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Dettaglio seduta n.231 del 30/05/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento: Bilanci preventivi

Esame del disegno di legge n. 120 sul Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1974 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'ordine del giorno reca: Prosecuzione della discussione sul "Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1974".
Non vi sono osservazioni? Allora procediamo.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri: Berti, Fassino, Gerini, Giovana.
Sono iscritti a parlare stamani i Consiglieri Menozzi, Nesi, Soldano Bianchi, che però potrebbe, se crede, parlare in sede di dichiarazione di voto, visto che il suo Gruppo è già ben rappresentato, ed inoltre due Consiglieri, per ora non precisati, del Gruppo del Partito comunista.
Iniziamo con il Consigliere Soldano.



SOLDANO Albertina

In sede preliminare ritengo di dover precisare che forse toccher argomenti già trattati da altri: penso tuttavia di aver ragione di farlo per alcune puntualizzazioni, attraverso le quali può essere possibile eventualmente, operare una verifica o un confronto fra le tesi esposte.
L'ampia relazione della Giunta, l'accurata relazione della Commissione competente, corredata dal risultato delle consultazioni, l'articolato dibattito in questa sede hanno indubbiamente già fornito un approfondimento del documento in esame, ossia del bilancio preventivo 1974, come strumento dell'attività regionale, collegato sia ai problemi congiunturali della situazione economica nazionale e regionale, sia alle indicazioni programmatiche, del resto ripetutamente ricercate o richiamate attraverso i dibattiti consiliari anche in altre, precedenti occasioni.
Pertanto, ritengo di dover anzitutto esprimere una adesione personale sincera e convinta, al documento, che, pur nelle difficoltà della realizzazione, riflette la volontà di affrontare organicamente i molteplici problemi della nostra realtà regionale, secondo un piano di sviluppo programmato.
Mi sia quindi consentito svolgere qualche considerazione che, seppur apparentemente settoriale, mi pare utile in prospettiva, proprio nella visione globale del piano. Mi riferisco anzitutto alle spese previste per l'istruzione e per l'assistenza scolastica. Prendo atto del notevole aumento degli stanziamenti. Perdurano delle elencazioni che ricordano il passato, ma che tuttavia sono correlate con cifre concrete che aprono nuove possibilità di mezzi e di azione. D'altra parte, non facciamo qui del nominalismo, ma guardiamo alla sostanza delle voci indicate nei vari capitoli del documento. Pertanto mi sembra opportuno ribadire che, nella visione di quanto stanziato per l'istruzione e per l'assistenza scolastica noi non dobbiamo pensare soltanto all'affrancamento dal bisogno, ma dobbiamo ancora una volta ribadire il superamento dell'assistenza scolastica in senso tradizionale, per affermare invece il diritto allo studio come riconoscimento di libertà personale, come promozione delle capacità e delle attitudini umane dei singoli.
D'altra parte, i documenti elaborati dalla III Commissione, discussi approvati in varie occasioni in quest'aula, hanno portato avanti questa impostazione. Ora, vorrei ribadire l'urgenza dell'emanazione di una legge organica sull'assistenza scolastica al riguardo, legge che, per quanto mi risulta, dovrebbe essere attualmente all'esame della Giunta Regionale proprio per destinare convenientemente i fondi a disposizione, ma soprattutto per dare un assetto organico e globale alla materia, in vista della realizzazione graduale del diritto allo studio. D'altra parte, tale disegno di legge che si attende da parte della Giunta, dovrà essere confrontato con due leggi esistenti all'esame della Commissione consiliare in modo da poter cogliere gli elementi fondamentali dei tre progetti e, in sede conclusiva, portare avanti un'azione organica e decisa. L'urgenza di questa legge è da tener presente anche in vista del prossimo anno scolastico, 1974-'75. Personalmente, ritengo che sarebbe molto triste oltre che dannoso, arrivare alla vigilia dell'apertura del prossimo anno scolastico senza avere ancora una possibilità definitiva di azione. In secondo luogo, ritengo di dover richiamare il decreto delegato n. 3 del 14 gennaio '72, che trasferiva alle Regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative statali in materia, sì, di assistenza scolastica, ma anche di musei e biblioteche di Enti locali. Vorrei ricordare che allora noi ci dichiarammo favorevoli all'esame, pur distinto, delle due materie, perch considerammo i musei e le biblioteche di Enti locali come strumenti indispensabili per la realizzazione del diritto allo studio, ovvero per l'interpretazione dell'assistenza scolastica in termini nuovi. Ora, le voci contemplate nel capitolo del bilancio relativo ai musei e alle biblioteche di Enti locali sono varie, articolate, e in sintesi prospettano, a mio avviso, tutti i problemi inerenti al settore, ivi compresa la salvaguardia dei beni culturali che talvolta esistono nei centri più isolati del nostro Piemonte e che hanno urgente bisogno non soltanto di manutenzione o di conservazione, ma di valorizzazione, perché si tratta di una autentica espressione della nostra civiltà.
Pertanto do la mia adesione agli stanziamenti effettuati; anzi ringrazio, perché riscontro un notevole incremento in confronto agli stanziamenti precedenti. Però, mi sia concesso, sotto forma di raccomandazione, chiedere che in futuro sia tenuta presente l'eventualità anzi, vorrei dire, la possibilità concreta, di incrementare queste voci, e controllare altresì l'impiego dei fondi, anche per curare specialmente il servizio di lettura. Ho preso atto con compiacimento del notevole aumento della cifra stanziata per l'acquisto, ad esempio, di bibliobus; per proprio per soddisfare quel desiderio, quella esigenza di promozione culturale che viene dai ceti popolari anche delle zone più sperdute ritengo che questa voce sia particolarmente da considerare, cioè da incrementare.
Mi sia infine concesso fare un'ultima osservazione relativamente ai capitoli concernenti la formazione professionale. Un cospicuo numero di miliardi risulta stanziato per questa voce. Però, occorre riordinare ristrutturare tutta la materia, evitando i doppioni o gli sprechi inutili.
Propongo pertanto alla Giunta l'eventualità di appurare, di studiare la possibilità di emanare una legge regionale che organicamente affronti tutto il settore, eliminando le carenze o certe forme di attività inutili o superate, per rispondere alle reali esigenze dei giovani e del mondo del lavoro nelle sue varie articolazioni. Del resto, questa esigenza affiora in modo abbastanza esplicito nella relazione sul bilancio redatta a cura del Consigliere Dotti per la I Commissione consiliare.
A titolo di esempio, nel bilancio esiste un nuovo capitolo, il 356, per la realizzazione di corsi di formazione e qualificazione professionale degli operatori degli asili-nido. Ottima scelta. Però ve ne potrebbero essere altre, secondo specifiche esigenze che affiorano dalla realtà regionale. A titolo sempre esemplificativo, richiamo il complesso settore del recupero umano e sociale degli handicappati. Allo stesso modo, vorrei citare l'opportunità di progettare dei corsi per logopedisti o per fisioterapisti, o comunque per altre specializzazioni richieste dal nostro mondo in trasformazione. Osservazioni analoghe si potrebbero fare per i settori del turismo, del commercio, dell'artigianato, dello stesso mondo industriale, che è così strettamente collegato con l'evoluzione e il progresso tecnologico.
La situazione economico-sociale del Piemonte è stata evidentemente oggetto di esame accurato da parte della Giunta e della I Commissione, così come, almeno per quanto riguarda le materie di competenza, il documento IRES è stato studiato e vagliato da ogni Commissione consiliare. Il bilancio 1974, quale strumento di una politica di una politica di programmazione, si prefigge, a mio avviso, in particolare la piena occupazione come traguardo di una azione coordinata e costante. Orbene, la formazione professionale è uno degli strumenti utili per incentivare lo sviluppo umano, sociale ed economico del Piemonte. Ma occorre adeguarla ai tempi, se si vuol salvaguardare la ben meritata fama delle capacità tecniche della nostra regione, oltre che garantire la continuità dello sviluppo produttivo e soprattutto assicurare il pieno apporto di tutte le risorse umane disponibili.
La formazione professionale è importante anche per quel progetto - mi permetto di definirlo così - di cooperazione con le altre Regioni d'Italia e del mondo, particolarmente con le regioni del mondo in via di sviluppo, secondo quanto asserisce la stessa relazione Dotti. E' un problema, cioè, di qualità, per cui il Piemonte, specialmente in questi tempi difficili, potrebbe ancora affermarsi e distinguersi, e soprattutto potrebbe trovare nuovi sbocchi alla forza-lavoro disponibile, con particolare riguardo ai giovani.
In sintesi, l'assistenza scolastica, ivi compresi i musei e le biblioteche di Enti locali, e la formazione professionale sono due settori fondamentali per realizzare il dettato costituzionale, là dove si afferma il diritto allo studio e il diritto al lavoro per ogni cittadino. Ma costituisce altresì una risposta alle esigenze che emergono dalla nostra realtà regionale. Occorre operare con organicità e decisione nelle due direzioni, quali componenti essenziali, basilari dello sviluppo economico sociale della Regione.
Il bilancio 1974 potrà divenire così, nella realtà, un valido strumento di raccordo tra il Governo della congiuntura e la politica di programmazione. E' quanto auspichiamo sinceramente. Concludendo, mi sia consentito esprimere la mia piena fiducia nell'azione della Giunta.
Pertanto prego accogliere questo intervento come espressione di adesione e impegno a collaborare e altresì come una raccomandazione, leale e sincera affinché si perseguano determinati obiettivi con chiarezza di intenti e decisa volontà politica. Grazie.



PRESIDENTE

Ringraziando il Consigliere Soldano, darei la parola ora al Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ci si vorrà scusare se, prima di calare il discorso sul "bilancio" in esame, sulle sue articolazioni effettuiamo alcuni richiami alla situazione generale del Paese, del cui contesto siamo parte, poiché lo stesso bilancio ne viene ineluttabilmente coinvolto, senza con questo sottovalutare l'incremento che abbiamo potuto registrare nel flusso delle entrate, con gli oltre 126 miliardi, nei confronti del 1973.
