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Dettaglio seduta n.239 del 27/06/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'ordine del giorno reca: Approvazione verbali precedenti sedute Comunicazioni del Presidente Esame dell'ordine del giorno relativo alla depurazione delle acque reflue Esame proposta di legge al Parlamento per il consolidamento dei mutui contratti dai Comuni e dalle Province Esame proposta di deliberazione della Giunta Regionale circa la acquisizione di Palazzo Lascaris Interpellanze e interrogazioni Esame relazione dell'Intercommissione per i problemi del decentramento universitario circa la localizzazione delle Facoltà di Agraria e Medicina veterinaria.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Punto primo dell'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute".
I processi verbali delle sedute del 20 e giugno saranno distribuiti oggi pomeriggio, causa il cattivo funzionamento delle macchine duplicatrici sia della Provincia sia della copisteria Opis.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo per l'odierna seduta i Consiglieri: Beltrami Bianchi, Chiabrando, Garabello, Giovana, Minucci, Revelli.


Argomento: Varie

b) Riunione del 24 giugno 1974, a Milano, degli Uffici di Presidenza delle Regioni italiane a seguito dei gravissimi fatti di Brescia


PRESIDENTE

Lunedì a Milano, si sono riuniti tutti gli Uffici di Presidenza delle Regioni italiane. Il Consiglio Regionale del Piemonte era rappresentato dai Vicepresidenti Sanlorenzo e Fassino e dal segretario Consigliere Franzi oltre che da due funzionari.
Dopo una discussione durata quasi l'intera giornata è stato approvato l'ordine del giorno di cui do lettura: "Gli Uffici di Presidenza delle Regioni di tutta Italia, riuniti a Milano a seguito dei gravissimi fatti di Brescia, rilevano che il protrarsi di attentati sempre più gravi contro cittadini, organizzazioni ed istituzioni della Repubblica rivela ormai l'esistenza di un disegno non solo criminoso ma anche eversivo, diretto a colpire la stessa struttura dello Stato democratico nato dalla Resistenza e dalla lotta contro il fascismo rilevano altresì come una simile situazione non possa essere ulteriormente tollerata e come occorra un rinnovato impegno di tutti gli organi dello Stato per fare piena luce su quanto è accaduto finora, per eliminare qualunque focolaio eversivo e per realizzare una completa adesione al dettato e ai principi della Costituzione.
L'imponente reazione popolare di fronte ai fatti gravissimi di Brescia è di per sé indicativo di uno stato d'animo che dimostra che i cittadini il popolo tutto, sono intimamente e profondamente decisi a non tollerare più l'esistenza di centri di eversione.
Il Governo, la Magistratura, le forze di polizia devono impegnarsi a fondo per stroncare ogni tentativo, per punire i colpevoli, per sciogliere le organizzazioni criminali, per ricercare e colpire i finanziatori e tutti coloro che manovrano nell'ombra per ricondurre l'Italia a situazioni che la Costituzione ha definitivamente ripudiato.
A questa opera le Assemblee elettive daranno il loro contributo collegandosi strettamente alla volontà popolare, ai Partiti, alle Organizzazioni sindacali, a tutte le organizzazioni democratiche. Solo l'unità delle istituzioni e il coerente funzionamento dei loro organi sulla base dei principi costituzionali può costituire un valido argine contro il ripetersi degli errori, delle disfunzioni, dell'omertà del passato.
Le Regioni hanno già assunto i loro impegni nell'incontro di Torino del 22 Marzo '74, decidendo, fra l'altro, di promuovere una grande inchiesta di massa sull'attività di tutte le organizzazioni fasciste e parafasciste, sui loro complici, mandanti e finanziatori, nonché di effettuare un intervento comune al massimo livello delle istituzioni della Repubblica. Questo impegno viene oggi solennemente ribadito.
Alle istituzioni che sono garanti della Costituzione e del sistema democratico, e prima di tutto al Capo dello Stato, ma anche al Governo, al Parlamento, agli altri organi costituzionali, le Regioni chiedono di operare perché sia stroncato ogni tentativo di eversione e perché sia fatta piena luce, senza remore e indugi, sulle responsabilità del passato, perch si provveda finalmente ad adeguare le strutture dello Stato ai principi costituzionali con un'opera fattiva, che non si limiti a difendere l'ordine democratico dagli attentati ma tenda a realizzare un effettivo progresso del Paese eliminando tutte le cause sociali, economiche e politiche sulle quali si innestano i tentativi di eversione".
Domani si riuniranno a Brescia le delegazioni di alcune Regioni italiane, fra le quali il Piemonte, per assistere alla celebrazione della Messa di trigesima in suffragio delle vittime dell'atto terroristico. Sarà presente una rappresentanza del Consiglio Regionale del Piemonte.
Comunicheremo in seguito la data che il Capo dello Stato fisserà per l'incontro con tutte le Regioni italiane.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza del Consigliere Rossotto sulle "Normative della legge 8 agosto 1972, n. 464. Pericolo di chiusura dello stabilimento Snia di Venaria"


PRESIDENTE

Come punto terzo dell'ordine del giorno, poniamo ora: "Interpellanze e interrogazioni". Avverto fin d'ora che, esaurito questo punto, il Presidente della Giunta farà alcune comunicazioni, come è stato annunciato ieri, nella riunione dei Capigruppo.
L'interrogazione del Consigliere Nesi in data 14/3: "Costruzioni nuove Carceri di Torino. Aggiudicazione e criteri per la scelta del progetto vincente" decade per assenza del presentatore, con riserva di eventuale risposta scritta.
Passiamo pertanto all'interrogazione presentata dal Consigliere Rossotto il 21/3/'74: "Normativa della legge 8 agosto 1972 n. 464. Pericolo di chiusura dello Stabilimento SNIA di Venaria".
La risposta compete all'Assessore Paganelli, che ha pertanto facoltà di parlare.



PAGANELLI Ettore, Assessore all'Industria

Per quanto concerne la legge 8 agosto 1972 n. 464, il disegno di legge presentato dal precedente Governo sul riordino degli incentivi non prevede il suo rifinanziamento una volta esauriti i fondi stanziati. Nella valutazione del Governo, infatti, le agevolazioni previste da questa legge venivano a creare condizioni di miglior favore per le industrie localizzate nel Nord rispetto ai nuovi insediamenti nel Mezzogiorno, in contraddizione con l'indirizzo generale della politica meridionalistica.
Si deve inoltre notare che, per la correlazione che la legge stabiliva tra i programmi di ristrutturazione ed il ricorso alla Cassa integrazione essa finiva con l'orientare le imprese verso questo strumento, con evidenti conseguenze negative sul piano occupazionale.
Infine, per quanto la legge fosse specificatamente indirizzata al sostegno della piccola e media impresa, nei fatti essa è stata pressoch completamente utilizzata per i programmi di ristrutturazione di grandi imprese pubbliche o parapubbliche, senza tradursi, quindi, in una effettiva agevolazione per le imprese di minori dimensioni.
E' quindi opportuna una revisione di questa normativa, tenendo conto non solo dei problemi di sviluppo del Mezzogiorno ma anche delle esigenze di consolidamento del tessuto industriale delle aree dell'Italia centrale e settentrionale.
A tal fine, il disegno di legge governativo che dovrebbe essere quanto prima esaminato dal Parlamento prevede agevolazioni per settore in relazione a specifiche situazioni di crisi e programmi di ristrutturazione settoriale.
Quanto alle prospettive della Snia Viscosa, dopo la conclusione dell'accordo integrativo aziendale, che riguarda anche i programmi di investimento e di sviluppo della Società, le preoccupazioni che erano emerse sul futuro degli stabilimenti di Venaria e di Altessano paiono superate, dato che all'alleggerimento del personale occupato nella produzione delle fibre cellulosiche (Venaria) dovrebbe corrispondere un incremento degli addetti alle produzioni di fibre sintetiche (Altessano).
Vi sarebbe quindi un trasferimento di addetti da uno stabilimento all'altro, senza pregiudizio per i livelli occupazionali complessivi del Comune di Venaria in cui sono ubicati ambedue gli stabilimenti.
La Giunta Regionale, in particolare l'Assessorato all'Industria, non mancherà comunque di seguire l'evolversi della situazione con gli opportuni interventi che si potessero rendere necessari qualora si profilassero difficoltà occupazionali.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante, Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Le preoccupazioni che avevano portato chi vi parla a formulare l'interrogazione urgente in data 15 marzo '74, confermate poi proprio dall'accordo integrativo 1° aprile '74 intercorso a Roma fra la Snia e le Organizzazioni sindacali, trovano ulteriore riprova nelle dichiarazioni fatte questa mattina dall'Assessore Paganelli.
E' ben vero, infatti, che questo accordo integrativo prevedeva per Venaria una ristrutturazione negli anni fra il '76 e il '78, con riduzione nel complesso di oltre 290 dipendenti; cioè da 850 a 650. Ma non emerge dalla esposizione fatta dall' Assessore Paganelli una precisa e grave circostanza, che questa ristrutturazione si inquadrava nel piano, già accettato in precedenza dagli organi governativi, di stanziamenti previsti dalla 464 indirizzati anche alla ristrutturazione di Venaria, che era cioè subordinata alla possibilità di fruire di quelle agevolazioni per sviluppare il programma aziendale. Se queste facilitazioni, come pare ormai scontato, non ci saranno, risulterà impossibile alla Snia svolgere il suo programma e l'Azienda riterrà conveniente, per avvalersi dei vantaggi che la legge le assicurerebbe, investimenti nel Centro e nel Sud, con l'abbandono dello stabilimento di Venaria, con le conseguenti ripercussioni negative sul livello occupazionale. In questo caso non vi sarebbero più soltanto 200 dipendenti sospesi dal lavoro fra il '76 e il '78, ma tutti gli 850 dipendenti verrebbero lasciati a casa a partire dal '76. Valutate voi, signori Consiglieri, considerando i grossi problemi che già sta creando la situazione alla Moncenisio in questi giorni al Presidente della Giunta, la drammaticità delle conseguenze che deriverebbero da una impostazione governativa totalmente esclusiva nei confronti di possibilità di ristrutturazione e di facilitazioni per investimenti atti a ristrutturare nel Nord e ciò per riservare o destinare tutti i benefici al Centro-Sud. E' follia che un giorno pagheremo! E' un'assurdità inaccettabile per chi come noi si preoccupa della difesa del livello occupazionale dei dipendenti della Snia, che l'accordo integrativo sottoscritto dai sindacati e dall'organizzazione padronale precisi che è previsto "il reimpiego con rientro al Sud dei lavoratori attualmente occupati negli stabilimenti di Naredo e Venaria, da realizzarsi secondo i tempi fissati dai singoli programmi". Si tenga presente, infatti che per l'85% coloro che oggi sono impiegati alla Snia di Venaria non sono immigrati, bensì o piemontesi o appartenenti a vecchie famiglie venete arrivate in Piemonte con Caporetto dopo il 1917. Con quell'accordo, la Snia e le Organizzazioni sindacali, scavalcando i doveri e i poteri della Regione, in pratica hanno deciso nientemeno che il trasferimento al Sud non il "rientro al Sud", di queste maestranze, piemontesi di origine o d'adozione.
Visto che è prevista la chiusura dello stabilimento se non vi saranno possibilità di interventi per la ristrutturazione, il Consiglio Regionale la Giunta, devono approfondire queste soluzioni, anche in vista del fatto che se la Snia, nata in Piemonte, dovesse chiudere il suo stabilimento di Venaria - come pare prevedibile in base a quanto ha detto l'Assessore perché l'Azienda se non otterrà condizioni di favore non spenderà venti miliardi nella ristrutturazione, che è indispensabile, - il Piemonte verrebbe a perdere una importante attività diversificante su quella monocoltura di cui tanto spesso parliamo, e fra un anno e mezzo o due lavoratori di vecchia estrazione piemontese si troverebbero in condizioni identiche a quelle in cui si trova oggi la maestranza della Moncenisio.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa. Decadono, con riserva di eventuale risposta scritta, per assenza dei presentatori, le successive interrogazioni: del Consigliere Nesi, del 28/3: "Nomina di un Commissario per una rapida e positiva funzionalità del Consorzio Acquedotto per la Collina torinese" dei Consiglieri Nesi-Lo Turco del 24/4: "Grave vertenza aziendale alla fabbrica Vignale di Grugliasco e pericolo di smobilitazione del gruppo FORD in Italia" del Consigliere Nesi del 2/5: "Aggressione subita da iscritti del P.S.I.
mentre affiggevano manifesti relativi al referendum".
L'interrogazione dei Consiglieri Bertorello-Menozzi del 24/4 è rinviata per l'assenza dell'Assessore competente a rispondere.


Argomento: Edilizia e norme tecnico-costruttive - Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Interrogazione dei Consiglieri Rivalta e Vecchione sull'esecuzione dei programmi di edilizia residenziale pubblica. Compiti attribuiti alla Regione


PRESIDENTE

Interrogazione Rivalta-Vecchione del 2/5/'74: "Esecuzione dei programmi di edilizia residenziale pubblica. Compiti attribuiti alla Regione.
Istituzione del Consorzio e nomina della Commissione incaricata di formulare la graduatoria per la assegnazione degli alloggi".
E' competente a rispondere l'Assessore Benzi. Ha facoltà di parlare.



BENZI Germano, Assessore all'urbanistica

Signor Presidente, signori Consiglieri, in relazione al punto a) dell'interrogazione in questione si informa che i compiti attribuiti alla Regione dall'art. 5 del D.P.R. 30/12/1972 n. 1036 sono da considerarsi, nel limite delle competenze regionali nel campo dell'edilizia pubblica residenziale, pressoché totalmente assolti.
L'attività regionale si può riassumere come segue: La Regione ha stipulato con il Consorzio regionale fra gli Istituti autonomi per le Case popolari, relativamente alla realizzazione dei programmi di edilizia pubblica residenziale, tre distinte convenzioni in relazione ai canali di finanziamento 68 lett. a), 68 lett. b) e 55 lettera a) previsti dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865.
Mediante tali convenzioni veniva disciplinato il rapporto determinatosi con gli enti attuatori ed in particolare tali convenzioni hanno previsto: la determinazione del massimale, costo massimo a metro cubo ammissibile per la costruzione di abitazioni di tipo economico popolare, nonché il suo meccanismo di revisione periodica, ritenuto indispensabile per renderlo sempre aderente alle reali situazioni di mercato, al fine di permettere una regolare appaltabilità dei programmi previsti, e, nel limite del possibile contenere il numero delle gare deserte (D.P.R. 1036 - art. 5 lettera b) la redazione di tre distinti disciplinari di attuazione, differenziati secondo i predetti canali di finanziamento (68 a) - 68 b) e 55 a) per l'esecuzione da parte degli Istituti autonomi per le Case popolari dei programmi finanziati ai sensi della legge 865.
Tali disciplinari (composti di 25 articoli) indirizzano e regolano tutta l'attività degli Istituti autonomi per le Case popolari in relazione alla realizzazione dei programmi costruttivi, dal reperimento delle aree alla programmazione esecutiva degli interventi, dalla progettazione alla gara d'appalto, dalla responsabilità dell'Ente attuatore al Collaudo ecc.
(D.P.R. n. 1036, art. 5 lettera e) e art. 8) la determinazione del compenso da attribuire agli Istituti autonomi per le Case popolari, quale rimborso delle spese incontrate, e per le funzioni svolte come Ente incaricato alla realizzazione dei programmi (D.P.R. 1036 art. 5 lettera c) la formulazione degli schemi tecnici per la stesura del "programma di intervento" relativo ad ogni localizzazione individuata.
il riferimento alle norme contenute nella circolare ministeriale n. 425 del 20/1/1967, relativa alla normativa tecnica per la progettazione delle opere.
Non è stato fino al momento attuale possibile determinare nuove norme tecniche regionali, in quanto il Ministero competente non ha ancora emanato i criteri generali nell'ambito dei quali inquadrare le stesse (D.P.R. 1036 art. 5 lettera a).
Per il punto d) di tale art. 5 non è stato necessario designare, ai sensi dell'art. 57 della legge 22 ottobre 1971 n. 865, società a prevalente partecipazione statale cui affidare l'esecuzione di parte degli interventi in quanto nell'ammontare dei finanziamenti previsti non figurano fondi eccedenti le capacità di spesa degli I.A.C.P. e delle cooperative.
Per quanto si riferisce al punto f) del suddetto art. 5, come è noto, i bandi di prenotazione dei fondi da attribuire alle cooperative edilizie sono in corso di completamento, per cui è da ritenersi che la loro emissione sarà operata entro breve termine.
In tali bandi saranno inoltre specificati i criteri atti alla individuazione delle cooperative da ammettere ai benefici di legge, nonch la documentazione da allegare alla domanda per la ammissione al concorso ed i requisiti che le cooperative interessate dovranno avere. (E' opportuno considerare che i criteri informatori e la bozza di tali bandi, erano stati presentati al Consiglio Regionale nella più generale relazione tenuta circa lo stato di attuazione dei programmi della legge 865; nel corso della seduta del 5/6/'73).
Per il punto g) del predetto art. 5, si è in attesa delle determinazioni del Ministero relative alla dislocazione del personale degli Enti soppressi, in particolare dell'I.S.C.A.L., che da tempo svolge il servizio sociale a favore delle famiglie degli assegnatari degli alloggi GESCAL.
Per il punto h) del più volte citato art. 5 si rimanda alle considerazioni di cui al successivo punto b).
Relativamente al punto b), si precisa: Per l'attuazione dei programmi di edilizia pubblica abitativa, attualmente la Regione si avvale della collaborazione del Consorzio Regionale volontario fra gli Istituti autonomi per le Case popolari, regolarmente costituito con atto notarile 14 luglio '71, n. 23776/4769 Rogito notaio Bottino Federico, registrato a Torino il 28 luglio 1971 al n. 25719 vol.
1189, del quale fanno parte gli Istituti autonomi per le Case popolari della Provincia di Alessandria, Asti, Comune di Biella, Provincia di Cuneo Novara, Torino, Vercelli.
Le iniziative intraprese dalla Regione nei riguardi del Consorzio rientrano nella normativa di cui all'art. 7 del D.P.R. 1036, il quale prevede la costituzione di un Consorzio obbligatorio fra gli Istituti autonomi per le Case popolari, definendo nel contempo la costituzione del relativo Consiglio di Amministrazione.
Al momento attuale è in fase di formulazione lo schema dello Statuto del Consorzio, l'approvazione del quale permetterà, ai sensi dell'art. 7 del D.P.R. 1036, di ristrutturare il Consiglio di Amministrazione del Consorzio stesso, garantendone la partecipazione dei rappresentanti della Regione designati dal Consiglio Regionale fra i quali dovrà essere assicurata la rappresentanza delle minoranze.
In relazione al punto c) della suddetta interrogazione, si comunica quanto segue.
Gli artt. 19 e 20 del D.P.R. 1035 disciplinano le modalità a cui attenersi per la determinazione dei canoni di locazione degli alloggi edificati mediante finanziamento pubblico, precisando , all'ultimo comma dell'art. 19, che tale determinazione dovrà essere assunta tenendo conto delle situazioni territoriali, nonché della capacità economica media e delle condizioni abitative del nucleo familiare degli assegnatari nella diversa area comprensoriale.
Pertanto, al fine di rilevare le indicazioni di cui sopra, da tempo si è provveduto ad effettuare presso tutte le Amministrazioni comunali un censimento sia dei fabbisogni abitativi sia del reddito medio previsto in ogni singolo Comune.
Tale censimento ha lo scopo specifico di raccogliere un'idonea documentazione statistica sui fabbisogni regionali, tendente ad accertare la reale situazione abitativa nonché la dislocazione territoriale delle abitazioni, la composizione dei nuclei familiari ed il reddito medio annuo riferito per abitante.
La documentazione statistica sopradescritta, che attualmente è in corso di completamento, costituisce l'elemento base per una corretta applicazione del predetto art. 19; sulla scorta, quindi, dei dati risultanti, molti dei quali già in atto di elaborazione, la Regione potrà fornire gli elementi necessari per la determinazione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia pubblica residenziale.
Relativamente all'ultimo punto della interrogazione relativo alla costituzione della Commissione assegnazione alloggi di cui all'art. 6 del D.P.R. 1035, si precisa che con lettera in data 14/2/1974 sono stati invitati gli Enti e le Organizzazioni proposte a segnalare, entro breve termine, i nominativi di propria competenza tra cui scegliere i membri da nominare in seno alla predetta Commissione.
Al momento attuale mancano ancora alcune segnalazioni, per cui sarà possibile nominare la richiesta Commissione allorché tutti gli Enti ed Organizzazioni interessati avranno regolarmente segnalato o nominativi di propria competenza.
Si precisa inoltre che gli atti da parte regionale per un sollecito insediamento di tale Commissione sono stati preventivamente predisposti per cui si ritiene che, pervenute le segnalazioni mancanti, tra l'altro più volte sollecitate, la costituzione della Commissione stessa potrà avvenire entro brevissimo termine.



