Giunta avrà oggettivamente un grande rilievo nazionale: tutte le Regioni italiane guarderanno a ciò che scriveremo noi in questo documento, guarderanno agli impegni politici che prenderà la Regione Piemonte, consapevoli che non soltanto in questa Regione si gioca la partita dello sviluppo economico italiano, ma si gioca anche la collocazione economica dell'Italia nel processo di integrazione europea.
Noi, oggettivamente, veniamo quindi ad assumere un ruolo nazionale, e dalle scelte che noi faremo, dalle indicazioni che noi daremo deriverà la nostra funzione meridionalista. Ma dovrà trattarsi di indicazioni concrete precise: altro che impegni di principio e scelte ideali! Ora, dopo le decisioni del 9 febbraio a Bruxelles, noi dobbiamo avvertire che si va, o meglio, si vuole andare, verso una unificazione economica e monetaria che lascia però intendere che prima verrà l'Europa delle monete, e poi, caso mai, se si potrà, se si vorrà, l'Europa dei popoli. Da questa situazione trarranno vantaggio, se le cose andranno così come è annunciato, essenzialmente le grandi concentrazioni finanziarie perché nessuna concreta garanzia è stata ottenuta dall'Italia che i problemi italiani vengano assunti come propri dalla Comunità europea secondo dichiarazioni unanimi dei competenti, nessun impegno è stato assunto da parte della Comunità europea di farsi carico dei problemi del Sud, per esempio, del nostro Paese, e dei problemi anche di zone come le nostre. Si guarda ad un disegno di carattere generale che, così com'è stato prospettato, così come si sta avviando a realizzazione, offrirà certo a qualcuno il modo di profittare parecchio, ma molte delle zone regionali dell'Europa di cui noi facciamo parte saranno abbandonate al loro destino o alla logica del massimo profitto, o, più precisamente ancora, alla logica del mercato dei capitali liberalizzato, con vantaggio per coloro che già oggi fanno quello che vogliono, in Piemonte e in Italia. Conosciamo bene quale spiccato senso di amor patrio animi i nostri grandi industriali e finanzieri, sempre pronti non soltanto a far fuggire i loro capitali all'estero quando qualcosa non gira bene in Italia, ma anche pronti, quando le cose vanno un po' meglio, ad investire, non secondo la logica degli interessi della collettività, nazionale o regionale, bensì secondo la logica del massimo tornaconto personale! E questa prospettiva rende persino precario quell'obiettivo che viene ricordato nell'ultimo documento del CRPE: organizzare una grande area forte europea comprendente l'asse del Rodano e il triangolo industriale, per evitare l'assorbimento della potenzialità di queste aree da parte dell'altra area forte europea rappresentata dal triangolo Anversa-Strasburgo-Parigi; cioè, è messo in discussione anche quell'obiettivo che è "vostro", che è stato posto da voi al fondo dei documenti che finora sono stati elaborati su scala regionale perché se viene favorita una determinata zona forte europea, e il mercato dei capitali e la liberalizzazione degli investimenti e della ricerca della utilizzazione di questi capitali si dirige verso la zona di massimo profitto, esso viene automaticamente disatteso. Un obiettivo vostro dicevo, perché in effetti non è mai stato da noi condiviso, noi non abbiamo mai accettato una impostazione siffatta. Voi stessi, quindi, dovreste denunciare questa situazione, di cui avreste motivo di preoccuparvi. Ma nel vostro documento non ce n'è nemmeno menzione; non vi si riscontra nemmeno la consapevolezza che le cose stanno andando in questa direzione.
Quale prospettiva attende il Piemonte e l'Italia se le cose continueranno così? Quella di consegnarsi, mani e piedi, alle decisioni sopranazionali? La Comunità economica europea ha una conoscenza così precisa della situazione delle Regioni italiane che ha recentemente pubblicato documenti in cui figura una carta ove la situazione economica della Basilicata e considerata allo stesso livello di quella dell'Emilia. E costoro sono quelli che dovrebbero decidere dello sviluppo economico delle Regioni d'Europa e del vostro sviluppo! Con un simile modo di concepire i problemi dovremmo arrivare entro il 1980, secondo quanto afferma al punto 6^ il piano Werner, alla centralizzazione delle politiche regionali; e centralizzazione delle politiche regionali significa trasferimento a questi centri tecnocratici, da chi manovrati sappiamo bene, delle scelte di politica economica che riguardano anche una regione come la nostra, o gruppi di regioni come il nostro triangolo industriale.
In simile situazione non ci pare possa esser messo in dubbio che le forze democratiche debbano avere un atteggiamento di piena autonomia di decisioni finora sottratte persino alle discussioni del Parlamento. Nello stesso tempo e necessaria una linea ed una iniziativa politica della Giunta regionale per esigere all'interno stesso della Regione piemontese, e poi nel rapporto con il Paese, con il Governo, con il Parlamento, che le scelte di programmazione a livello nazionale vengano concordate con una programmazione europea non solo se questa si colloca come vogliono i centri che hanno annunciato le decisioni di Bruxelles del 9 febbraio, ma se questa si colloca su posizioni non di sfrenato liberismo ma antimonopolistiche e quindi di controllo sugli investimenti, di controllo della dipendenza economica dell'Europa dagli Stati Uniti d'America, di controllo della dipendenza della nostra economia dalla moneta americana. Prendete "La Stampa" di oggi: è tutto un coro di denunce di questo pericolo! Leggete l'articolo "I segreti di Basilea", leggete il titolo, per quanto riguarda l'agricoltura, "MEC, per l'Europa verde l'Italia è sola contro cinque".