Infatti, la questione più vera, e nel contempo più emblematica, che si pone a monte di ogni stato previsionale di spesa, è quella posta drammaticamente dall'inflazione galoppante, dalla crisi della bilancia dei pagamenti, dall'angoscioso dilemma riguardante i redditi reali, la distribuzione delle risorse, la produzione e l'occupazione.
Se questa è una "crisi storica", comune a tutti gli altri Paesi, la situazione italiana è, però, molto più preoccupante, poiché, se in questa "crisi" siamo interamente coinvolti, il nostro sistema, e con esso noi stessi, non riusciamo a trovare adeguate capacità di reazione, di adattamento e di propulsione verso nuovi e più saldi equilibri economici poiché sembriamo non riuscire a trovare la possibilità di programmare una equa ripartizione dei sacrifici, necessari per superare, con le nuove, le antiche difficoltà.
Non è nostra intenzione fare della parafilosofia della politica economica, ma ci pare che cominci a diventare irrinunciabile la credibilità di un Governo. A questo deve aggiungersi la possibilità di far pagare le imposte a chi deve, e nella misura in cui lo deve, come potrebbe essere consentito dalla recente riforma fiscale, se bene applicata, e soprattutto, la necessità di governare il Paese, imponendogli i necessari sacrifici senza ricorrere ai Prefetti, ai carabinieri e ai pretori, che senza voler loro mancare di rispetto, sono però strumenti un po' atipici di politica economica. In fondo, diventa inutile discutere di inflazione, di bilancia dei pagamenti e di restrizione creditizia, se non si pratica in concreto una vera politica di risanamento economico.
Per il particolare stato dell'economia italiana, pur inserita in una "crisi storica", si vanno facendo analisi, si vanno esponendo elaborate e dotte diagnosi, si vanno a ricercare cause e colpevoli. La realtà è semplicemente una, e cioè che il Paese vive al di sopra delle proprie risorse. Importiamo più di quanto esportiamo. La differenza, chi la paga? E, come se non bastasse, anche all'interno manteniamo sacche d'inflazione.
Siamo, è vero, di fronte, in questo caso, a prezzi politici, che hanno una loro funzione sociale, ma anche qui è necessario, finalmente, distinguere tra servizi essenziali, per i quali il discorso dei prezzi politici è valido ed accettabile, ed altri che essenziali non sono, o lo sono fino ad un certo livello, per poi diventare lusso e cioè superfluo. E' il caso di dire, in queste situazioni, che si è di fronte ad abusi fatti a danno del più debole. Bisogna avere il coraggio di saper incidere su interessi costituiti e su rendite di posizione consolidate. La nostra vita economica e sociale è ancora basata su indiscriminati consumi e sprechi, senza che si tenga conto del livello di guardia a cui siamo giunti.
Oggi si parla di modificare il modello di sviluppo. E' un'impostazione giusta, per quanto la stessa legge del progresso voglia un'evoluzione della società, e, quindi, l'attuazione di riforme, la scelta di strumenti operativi diversi, la ricerca di nuove vie. Ma la modifica non può e non deve essere una opzione di sottosviluppo.
Immediatamente va chiesto con forza al Governo di amministrare la politica dei prezzi per garantire il mantenimento ed il rilancio della produzione.
Intendiamo ribadire il concetto di politica dei prezzi e non anche di rigido controllo dei prezzi, che, in ultima analisi, provocano solamente tensioni e speculazioni, che non hanno altro sbocco se non in aumenti ben più gravi di quelli economicamente giustificati e giustificabili. Una politica di controllo permanente dei prezzi, tenuti a livelli non rimunerativi, potrà costringere i produttori a dar fondo alle scorte, ma non potrà certamente indurli a produrre in perdita. La crisi zootecnica e del settore lattiero-caseario, ad esempio, ha pur insegnato qualcosa. In questo modo, la produzione ristagna, gli operatori economici tendono a non immettere prodotti sul mercato, in attesa di prezzi più alti, ed i consumatori corrono all'accaparramento: ne abbiamo avuto prova anche in questi ultimi mesi.
Una prima misura di una valida politica dei prezzi è il contenere i redditi monetari dei consumatori, anche attraverso la via di un più giusto prelievo fiscale, differenziandoli tra redditi di lavoratori, che vanno tutelati più e meglio, e redditi di puro capitale e di impieghi privilegiati. E' necessario contenere i redditi maggiori e consentire l'adeguamento dei salari e stipendi di coloro che lavorano, e il miglioramento dell'assistenza sociale a coloro che hanno veramente bisogno.
Ed è pure necessario aumentare la produttività, e cioè ottenere una maggiore quantità di beni e servizi con la stessa quantità di capitale e di lavoro, mentre oggi aumenta la produzione, quando aumenta, ma non la produttività.
Si dice che vi è necessità di aumentare gli investimenti. A parte la considerazione che gli investimenti si aumentano con il risparmio pubblico e privato, e non con l'espansione della liquidità, con, tra l'altro l'immissione di nuova carta-moneta sul mercato, ci pare invero necessario aumentare gli investimenti ma anche, e soprattutto, dare migliore e più intenso impiego a quelli esistenti. E' questo che aumenta realmente le risorse disponibili.
Anche un discorso sull'occupazione va affrontato in questa ottica perché non è riducendo le forze di lavoro che si aumenta l'occupazione. Il lavoro non è una quantità fissa che consenta una preordinata giustizia distributiva, ripartendola tra un maggior numero di occupati. La quantità di lavoro è connessa con i costi di produzione e con i prezzi pagati dai consumatori, legata cioè a pressioni inflazionistiche: meno si lavora e più pesanti sono queste pressioni. Si deve, quindi, puntare decisamente su un netto incremento della produttività del sistema. Perciò non è più possibile continuare nella mediazione e nel compromesso fra le esigenze delle diverse parti senza articolarla con un minimo di coerenza, e cioè come scelta di comportamento da parte delle forze sociali, economiche e politiche.
Altrimenti, una politica dei redditi l'avremo a posteriori, imposta dalla realtà economica, e cioè come aggiustamento occasionale che genera una situazione di fatto, ossia la politica di un insieme di contraddizioni che provoca comportamenti non coerenti, o meglio non programmati.
Si impongono perciò comportamenti coerenti e finalizzati all'obiettivo comune e nell'interesse di tutti, della riconquista di validi nuovi equilibri, senza riferimento a quelli più avanzati.
Avremo detto cose ovvie e scontate, ma ci pareva necessario chiarirle nuovamente, ed in modo sia pur grossolanamente essenziale, per affrontare con maggior serenità un discorso anche sul nostro bilancio regionale, che a nostro sommesso parere, in questa prospettiva si deve muovere, sia pure nell'ambito limitato delle proprie risorse, prerogative e competenze.
Deve venire anche posta in rilievo l'opportunità di formare, in futuro un vero bilancio consolidato per progetti inseriti in un piano programmatorio, poiché ciò permette di poter realisticamente valutare le risorse disponibili.
Un altro punto da noi già altre volte ribadito va e deve andare valutato, e cioè il fissare un preciso criterio di priorità nelle scelte dei bisogni da soddisfare, anche in stretto rapporto a condizioni di effettiva "realizzabilità" nel periodo di bilancio, per non creare il grave rischio di volumi sempre crescenti di residui passivi che hanno la conseguenza gravosa di costituire rigidi impegni per gli esercizi futuri.
Esemplare ci pare, anche a questo proposito, la relazione dell'Assessore Paganelli, che in un articolato discorso di programmazione finanziaria e di politica di bilancio programmato, rilanci, a pag. 14, per questi fini, il discorso dell'opportunità di adozione, oltre che in sede nazionale, anche in sede regionale, di un bilancio di cassa accanto al bilancio preventivo di competenza, proposta da noi formulata in occasione dell'intervento sul primo bilancio della Regione Piemonte.
A tal proposito, sostenemmo allora che "per quanto attiene all'aspetto tecnico, si potrebbe, sempre in tema di bilancio, in avvenire esaminare con la delicatezza che il caso comporta, l'opportunità di provvedere all'adozione di un bilancio di cassa, accanto al bilancio preventivo di competenza, che tenga conto dei tempi effettivi di attuazione dei flussi di entrata e di spesa, in modo da valutare tempestivamente l'impatto effettivo di essi sull'economia della Regione" E per queste precisazioni ringrazio l'Assessore Paganelli. Tutto questo dovrebbe essere visto in una maggiore integrazione e più sistematica coordinazione delle varie spese assessorili onde poter prefiggere un modello organizzativo regionale omogeneo rispetto ai fini più che rispetto alle competenze.
Delineato così un certo tipo di discorso generale sui nuovi modelli di sviluppo, sulla necessaria politica programmatoria e sulla conseguente più organica impostazione di bilancio, visualizzata ai fini preindicati dobbiamo pur anche affermare che qualcosa in tal senso si muove, e di ci prendiamo atto con immenso compiacimento.
Per il settore primario, si è cominciato a riconoscere che il Paese deve contare su una sana agricoltura per garantirsi una altrettanto sana economia, e che non si può pretendere, di conseguenza, che gli operatori agricoli producano e debbano produrre, qualunque sia il prezzo di mercato o loro assegnato sul mercato. Se non vi è un giusto prezzo, che remuneri lavoro e investimenti, la gente dei campi finisce con l'abbandonare la terra, a tutto detrimento della società L'obiettivo dev'essere la creazione di un'agricoltura sana, in grado di produrre più e meglio. In questa strada la Regione Piemonte, con il progetto di bilancio presentato quest'anno, si pone.