PRESIDENTE

Dei due interroganti chiede di parlare il Consigliere Rivalta. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Dalla comunicazione dell'Assessore deduco che l'attuazione della legge 865 è ancora lontana dall'essere compiuta. Sollecito quindi la Regione a portare a termine nel più breve tempo possibile l'attuazione degli adempimenti che le competono.
All'Assessore chiedo di farmi avere il testo della sua risposta, in modo che mi sia possibile meditarla più attentamente.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.
L'Assessore Conti mi ha chiesto di consentire che si proceda ancora alla discussione di due interrogazioni, una del Consigliere Rossotto l'altra del Consigliere Besate.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione del Consigliere Rossotto sul disinteressamento delle competenti autorità in occasione dello sciopero del 25 gennaio alla FIAT. Tutela della libertà di lavoro


PRESIDENTE

Interrogazione presentata dal Consigliere Rossotto in data 31/1: "Disinteressamento delle competenti autorità in occasione dello sciopero del 25/1 alla FIAT - Tutela della libertà di lavoro".



CONTI Domenico, Assessore ai problemi del lavoro e dell'occupazione

Lo sciopero avvenuto alla Fiat il 25 gennaio '74 dev'essere inquadrato negli avvenimenti strettamente connessi che l'hanno preceduto, in particolare con le lunghe, estenuanti trattative che la Direzione e le Organizzazioni sindacali avevano iniziato presso l'Unione Industriale di Torino fin dal novembre '73 per la stipulazione del contratto integrativo aziendale.
Dopo un inizio che sembrava orientato verso una rapida conclusione sorsero difficoltà su cospicui argomenti, quali gli investimenti da effettuare nel Mezzogiorno e le contribuzioni sociali. Inoltre, la crisi petrolifera suscitava allarme sulla situazione economica del Paese, ed in particolare sull'avvenire delle fabbriche di automezzi.
Emersero così i primi dissensi ed i primi scioperi vennero effettuati.
Il negoziato fu interrotto il 15 gennaio, perché le proposte della Fiat furono giudicate negative dalla Federazione lavoratori metalmeccanici specie nei riflessi salariali, cioè nell'offerta di corrispondere ai dipendenti 7845 lire in più al mese.
Si aggiunga che la decisione della Lancia, controllata dalla Fiat, di ridurre a 24 ore settimanali il lavoro per seimila dipendenti contribuì ad acuire la frattura fra le parti. Nelle fabbriche l'atmosfera divenne tesa.
Il 14 febbraio i colloqui vennero ripresi e la Fiat avanzò nuove proposte sugli investimenti e sui contributi industriali ed aument l'offerta salariale a 12.000 lire in media. Ma la F.L.M. giudicò inadeguato l'aumento, anche perché in quei giorni il Governo autorizzò rincari per numerosi generi di prima necessità. Affiorarono pure contrasti sull'organizzazione del lavoro: tra l'altro, i Sindacati non volevano l'abolizione delle pause e delle indennità previste per il trasferimento della categoria di montaggio alle isole. La situazione si rese difficile negli stabilimenti, e si pervenne allo sciopero del 25 gennaio.
Sono noti i fatti successivi. Il 14 febbraio furono ripresi i colloqui che però vennero nuovamente interrotti il 20. Il 27 la Fiat chiese al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale la convocazione delle parti per una composizione della vertenza, che fu conclusa con le trattative di Roma.
In ordine a quanto richiesto nella interrogazione, si rileva che l'ultima vertenza Fiat non è stata una vertenza facile, sia perch protrattasi oltre il previsto sia per l'intervento di fatti esterni, quali l'aumento dei prezzi e la crisi energetica, che hanno aumentato il disagio dei lavoratori e quindi la tensione all'interno degli stabilimenti. Perci i Sindacati hanno trovato obiettive difficoltà nel perseguire la organizzazione e la gestione corretta dell'azione dello sciopero, sul quale peraltro si sono avute dalle diverse parti valutazioni difformi. Gli stessi Sindacati, com'è noto, si sono dissociati da qualsiasi episodio di violenza, in ordine ai quali da parte dell'Azienda interessata, dei singoli lavoratori, delle forze dell'ordine è sempre possibile il ricorso alla Magistratura. Peraltro, una vertenza che coinvolga migliaia e migliaia di lavoratori non è immaginabile che si svolga senza un consistente impegno delle Organizzazioni sindacali, e di fronte a questo impegno non è possibile invocare un atteggiamento delle strutture dello Stato che risulti pregiudizialmente dubitoso della coscienza democratica dei lavoratori e della loro volontà di rispettare le norme costituzionali.
In ogni caso, la Giunta, per quanto e di sua competenza e nelle sue possibilità, si sente impegnata a svolgere ogni intervento possibile per favorire il più rapido e corretto svolgimento delle vertenze sindacali.
Infine, la Giunta è certa che anche in quella occasione le forze dell'ordine hanno assolto il loro compito nel modo migliore.



PRESIDENTE

L'interrogante è soddisfatto della risposta?



ROSSOTTO Carlo Felice

Insoddisfatto, dato il ritardo con cui mi è stata data.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione del Consigliere Besate sulla necessità di un intervento regionale per salvaguardare il posto di lavoro degli operai della ditta Giacomelli di Mathi Canavese


PRESIDENTE

Interrogazione presentata dal Consigliere Besate in data 14/3 "Necessità di un intervento regionale per salvaguardare il posto di lavoro degli operai della Ditta Giacomelli di Mathi Canavese".



CONTI Domenico, Assessore ai problemi del lavoro e dell'occupazione

L'attuale Giacomelli S.p.A. di Mathi fu fondata come semplice ditta individuale nel 1920 da Ferdinando Giacomelli, che eserciva una segheria.
L'azienda fu poi assunta dal figlio Federico, che morì nel 1964, e fu trasformata in società per azioni nel 1969 dalla vedova, Teresa Dolce e dal figlio Ferdinando, che pertanto sono gli unici soci ed azionisti.
Le dimensioni e l'attività venivano notevolmente ampliati. L'azienda opera nel settore della falegnameria edile, ed in particolare produce porte e finestre. Le vendite vengono effettuate in tutto il territorio nazionale ed all'estero. I dipendenti sono 179, 224 nel '72.
La Società ha comunicato la situazione patrimoniale ed economica al 31 dicembre '72, che per brevità tralascio di precisare ora, mettendo però il dettaglio a disposizione per una presa di conoscenza dell'interrogante.
La crisi della Giacomelli ha avuto inizio nel '71. Secondo l'Azienda le cause principali sono almeno tre: la prima consiste nel disagio del settore edilizio, il cui mercato si è fortemente ristretto, creando una agguerrita concorrenza ed una riduzione di prezzi mentre per contro sono molto aumentati i costi delle materie prime per la difficoltà di reperire legname all'estero e per gli incrementi dei salari nel settore metalmeccanico per quanto concerne gli accessori questo stato di cose ha portato ad una crescente insolvenza della clientela, che tende a dilazionare i pagamenti, producendo crisi di liquidità ed aggravio di spese finanziarie inoltre, l'Azienda ha subito una perdita di 96 milioni, oltre alla mancata vendita di materiale pronto per oltre cento milioni, nei confronti della Società generale Costruzioni di Pescara in relazione ad una fornitura destinata all'Istituto autonomo delle Case popolari di Firenze infine, la Società ha investito circa 400 milioni negli ultimi tre anni, di cui 200 coperti da un mutuo del Medio Credito, portando gli impianti ad una notevole capacità produttiva. Però, la restrizione del circolante e la frammentarietà delle ordinazioni non consentono il totale sfruttamento degli impianti stessi, con aggravio delle spese fisse di gestione.
L'Azienda ha reso noto che in data 20 aprile '73 ha chiesto un finanziamento in partecipazione alla Finanziaria regionale piemontese e nel successivo 2 maggio ha inoltrato analoga domanda alla GEPI. Peraltro, la Finanziaria afferma di non aver subordinato l'eventuale suo intervento all'accennata condizione e ritiene piuttosto che occorra una ristrutturazione della Società, specie nei riflessi della produzione del mercato.
Le difficoltà economiche della Giacomelli S.p.A. si stanno sempre più aggravando. Gli stipendi alle maestranze sono stati più volte corrisposti in ritardo. I due azionisti della Società hanno bensì versato somme fino a 200 milioni, ma ciò è insufficiente a sanare la situazione. Essi ritengono che debba intervenire un idoneo aiuto finanziario esterno, altrimenti dovranno adottare drastici provvedimenti allo scopo di evitare un ulteriore deterioramento, che porterebbe al dissesto.
Le Organizzazioni sindacali, riunite nella Federazione dei lavoratori delle costruzioni, hanno reso noto, con un comunicato del 19 gennaio ultimo scorso, la gravità della situazione ed hanno chiesto l'intervento degli Enti locali e delle autorità. Il Consiglio comunale di Mathi, con delibera del 29 successivo, si è rivolto al Governo, alla Regione, alla GEPI, alla Finanziaria regionale piemontese per scongiurare la chiusura della fabbrica e la perdita dell'occupazione. Fino a qualche mese fa esisteva comunque da parte della GEPI un orientamento positivo nei confronti della Giacomelli nella ipotesi di costituire con la Imas e la Iril, società in cui la GEPI era già entrata in compartecipazione di minoranza, un complesso per la fabbricazione di infissi e serramenti basato su distinte specializzazioni produttive volte al settore della edilizia popolare e di massa. Nonostante queste ipotesi di partenza, la GEPI, che pure aveva fatto effettuare valutazioni e sopralluoghi alla Giacomelli, a causa dell'aumento esagerato del costo delle materie prime e per le difficoltà in cui si è venuta a trovare sul piano finanziario, e soprattutto per il mancato rilancio dell'edilizia abitativa, ritiene di non poter assolutamente più intervenire per il salvataggio della Giacomelli.
La cosa è stata accertata, dopo una lunga ricerca di incontro, durante una riunione promossa dalla Giunta Regionale e tenutasi venerdì 19 aprile presso la GEPI, alla quale hanno partecipato le rappresentanze degli Enti locali, delle Organizzazioni sindacali e dei lavoratori.
La Giunta Regionale, consapevole della gravità del problema in ordine all'economia dell'intera zona cui appartiene il Comune di Mathi, specie per quanto attiene il mantenimento dei posti di lavoro, assicura che continuerà a svolgere ogni possibile azione al fine di scongiurare la chiusura dell'Azienda.



BESATE Piero

La descrittiva è stata perfetta. Non mi resta che prendere atto dell'assicurazione finale che la Giunta continuerà ad occuparsi, con ritmo incessante, anzi incalzante, del problema, perché, come lo stesso Assessore ha detto, la situazione nella zona delle Valli di Lanzo (che non sto a descrivere perché nota a tutti) presenta elementi di gravissima preoccupazione generale, e in particolare per l'azienda oggetto della interrogazione. La nostra richiesta è che l'impegno dichiarato venga mantenuto, come sono certo essere nelle intenzioni di chi l'ha assunto.


Argomento: Università

Interrogazione dei Consiglieri Soldano-Falco sulla istituzione di nuove Università in Piemonte


PRESIDENTE

Interrogazione Soldano-Falco del 24/4/'74: "Istituzione di nuove Università in Piemonte - Richiesta di portare a conoscenza del Consiglio le conclusioni dell'Intercommissione".
La risposta compete al Presidente della Giunta.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Desidero semplicemente assicurare agli interroganti che non appena sar in possesso del testo della relazione della Intercommissione la Giunta lo esaminerà e quindi lo porterà all'esame del Consiglio.



PRESIDENTE

Abbiamo così concluso l'esame di interpellanze ed interrogazioni rimane in sospeso unicamente l'interrogazione Bertorello-Menozzi del 24 aprile.
Il Presidente della Giunta mi ha chiesto di poter fare ora alcune dichiarazioni.


Argomento: Sistema informativo regionale - Enti strumentali

Comunicazioni del Presidente della Giunta


OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Innanzitutto, qualche notizia al Consiglio in merito alla Moncenisio che sta per bruciare proprio alle ultimissime ore. Mentre la riunione svoltasi a Roma (la Regione era presente con l'Assessore al Lavoro, Conti) ha dato risultati che possono considerarsi positivi circa la possibilità di gestione con la nuova Società che verrà costituita o con la Società già esistente dell' EGAM, alla quale verrebbe attribuita la funzione di condurre innanzi questa Azienda, il che ha lasciato abbastanza sollevati i partecipanti all'incontro, con la possibilità di un ulteriore sviluppo delle precisazioni, delle normative, l'aspetto del reperimento del denaro necessario, che era stato in un primo momento precisato nella somma di un miliardo e mezzo, portato poi a cinque miliardi, nonostante l'intervento da parte della IMI per la somma di due miliardi, è meno incoraggiante: al momento in cui vi parlo, si è giunti a mettere insieme, con il concorso per un miliardo ciascuno di tre importanti istituti di credito piemontesi l'Istituto San Paolo di Torino, la Cassa di Risparmio di Torino, la Banca Popolare di Novara -, un totale di tre miliardi.
I tre Istituti hanno tenuto a mettere in evidenza che questa loro decisione costituisce un atto di riguardo verso la Regione Piemonte, nella convinzione di dare così un contributo alla soluzione di problemi che incombono sulla nostra Amministrazione regionale.
Oltre a queste tre risposte positive, vi sono, fino a questo momento due risposte negative in termini assoluti; mancano ancora sette risposte che attraverso continui contatti telefonici cerchiamo di ottenere. Mi sono impegnato a riferire entro mezzogiorno al Presidente del Tribunale (ho ritenuto di potermi rivolgere a lui personalmente, evitando di rivolgermi direttamente a chi deve praticamente decidere, cioè il Presidente del Tribunale fallimentare). Dalla risposta che potrò dargli dipenderanno ovviamente le decisioni che il Tribunale fallimentare prenderà nel pomeriggio di oggi sulla istanza di fallimento presentata direttamente dagli interessati. Mi auguro che in queste due ore le cose vadano facilmente in porto. Ho chiesto di poter conferire con l'EGAM, per ragguagliarla ed anche per sapere se il ritardo nel reperimento della restante somma non bloccherà ipso facto la soluzione. Se tutto andrà come ci auguriamo avremo veramente messo a frutto il tempo che abbiamo dedicato a questa questione, risolvendo un grosso, delicato, complesso problema.
Mi ero impegnato a dare entro il giugno '74 qualche notizia in rapporto all'operazione diretta alla acquisizione della Mandria, operazione alla quale attendono i tecnici a suo tempo nominati della Giunta Regionale. Non sarò in grado di dire entro quel termine nulla di definitivo, ma non per motivi addebitabili alla Giunta ma per impreviste complicazioni. Mentre i contatti per il completamento dell'operazione continuano fra il Presidente ed il rappresentante della proprietà della Mandria, ha creato una certa preoccupazione, nei giorni scorsi, il timore che il Ministero dei Trasporti e dell'Aviazione civile non concedesse la autorizzazione ad utilizzare i rilievi fatti per via aerea. Proprio ieri, però, il dott. Floriani ha informato che questa autorizzazione è venuta, di tal che il materiale nel giro di pochi giorni (presumibilmente intorno al 5-6 luglio) dovrebbe essere a disposizione della Regione. Fra pochissimi giorni, ancora entro la fine di giugno, dovremmo avere anche la perizia che è stata commissionata all'architetto Bellei per l'aspetto della valutazione. L'Assessore Paganelli, che è stato dalla Giunta incaricato, come Assessore al Patrimonio, di seguire la pratica, non appena avrà avuto questi elementi ne riferirà alla Giunta, ed io ne darò successivamente ragguagli al Consiglio.
A nome della Giunta, nella riunione passata avevo preso impegno per la presentazione ai primi di ottobre di un insieme di linee di programma in ordine al Piano territoriale di coordinamento dell'area ecologica di Torino. Mi corre l'obbligo di fare in proposito talune precisazioni, per non sentirmi poi dire: potevate almeno avvertirci. In relazione alla deliberazione assunta dal Consiglio Regionale relativamente appunto alla formulazione delle linee del piano per l'area programma di Torino, si sono avuti in questi giorni parecchi contatti con l'IRES e con la Sezione urbanistica della Regione, per configurare insieme le modalità da seguire per portare avanti questo elaborato il più rapidamente possibile. La Giunta è stata notiziata di questi incontri, ai quali ho presieduto, ed ha approvato alcune linee essenziali, che ora indicherò.
Il piano territoriale di coordinamento viene configurato come articolazione sul territorio di un piano di sviluppo socio-economico da formularsi all'interno delle grandi opzioni, già evidenziate nei numerosi dibattiti avvenuti sul piano di sviluppo regionale, di cui quest'area rappresenta il punto cruciale sia in termini di dimensione (si tratta, in pratica, della metà della popolazione della Regione che insiste su questo territorio), sia in termini di dinamismi socio-economici e territoriale.
L'aver posto una saldatura tra dinamica socio-economica e sua distribuzione nello spazio ci ha indotto a chiedere all'IRES, accogliendo anche una espressione venuta dal Consiglio, di occuparsi della direzione scientifica del progetto, mentre la Sezione Urbanistica della Regione ne curerà la redazione tecnica, evidentemente in accordo fra i due istituti.
L'IRES e la Sezione Urbanistica della Regione hanno già avuto dei primi incontri per configurare le ricerche di base e le fasi secondo cui l'intero studio dovrà articolarsi. Uno schema di tale studio potrà essere pronto entro una quindicina di giorni.
E' rimasto inteso che anche per via dei termini ristretti entro cui lo studio dovrà essere svolto, occorrerà la collaborazione dell'Ufficio tecnico dell'Amministrazione provinciale di Torino, del Comune di Torino e dei principali Comuni dell'area. Questo per avere immediatamente conoscenza, oltre alla attività collaborativa, di talune esigenze che possono in quella sede essere rappresentate.
L'IRES ritiene che, mentre sarà possibile fornire, insieme alla Sezione Urbanistica, alla Giunta, e quindi al Consiglio, i primi elementi per una discussione sul problema entro tre mesi, cioè entro il termine che era stato assunto, trasferito di poco, ai primi di ottobre, da chi vi parla per la formulazione della proposta di piano sull'area, i tempi necessari saranno di cinque mesi (non cinque mesi successivi ai tre, ma in tutto).
L'esame della problematica dell'area metropolitana, con riferimento all'intero assetto della Regione, ha consentito di approfondire i motivi secondo cui l'ampiezza di quest'area doveva essere prioritariamente definita con riferimento all'organizzazione dell'intera Regione in comprensori, piuttosto che a partire dalla città di Torino, ricavandone l'ambito spaziale su cui si determineranno attualmente le più forti interdipendenze socio-economiche e territoriali.
L'area oggetto di studio e di formulazione del piano territoriale sarà dunque, quella proposta dai vari studi sull'argomento formulati dall'IRES anche se potrà essere opportuno ricavare all'interno della grande area delle sub-aree intorno a dei centri sub-dominanti.
La Giunta, affrontando il problema dell' area metropolitana torinese ritiene di affrontare il principale nodo socio-economico e urbanistico della Regione, conformemente a quanto già emerso dai dibattiti sulla pianificazione regionale, ma non intende affatto ignorare, né ignora quanto avviene sul resto del territorio della regione.
La Giunta è, ad esempio, a conoscenza che il Consorzio dei Comuni biellesi sta portando a termine gli studi per il piano di sviluppo del comprensorio, e si metterà in condizione di esaminarlo con la Comunità biellese, al fine di redigere il relativo piano di coordinamento territoriale. Analogamente la Giunta intende operare nei confronti delle altre Comunità territoriali, sviluppando un'azione di sostegno e di stimolo mediante gli Assessorati all'Urbanistica ed alla Programmazione che si avvarranno a tal fine dell'IRES.
La Giunta, e per essa chi vi parla, aveva preso anche un altro impegno: di riferire entro il mese di giugno qualche cosa relativamente al grosso importante problema del Centro di calcolo, che sta a cuore al Governo regionale e al Consiglio Regionale. In adempimento dell'impegno assunto e del mandato ricevuto dal Consiglio Regionale, per giungere in tempi brevi a formulare una precisa indicazione operativa in ordine al Centro di calcolo ha costituito un'apposita Commissione, diretta dal Presidente, con delega all'Assessore Paganelli in caso di assenza, e composta dagli Assessori Benzi, Conti, Gandolfi, Paganelli e Simonelli, assistiti dai funzionari dell'Amministrazione prof. Gaboardi e dott. Clemente, dott. Gatti consulente alla Programmazione, e dal prof. Detragiache, direttore dell' IRES.
La Commissione ha ritenuto anzitutto opportuno, muovendosi lungo le linee già tracciate dall'Intercommissione consiliare, precisare gli aspetti metodologici del suo lavoro, per affrontare in termini corretti ed adeguati il problema del Centro di calcolo e dei rapporti tra la Regione l'Università ed il Politecnico, nella prospettiva indicata dal Consiglio Regionale di ricercare una soluzione comune per la gestione di un Centro di elaborazione informatica.
Nel corso di questa preliminare impostazione dell'ipotesi di lavoro da assumere, si è anzitutto cercato di definire con chiarezza il ruolo del Centro di calcolo, e si è convenuto che esso non può essere visto concluso in se stesso, o come obiettivo principale e definitorio del più ampio problema dell'acquisizione e della elaborazione delle fondamentali informazioni rilevanti a livello regionale, ma deve essere considerato come un elemento di un sistema informativo regionale, rispetto al quale assolva un ruolo funzionale e strumentale.
Ponendosi in questa ottica, la Commissione si e proposta di delineare nelle sue prime linee generali, configurazione e caratteristiche di questo sistema informativo regionale, individuando e specificando in primo luogo le esigenze proprie della Regione, in relazione ai suoi diversi ruoli e in ordine alla acquisizione, al trattamento e alla gestione dei dati e delle informazioni.
Si sono definite pertanto tre aree, tra loro complementari e connesse in riferimento proprio alla pluralità di esigenze tecniche e politiche ed al diverso esplicarsi dell'attività della Regione: la prima area e rappresentata dalla Regione, intesa come impresa, ed è definita, quindi, dalla sua attività burocratico-amministrativa la seconda area si fonda sull'attività di pianificazione della Regione, e riguarda, quindi, l'insieme delle conoscenze sul sistema socio-economico e territoriale piemontese su cui la Regione deve intervenire la terza area, infine, è rappresentata dall'integrazione di tutti i singoli sistemi informativi già operanti o che possono essere attivati nell'ambito regionale.
Nella ipotesi di questo sistema informativo integrato regionale, alla Regione spetta un ruolo di promozione e di coordinamento, che naturalmente investe anzitutto il suo operare in questa materia.
Impostato in questi termini il problema, la Commissione si è incontrata con una rappresentanza dell'Università e del Politecnico, guidata dai Rettori, proff. Sasso e Rigamonti, alla quale ha esposto le linee di lavoro lungo le quali intendeva procedere ed ha chiesto che anche l'Università ed il Politecnico svolgessero una analoga ricognizione di esigenze e di prospettive, in riferimento soprattutto al ruolo che le istituzioni universitarie possono svolgere non solo nell'utilizzo del Centro di calcolo per la didattica e la ricerca, ma nella costruzione del sistema informativo regionale.
Nei due incontri si è potuto verificare l'esistenza di una larga convergenza di giudizi e di intenzioni e di propositi tra la Commissione e l'Università, così come si è potuto accertare che si sono parzialmente modificati i problemi dell' attuale Centro di calcolo, il quale, in seguito a miglioramenti che si sono verificati sul piano organizzativo e sul piano funzionale, trova ora una migliore e più ampia utilizzazione, che riduce la necessità di un intervento immediato della Regione per consentire la sopravvivenza del Centro stesso. Il rapporto tra Università e Regione pu quindi svilupparsi con minore assillo, incontrandosi sulla progettazione del sistema informativo regionale e del Centro di calcolo di cui il sistema dovrà avvalersi.
Su questi temi la Commissione ha richiesto all'Università ed al Politecnico di presentare un apposito documento, che ci è stato consegnato personalmente, ed illustrato in sintesi, se non vado errato, dal prof.
Ricca, martedì scorso, 25 giugno. Da questo documento si evince chiarissimamente che anche l'Università si è posta nella stessa ottica della Regione.
Le funzioni dell'Università e del Politecnico vengono infatti definite in relazione all'Università come impresa, all'Università come utente e come produttrice di servizi di informatica, alla Università come nucleo centrale del sistema universitario piemontese.
Nel frattempo, la Commissione ha proceduto ad approfondire sia le problematiche più strettamente connesse al funzionamento della Regione come Ente di amministrazione, come Ente di governo e come centro di propulsione e di coordinamento, ed anche su questi temi, come sull'impostazione complessiva del discorso, è stato predisposto un primo documento di massima.
L'essere riusciti ad individuare insieme con l'Università una prospettiva di più ampio respiro, che riconduce in più limitate dimensioni il problema del Centro di calcolo, rappresenta indubbiamente, ad avviso della Giunta, un passo innanzi di grande significato politico, e proprio per la complessità della prospettiva che si è aperta la Commissione ha ritenuto di dover proseguire ancora i suoi lavori per poter sottoporre alla Giunta, e tramite questa al più presto al Consiglio, un'indicazione operativa non solo relativamente al Centro di calcolo ma al vero e proprio avvio di un sistema informativo regionale.
Anche se il Centro di calcolo non pone più i motivi di urgenza dei mesi scorsi, rimangono altre esigenze che debbono essere risolte tempestivamente, e che riguardano non solo l'Università ma anzitutto la Regione, nel suo funzionamento amministrativo e nella sua attività di programmazione, e quindi anche l'IRES come strumento della politica regionale di pianificazione.
Consapevole, quindi, della necessità di giungere quanto prima alla conclusione del suo lavoro, senza rinunciare a quegli approfondimenti che si sono resi necessari, la Commissione presenterà entro il mese di luglio la sua relazione alla Giunta e poi al Consiglio, in modo che prima delle ferie estive sia possibile giungere ad una concreta decisione sugli indirizzi da seguire.
Sono certo che anche il Consiglio si renderà conto della validità dei motivi che ci hanno indotto a prolungare di poco tempo questo lavoro preparatorio, che, se impediscono un puntuale assolvimento dell'impegno temporale assunto, mese di giugno, ci porteranno però a definire una prospettiva assai più significativa e ricca di possibilità di quella inizialmente richiestaci.
Le due relazioni IRES e la relazione dell' Università sono state portare alla Commissione martedì sera. Non nella seduta di domani, che sarà dedicata ad altre questioni - fra l'altro la legge sul Personale, molto importante -, ma in una delle sedute di Giunta della settimana ventura, i due documenti, già distribuiti, verranno ulteriormente approfonditi, molto verosimilmente ci sarà un altro incontro con l'Università, per scambiarci delle impressioni, e successivamente si camminerà più speditamente che sarà possibile.
Dovrei dire qualcosa sul problema universitario, ma preferisco rimandare, in attesa che la Intercommissione mi faccia avere la sua relazione, che è indispensabile per potere esaminare la cosa in Giunta e poi riferire in Consiglio, per averne il conforto di opinioni e linee indicative: entro il mese di settembre, la Giunta deve esprimere al Ministero il proprio avviso circa i nuovi insediamenti previsti per l'area piemontese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Intervengo brevemente, soltanto in merito alla questione della Moncenisio.
Abbiamo appreso dal Presidente che la situazione presenta ancora insieme con elementi positivi, elementi che destano preoccupazione. Sarebbe davvero grave che l'operazione, per una carenza di finanziamento di due miliardi, non dovesse andare a buon fine.
Ripeto però quanto ho già detto la settimana scorsa: se l'esito non fosse quello auspicato non assolveremmo comunque il Governo e il Ministro che questa direttiva ha dato, garantendone l'efficacia, dalle loro responsabilità; non contino essi di giustificarsi facendo richiamo alla eventuale non riuscita della attività che sta svolgendo, ne devo dare atto la Regione Piemonte.
Quanto poi all'impegno delle Banche torinesi, il Presidente della Giunta ha voluto mettere in evidenza che questi istituti lo hanno assunto per "un atto di riguardo verso la Regione Piemonte". Penso non sia fuori luogo ricordare che queste banche possono ben fare questo gesto di ossequio visto che ricavano un buon utile dalla gestione dei fondi della Regione Piemonte, che concedono in prestito ad un tasso di interesse ben maggiore di quello che corrispondono.



