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Dettaglio seduta n.289 del 20/02/75 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento: Bilanci preventivi

Esame disegno di legge n. 232 "Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1975"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
La Giunta è in riunione straordinaria perché deve assumere delle decisioni in ordine al bilancio.
Chiedo comprensione al Consiglio e sospendo la seduta per cinque minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 16,15, riprende alle ore 16,30)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Mi è giunta stamane comunicazione da parte del Consigliere Carazzoni che gli disegni di legge 124 e 125 verranno rinviati in Commissione, chiede quindi che siano tolti dall'ordine del giorno.
Passiamo ora, secondo l'ordine dei lavori concordato stamane, al punto n. 10: Esame disegno di legge n. 232 "Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1975".
A tale riguardo mi è giunta una comunicazione da parte del Presidente della Giunta avv. Oberto, di una nota di variazione al bilancio di previsione: "Le trasmetto la nota di variazione al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1975, presentata al Consiglio regionale con lettera 9070 in data 18 dicembre 1974. Tale nota, predisposta dalla Giunta regionale nella seduta del 18 febbraio 1975 ai sensi dell'art. 137 secondo comma R.D. 23.3.1924 n. 827 in relazione all'art. 20 della legge maggio 1970 n.
281, è costituita dalle variazioni allo stato di previsione d'entrata, alle variazioni allo stato di previsione della spesa con il quadro generale riassuntivo conseguente a tali variazioni con gli allegati prescritti. Le trasmetto anche il testo delle modifiche della Giunta da apportare al disegno di legge presentato con la legge sopra indicata, nonché il testo modificato dagli allegati n. 3, 4 e 7 ad essa allegati".
Credo che tutti i Consiglieri abbiano ricevuto la nota di variazione.
Sono in congedo gli Consiglieri: Beltrami, Benzi, Besate, Chiabrando Debenedetti, Fabbris, Garabello, Gerini, Giovana, Nesi, Sanlorenzo.
Presentazione progetti di legge: n. 255 "Sostituzione della tabella B allegata alla legge regionale 8/11/1974, n. 32", presentato dalla Giunta regionale in data odierna n. 256 "Proposta di modificazione alle disposizioni finanziarie del disegno di legge n 239 contenente norme per la incentivazione delle iniziative di Enti locali, di Enti ospedalieri e di istituzioni di assistenza e beneficenza,, assistite da contributo regionale e istituzione degli organi consultivi in materia di opere pubbliche di interesse regionale", presentato dalla Giunta regionale in data odierna n. 257 "Norme per la costituzione di abitazioni per i lavoratori agricoli" presentato dal Consigliere Franzi in data odierna.
Passiamo ora alla discussione principale della giornata di oggi e di quelle che verranno, relativa al bilancio.
La parola al relatore, Consigliere Dotti.