Il momento politico-economico dell'agricoltura italiana, anche nel quadro di quella europea, assume carattere di particolare gravità, denso di incognite e di conseguenze. Tutti i nodi di una situazione particolarmente deteriorata sono giunti ormai al pettine di durissime realtà e chiedono assoluta franchezza e coraggio alla classe dirigente, chiamata ad affrontarsi nella loro globalità e nelle loro articolazioni.
Pur nel riconoscimento, apparso anche dal rapporto dell'IRES, della maggiore produzione agricola, e nonostante l'aumento dei prezzi agricoli per la svalutazione e la stretta creditizia (tra le altre cause antiche e recenti), come si rileva anche dalle statistiche ufficiali, il reddito pro capite degli addetti agricoli è ancora mediamente al di sotto del 50% del reddito degli altri settori del lavoro, con una accentuazione di squilibri e scompensi tra il settore produttivo agricolo e gli altri settori produttivi; e così la forbice, anziché restringersi, tende a dilatarsi ulteriormente.
C'è una verità di fondo che non deve essere dimenticata: il problema dell'aumento della produzione agricola va considerato in funzione della realtà delle nostre strutture e dell'importanza prevalente delle aziende coltivatrici, le quali, gestendo circa il 60% delle terre, partecipano alla produzione con non meno dell'80% del volume globale della stessa. Questo a livello nazionale, mentre a livello regionale il parametro si accentua maggiormente e torna così più significativa ancora la funzione dell'impresa familiare diretto-coltivatrice.
Se ce ne fosse stato bisogno, il che non è, la constatazione è anche il segno, come più volte abbiamo affermato, della loro, nonostante tutto, più elevata efficienza e produttività, rispetto ad altre forme di conduzione essendo anche noto che negli ultimi anni circa 2 milioni di unità attive soprattutto giovani, hanno abbandonato la campagna, in un processo di esodo disordinato e patologico che ha contribuito alla sempre maggiore senilizzazione e femminilizzazione degli operatori agricoli. Va chiaramente detto che le aziende agricole, troppo spesso considerate una palla di piombo al piede della nostra economia, tanto da far parlare di marginalizzazione dell'agricoltura, hanno, invece, dato esempio di progressivi aggiornamenti e ammodernamenti con estremi sacrifici personali anche in carenza di finanziamenti pubblici, organici e coordinati valorizzando quasi al limite delle possibilità le risorse umane e personali di cui dispongono.
Problemi congiunturali e problemi strutturali incombono sulla nostra agricoltura. Il bilancio regionale in esame incomincia a parlare con i fatti di un nuovo corso di politica agraria che tende ad inserire l'agricoltura, con pieno diritto di cittadinanza, nella vita economica e sociale della nostra Regione. Per poter risolvere proprio problemi strutturali di fondo abbiamo da sempre sostenuto la necessità di interventi inquadrati in una valida politica di programmazione volta a potenziare ed orientare l'agricoltura piemontese, che trovi il suo naturale supporto su leggi regionali e non anche col mezzo di finanziare provvedimenti che si richiamino alla preesistente legislazione statale.
Ma poiché incombono anche proprio problemi congiunturali di drammatica evidenza, che richiedono immediate misure di sostegno, non solo giustifichiamo ma apprezziamo la proposta della Giunta Regionale e dell'Assessore Chiabrando, cui diamo atto di saper tener fede agli impegni programmatici assunti, volti ad operare, per gli immediati interventi attraverso le leggi dello Stato, opportunamente adattate alla particolare situazione piemontese e agli obiettivi che a lungo si vogliono perseguire.
In relazione anche alla provata validità delle aziende diretto coltivatrici, che vanno potenziate al massimo, nell'interesse comune ribadiamo ancora una volta il discorso sulla necessità di uno strumento giuridico che valga a definire in modo non equivoco la figura del vero professionista agricolo, che deve rimanere, singolarmente, e per le sue forme associative, il vero ed unico destinatario delle provvidenze per il settore. E qui ci torna doveroso ringraziare il Presidente Oberto per aver voluto nei giorni scorsi dichiararsi una volta ancora a ciò disponibile e impegnato.
Ci riteniamo esenti da ulteriori analisi delle condizioni del settore primario perché già ampiamente, e, riteniamo, esaurientemente, sviluppate in precedenti interventi non solo del sottoscritto e di altri colleghi Consiglieri ma anche in varie e ampie documentazioni prodotte anche dalla Commissione che, chi vi parla , ha l'onore e l'onere di presiedere.
Piuttosto, ci permettiamo di avanzare valutazioni specifiche su singoli capitoli di bilancio. Intanto, il collega Dotti, nella sua ampia ed apprezzabile relazione al bilancio, ha richiamato la necessità di un'indagine per la formulazione di un valido e concreto piano di sviluppo.
Richiamando un mio precedente intervento, e condividendo la necessità rilevata dalla I Commissione, mi permetterei di insistere anche sulla rilevata importanza di un'indagine conoscitiva per ogni singolo Assessore di procedere, nel proprio campo di competenza specifica, con obiettività anche rispetto alle priorità di bisogno per ogni singola provincia.
Abbiamo tentato personalmente un esperimento di questo tipo in provincia di Asti, riferito alle infrastrutture dei Comuni rurali, e, per quanto fino ad oggi pervenutoci, abbiamo rilevato aspetti sorprendenti in rapporto ad effettive carenze di servizi necessari per un minimo di vita civile.
Per il particolare aspetto della zootecnia, pur nelle ragguardevoli cifre esposte, di gran lunga superiori a quelle contemplate nei due precedenti bilanci, data anche l'eccezionalità del momento, e trovandoci a dover recepire, e, perché no?, integrare, la legge 18/4/'74 n. 118, che contempla provvedimenti urgenti per la zootecnia, e che oggi stesso sarà sottoposta all'approvazione del Consiglio, legge valida nelle sue enunciazioni ma decisamente carente sotto il profilo finanziario, si pone l'esigenza che la Giunta abbia a sentirsi sempre più impegnata a questo particolare settore, anche in rapporto all'esigenza dell'approvazione prevista anch'essa per oggi pomeriggio, del disegno di legge per le anticipazioni previste dal disposto legislativo statuale sulla bonifica sanitaria del bestiame. Questo provvedimento legislativo si impone nella considerazione che una bonifica sanitaria del bestiame in Piemonte è stata appena iniziata, nelle tre province di Asti, Cuneo e Torino, mentre nelle altre, se si sono fatti passi più concreti, siamo ancora ben lontani da una sensibile riduzione del pesante fenomeno delle malattie animali. Queste incidono sul nostro reddito nazionale per circa 450-500 miliardi; come già dichiarai nei giorni scorsi, è cioè lo 0,7 del reddito nazionale, il 7,5 del reddito agricolo, il 15% del reddito zootecnico: è una vera e propria "tassa di malattia degli animali" per gli italiani, che incide con oltre 150 mila lire annue per ogni addetto all'agricoltura.
Non posso ovviamente concludere l'accenno fatto sulla zootecnia senza riconoscere la validità della legge approvata lunedì 27 scorso, che ci consente di guardare con un minimo di fiducia al 1975, fiducia che potrebbe avere validità ed anche aumentare, sempre che a monte, come avemmo ad indicare nel corso del dibattito sulla menzionata legge, il Governo riesca con interventi propri e con le più opportune pressioni a livello comunitario, a provocare una vera e concreta bonifica del mercato ricreando quel necessario equilibrio tra costi e ricavi, su cui ci siamo più volte soffermati.
E ci sia permessa una invocazione, che è anche un atto di fede e di speranza per l'agricoltura italiana in generale e piemontese in particolare, e cioè che la Comunità economica europea possa rivedere quella parte della regolamentazione dei mercati, che si è rivelata contraddittoria con gli scopi della politica agricola e con le diverse necessità dei Paesi a struttura agricola diversa o difficilmente armonizzabile, nei tempi brevi, con i Paesi ad agricoltura maggiormente consolidata, per cause che dipendono anche dalle varie vicende monetarie.
Dobbiamo aver fiducia nella stabilità e continuità delle strutture comunitarie, ma anche avere il coraggio di chiedere la correzione di distorsioni che si sono verificate a danno del nostro Paese, dopo la fluttuazione della lira, ed una migliore e più giusta distribuzione delle risorse comunitarie a favore di chi ha maggiori e reali esigenze di sviluppo e di organizzazione.
Signor Presidente e colleghi Consiglieri, non tutto viene per nuocere... L'assenza dell'amico Rossotto, che nel suo intervento aveva quasi decantato la validità di quella fatidica scelta, fatta facendo uscire la nostra moneta dal serpente monetario, per scegliere la strada della lira fluttuante, gli ha risparmiato il dispiacere di sentirsi dire che l'agricoltura ha dovuto drammaticamente scontare le conseguenze di quella scelta.
Solo operando nel modo che ho indicato si potrà veramente pensare di riuscire a costruire una Europa anche politica - e per questo bisogna resistere e far sì che la Comunità abbia a continuare il suo cammino - ove le egoistiche spinte nazionalistiche vengano neutralizzate, nel nome di una effettiva solidarietà e di una comune, nuova, grande Europa unita.
Continuando nell'articolato, i 500 milioni di spesa prevista al cap. 1330 del bilancio, se opportunamente impiegati ed eventualmente integrati, già per il 1974, potrebbero manifestare la loro validità. E qui affermiamo l'esigenza di stimolare e incentivare lo sviluppo e il potenziamento delle colture arboree ed erbacee, che pongono soprattutto questi problemi: provvedere all'istituzione di validi vivai, anche e specialmente in forma cooperativa, o comunque associata, perché i produttori possano disporre di prodotto altamente qualificato e selezionato, con garanzie reali ed effettive della sua validità, ed a costi accessibili l'esigenza di promuovere e stimolare i reimpianti, soprattutto delle colture arboree viticole. Il problema, in rapporto al fatto che in quasi tutte le province piemontesi, ove è sviluppata la viticoltura, si accusa una vetustà di impianti che provoca una grave decadenza sul piano del potenziale produttivo, si impone, senza consentire ulteriori dilazioni eguale problema ed eguali necessità si stanno sviluppando, senza possibilità di ulteriori procrastinazioni, nel settore delle colture erbacee, per un valido discorso sulla necessità di potenziamento della foraggicoltura e della cerealicoltura, soprattutto maisicola, ed anche per por mano ad esperimenti di altre colture specializzate, quali, ad esempio la soia, tutti elementi determinanti, per l'incisione sui costi di produzione, per un razionale ed economico sviluppo della zootecnia. Per quanto attiene alla soia, mi consta che la Regione Lombardia sta operando in tal senso, e io mi auguro che per il '75, cominciando fin dai primi mesi dell'anno e, per quanto consentito, ancora nello scorcio di questo '74, si affronti decisamente il problema, con priorità per lo sviluppo e il potenziamento delle colture arboree.