PRESIDENTE

Forse lei non è al corrente che il tasso a nostro favore è stato recentemente ritoccato in aumento, per cui la differenza a vantaggio delle banche è inferiore a quanto presume.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Rivalta. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Il mio intervento verte su due dei punti toccati dal Presidente della Giunta: il Piano territoriale e il Centro di calcolo.
Prendiamo atto che a distanza di pochi giorni dal dibattito in Consiglio, provocato dalla nostra mozione, si sono già svolti incontri operativi per rendere possibile la elaborazione del Piano territoriale. Ci soddisfa che sia stata adottata l'impostazione da noi sempre sostenuta, che vede il Piano territoriale connesso con il piano di sviluppo. Riteniamo positivo che gli obiettivi dello sviluppo regionale siano da porre alla base dell'elaborazione del piano territoriale dell'area ecologica torinese.
Il Presidente della Giunta ci ha annunciato che fra una quindicina di giorni sarà disponibile uno schema di tale studio. Penso si tratti di un organigramma di lavoro, in cui saranno meglio precisati i vincoli che si dovranno considerare nella formulazione del piano territoriale. Le indicazioni generali, che noi condividiamo, relative agli obiettivi del piano di sviluppo regionale in studio, dovranno trovare specificazione nelle grandi opzioni di questo piano territoriale dell' area torinese.
Noi chiediamo di poter svolgere un dibattito su questo schema, affinch il Consiglio di questa fase di impostazione sia responsabilizzato e dia il proprio contributo. Ma anche le successive fasi dovranno avere il sostegno e la garanzia di una posizione del Consiglio.
Quindi, sollecitiamo la Giunta a porre in discussione entro il prossimo mese di luglio (visto che entro quindici giorni dovrebbe essere pronto questo schema) in Consiglio Regionale questa impostazione, così da ricavare dal dibattito elementi positivi per una elaborazione rapida, quale dev'essere se si vuol rispettare, non il termine di novanta giorni da noi proposto, e con l'o.d.g. del 14 scorso accettato dal Consiglio, ma almeno quello di cinque mesi indicato oggi dalla Giunta. A questo proposito, ci rendiamo conto che i novanta giorni costituiscono una scadenza alquanto jugulatoria e non ci formalizziamo su questo termine: siamo quindi disposti ad accettare anche i cinque mesi, purché ci sia fin dall'inizio una impostazione chiara e responsabile dell'elaborazione alla cui definizione sia chiamato il Consiglio Regionale. Proprio per rispettare almeno la scadenza dei cinque mesi, è necessario partire bene, e quindi, discutere entro il mese di luglio lo schema di impostazione che stanno approntando l'Assessorato e l'IRES.
Sosteniamo inoltre - d'altra parte questo faceva già parte delle proposte collaborative da noi avanzate in questi ultimi due anni - un programma di lavoro per la formulazione dei piani territoriali a livello di tutte le altre aree ecologiche, oltre all'area ecologica di Torino, in particolare di quella del Biellese, che si presenta già con una propria elaborazione. Questa prospettiva mi richiama all'esigenza di una rapida presa di posizione del Consiglio Regionale e della Giunta in merito alla costituzione dei comprensori, ai quali noi intendiamo attribuire la gestione di questa politica di piano, già sin dalla fase di sua formazione.
Come già ho fatto in sede di dibattito sulla nostra mozione, nella seduta del 14 giugno sollecito l'esame della nostra legge sui comprensori affinché l'istituzione dei comprensori possa essere messa in atto nell'ambito di questa legislatura, non rimandando alla legislatura successiva, con il probabile accumularsi di ritardi che ci porterebbero molto in là nel tempo.
Vengo al secondo punto, quello che riguarda il Centro di calcolo.
Era stato assunto l'impegno di prendere una decisione entro la fine di giugno. Noi dobbiamo fare le nostre rimostranze per questo ulteriore rinvio, che disattende la decisione presa con l'ordine del giorno del 14 marzo (dal 14 marzo ad oggi sono passati tre mesi e mezzo, che evidentemente non sono stati utilizzati proficuamente); anche perché questo rinvio si aggiunge ad altri, rischiando di caratterizzare la attuale Giunta come la Giunta dei rinvii, dei tentennamenti...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Tenga presente che in questa Giunta sono numerosi gli avvocati, e noi avvocati siamo notoriamente portati ai rinvii.



RIVALTA Luigi

Sarebbe meglio allora che in Giunta fosse meno nutrita la rappresentanza degli avvocati e vi fosse più numerosa presenza di elementi di altre professioni più prettamente esecutive...



BESATE Piero

Basterebbe che gli avvocati si dimenticassero in questa sede di esser tali...



RIVALTA Luigi

...che meglio si attaglierebbero al carattere esecutivo della Giunta.
Ricordo che attorno a questo problema del Centro di calcolo stiamo lavorando dal marzo '73, cioè ormai all'incirca da un anno e mezzo. Pi volte ci si è espressi in passato per la realizzazione di questo strumento necessario sia sul piano dell'efficienza amministrativa sia su quello della raccolta dell'informazione. E sono lieto che una serie di considerazioni che erano state svolte in questo anno e mezzo, dilatando la concezione del Centro di calcolo a quello di un sistema informativo regionale, siano stati fatti propri questa mattina dal Presidente della Giunta. Proprio questo aspetto indica come, oltre al suo strumento di efficienza, il sistema informativo costituisce uno strumento di democrazia e di partecipazione quindi è uno strumento sostanziale per caratterizzare la vita di questa Regione.
Nel maggio dell'anno scorso, con un ordine del giorno di questo Consiglio, si era dato incarico ad una Commissione di lavorare attorno al problema delle sedi universitarie e attorno al problema della costituzione di un Centro di calcolo, inteso come sistema informativo regionale. Sulla base di quell'ordine del giorno ha impostato i suoi lavori la Intercommissione, (composta di tre Commissioni), che ha lavorato fino al febbraio scorso. In questo lavoro - lo voglio sottolineare come dato di fatto, che ci deve pur impegnare nella risposta - abbiamo avuto la collaborazione dell'Università (l'ordine del giorno diceva appunto che dovevamo lavorare in rapporto con l'Università), con un contributo di qualità. Nel luglio dell'anno scorso l'Università aveva già formulato delle proposte, che credo siano state prese a base della stessa formulazione che adesso è stata consegnata. Se questa è andata oltre, nel senso in cui diceva il Presidente della Giunta, tanto meglio: ma mi pare che così non è la sostanza già era contenuta nei documenti che l'Università aveva consegnato nel luglio dell'anno scorso all'Intercommissione.
L'attesa è stata già abbastanza lunga quindi. In considerazione di questa attesa sollecito una presa di posizione della Commissione interassessorile che è stata formata per occuparsi di questo problema abbandonando ogni posizione dilatoria.
Vorrei a questo punto discutere un passo delle comunicazioni del Presidente della Giunta, che mi è sembrato non del tutto chiaro. Il Presidente della Giunta ha osservato come la soluzione data all'attuale Centro di calcolo dell'Università - soluzione parziale, certamente, ma comunque un passo avanti rispetto alla situazione dell'anno scorso consenta di affrontare con un certo respiro i successivi problemi. Questo può essere vero nel senso che non vi sono più i pericoli che vi erano l'anno scorso per la vita dell'attuale Centro di calcolo dell'Università il che ci dà la possibilità di affrontare con maggiore libertà il problema del sistema informativo. Ma è anche vero che dal sistema informativo l'Università intende trarre le condizioni per un superamento qualitativo e quantitativo delle sue attività nel campo dell'informatica, che l'uso dell'attuale Centro di calcolo non gli consente. La stessa massa di informazione, il legame di questa informazione alla realtà socio-economica piemontese che saranno forniti dal sistema informativo, diventano sostanziali per qualificare l'uso degli strumenti dell'informatica da parte dell'Università, sia sul piano della ricerca che su quello della didattica.
E sotto questo profilo, secondo me, non ci sono periodi lunghi. E' urgentissimo promuovere la qualificazione dell' attività dell'Università in merito a questa esigenza siamo fortemente in ritardo.
Siamo in presenza di una degradazione continua, permanente dello stato dell'Università. Il Presidente della Giunta, che si era accollato, come Giunta, il compito di tenere i rapporti con l'Università, ha avuto occasione di partecipare a convegni, nel corso dei quali si sono evidenziate delle tensioni, e delle intolleranze: anche da tali elementi si evidenzia lo stato di crisi in cui vive l'Università, che sarà possibile superare solo nella misura in cui i contenuti della didattica e della ricerca che si introdurranno nell'Università riusciranno a riportare fuori da concezioni politiche astratte, pseudo-rivoluzionarie, il pensiero degli studenti, per indirizzarlo verso un'azione seriamente riformatrice.
Si tratta di un problema urgente, alla cui soluzione noi dobbiamo contribuire. Ricordo che altre Regioni l'hanno fatto concedendo sovvenzioni anche cospicue alle loro Università, perché queste potessero dare spazio alla loro attività interna; e si è trattato di elargizioni fatte a scatola chiusa. La Regione Piemonte ha nel passato, anche grazie al rapporto stabilito attraverso l'Intercommissione con l'Università, individuato una possibilità di intervento collaborativo che, oltre a rispondere ad esigenze della Regione, dà all'Università degli strumenti qualificati e non soltanto dei mezzi di sussistenza; ecco perché il sistema informativo è uno strumento essenziale, e urgente.
D'altra parte, credo che dovremo nei confronti di questa Università che colloquia positivamente con noi, che ci ha anche aiutato a risolvere problemi nostri, tanto che l'assunzione di impegno che questa mattina il Presidente della Giunta ci ha indicato in direzione di un sistema informatico la dobbiamo, questa è la verità, all'intervento dell'Università dare delle risposte in tempi ragionevoli, non dilazionando di continuo le scadenze; un atteggiamento reiteratamente dilatorio della Regione è scorretto nei confronti del nostro interlocutore, ed equivale ad un disconoscimento della validità dell'Università.
Voglio ancora richiamare, da ultimo, che ci troviamo in presenza di un'aggressione da parte di imprese private, o di imprese miste, ai poteri di intervento degli istituti pubblici, e ciò sia nei confronti della Regione e degli Enti locali, sia della Università. Ci sono iniziative che tendono a portare al di fuori delle assemblee elettive tutto il potere decisionale e la possibilità di intervento sul territorio. Si veda l'iniziativa in corso da parte delle varie società private o di partecipazione statale nei confronti della Regione; dall'altra parte ci son le iniziative di questi stessi grossi monopoli industriali per una politica di formazione universitaria al di fuori dell'istituzione pubblica. Non rispondendo rapidamente ad un problema di qualificazione, e della Regione e degli Enti locali, e dall'altra parte dell'Università, quale può derivare anche dalla costituzione di un sistema informativo, noi favoriamo il successo di questa aggressione, indeboliamo la stessa funzione della Regione, contribuiamo a dequalificare ulteriormente l'Università e forse a metterla in una condizione dalla quale non le sarà più possibile risollevarsi.
Confuto pertanto che si possa operare con tranquillità, avendo davanti a noi tempi lunghi: anche se il problema particolare del Centro di calcolo attuale dell'Università è stato in parte risolto, dobbiamo affrontare gli altri problemi con estrema urgenza. Entro il mese di luglio dev'essere presa una decisione da parte del Consiglio Regionale, con una risposta positiva, quale mi pare lasci trasparire la dichiarazione che il Presidente della Giunta questa mattina ha fatto. Si tratta di passare ad una fase di progettazione, che non può essere avviata al di fuori di un impegno di costituzione di strutture; bisogna giungere, in concorso fra noi l'Università ed il Politecnico, a costruire delle strutture istituzionalmente e formalmente valide.
Per noi resta valida la proposta della creazione di un consorzio: un consorzio di progettazione, che può tradursi poi in un consorzio di gestione, o può, di fronte a difficoltà che possano insorgere, sciogliersi senza passaggio ad una fase successiva. Ma ritengo sia necessario - per noi stessi, per l'Università, per un rapporto corretto tra Regione ed Università, per una azione politica che rifiuti ogni intromissione che su vario piano, e non solo su quello del Centro di calcolo, possono venire da enti privati - che entro il mese di luglio si arrivi ad una assunzione di responsabilità ed alla costituzione del consorzio.
Vorrei quindi che il Presidente della Giunta precisasse in termini più concreti l'impegno per il mese di luglio; scegliesse una data ben definita che pur lasciando uno spazio ragionevole anche alle esigenze di lavoro di questa Commissione interassessorile non cada proprio negli ultimi giorni di luglio. Siamo ormai a fine giugno: diciamo, che il Consiglio discuterà di questo problema, assumendo le sue responsabilità attorno a questa questione, alla metà di luglio.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Nei limiti del possibile, dico che potremo scegliere fra il 18 e il 25 che sono due giorni che ieri i Capigruppo hanno fissato come date per sedute di Consiglio.