Quando queste cose le dicevamo noi, tre mesi addietro, si ribatteva che erano valutazioni motivate dall'avversità dei comunisti al Mercato Comune Europeo; adesso che tutti le riconoscono valide dovremo ben prenderne coscienza. Quanto auspicava Viglione per la provincia di Cuneo rischia di rimanere allo stato di pii desideri, se le cose procedono così in campo agricolo: altro che formazione e finanziamento delle cooperative! Il punto su cui si va delineando una rottura, sul piano dell'agricoltura, nel Mercato Comune Europeo è quello del rifiuto da parte della Comunità economica europea di accettare l'idea delle riforme, anche soltanto l'ipotesi dell'aumento dei prezzi, il che ha portato l'agricoltura piemontese e quella italiana nelle attuali lacrimevoli condizioni, il rifiuto di analizzare e di affrontare i problemi della riforma strutturale.
Qui ci vuole allora, ripeto, un elemento di consapevolezza: in un documento che si scrive in Piemonte non si può trascurare di inserire queste considerazioni. Si vedrà poi quel che si potrà fare, siamo perfettamente d'accordo. Ma bisogna essere ben coscienti che le cose stanno così, se si vuol essere creduti. Ripeto, di tutto questo non c'è traccia nel documento che ci è stato presentato. E non c'è traccia di scadenze, di tempi, per quanto riguarda gli strumenti che ci possiamo dare. Certo, la Finanziaria regionale non risolverà tutti i problemi degli squilibri interni alla Regione, ma bisogna farla; l'Ente di sviluppo agricolo pure bisogna farlo: esiste una proposta dei Gruppi parlamentari comunisti per arrivare ad un incontro rapido tra parlamentari e consiglieri regionali sulle proposte che noi avanziamo in proposito. Dobbiamo accelerare questo processo, dobbiamo, soprattutto, mettere in funzione il Consiglio nella sua titolarità, nella sua pienezza di funzioni. E bisogna, soprattutto, che tutti i Consiglieri regionali che qui siedono avvertano che con la costituzione, finalmente, di una Giunta, se sarà formata, e con la creazione delle Commissioni consiliari si aprirà un periodo di estremo impegno per ciascuno di noi. Non è lecito, credo, a nessun Consigliere pensare che questo sia un Consiglio comunale un po' allargato, o un Consiglio provinciale un po' più vasto. Qui avremo, che noi lo vogliamo o meno, da affrontare e da risolvere problemi che hanno quasi sempre dimensioni nazionali; ci scontreremo con ostacoli che apparentemente sono in Piemonte ma che hanno le loro radici molto lontano da qui; dovremo quindi avere una preparazione, una consapevolezza, un impegno all'altezza di quel prestigio che la Regione Piemonte ha cominciato ad acquistarsi con la elaborazione dello Statuto, ma che dovrà poi conquistarsi giorno per giorno, affrontando unitariamente i problemi con maturazione approfondimento, forza politica.
Se, pur con il tipo di maggioranza che sta per formare la Giunta, la nostra fiducia nella Regione predomina sugli elementi negativi, questo deriva dal fatto che l'esperienza della fase costituente che abbiamo vissuto da giugno fino a dicembre ha consentito sovente a questo Consiglio Regionale di arrivare a raggiungere unitariamente posizioni comuni su problemi di grande rilievo, di grande portata. Questa speranza ci anima nel confronto delle idee, questo elemento, questa forza che crediamo abbiano poi le cose di unire le forze politiche che vogliono rinnovare davvero la vita della nostra Regione e del nostro Paese, è il messaggio di fiducia che noi consegniamo a queste forze politiche, è il nostro contributo al dibattito che si è aperto oggi per la elezione della Giunta.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, com'era stato convenuto dai Capigruppo con riferimento ad una fase precedente al nostro dibattito, sarà possibile concludere i nostri lavori nella giornata odierna con la elezione del Presidente della Giunta e della Giunta. In base alle iscrizioni che mi sono pervenute o che prevedo possano pervenirmi nel corso del pomeriggio calcolo che si possano avere ancora da quattro a cinque ore di dibattito. Le operazioni di voto non porteranno certo via molto tempo.
Data l'ora, mi pare sarebbe irrealistico indire la riunione per le 15 come si era progettato in precedenza. Però pregherei i signori Consiglieri di fare in modo di essere qui alle 15,30, in maniera da non ritardare di mezz'ora la conclusione del dibattito: incominciando alle 15,30, presumo che per le ore 21 si possa aver concluso questa seduta pomeridiana con le operazioni che il Consiglio è chiamato a compiere.
Il Consiglio é, quindi, convocato per il proseguimento della discussione per le ore 15,30. La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,20)



< torna indietro