Infatti, se la zootecnia, con le massicce importazioni, contribuisce in misura notevolissima allo squilibrio della nostra bilancia con l'estero, va ricordato che una analoga drammatica situazione, anche se meno evidenziata la troviamo nel settore del legno. Sorvolando aspetti di ecologia e di difesa ambientale del suolo, per gli aspetti economici, al 1972 il deficit italiano ha raggiunto i seguenti limiti: 70% legname da lavoro e da industria 33% carne di ogni tipo 53% carne bovina.
La produzione di legname da lavoro e da industria ha raggiunto poco più di 6 milioni di metri cubi, di fronte ad un fabbisogno di legname e suoi derivati, valutato in legname tondo, di quasi 20 milioni di metri cubi.
L'Italia, dunque, ha prodotto meno di un terzo del consumo, importando il resto, per un importo oggi superiore ai 2 miliardi di lire al giorno. La penuria crescente di carta e lo stato di abbandono in cui versano molte terre anche del nostro Piemonte, specie in zone montane e collinari impongono oggi anche l'esigenza di un piano legno, o, quanto meno, di forme di incentivazione e di incoraggiamento della coltura legnosa, sia per il pioppo, per le esigenze dell'industria editoriale, sia per le altre piante da legno industriale e da lavorazione in genere.
Oltre che per la zootecnia, concordiamo con la Giunta anche per gli altri interventi in agricoltura indicati a bilancio, che riguardano le case di abitazione, fatte per l'uomo, come ebbe ad affermare il Presidente della Giunta, e non anche per l'azienda, i miglioramenti fondiari e di strutture aziendali, la cooperazione, che dev'essere aiutata non solo per gli aspetti di consolidamento di iniziative già attuate ed esistenti ma anche per la creazione di nuovi complessi e per un rilancio del processo associazionistico e cooperativistico in generale, le infrastrutture, e soprattutto per i settori della viabilità rurale e minore, degli approvvigionamenti idrici, dell'elettrificazione nelle campagne, le opere di bonifica e la difesa fitosanitaria.
In quest'ultimo campo di intervento particolare attenzione deve essere posta a favore degli eliconsorzi con concessione di contributi in conto capitale, per la spesa riconosciuta ammissibile, da devolversi in misura notevolmente superiore a quella erogata lo scorso anno, non solo in considerazione degli accresciuti costi dei mezzi tecnici necessari, ma anche nell'intento di sviluppare maggiormente questa forma associativa. E per questo chiediamo che la relativa spesa prevista al cap. 744 in 200 milioni venga elevata, se possibile, a 300 milioni.
Accanto a questi provvedimenti di carattere amministrativo appaiono opportuni contestuali impulsi legislativi per tutte le iniziative indicate con particolare sollecitudine a favore del risanamento delle cantine sociali e del rilancio della cooperazione in genere, come da impegno programmatico a suo tempo assunto dalla Giunta e per le quali iniziative esistono già le relative proposte di legge calendarizzate nei lavori della VI Commissione e che saranno di prossima discussione.
Nel quadro poi del nuovo ipotizzato modello di sviluppo, imponendosi una coraggiosa visione di tutta la politica agricola nazionale, che dovrà tener conto anzitutto di provvedimenti di carattere strutturale decisi dalla Comunità Economica Europea, occorre anche poter puntare sull'afflusso alla terra di abbondanti capitali, (discorso questo difficilissimo nell'attuale momento di stretta creditizia) che lo Stato, per la competenza propria, attui una coraggiosa riforma del credito agrario, mentre la Regione potrebbe e dovrebbe provvedere ad un indispensabile coordinamento delle attività creditizie nei numerosi istituti che operano nel campo dei finanziamenti agrari, e garantire all'operatore prestiti a basso tasso di interesse accessibili, sganciando il credito stesso dalle garanzie reali.
Per un discorso di globalità e di connessione nei confronti e contro rigide applicazioni di competenza assessorile, vorremmo dare indicazioni di intervento a favore del settore primario che investono anche settori diversi da quello strettamente agricolo-produttivo.
In campo sociale, anche come forma di redistribuzione di redditi, oltre che per sanare antiche ingiustizie e gravi carenze, riteniamo ormai necessario arrivare con tutta sollecitudine a provvedimenti legislativi regionali (per alcuni dei quali esistono già precisi impegni attuativi a favore dei lavoratori agricoli autonomi) che prevedano l'estensione delle indennità di inabilità temporanea, l'erogazione dell'indennità di ricovero ospedaliero e l'erogazione dell'assistenza farmaceutica ed integrativa a favore degli attivi coltivatori diretti, dopo l'apprezzabile iniziativa presa due anni or sono di intervenire a favore degli ex coltivatori e cioè dei coltivatori pensionati.
Sono esigenze non più procrastinabili, anche se da assumersi in via sussidiaria allo Stato e fino a che la legislazione statuale non vi provveda direttamente, per le quali viva ormai è l'attesa tra la benemerita gente dei campi. Per quanto attiene all'estensione dei benefici dell'assistenza farmaceutica ed integrativa alle unità agricole attive analoga estensione chiediamo che venga concessa in favore degli artigiani e degli esercenti attività commerciali. Mi si potrebbe chiedere perché non anche per le restanti due iniziative: questo semplicemente per il fatto che mentre gli artigiani già godono di un'indennità di inabilità temporanea gli esercenti attività commerciali non hanno obblighi e vincoli assicurativi in tal senso.
E dal momento che abbiano sfiorato problemi sanitari, non possiamo esimerci dal denunciare una grave situazione di carenza di medici in generale e di medici condotti in specie nelle nostre comunità rurali.
Questo vuol dire addirittura insufficienza dei mezzi di più elementare assistenza curativa, quando si accentua il discorso sulla necessità di istituzionalizzare anche una medicina preventiva e, a valle, riabilitativa.
Se non si pone rimedio a questa carenza, si corre il rischio di vedere vanificata, per vaste zone della nostra regione, la riforma sanitaria prima ancora che essa conosca i suoi natali.
Nel settore dei lavori pubblici, mentre riaffermiamo la necessità, come previsto in bilancio, dell'intervento sollecito a favore della viabilità minore rurale, debbono venire ascoltate finalmente le esigenze, prospettate dai Comuni, di interventi a favore della viabilità comunale, non solo volti a migliorare la viabilità esistente, secondo moderne esigenze e moderne tecniche, per la loro più corretta manutenzione e conservazione, ma anche per una migliore strutturazione della viabilità mediante la creazione di nuove reti viarie che servano per le esigenze della zona, anche volti a togliere vari Comuni da un isolamento di fatto. Solo così, e potenziando per esse anche i collegamenti ed i servizi di pubblico trasporto, si potranno inserire vaste zone, praticamente abbandonate, nel contesto della più vera e viva società piemontese. Vi è per esse l'esigenza di rivedere le condizioni generali di vita. Perciò, unitamente ai problemi di conservazione dell'ambiente, si impongono anche misure idonee a creare zone verdi, zone di verde attrezzato a parchi pubblici e naturali, per favorire non solo una migliore condizione di vita alla locale popolazione, ma anche per stimolare flussi turistici in zone a tal fine opportunamente sfruttabili Le opere infrastrutturali non hanno solo rilevanza al fine di consentire un'agricoltura nuova ed il miglioramento di condizioni di vita delle comunità rurali in generale, ma estendono la loro influenza ai diversi e complessi aspetti riguardanti la valorizzazione integrale dello spazio rurale, con l'affermazione in esso delle possibili attività economiche.
Rivolgiamo perciò invito alla Giunta e particolarmente all'Assessore competente, onde gli specifici capitoli di spesa vengano possibilmente integrati, per i motivi esposti, ed anche per dimostrare completamente che la Regione è vivamente partecipe delle ansie e delle preoccupazioni di centinaia e centinaia di nostri sindaci e di migliaia di amministratori comunali, parecchi dei quali, pur nell'attaccamento ai loro Comuni e nel recepimento dei problemi dei loro amministrati, se non compresi ed aiutati minacciano di abbandonare per scoramento la vita pubblica. Non dimentichiamo che la nostra regione, pur con il suo capoluogo a dimensioni metropolitane e con i restanti capoluoghi e città delle varie province, è pur sempre anche caratterizzata dall'esistenza di centinaia e centinaia di Comuni minori alle prese con i menzionati problemi.
A questi fini è utile anche promuovere la possibilità di sviluppo del cosiddetto "agriturismo". Ci permettiamo di ricordare in proposito una nostra proposta di legge, già depositata, con la quale non si considera unicamente la vacanza nella casa del coltivatore, che non vuole sostituirsi ad alberghi, pensioni od altre strutture ricettive o di ristoro, riservate agli addetti al settore terziario, pur esso da tutelare e meglio strutturare, ma considera tutta una possibilità di interventi dai quali un determinato comprensorio rurale può trarre tutti i benefici insiti in un decollo civile, come è detto nella relazione della Commissione che ho l'onore e l'onere di presiedere, trasmessa alla I Commissione Bilancio e programmazione. Questo precisiamo proprio perché l'esistenza del nostro progetto di legge ha già sollevato ingiustificate proteste. E' piuttosto amaro dover constatare come sia difficile ottenere in concreto ciò che verbalmente si ritiene da tutti utile ed auspicabile e ciò proprio per ingiustificati allarmismi e per male intese spinte corporative. E vorrete scusarci se, una volta tanto, l'accusa, più volte rivoltaci in passato veniamo a riversarla su altri; e ciò sta a dimostrare quanto sia facile parlare in nome della globalità, per poi ricadere in una atavica concezione, decisamente individualistica e legata ad interessi puramente settoriali.