PRESIDENTE

Era mia intenzione comunicare appunto che nella riunione dei Capigruppo di ieri è stato ipotizzato il lavoro anche rispetto a questo problema, mi pare intorno al 25. A tutti i Consiglieri è in corso di recapito, fra stamane e domattina, la lettera contemplante le ipotesi di lavoro per il mese di luglio. Dico subito che l'ultima seduta prima delle vacanze estive è prevista per giovedì I agosto.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Devo completare le mie comunicazioni relative alla Moncenisio in maniera purtroppo deludente: tutte le altre Banche interpellate hanno dato risposta negativa. Ne darò notizia fra poco all'EGAM e successivamente al Presidente del Tribunale.
Restano comunque fermi i tre impegni di cui ho già detto, che vorrei augurarmi siano sufficienti perché l'EGAM stessa possa continuare l'operazione.


Argomento: Province - Comuni - Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Esame proposta di legge al Parlamento per il consolidamento dei mutui contratti dai Comuni e dalle Province


PRESIDENTE

Mi è stato chiesto di passare ora, per ragioni tecniche al punto dell'ordine del giorno relativo a: "Esame della proposta di legge n. 111: "proposta di legge del Consiglio Regionale del Piemonte al Parlamento per il consolidamento dei mutui contratti dai Comuni e dalle Province".
Dopo l'esaurimento di questo punto, dovremmo ancora procedere oggi all'esame della proposta di deliberazione per l'acquisto di Palazzo Lascaris ed infine alla votazione sull'ordine del giorno relativo all'approvazione della legge per la depurazione delle acque reflue, mentre l'esame della relazione dell'Intercommissione per i problemi del decentramento universitario circa la localizzazione della Facoltà di Agraria e di Medicina veterinaria, per accordo intervenuto fra i Capigruppo, anche se iscritto all'ordine del giorno di oggi, verrà discusso giovedì prossimo: se i Consiglieri avranno la compiacenza di non assentarsi dall'aula, consentendo così che tutto proceda con regolarità, senza perdite di tempo, vi sono buone probabilità di concludere i lavori nelle prime ore del pomeriggio, senza che occorra tenere seduta pomeridiana.
Ha facoltà di parlare, per svolgere la relazione su questa proposta di legge, il Consigliere Visone.



VISONE Carlo, relatore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la proposta di legge al Parlamento che costituisce oggi oggetto di discussione e di dibattito in quest'aula consiliare prende in esame un importante aspetto della vita degli Enti locali, per il quale è indispensabile individuare quanto prima forme di intervento.
Uno dei compiti principali della Regione, previsto dallo Statuto stesso, riguarda l'attività volta a potenziare l'effettiva autonomia degli Enti locali, con iniziative che "rimuovono gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione" attraverso tutti i compiti legislativi regolamentari e amministrativi della Regione.
In questa linea si colloca la proposta di legge numero 111, presentata in data 11 ottobre 1973 dai Consiglieri Vecchione, Berti e Raschio e assegnata alla VIII Commissione il 15 ottobre 1973, che vuole costituire una ulteriore sollecitazione in sede parlamentare affinché si esamini l'opportunità di consolidare i mutui contratti dai Comuni e dalle Province.
Tutti infatti conosciamo bene la difficile situazione in cui versano gli Enti locali, dal punto di vista finanziario.
Situazione difficile che va via via aggravandosi, rischiando di portare ad una paralisi operativa i Comuni e le Province, compromettendo seriamente la possibilità di realizzare le opere necessarie alla collettività amministrata e quindi indirettamente limitando di fatto lo sviluppo delle autonomie locali ed il ruolo di decentramento democratico che la Costituzione ha voluto loro conferire.
La mancata soluzione del problema finanziario dei Comuni e delle Province ha determinato sovente gravissimi ritardi comportando un accrescimento dei costi, se non addirittura l'interruzione nella realizzazione delle opere pubbliche previste.
I tempi intercorrenti fra l'approvazione del Bilancio, l'autorizzazione ministeriale dei mutui occorrenti, determinano, ormai molto frequentemente dei lunghi periodi fra il momento della decisione ed il momento della realizzazione, con costi e tassi di interesse sempre più elevati ed a tutto danno dell'Ente locale e di coloro che attendono servizi indilazionabili per la convivenza civile.
Tutto ciò tende ad accrescere un processo di sfiducia sia negli amministratori pubblici che negli amministrati che giudicano con severità la lentezza delle realizzazioni soprattutto delle opere di immediato interesse sociale.
Gli Enti locali, che hanno registrato un incremento di popolazione a causa della immigrazione legata alla presenza industriale e i piccoli comuni che vedono sempre più depauperarsi il reddito a causa dello spopolamento ed invecchiamento della popolazione attiva proprio a causa della mancata valorizzazione di infrastrutture primarie, hanno risentito particolarmente di questa forma di squilibrio collegata ad un processo di sviluppo economico che non consente di far fronte alle numerose e pressanti esigenze sociali.
Considerate le limitate disponibilità della Cassa Depositi e Prestiti per quanto concerne i finanziamenti agli Enti locali, il credito privato ha costituito, in moltissimi casi, una fonte alla quale l'Ente pubblico si è rivolto causando in misura notevole il complessivo indebitamento dei comuni.
Fino ad oggi, non si sono registrate forme di intervento di natura statale idonee a modificare questo processo in atto che tende per altro ad aggravarsi. Lo stesso sistema dei controlli dello Stato sui Comuni prima ed attualmente, a seguito dell'istituzione delle Regioni, non contribuisce a migliorare la situazione.
Pertanto la Commissione ha esaminato con particolare attenzione la proposta di legge al Parlamento giunta alla Commissione VIII in data 15 ottobre 1973, richiedendo innanzi tutto gli eventuali progetti analoghi giacenti presso il Parlamento.
La proposta di legge al Parlamento che il Consiglio Regionale del Piemonte oggi è chiamato a discutere e votare, costituisce un ulteriore contributo e sollecitazione affinché venga esaminato questo aspetto importante della vita amministrativa degli Enti locali.
In questa direzione si sono inoltre espressi gli Enti locali, che da tempo hanno evidenziato la gravità della situazione.
Su questo aspetto la Commissione ha ritenuto di dover consultare le Associazioni interessate.
In una riunione indetta per consultare i rappresentanti dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani dell'Unione Province Italiane e della "Lega per le Autonomie ed i Poteri Locali" è emerso che il progetto portato oggi all'approvazione del Consiglio Regionale va considerato soprattutto come una iniziativa di stimolo verso lo Stato affinché affronti il problema degli Enti locali e della difficilissima situazione economico amministrativa nella quale essi versano, valutandolo come un punto di partenza per iniziative di carattere più sostanziale.
L'approvazione del presente progetto di legge costituirebbe pertanto un momento di transizione rispetto all'esigenza di una riforma radicale dell'attuale legge comunale e provinciale ormai ampiamente superata.
L'iniziativa legislativa proposta non intende chiudere un ciclo di indebitamento degli Enti locali per riaprirne uno del tutto analogo, ma intende soprattutto affiancarsi alla battaglia che i Comuni stanno conducendo per la riforma della finanza locale e della finanza pubblica in genere.
Prioritaria in questo momento si palesa la lotta per rendere possibile agli Enti locali di compiere quegli interventi sociali che non possono essere sconosciuti dallo Stato.
Nel corso della consultazione è stato inoltre osservato che il solo consolidamento dei debiti dei Comuni, accollandone allo Stato l'intero onere per interessi di mutui a ripiano dei disavanzi e la massima parte degli interessi per i mutui da opere pubbliche, potrebbe costituire una forma indiretta di limitazione dell'autonomia degli Enti locali e potrebbe essere interpretato come un premio non dovuto per tutti quei comuni che hanno seguito la strada dei deficit troppo facili, (oppure dei deficit politicamente usati contro la politica del Governo).
Soltanto nel 1933 lo Stato aveva operato per i Comuni il consolidamento dei mutui ma si trattava di un intervento realizzato in un periodo in cui i Comuni non costituivano certamente quelle Entità Autonome ed operative che la nostra Costituzione oggi prevede.
Del resto molti Comuni che attualmente hanno un bilancio in disavanzo sono stati costretti a seguire questa via per poter realizzare opere atte a soddisfare le esigenze locali di servizi sociali di prima necessità.
Il P.d.L., oggi in Consiglio, costituisce una forma di soluzione del gravoso problema dell'indebitamento dei Comuni, anche se nel corso dell'esame in Commissione ed in sede di consultazione altre vie sono emerse, che vogliamo qui richiamare quale ulteriore contributo all'esame della difficile situazione dei Comuni.
Si potrebbe far riferimento a leggi esistenti, per esempio la 964, che autorizza la Cassa Depositi e Prestiti a concedere mutui per ripiano dei disavanzi delle Aziende Municipalizzate a tassi agevolati, che possono essere indicati in questo momento nel 5-5,5%; una tale agevolazione potrebbe essere estesa a tutti gli altri mutui, pertanto lo stato potrebbe accollarsi la differenza tra questo tasso e quello effettivamente praticato dai singoli Istituti di Credito.
Oppure un'altra soluzione potrebbe essere quella di un mutuo concesso dalla Cassa Depositi e Prestiti per il saldo del residuo debito costituito per la durata di 40 anni al tasso del 5-5,5%; il nuovo mutuo sarebbe naturalmente pagato dai Comuni e in tal caso non si accollerebbe alcun onere di interessi.
Naturalmente il Comune pagherà le rate di ammortamento del nuovo mutuo notevolmente inferiori come importo a quelli in corso, mentre lo Stato dovrà solo risolvere il problema di concedere i fondi necessari alla Cassa Depositi e Prestiti.
Un punto nel quale vi è stato pieno e costante accordo è stata la consapevolezza di quanto sia indispensabile una volontà politica del Parlamento che non consenta più indugi in questa materia.
A tale proposito risulta che, fin dal novembre 1972, esistono, davanti alle due Camere, due proposte di legge parlamentari, d'iniziativa del Senatore Modica ed altri per il Senato e del deputato Triva ed altri per la Camera dei Deputati, eguali tra di loro, di identico oggetto della proposta regionale, ma diversamente strutturate.
Quella presentata alla Camera dei Deputati, che è identica a quella del Senato, riguarda soltanto i mutui contratti o da contrarre per il ripiano del disavanzo economico dei bilanci comunali e provinciali.
Le proposte di legge parlamentari prevedono, infatti, l'autorizzazione ai Comuni e alle Province, che non conseguano il pareggio del bilancio, a provvedere al ripiano del relativo disavanzo con l'assunzione di un mutuo.
Gli oneri conseguenti (i saggi d'interesse sono uguali a quelli praticati con la normale attività della Cassa depositi e prestiti) sono posti a totale carico del bilancio dello Stato.
La proposta di legge regionale riguarda, invece i mutui contratti dai Comuni e dalle Province i cui residui debiti di qualunque natura già assunti o autorizzati con deliberazioni esecutive alla data del 31/12/1973 verrebbero trasformati in un nuovo mutuo a lunghissima scadenza (40 anni) e il cui onere verrebbe ripartito fra Stato ed Enti secondo i criteri previsti nella p.d.l. (per i mutui destinati alla copertura dei disavanzi economici nonché delle perdite di esercizio delle aziende di trasporto la quota-interesse - 7,50% - a carico dello Stato e la sola quota-capitale a carico dei Comuni e delle Province).
Per i mutui relativi all'ammontare dei residui debiti per prestiti di qualunque altra natura (ad esempio opere pubbliche) concessi al tasso annuale del 7,50%, l'1% è a carico dei Comuni e Province e l'onere residuo per interessi (6,50%) è a carico dello Stato.
Per ultimo si potrebbe obiettare che anche la proposta parlamentare prevede all'art. 7 la novazione di mutui già contratti fino al 1972, ma è altrettanto vero che detta novazione per la proposta parlamentare è limitata ai soli mutui relativi all'integrazione dei disavanzi economici il cui onere di ammortamento passerebbe a totale carico dello Stato a partire dal I gennaio 1973.
In questa prospettiva, alcuni Commissari hanno espresso motivi di perplessità in quanto appare chiaro che questa diversa codificazione aggrava il bilancio dello Stato di un accollo di interessi su un capitale di mutui dell'importo di migliaia di miliardi. Sia pure con le riserve espresse ma con la convinzione che l'autonomia degli Enti locali rimarrebbe un concetto privo di senso senza una reale possibilità di operare, in armonia, anche, con quanto detto dalle Associazioni rappresentative degli Enti locali consultate, le cui indicazioni hanno costituito un notevole contributo anche in sede di redazione del testo, la Commissione VIII ha ritenuto di sottoporre al favorevole esame del Consiglio Regionale la presente iniziativa legislativa rivolta al Parlamento.
La proposta di legge si compone di 12 articoli.
L'articolo 1: individua nelle Casse Depositi e Prestiti lo strumento dello Stato per il consolidamento di mutui assunti o autorizzati dai Comuni con deliberazioni esecutive alla data del 31 dicembre 1973.
L'articolo 2: rappresenta una norma atta a superare le limitazioni previste dalla legge Comunale e Provinciale su temi di accensione di mutui da parte degli Enti locali per il perseguimento di fini istituzionali, in quanto i Comuni e le Province sono autorizzati a stipulare i mutui con le Casse Depositi e Prestiti anche in deroga alle limitazioni previste dalla legge approvata con R.D. 3.3.1934, n. 383 e modifiche successive.
L'articolo 3: stabilisce che il consolidamento di mutui previsti per la copertura dei disavanzi economici e delle perdite di esercizio delle aziende di trasporti siano erogati dalle Casse Depositi e Prestiti per una durata di 40 anni al tasso annuo del 7,50%. Ai comuni ed alle Province incomberà l'ammortamento della sola quota - capitale, allo Stato l'ammortamento dell'onere per gli interessi.
L'articolo 4: stabilisce che i mutui contratti per la parte relativa all'ammontare dei residui debiti per prestiti di qualunque altra natura sono concessi dalla Cassa Depositi e Prestiti per una durata di 40 anni al tasso annuale del 7,50% di cui l'1% a carico dei Comuni e delle Province e il restante 6,50 a carico dello Stato.
L'articolo 5: prevede che i mutui concessi dalla Cassa Depositi e Prestiti ai sensi dell'articolo 1 siano garantiti dallo Stato.
L'articolo 6: è una norma libratoria, a favore dei Comuni e delle Province delle garanzie eventualmente prestate per l'accensione dei mutui di cui all'art. 1. Lo Stato subentra (art. V) quale garante. Il secondo comma dell'articolo fissa una determinazione dei cespiti residui disponibili, incanalandoli solo verso spese di investimento.
Gli articoli 7, 8, 9: prevedono norme procedurali sufficientemente chiare nell'articolato. I termini di procedura appaiono congrui ed all'espletamento delle formalità i mutui entreranno automaticamente in ammortamento.
L'articolo 10: costituisce norma meramente esecutiva del meccanismo del piano di ammortamento dei mutui.
L'articolo 11: prevede che le operazioni di mutuo concesse dalle Casse Depositi e Prestiti ai Comuni ed alle Province siano esentate da ogni onere fiscale.
L'articolo 12: infine, prevede la istituzione nei bilanci dello Stato dal 1975 al 2014 rapportato nell'arco del tempo necessario all'ammortamento, di appositi capitoli da iscrivere nello stato di previsione delle spese del Ministero del Tesoro per far fronte agli oneri derivanti dall'applicazione della legge sul consolidamento dei mutui.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Vecchione. Ne ha facoltà.