DOTTI Augusto, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, quest'anno la relazione al bilancio della Commissione I riveste una particolare importanza in quanto che il bilancio del 1975 viene praticamente a chiudere la tornata amministrativa della Regione Piemonte.
I risultati di questa relazione sono dovuti alla consultazione, molto ampia, che abbiamo avuto con le categorie e con gli Enti interessati, sono dovuti al lavoro della Commissione in frequenti incontri con gli rappresentanti della Giunta e direi anche con o singoli Assessori e rappresentano un viatico, un consiglio, uno sprone non tanto alla Giunta che così degnamente conchiude il termine legislativo, ma al prossimo Consiglio regionale.
Molte cose ancora si faranno prima dello scioglimento del Consiglio regionale: mi riferisco a leggi già presentate o che stanno per essere presentate al Consiglio, per cui ritengo che i due mesi che rimangono saranno densi di grande attività legislativa. Noi riteniamo che la Giunta già in base a questa relazione, possa in qualche modo tenerne conto nei disegni di legge che sta per presentare, o accolga degli emendamenti nei disegni di legge che ha già presentato.
Ho assunto come primo titolo, d'accordo con la Commissione, il tema della riqualificazione della spesa, perché riteniamo che la Regione abbia la possibilità di operare in modo diverso dal Governo tradizionale accentratore, possa cioè fare politica in un modo più responsabile conoscendo il territorio, la popolazione e le attività che la caratterizzano meglio di un Governo abbastanza lontano e per sé stesso nella tradizione una volta migliore, liberale, era un Governo agnostico non era criticabile per- che era già un grosso passo avanti di fronte a Governi autoritari ma poco illuminati.
Per quanto riguarda la riqualificazione della spesa nelle spese correnti dobbiamo dire che ogni "categoria" di spesa assume significati diversi sia per quanto concerne i servizi sociali che vengono resi, ma soprattutto per la parte economica, cosa che ci interessa in questo particolare momento di crisi, di recessione, di stretta creditizia per cui la Regione dovrebbe essere l'Ente, il Governo locale che travolge un po' la psicosi di pessimismo che domina in questo momento forse tutta Italia.
Vorremmo che la nostra Regione attraverso alla Giunta, al Consiglio regionale, potesse esprimere un'opinione, un atto di fiducia nelle forze piemontesi, le migliori, che sono le forze del lavoro.
Quello che viene soprattutto da dire è che le riforme, quelle che pensiamo siano fatte da una riqualificazione della spesa, non vogliono dire riforme aggiuntive di spesa, ma riforme che sono diverse nella determinazione, nella scelta della spesa; quindi non dobbiamo aspettarci dei servizi aggiuntivi, ma soprattutto dei servizi sostitutivi. Io seguo un po' la traccia di questa relazione che è stata redatta in modo affrettato perché mancava il tempo e quindi chiedo venia se ogni tanto sfoglierò delle pagine.
La stessa riforma ospedaliera, di cui abbiamo parlato anche questa mattina, con questo grosso Comitato ("grosso" non di numero, ma per l'importanza che avrà nell'esame dei problemi) dimostra come la Regione con proprie leggi, potrà intervenire nella gestione ospedaliera e dare una qualificazione diversa a questo servizio, soprattutto rendendo atto delle possibilità che abbiamo ancora nella spesa preventiva ospedaliera per ridurre al minimo le presenze in ospedale delle persone che sono sovente solo in attesa di sapere quale cura devono fare.
Nelle spese di investimento la riqualificazione della spesa vuol dire soprattutto avanzare con dei piani precisi pluriennali, che mettano gli operatori (Enti locali, associazioni, categorie, i cittadini stessi) di fronte ad un piano si curo su cui procedere e non con delle leggi annuali che non si sa se potranno essere rifinanziate con altre leggi. Questa dei programmi pluriennali di spesa è una cosa indispensabile e deve essere seguita per ogni settore.
Direi che in questo momento siamo tutti in grado di poter indicare dei piani relativi a degli interventi che ormai sono piani a medio termine, non sono ancora gli obiettivi del piano di sviluppo di cui parler successivamente.
Interventi nelle abitazioni economico-popolari. Credo che avremo prossimamente un disegno emendato dalla Giunta stessa che verrà in Commissione. Per me questa è una legge di estrema importanza in quanto che un intervento in questo momento da parte della Regione è un intervento ponte rispetto a quello più ampio, governativo, che sta per essere varato dal Parlamento. Però dalle notizie avute dai giornali quello governativo è un intervento che minaccia di essere trasferito, come operatività nell'anno 1976, con il grave pericolo che la congiuntura nel frattempo si sia, da sola e con le forze periferiche, ripresa. Purtroppo questo non è la prima volta che capita. Quindi l'intervento della Regione è indispensabile che in questo momento, con un'iniziativa immediata, dia la possibilità di apertura di cantieri nella prossima primavera.
Un altro settore in cui potremo intervenire immediatamente sono le attrezzature sociali: ospedali, ambulatori, scuole.
Devo dare lode alla Giunta perché non tutta questa critica che sembra essere portata a un'attività di Governo è negativa, è anche positiva. Per esempio devo dare lode alla Giunta ed all'Assessore Fonio per due provvedimenti di risanamento igienico-sanitario e di disinquina- mento delle acque: controllo degli scarichi industriali e un piano di disinquinamento di carattere regionale. Evidentemente mancano ancora interventi in difesa del suolo e valorizzazione del patrimonio idrico, ma ci auguriamo che anche questo sia fatto con una legge pluriennale i cui effetti possano essere immediati in quanto che queste opere da lungo tempo attendono di essere fatte.
Per quanto riguarda i trasporti anche questa è una importante riforma che deve essere fatta perché finora abbiamo cercato di sostituire in pratica dei mezzi vecchi, logorati, con dei mezzi nuovi di trasporto, per dobbiamo anche potenziare la rete di trasporto che sembra essere un po' la linfa vitale attraverso alla quale si possono potenziare le singole zone dove l'attività produttiva del Piemonte si verifica. E direi che sono tutti obiettivi che rientrano nelle nostre competenze regionali.
Per quanto riguarda invece gli indirizzi di piano, mi auguro che il piano di sviluppo possa venire in Consiglio, ma abbiamo veramente peccato di particolarismo; noi ci siamo affidati a delle indicazioni che sono state sapientemente elaborate dall'IRES, ma forse per una pigrizia nostra, eb cui non ci siamo resi conto, quindi una pigrizia inconsapevole, umanamente scusabile, non abbiamo saputo tracciare immediatamente quelli che sono gli obiettivi a lungo termine del piano. Ma non è che non li abbiamo saputi tracciare in noi stessi perché tutti li conosciamo, sono oggetto ogni giorno di discussione anche in questo Consiglio, ma voglio dire che non li abbiamo espressi attraverso un ordine del giorno del Consiglio, attraverso una presa di posizione categorica che fosse anche un impegno per la Giunta.
Li ho voluti rapidamente elencare nella relazione: riorganizzazione del territorio, che attiene soprattutto ad un fatto di ordine amministrativo, cioè che parte dalle autonomie locali dei Comuni per salire alle Comunità montane e ai consorzi di Comuni per arrivare ai comprensori. E da quello che sento mi pare che la Giunta abbia già presentato la legge sui comprensori, mi auguro che sia approvata nel corso di questa legislatura.
Un altro punto di piano di sviluppo a lungo termine è la ristrutturazione delle reti di trasporto che coinciderà con la creazione dei comprensori; anche se necessariamente i bacini di traffico non avranno proprio da identificarsi con i comprensori, si potranno leggermente sovrapporre ad essi.
Ma il punto terzo, che ci deve rendere consapevoli dell'importanza di poterci governare da soli, autonomamente nella nostra Regione, è quello che si riferisce alla politica dei trasferimenti alle famiglie per la tutela dei redditi minori. Mi spiego: noi finora non abbiamo una capacità impositiva, ma il primo modo di distribuzione del reddito è il prelievo del reddito; il secondo modo, altrettanto efficace, è quello della spesa. Noi come Regione abbiamo solamente una politica finanziaria derivata dallo Stato, possiamo fare poco, abbiamo pochi tributi nostri che possiamo manovrare, però mi sembra di aver letto in alcune pubblicazioni che si sta studiando qualcosa (non so se è un bene o un male) per poter dare alle Regioni anche un'autonomia finanziaria di imposizione. Ed è questa possibilità che ci darebbe il modo di trasferire subito, nel prelievo dall'uso privato all'uso pubblico, alcune manifestazioni di vivere civile.
Il quarto punto riguarda una cosa molto dolorosa: la ristrutturazione dell'apparato produttivo, atto a garantire una situazione di piena occupazione.
Qui devo dire che, anche se sono arrivati un po' in ritardo, finalmente gli imprenditori si sono messi al servizio della Regione (ne accenner nella parte che riguarda l'industria) per cui oggi la Regione è in grado con i Sindacati che per primi in questi anni hanno sempre puntualizzati i problemi più importanti dell'occupazione e la necessità di servizi sociali studiare seriamente il rilancio produttivo della nostra Regione.
Un altro punto a lungo termine che si può sempre perseguire, qualsiasi siano gli elementi conoscitivi, è quello della riqualificazione della spesa nel settore della scuola che prepara l'individuo ad essere autonomo nella vita e in quello della sanità che lo accompagna affinché questo suo lavoro si possa esplicare nel migliore dei modi. Lo stesso provvedimento che stiamo attuando in questo momento in tutto lo Stato italiano avrà bisogno della Regione per fare della scuola un modo diverso di insegnare, di diventare grandi, di essere preparati alla vita.
Naturalmente abbiamo anche bisogno, in questo momento, di pensare a provvedimenti di emergenza: pluriennali a medio termine; obiettivi a lungo termine, sempre validi; provvedimenti di emergenza che sono imposti allo Stato italiano e soprattutto al Piemonte per poter fare una politica che difenda l'occupazione, che abbia delle implicazioni positive in termini di consumi energetici, che abbia influenze anche per poter favorire l'esportazione (il Piemonte è una delle maggiori regioni esportatrici, ha sempre un saldo attivo alle esportazioni) e la Regione deve sollecitare le forze produttive piemontesi con degli interventi che siano sempre fiancheggiatori, non ultimo per esempio quello della formazione professionale dove la riqualificazione in questo particolare momento è necessaria. Inoltre dovremo prendere tutti quei provvedimenti di emergenza che difendono le retribuzioni reali dei lavoratori.
A questo punto dovrei dire che l'autorità monetaria - che purtroppo in Italia, in questi ultimi tempi, è diventata un corpo separato dal Governo è riuscita, con la sua politica piuttosto miope, a provocare il contrario di quello che voleva provocare, cioè potenziamento dei settori produttivi contenimento delle spese (evidentemente voleva dire superflue) degli Enti locali.
Siccome non vi è stato nessun potenziamento nei settori produttivi, ma abbiamo una recessione in atto, è tanto più urgente che la Regione, con propri provvedimenti, sviluppi nei settori sociali, nelle opere pubbliche che le sono caratteristiche, ogni possibile investimento che sia immediato per una più vasta occupazione per l'assorbimento della disoccupazione che il Presidente insieme con l'Assessore - come ha annunciato stamattina vorrà portarcene, come diceva, su una mappa dolorosa, la quantificazione.