Nel quadro delle esigenze di sviluppo dell' edilizia popolare abitativa, richiamando anche a questo proposito (e chiedo venia se ancora una volta mi nomino: non è certamente un atto di superbia, ma piuttosto un richiamo all'esigenza già proposta all'attenzione della potestà legislativa di questo Consiglio Regionale) una proposta di legge del sottoscritto e di altri colleghi, con la quale si intende sollecitare una revisione, o meglio, un'integrazione regionale per le stime dei terreni agricoli soggetti ad esproprio. E' un problema vecchio quanto gli operatori agricoli ma che, con dei limiti storici, quanto meno, dovremmo riandare alla legge sul risanamento di Napoli, e che sta suscitando allarmismi veramente preoccupanti, perché, qualunque significato, emblematico si voglia dare all'esproprio per lavori di pubblica utilità, sono di pubblica utilità per tutti, fuorché per gli espropriati, i quali continuano ad accusare pesi veramente notevoli.
A nostro parere, necessita, anche, che bilancio regionale possa disporre di una somma necessaria ad aiutare i Comuni nella realizzazione dei piani di sviluppo e di adeguamento previsti dalla nuova normativa sul commercio, di cui alla legge 11 giugno 1971 n. 426 e a mettere a loro disposizione la necessaria assistenza tecnico-burocratica che consenta di realizzare gli obiettivi che la 426 propone. In caso contrario, oltre il 60% dei Comuni della nostra regione non riusciranno a preordinare i piani di sviluppo. Per la polverizzazione dei punti di vendita, poiché un sistema di distribuzione, quale quello attualmente esistente, è anche un pesante costo, che grava sul consumatore, rileviamo, ancora una volta, la necessità di fornire concrete incentivazioni contributive a quegli esercenti l'attività commerciale, che rinunciassero alla loro attività, restituendo all'ente pubblico la licenza in loro possesso, introducendo una sorta di indennità di abbandono, che favorirebbe il riordino del settore.
In ordine poi ai problemi dell'istruzione, formazione ed addestramento professionale - signori della Giunta e collega Borando - ci permettiamo di ribadire il concetto che non si risolvono solo con finanziamenti, ma prima di tutto con un radicale cambiamento di metodo e di indirizzi modificando e coordinando la materia e collegandola a monte al problema della scolarità. Per questo sollecitiamo una legge regionale e cioè un supporto legislativo che determini precisi indirizzi in merito, soprattutto per evitare l'espandersi di un pressappochismo in essere ed il rischio di azioni non sempre produttive anche per l'attività politica della Regione. E qui colgo l'occasione per riprendere il discorso sui corsi di formazione e di specializzazione professionale, sul potenziamento di appositi corsi per la formazione di validi quadri dirigenti, tecnici, amministrativi, da porre al servizio della cooperazione e dell'associazionismo, come abbiamo avuto più volte occasione di rivendicare. La cooperazione e l'associazionismo si svilupperanno e successivamente si consolideranno nella nostra regione non in rapporto alla riaffermazione di principi e al teorico riconoscimento della loro validità, ma soltanto disponendo del materiale pionieristico necessario per intraprendere un così importante quanto delicato cammino.
Sappiamo di poter contare sulla sensibilità degli Assessori Borando e Chiabrando, coi quali abbiamo avuto più volte occasione di soffermarci su questo delicato argomento.
E consentendo a tutti loro un sospiro di sollievo, concludo richiamandomi nuovamente a quanto ho evidenziato in premessa, e cioè all'attuale situazione generale del Paese, ma con accentuazioni politico morali più ancora che economiche, in quanto l'attuale situazione se è grave, per non dire drammatica lo è sotto i connessi aspetti sociali morali e politici. E la riprova l'abbiamo tristemente avuta con i brutali fatti di Brescia - e Dio voglia che non abbiano a ripetersi - , motivi fondamentali per un profondo ripensamento da parte di ognuno e di tutti e per un responsabile esame di coscienza, onde convincerci che non è certamente muovendo il dito accusatore contro questo o contro quest'altro non è certamente individuando colpe e responsabilità - le une più accentuate delle altre - ma è interpellando eventualmente la nostra coscienza, perché quanto di irresponsabile possa esservi in essa abbia ad essere eliminato, che si può fare qualcosa di concreto.
Si impone indubbiamente un discorso unitario con la "U" maiuscola, che non deve, però, essere strumentale e tornacontistico, se vogliamo uscire dalle secche e indietreggiare da quell' ultima spiaggia, di fronte alla quale non rimarrebbe che la profondità degli abissi. E perché ciò avvenga è indubbio che politica sociale, umana e, perché no, anche morale e spirituale deve essere la premessa per dare alla nostra attività una sempre maggiore validità ed efficacia e per potere più autorevolmente chiedere che Governo e Parlamento abbiano sempre più decisamente ad intervenire, per porre un freno all'ondata di terrore, che investe il nostro Paese. Non bastano le dichiarazioni verbali sulla bontà del sistema democratico.
Bisogna smetterla di cavalcare, per motivi meramente opportunistici e strumentali, la tigre, la quale, se non continuamente alimentata nel suo insaziabile appetito, è pronta a sbranare anche il più audace domatore, in quanto tigre è e tigre rimane. Guai a quelle forze che pensassero, come alcune hanno tristemente pensato e pensano, di trarre giovamento dagli atti e gesta inconsulti di certe frange estremiste, operanti nel nostro Paese ed abbiano a tenerlo ben presente le forze neofasciste e non soltanto queste. Costoro sappiano che il popolo italiano desidera vedere le tigri e le belve in genere solo se collocate all'interno di un circo e ben chiuse in gabbie metalliche all'interno del circo medesimo. Per le belve umane e soprattutto, per i loro mandanti il circo non può che essere la galera e la gabbia la cella di sicurezza.
Questo sarà tanto più possibile nella misura in cui ognuno di noi veramente fidenti e credenti nei valori della libertà e della democrazia saprà non solo dialetticamente, ma in concreto, maggioranze e minoranze uniformarsi perché libertà e democrazia possano essere difese da tutti i briganti di ogni risma e di ogni colore.



MARCHESOTTI Domenico

Sono di un solo colore!!



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Mi permetterò di fare alcune osservazioni che sono il frutto di una meditata ed attenta lettura della relazione sul bilancio.
Il bilancio di previsione per l'anno finanziano 1974 della nostra Regione assume un'importanza del tutto particolare perché forse per la prima volta si colloca nel quadro di un disegno di programmazione.
E' difficile dire se questa collocazione sia di sostanza o si limiti alla metodologia - e qui mi rivolgo soprattutto oltre che al signor Presidente all'amico e compagno Simonelli - d'altra parte il giudizio sul bilancio è un giudizio politico, che riguarda il modo di condurre l'attività della Regione e quindi anche il metodo assume un significato non scientifico, ma politico in senso stretto. E non vi è dubbio che il metodo adottato dall'Assessore Simonelli nell'impostazione del bilancio, e dal Presidente della Giunta, risente chiaramente, oltre che di un filone culturale, di una posizione politica precisa.
Individuati gli obiettivi fondamentali nel riequilibrio del territorio nella diversificazione produttiva e nello sviluppo dei consumi sociali, la relazione punta ad una convergenza tra gli indirizzi della programmazione ed il comportamento di operatori pubblici e privati. E ciò sulla base di un piano regionale di lungo periodo, che determina dei singoli piani comprensoriali e giunge all'istituzione (che è un fatto politico) dei comprensori.
Poi il piano prevede degli obiettivi generali, dei settori chiave e degli interventi settoriali. Da questi si giunge a degli impegni del governo regionale che sono chiaramente enunciati e settorialmente identificati.
Siamo di fronte, come si vede, ad un'impostazione organica, che si fonda su solide basi concettuali e su una documentazione precisa. Ma c'é un altro aspetto che mi pare opportuno rilevare ed è che il bilancio risente del dialogo tra la Regione ed il governo nazionale, dialogo che si è sviluppato nel corso dei mesi passati e che ha tolto la Regione Piemonte da quella sorta di aristocratico isolamento che aveva caratterizzato i suoi primi anni di vita, portandola invece a contribuire alla definizione di alcuni orientamenti della politica nazionale.
Il dialogo fra il governo e le Regioni si è sviluppato praticamente in due direzioni: come far fronte alla situazione di emergenza attraverso una sollecitazione della ripresa produttiva e come passare dai consumi privati ai consumi pubblici.
E' ovvio che noi condividiamo l'impostazione non autarchica dell'attuale politica regionale perché essa contribuisce alla rottura dello stato centralizzato ed alla conferma del pluralismo nel campo della ricerca e della volontà politica nazionale.
La relazione poi contiene un'impostazione autonoma e coraggiosa nei confronti del Governo nazionale, un'impostazione che io ritengo utile non per la critica che fa alla politica economica del centro-sinistra nazionale talmente facile da poter apparire banale - ma per gli elementi di informazione, di proposta e quindi di stimolo che essa contiene.
Io non mi soffermerò su questa critica, perché condivido in linea generale quello che dice la Relazione, ma vorrei soffermarmi su alcuni punti. C'è un tema ricorrente nella dialettica politica di questi mesi: quello del nuovo modello di sviluppo. Leggendo il bilancio e la sua relazione mi sono chiesto in che misura noi, Regione Piemonte, abbiamo contribuito a portare sul terreno della realtà quotidiana questo tema. Io non sottovaluto quegli aspetti della realizzazione di un nuovo modello di sviluppo che sono legati agli slogan di cui Giuseppe Saragat si faceva portatore in altri tempi "più case, più scuole, più ospedali" e che noi socialisti criticavamo come espressione di una visione che non modificava sostanzialmente i rapporti nell' ambito della società.