VECCHIONE Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'iniziativa legislativa che abbiamo preso nel presentare questa proposta di legge al Parlamento si colloca nel quadro della situazione di rottura della finanza locale.
E' nota - in questi giorni i quotidiani vi hanno dato ampia rilevanza la condizione finanziaria ed economica in cui versano gli Enti locali: si parla di un disavanzo complessivo sul piano nazionale di 16.000 miliardi di 53 miliardi per il solo Comune di Torino, di 14 miliardi per la cintura.
Non è la finanza allegra, se vogliamo osservare la situazione regionale, a determinare il disavanzo, ma la crescente domanda di interventi sociali, strutturali, che getta sui Comuni oneri che non sono loro propri, ma conseguenti alla politica economica che nel nostro Paese è andata avanti da tempo ed è tuttora in corso.
La finanza locale è in una situazione di agonia. La abolizione del potere impositivo diretto ha messo i Comuni nella impossibilità di reperire fonti di finanziamento; completano il quadro la stretta creditizia, i 3000 miliardi di tributi che lo Stato ha incassato e non ancora versato agli Enti locali. Occorre dunque salvaguardare un momento di democrazia e dare e ridare, fiducia agli Enti locali.
Questa proposta di legge ha superato la fase della consultazione, così come ha riferito il presidente della VIII Commissione. Devo però anche rilevare come nella consultazione sul bilancio o Sindacati e i Comuni abbiano espresso sostanzialmente una esigenza di questa natura, nell'ambito della politica della finanza locale, di arrivare non solo al consolidamento dei mutui ma sostanzialmente ad una concezione unitaria della finanza dello Stato. Sta quindi crescendo una presa di coscienza di questo problema da parte della comunità. E' di questi giorni una manifestazione di piazza a Roma, indetta dalla Lega dei Comuni e delle autonomie locali, in rapporto ad una serie di problemi che noi abbiamo di fronte. In questo contesto si colloca la proposta ANCI, che il Gruppo comunista, appunto nel Convegno regionale dell'ANCI, ha fatto propria, perché può rappresentare il mezzo di pressione verso il Governo e verso il Parlamento al fine di uno sblocco di questa situazione. Noi rileviamo che se la democrazia cade intorno al Comune, intorno all'Ente locale, perché il Comune o l'Ente locale non ha la possibilità di intervenire a rispondere alla domanda crescente di servizi e di strutture, ovviamente cade uno degli anelli fondamentali di tutto il tessuto democratico del Paese. E' quindi estremamente pericoloso non imboccare la strada indicata per risolvere questa problematica. Occorre superare la dicotomia fra finanza dello Stato e finanza degli Enti locali e ciò è possibile attraverso un superamento della situazione di conflittualità che vede questi due o tre livelli.
La finanza pubblica, ho già detto, dev'essere vista come un tutt'uno che comprenda la finanza dello Stato, della Regione, dei Comuni, delle Province, in una articolazione che non parta solo dal meccanismo finanziario propriamente detto, ma sia complessiva degli interventi sul piano strutturale e sul piano sociale. I vari convegni ANCI hanno da tempo gettato un grido d'allarme intorno a questi problemi. E' in gioco la vita delle autonomie, la stessa vita della Regione. Perché noi abbiamo avvertito, nel corso della consultazione di una legge relativa alle deleghe, le resistenze di alcuni comuni ad accettare la delega, per mancanza dei mezzi, degli strumenti, delle risorse necessarie per poter attuare questo importante strumento di decentramento amministrativo.
Quindi, anche il meccanismo del funzionamento della delega delle funzioni amministrative della Regione passa se abbiamo di fronte a noi dei Comuni sani dal punto di vista finanziario, che abbiano la possibilità di intervenire, abbiano risorse cui accedere.
Io esprimo sostanzialmente, con questo intervento, anche una dichiarazione di voto, favorevole ovviamente alla legge ma che occorre anche vedere su una serie di proposte, che oggi forse non sono ancora realizzabili, da precisare in un ordine del giorno o sostanzialmente da portare avanti, ma che devono entrare nel gioco della discussione di questa legge. Occorre che il Governo revochi immediatamente il blocco creditizio nei confronti dei Comuni, che si abbiano concessioni immediate di mutui per il risanamento dei bilanci del '73 e del '74, che si abbia il versamento immediato da parte dello Stato dei 3000 miliardi riscossi per imposte già comunali e provinciali, che si abbia un finanziamento adeguato del fondo di risanamento e investimenti selettivi da parte della Regione nei settori prioritari di intervento. Ed è qui che si può cogliere un momento in cui la funzione istituzionale della Regione si collega a quella degli Enti locali per spingere verso interventi in materia di servizi, interventi sul territorio, sui trasporti, su quant'altro abbiamo discusso. Occorrono un aumento, nel bilancio del '75 dello Stato, del finanziamento per i programmi regionali ed una politica selettiva del credito per finanziare programmi di investimento definiti sulla base delle valutazioni e delle scelte coordinate fra Regioni, Comuni e Province.
Questa mattina ho sentito il Presidente della Giunta rivolgere un plauso ad alcuni istituti di credito che hanno accettato di intervenire per salvare la Moncenisio dal fallimento e ciò, è stato detto, è avvenuto per la considerazione che hanno così dimostrato nei confronti della Regione.
Questo intervento viene indubbiamente a risolvere un problema importante grave, che ci assilla. Ma non dobbiamo dimenticare che nella situazione ospedaliera, nella situazione degli Enti locali, della finanza pubblica, le linee di credito che le Banche impongono agli Ospedali, ai Comuni, alle Province, marciano con interessi incredibili ed aumentano la spirale di carattere inflattivo, aumentano la spirale soprattutto di carattere repressivo sul piano della possibilità di intervento dell'ente pubblico perché quando maturano interessi al ritmo vertiginoso con cui stanno andando ci troviamo con rette di degenza che spuntano già le 40-45 mila lire, ci troviamo con linee di credito accese per determinati mutui per un Comune come il Comune di Torino concesse a livelli estremamente elevati di interessi passivi. E allora noi possiamo dire che, a fronte della politica delle autonomie locali, sta una politica delle banche, che nei confronti degli Enti locali e della Regione si collocano in un certo modo, cioè una politica che opera perché sostanzialmente vengano imposti degli interessi molto rilevanti da parte di istituti di credito e perché la spirale dell'indebolimento tenda all'infinito.
Tralasciando questa tematica, che ci porterebbe a dilungarci eccessivamente, vorrei riportare il discorso sulla iniziativa legislativa dell'ANCI, concordata fra tutti i Comuni d'Italia oppure una iniziativa che ha un significato soltanto se giunge al livello di Parlamento insieme ad altre iniziative analoghe sullo stesso testo di legge. Noi, anzich proporre, come avremmo potuto fare, una iniziativa legislativa recependo il contenuto di due proposte di legge del Gruppo comunista, una alla Camera e l'altra al Senato, abbiamo scelto su questo problema la strada della massima unitarietà, seguendo la proposta dell'ANCI, che l'ANCI ha inteso sostanzialmente porre come uno degli elementi di battaglia. Questa è quindi una legge che dovrebbe andare soltanto con questo significato politico: di pressione, di spinta, di valutazione di cose anche serie, quali la rivendicazione che la Cassa Depositi e Prestiti assuma il suo ruolo istituzionale.
E' vero che la nostra iniziativa affronta un aspetto particolare del problema, quello del consolidamento dei mutui: ma si colloca nel quadro politico generale, che dobbiamo tutti tendere a modificare, per la salvaguardia dell'autonomia e la credibilità degli Enti locali.
Il Gruppo comunista voterà per l'approvazione della legge, e si augura che l'intero Consiglio, così com'è avvenuto in Commissione (penso però che il rappresentante del Partito repubblicano su questo problema avrà qualcosa da dire certo non nella linea, dell'iniziativa legislativa da noi proposta), senta il momento politico estremamente teso, estremamente grave della finanza locale e accolga questa proposta dell'ANCI, che il Gruppo comunista ha fatto propria, che la Commissione ha varato, come un ulteriore momento per giungere ad una modificazione sostanziale della finanza pubblica.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, devo intervenire in questo dibattito per dichiarare, a nome del Partito repubblicano, una posizione contraria alla approvazione e all'inoltro di questo disegno di legge al Parlamento.
Le ragioni di questo atteggiamento sono facilmente intuibili. Questo disegno di legge prevede che, in sostanza, i debiti contratti dai Comuni sia per opere pubbliche che per ripianamento di bilancio vengano consolidati e lo Stato si accolli una quota sensibile dei ratei relativi.
In base ad un calcolo approssimativo, possiamo dire che, se valutiamo intorno ai 15-18 miliardi i debiti globalmente assunti dai Comuni, da coprire attraverso consolidamento, per il bilancio dello Stato una legge di questo genere comporterebbe un aggravio non inferiore certamente a 1200 1400 miliardi l'anno. E allora noi chiediamo in modo molto preciso alle forze politiche, al Gruppo comunista che questo disegno di legge ha proposto, se si pensa veramente che in questo momento sia proponibile al Parlamento una iniziativa legislativa che comporti un aggravio del deficit dello Stato di questa entità, quando è ormai abbastanza evidente a tutti che un tale aumento del deficit dello Stato determinerebbe un ulteriore aumento dei tassi di inflazione oppure che dovrebbe essere affrontato con forme aggiuntive di prelievo fiscale o con restrizioni di credito. Questo significherebbe evidentemente fare un intervento che va in senso diametralmente opposto a quello sul quale tutti oggi concordano: oggi una necessità obiettiva, mi sembra, contenere il livello del deficit globale degli enti pubblici a contenere la spesa pubblica. Qui ci muoviamo in una direzione diametralmente opposta, che non può non avere altra conseguenza se non quella di ulteriori inasprimenti fiscali o di ulteriori e più dure strette creditizie. Questo, cioè, è un tipo di proposta che può essere fatta in momenti nei quali la situazione economica nazionale ha tutt'altro andamento (e ci auguriamo che nel futuro si possano ricreare condizioni di questo genere); non ci sembra il tipo di provvedimento che oggi si possa proporre, perché alla lunga finisce con l'aggravare la situazione economica e con il ricadere proprio sulle classi economiche e sociali più deboli.
Mentre il dibattito nazionale, come avviene in questo momento, è tutto teso a determinare a quali condizioni si possano riportare i tassi di inflazione a livelli accettabili e qual è il carico fiscale che pu consentire di alleggerire la stretta creditizia che lo Stato ha dovuto attuare in conseguenza delle tensioni inflazionistiche, mi sembra non si possa proporre un aggravamento del deficit dello Stato di questa entità, a pena, evidentemente, di peggiorare in maniera drammatica la situazione economica che dobbiamo fronteggiare.
Ci rendiamo conto che i problemi che hanno indotto il Gruppo comunista a presentare questo disegno di legge sono problemi reali; è vero che i Comuni colpiti dalla stretta creditizia in modo assai duro a sopportare con l'ulteriore difficoltà costituita dal fatto che lo Stato tarda a versare loro i contributi in applicazione della riforma fiscale. Questi sono indubbiamente problemi da considerare, rispetto ai quali il Consiglio Regionale può benissimo esprimere delle posizioni tese a richiedere al Governo interventi che in qualche maniera alleggeriscano questa situazione.
L'opinione del mio Partito è però che oggi assolutamente non si possa intervenire nel senso di determinare con voto del Parlamento un consolidamento dei debiti dei Comuni, perché, ripeto, questo provocherebbe certamente, ammesso che la proposta venisse presa in seria considerazione dai Gruppi parlamentari a livello nazionale, del che dubito, dei fenomeni all'interno dell'economia nazionale che si riverserebbero pesantemente soprattutto sulle categorie e le classi più deboli. Ed è abbastanza evidente a tutti che se in questo momento si dovesse ulteriormente inasprire la stretta creditizia o appesantire il prelievo fiscale, ne risentirebbero per prime il contraccolpo le classi economicamente più deboli ed i lavoratori.
Mi sembra, per concludere, che questo sia un tipo di proposta che il Consiglio Regionale dovrebbe evitare di inoltrare, per le considerazioni che ho svolto. Se il dibattito si dovrà concludere con un voto su questo disegno di legge, esprimerò a nome del Gruppo repubblicano voto contrario.
Naturalmente, sono disponibile a prendere in esame altre soluzioni, per esempio quella di concludere il dibattito con un ordine del giorno che sottolinei la gravità del momento per la vita e i bilanci comunali.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Calsolaro, ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

In una intervista rilasciata qualche settimana fa dal titolo "E intanto i Comuni muoiono di debiti", il Sindaco di Milano faceva una drammatica diagnosi dei mali delle grandi città e dei loro bilanci.
18 mila miliardi di debiti accumulati da tutti i Comuni italiani: una somma enorme.
Nel mese di maggio i Comuni che si trovano nelle condizioni di non poter più pagare gli stipendi erano qualche centinaio; ma il loro numero è destinato ad aumentare molto rapidamente. Fra qualche mese, forse, i Comuni in grado di pagare gli stipendi si conteranno sulle dita di una mano.
Le banche non vogliono, o non possono, più fare ulteriormente credito.
La colpa, si dice, è della stretta creditizia: non c'è dubbio. Ma il fatto più grave in tutta questa vicenda sta nel non avere mai impostato la riforma della finanza locale.
Se i Comuni hanno le loro colpe, pagano troppi stipendi e non hanno saputo resistere alla speculazione edilizia, che ha scaricato sui loro bilanci spese enormi; se, in sostanza, in qualche caso gli uffici comunali sono un po' troppo affollati e spesso i bilanci hanno dovuto caricarsi di spese che forse si potevano evitare, d'altra parte non bisogna dimenticare l'imponenza del fenomeno delle emigrazioni interne. Milioni di persone sono salite dal Sud al Nord, ottenendo il duplice risultato di impoverire i Comuni di partenza e di creare situazioni spaventose in quelli di arrivo.
La situazione di Milano e la situazione di Torino: città che negli ultimi venti anni hanno visto crescere la loro popolazione di oltre mezzo milione di persone. Così come i Comuni delle loro cinture sono passati in dieci anni dai 5.000 ai 60.000 abitanti: all'amministrazione l'insediamento di un nuovo abitante costa dai sei ai sette milioni.
Ebbene, nulla è stato fatto per mettere i Comuni in condizioni di resistere. Nessun strumento nuovo è stato consegnato agli amministratori locali per gestire in modo efficiente le loro città, i loro consumi.
Le entrate sono ferme, per legge, ai livelli del 1973, mentre le spese crescono in modo sfrenato. Una scuola, per esempio, viene a costare ormai il doppio rispetto a due anni fa. Non si trovano neppure più imprenditori disposti a costruirle, perché sanno che i Comuni non potranno pagarle.
Fra qualche mese ci saranno grosse difficoltà a gestire la ordinaria amministrazione; di fare scuole, asili, ospedali, non sarà nemmeno il caso di parlarne. Prima della fine dell'anno, se non si troverà un rimedio anche l'ordinaria amministrazione dovrà rallentare il suo ritmo. I Comuni saranno costretti a limitarsi alle prestazioni essenziali: l'anagrafe e il seppellimento dei morti.
"A quel punto - dice il Sindaco Aniasi - le città saranno diventate invivibili. Potrà succedere di tutto. E non sto parlando di un futuro lontano, ma di cose che possono accadere fra qualche mese".
Condividiamo le allarmate espressioni del Sindaco di Milano, che sono l'eco di una profonda preoccupazione degli amministratori locali del nostro Paese.
18.000 miliardi di debiti accumulati al dicembre 1973 sono un'entità troppo vasta perché se ne preoccupino non soltanto gli amministratori locali e i cittadini, ma il Governo, il Parlamento, le Autorità monetarie.
Nel settore degli investimenti per le abitazioni e per le infrastrutture fisiche e sociali per il periodo 1974-78, l'IRES prevede una spesa di 3.516 miliardi, di cui 256 a carico dei Comuni.
E' opinione dell'ANCI regionale che l'indicazione dei 3516 miliardi possa riferirsi ai soli minimi indispensabili, ai quali non si pu assolutamente rinunciare, trattandosi di investimenti importanti come quelli che riguardano le scuole, le strutture ospedaliere, i servizi per l'assistenza sociale, i servizi sportivi, gli acquedotti, gli impianti di depurazione dell'acqua, le fognature, la casa.
In secondo luogo che se i Comuni del Piemonte avessero a loro carico soltanto 256 miliardi da ripartire in 5 anni, non esisterebbe alcun problema in quanto, pur nella ristrettezza dei mezzi, è assai probabile che i Comuni del Piemonte possano ancora impegnarsi per 50 miliardi all'anno.
Si ritiene invece che per la sola area biologica di Torino la previsione degli investimenti necessari non possa essere superiore ai 2.300 miliardi.
Altra osservazione è, per esempio, che 67,5 miliardi da destinare all'istruzione in cinque anni da parte dei Comuni appaiono senz'altro esigui, non corrispondendo alle necessità che emergono soprattutto in Torino e nell'area metropolitana, dove è sufficiente pensare alla creazione di nuovi quartieri ed alla esplosione di esigenze vastissime.
Nel rapporto IRES il miglioramento delle attrezzature scolastiche verificatosi nel 1973 rispetto alla situazione di cinque anni prima, viene riferita ai finanziamenti consentiti dalla legge 641 per l'edilizia scolastica, il che non è vero in quanto questa Legge ha erogato pochi miliardi a Torino e a tutto il Piemonte, mentre la restante parte è stata finanziata totalmente dai Comuni.
Per di più, la Legge 641 ha agito per circa 40/50 miliardi distribuiti in tutta Italia dove i Comuni avevano possibilità di integrare le quote di finanziamento mancante, e per 900 miliardi non ha invece avuto attenzione in quanto gli Enti locali non avevano tali possibilità.
L'iter della procedura per il versamento delle somme sostitutive dovute dallo Stato, tenendo presente che in precedenza i Comuni introitavano le imposte ora soppresse a ritmo giornaliero o trimestrale, è tale che la riscossione avviene almeno due mesi dopo, quando non sono tre o quattro.
Poiché il costo del denaro è di circa 1200 milioni all'anno per miliardo si pagano per un miliardo, in due mesi, 20 milioni di interessi contro le necessarie anticipazioni.
Questi interessi sono spese correnti, e vanno ad alimentare quel monte di accuse sugli sperperi degli Enti locali che costituiscono parte della polemica anti-autonomistica.
Gli interessi passivi per l'accensione dei mutui e per debiti a breve scadenza sono diventati onerosissimi, contribuendo da una parte ad accrescere gli indebitamenti globali degli Enti locali per circa 100 miliardi nel solo '73, e dall'altra a neutralizzare una larga fetta delle entrate che altrimenti avrebbero potuto essere destinate a spese produttive.
L'esigenza di ripianare i deficit della finanza locale, per consentire non solo un reale esercitarsi dell'autonomia dei poteri locali, ma a questo punto addirittura l'espletamento della ordinaria amministrazione costituisce oggi un problema reale ed urgente, ed un passaggio obbligatorio per risanare l'intera finanza pubblica.
L'individuazione di un metodo corretto ed adeguato per procedere al ripiano appare piuttosto complessa, dovendosi tenere conto non solo della diversa situazione finanziaria che presentano le varie amministrazioni, ma soprattutto del fatto che il consolidamento delle posizioni debitorie deve accompagnarsi alla definizione di un nuovo meccanismo di alimentazione delle entrate locali per eliminare alla radice le cause del crescente divario tra flussi di entrata e di spesa, e per evitare quindi un successivo riaprirsi della spirale dell'indebitamento.
Anche nella relazione alla proposta di legge si dice del resto, che questa iniziativa legislativa "non intende chiudere un ciclo di indebitamento degli Enti locali per riaprirne uno del tutto analogo": ma questa affermazione è destinata a rimanere sul piano meramente volontaristico, apprezzabile dal punto di vista politico, ma certamente indeterminata se il consolidamento dei debiti non si accompagna contestualmente ad una profonda revisione della finanza locale.
Anche se in linea generale il deficit dei bilanci locali discende dal divario tra le entrate e le esigenze a cui gli. Enti stessi debbono far fronte, non si può ignorare la differenza essenziale che corre tra l'indebitamento per il ripiano dei disavanzi della stretta amministrazione quello per i disavanzi delle aziende municipalizzate e quello, infine determinato dalla realizzazione di opere pubbliche.
Nella misura in cui a livello nazionale diventa sempre più evidente il ruolo "perverso" della spesa pubblica, non tanto per il suo volume assoluto, ma per la sua composizione strutturale, in cui hanno eccessivo spazio spese correnti troppo sovente scarsamente qualificate, si rende necessario operare una riqualificazione estremamente rigorosa di tutta la spesa pubblica, compresa quella locale.
Sotto questo profilo anche il consolidamento dei debiti degli Enti locali deve essere trattato in modo marcatamente differenziato, a seconda della natura dei debiti, privilegiando quelli contratti per spese di investimento rispetto a quelli di diversa natura, ed introducendo una più moderna e funzionale classificazione della spesa, che consenta anche una migliore valutazione dell'attività operativa dei poteri locali.
In conclusione, quindi, il ripiano dei bilanci deve accompagnarsi oltre che ad un incremento sul fronte delle entrate, anche ad una revisione della struttura della finanza locale in ordine alla spesa, proprio per garantire un esplicarsi dell'autonomia nella prospettiva di un più razionale ed efficiente funzionamento di tutto l'apparato pubblico.
Un provvedimento che ignorasse questi due aspetti, dell'entrata e della spesa, non potrebbe evitare il riprodursi della situazione attuale; non sarebbe quindi in grado di esaltare e potenziare il ruolo dei poteri locali.



PRESIDENTE

Non ho altri iscritti a parlare, do quindi là parola al Presidente della Giunta.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