E adesso veniamo alle entrate. Le entrate, purtroppo, sono un passo doloroso e questa non è una critica per la Giunta, è una solidarietà che tutto il Consiglio porta alla Giunta nel suo sforzo di impinguare questa voce. Dobbiamo purtroppo osservare che le entrate del fondo comune non sono affatto aumentate: quest'anno dello 0,5%, l'anno scorso dell'1,5%, contro una svalutazione che nel giro di due anni è arrivata al 41 %. Questa è una constatazione che ci deve ancora una volta fare riflettere su quei denari che non abbiamo spesi e che giacciono in banca, che sono anche fruttiferi che non abbiamo potuto investire in oro o valute pregiate; ricaviamo degli interessi attivi, ma non sono minimamente sufficienti a coprire i danni laceranti, i morsi della svalutazione. Purtroppo diminuiscono anche i trasferimenti da parte dello Stato in singoli settori come quello agricolo.
Altra nota dolorosa è quella della gestione sanitaria il cui costo è stato previsto dall'Assessore Armella, in base a dati assolutamente accettabili direi, in qualcosa come 256 miliardi, mentre la ripartizione dello Stato si limita a 198 miliardi.
Di fronte a questa enorme carenza di copertura penso che la Regione imminentemente dovrà presentare una legge di gestione ospedaliera per vedere che cosa si fa negli ospedali, altrimenti rischiamo di distruggere tutto il nostro bilancio, in pochi anni, perché comunque dovremo provvedere alla vita degli ospedali; vediamo di provvedervi nel miglior modo e con il minor costo possibile.
Per quanto riguarda la spesa vorrei incominciare con una nota di incoraggiamento alla Giunta. Mentre la Giunta sembra compiacersi della ridotta spesa per il personale, che è dell' 8% del bilancio, dobbiamo dire che invece non ha commentato, nella sua relazione, una politica del personale. Il personale è la vita della Regione. Per poter rendere operativa una legge occorre il personale: il personale deve essere responsabile, deve avere delle iniziative. Il Consiglio ha fatto dei corsi di aggiornamento, ma non bastano, questi corsi devono avere dei traguardi precisi di riqualificazione del personale. Nella stessa Giunta vi sono degli Assessorati disadorni di collaboratori e nella misura in cui non hanno collaboratori non possono operare, è impossibile governare con il solo Assessore.
Evidentemente è un'osservazione che deriva dal fatto che la legge sul personale è stata approvata solamente nell'autunno scorso, deriva dal fatto che lo Stato ci ha trasferito degli interi uffici dove il personale è quello che è e quindi abbiamo anche una maldistribuzione tra uffici trasferiti dallo Stato e uffici propri. Però è necessario che questo impegno di riqualificazione del personale sia portato avanti e sia anche un impegno per o singoli Consiglieri a curare la propria presenza in Consiglio ed a partecipare ai nostri lavori.
Sempre per quanto riguarda la spesa, c'è un certo compiacimento nella Giunta nel dire che abbiamo aumentato in termini nominali l'insieme delle spese correnti operative che si riferiscono a servizi. Anche qui è un grido di dolore in quanto che questa spesa, se dobbiamo veramente prenderla come valore, come peso di intervento, ha subito anch'essa la svalutazione per cui, pure aumentata del 13%, abbiamo una svalutazione che è prevista almeno in termini di prezzi, del 16 % per l'anno corrente dalle grandi autorità di indagine e di ricerca e secondo le tendenze in atto.
Per quanto concerne le spese di investimento direi che il discorso è veramente molto, ma molto difficile. Sembrerebbe, questo, un campo dove la Regione possa operare: devo dire che l'Assessore al bilancio è stato ricco di iniziative - almeno scritte in bilancio - anche per accensione di mutui si parla addirittura di 87 miliardi, di cui 1 3 sono già iscritti nelle entrate, il resto dovrebbe essere acceso nel corso dell'anno. Ho veramente i miei dubbi che questo possa accadere perché non ritengo assolutamente che sia necessario per le leggi in corso che ancora non sono state approvate e nemmeno presentate al Consiglio, che si possa pensare ad una così ampia ricchezza di erogazione nel corso dell'anno. E' vero che si è provveduto ad accantonare nell'art. 1018 quanto sarebbe sufficiente per i primi ammortamenti di queste accensioni, ma ritengo che quei denari accantonati nell'art. 1018 non avranno modo di essere utilizzati per questi mutui così consistenti. Ed è per questo che, veramente con passione, nell'articolo dell'edilizia e dell'urbanistica la Commissione (credo unanimemente) insiste perché sia varata la legge della casa con dotazioni cospicue che possano dar luogo immediatamente all'accensione di mutui ed alla apertura dei cantieri.
Per quanto riguarda la politica regionale la Giunta nella sua relazione ha fatto opera di analisi profonda delle proprie cifre, ma forse non ha dato sufficientemente importanza ad una politica unitaria di bilancio e direi che anche i singoli Assessori, così precisi e così solerti nel descrivere quanto è stato fatto e quanto si propongono di fare, non hanno però indicato sufficienti politiche programmatiche anche solo nel medio termine e durante la consultazione con le diverse categorie ed i diversi Enti non ci siamo potuti confrontare su una politica operativa a medio termine da parte della Giunta. Questa non è critica, noi abbiamo ereditato delle leggi dallo Stato, ci stiamo affannando a presentare le nostre, ne abbiamo anche varate, alcune sono ottime, ma è mancato il tempo necessario per poter fare tutto in questo breve spazio. Però è chiaro che come alcuni Assessorati hanno potuto farlo, tutti gli altri, evidentemente per mancanza di tempo disponibile, per mancanza di collaboratori non hanno potuto preparare delle leggi organiche e farle precedere da una politica di settore a medio e a lungo termine.
Ci siamo allora permessi di sottolineare alcune cose che si dovrebbero fare e che faremo ancora nella presente legislatura e che se non faremo le riprenderà il nuovo Consiglio regionale che sarà nominato all'inizio dell'estate.
Ho detto che uno degli obiettivi a lungo termine è la riorganizzazione del territorio. Vorrei sottolineare quello che è il compito primo della Regione che si è sostituita allo Stato e che e il compito di guida e di controllo degli Enti locali: è soprattutto in questo campo che la Regione deve riuscire, roccaforte delle autonomie locali , ad esprimersi nel migliore dei modi.
Se passerà la legge sui comprensori effettivamente avremo fatto un grosso passo avanti, perché i comprensori non più storicamente esprimeranno delle linee non più giustificate, ma saranno in grado di esprimere delle scelte fatte dalla Regione con i Comuni interessati e che si riferiranno a zone omogenee, a zone ecologiche, a zone che potranno esprimere proprie vocazioni.
E a proposito di vocazioni vorrei sottolineare che non è possibile ridistribuire sul territorio, in base ad un elaboratore, anche la delimitazione dei comprensori; bisogna che la Giunta sappia, è necessario che gli Enti locali e gli uomini che li rappresentano abbiano la possibilità di esprimere volontà diverse, vocazioni diverse, sempre nei limiti di un quadro generale. Ma non possiamo costringerli in quelli che sono gli dati conoscitivi che l'ottimo elaboratore anche interrogato pu esprimere, bisogna sempre lasciare alcuni margini di elasticità all'attività delle persone.
E questo lo dico perché riferendomi al piano territoriale di coordinamento che suddivide il nostro territorio metropolitano, anzi l'area ecologica di Torino in 41 zone, non è possibile dire per ogni zona da parte dell'elaboratore qual'è la vocazione di questa microzona, bisogna lasciare dei margini di elasticità perché vi sono delle zone portate per l'industria, altre portate per l'agricoltura e altre ancora che hanno attività diverse. Avuti questi dati però bisogna avere il coraggio di dire quello che pensiamo che ogni cittadino debba fare e allora bisogna anche lasciare una certa libertà. Ciò che ci interessava soprattutto era che il piano di coordinamento fosse un piano di vincoli che non compromettesse il territorio, soprattutto per quella che era la valutazione di quelle grandi infrastrutture che hanno reso così perplesso il Consiglio regionale.
L'agricoltura è un settore che ha interessato sempre, con lunghissime discussioni, il Consiglio regionale.
Io ho parlato di un solo testo perché non ero al corrente, la Commissione l'ha saputo all' ultimo momento che invece di un testo unico avremo due testi sull'agricoltura. Effettivamente era bene che anche la cooperazione avesse una sua legge e che l'altra legge riguardasse il resto delle aziende. Però qui dobbiamo fare un discorso piuttosto profondo e anche questo assai doloroso: la nostra agricoltura e diventata, come produzione, sempre più asservita all'estero, ho dato alcuni tassi riferiti dall'lSTAT e che sono sempre aggravanti, cioè noi abbiamo un autoapprovvigionamento interno nelle maggiori produzioni agricole che si va sempre più riducendo e la Regione deve ricuperare quelle terre che vengono abbandonate o che rimangono incolte, con opere di irrigazione e qui pu intervenire un altro piano del migliore utilizzo delle risorse idriche.
Per quanto riguarda la cooperazione in agricoltura, questo è un grosso discorso; mi riferisco anche all'associazionismo che è nuovo forse per il Piemonte, incomincia oggi, mentre altre Regioni direi di più recente civiltà organizzativa democratica del territorio, come il Veneto, hanno vastamente questa cooperazione a tutti i livelli. Quando ad esempio noi ci lamentiamo anche solo dell'acquisto dei concimi chimici che le grosse società oligopolistiche vendono a prezzi troppo elevati, la cooperazione unita riuscirebbe ad affrontare meglio, in una contrattazione, questi prezzi troppo alti. Non mi voglio naturalmente riferire ai paesi che detengono materie prime così importanti come il petrolio, ma la mancanza di unità dei grandi consumatori di materie prime talvolta permette ai produttori di fare esageratamente i loro interessi.
Inoltre la cooperazione deve colmare quel grosso divario che c'è fra prezzi alla produzione, per quanto possibile, e prezzi al consumatore, con beneficio di entrambi; riduzione dei prezzi al consumo, evidentemente da parte della produzione, uno sfruttamento di questa fascia che non vada semplicemente in mano agli intermediari.
Quindi cooperazione e associazionismo a tutti i livelli deve essere veramente la parola d' ordine in Agricoltura che non può essere solamente assistita con degli interventi di beneficenza, perché caduti questi interventi avremo sempre un'economia agricola che non si sostiene.
Non solo, ma dovrei anche dire che finché non faremo dei piani regionali di sviluppo, non potremo individuare le vocazioni dei territori agricoli; abbiamo praticamente tre interventi di produzioni produttive nella nostra Regione: il riso e i cereali, il vino e l'allevamento. Ma dobbiamo intervenire soprattutto con una politica che distingua queste tre attività tipiche piemontesi, ma direi uniche in Italia, come il riso, come la razza bovina piemontese così apprezzata e anche come i vini pregiati che possono rivaleggiare con i migliori vini francesi. Però è evidente che per poter mantenere l'occupazione in agricoltura dobbiamo dare un minimo di servizio all'agricoltore se lo vogliamo mantenere anche sui campi: quindi scuole, trasporti, servizi sanitari sono indispensabili a mantenere l'agricoltore, a non fargli rimpiangere la vita della città.
Sui trasporti non sarò molto lungo perché recentemente in questa aula è riecheggiata da parte dell'Assessore la politica (che la Commissione, credo almeno per la parte che rappresenta la maggioranza, ha accolto) di una graduale marcia verso la pubblicizzazione, però anche di mantenere il confronto con le aziende private, perché un confronto fra aziende pubbliche e aziende private è sempre necessario.
Ciò che ha stupito è che il capitolo trasporti nella relazione della Giunta non è aggiornato con la relazione dell'Assessore. Direi che quest'ultima, nel capitolo trasporti, è migliore di quella della Giunta.
Quel che ci ha lasciati perplessi e che l'Assessore abbia rifiutato di procedere nell'individuazione dei bacini di traffico, sarebbe stato un grosso lavoro portato avanti anche perché i bacini di traffico di per s non hanno a coincidere proprio, come limitazione, ai comprensori, ma possono essere un elemento attivo di individuazione dei comprensori stessi.