Forse dobbiamo fare una critica a noi stessi, una autocritica che il movimento dei lavoratori ed in particolare il Partito socialista hanno fatto quando hanno sperimentato che il capitalismo nel nostro Paese è per certi aspetti così arretrato che anche una politica che si basi su riforme esclusivamente razionalizzatrici (come case, scuole, ospedali) esso non è in grado di accettare.
Indubbiamente su questo terreno è facile compiere delle fughe in avanti ed è quindi giusto muoversi su un piano realistico e fattibile; ma è chiaro che se noi non cominciamo a mettere in discussione l'attuale struttura dell'economia, non partecipiamo completamente alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo.
In questo senso io mi permetterei di fare un'osservazione alla relazione: il continuo riferimento al quadro politico nazionale contenuto nella relazione, può dare l'impressione (che mi auguro non esatta) che si cerchi una giustificazione alle difficoltà di affrontare, là dove si esercitano direttamente e con pienezza di poteri, le proprie responsabilità. Vorrei quindi che soffermassimo la nostra attenzione su questo tema: cosa può significare la tensione che dobbiamo esercitare verso qualcosa di nuovo.
In questa ricerca a mio parere c'è un punto centrale, che è quello degli squilibri territoriali. E' un tema fondamentale sul quale le organizzazioni sindacali ci stanno dando un esempio illuminante. Quando noi assistiamo al fatto che le piattaforme aziendali contrattano insediamenti nel Meridione da parte delle imprese del Nord, noi constatiamo il grado di maturità e di consapevolezza raggiunto dalla classe operaia.
Se questo, sul piano generale, significa primato del problema del Meridione - primato che la Giunta riafferma nella sua relazione - sul piano regionale significa collocare il problema del riequilibrio del territorio nella sua giusta luce.
Nella relazione della Giunta e nei vari allegati non manca la scelta della politica del territorio come momento unificante della programmazione regionale. Ma a me sembra di dover rilevare, come una delle carenze delle scelte programmatiche della Giunta, il fatto che, mentre si afferma il primato del riequilibrio territoriale, in realtà esso è assente dalle scelte che sottostanno al bilancio che ci viene presentato.
Noi ci rendiamo conto del richiamo al realismo che ci viene fatto come necessità di impostare l'attività della Regione in tempi delimitati e obiettivamente precisi, commisurati alle risorse disponibili. Ma noi abbiamo sempre affermato e riaffermiamo la centralità della politica del territorio ed il rifiuto che questa politica possa essere realizzata attraverso le infrastrutture viarie.
Già nel corso di nostri molteplici interventi abbiamo sostenuto la scarsa efficacia di questa politica E' un salto concettuale che dobbiamo introdurre nella programmazione regionale: accade infatti che mentre a livello nazionale, anche a livello del Ministero del Bilancio o del Ministero del Tesoro, si comincia a mettere da parte il discorso delle autostrade, delle superstrade e non solo di queste, ma anche delle grandi infrastrutture, questo non avviene spesso a livello regionale e periferico e non solo in Piemonte; così che si ha l'impressione che il discorso delle infrastrutture diventa un alibi per non affrontare alle radici il problema reale del nuovo modello.
Questa battaglia contro la "mania infrastrutturale viaria" - mi consentano i colleghi della Giunta questa definizione - è un nostro tentativo di contribuire al realismo nell'ambito della programmazione.
Devo dire che a questo contributo la Giunta ha risposto in modo parzialmente positivo: nell'ambito delle scelte della Giunta c'é una destinazione settoriale di fondo che anche se non è annunciata in realtà esiste ed è quella che vede in primo piano l'agricoltura; scelta che in linea di massima è condivisibile nelle sue linee generali, anche se non nelle sue estrinsecazioni pratiche che hanno carattere più distributivo che innovativo. Ma per gli altri settori non mi pare esista alcuna scelta di territorializzazione, che non credo si possa realizzare con una politica di bilancio che destina semplicemente dei fondi a dei settori senza destinarli a dei territori.
Ci sono scelte per la politica del territorio, importanti come le infrastrutture, che stanno venendo al di fuori della programmazione soprattutto nel settore terziario, che è in grande movimento. Si stanno facendo scelte al di fuori di noi anche nel settore secondario e Simonelli lo sa bene; queste scelte determinano la localizzazione del processo di sviluppo industriale nei prossimi anni, talvolta anche attraverso iniziative con il consenso degli Enti locali, iniziative e consenso che non sono coordinati dalla Regione. E poiché lo sviluppo industriale fa conto su risorse finanziarie limitate, e soprattutto su risorse umane limitate, se non sarà programmato, provocherà inevitabilmente un ulteriore drenaggio di popolazione dalle zone non industrializzate o del Piemonte o fuori del Piemonte e quindi un accentuarsi degli squilibri.
E' chiaro quindi che noi dobbiamo limitarci ad alcune scelte importanti, scelte che possono contrastare con quanto è avvenuto finora essendo stato lasciato alle sole decisioni private o al solo spontaneismo delle amministrazioni locali, le decisioni finali sugli insediamenti industriali e commerciali.
Occorre quindi scegliere i poli di interesse regionale ed i poli secondari. E come realizzare la politica di orientamento degli insediamenti industriali? Nell'attuale quadro di un'economia mista, basata prevalentemente nella nostra regione sull'economia di mercato e sull'economia privata, dobbiamo fare leva sulla politica degli incentivi.
Quali sono gli incentivi di cui disponiamo? Come sanno sia il Presidente della Giunta, sia il collega Simonelli meglio di me, sono pochissimi nella politica del credito e praticamente nessuno nella politica fiscale. Direi anzi che proprio l'assenza di incentivi nella politica fiscale caratterizza questo momento economico. Rimangono allora la politica dell'insediamento dei servizi e quella della manovra delle aree attrezzate.
Entra quindi in primo piano ancora una volta la società Finanziaria regionale, la quale non deve essere l'ente cui noi deleghiamo delle scelte ma deve essere l'ente che ci serve per attuare le nostre scelte.
Per fare questo, occorre che i mezzi finanziari messi a disposizione della Finanziaria regionale siano larghi. Ma la Finanziaria regionale anche con mezzi notevoli, non basterà, se non ci sarà una gestione politica delle aree attrezzate per l'insediamento industriale.
Io credo quindi che sul terreno del riequilibrio si dimostrerà la capacità di direzione politica della nostra regione. Certo noi abbiamo alcune possibilità di sindacare i piani regolatori e i piani di insediamento delle attività produttive. Io ho visto con molto favore che la Giunta, nella sua relazione, ha inserito l'analisi tecnico-giuridica delle possibilità che ci sono m questo momento di dare vita all'istituto dell' "autorizzazione". Se non avremo noi questa capacità politica, abdicheremo alla nostra funzione di governo regionale e non svolgeremmo neanche il nostro compito se lasciassimo solo allo spontaneismo locale, talvolta male inteso, le scelte fondamentali per il modello di sviluppo regionale.
Auspico quindi che la maggioranza faccia delle scelte coraggiose nel campo più difficile. E certamente la politica del territorio è la politica più difficile perché non distribuisce nulla, apparentemente, non dà contributi a nessuno; essa anzi urta contro tendenze in atto e comporta un costo, ma non si può pretendere una funzione di guida politica se non si sanno assumere le proprie responsabilità e scontare i costi che la vita politica comporta.
Il banco di prova della programmazione regionale non sono le elargizioni che facciamo ai coltivatori diretti o ai proprietari non coltivatori e nemmeno la distribuzione gratuita dei libri di testo: è la politica del territorio. Se essa fallisse, fallirebbe probabilmente quella prospettiva innovatrice idonea a puntare realmente e non solo a parole verso il modello di sviluppo alternativo , che non deve essere prospettato solo nei dibattiti accademici, ma deve essere assunto come obiettivo primario. Il secondo punto che va affrontato con maggiore decisione a mio parere riguarda il rapporto con gli Enti locali che hanno sempre avuto un peso particolarmente importante quali canali della partecipazione popolare.
Io ritengo necessario un confronto dialettico tra le scelte del programma regionale e le proposte, le ipotesi ed i programmi a livello locale, ricercando gli strumenti atti a garantire a Comuni, Province Comunità montane e agli istituendi comprensori una permanente partecipazione alla costruzione, alla realizzazione ed al controllo del programma regionale che deve essere inteso come quadro generale di riferimento e sistema di scelte fondamentali e prioritarie, all'interno del quale gli Enti locali manifestano la propria sfera autonoma di azione e di decisione. Nulla deve essere tolto alla dignità politica degli Enti locali e deve essere nostro impegno garantire un rapporto dialettico e non già un rapporto gerarchico fra i vari livelli degli Enti stessi. E in questo senso devo dire che il tema delle autonomie nella relazione del bilancio mi sembra sfuocato. Non deve mancare il momento di accordo e di solidarietà della Regione con gli Enti locali, che vedono paurosamente aumentare il loro disavanzo, ridotte le loro capacità operative e troppo lontane le prospettive di una nuova legge comunale e provinciale e della riforma della finanza locale, provvedimento che non è più rinviabile proprio perch sappiamo che il disavanzo dei soli comuni italiani è salito all'enorme cifra di 15.000 miliardi.
Nessuno chiede che le Regioni si sostituiscano all'azione autonoma degli Enti locali, anzi, non dobbiamo farlo nelle rivendicazioni di questi e nei confronti dell'autorità centrale; è però indubbio che le difficoltà che stiamo riscontrando nei rapporti fra le Regioni e gli Enti locali trovano una delle cause nell'offuscamento della capacità di rappresentanza dei Comuni, dopo l'istituzione delle Regioni. I Comuni si sono sentiti talvolta umiliati dall'istituto regionale e questo non doveva accadere.