E' purtroppo vero, noto, che la situazione finanziaria dei Comuni e delle Province - dati che sono stati forniti anche questa mattina nel dibattito dal Consigliere Vecchione prima e dal Consigliere Calsolaro dopo che rendono per me addirittura inimmaginabile la cifra, 18.000 miliardi non so rappresentarmela, siamo stati (e ne ho informato il Consiglio stamattina) alla questua di cinque miliardi, non che io conosca il miliardo, ma mi rendo ancora conto che 18.000 miliardi è una cifra astronomica - dicevo che questa situazione è giunta ad un punto che quando si definisce come "critico", si adopera un eufemismo per qualificarlo. E' indubbio che si è prossimi ad un vero e proprio punto di rottura che mette in pericolo, come è stato sottolineato nella relazione e negli interventi dei colleghi Consiglieri, l'autonomia operativa di tali enti e quindi la loro stessa sopravvivenza nell'ambito istituzionale.
Il problema era stato attentamente esaminato con la presenza e la partecipazione del Presidente dell'ANCI, di alcuni Presidenti delle Giunte Regionali dell'alta Italia e con alcuni rappresentanti di Comuni, per iniziativa dell'allora Presidente della Giunta Regionale Bassetti e in quella circostanza, fatto il punto, si prese una determinazione di intervenire presso il Governo al fine di smuovere la situazione pesantissima nei modi che fossero peraltro consentiti da una visione realistica, pratica, concreta e responsabile della situazione di bilancio perché chiedere le cose impossibili è come chiedere assolutamente niente avendo la certezza di non ottenere niente. E' indubbio che questo aumento incessante dei compiti e delle funzioni esercitati da Comuni e da Province la Giunta si è soffermata nell'esprimere il parere che a nome suo vengo esponendo - è essenzialmente su questo concetto, per respingere quel giudizio massiccio e globale dell'incapacità e dell'insufficienza dei Comuni ad amministrare, per dire che effettivamente, retti da una legge che risale al 1934 e con le esigenze e le responsabilità che sono proprie di tutti gli enti autonomi, ma che sono proprie anche di una dinamica impressionante di movimenti, i Comuni si debbono assumere, qualche volta si vedono addirittura affidati compiti che vanno certamente al di là di quelle che potevano essere le linee di competenza ben definite dalla vecchia e sorpassata legge comunale e provinciale.
Questa esigenza di rispondere ai problemi che vengono posti innanzi dalle comunità territoriali, ha provocato, come conseguenza inevitabile un'assoluta inadeguatezza dei mezzi finanziari predisposti da quella vecchia legge; abbiamo ripetuto mille volte, ed io sono personalmente convintissimo che non si può parlare - se non facendo uno strano ed utile sciacquo - di autonomia se non si fa accompagnare la espressa dizione "autonomia finanziaria" che è fondamentale per poter esercitare l'altra autonomia nella pienezza della sua realtà.
A questo problema è stata sensibile la Regione Piemonte e vorrei dire che lo è stata in modo particolare avendo ascoltato le istanze ed essendosi fatta promotrice di sollecitazioni a livello governativo: questa Regione che, secondo le direttive costituzionali e statutarie, vede proprio nell'autonomia e nella efficienza operativa degli Enti locali, il presupposto indispensabile per potere concretamente adempiere a quelle funzioni che le sono state attribuite dalla norma costituzionale. Ma appunto per la grande importanza e per l'estrema delicatezza del problema si ritiene che interventi non sufficientemente meditati ed articolati possano soltanto dilazionare ed allontanare la soluzione.
Esistono - è stato sottolineato nella relazione - davanti alle due Camere due proposte di legge parlamentari che sono eguali tra di loro entrambe relative all'oggetto della proposta di legge regionale, ma diversamente strutturata. Le due leggi che pendono dinanzi alla Camera dei Deputati ed al Senato sono state proposte entrambe da due eminenti parlamentari comunisti, il sen. Monica e l'on. Triva che seguono normalmente i problemi degli Enti locali e che erano entrambi presenti anche a quella riunione alla quale ho fatto cenno.
La proposta di legge, tanto quella presentata alla Camera dei Deputati quanto quella presentata al Senato, riguarda però - è stato detto ma mi pare giusto sottolinearlo - soltanto i mutui contratti e da contrarre per il ripiano del disavanzo economico dei bilanci comunali e provinciali. La proposta regionale invece, riguarda tutti i mutui contratti dai Comuni e dalle Province il cui residuo debito, alla data 31.12.1973, verrebbe trasformato in un nuovo mutuo attraverso alla così detta operazione di novazione, a lunghissima scadenza ed il cui onere verrebbe ripartito tra Stato ed Enti, secondo i criteri previsti nella proposta di legge della quale ci stiamo occupando.
E' vero che anche la proposta parlamentare prevede all'art. 7 la novazione di mutui già contratti fino al 1972, ma è altrettanto vero che detta novazione, per la proposta parlamentare è limitata ai soli mutui relativi all'integrazione dei disavanzi economici, il cui onere di ammortamento passerebbe a totale carico dello Stato a partire dall'1.1.1973.
Nella proposta regionale, invece, la novazione riguarda tutti i mutui concessi all'interesse del 7,50% contratti fino al 31.12.1973.
L'onere di ammortamento dovrà essere ripartito fra Stato ed ente, in base a criteri diversificati, a seconda che si tratti di mutui destinati al ripiano del disavanzo economico, o contratti per altre ragioni.
Per i mutui relativi al disavanzo economico, da quota interessi dovrebbe far carico allo Stato, restando a carico degli enti la sola quota capitale.
Per i mutui relativi ad altri scopi, per esempio per le opere pubbliche, sarebbe a carico dello Stato l'interesse del 6,50% mentre a carico degli enti sarebbe gravosa la differenza dell'interesse pari all'1 e la quota capitali.
Questa diversa ipotesi contenuta nella legge regionale, comporta indubbiamente un rilevante aggravio al bilancio statale che è nelle condizioni che tutti noi conosciamo. Perché si tratta, in sostanza, di un accollo di interessi su un capitale di mutui dell'importo di migliaia di miliardi, come è stato ricordato, giacché, nonostante la ripartizione degli oneri di ammortamento fra Stato ed Enti, è sempre prevista l'estensione della novazione a tutti i mutui e non soltanto a quelli del disavanzo economico con l'onere per lo Stato del 6,50% di interessi.
Questo, in sostanza, non fa che aggravare ulteriormente ed in misura drammatica, il già pesantissimo deficit dello Stato e conseguentemente le tensioni inflazionistiche.
La Giunta ha attentamente esaminato la questione, ha convenuto su queste linee indicative che ho esposte ed ha ritenuto che si facessero presenti, come parere della Giunta, queste considerazioni che del resto ed è stato riferito anche stamattina nella lettura fatta dal relatore della Commissione - sono affiorate già anche in sede di Commissione e pertanto rileva che, a suo avviso, l'iniziativa in questi termini non appare destinata al successo non perché sia priva di valore e di significato, ma perché, gravando paurosamente il bilancio statale, ne renderebbe quasi impossibile l'accoglimento.
Giunta a questa considerazione e a questa valutazione, la Giunta è venuta nella determinazione di esprimere il proprio parere sulla proposta di legge nel senso che non intende assumere direttamente una presa di posizione unitaria, rimettendosi invece in proposito a quelle che saranno le decisioni responsabili dei singoli Consiglieri e pertanto del Consiglio.
Tuttavia la Giunta rileva - e intende sottolinearlo in modo particolare a conclusione di questo breve intervento - che la difficile situazione finanziaria degli Enti locali sarebbe aggravata in misura intollerabile da una stretta creditizia indiscriminata che da un lato renderebbe precario lo stesso svolgimento dei compiti di istituto e dall'altro vanificherebbe anche lo sforzo della Regione i cui contributi presuppongono un impiego addizionale di risorse da parte dei Comuni e delle Province.
E' perciò indispensabile che la Regione, come già è stato fatto continui ad appoggiare le richieste degli Enti locali, Comuni e Province per una riapertura selettiva del credito che consenta la ripresa degli investimenti, nei vari settori prioritari della spesa ed in particolare per le opere assistite dal contributo regionale.
La Giunta è impegnata a sostenere questa posizione negli incontri che si svolgeranno proprio domani a Roma tra i rappresentanti delle Regioni, in vista del successivo confronto con il Governo. Nello stesso tempo occorre ribadire la richiesta di una revisione del T.U. della legge comunale e provinciale e del T.U. della finanza locale ormai indilazionabile per dare un assetto meno precario alla vita ed all'attività delle amministrazioni provinciali.



PRESIDENTE

Passiamo alla votazione della "proposta di legge del Consiglio Regionale del Piemonte al Parlamento per il consolidamento dei mutui contratti dai Comuni e dalle Province".
Art. 1 - "La Cassa DD.PP., anche in deroga alle proprie norme statutarie, concede ai Comuni ed alle Province mutui pari all'ammontare dei residui debiti per prestiti di qualunque natura già assunti nonch autorizzati con deliberazioni esecutive alla data del 31 dicembre 1973".
La parola al Consigliere Calleri.



CALLERI Edoardo

La mia è una pregiudiziale, non so se il Presidente mi consente di farla visto che è entrato immediatamente in votazione.
Sentite le dichiarazioni del Presidente della Giunta mi pare sia opportuno che ogni Gruppo possa vedere di esprimersi ed io pertanto chiederei una sospensione anche per trovare l'accordo tra i diversi Gruppi che danno vita alla maggioranza e quindi alla Giunta.
Se questa pregiudiziale il Presidente del Consiglio ritiene di poterla accettare, io chiederei una sospensione.



PRESIDENTE

La richiesta mi pare legittima e giusta, quindi sospendiamo la seduta per alcuni minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 12,05, riprende alle ore 13)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Alla fine della discussione generale sulla proposta di legge del Consiglio al Parlamento, è pervenuto il seguente ordine del giorno a firma Falco, Zanone, Vera, Gandolfi, Calsolaro, Nesi, Vecchione: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, sentita la relazione del Presidente della VIII Commissione sulla proposta di legge n. 111 considerato che in ordine alla stessa sono sorte da parte di alcuni Consiglieri, delle perplessità e che la materia merita un maggiore approfondimento considerato che tale situazione è stata determinata dal fatto che gli Enti locali hanno dovuto assolvere in questi anni a numerosi interventi per rispondere ai bisogni urgenti della popolazione considerato che tale situazione si è ulteriormente aggravata sia per la stretta creditizia, sia per il fatto che non sono ancora state trasferite ai Comuni le somme introitate dallo Stato dalle imposte già di spettanza comunale e provinciale delibera di rinviare alla VIII Commissione la proposta di legge n. 111 invita il Governo a revocare il blocco creditizio nei confronti degli Enti locali, a concedere i mutui necessari per il risanamento dei bilanci 1973/74 a provvedere all'immediato versamento agli Enti locali di tremila miliardi riscossi per imposte e già di spettanza comunale e provinciale, a finanziare adeguatamente il fondo di risanamento".
Vi è qualche dichiarazione di voto? La parola al Consigliere Zanone.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, il Gruppo liberale condivide la soluzione alla quale si è pervenuti circa questa iniziativa di proposta di legge al Parlamento cioè che l'iniziativa debba essere rinviata all'esame della Commissione e che la materia possa per il momento essere trattata nell'ordine del giorno che è stato testé letto.
Credo non sia del tutto inutile fare in questa occasione una precisazione di principio sull'uso che il Consiglio Regionale intende fare dello strumento di iniziativa legislativa dinanzi alle Camere.
Abbiamo sentito stamane dal relatore Consigliere Visone (preciso che la relazione letta stamane fu approvata dalla VIII Commissione in assenza del nostro Gruppo) la lettura di un documento in cui ricorrevano più volte espressioni come "l'intento di rappresentare con questa proposta di legge una sollecitazione, uno stimolo" e così via, lasciando intendere che lo stesso Consiglio Regionale, nel farsi portatore di questa proposta, non poneva eccessive speranze sulla possibilità di un suo positivo accoglimento da parte del Parlamento.
D'altra parte la relazione di maggioranza della VIII Commissione conteneva forse un accenno, se mi permette, di umorismo involontario quando diceva che, spiegato il meccanismo di estinzione del mutuo, restava il problema che lo Stato dovrà "solo" risolvere il problema di concedere i fondi necessari alla Cassa DD.PP. che sono proprio quelli che mancano.
Noi riteniamo che un ulteriore esame in Commissione valga anche a chiarire i termini di impegno finanziario di questa questione che la proposta di legge n. 111 non descriveva con esattezza, tenendo presente che le grandezze che sono state citate qui stamattina sono piuttosto intuitive che dimostrabili con precisione e che la proposta di legge parlamentare dei senatori e dei deputati comunisti, a suo tempo presentata alla Camera, per il solo ripiano dei disavanzi dell' esercizio 1973 prevedeva già un impegno di 330 miliardi; quindi si tratta di un notevolissimo impegno che si chiede in questo modo allo Stato di assumere. Non è opportuno che il Consiglio Regionale assuma come proprio metodo quello di ribaltare sullo Stato difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti.
Premesso questo è chiarito che da parte del nostro Gruppo vi è una chiara consapevolezza della necessità di sostenere gli investimenti dei Comuni nel prossimo periodo, di allontanare la stretta creditizia ricorrendo però - come ha detto il Presidente della Giunta questa mattina a misure che siano selettive e non indifferenziate come quelle che venivano proposte nella proposta di legge testé esaminata; concordando sulla necessità di approfondire il discorso per una riforma della finanza locale che ampli gli spazi di autonomia degli Enti locali, il Gruppo Liberale ha sottoscritto e voterà a favore di quest'ordine del giorno, pur conservando qualche perplessità sul punto n. 2 che riguarda la possibilità di ripianare sic et simpliciter i disavanzi dell'esercizio 1973/74.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Semplicemente, signor Presidente, per dichiarare il mio accordo con questo ordine del giorno che accoglie le istanze che avevo già fatte presenti in Consiglio per il non passaggio ai voti della legge e anche per dire che voto a favore, ma con un chiarimento riguardante la richiesta al Governo di revocare il blocco dei crediti per gli Enti locali.
Ritengo anch'io che il Governo debba permettere ai Comuni in questo momento di fronteggiare delle difficoltà di cassa - che rischiano addirittura di impedirgli di pagare gli stipendi - accendendo dei mutui per il ripianamento dell'ultimo deficit di esercizio, ma la posizione del mio Partito è che sia a livello nazionale che locale l'erogazione del credito debba essere estremamente selettiva, si debba cioè rinviare qualsiasi nuovo impegno di spesa che in questo momento non abbia ragione di particolare priorità.
In questo senso io do il mio voto anche a questa particolare enunciazione dell'ordine del giorno presentato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Non avrei preso la parola se non mi avesse sollecitato la dichiarazione del rappresentante liberale.
La nostra proposta di legge, fatta propria (non so se modificata) comunque presentata con atteggiamento positivo dalla VIII Commissione, è stata presentata alcuni mesi or sono ed ha raccolto le indicazioni che a tutte le forze politiche venivano dal congresso dell'ANCI. Quindi tutto quanto è contenuto in quella legge rappresenta - credo l'abbia detto anche Calsolaro nel suo intervento - il risultato di un ampio confronto degli Enti locali i quali hanno, con questo, voluto rappresentare allo Stato, ma anche all'opinione pubblica, il fatto che in questi anni si sono dovuti sostituire allo Stato per delle opere che sono di sua competenza, vedi innanzi tutto le scuole, ecc. Per cui, anche quando i Comuni chiedessero allo Stato una somma di 18.000 miliardi (e non sono 18.000 miliardi, si tratta di 1200 miliardi, quanti occorrerebbero per coprire gli interessi alla Cassa DD.PP.) chiederebbero soltanto di riscuotere dei crediti nei confronti di uno Stato inadempiente.
La questione mi pare ancora più importante anche alla luce di una sorprendente per certi versi, e confortante per altri versi, intervista rilasciata l'altro giorno dal Ministro Preti al "Corriere della Sera", il quale esplicitamente dichiara che lo Stato ha speso almeno 1500 miliardi per autostrade che non servono a niente ed ha espressamente detto che occorre intervenire in modo diverso, esplicitando soprattutto l'intervento in direzione dei trasporti pubblici.
Facciamo notare che i Comuni si sono sostituiti allo Stato perch inadempiente, ma aggiungiamo che nel frattempo i governi che hanno governato il Paese hanno speso male i soldi che avevano a disposizione. Per fortuna i Comuni hanno potuto provvedere, naturalmente indebitandosi al punto da porsi nelle condizioni di drammaticità in cui sono oggi.
Quindi noi, nell'accettare la richiesta di non passare alla votazione degli articoli - con una disponibilità permanente che vorremmo vedere accolta anche quando si tratta di nostre proposte di emendamento nel confronti di leggi presentate dalla maggioranza, per tentare di arrivare a posizioni comuni - pensiamo che in questo caso avremmo votato la legge forse soltanto noi comunisti, con l'astensione probabile degli altri Gruppi della maggioranza e sarebbe stato un pronunciamento politicamente non migliore. Tuttavia noi non rinneghiamo niente di questa legge assolutamente niente, il Parlamento deve misurarsi con queste questioni perché se è vero che occorre valutare questa richiesta in rapporto alla attuale situazione della finanza del nostro Paese e alla richiesta di coprire i 3000 miliardi di deficit attraverso nuovi tributi, però dire al Governo che ci chiede questi sacrifici e che li chiede ai cittadini italiani, di fare in modo che seimila miliardi non vadano all'estero.
Sulla situazione creditizia fallimentare del Paese ci sarebbe molto da dire, noi non accettiamo l'ordine del giorno perché siamo convinti che occorra meditare profondamente su questa situazione, anche se responsabilmente vi meditiamo, ma non pensiamo neanche per un minuto che le conseguenze debbano essere accollate agli Enti locali, ravvisando in questo un elemento di difesa della democrazia del Paese; l'ho già detto una volta la paralisi degli Enti locali è un elemento che va al di là della crisi economica degli stessi, è un problema di funzionamento della democrazia in Italia. Quindi, quando ci rivolgiamo al Parlamento, mettiamo in discussione la politica dello Stato nel campo creditizio e bene lo ha già fatto la relazione della Giunta al bilancio 1974 che, come ho già detto (non so quanti Consiglieri l'hanno letta e avendola letta se l'hanno condivisa) ha condannato la politica monetaria creditizia degli interventi. E se dovessimo essere coerenti con quella presa di posizione, la legge presentata da noi e dalla Commissione poteva benissimo passare, perch richiama anche le responsabilità politiche di chi ha portato il Paese in queste condizioni.
Concludendo: la nostra accettazione della proposta di esprimere intanto in un ordine del giorno la situazione ed il rinvio alla Commissione, non è un ripensamento sul merito della legge che abbiamo presentato, è essenzialmente il tentativo di arrivare ad una presa di posizione comune che tenga conto anche delle perplessità che sono state sollevate.



PRESIDENTE

Il Consigliere Nesi ha chiesto di parlare, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Il Gruppo socialista voterà a favore dell'ordine del giorno che porta la firma del nostro Capogruppo perché riteniamo che rechi in sé tutti gli elementi che possono dare uno sbocco alla situazione degli Enti locali.
La legge, come era stata redatta, poteva essere oggetto di emendamenti che noi eravamo anche pronti a presentare, soprattutto in alcuni dei suoi articoli che potevano lasciare qualche dubbio di interpretazione, o essere considerati - proprio perché il progetto di legge è di qualche tempo fa non più idonei ad essere applicati in questo momento. Noi riteniamo che l'autonomia degli Enti locali debba avere un duplice aspetto, quello fiscale - e per quello ci dogliamo che sia stata loro tolta in gran parte l'autonomia fiscale - e quello finanziario.
Il Gruppo socialista riconosce bene la situazione degli Enti locali per essere partecipe della loro vita in un gran numero di Comuni e, come tutti gli altri Gruppi ha a cuore il loro risanamento. Il modo col quale l'ordine del giorno pone questo tipo di rapporti con lo Stato riteniamo sia quello più idoneo, se verrà accettato dal Parlamento, ad essere accolto e quindi siamo del parere che l'ordine del giorno debba essere approvato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vera.



VERA Fernando

Anche il Gruppo socialista democratico aveva alcune perplessità nei confronti della proposta di legge presentata, la maggiore perplessità era soprattutto quella che nell'attuale situazione finanziaria il Parlamento l'approvasse. Quindi l'unica giustificazione finiva con l'essere quella seppure valida, di una mossa provocatoria da parte del Consiglio Regionale per sottolineare presso le autorità centrali la grave situazione degli Enti locali; ma anche così considerata, restava pur sempre l'obiezione di una proposta di legge che si limitava a rimediare a quello che era l'effetto di tutta la situazione che coinvolgeva gli Enti locali, svincolata quindi da un serio tentativo di mettere mano alla situazione degli Enti locali, di portare delle correzioni alle cause molteplici che hanno condotto gli Enti locali in questi ultimi anni ad accumulare deficit della misura - sia pure controversa - che qui è stata citata e che non sono (di questo siamo coscienti) riconducibili a colpe dei Comuni se non in parte, quando cioè non si siano dati una seria amministrazione, ma abbiano soggiaciuto a delle tendenze clientelari, riconducibili invece alla esigenza di sopperire a carenze dell'autorità statuale, a mancanza di programmazione, ad esempio per quanto riguarda i Comuni della area metropolitana torinese, negli insediamenti industriali che hanno portato a loro volta afflusso di immigrati e quindi aumento enorme di oneri per servizi sociali che sono poi la causa prima, almeno per quanto riguarda il Piemonte, del deficit dei molti dei Comuni dell'area metropolitana torinese.
Tutto questo complesso di cause di cui il deficit è soltanto un effetto, va esaminato approfonditamente e a mio parere non ci si deve soltanto limitare ad indicare il modo di rimediare a quello che è l'effetto, ma si devono anche indicare delle valide soluzioni che consentano di evitare che questa situazione sanata oggi si possa riprodurre domani.
Quindi la proposta di riportare la proposta di legge di iniziativa regionale alla VIII Commissione per un più approfondito esame ci appare valida. Come d'altra parte ci pare valida ed accettabile e ne siamo profondamente convinti, la denuncia contenuta nell'ordine del giorno di una situazione gravissima degli Enti locali e di certe inadempienze a cui in qualche modo occorre porre rimedio per affrontare questa situazione.
Per tutte queste ragioni abbiamo sottoscritto l'ordine del giorno e diamo ad esso voto favorevole.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calleri.



CALLERI Edoardo

Il gruppo della D.C. voterà a favore di questo ordine del giorno e non abbiamo difficoltà anche a cogliere il significato che il Capogruppo comunista ha dato a questa adesione.
Certamente sono necessari da parte dello Stato alcuni interventi le cui modalità, se davvero il Consiglio Regionale vuole affrontare seriamente questi problemi, meritano un approfondimento; ed il fatto che la proposta di legge ritorni alla VIII Commissione credo sia il modo migliore per sottolineare il senso di responsabilità che il Consiglio Regionale ha nell'affrontare un problema di così ampio interesse e di così grave necessità.
Nel manifestare il voto favorevole dobbiamo anche sottolineare il senso di responsabilità che dimostriamo di fronte agli Enti locali nel farci carico dei problemi che essi debbono, affrontare e nell'invitarli a non venir meno a quell'entusiasmo che li distingue anche in un momento di difficoltà qual è quello presente.
Questo è il senso con il quale il gruppo della D.C. ha rivolto il suo invito al Consiglio Regionale, questa è la responsabilità che come D.C.
riteniamo di doverci assumere di fronte al grave problema degli Enti locali.



PRESIDENTE

Più nessuno chiedendo di parlare, pongo in votazione per alzata di mano l'ordine del giorno di cui ho già dato lettura.
E' approvato all'umanità.
Abbiamo discusso prima se continuare o se riunirci alle 15,30 per andare fino alle 20. Se al Consiglio non avesse difficoltà potremmo proseguire, io comunque sono disposto alle due soluzioni.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Nesi, ne ha facoltà.



NESI Nerio

Noi riteniamo che si potrebbe anche continuare, in modo da poter concludere in mattinata tutti i nostri lavori.



RIVALTA Luigi

Non capisco bene se riunendoci alle 15,30 concluderemo alle venti continuando ora concluderemo alle 18. L'informazione per lo meno è imprecisa.



PRESIDENTE

Lei sa perfettamente che si dice alle 15,30 ma non si è mai puntuali c'è uno slittamento, è per questo che allargavo il pericolo dell'ora, per rendere più facile la seduta di stamattina.



CALLERI Edoardo

Mi pare che il Presidente proponga di continuare.



PRESIDENTE

Sì, io propongo di continuare.



ROSSOTTO Carlo Felice

E noi accettiamo.