GANDOLFI Aldo, Assessore ai trasporti ed alle Comunicazioni

In Commissione abbiamo deciso di farli coincidere.



DOTTI Augusto, relatore

Ma io credo che non tutte le linee si fermeranno alla linea di demarcazione dei trasporti, probabilmente avremo delle linee che controllate dall'autorità di traffico dei singoli bacini, potranno anche proseguire di un tratto fuori, ognuno può fare quello che vuole, ma - e l'ho anche scritto nella relazione - i comprensori non saranno delle città turrite con delle muraglie cinesi invalicabili né per i trasporti, né per tante altre cose.
Per quel che riguarda le opere pubbliche abbiamo avanti la II Commissione un importante progetto di legge. E qui dobbiamo dire delle cose piuttosto importanti.
Nel settore dei lavori pubblici abbiamo sempre seguito la metodologia dello Stato: attendiamo che i destinatari presentino le richieste, poi la Regione le seleziona e finalmente ha luogo la spesa. Ci auguriamo che da oggi in avanti l'Assessore possa instaurare, con la collaborazione dei suoi uffici, un metodo diverso, cioè arrivare alla ripartizione all'assegnazione dei contributi per quelle opere che sono già pronte ad essere eseguite, il cui progetto è già avanti alla Commissione, così avremo veramente un bilancio di cassa, che è una delle cose fondamentali della vita regionale; se noi non attueremo un bilancio di cassa almeno all' 80/90% avremo sempre delle giacenze presso le banche, presso gli istituti di credito, che si svalutano poco o molto, senza poter provvedere alle opere più urgenti. Non solo, ma anche l' Assessore dovrebbe avere la buona volontà, il coraggio di proporre degli interventi organici (forse sta facendo un lavoro preliminare indispensabile) perché finora anche le domande che pervenivano, erano di Comuni che avevano la possibilità di costruire queste opere, possibilità date da delegazioni del proprio bilancio, delegazioni di imposta. Ma evidentemente vi sono dei Comuni che non si facevano vivi perché non avevano la possibilità di costruire queste opere ed erano ugualmente cittadini del Piemonte meritevoli di queste opere: igieniche, sanitarie, acquedottistiche, di fognatura e di strade.
Quindi occorre che la Regione intervenga con iniziativa propria per coprire quelle carenze, per riorganizzare e riequilibrare il territorio e non sia agnostica e solamente attendista di fronte alle iniziative di Enti locali che in genere hanno grande voce in capitolo nella misura in cui possono spendere.
Edilizia e Urbanistica. Faccio solo alcune osservazioni. Voglio solo sottolineare che la Regione ha possibilità di darsi delle leggi organiche.
Per quanto riguarda gli uffici vorrei dire che bisogna effettivamente sottrarre a singoli funzionari il giudizio su piani regolatori generali dei Comuni, bisogna avere un corpo scelto, responsabile, un corpo che giudichi uniformemente e questo in base a delle norme legislative che la Regione pu darsi e che devono essere osservate.
Un altro importante intervento, sebbene sembri irrilevante, è quello della vigilanza del costruito per evitare gli abusi; la Regione può darsi questo efficace controllo.
Dell'industria ho già parlato. Abbiamo forse aperta una porta di un valido discorso che, se riusciamo a farlo con gli imprenditori, anche la Finanziaria pubblica potrà avere il concorso degli imprenditori, potremo avere delle disponibilità da amministrare abbastanza vaste e quindi non solo con le aziende di credito, ma anche con l'intervento degli imprenditori. Per cui diversificazione produttiva, di cui tanto si parla molte volte con una certa fantasia e poca pratica, formazione e riqualificazione professionale, insediamenti produttivi devono essere concordati con gli lavoratori e con gli imprenditori.
Le Comunità montane - mi rincresce, signor Presidente della Giunta, di darle un piccolo dispiacere - sono le sue predilette, lei si è sempre occupato della montagna, ma purtroppo nella relazione della Giunta non se ne parla.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Non è il primo, sono già allenato, quindi accetto anche questo dispiacere.



DOTTI Augusto, relatore

Evidentemente è stata un'omissione involontaria, però realmente le Comunità montane hanno protestato e ritengono che non vi sia una politica per la montagna né immediata, né a medio, né a lungo termine. Dicono, con una certa amarezza, che evidentemente i problemi emergenti dalle Comunità urbane e dalle fasce periferiche...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Le abbiamo ricevute, sentite e discusso con loro.



DOTTI Augusto, relatore

. urgono e premono di più sulla Giunta; ma non è detto che il silenzio doloroso della montagna debba lasciare la Giunta assente dall'occuparsene.
Noi abbiamo recentemente approvato una legge che però riconosce alle Comunità montane una discreta autonomia nel fare i propri piani di sviluppo, però diamo anche alle Comunità montane l' onore della cronaca nell'importante relazione che la Giunta ha steso sul proprio bilancio per l'anno 1975.
Per l'ecologia ho già detto parole di lode della Commissione nei confronti dell'Assessorato.
L'assistenza sanitaria e l'assistenza sociale invece sono invece un grosso punto interrogativo, perché finora gli nostri interventi (parlo dell' assistenza sociale) sono stati interventi di beneficenza;, la beneficenza oggi non è più gradita dal corpo sociale, noi dobbiamo intervenire con provvedimenti che effettivamente portino un decoro civile di vita per tutti i nostri cittadini, per tutti i componenti del corpo sociale.
Allegate alla relazione sono l'ampia documentazione della consultazione e la nota di va.- nazione del bilancio.
Per quanto riguarda altri settori, se il relatore non ha avuto possibilità di parlarne e per- che abbiamo avuto poco tempo a disposizione in quanto che l'ultima riunione è dello scorso venerdì.
Grazie.



PRESIDENTE

Il relatore di maggioranza ha esaurito il suo compito e si tratta di organizzare il dibattito.
Ha chiesto di parlare l'Assessore Paganelli, ne ha facoltà.