Si colloca in questa prospettiva di chiarezza la necessità di pervenire in tempo breve alla definizione del problema delle deleghe; è questo un modo di superare quelle diffidenze e quelle perplessità che esistono e per assicurare la certezza del quadro giuridico ed istituzionale nel quale sono chiamati a operare Comuni, Province, comprensori e Comunità montane. Fatte queste critiche, queste osservazioni, devo dire però che l'impostazione complessiva della relazione raffigura un momento significativo della politica regionale, vuol dire che la Regione Piemonte non solo non si contrappone in modo acritico allo Stato, ma non si lascia neanche assorbire da un "fronte regionalista" contro lo Stato e contro il Governo, che rischia di essere limitativo e alla lunga corporativo. Se non siamo per un aristocratico isolamento del Piemonte, non siamo neanche per una santa alleanza delle Regioni contro lo Stato. Il regionalismo contenuto nella relazione è un modo positivo di porsi nei confronti di un Governo che si dichiara riformatore, al fine di assicurare il pieno funzionamento degli organismi democratici in cui si articola l'ordinamento dello Stato.
Il sostegno ad una politica di riforme che è largamente presente nella relazione, dà valore alla domanda di consenso che è necessaria per superare le difficoltà del momento. Riprendo un mio precedente intervento che fu probabilmente non sufficientemente capito e che torna ad essere, proprio in questi giorni, utile: nel momento in cui si abbatte sul Paese una crisi politica assai grave, di fronte ad un reale sbandamento dell'opinione pubblica, incerta sugli sbocchi e sulle soluzioni possibili, dobbiamo avere il coraggio di esaminare senza riserve, senza pregiudiziali antistoriche tutte le proposte di convergenza che vadano anche al di là delle formule per abbracciare tutti i partiti dell'arco costituzionale. Di fronte al rischio che ogni forza politica corre di rinchiudersi nel proprio "particulare", dimenticando il quadro complessivo, si ripropone con maggior forza il problema di un'azione comune di tutti i partiti democratici.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Ferraris, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Mi scuso vivamente con lei Consigliere Ferraris, se devo assentarmi, ma c'e l'Assessore.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi, dopo l'ampio dibattito che abbiamo avuto alla fine della scorsa settimana ed all'inizio di questa sui problemi della zootecnia, dibattito che ha investito l'agricoltura, la zootecnia e la distribuzione nel suo complesso, il mio intervento sul bilancio si limiterà ad alcune rapide osservazioni ed alla sottolineatura di alcune questioni già poste peraltro dai miei compagni di Gruppo.
E' stato detto dal mio compagno Rivalta che nel complesso noi riscontriamo un certo quale riflesso, nel bilancio, degli impegni, delle scelte assunte dalla Giunta nel corso del dibattito sul programma del gennaio scorso, cioè quando ci siamo confrontati e misurati sui problemi reali della Regione e del Paese individuando, non in quello che il Presidente della Giunta allora aveva definito il discorso della corona, ma in quelle che erano invece proposte che noi avevamo portato avanti attraverso una nostra consultazione con Comuni, Enti, organizzazioni e in quelle che furono le proposte contenute nella dichiarazione programmatica della Giunta, le priorità fondamentali: agricoltura, trasporti, casa servizio, scuola, distribuzione ecc. come problemi che avrebbero dovuto essere affrontati non solo in sé e per sé, cioè per l'urgenza o la gravità della situazione emergente, (crisi agricola, crisi energetica, di servizi carovita) ma come priorità valide ai fini di quel modello di sviluppo che resta l'obiettivo di fondo del piano regionale che andremo a discutere e ad approvare nel prossimo autunno.
Certo, io concordo con le cose che diceva poc'anzi il compagno Nesi per quanto si riferisce alla politica del territorio (ritornerò ancora su questo tema) ed in particolare concordo quando si parla di una politica del territorio, che sappia garantire la presenza dell'uomo in montagna, nelle campagne, indipendentemente dall'attività agricola. Ma venendo all'assunto fondamentale di ciò che volevo dire, credo che i problemi di fondo - che penso siano già stati affrontati con la solita lucidità e razionalità dal mio compagno Rivalta - siano quelli della verifica degli impegni assunti nel gennaio che, come ho già detto, troviamo riflessi in questo bilancio del modo come sono riflessi, la congruità delle spese impostate a bilancio nei confronti delle esigenze di allora e soprattutto delle esigenze di oggi, perché la situazione si modifica e si aggrava rapidamente. Se in questo bilancio un raccordo con quegli impegni esiste, ne prendiamo atto come di un fattore positivo, non così si può dire per quanto riguarda la congruità degli stanziamenti sia sotto il profilo della qualità, sia sotto quello della quantità. E questa carenza, sia sul piano della quantità che della qualità, la ritrovo in modo particolare per quanto riguarda l'agricoltura. Per l'agricoltura lo stanziamento di 28 miliardi e 349 milioni (in prospettiva 34.949 se consideriamo agricoltura e foreste o comunque 31 miliardi per quanto riguarda l'agricoltura in senso specifico) non è indubbiamente trascurabile, anzi, è ragguardevole se raffrontato alle misere cifre dello scorso anno, ma non è ancora adeguato, né sul piano quantitativo né tanto meno sul piano della qualità, alle reali esigenze, ai reali bisogni che emergono dal settore primario e soprattutto se rapportato alla scelta fatta di riportare il settore primario e le forze sociali che in esso operano ad assolvere nuovamente ad un ruolo portante o traente nel quadro del nuovo modello di sviluppo che andremo a discutere e ad approvare nel prossimo autunno.
L'insufficienza quantitativa emerge poi dal fatto che l'intera somma stanziata non sarà spesa nel corso di questo esercizio, come abbiamo già visto per quanto riguarda la legge zootecnica approvata lunedì scorso e così sarà per altri stanziamenti, pure posti a bilancio. Ma a parte questo discorso delle somme interamente spendibili o no con la scusa che ci restano solo 6 mesi, vi sono proprio delle carenze, che potrei documentare per quanto riguarda ad esempio la elettrificazione, o la proprietà contadina; basta conoscere il fabbisogno, le domande presentate al 31 gennaio per accorgerci per esempio che dei circa sei miliardi necessari per far fronte alle domande ricevute, ne avremo si e no due dallo Stato e non so se nel bilancio ci sono 500 milioni o un miliardo perché sono nel complesso delle spese per interventi fondiari.
Lo stesso discorso vale per la proprietà contadina dove, a fronte di un'esigenza di undici miliardi, sappiamo che lo Stato interviene con quattro miliardi e noi se non sbaglio stanziamo 500 milioni, somma non adeguata a soddisfare le domande pregresse.
Ma ciò che ho detto esemplificando per questi due settori, vale per tutti gli altri, in particolare per la zootecnia per quanto riguarda gli interventi di quest'anno, vale per quanto concerne i miglioramenti fondiari, per la casa dei coltivatori e per le infrastrutture rurali o agricole minori, acquedotti, strade poderali e via di seguito. E qui mi si consenta di inserire subito una severa critica per una precisa e concreta inadempienza rispetto agli impegni programmatici. Si era detto, all'epoca della discussione del programma, che con la presentazione del bilancio avremmo trovato i progetti esecutivi, i disegni di legge, anzi, avremmo già dovuto averli già discussi; ebbene, ad eccezione della zootecnia, progetto strappato dopo non poche insistenze dai commissari della VI Commissione, le altre proposte di legge della Giunta non ci sono, salvo che mi si voglia dire che si è risolto un problema con la proposta di legge 165, ma allora viene ad avere in parte ragione il collega Nesi quando dice che si spende ma non si fanno scelte nuove. Egli parlava di scelte particolari, e questo è il discorso dei piani zonali di sviluppo, ma in primo luogo va lamentato di non aver proceduto per tempo ad avviare l'elaborazione dei piani zonali che avrebbero dato maggiori garanzie e certezza di utilità della spesa produttiva.
Anche per quanto riguarda la spesa da farsi, e che pure va fatta, in assenza dei piani di sviluppo in altri settori, con questo bilancio eccezion fatta per la zootecnia, non veniamo ad innovare sostanzialmente la politica di incentivazione in agricoltura data dai piani verdi o da leggi ancora più vecchie e ancora più inadeguate. Così come restano grossi settori superstiti come quelli delle colture pregiate per l'impianto dei vigneti, per l'impianto di altre coltivazioni pregiate, per lo sviluppo dei vivai, per tutto ciò che occorre per ristrutturare un'agricoltura di tipo nuovo.
Per quanto ci riguarda, noi abbiamo presentato cinque progetti di legge (sarà ancora presentata quella per le colture pregiate) che configurano un modo nuovo di spendere, di investire da parte della Regione.
Le stesse carenze le troviamo per quanto riguarda altri settori Vorrei chiedere all'Assessore che cosa ne pensa della tutela delle colture contro le avversità, provocate dall'uomo, o per meglio dire, dall'industria, (mi riferisco alla questione dei diserbanti) e contro le avversità provocate dalle calamità. In questo settore la Regione aveva compiuto una scelta fondamentalmente valida ma, come spesso accade, senza impegnarsi direttamente: mi riferisco a questi stanziamenti in parte già spesi, in parte ancora a bilancio, per la sperimentazione, o per la cosiddetta difesa attiva; abbiamo avuto un grosso dibattito, era stata richiesta una Commissione di inchiesta, c'é stato l'impegno comunque di seguire la vicenda e di riferire a questo Consiglio. Ebbene che cosa ne sa l'Assessore all'agricoltura? Sa, soltanto forse dai giornali, che nonostante la somma stanziata a bilancio di 200 milioni, la sperimentazione attiva non avrà più luogo quest'anno. Come mai la Giunta, che, pure dovrà riferire in questa sede e alla VI Commissione, non ha seguito i lavori della Commissione d'inchiesta? Dovrò riferire io, guardate che sono in grado di farlo avendo per altra via ottenuto, come ritenevo fosse un diritto che mi competeva come Consigliere, di partecipare a quella Commissione. Il fatto è che per scelte sbagliate, alle quali il sottoscritto poteva opporsi soltanto in rappresentanza di un'organizzazione e non della Regione, tutto è saltato come ben sapete. Tutto poteva invece proseguire con altre società che stanno realizzando la stessa sperimentazione in altre regioni del nostro Paese.