Argomento: Beni demaniali e patrimoniali - Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Esame proposta di deliberazione della Giunta Regionale circa l'acquisizione di Palazzo Lascaris in Torino, via Alfieri 15, quale sede del Consiglio Regionale (seguito)


PRESIDENTE

Esame proposta di deliberazione della Giunta Regionale circa l'acquisizione di Palazzo Lascaris.
E' la prosecuzione della discussione perché il Presidente della I Commissione Garabello aveva già svolto la sua relazione.
Se il Consiglio me lo consente ed ha la bontà di ascoltare alcuni minuti, riassumo i termini di una questione che dura ormai da più di un anno.



CENNI STORICO-ARCHITETTONICI

"Palazzo Lascaris" sorge come un edificio isolato, ma originariamente era parte integrale di un ampio complesso, nel cui interno si trovano vasti giardini; come si può vedere nella pianta di Torino pubblicata nel Theatrum Sabaudiae.
La storia dell'edificio risale nel tempo. Nel 1665 il Palazzo veniva costruito da Amedeo di Castellamonte nel quadro di una fervida opera architettonica di sistemazione della città di Torino; i disegni del Castellamonte vennero dati ai conti Reggiani di Sant'Albano, nobili produttori agricoli che erano venuti in città da Savigliano.
Il Palazzo rimase poi a Michele Reggiani, vescovo di Torino; nel 1724 appartenne alla marchesa Gabriella Maralles di Caluso che lo rivendette al marchese Giuseppe Carron di S. Tommaso, fedele seguace di casa Savoia.
L'ultima dei San Tommaso, Giuseppina Maria Anna, sposata Lascaris, si spense a Nizza nel 1841; nel 1852 il Palazzo risulta dei Cavour, nel 1869 lo possedeva ancora il marchese Airando di Cavour.
Quattro anni dopo vi siede il Consiglio di Stato e nel 1866 la Cassazione.
Una lapide ricorda che nel 1880 diviene proprietà del Banco di Sconto.
Nel 1904 lo acquista la contessa Lovadina Tiretta, negli anni '30 è sede dell'Ente Autonomo della Moda e successivamente sede della Camera di Commercio.
Il Palazzo, gemma dell'architettura pedemontana, costruito in stile barocco, si inserisce come un momento di arte e di storia, visto nel contesto dell'epoca, fra la nuova Piazza Reale (piazza S. Carlo, a sinistra, e la Cittadella, a destra).
Concepito secondo il carattere estetico della maturità del Castellamonte, l'edificio, risentendo dell'influsso romano, si presenta come un solido corpo centrale ancorato a due possenti fianchi, tra cui si inquadra come elemento di alleggerimento del severo aspetto esterno il grande e luminoso atrio, rinnovato nel '700. Tutta l'opera si presenta ispirata ad un largo equilibrio classico, posando sui tre elementi essenziali: atrio, scalone, salone, che precedono la fuga delle sale ed ambienti di rappresentanza.
Nell'interno, numerosi pittori eseguirono stucchi e dipinti sui soffitti; ricordiamo qui l'opera di Corbella il Teseo, del savonese Guidobono, di Stefano Maria Legnani, discepolo del Maratta, che dipinse a fresco la sala; e l'opera più tarda di Augusto Ferri.
Il Palazzo è stato ritoccato nella seconda metà del '700, fu restaurato nei disegni e ingrandito dal Conte Dellala di Beinasco, ma permane nell'insieme l'impronta del Castellamonte, dominatore dell'architettura fine '600.
Dall'opera dei due architetti risulta un complesso armonioso che purtroppo subì bombardamenti che distrussero gli affreschi del Legnani e che imposero una nuova opera di restauro nell'interno ed all'esterno.
Pur con tali modificazioni e manomissioni, l'edificio conserva ancora la nobile impronta originale che consente una adeguata rappresentatività per una dignitosa sede del Consiglio Regionale.
La dimensione e la disposizione dei locali, come risulta dalla successiva descrizione, è tale da consentirvi l'inserimento degli uffici del Consiglio Regionale, pur necessitando all'interno di lavori di adattamento, se pure non laboriosi e di rapida attuazione.
La sede del Consiglio Regionale a Palazzo Lascaris consentirebbe inoltre la possibilità di centralizzazione di tutti i servizi del Consiglio Regionale, uffici e aula consiliare. Infatti la presenza di un salone interrato di recente costruzione, con opportune modificazioni, potrebbe ospitare l'Assemblea Consiliare, anche in previsione dell'incremento numerico della stessa, ponendo così termine alla situazione di notevole disagio attualmente esistente sia per l'assoluta insufficienza dei locali in uso al Consiglio Regionale, sia per la dislocazione separata dell'Aula.
Esistono poi altre considerazioni favorenti la suddetta soluzione infatti l'edificio si trova in posizione centrale ed è compreso tra le vie Alfieri, Lascaris, Dellala ed una Via privata in comproprietà con l'adiacente Banco di Sicilia.
Si può calcolare in 6 - 8 minuti il tempo necessario per raggiungere a piedi il palazzo della stazione di Porta Nuova, con accesso veicolare dalla Via Alfieri.



CARATTERISTICHE DIMENSIONALI

L'edificio è costituito da 3 piani fuori terra, oltre a 2 piani ammezzati parziali, di cui uno sul piano terreno e l'altro sul primo piano l'altezza del piano strada alla gronda è di circa m. 19,00.
Il fabbricato è a forma di U con la fronte principale prospettante sulla Via Alfieri e con le due maniche disposte perpendicolarmente ad essa in modo da racchiudere uno spazio destinato a cortile; tale cortile è diviso con una quinta in muratura da un altro più piccolo, conglobato in un basso fabbricato a chiusura di tutto l'edificio. Il basso fabbricato è costituito da un blocco di 2 piani con altezze minori di quelle del corrispondente edificio principale (h= m. 9,00 circa); nel piano interrato è ubicato un salone per convegni disimpegnato tutt'intorno da un corridoio che potrebbe ospitare l'Aula Consiliare.
Il salone è completato da una serie di locali ospitanti gli impianti tecnici dell'edificio, oltre ad altri vani ad uso archivio.
L'area complessiva occupata dall'edificio è di mq. 2.915, di cui 2.342 coperta e 573 di spazio libero cortilizio.
La cubatura dell'edificio è di circa 33.000 metri.
Piano terreno Il piano terreno comprende: a) uno spazio a cortile di mq. 450 circa b) un altro spazio a cortile adiacente di mq. 123 circa c) un atrio di ingresso a due porticati laterali aperti per complessivi mq.
350 circa d) un'autorimessa di mq. 36 e) l'alloggio del custode di mq. 53 f) 28 locali ad uso ufficio per complessivi mq. 988 circa g) spazi per disimpegno, corridoi, ecc. per mq. 65 circa h) 4 blocchi ad uso servizi per complessivi mq. 58 i) 4 vani scala per complessivi mq. 87 Le misure sono riferite al netto dei muri.
Una parte dei locali è raggiungibile anche direttamente dal cortile Ammezzato sopra il piano terreno e piano primo del basso fabbricato Si trovano: a) 13 locali ad uso ufficio per un totale di mq. 470 b) spazio per disimpegno di complessivi mq. 24 c) un blocco ad uso servizio di mq. 10 d) spazio per vani scala di complessivi mq. 130 Le misure sono riferite al netto dei muri.
Piano primo Comprende: a) 16 locali ad uso ufficio per un totale di mq. 652 b) un salone per riunioni (adatto per contenere da 60 ad 80 persone) di mq.
150 circa c) 3 blocchi ad uso servizi per complessivi mq 66 d) spazi per disimpegno, atrio, corridoi, sgabuzzino e vano scala per complessivi mq. 400 circa e) due spazi a terrazza per complessivi mq. 40 circa Le misure sono riferite al netto dei muri.
Ammezzato sul piano primo E' situato completamente nella manica verso la Via privata e comprende una superficie complessiva di mq. 160 circa, attualmente destinata ad alloggi (oltre ad una serie di camere, infatti, si trovano 2 cucine e 2 blocchi ad uso servizi).
Piano secondo Comprende: a) 27 locali ad uso ufficio per un totale di mq. 694 b) un salone di mq. 150 circa c) spazio per atrio, disimpegno, corridoi, ripostigli e vano scala per complessivi mq. 335 d) 3 blocchi ad uso servizi per complessivi mq. 32 e) 2 spazi a terrazza adiacenti alle due maniche laterali di mq. 100 Le misure sono riferite al netto dei muri.
Piano interrato Si trova ad una quota compresa tra i 4 metri circa sotto il piano stradale (locali ad uso archivio) ed i 6,75 (locale ad uso riunione); tale locale, a forma di ellisse, è disposto nella parte centrale in corrispondenza del cortile e contiene attualmente 314 posti a sedere, oltre a 22 posti situati su di un piano rialzato rispetto al pavimento del locale; il salone è completamente circondato da un corridoio di disimpegno che si allarga a foyer verso la Via Lascaris, alla quale si accede attraverso uno scalone ed una scala mobile; esistono inoltre altre due scale, una verso la Via privata e la principale che si collega direttamente con il porticato. Il salone è inoltre corredato da una serie di servizi accessori comprendenti: guardaroba, bar, cabine telefoniche (2), 2 locali per segreteria, servizi ecc.
Esistono, e sono funzionanti, un impianto interno di televisione a circuito chiuso e un impianto di traduzione simultanea per 4 lingue; il locale è munito di impianto di condizionamento e di aspirazione del fumo.
PARCHEGGI Esiste una disponibilità complessiva di circa 50-55 posti macchina, di cui 20-25 nel cortile principale, 5-6 nel cortile posteriore, 2 nell'autorimessa, 20 nella Via privata laterale e 9 in Via Dellala.
ASCENSORI Esistono 2 ascensori per capienza di 4 persone l'uno e 6 persone l'altro.



CENTRALINO TELEFONICO

Dispone attualmente di 15 linee, ma deve essere completamente rinnovato.



STATO DI CONSERVAZIONE DELL'EDIFICIO

Come già detto nella premessa, l'edificio si presenta in discrete condizioni, sia per quanto riguarda l'aspetto statico (recentemente sono state eseguite opere di rinforzo ai capitelli delle colonne del porticato di ingresso), sia per quanto riguarda lo stato di conservazione dei locali essi sono stati adattati ad ufficio della Camera di Commercio con tremezze ed altre opere per il loro utilizzo e si presentano dunque usufruibili; è ovvio comunque che per ospitare gli uffici del Consiglio Regionale occorrerà provvedere ad un lavoro di adattamento e di restauro.
L'edificio è vincolato dalla Soprintendenza ai Monumenti per quanto riguarda la sua struttura di insieme.



CONSIDERAZIONI VARIE

L'edificio dispone di 8 saloni di rappresentanza con arredi d'epoca adatti ad ospitare gli Uffici di Presidenza, le segreterie e sale di riunioni per 15-20 persone; di 2 saloni per riunioni e consultazioni di notevole capienza e ampi spazi per archivi nei sotterranei; di un salone interrato di recente costruzione (1961), che, con opportuni lavori di adattamento, potrebbe essere utilizzato a sala consiliare; ed esistono impianti di condizionamento che dovrebbero garantire condizioni ambientali soddisfacenti.
RIEPILOGO Locali ad uso ufficio n. 84 per una superficie complessiva di mq. 2.804 locali ad uso servizi n. 12 per una superficie complessiva di mq. 180 circa salone interrato e 2 sale riunioni per una superficie complessiva mq. 1.550 disimpegni, corridoi, scale, alloggi, servizio, magazzini mq. 2.094 cortili, ingressi, garage, terrazzi mq. 1116 Per una superficie complessiva al netto dei muri mq. 8.554 L'ufficio di Presidenza ha a lungo esaminato altre possibilità: ve ne erano in Corso Stati Uniti, ma il prezzo richiesto era di circa otto miliardi; è stata esaminata anche la opportunità di Palazzo Reale, ma è assai difficile in breve tempo potervi accedere perché vi sono quindici famiglie, i canali Cavour e altre attrezzature; il prezzo richiesto l'UTE lo ha formulato secondo la perizia che l'Ufficio di Presidenza ha disposto ma potrebbe essere rivisto perché vi è una piccola differenza fra il prezzo di stima ed il prezzo che ha fatto l'Ufficio tecnico erariale recentemente chiedendo addirittura che fosse messo all'asta.
Per questi motivi riteniamo che il Consiglio possa trovare, con non notevole spesa all'interno, la soluzione sia dell'aula consiliare, sia degli uffici del Consiglio che di tutti i Gruppi consiliari.
Riteniamo anche che la vicinanza alla stazione di Porta Nuova - 6/8 minuti a piedi - consenta ai Consiglieri che vengono a Torino in treno o con i mezzi pubblici di raggiungere rapidamente Palazzo Lascaris.
Per questi motivi proponiamo al Consiglio l'acquisto con delibera: trattandosi di patrimonio che spetta alla Giunta, perché il Consiglio non ha la titolarità di alcun rapporto di carattere immobiliare, la Giunta ha presentato questa proposta di deliberazione di acquisto e noi la appoggiamo.
Qualcuno chiede la parola? Consigliere Rivalta.