PAGANELLI Ettore, Assessore alle finanze ed al patrimonio

Il bilancio di previsione per il 1975 ripropone, per quanto riguarda lo stato della finanza regionale, le problematiche di fondo che avevo cercato di affrontare, in modo credo sufficientemente analitico nella presentazione al Consiglio regionale del bilancio 1974.
Sotto diversi profili quei problemi si sono anzi accentuati, non solo in termini quantitativi, ma - e cioè ancor più rilevante, in termini qualitativi, in ordine cioè alla connessione tra sistema finanziario e struttura istituzionale e tra sistema finanziario ed il complesso dell'apparato economico.
Intanto si deve sottolineare il più marcato divario che si è prodotto tra la dinamica delle entrate dello Stato e quella delle entrate regionali.
Come è noto nel corso del 1974 il gettito fiscale è aumentato intorno al 25 con un incremento di oltre il 6% rispetto alle previsioni iscritte a bilancio; per contro il fondo comune ha registrato un irrilevante aumento dello 0,5% ed il fondo di sviluppo segna addirittura nella sua quota propria, un decremento del 16 In aumento, sul 10-12 %, sono solamente i proventi dei tributi propri della Regione, i quali per altro costituiscono una componente modesta delle entrate regionali, per cui il complesso delle tre voci: fondo comune, fondo di sviluppo, entrate tributarie, le quali dovrebbero costituire i capisaldi della finanza regionale, presenta mediamente un incremento inferiore al 2 da mettere appunto a confronto con l'incremento del 25 % del gettito tributario dello Stato.
E' ben vero che questo cospicuo aumento del gettito fiscale è da ricondurre in larga misura agli effetti che anche su questo terreno sviluppa il processo inflazionistico e che vengono esaltati dalla progressività dell'imposizione tributaria, ma anche sulla capacità reale di spesa delle Regioni incide la erosione dell'inflazione, per cui una valutazione condotta non più in termini monetari ma in termini reali, porta ad indicare una diminuzione delle entrate caratterizzanti il sistema finanziario regionale dell'ordine del 23% come il saldo negativo tra il ricordato incremento dell'1,9 % ed il tasso di inflazione che a fine '74 ha raggiunto su base annua il 25 %.
L'esigenza di collegare la dinamica delle entrate regionali a quella del gettito fiscale appare quindi pienamente fondata e la revisione dei meccanismi e dei canali prevista dalla legge 281 rappresenta ormai un ineludibile argomento di confronto tra Stato e Regioni.
A fronte della staticità delle entrate che potremmo definire "proprie" delle Regioni, non nell'eccezione contabile ma in quella politica del termine, vi è l'espansione delle entrate con destinazione vincolata, che quest'anno particolarmente marcata in seguito all'assegnazione alla Regione dei fondi per l'assistenza ospedaliera.
Prima ancora che il problema della corrispondenza tra le competenze date alle Regioni e le risorse finanziarie assegnate per assolverle, si pone a questo riguardo il tema politico, di fondo, dell'autonomia regionale, la quale non trova certamente terreno di sviluppo e di rafforzamento in una crescente dipendenza nella politica di spesa dalla discrezionalità delle scelte dell'Amministrazione centrale.
Sotto questo profilo l'ordinamento regionale viene sempre più a trovarsi nella medesima situazione dei poteri locali ed il discorso dell' autogoverno e del potere locale, sia nei suoi aspetti strettamente economico-finanziari, sia in quelli politico-istituzionali, non può oggi non fare gli conti con le conseguenze che ha sul terreno dell'autonomia e quindi delle istituzioni democratiche questa situazione di dipendenza sempre più evidente e pesante dal bilancio dello Stato.
Come si rileva nella relazione che accompagna la proposta di legge per il risanamento della finanza locale presentata alla Camera Dai Gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana, questa situazione produce una pericolosa distorsione non solo sulle istituzioni, ma sulla stessa definizione della politica della finanza pubblica, perché nella misura in cui viene ridotta, con l'autonomia , la responsabilità politica degli amministratori, la spinta alla partecipazione viene ad indirizzarsi contro il potere centrale, aprendo la strada a pericolose confusioni istituzionali che non danno alcun effettivo contributo alla soluzione dello specifico problema della finanza pubblica.
Il problema non è per altro risolvibile semplicemente aumentando il volume delle risorse trasferite dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali, perché in tal modo non si modifica né la qualità né la quantità della politica tributaria e, data la evidente rigidità dello stesso bilancio dello Stato, si urta contro vincoli precisi.
La rottura tra bisogni collettivi e risorse disponibili si è ormai pienamente compiuta e non può essere sanata ponendosi in una logica di contrapposizione tra Stato ed autonomie locali, ma solo scegliendo la più difficile strada di un recupero della logica dell'autonomia ed utilizzando la stessa autonomia per un miglioramento complessivo del sistema fiscale nella sua capacità di accertamento e di imposizione.
Il disavanzo della finanza pubblica viene infatti a penalizzare sempre più l'intera economia italiana, ma esso non può essere colmato soffocando la finanza locale; piuttosto occorre riproporsi il problema del divario tra il livello della spesa e quello delle entrate, il quale rimane notevolmente inferiore alla media dei Paesi europei.
Come si ricorda anche nella relazione a questo bilancio, la riforma tributaria ha inciso quasi unicamente sui redditi di lavoro dipendente mentre permane una massiccia evasione per gli altri redditi, come per l'imposta sul valore aggiunto.
L'eliminazione di margini per l'evasione di- viene sempre più urgente per un effettivo risanamento della finanza pubblica, unitamente con la riqualificazione della spesa ed occorre anche a tal fine reintrodurre modalità di partecipazione degli Enti locali all'accertamento dei redditi dando spazio quindi ad una politica regionale e locale delle entrate, come momento di preminente responsabilità degli organi elettivi. Accanto a questo primo grande tema del rapporto tra sistema finanziario ed autonomie istituzionali, si deve in questo momento presta re la massima attenzione al secondo rapporto che prima indicavo, tra gestione della finanza pubblica e sistema economico.
Il deficit del bilancio pubblico non deve infatti essere assunto a motivo di freno ulteriore al finanziamento dell'apparato produttivo, in questo caso infatti il sistema economico continuerà nella sua depressione ed il deficit pubblico non potrà che ingigantirsi in misura sproporzionata.
L'obiettivo che dobbiamo proporci di un ridimensionamento di questo deficit, non si coglie con la contrazione delle attività economiche, ma da un lato, nella progressiva riduzione delle spese superflue e da un altro come prima dicevo, nella ricostruzione di un efficiente sistema fiscale.
Un ridimensionamento degli interventi nei settori produttivi renderebbe invece ancora più gravosa la situazione di bilancio nel breve e nel lungo periodo.
A queste considerazioni si ispira il Bilancio presentato dalla Giunta ed esse debbono essere fatte valere anche a livello nazionale.
Va tenuto presente che dopo la caduta dei livelli di produzione industriale verificatisi ad ottobre ed a novembre, nei giorni scorsi sono stati resi noti dall'ISTAT i risultati delle rilevazioni del dicembre '74 che segnano una pesante flessione, prossima al 10% rispetto al dicembre '73.
L'entrata in recessione dell'economia italiana non è più dunque un rischio all'orizzonte, ma una grave realtà in cui siamo entrati da alcuni mesi ed il settore industriale è la componente del sistema economico che risente in modo maggiore e più diretto della crisi, riflettendone poi le conseguenze sull'intero tessuto economico e sociale.
Nella relazione al bilancio sono evidenziate le caratteristiche peculiari di questa recessione: le vicende congiunturali, non solo interne ma internazionali, le problematiche specifiche dell' Italia, in specie il nodo centrale dei dualismi e degli squilibri territoriali e settoriali.
Parimenti sono richiamati i fattori strutturali che si intrecciano con quelli più propriamente congiunturali ed ai quali occorre richiamarsi per comprendere ed interpretare in modo adeguato la situazione odierna.
Volendo esaminare in modo più specifico i problemi che si pongono al settore industriale, l'approccio strutturale deve essere prevalente e richiede una sommaria analisi storica dei processi che si sono sviluppati dagli anni di crescita intensa e stabile a quelli dell'instabilità, della stagnazione e della recessione di oggi.
E' stato più volte rilevato che il sistema industriale italiano presentava già all'inizio degli anni '60 profonde carenze e distorsioni nella sua struttura, in diretta relazione con la composizione della domanda che ne aveva sollecitato la crescita nel decennio precedente.
La domanda interna - condizionata da quella esterna - si era principalmente rivolta a beni manufatturieri per il consumo privato stimolando la crescita e la competitività di un'industria a contenuto tecnologico intermedio.
La forte espansione nei consumi tra il '60 ed il '64 aveva già posto in luce quella che in anni più vicini a noi sarebbe divenuta una fonte vistosa di disavanzo nei conti con l'estero: l'inefficienza dell'intero comparto agricolo-alimentare, non solo nella sua componente strettamente agricola ma insieme in quella dell'industria trasformatrice dei prodotti dell'agricoltura.
Parimenti si mostrava già allora inadeguata la provvista di consumi pubblici, debole la struttura dei settori che producono beni strumentali e modesta la capacità concorrenziale sui mercati internazionali nelle industrie ad elevato contenuto tecnologico.
Si deve ancora sottolineare ai fini di questa breve analisi l'andamento della dinamica degli investimenti dopo la crisi congiunturale del 1963; essi diminuiscono nel '64 e nel '65 in termini assoluti e riprendono lentamente negli anni successivi. A mala pena nel 1969 verrà raggiunto il livello di spesa in impianti e macchinari (ragionando a prezzi costanti) che era stato raggiunto nel 1963, ma la quota del '63 - in rapporto al reddito nazionale - non sarà più raggiunta.
In questo periodo tutti i Paesi industriali affrontano l'inasprirsi della concorrenza internazionale con un più accentuato sforzo di accumulazione: l'unica eccezione è l'Italia, in cui la quota di investimenti diminuisce in misura notevole, passando da una quota media degli investimenti fissi lordi sul prodotto nazionale del 21,7% nel periodo 1958-1963 ed una del 19,5 Z negli anni 1964-1969.
La ripresa produttiva del 1967 fu sostanzialmente guidata dalle esportazioni, secondo canali ed indirizzi tradizionali, ed in luogo di investimenti innovativi vi fu una razionalizzazione dei processi lavoratori, con un abbassamento medio del costo del lavoro invece che una estensione dei settori più produttivi.
Quando così nel 1969-1970 si riproducono condizioni sostenute di attività economica, in specie per il rilancio della domanda interna, in seguito ai rinnovi contrattuali, la linea di ripresa spontanea mostra tutta la sua debolezza ed induce l'autorità monetaria a ripetere la manovra deflazionistica del 1963, pur essendo questa volta difficile sostenere l'esistenza di una pressione eccessiva della domanda sulla capacità produttiva.
L'esito finale di questa manovra fu il ristagno produttivo della "lunga congiuntura" tra il 1971 ed il 1973.
Un forte sviluppo della domanda interna si è verificato invece nel corso del 1973 e nella prima metà del 1974, mentre la bilancia dei pagamenti è andata deteriorandosi ad un ritmo sempre più rapido e la svalutazione ha dato un notevole impulso all'incremento dei prezzi, sia in modo diretto, rialzando i prezzi interni delle merci importate, sia e soprattutto allentando per le imprese manifatturiere il margine di vincolo della competitività internazionale che aveva in precedenza limitato il rialzo dei prezzi.
La risposta che è stata data dalla Banca centrale ai due problemi congiunturali più pressanti - disavanzo dei conti con l'estero e tensioni inflazionistiche sempre più accentuate - è stata una stretta deflazionistica di intensità nettamente superiore a tutte le precedenti esperienze di quella politica di "stop and go" che è stata praticata dal 1963 in poi.
Nel suo impatto con la realtà la deflazione è stata poi ancora più secca di quanto la stessa Banca d'Italia ritenesse necessario; a fronte infatti di un limite nell'espansione degli impieghi bancari fissato nella misura del 15 % su base annua, si è avuto un saggio di crescita di poco superiore all'11%, dal che viene lo spazio per quella reflazione che si cerca ora di operare senza che in senso proprio si possa parlare di allentamento della stretta creditizia.
Il tentativo di stimolare una ripresa del credito, a cui sono dirette le misure assunte dal Comitato Interministeriale del Credito di fine dicembre e del 30 gennaio scorso, tengono conto di questo divario che si è creato tra gli obiettivi e la dinamica effettiva, divario testimoniato dalla caduta del rapporto tra impieghi e depositi, sceso nel giro di pochi mesi dal 65,2 % al 64 % e tuttora in ulteriore flessione. La manovra messa in atto è indubbiamente positiva, anche se sussistono alcuni dubbi sulla sua efficacia per la quale debbono realizzarsi al meno tre condizioni.
La prima è riuscire a far diminuire notevolmente il costo del denaro al cui caro prezzo oltreché alle aspettative di crisi va imputata la minor domanda di moneta dei mesi scorsi" Perché si abbia una netta diminuzione dei tassi di interesse effettivi mentre alle banche si chiede di investire di più in titoli, gli quali al momento rendono di meno degli impieghi liquidi, occorre che gli istituti creditizi abbassino i tassi attivi sui depositi della clientela e questa condizione si sta realizzando, per cui gli istituti creditizi non dovrebbero più indugiare - e sarebbe opportuno al riguardo un fermo intervento della Banca d'Italia - nel ridurre i tassi passivi.
In secondo luogo occorre che sul mercato obbligazionario sia assicurato un maggior spazio alle emissioni dirette a finanziare il sistema produttivo: si tenga presente a questo riguardo che nei primi sette mesi del 1974 (ultimi dati disponibili) le emissioni nette per conto del Tesoro sono ammontate a 1.250 miliardi, mentre quelle degli istituti di credito speciale dirette alle attività produttive e quelle delle imprese pubbliche e private presentano un saldo negativo di 10 miliardi.
La terza condizione infine ha un carattere più generale: nell'attuale situazione economica un rilancio degli investimenti prima ancora che disponibilità di finanziamento a ridotti tassi di interesse, richiede una ripresa della domanda, senza di che e illusorio pensare che si possa avere creazione di nuovi impianti quando quelli esistenti sono largamente sottoutilizzati, essendo ormai sceso il livello medio di utilizzazione intorno al 60 %. Tutte le obiezioni avanzate sull'accordo Confindustria Sindacati sembrano ignorare questo elementare collegamento tra domanda e reddito nazionale, in una situazione in cui gli investimenti rischiano di cadere del 15 % nel corso dell'anno, rispetto al livello del 1974.
Un'ultima considerazione richiede il finanziamento assicurato all'agricoltura ed alle esportazioni, il quale si inserisce in un orientamento teso a recuperare quelle selettività del credito che si cerc di operare nell'estate del 1973 purtroppo con limitato successo.
E' questo un indirizzo da appoggiare, ma che per esprimersi nella realtà comporta anzitutto le definizioni di una programmazione economica ed in specie di un programma industriale per settori che a tutt'oggi non esiste ed insieme richiede un rigore ed una disponibilità da parte del sistema bancario che pure non è dato di vedere.
Il problema di fondo per uscire in modo stabile dalla crisi, è per quello di una ripresa dell'accumulazione, secondo indirizzi programmati, e quindi un rilancio del processo di industrializzazione, specialmente nelle aree più deboli del Paese.
Gli occupati nell'industria rappresentano a livello nazionale solo il 43,6 % del totale degli occupati: questa quota sale al 51,5 % al Nord e scende al 32,3 % al Sud.
Questi dati da soli dimostrano lo spazio che esiste ed insieme l'esigenza di ampliare decisamente la base produttiva.
Si deve purtroppo rilevare negativamente come tutto il dibattito sulle riforme e sulla crescita dei consumi sociali che si è sviluppato in Italia negli ultimi anni, mentre ha colto indubbie necessità sociali del Paese, ha trascurato il rapporto tra la politica delle riforme ed il sistema industriale, mentre questa problematica deve ora essere posta al centro della riflessione sulla politica economica.
La riconversione dell'apparato produttivo, sollecitata dalle vicende congiunturali internazionali e dai problemi strutturali interni, deve quindi costituire l'occasione storica per definire una politica industriale diretta all'espansione ed alla crescita qualitativa del sistema industriale, cogliendone sino in fondo le implicazioni con il tessuto sociale e con l'assetto del territorio.
Su questo tema non dobbiamo limitarci a chiedere generici impegni al Governo, ma dobbiamo impegnarci per aprire un vasto confronto con tutte le realtà istituzionali, con le forze economiche e sociali, ponendo le Regioni tra i protagonisti di una nuova fase di sviluppo democratico del Paese.
In questa prospettiva si pone il bilancio della Regione che è ora in discussione, in rispondenza a tutto l'indirizzo politico seguito dalla Giunta in questi difficili mesi con la volontà non solo di sostenere l'economia piemontese ma di individuare e perseguire uno sbocco positivo alla crisi che stiamo vivendo.
Non posso però sottacere una viva preoccupazione per le difficoltà che si presentano ad una efficiente gestione finanziaria del nostro bilancio e più in generale dell'attività della Regione, non solo per i limiti che derivano dalla mancata espansione delle entrate, ma insieme per le modalità assunte dal rapporto tra Stato e Regione quanto all'erogazione dei fondi assegnati alla Regione.
Infatti una quota crescente delle risorse attribuite alla Regione è stata fatta confluire presso la Tesoreria Centrale, in un conto a noi intestato, ma su cui non abbiamo possibilità di attivare operazioni autonome. Inizialmente il Tesoro ha versato su questo conto le assegnazioni sul fondo di sviluppo, ma successivamente anche le assegnazioni inerenti al finanziamento delle partite correnti, come le rate del fondo comune e del fondo per l'addestramento professionale ed in pratica, dall'ottobre in poi tutti i fondi regionali provenienti dal bilancio statale sono stati bloccati presso la Tesoreria Centrale.
Nei giorni scorsi in seguito alle nostre reiterate ed insistenti pressioni ci sono stati trasmessi 4 miliardi, ma sono oltre 34 gli miliardi ancora giacenti in Tesoreria, né si ha alcuna indicazione sui tempi e sui modi con cui si vuole organizzare il flusso dei finanziamenti alle Regioni.
Sono evidenti le tensioni che deriverebbero dal proseguire di una siffatta linea di condotta da parte del Tesoro, le cui preoccupazioni, in ordine all'espansione della liquidità complessiva che si poteva avere qualora le Regioni avessero immesso sul mercato creditizio i fondi ricevuti, erano comprensibili un anno fa, ma non lo sono più ora nella mutata situazione monetaria e comunque non debbono portare alla paralisi della stessa Amministrazione corrente delle Regioni.
Il problema dei ritardi e delle inadempienze dell'Amministrazione Centrale nell'assegnazione dei fondi e nella loro erogazione non investe soltanto le Regioni, ma tutto il sistema della finanza locale aggravandone le già pesanti condizioni, come è stato sottolineato nelle iniziative assunte proprio nei giorni scorsi dall'Associazione nazionale dei Comuni e dall'Unione delle Province italiane.
Si è ripetutamente notato negli ultimi mesi che le disfunzioni della Pubblica Amministrazione costituiscono ormai uno dei fattori di maggior ostacolo e penalizzazione per tutto il sistema economico: un vigoroso sviluppo del decentramento e della autonomia regionale e locale rappresenta oggi una via quasi obbligata per ricostruire la capacità operativa della struttura pubblica ed in quest'ottica deve essere collocato anche il problema finanziario.
Nella prospettiva di un più vasto e complessivo risanamento dell'economia del Paese deve allora trovare la necessaria considerazione tutto il problema della finanza pubblica ed in specie la revisione dei meccanismi di formazione delle risorse e di alimentazione finanziaria dell'ordinamento regionale e delle autonomie locali, condizione necessaria ai fini della ripresa economica e all'ordinato ed efficiente funzionamento di tutta la struttura istituzionale.