RIVALTA Luigi

Nella seduta che ha preceduto quella odierna avevamo chiesto che si discutesse la deliberazione presentata dalla Giunta per l'acquisizione di Palazzo Lascaris, mentre la maggioranza ha deciso di rinviarla ad oggi.
Avevamo chiesto di discuterla perché quello della sede del Consiglio è un problema che non ci può lasciare indifferenti per ragioni varie: intanto per motivi di funzionalità, la sede di Via Maria Vittoria è del tutto insoddisfacente anche per contenere le attività e le persone che lavorano al Consiglio; per motivi di carattere politico perché non è concepibile che la sede del Consiglio Regionale continui ad essere in locali di abitazione presi in affitto; in questi quattro anni si sono trovate soluzioni anche costose per gli uffici della Giunta, ma non si è mai avviata a soluzione il problema della sede del Consiglio. Noi denunciamo il fatto che si è giunti pressoché al fine della legislatura, a meno di un anno dalle prossime elezioni, senza che si sia affrontato seriamente il problema della sede della Regione; secondo noi affrontarlo seriamente significa affrontarlo in maniera generale ed organica, definendo un quadro di esigenze e proiettandolo nel futuro.
E' già stata elaborata, rinviata dal Commissario di Governo, una legge sul personale in cui veniva addirittura definito il numero preciso dei direttori degli uffici e quindi, non dovrebbe essere difficile arrivare alla definizione di un organigramma di funzionamento di questo personale e tradurre questa attività in superfici, in locali, in organizzazione degli uffici.
Appare quindi del tutto ingiustificabile questa situazione che ci vede al termine della legislatura, con i problemi tutti aperti, con alcune acquisizioni da parte della Giunta per le proprie sedi, ma anche qui con problemi non risolti che anzi, probabilmente si stanno ingigantendo. Questa situazione di incertezza, di non conoscenza, di non predisposizione della predisposizione della soluzione del problema ci vede pertanto rincorrere le occasioni presenti sul mercato e si è propensi a prestare attenzione, ormai come necessità, a qualsiasi offerta ci venga fatta, poiché non conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno Citava poco fa il Presidente del Consiglio l'offerta di Corso Stati Uniti che l'ufficio di Presidenza ha voluto prendere in considerazione, ma era di un livello qualitativo basso, non proponibile per la sede del Consiglio: intanto si basava su una deroga che la Regione avrebbe dovuto consentire per poter disattendere le disposizioni del piano regolatore di Torino, e trasformare la destinazione a villetta in palazzo per uffici prezzo richiesto di otto miliardi, rapportato ai cento mc di una stanza normale, corrisponde a 30 milioni. Questo esempio non può che essere elemento di denuncia e di condanna per il modo in cui è stata condotta in questi quattro anni ogni iniziativa riguardante la soluzione dei problemi logistici della Regione.
Il rischio che oggi corriamo è chiaramente quello di acquisire degli edifici che si mostreranno rapidamente non funzionali, inadatti alle esigenze che ci stanno di fronte; in particolare Palazzo Lascaris presenta rischi di questa natura per la sua dimensione. Se valutassimo già appieno le esigenze dell'Ufficio di presidenza e delle Commissioni scopriremmo che siamo al limite, soprattutto per quel che riguarda il numero dei locali tenendo conto che in quel palazzo, proprio perché sottoposto alla tutela ci sono una serie di vincoli che non consentiranno di trasformarlo come si vuole. Dovremmo adattare le nostre esigenze alle caratteristiche rigide che presenta, e probabilmente ci troveremmo immediatamente in difficoltà di spazio e di funzionalità dell'edificio.
Sotto il profilo urbanistico (tema che abbiamo posto già due o tre anni fa) questo palazzo presenta uno degli aspetti più negativi: essendo un'area centrale è anche una delle più congestionate, resa difficoltosa dal movimento; se non saranno prese misure di viabilità opportune la presenza della Regione aggraverà ancora questa situazione.
Infine dobbiamo denunciare che, creandosi questa situazione di necessità, si è costretti ad accettare le condizioni di mercato. Se il termine della trattativa sarà quello dell'asta, certamente soggiaceremo alle condizioni di mercato, cosa che noi rifiuteremmo, perché la soluzione logistica della Regione, come di altri istituti pubblici, deve trovare altre vie. Denunciando tutta la gravità di questo stato di cose e attribuendo le responsabilità a chi le ha, diciamo che non si può accettare che un ente pubblico sia costretto a pagare rendite, a foraggiare speculazioni, per dare soluzione ai propri problemi.
Di fronte all'ente pubblico è possibile la strada prevista dalla legge 865 che consente l'acquisizione sulla base di un prezzo agricolo del terreno, con la rivalutazione dei coefficienti per la localizzazione nei centri storici, e del valore residuo degli edifici. Questa deve essere la strada da seguire. Ma al di là di questo aggiungo che a Torino, come abbiamo detto più volte, esistono degli edifici di proprietà demaniale non utilizzati, o utilizzati male, per i quali si pone tra l'altro il problema della sopravvivenza. Il non utilizzo è certamente uno dei motivi della loro degradazione, del loro decadimento; su questa strada non si è fatto alcun passo, non ci si è neanche mossi per conoscere l'intera consistenza degli uffici demaniali presenti in Torino e per averne, in un rapporto non mercantile con lo Stato, il passaggio alla Regione, a dei prezzi che dovrebbero essere di natura simbolica.
Sottolineo ancora una volta che suona infamia, ad esempio, la situazione dell'ala nuova di Palazzo Reale, per il quale ci siamo già più volte pronunciati: si tratta di 140 uffici disposti in maniera molto semplice e funzionale, disposti lungo un corridoio nell'ala nuova del palazzo, costruita appunto per essere sede di un Ministero, e quindi sede di uffici. Ebbene in quest'ala vivono 24 famiglie di funzionari dello Stato che hanno distrutto gli ambienti, li hanno suddivisi per creare dei mini alloggi, o in qualche caso dei grandi alloggi.
Di fronte ad una situazione di questo genere, avendo la Regione possibilità di acquisire sedi attraverso la 865, o di acquisire proprietà demaniali attraverso un rapporto con i Ministeri, l'acquisire a prezzo di mercato edifici localizzati nei luoghi meno opportuni, più congestionati (come Palazzo Lascaris) mentre l'ala nuova di Palazzo Reale si apre sul Corso Regina, quindi con possibilità di facile accesso e allontanamento dal centro storico - ci lascia non solo dubbiosi, ma in posizione negativa.
Noi diciamo però anche che la situazione di precarietà in cui vivono l'Ufficio di Presidenza, le Commissioni, il Consiglio Regionale non è più accettabile, per cui lasciamo a chi ha avuto le redini del Governo in questi quattro anni, tutta la responsabilità di costringere l'Ufficio di Presidenza a cogliere queste occasioni. Una soluzione è diventata necessaria, indispensabile, non più dilazionabile - non si può pensare di arrivare ad una nuova legislatura per decidere; chiediamo pertanto a queste forze politiche che non vogliono seguire la strada dell'acquisizione di Palazzo Reale, di proporre un'alternativa che sia valida sotto tutti i profili e che sia quella convenzionante nell'ambito delle prospettive che abbiamo indicato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Signor Presidente, io ho ascoltato con molto interesse le argomentazioni del collega Rivalta, che debbono farci meditare.
Le ragioni per le quali è diventata molto urgente l'acquisizione di un palazzo come sede del Consiglio Regionale sono, concordo con Rivalta, di duplice ordine: politico e logistico. Metterei prima quello politico perch mi sembra giusto, come d'altra parte hanno già fatto molte altre Regioni italiane (ho avuto occasione recentemente di vedere la stupenda sede del Consiglio Regionale del Veneto, a Venezia). Mi sembra giusto, proprio sul piano politico, al di là di quella che potrebbe essere demagogicamente una valutazione di carattere contrario, affermare il principio che il Consiglio Regionale deve avere una sede degna di ciò che rappresenta, cioè la suprema istanza politica rappresentativa della Regione Piemonte.
Vi è poi una seconda ragione, detta chiaramente da tutti, di carattere logistico, e cioè che occorre dare spazio, occorre dare gli strumenti logistici affinché gli uffici, la Presidenza, le Commissioni, l'aula del Consiglio Regionale possano funzionare.
Detto questo, a me pare che le valutazioni da fare su Palazzo Lascaris siano di duplice ordine, positivo e negativo.
Che cosa gioca a favore di Palazzo Lascaris? A me pare soprattutto una: Palazzo Lascaris è una soluzione globale, offre contemporaneamente la sede dei servizi del Consiglio Regionale e la sede dell'aula consiliare che credo sarebbe una soluzione difficilissima a trovare e praticamente senza alternative in questo momento.
La seconda ragione positiva è che si tratta di tenere in vita, e a mio parere anche sul piano culturale, un vecchio palazzo per evitarne la degradazione. Il Presidente Viglione parlava di gemma dell'architettura pedemontana; non sappiamo se possiamo attribuire questa definizione al Palazzo Lascaris, ma certamente si tratta di un pregevole esempio di architettura piemontese e io credo che sia anche compito della Regione contribuire a salvare i patrimoni architettonici della nostra città.
Il terzo elemento a favore di Palazzo Lascaris è un elemento negativo: in questo momento (ho sentito e le condivido in molta parte, le parole del collega Rivalta che mi confortano) soluzioni alternative non ne esistono.
Non è stata una soluzione alternativa quella di Palazzo Carignano che per incarico del Consiglio Regionale la Giunta aveva cercato, si è visto chiaramente che Palazzo Carignano non era una soluzione, è una stupenda sede, però inadatta per uffici.
Rivalta ha insistito molto e con argomentazioni anche molto serie, su Palazzo Reale. Io non ho partecipato alle trattative, ho fiducia però in quello che ha fatto l'Ufficio di Presidenza del nostro Consiglio evidentemente Palazzo Reale non è stato possibile acquisirlo, credo che se l'Ufficio di Presidenza avesse avuto la possibilità di acquisirlo lo avrebbe fatto, non c'erano elementi di valutazione contrari, anzi, i famosi 140 uffici in un'unica ala già destinati a Ministero sembravano la soluzione più adatta, a parte che Palazzo Reale probabilmente non dava la soluzione idonea per l'aula consiliare.
Gli elementi negativi quali sono? Certo, ha ragione Rivalta, sono i vincoli che esistono sul palazzo, per cui difficilmente potremo trovare soluzioni logistiche tali da poterlo utilizzare quando la Regione avrà bisogno di una sede maggiore. Un elemento che potrebbe essere interessante e che io purtroppo, certamente per la mia carenza, non ho trovato nelle relazioni che ho letto e sul quale vorrei una spiegazione (chiedendo scusa preventivamente se invece è già stato scritto) è questo: è stata fatta un'analisi dell'utilizzabilità di Palazzo Lascaris quando gli uffici del Consiglio Regionale saranno diventati più importanti? Fino a che anno presumibilmente servirà Palazzo Lascaris? Questa è un'analisi che normalmente si fa.
L'ubicazione, è vero, è in un'area congestionata, però tutte le ubicazioni di quel genere sono in aree congestionate; tutti coloro che hanno da fare delle scelte anche per residenze di altro genere, di carattere industriale o finanziario, sanno come il centro di Torino sia congestionato.
D'altra parte una soluzione (alla quale io sono legato) che vedesse l'insediamento della Presidenza del Consiglio Regionale in un vecchio palazzo di Torino, per tutta una serie di ragioni difficilmente poteva essere trovata al di fuori del centro.
Detto questo non ho altro da aggiungere. E' vero, probabilmente siamo sul piano del mercato, ma, se questo può essere di conforto, si tratta di accordi fra due Enti pubblici: quindi certamente non andiamo ad alimentare speculazioni di privati.
Il Gruppo socialista perciò, tenuto conto che gli aspetti positivi del problema sono superiori a quelli negativi, dichiara che voterà a favore.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cardinali, ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nel momento in cui ci accingiamo ad esprimere il nostro parere in merito alla proposta di delibera per l'acquisto di Palazzo Lascaris, non possiamo celare la delusione per il modo in cui è stato affrontato dall'inizio ad oggi da questo Consiglio Regionale da tutti gli organi del Consiglio, il problema della sede.
Io non so se interpreto il parere dei colleghi del mio Gruppo, ma sono uno di quelli che non si è mai lasciato sufficientemente influenzare dalla nostalgia per i palazzi di carattere storico e per quelli che dovevano essere in qualche modo recuperati, sono palazzi i cui problemi sussistono ma il cui recupero a mio modo di vedere non passa necessariamente attraverso la installazione di un ente come la Regione che ha altri obiettivi e che non può dimenticare un fatto di carattere pratico: è decollata e si proietta verso il futuro e non è l'aggancio al passato che può tutelarne od assicurarne meglio le finalità.
Io sono sempre stato per una sede unica che risolvesse definitivamente il problema della Regione e credo che occasioni in questo senso se ne siano presentate fin dall'inizio, se avessimo voluto affrontarle, vuoi nel centro direzionale di Torino, vuoi in aree limitrofe al Po.
Abbiamo avuto delle dicotomie nella scelta delle varie sedi, la Giunta ha provveduto fino a questo momento a un'indubbia risoluzione almeno parziale dei suoi problemi con l'acquisizione del palazzo di Piazza Castello. Ebbi occasione di dire allora, da altri banchi, che si trattava di un investimento patrimoniale comunque utile e valido e se oggi facessimo il paragone coi prezzi che pagammo allora probabilmente riconosceremmo tutta la validità di questo acquisto.
Ma il problema rimane insoluto ed io sono d'accordo con chi dice che non è più possibile andare avanti così ma non per una questione di malinteso prestigio, bensì per una questione di vera e propria funzionalità che inizia dalla cosa più meschina, dai servizi igienici, se mi si permette di usare anche questo tipo di espressione.
Ebbi occasione di andare a Palazzo Lascaris per alcuni convegni. Non c'è nessun dubbio che Palazzo Lascaris ha degli inconvenienti, qualcuno è già stato messo in rilievo, direi che l'inconveniente maggiore è che è bloccato, è così e non potrà essere diversamente, salvo che arriveremo al punto di tirare delle righe col gesso per dividere gli uffici e farne da uno, due, oggi però risolve i problemi del Consiglio. Il Consigliere Nesi chiedeva fino a quando, io non sono in grado di rispondere, direi che per la prossima legislatura questo interrogativo non si porrà certamente.
Ha degli aspetti negativi per la sua ubicazione, è un'area centrale priva di posteggi, intasata, che io mi auguro diventi quanto prima area pedonale a tutti gli effetti, almeno il problema sarebbe risolto a livello di mezzi pubblici, perché quando il Presidente del Consiglio ci dice che ci sono 55 posteggi possibili c'è da preoccuparsi di trovare nelle vicinanze un altro garage come quello di cui beneficiamo oggi dove, se non altro, la macchina viene messa in qualche modo a tutela nel momento in cui si è in attività presso il Consiglio Regionale. Quindi ci sono elementi certamente negativi, ma per me torna ad essere valido l'elemento determinante: è un acquisto patrimoniale che anche se non fatto attraverso i canali della 865 (che certamente risolverebbero il problema con importi ben diversi ma che non so fino a che punto siano ipotizzabili) non pregiudica i quattrini che la Regione mette a disposizione.
Fatta questa amara cronistoria di come il problema è stato affrontato un po' da tutti per arrivare ad una soluzione unica e definitiva, io annuncio da parte del PSDI che voteremo a favore della delibera della Giunta.



PRESIDENTE

Altri chiedono di parlare? Se il Consiglio me lo consente, vorrei rispondere alla domanda se l'Ufficio di Presidenza ha ipotizzato un quadro per quanto riguarda il personale ed i lavori. Questo quadro presuppone che nella migliore delle ipotesi il personale del Consiglio sia intorno ai 75/80 dipendenti, il che è già articolato attraverso dei quadri dipartimentali; non è stato possibile portarlo avanti perché la legge attuale prevede soltanto l'inquadramento, ma il palazzo - con opportuni adattamenti all'interno servirà per una prospettiva non inferiore ai 15/20 anni.
Il parcheggio è limitato a 55 posti; certo che il giorno in cui mettessero l'isola pedonale non ci sarebbe più bisogno neanche di questi 55 posti ma io ritengo, dopo averlo ripercorso almeno una ventina di volte dalle cantina ai solai, che per una prospettiva non lontanissima, ma neanche tanto breve, il palazzo può essere sufficiente per tutta l'attività consiliare. E' chiaro che occorre qualche adattamento di struttura interna se il Consiglio vorrà invece rimetterlo in ordine anche nelle sue strutture architettoniche esterne da fatiscente com'è lo si riproduce nel suo splendore.
Abbiamo anche parlato di Palazzo Ormea: quattro anni fa si comperava con 600 milioni, circa sei mesi fa venne venduto per due miliardi così com'è, per cui quando sarà ristrutturato ne costerà almeno sei o sette.
Abbiamo cercato anche al centro di Torino, ma non vi erano possibilità che a tempi lunghi, 10/15 anni.
Bisogna ancora rilevare che si tratta di un palazzo che potrà essere compravenduto con facilità quando il Consiglio avesse trovato un'altra soluzione, è nel centro di Torino, nel quadrilatero delle banche; non possiamo tacere che vi sono già delle pressioni per acquisirlo. Quindi mi pare che per un periodo non lunghissimo possa servire al Consiglio.
D'altronde abbiamo visto che il costruire un'aula degna di tal nome è difficilissimo, o si costruisce ex novo e allora la si progetta, ma trovare un vecchio palazzo in cui possa inserirsi l'aula diventa estremamente difficile e costoso. Si pensi che nel 1961 l'aula della Camera di Commercio costò già circa mezzo miliardo, si pensi quanto costerebbe ai prezzi attuali un'aula con servizi di traduzione, l'inserimento con la RAI-TV per le riprese dirette ecc.
Io penso che il Consiglio debba esaminare con attenzione questa deliberazione e anche con una certa urgenza perché una volta approvata con le trattative andremo a finire a settembre-ottobre, poi il Ministero dell'Industria ha 90 giorni per approvare la deliberazione della Camera di Commercio e andiamo a gennaio, quindi bisogna provvedere a tutti gli incombenti finanziari e andiamo a febbraio-marzo. Se avessimo visto una possibilità di restare qui si restava, ma qui dieci posti in più non ci stanno e a giugno dell'anno prossimo chi tornerà in Consiglio se vorrà 60 posti dovrà avere un'altra aula, salvo tenere le riunioni in sale storiche come Palazzo Madama, ma quello ci viene concesso solo eccezionalmente.
Darei ora lettura della deliberazione che avete ricevuto: "Il Consiglio Regionale preso atto della necessità di acquisire una sede definitiva peri propri servizi e uffici ricordate le precedenti indicazioni emerse da successivi dibattiti consiliari in ordine all'opportunità che le sedi della Regione Piemonte siano da collocare nell'ambito del centro storico della Città di Torino vista la disponibilità della Camera di Commercio di Torino di cedere la sua vecchia sede, posta in Torino - Via Alfieri n. 15 - (Palazzo Lascaris) all'Amministrazione Regionale, per consentirvi la sistemazione definitiva dei servizi facenti capo al Consiglio Regionale ritenuto, anche sulla scorta di precise analisi effettuate dall'Ufficio di Presidenza e verificate dalla conferenza dei Capigruppo, che l'anzidetto Palazzo Lascaris appare idoneo alle varie esigenze di funzionamento di tutti i servizi del Consiglio Regionale aula consiliare compresa viste le stime prodotte rispettivamente: a) dalla Camera di Commercio di Torino per quanto concerne il valore dell'immobile, redatta dall'UTE di Torino il 30 gennaio 1974 per un importo di L. 3.230.000.000 per quanto concerne arredamento, ambientazione, attrezzature di ufficio, pezzi d'arte e d'antiquariato, per un importo di L. 202.251.000 b) dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio, redatta ad opera di un gruppo di esperti all'uopo nominati e relativa al valore dell'immobile che è stato valutato in L. 2.560.000.000 (al netto delle opere di manutenzione straordinaria da eseguire) ritenuto opportuno conferire mandato alla Giunta Regionale per definire al meglio le condizioni tutte delle operazioni di acquisto dell'immobile di cui trattasi, con riserva che siano sottoposte all'esame del Consiglio Regionale le determinazioni inerenti agli oneri finanziari relativi alla progettata acquisizione immobiliare delibera 1) la Giunta Regionale è autorizzata a proseguire e a concludere le trattative per l'acquisto dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Torino, con sede in Via Giolitti, dell'immobile sito in Torino - Via Alfieri n. 15 (Palazzo Lascaris) alle migliori possibili condizioni finanziarie, nell'ambito delle stime citate in premessa.
Inoltre potrà essere aggiunto il controvalore delle attrezzature di ufficio, dell'arredamento, delle ambientazioni e dei pezzi d'arte e d'antiquariato che la Camera di Commercio di Torino è disposta a lasciare nell'immobile anzidetto, per un valore non superiore a L. 202.251.000 (pi il corrispettivo dell'IVA in quanto dovuta) per ogni altra modalità relativa al trapasso di proprietà dell'immobile anzidetto, così come per quanto concerne le modalità di pagamento del corrispettivo pattuito è data ampia delega alla Giunta Regionale per definire al meglio le condizioni di contratto 2) la Giunta Regionale è altresì autorizzata a compiere tutte le formalità necessarie, ai fini dell'acquisizione nel patrimonio regionale dei beni di cui trattasi, nei limiti di impegno di spesa di cui alla presente deliberazione 3) per quanto concerne gli oneri finanziari relativi all'acquisizione immobiliare di cui alla presente delibera, ogni determinazione è rinviata a successivo provvedimento del Consiglio Regionale, adottato su proposta della Giunta.
La presente deliberazione, non appena divenuta esecutiva, sarà pubblicata sul B.U. della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
E' una prima delibera che dovrà ritornare in Consiglio; almeno per questo inizio di trattativa penso possa essere data fiducia alla Giunta che continuerà la trattativa.
Non essendo emersi altri orientamenti, metto in votazione la delibera proposta dalla Giunta di cui ho dato lettura.
La delibera è approvata.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti idrici - Tutela dagli inquinamenti del suolo - smaltimento rifiuti

Ordine del giorno relativo all'approvazione della legge sulla depurazione delle acque reflue


PRESIDENTE

Resta da discutere il punto terzo: "Esame ordine del giorno relativo all'approvazione della legge sulla depurazione delle acque reflue".
Do lettura dell'ordine del giorno che mi e pervenuto a firma Bianchi Vera, Calsolaro, Bono, Gerini: "Il Consiglio Regionale del Piemonte a conclusione del dibattito sulla legge che disciplina gli scarichi liquidi delle attività produttive prende atto delle dichiarazioni del Presidente della Giunta circa gli impegni che la stessa si è assunta di presentare al Consiglio Regionale entro 90 giorni dalla data di approvazione della legge che disciplina gli scarichi liquidi, un disegno di legge per l'approvazione dei piani regionali di depurazione delle acque e si smaltimento dei rifiuti solidi raccomanda alla Giunta che nella individuazione dei limiti comprensoriali, per l'attuazione dei piani di depurazione delle acque e lo smaltimento dei rifiuti solidi, siano tenuti nel dovuto conto, oltre le realtà idrogeografiche e degli insediamenti, le articolazioni del piano di sviluppo regionale impegna la Giunta a definire, con un dibattito in Consiglio Regionale le finalità e gli obiettivi che dovrà proporsi il piano regionale delle acque".
Desiderano illustrarlo? La parola all'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

A me spiace che il fatto che abbia dovuto allontanarmi dall'aula durante la seduta di venerdì abbia fatto succedere un equivoco e ci tengo molto, per il rispetto che devo e che ho per il Consiglio Regionale, dare questa spiegazione che sarà brevissima, data l'ora.
Intanto il mio allontanamento dall'aula era dovuto ad appuntamenti preordinati nell'arco del piano di smaltimento dei rifiuti solidi e della depurazione delle acque, con i vari sindaci dei comprensori; da tre mesi stiamo lavorando duramente al fine di effettuare questi incontri e confrontare sul piano pratico i piani della Giunta con le attività, i programmi e addirittura i lavori in corso dei singoli Comuni. So che il notevole sforzo compiuto da parte dell'Assessorato non ha tutta la comprensione che dovrebbe avere, lo si vede sotto altre forme. Detto lavoro tuttavia non è niente di formalizzato, non si ripetono affatto le consultazioni che sono state fatte preventivamente per le Comunità montane ed i Consigli comunali non sono chiamati a deliberare alcunché: è semplicemente la Regione che vuole essere molto più vicino di quanto non lo sia stata fino a ieri, ai Comuni e non far calare dall'alto un piano di risanamento senza neanche avere interpellato i sindaci. E' questo programma che per tre mesi ci ha visti impegnati assiduamente tutti i pomeriggi e tutte le sere con uno sforzo notevole (se può valere come giustificazione) che ci ha fatto essere assenti dal Consiglio.
L'equivoco forse è nato dal fatto che mentre l'o.d.g. era già stato valutato dal sottoscritto con i proponenti e non c'era stato nulla da eccepire, prevedendo la seduta scorsa il dibattito su Palazzo Lascaris (che poi non è stato fatto) avevo ritenuto di esprimere al Presidente della Giunta il mio desiderio di essere presente alla discussione dell'o.d.g. per un qualche cosa che ritengo sostanziale, come adesso vengo a spiegare.
Niente da dire sulle dichiarazioni di presentare entro 90 giorni il disegno di legge per l'approvazione, lo sanno tutti che ormai è cosa quasi fatta; niente da dire sulla raccomandazione che oltre alle realtà idrografiche e degli insediamenti le articolazioni del piano di sviluppo siano tenute in considerazione; volevo semplicemente sottolineare che l'o.d.g. "impegna la Giunta a definire, con un dibattito in Consiglio Regionale, le finalità e gli obiettivi che dovrà proporsi il piano regionale delle acque" e volevo fare una raccomandazione: si ponga un termine molto vicino, molto preciso entro cui devono essere definite le finalità e gli obiettivi del piano, altrimenti veramente le cose vengono dilazionate sine die.
Il fatto di accettare un o.d.g. di questo genere mi sembra una questione pregiudiziale sull'operatività dell'Assessorato e se non si mette un termine va a finire che con tutti i discorsi che facciamo sull'operatività (siamo tutti assillati dal desiderio di arrivare a qualche risultato) l'Assessorato si viene a trovare in difficoltà perché per procedere è condizionato da queste cose e se non procede si sente rinfacciare il ritardo.
A scanso delle mie responsabilità - questa è la precisazione che volevo fare, non vorrei che questo ultimo punto dilazionasse in modo quasi pregiudiziale l'impostazione del piano delle acque (del quale tra l'altro parlo dal 1971) - vorrei che il dibattito in Consiglio venisse fatto nell'arco massimo di quindici giorni, altrimenti invece di essere uno stimolo viene a pregiudicare l'opera della Giunta.
Questa era la precisazione per cui ci tenevo ad essere presente, con la giustificazione delle cose che ho dette.



PRESIDENTE

Con questa precisazione si chiude la discussione.
Passiamo al voto sull'ordine del giorno di cui ho dato lettura.
E' approvato all'unanimità.
Diamo ora lettura delle interpellanze e interrogazioni.


Argomento:

Interrogazioni e interpellanze (annuncio)


FRANZI Piero, Segretario

Il Consigliere Vera interroga il Presidente della Giunta sul comportamento del Ministro delle Poste e Telecomunicazioni circa lo smantellamento degli impianti televisivi Teletorino.
I Consiglieri liberali Zanone, Gerini, Fassino, Rossotto presentano interpellanza urgente sullo smantellamento dei ripetitori televisivi stranieri e degli impianti Teletorino.
Il Consigliere Franzi interroga il Presidente della Giunta sul funzionamento dell'impianto di Mazzè Canavese.
I Consiglieri Gerini, Rossotto, Zanone interrogano il Presidente della Giunta sul Parco del Gran Paradiso.



PRESIDENTE

I Capigruppo ed il Presidente della Giunta hanno già formulato il programma dei lavori per il mese di luglio e ne è stata data comunicazione a tutti i Consiglieri.
Il Consiglio è riconvocato per giovedì alle ore 9,30 e 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 14,15)



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