PRESIDENTE

Riterrei di dare la parola all'Assessore Simonelli.



BERTI Antonio

Per la conclusione, o per la relazione di maggioranza?



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Solo a intervento concluso si potrà decidere quale valutazione darne.



BERTI Antonio

E' un metodo completamente nuovo, questo.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

No, è lo stesso degli anni scorsi.
Credo di dover anzitutto un ringraziamento al relatore, alla I Commissione, agli Enti consultati, nonché a tutti gli Assessori che seguendo l'innovazione introdotta l'anno scorso, hanno partecipato alle consultazione per i settori di competenza.
La relazione al bilancio del '75 - come già quella del '74, quindi mantenendo un'altra innovazione introdotta lo scorso anno - presenta, prima dell'illustrazione del bilancio, un'ampia disamina della situazione economica nazionale e regionale. Particolare attenzione in questa relazione è stata anche dedicata all'esame delle risorse regionali, dei fondi che affluiscono alle Regioni, specie con riferimento al fondo comune previsto dall'art. 8 della legge 281 e alla problematica di riforma della stessa legge 281, che è il tema centrale del confronto in atto in questi mesi fra le Regioni e il Governo, sul quale già il collega Paganelli si è intrattenuto.
Vorrei chiarire, intanto, che questa ampia disamina contenuta nella relazione non è una esercitazione puramente ornamentale, ma è, a nostro giudizio, essenziale per cogliere i nessi reali della crisi economica che stiamo vivendo e quindi per collocare nel modo giusto l'azione della Regione: tanto quell'azione che si esprime attraverso la spesa e la politica di bilancio quanto quella che si esprime con le leggi, quanto infine, quella che si esprime attraverso le iniziative politiche della Regione nei confronti del Governo e dei centri dell'imprenditoria privata e pubblica.
Per questo abbiamo ritenuto necessario approfondire gli aspetti di questa crisi, cogliendone anche i nessi internazionali, cioè partendo dal quadro della crisi così come nasce dai processi inflazionistici in atto nel mondo, e in particolare nel mondo industrializzato, a seguito dell'aumento del prezzo del petrolio e delle altre materie prime. E abbiamo rilevato in questa crisi alcuni aspetti particolari, uno dei quali è il mancato funzionamento di qualsiasi meccanismo di coordinamento fra le diverse economie. I Paesi industrializzati, ed in modo particolare gli Paesi della Comunità economica europea, non hanno saputo offrire una piattaforma comune di fronte alla crisi che si è aperta con l'aumento del prezzo del petrolio tant'è che, in definitiva, si sono lasciati funzionare i tradizionali meccanismi finanziari internazionali, si è lasciato che gli unici regolatori delle politiche economiche fossero i mercati finanziari. I quali, peraltro- -credo sia una constatazione emersa con tutta chiarezza da questa crisi - hanno rivelato di non essere più assolutamente in grado di determinare alcunché e meno che mai di garantire il controllo della situazione, perché nelle ragioni di scambio fra Paesi consumatori e Paesi produttori di petrolio si è raggiunto uno squilibrio che il mercato finanziario di per sé non è in grado di eliminare.
Accanto a questo primo fenomeno deve esserne subito evidenziato un secondo: il fatto che non si siano impostate delle politiche comuni ha portato ad una generale adozione di misure restrittive nei Paesi industriali, anche in quelli nei quali non si ha un disavanzo nella bilancia dei pagamenti, come gli Stati Uniti e la Germania federale; tutti questi Paesi hanno adottato politiche di restrizione della domanda, della produzione e dell'occupazione, con i risultati che oggi stanno emergendo.
La reazione, in altre parole, è stata uguale per tutti i Paesi, con una generalizzazione ed una moltiplicazione delle spinte recessive, che hanno portato, tra l' altro ad una situazione di generale indebolimento del fronte dei Paesi industriali, ma di indebolimento ancora maggiore per quelli più direttamente toccati dalla crisi, cioè per quelli che presentano la bilancia dei pagamenti in disavanzo.
Dietro questa azione non è difficile cogliere anche implicazioni di politica internazionale; in particolare, la ribadita necessità di una divisione dei ruoli e del lavoro nello schieramento internazionale, di forme nuove di controllo e di guida anche degli schieramenti dei Paesi sullo scacchiere delle scelte e delle alleanze, con l' emergere di una funzione che tende ad essere egemonica in forme nuove, sfruttando i vantaggi che offre questa crisi, da parte degli Stati Uniti e in misura minore della Germania federale, che tende ad assumere in Europa in ruolo di guardiano degli interessi degli Stati Uniti.
Questa situazione è destinata a provocare conseguenze anche gravi sul piano dei rapporti internazionali, come mostrano i pericolosi accenni della dottrina Kissinger in ordine alle possibilità di superare l'impasse. Ma ha già portato, comunque, a risultati negativi, in modo particolare al disfrenarsi dei nazionalismi economici nei vari Paesi. Ognuno, cioè, tende a risolvere i problemi di casa propria esportando le difficoltà negli altri Paesi. Non a caso, come si è detto, tutti i Paesi hanno adottato le stesse misure, che sono misure di contenimento della domanda all'interno e di blocco delle importazioni in forme diverse, con il tentativo di favorire le esportazioni. Certo, non si riesce a comprendere che qualcuno possa illudersi di poter perseguire con successo una politica di questo tipo in un momento in cui tutti i Paesi mirano a bloccare le importazioni dall'estero e a favorire le esportazioni; come qualcuno possa immaginare che funzioni questo moto perpetuo in cui ognuno riesce ad esportare a casa di altri, che non vogliono importare. Questa politica non può che essere destinata all'insuccesso, non ha certamente la capacità di far uscire le economie industriali dalla crisi che le ha investite.
L'Italia appare uno dei Paesi più colpiti. E' noto che gli indicatori economici, con misure varie, ci assegnano in ogni caso almeno un 25 % di aumento del costo della vita, cioè di tasso di inflazione nel corso del '74, con un incremento dei prezzi all'ingrosso anche superiore, del 45%, e dunque con una potenzialità di sviluppo inflazionistico ancor maggiore nei prossimi mesi, se l'aumento dei prezzi all'ingrosso verrà scaricato su quelli al dettaglio, In parte, evidentemente, si tratta di inflazione importata. Certo, noi non ci nascondiamo che una parte di questo processo deriva da fattori internazionali che sono una variante esogena in gran parte non controllabile dalle Autorità monetarie ed economiche del Paese: gli aumenti del prezzo del petrolio e delle materie prime sono un esempio di questi fattori esogeni" Ma una parte di inflazione deriva da fattori interni, come abbiamo altra volta sottolineato; vogliamo qui soltanto brevemente citare alcuni dei fattori strumentali che accentuano ed aggravano o processi inflazionistici: le inefficienze strutturali di molti settori, le rendite parassitarie, le incapacità di risolvere alcuni nodi che accentuano le spinte inflazionistiche anziché smorzarle, tutta la serie di riforme non fatte che costano, anche in termini di aggravamento dei processi inflazionistici.
Da questa situazione emerge un dato che è preoccupante e che rende questa crisi diversa dalle altre che abbiamo attraversato e perci giustamente ritenuta la più grave dal '45 ad oggi. Questa volta le dimensioni della crisi sono troppo vaste e la sua durata prevedibile è troppo lunga perché si possa pensare di uscirne in modo sostanzialmente indolore. Ogni politica dovrà essere pagata da qualcuno. La crisi sociale in atto avrà comunque un prezzo: le varie categorie tenderanno a far pagare ciascuna alle altre questo prezzo. In un recente saggio di un giovane economista della sinistra non parlamentare si dice che quando la torta non cresce non è più possibile alle diverse classi e categorie sociali cercare di attribuirsi una fetta dell'aumento della torta, ma ognuno dovrà cercare la sua fettina togliendola alla fettina degli altri. Questa è la situazione nella quale si muove la crisi che stiamo vivendo, questo rende drammatico lo scontro sociale che sottostà alla crisi. Dunque, è essenziale che la linea di politica economica scelta dal Governo, e quindi le indicazioni che a questo fine vengono fornite dalle Regioni, dalle forze democratiche debbano essere di un certo tipo, per far sì che non siano o ceti più deboli, le classi più diseredate, le aree marginali del Paese a subire da sole gli effetti della crisi.
Non ci nascondiamo che un altro grosso vincolo ad una politica di rilancio della nostra economia è rappresentato dal disavanzo dei conti con l'estero, che, com'è noto, ha raggiunto, per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti, per il 1974, un livello di oltre 5 mila miliardi. Anche qui è opportuno fare delle distinzioni: c'è un disavanzo che deriva dal deficit petrolifero, e in genere dall'aumento del costo delle materie prime importate; ma c'é un disavanzo, per esempio quello agricolo-alimentare, che deriva da palesi strozzature del nostro sistema produttivo. Basti pensare che abbiamo un disavanzo della bilancia alimentare non sol tanto per quanto riguarda la carne, ma per una serie di altri prodotti, dagli ortofrutticoli ai lattiero-caseari, allo zucchero, al grano....



MARCHESOTTI Domenico

Agli spaghetti....



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Appunto; al grano che serve per fare gli spaghetti...



MARCHESOTTI Domenico

No, no, importiamo proprio gli spaghetti già confezionati.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Praticamente, non cambia nulla: visto che non abbiamo il grano per produrre gli spaghetti, importiamo o grano o spaghetti.



RIVALTA Luigi

C'è differenza, perché è singolare che addirittura la confezione degli spaghetti venga fatta all'estero.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Effettivamente, è ancor peggio.



PRESIDENTE

Meglio lasciar stare questo discorso degli spaghetti, lo fanno già anche troppo all'estero.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

L'interruzione a me non disturba: sono interessato anche a questa discussione di carattere gastronomico. Del resto, all'estero l'Italia è considerata il Paese degli spaghetti....



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

. e dei mandolini.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Spero che non importiamo anche i mandolini.



MARCHESOTTI Domenico

Di violini e mandolini siamo esportatori....



RASCHIO Luciano

E anche di tromboni.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta regionale

Tutto sommato, siamo ancora abbastanza invidiabili.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Quanto ai tromboni, penso ci sia un saldo nullo nella bilancia dei pagamenti.
E' evidente la necessità di individuare dei filoni di politica economica precisi. Quando noi rileviamo queste carenze nella produzione alimentare del Paese abbiamo subito aperto il quadro di interventi nel settore agricolo che privilegino quei settori nei quali si manifesta una carenza della nostra produzione.
A questo si dovrebbero aggiungere altre cose, sulle quali non voglio soffermarmi perché sono ampiamente illustrate nella relazione e non intendo ripeterle: per esempio, il problema della fuga di capitali, che è stata anche quantificata in 2000 miliardi l'anno e che evidentemente concorre ad indebolire in modo determinante la posizione della lira; per esempio, la nostra posizione nei conti con l'estero, sulla quale sono state anche suggerite possibilità di manovra per rendere il fenomeno meno consistente.
Di fronte ad una situazione che ha queste caratteristiche, la politica alla quale si è fatto ricorso è stata una politica restrittiva tanto sul piano monetario quanto su quello fiscale e parafiscale, con gli aumenti delle tariffe e via dicendo. Lo scopo dichiarato era, come i Consiglieri ricorderanno, quello di rastrellare 3000 miliardi per diminuire di pari entità il livello della domanda globale. Probabilmente non si è arrivati a rastrellare i 3000 miliardi in più, anche se poi le entrate tributarie hanno segnato incrementi per altro verso superiori a quelli previsti: per il risultato è stato appunto quello di penalizzare duramente la domanda provocando a partire dall'estate del '74 una inversione della congiuntura.
In effetti, nonostante la crisi, fino alla metà del '74 la nostra economia ha "tirato" in modo soddisfacente; solo con l' estate abbiamo cominciato ad avvertire una inversione di tendenza, mentre con l'autunno siamo entrati in una vera e propria recessione, destinata a continuare nel corso del '75 ove non vengano adottate adeguate misure di controllo atte ad evitare un ulteriore aggravamento.
Basterà vedere alcuni dati. Il dato sulla cassa integrazione, per esempio, ci dà già, tra il gennaio e l'ottobre del '74, cioè in un periodo in cui gli effetti della crisi si son fatti sentire in modo ancora modesto rispetto al gennaio-ottobre '73, un aumento del 76% . Non abbiamo dati più recenti, ma già questo ci indica l'estremo aggravarsi della situazione per quanto riguarda questo aspetto tipico che è la cassa integrazione guadagni.
Un altro aspetto, non quantificabile ma certamente grave per le informazioni dirette che abbiamo, riguarda la mancata effettuazione del "turn-over" in gran parte delle aziende; il che significa, al di là di episodi di licenziamenti veri e propri, che sono in corso fortunatamente in una misura ancora non massiccia, una diminuzione globale del livello della mano d'opera occupata nel nostro Paese, con difficoltà crescenti per l'impiego delle leve dei giovani in cerca di prima occupazione, e quindi con una accentuazione della funzione della scuola come area di parcheggio per disoccupati.
Non parliamo del Mezzogiorno, problema sul quale la Regione si è soffermata lungamente nel Convegno tenuto l'altra settimana: sotto questo profilo rinvio all'ampia relazione del Presidente Oberto, che conteneva una serie di diagnosi ed anche di indicazioni precise sull'argomento. Mi limiterò a dire che il discorso del Mezzogiorno si aggrava non solo perch non vengono effettuati gli investimenti previsti, ma perché la situazione viene ulteriormente compromessa dal ritorno degli emigranti che hanno perso il posto di lavoro nei Paesi ove avevano trovato occupazione.
Sotto il profilo strutturale, la crisi, com'é noto, investe soprattutto alcuni settori: l'industria automobilistica, quella tessile, quella chimica e quella edilizia. Questa situazione in Piemonte ha degli aspetti anche più marcatamente negativi. Qui abbiamo avuto una inversione di ciclo, prima, e l'abbiamo avuta in misura più grave per il carattere monosettoriale della nostra economia; abbiamo avuto un rimbalzo della crisi anticipato, abbiamo delle prospettive che non sono affatto tranquillanti. Nella relazione diamo conto delle previsioni sui livelli occupazionali: solo come conseguenza della ristrutturazione in atto nella caduta di domanda dell'automobile prevediamo una minore occupazione nell'industria manifatturiera in Piemonte al 1980, di 40.000 unità. Sono ovviamente ipotesi che nascono dai dati così come la situazione ce li consegna, non sono affatto calamità che necessariamente ci debbano piombare addosso, ma occorre mettere in moto delle politiche alternative, se si vuol evitare che questo accada. Ecco quindi la necessità di una politica adeguata per controllare questi fenomeni e consentire che siano modificati.
Ancora una volta si impone l'indicazione che ripetutamente abbiamo formulato, della necessità di una diversificazione del sistema produttivo regionale, sulla quale abbiamo avuto anche interessanti confronti in sede di consultazione. Noi crediamo che il discorso della diversificazione sia un discorso da approfondire, in modo particolare proprio perché occorre uscire dal generico delle indicazioni di massima e giungere alla individuazione dei comparti produttivi per i quali si deve parlare di sviluppo diversificato.
Di diversificazione possiamo parlare in due accezioni: da un lato riproponendo un tipo di sviluppo che non faccia perno soltanto sul settore industriale ma che abbia in cima alle necessità di intervento per esempio l'agricoltura, che, proprio per le ragioni che ho prima precisato, non è più da considerare settore da assistere ma settore economico da sviluppare a sostegno dell'economia globale del Paese; dall'altro, cercando di giungere ad una diversificazione all'interno dei settori industriali, una diversificazione che deve riguardare - ripetiamo quanto abbiamo già detto altre volte - tanto la piccola e la media industria autonoma, come la piccola e la media industria che lavora in questo momento in funzione complementare all'industria dell'automobile, come la Fiat stessa al suo interno. Il problema della diversificazione noi lo dobbiamo porre per l'insieme dell'economia industriale regionale; anzi, non solo regionale perché evidentemente una politica di diversificazione in Piemonte ha un senso ed una prospettiva di successo a patto che l'impulso, lo stimolo all'approfondimento tecnico ed economico, partito dalla nostra Regione trovi nel livello di Governo il momento decisionale pronto a recepirla e tradurla in atto. Una volta analizzata in modo approfondito la situazione sulla base di dati certi, quindi anche attraverso il confronto con il movimento operaio della nostra Regione, nel momento in cui i problemi si radicalizzano e raggiungono un certo grado di intensità, dobbiamo chiedere al livello di Governo di darsi carico di svolgere una politica industriale della cui mancanza il Paese e la programmazione hanno finora sofferto - e perciò di impostare un processo di diversificazione valido per l'intera economia nazionale.
Quando si parla di diversificazione, occorre sgombrare il campo da un equivoco sul quale forse abbiamo lasciato alimentare qualche polemica fuori luogo in passato. Noi abbiamo sostenuto la necessità, per la diversificazione produttiva, di avere in Piemonte industrie ad alta tecnologia. Io credo debba essere ribadito che una Regione come la nostra nel momento in cui si dà una strategia generale tendente a scoraggiare i movimenti immigratori del Mezzogiorno, e quindi a "qualificare" il suo sviluppo, debba anche darsi carico di realizzare una struttura industriale che si basi sulla ricerca, sulle tecnologie avanzate, sul terziario superiore, su tutta una serie di attività di questo tipo.
Ma questo è solo uno degli aspetti del problema della diversificazione.
Noi non pensiamo ovviamente che l'alternativa alla costruzione di automobili sia necessariamente soltanto l'informatica o il terziario superiore o la grande ricerca: riteniamo che un'economia come quella piemontese debba avere anche questo tipo di "strutture sofisticate", per il processo di diversificazione dev'essere molto più articolato e riguardare una serie di produzioni, una serie di comparti produttivi che vanno da quelli della meccanica fine e della meccanica a tecnologia intermedia, alla chimica secondaria ad altre produzioni lungo un ventaglio estremamente ampio, che si ponga i problemi di impiegare un adeguato livello di lavoro qualificato.
Su questi argomenti, comunque, potremo fornire elementi più dettagliati ed analitici sulla base di una serie di studi e di ricerche che stanno per essere conclusi e dei quali il Consiglio regionale sarà investito per una discussione prima della fine della legislatura, in occasione del dibattito che dovremo pur fare in merito al piano regionale di sviluppo.
Di fronte ad una situazione che ho cercato di esporre, sia pure in modo sintetico, ma che la relazione evidenzia in modo più analitico, il bilancio tende a porsi come momento di mobilitazione la più ampia possibile delle risorse a disposizione della Regione. E' una politica già iniziata nel corso del '74 e che abbiamo seguito anche in questo inizio del '75; resa ora anche più necessaria che per il passato proprio dalla vastità e dalla gravità della crisi nella quale versa il sistema regionale. Non starò a ripetere cifre che sono contenute nel bilancio: mi basta evidenziare accanto agli stanziamenti di bilancio, che, al netto della somma per il Fondo sanitario ospedaliero, ammontano a 147 miliardi, l'elenco delle nuove leggi di cui si propone l'approvazione nel corso dell'esercizio, per un complesso di 143 miliardi, e che toccano una serie di punti qualificanti io credo, non solo perché rappresentano l'attuazione del programma della Giunta, ma perché rispondono a precise esigenze emergenti dalla Società regionale. Queste leggi, del resto, sono destinate ad essere opportunamente integrate, corrette, variate, migliorate, in base al confronto nelle Commissioni e in aula fra tutte le forze democratiche qui rappresentate.
Tra queste leggi ve ne sono alcune che riguardano adempimenti essenziali della politica che ho illustrato e insieme rivestono carattere di interventi strutturali in attuazione dello Statuto, ed anche di interventi anticongiunturali: tali, ad esempio la costituzione della Finanziaria, la costituzione delle aree industriali attrezzate, la legge che riguarda gli interventi per la casa, su cui si è intrattenuto il relatore Dotti (che, al di là della copertura di 6 miliardi nel bilancio '75, potrà evidentemente essere integrata, là dove gli meccanismi della legge stessa lo consentano con finanziamenti per i quali la Regione possa contrarre mutui, cioè per finanziamenti in conto capitale, nei limiti che il bilancio pu consentire). Accanto a queste, le leggi che si pongono nell'ambito della tutela dell'ambiente, della sistemazione idrogeologica e forestale, del finanziamento del piano integrativo degli asili-nido, le leggi sui trasporti, che abbiamo già approvato nei giorni scorsi, quella per un intervento organico in materia di lavori pubblici, le leggi nuove sull'agricoltura, sul commercio, sulla cooperazione, sul sistema dei parchi naturali, rappresentano una serie di adempimenti legislativi che toccano settori vitali della vita regionale ma che vanno nella direzione di privilegiare alcuni investimenti, e quindi di sostenere la domanda, di garantire la tenuta del sistema economico regionale.
Né, in questo quadro, mi pare si possa dire che, pur in assenza di piano, si sia trascurata una impostazione di carattere pluriennale nell' attività di spesa della Regione. Infatti, le leggi di respiro pluriennale che sono già state approvate, che sono già operanti, comportano nel solo bilancio del '75 un impegno finanziario di 30 miliardi e 700 milioni, che è, mi pare, una quota molto consistente. Se aggiungiamo le leggi presentate e quelle previste, cioè quelle altre che non sono ancora state approvate ma per le quali si imposta la copertura in questo bilancio, e che dunque potranno venire approvate nel corso dell'esercizio, abbiamo complessivamente altri 24 miliardi di ulteriore finanziamento. E questo riguarda i soli impegni di respiro pluriennale.
Naturalmente, noi non diciamo - elencando queste leggi pluriennali, a pag. 70 e seguenti della relazione e precisando l'onere complessivo che il bilancio sopporta già per questo tipo di leggi - che in questo modo abbia già preso vita il meccanismo di programmazione così come delineato dallo Statuto: solo dopo l'approvazione del piano regionale di sviluppo questo meccanismo potrà prender corpo, attraverso il programma pluriennale di spesa, o bilancio pluriennale che dir si voglia, e i piani pluriennali per i diversi settori di intervento regionale. Occorre perciò procedere all'approvazione del piano regionale di sviluppo, che è l'adempimento preliminare.
Mi sia consentito dire, per inciso, a proposito del piano regionale di sviluppo, che la Giunta non ritiene di avere alcuna responsabilità per l'allungarsi dei tempi di formazione, giacché essa ha espresso il suo parere, che era l'adempimento che le competeva, in occasione della presentazione del bilancio del '74; i successivi adempimenti erano e sono di competenza del Consiglio e delle Commissioni. Questo non significa attribuzione di responsabilità per alcuno, perché ci sono infinite buone ragioni per giustificare il fatto che di queste cose non si sia più discusso; tra l'altro, la stessa crisi che ha nel frattempo investito il Piemonte ci ha portati a confrontarci ed a discutere su tutta una serie di problemi che avevano gravità ed urgenza prioritaria rispetto al documento di piano. Però, io penso che commetteremmo un gravissimo errore se chiudessimo questa prima legislatura regionale senza aver portato in discussione in Consiglio il piano regionale di sviluppo.
Mi rendo ben conto che può apparire utopistico pensare che nel poco tempo che abbiamo ancora a disposizione si possa qui affrontare in tutte le sue implicazioni, in tutta la sua complessità, il discorso del piano vero e proprio. Ma sarebbe forse sufficiente che avvenisse in quest'aula un ampio confronto fra le forze politiche, da concludere con l'approvazione di un documento politico di piano che fissasse una serie di indicazioni, una piattaforma programmatica, affidando la stesura del piano vero e proprio al Consiglio che uscirà dalle elezioni del giugno prossimo. Si chiuderebbe così la legislatura con l'approvazione di un documento di piano in cui tutte le considerazioni che siamo venuti facendo in cinque anni sarebbero filtrate e troverebbero un momento di coagulo, anche sulla base dei risultati delle ulteriori ricerche in corso, che la Giunta sarà in grado di mettere a disposizione del Consiglio prima della fine della legislatura.
Un altro discorso che mi preme fare, mentre mi avvio alla parte finale di questa relazione introduttiva, riguarda il tema dei comprensori, per il quale riteniamo ugualmente importante che si arrivi alla discussione del disegno di legge in Consiglio, previo naturalmente l'approfondimento in Commissione e la verifica-confronto con gli altri progetti avanzati, in modo particolare dal Gruppo comunista (del resto, la Giunta ha presentato questo disegno di legge dichiarandosi esplicitamente aperta al più ampio confronto, alla più ampia verifica, alla più ampia disamina, a tutti i miglioramenti possibili in seno alla Commissione). L'approvazione dell'istituzione dei comprensori, in realtà, appare - e anche la discussione che si è fatta qui e le considerazioni che svolgeva il relatore Dotti l'hanno messo in evidenza - veramente pregiudiziale per proseguire una politica di piano e anche le stesse politiche di settore. Non soltanto i comprensori appaiono essenziali perché portano il disegno della programmazione regionale (e i comprensori, da questo punto di vista, sono strutture apparentemente facoltative, stando all'art. 71 dello Statuto, ma nella sostanza obbligatorie, perché l'art. 75 prevede che il piano regionale debba articolarsi in piani comprensoriali di sviluppo), ma servono a dare carattere di operatività e di concretezza a tutti gli interventi, anche settoriali, che possono essere messi in moto sul territorio. Sarebbe assurdo individuare una serie di livelli diversi, e quindi di organismi diversi, per dimensionare sul territorio i molteplici interventi settoriali della Regione. Dobbiamo cercare di far coincidere le aree nelle quali si realizzano gli interventi, sia quelli di carattere generale sia quelli di settore: cioè, il comprensorio, l'area programma, il bacino di traffico, l' area per i piani territoriali di coordinamento devono, in linea di massima, coincidere. E' chiaro che questo non toglie la possibilità che il piano territoriale di coordinamento, per ipotesi, venga fatto per due o tre comprensori insieme, così come il piano di bacino; come pure è possibile che all'interno di un comprensorio, per particolari esigenze, si debbano individuare delle sub-aree a livello delle quall altri interventi debbano essere fatti, Però, in linea di principio occorre far coincidere le aree dell'intervento regionale. Questo discorso dei comprensori è anche essenziale per far partire tutti gli altri interventi che sono sottesi, che riguardano entità territoriali di dimensioni minori ma che tuttavia solo attraverso il piano comprensoriale trovano una loro collocazione adeguata e corretta: mi riferisco, in particolare ai piani di zona in agricoltura e ai piani di sviluppo delle Comunità montane. A proposito di queste ultime, non si pensi che il non menzionarle continuamente stia a significare che dimentichiamo che esistano. In realtà la problematica delle Comunità montane non si sottrae ad una logica di interventi episodici, in grado di produrre solo modesti risultati, fin quando non si inserisce nella programmazione globale del territorio, e questo sarà possibile solo quando cominceranno a funzionare i comprensori al cui interno le Comunità montane potranno verificare la coerenza dei loro piani di sviluppo e trovare quindi anche le necessarie interrelazioni per far progredire le loro strutture economiche e sociali.
Formulate queste osservazioni, mi resterebbe da illustrare in modo dettagliato la nota di variazione che è stata presentata, e che è il meccanismo tecnico attraverso il quale si giunge ad introdurre nel bilancio le modificazioni dopo che questo è stato approvato dalla Giunta. Non intendo peraltro fare tutta la illustrazione, anche per non annoiare oltre misura il Consiglio. Dirò soltanto che la nota di variazione si caratterizza per alcuni elementi, che riepilogo: da una parte si è dovuto portare in diminuzione dai fondi globali e in aumento sui nuovi capitoli del bilancio gli stanziamenti che riguardano leggi nel frattempo approvate e che al momento della presentazione del bilancio trovavano ancora la loro copertura sui fondi globali; per un'altra parte, si sono integrati alcuni capitoli sui quali successivamente all'approvazione del bilancio si era rilevato che non vi era uno stanziamento sufficiente, mentre si sono diminuiti quei capitoli per i quali lo stanziamento appariva eccessivo.
Faccio, molto brevemente, altre due considerazioni, che mi sembrano particolarmente significative: la prima attiene ai fondi globali, la seconda ai fondi dell'assistenza ospedaliera.
Per quanto riguarda i fondi globali di cui agli allegati 1 e 2 della nota di variazione, vediamo le variazioni in aumento che riguardano la possibilità di copertura di una serie di disegni di legge che non erano stati compresi nell' elenco indicato alle prime pagine della relazione al bilancio e che viceversa vengono ora indicati come provvedimenti per i quali è possibile il finanziamento nel corso dell'esercizio.
Contemporaneamente, dal cap. 1018 vengono stralciati quegli stanziamenti che, avendo già fatto oggetto di provvedimenti legislativi nel corso di questi mesi, trovano là foro copertura sui capitoli di bilancio. Tra i primi, ci sono gli interventi in materia di rimboschimento e sistemazione idraulico-forestale, gli interventi per i servizi di pronto soccorso, i contributi alle Sezioni dell'Unione Italiana Ciechi, il contributo agli istituti di patronato e assistenza sociale, le competenze al personale delle aziende concessionarie di autolinee, una parte della legge sullo sport e gli oneri di ammortamento dei mutui per i disegni di legge sui trasporti che sono stati approvati recentemente;tra i secondi, le leggi che sono entrate in vigore negli ultimi tempi, e cioè il contributo agli Istituti storici della Resistenza, l'assistenza farmaceutica integrativa ai coltivatori diretti, agli artigiani ed ai commercianti, e gli oneri per l'ammortamento di mutui, nonché cento milioni che riguardano i contributi alle spese per la redazione degli strumenti urbanistici, che per una maggior correttezza di collocazione sono stati spostati dal cap. 1018, cioè dal fondo globale per le spese correnti, al cap. 1404, che riguarda il fondo globale per le spese in conto capitale.



VECCHIONE Mario

Scusa, Simonelli, il Pronto soccorso è citato....



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Il Pronto soccorso è citato soltanto perché l'Assessorato alla sanità ha annunciato di avere pronto un disegno di legge, che deve ancora essere discusso dalla Giunta, in ordine alla delega ai Comuni per interventi di pronto soccorso, nelle giornate festive e limitatamente alle aree urbane.
Il disegno di legge non è ancora stato discusso dalla Giunta, e quindi non sono in grado di fornire altri particolari. Del resto, è ovvio che quando diciamo che queste leggi hanno copertura nel bilancio ne lasciamo per ora impregiudicati i contenuti.
Per i cap. 1404 viene fatta la stessa disamina. L'ultimo allegato, cioè l'allegato n. 3, che inviterei il collega Vecchione ad esaminare, comprende una specie di tabella riassuntiva della diversa sistemazione che si è data in bilancio agli interventi in materia di assistenza ospedaliera. Intanto c'è stata una riduzione del fondo per l'assistenza ospedaliera di 41 miliardi e 685 milioni, per riportarlo allo stanziamento che corrisponde alla quota di riparto di spettanza del Piemonte, che è appunto di 198 miliardi e 315 milioni. A questa somma globale che abbiamo riportato in entrata, devono essere aggiunti altri due stanziamenti, uno di un miliardo che riguarda le somme versate per il ricovero di persone non assistite da mutue e non iscritte nei ruoli speciali, ed un'altro che riguarda le somme versate da privati e da società di assicurazioni in dipendenza di ricoveri ospedalieri conseguenti a lesioni o infermità determinate da fatti attribuiti alla responsabilità di terzi. Sono due fattispecie previste esplicitamente dalle leggi regionali, oltre ad una terza, che riguarda le altre somme introitate dagli ospedali, e che abbiamo indicato per memoria nella impossibilità di qualificarla per ora in misura attendibile.
Questo l'insieme delle entrate.
In uscita, le somme, anziché essere comprese in un solo capitolo del bilancio, seguendo le indicazioni fornite dalla consultazione, sono state suddivise, ci pare in modo più corretto, in una serie di capitoli che riguardano: uno il personale (forse il personale era già distinto, 500 milioni per gli oneri diretti e 50 per quelli indiretti), che è stato ridotto, perché in base ad una considerazione più realistica è sembrato che il primo stanziamento fosse eccessivo; un altro, al cap. 482, le quote del fondo che vanno direttamente agli ospedali, e che sono 181 miliardi 665 milioni; un altro, al cap. 483, le quote che vanno invece alle cliniche agli istituti, agli enti convenzionati, alle case di cura, ecc., per 11 miliardi; al cap. 484, l'assistenza in forma indiretta, per un miliardo e mezzo; al cap. 485, ulteriori spese, compresi gli oneri per le anticipazioni connesse alla erogazione delle spese trasferite, per un miliardo e mezzo; e, infine, al cap. 1159, tra le spese di investimento, la erogazione per le attrezzature sanitarie, con esclusione delle opere edilizie, per un onere complessivo di due miliardi.
Un'ultima considerazione finale desidero fare - riprendendo le argomentazioni del resto già svolte con ampiezza dal collega Paganelli - in ordine alla situazione della Finanza regionale. E' un argomento su cui si sofferma diffusamente la relazione, e sul quale si è intrattenuto a lungo anche il relatore. Credo valga però la pena di dedicarvi ancora qualche minuto.
La situazione della finanza regionale è veramente drammatica. Da un lato, rischiamo di avere a breve termine addirittura problemi di cassa, per il ritardo - che il collega Paganelli ha bene evidenziato - nella erogazione da parte del Tesoro delle somme che ci sono devolute dal fondo comune. Dall'altro, il fondo comune, quest'anno, com'è noto, non cresce, e quindi, se non dovesse essere approvato l'aumento del 25% che abbiamo posto a bilancio, noi, come del resto le altre Regioni, vedranno pregiudicata la stessa possibilità di funzionamento normale, e quindi il livello dei servizi che siamo in grado di dare, e sarebbe messa in forge la operatività delle stesse leggi che abbiamo già approvato. Cioè, non solo ci troveremmo nella condizione di non poter approvare una parte delle leggi che abbiamo indicato, ma in qualche caso addirittura nella necessità di dover correggere le leggi già fatte negli anni precedenti. Anche perché a questa minore disponibilità sostanziale, in termini reali, del fondo ex art. 8 si accompagna una diminuzione, anche in valori nominali, del fondo ex art. 9 che per tutte le Regioni era di 330 miliardi nel '74, mentre dovrebbe essere di 277 miliardi nel '75.
Questa situazione ha formato oggetto di una serie di proposte formulate ieri a Roma dai rappresentanti delle Regioni, in una udienza conoscitiva avanti la V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, la prima richiesta riguarda l'aumento del 25 % del fondo ex art. 8; la seconda, il mantenimento del fondo ex art. 9 almeno nella misura dell'anno scorso (330 miliardi per tutte le Regioni), peraltro aggiungendo a questa somma gli stanziamenti delle leggi settoriali che erano confluite nel fondo, per esempio la legge 512 in agricoltura, e quelli di tutte le leggi via via approvate che attribuiscono nuove competenze alle Regioni; la terza concerne l'attivazione dell'art. 12, che prevede l'erogazione di contributi speciali e che, in particolare, dovrebbe far decollare il "piano di emergenza", cioè la serie di investimenti pubblici prioritari, che il Governo deve concordare con le Regioni.
Le Regioni hanno anche sottolineato, tra l'altro, come il Governo e il Parlamento stesso siano vincolati ad operare questi interventi a favore della finanza regionale anche da precise disposizioni di legge, che sono state fin qui disattese. Per esempio, la legge 19 marzo '73 n. 32, che contiene la normativa per la defiscalizzazione di alcuni prodotti petroliferi, ha comportato la diminuzione di un tributo che affluiva al fondo ex art. 8.
L'art. 9 di questa legge stabilisce che nell' anno di competenza i minori introiti affluiti al fondo comune in conseguenza della defiscalizzazione avrebbero dovuto essere compensati con una variazione della legge di bilancio che desse alle Regioni la quota perduta con l'entrata in vigore di questa legge. Ora, il provvedimento è relativo al '73. Come loro sanno, per i meccanismi della legge finanziaria regionale il fondo si calcola sui proventi dei tributi erariali di due anni prima quindi il bilancio '75 è la sede per introdurre un provvedimento che reintegri le Regioni di quanto hanno perso per questa legge del '73. E le Regioni hanno chiesto al Parlamento, come avevano chiesto al Governo, che questo provvedimento venga adottato. Come hanno anche chiesto una verifica puntigliosa dei residui di stanziamento di tutti i capitoli residui del bilancio dello Stato relativi alle competenze trasferite alle Regioni: residui che dovrebbero affluire sul fondo ex art. 9, e che viceversa i Ministri tendono a non far affluire affatto.
Un'ultima considerazione è stata fatta in ordine al :fondo ospedaliero nazionale, per il quale nel bilancio dello Stato non è previsto alcuno stanziamento, al di là della somma di 325 miliardi, che è già stata distribuita alle Regioni. Ora, in questa situazione è chiaro che non vi è alcuna certezza né sui tempi né sulla quantità né sulle modalità di erogazione del fondo. Il Ministro del Tesoro è stato semplicemente autorizzato con decreto ad introdurre nel bilancio le variazioni, e quindi ad erogare alle Regioni le quote del fondo man mano che questo affluisce attraverso il pagamento delle mutue. Le Regioni hanno chiesto viceversa che sia iscritto a bilancio l'intero ammontare del fondo, in modo che vengano definiti in modo certo e tempestivo o momenti del passaggio di queste risorse alle Regioni. Su questo punto, alla fine della seduta, l'on.
Ferrari-Aggradi, che aveva avuto un incontro con il Ministro del Tesoro, ha portato una notizia che speriamo confermata questa notte dai fatti, e cioè che nella riunione del Consiglio dei Ministri prevista per oggi pomeriggio (che è effettivamente iniziata oggi a mezzogiorno) il Governo avrebbe presentato una nota di variazione al bilancio dello Stato con la quale si sarebbe iscritto il :fondo sanitario ospedaliero, almeno per l'ammontare corrispondente ai quattro mesi dell'esercizio provvisorio, e cioè fino alla fine di aprile. Questo non è esattamente ciò che le Regioni hanno chiesto ma è tuttavia qualcosa per rendere questa situazione meno drammatica.
Ho concluso, signori Consiglieri, una relazione forse troppo lunga, ma che ho ritenuto di dover fare con questa ampiezza per dare, come già accaduto negli anni scorsi, alla discussione del bilancio tutto lo spazio necessario, pur dopo l'ampia disamina compiuta dal relatore. Quest'ultima,a differenza di quanto ha fatto l' Assessore al Bilancio, è riuscito nella sua relazione - in quella scritta, almeno - a controbilanciare la tragica aridità delle cifre e delle considerazioni di natura strettamente economica con una serie di richiami più suggestivi (dalle pagine della relazione abbiamo visto emergere il Presidente Oberto con scettro e corona, proteso nel tentativo di guidare la zattera della Regione verso lidi meno perigliosi e ci auguriamo che questa immagine poetica del relatore trovi conforto nella realtà, magari con l'uso di mezzi di trasporto più rapidi anche se meno poetici, del "Kon-Tiki"o della diligenza del Far West; come ci auguriamo che il momento di approdo della nostra Regione, dopo questa fase così difficile, sia comunque quello che il relatore auspica).
Bilancio arduo, dunque, in una situazione difficile. Noi crediamo peraltro di aver fatto tutto quanto era possibile fare per sostenere l' economia e tentare di migliorare la condizione sociale ed economica della Regione in questo momento difficile. Affidiamo quindi con tranquilla coscienza questo bilancio all'esame ed al voto del Consiglio regionale.



PRESIDENTE

Ringraziamo l'Assessore Simonelli.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Informo il Consiglio che avrei iscritti a parlare domani mattina nell'ordine, i Consiglieri Sanlorenzo, Rossotto, Ferraris, per il pomeriggio Revelli, Menozzi, Rivalta, Raschio, Soldano. Sono dunque previsti nella giornata ben otto interventi, e non è escluso che qualche altro se ne aggiunga.



OBERTO Gianni

Presidente della Giunta regionale. Avrei necessità di sapere fin d'ora se i lavori continueranno e si concluderanno nella mattinata di lunedì 24 in quanto ho delle esigenze che ho già fatto presenti: il 24 si inaugura a Roma la conferenza sull'emigrazione, che continuerà poi per tutta la settimana, per concludersi sabato 1 marzo. Se i lavori della discussione di bilancio non si esauriscono nella giornata di lunedì come discussione, in maniera che vi sia la possibilità della replica e del voto nella mattinata del 25, praticamente la Regione resterà assente dal nucleo dei lavori di questa conferenza.



PRESIDENTE

Il calendario dei lavori sarà deciso domani a mezzogiorno.
La seduta è tolta. Convoco i Capigruppo e il Presidente della Giunta.



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



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