Vorrei ancora ritornare sul problema della forestazione, tema già affrontato dal mio compagno Rivalta e che assume una grande importanza come del resto ha sottolineato anche il collega Menozzi, per quanto concerne il suo valore produttivo, ma che si ricollega ed assolve a funzioni più generali quali quella dell'assetto del territorio ed in particolare del riordino idrogeologico, problema sul quale mi pare abbia insistito particolarmente il mio compagno Bono e sul quale ritornerò per una puntualizzazione ed una proposta a conclusione del mio intervento.
Altro grosso problema è quello della ristrutturazione e del potenziamento e sviluppo della cooperazione agricola e dell'associazionismo, a partire dalle Cantine sociali, per operare in estensione, con l'intento di favorire la cooperazione in tutti i settori non ancora coperti (qualcosa l'abbiamo fatto lunedì, con la legge sulla zootecnia), e poi in verticale.
A questo proposito non c'è alcun progetto di legge della Giunta: c'è tuttora valido, il progetto di legge del Gruppo comunista, che data anch'esso dal 15 o 16 aprile '73, e più recentemente è stato presentato un progetto, più limitato e molto settoriale, relativo esclusivamente alle Cantine sociali, dal collega Menozzi e da alcuni altri colleghi del Gruppo della Democrazia Cristiana-Coltivatori diretti. Gli stanziamenti non mi sembrano però adeguati a fronteggiare il progetto più limitato né a corrispondere al discorso più ampio, completo, organico della cooperazione in tal senso, come dicevo prima, orizzontale e in senso verticale, cioè ad affrontare i problemi più decisivi della commercializzazione e della produzione agricola, con il duplice obiettivo di concorrere per tale via alla difesa e all'incremento del reddito agricolo e alla tutela dei consumatori, cioè per concorrere alla diminuzione, per quanto possibile dei prezzi al consumo. In proposito mi pare che vada qui positivamente sottolineato l'accenno che troviamo nella relazione del collega Dotti sul bilancio.
Vorrei soffermarmi, a questo punto, sia pur brevemente, sui problemi della distribuzione e del commercio. Intanto, per sottolineare l'esigenza di una più stretta intesa, sia nelle scelte ed impostazioni, sia sul piano operativo, nella attività dei due Assessori preposti al Commercio e all'Agricoltura: l'agricoltura produce per vendere, e noi sappiamo quanto oggi come oggi, specie in Piemonte, sia debole il potere contrattuale del produttore agricolo; di qui l'esigenza dell'associazionismo, della cooperazione, che compete all'Assessorato all'Agricoltura, che compete alle organizzazioni di categoria.
Ma c'è da tener presente che qui giocano pure, in modo esorbitante, le strozzature dei mercati, del mercato in senso lato e delle strutture mercatali in senso particolare - cioè macelli pubblici e privati, centri carne, mercati all'ingrosso, Centrale del latte, con particolare riferimento alle strutture di questo tipo operanti nel capoluogo, così come sono oggi gestite dall'on. Costamagna, nell'interesse quasi esclusivo dei grossi trafficanti. Così come conosciamo quanto influisca negativamente a danno dei produttori e dei consumatori l'attuale arcaica rete distributiva per il cumulo degli effetti negativi determinati dall'eccessiva frammentazione da una parte e dalla sempre più invadente penetrazione della grande distribuzione del capitale finanziario monopolistico, con le sue rendite di posizione ecc. ecc.. Di qui, l'esigenza di un'azione organica concreta, concordata e convergente dei due Assessorati, e quindi dei due Assessori, e quindi della Giunta nel suo complesso, nel suo insieme, in questo campo.
Invece, su questo terreno e in questa direzione non si muove nulla. O vi è soltanto qualche sporadico accenno: parole, spesso gettate al vento nonostante gli impegni precisi assunti sia in sede di assemblea, e quindi nei confronti del Consiglio, sia di fronte alle organizzazioni sindacali e di categoria (mi riferisco in particolare ai problemi della Centrale del latte, dei Mercati generali, del Centro carni ). Se non li risolveremo questi nodi vanificheranno in gran parte gli stessi obiettivi i risultati che ci siamo riproposti con la legge sulla zootecnia, o con gli altri interventi nei settori produttivi, nell'agricoltura, nel senso che gli incentivi a produrre, se determineranno un aumento nella produzione, non si tradurranno - e questo è quanto ha individuato appunto il collega Dotti né in aumento reale del reddito dei contadini né andranno a determinare una riduzione dei prezzi al consumo, o almeno a fermare il fenomeno di continua ascesa cui stiamo assistendo. Questo, ripeto, è un campo di attività nel quale più che l'azione legislativa - anche se saranno, e sono, necessari strumenti legislativi nuovi - e l'azione operativa convergente dei due Assessori e della Giunta, cioè della Regione nel suo insieme, che pu determinare un'inversione ed un mutamento dell'attuale situazione superando e recuperando strutture pubbliche che sono diventate dominio e strumento di speculazione e di profitto ad una funzione di tutela degli interessi dei produttori agricoli e dei consumatori.
In particolare, per quanto riguarda l'attività dell'Assessorato e dell'Assessore al Commercio - e mi spiace parlare in assenza dell'Assessore Conti, - mentre prendiamo atto dello stanziamento a bilancio dei 500 milioni per lo sviluppo dell'associazionismo e della cooperazione, somma che naturalmente è del tutto insufficiente e inadeguata, alla quale non corrisponde comunque ancora una proposta di legge (mentre da mesi già è giacente una precisa proposta di legge, che sarebbe tempo di discutere, e credo che prossimamente alla VI Commissione il problema dovrà essere posto, che ci sia o no analoga proposta di iniziativa della Giunta), dobbiamo dichiarare tutta la nostra insoddisfazione per come si è proceduto e per come si procede, o meglio non si procede affatto, in relazione agli impegni che si sono assunti ripetutamente e in relazione alle esigenze che emergono nel settore. Né il mio Gruppo né chi vi parla ha alcun motivo di ostilità nei riguardi del collega Conti, come del resto, sul piano personale, non ha mai avuto prevenzioni nei confronti di alcuno, ma desidero che egli sappia che non possiamo tollerare ulteriormente che gli impegni presi non vengano rispettati, o vengano mantenuti in maniera difforme, divergente rispetto agli impegni assurdi. Esempi di attuazione divaricata, o divergente, o contrapposta, ne abbiamo già avuti. Mi riferisco in specie al cosiddetto modello, o quadro di riferimento, per l'attuazione dei piani della 426, di cui la responsabilità ricade ancora sul collega Borando, su Calleri insomma sulla precedente Giunta, che si era promesso si sarebbe cercato di rivedere e raccordare, per il quale di concreto non si sa nulla.
Soprattutto, però, non possiamo tollerare che non si rispettino gli impegni che si assumono: meglio respingere determinate proposte piuttosto che accettarle e poi non muovere un dito per attuarle. Mi riferisco all'istituzione dei Comitati per un democratico controllo della formazione dei prezzi, un problema di cui abbiamo discusso nell'arco di sei mesi, fino a giungere alla sua ipotizzazione, alla decisione della loro attuazione.
L'importanza di questo organismo, di questo strumento è di grande rilievo e non soltanto sotto l'aspetto pratico, di fronte alla situazione che si va sempre più determinando in questo settore, dove da un giorno all'altro avviene quel che ben conosciamo e che poi spesso si collega a fatti come le vicende dei petrolieri, che indubbiamente pongono la classe politica e le istituzioni in cattiva luce e nel contempo creano sfiducia grave nei loro confronti. Quell'organismo era stato proposto per un fine concreto e preciso. Non vale addurre continuamente a giustificazione la mancanza di personale per il funzionamento di queste strutture, di questi comitati. Se il personale è insufficiente bisogna assumerlo, e d'altronde questa Giunta ha assunto quando e come ha voluto, a seconda delle esigenze o delle richieste di ogni singolo Assessore, tutto il personale che ha ritenuto.
Una certa attenuante va forse riconosciuta all'Assessore Conti, il quale lamenta che questo personale gli venga contestato: in ogni caso, questi Comitati possono, e debbono, essere immediatamente istituiti; vorrà dire che i vari componenti, rappresentanti delle forze sindacali o politiche negli Enti locali, così come sarà definito che andranno a comporlo concorreranno ad aiutare anche l'Assessore a scegliere, o almeno a determinare i criteri per la scelta, personale valido.
Vorrei ancora soffermarmi su due questioni, già affrontate sia dal collega Rivalta sia dal collega Bono.
Rivalta ha parlato della forestazione, un argomento toccato anche dal collega Menozzi. In questa direzione non troviamo previsto niente di sostanziale. C'è il problema di destinare, di definire e decidere come intendiamo gestire, intanto, le foreste che sono state trasferite alla Regione dallo Stato e come intendiamo sviluppare questo patrimonio coinvolgendo Comunità montane, Comuni e indubbiamente anche privati, per le ragioni addotte prima da Rivalta e ribadite da Menozzi.
Questo discorso si collega strettamente con quello che ha fatto qui l'altro ieri il collega Bono, quello della difesa del suolo, del riordino idrogeologico. Perché sappiamo benissimo che qualsiasi opera a valle non darà grandi risultati se non abbiamo predisposto adeguate difese a monte.
Credo che Bono abbia particolarmente insistito perché venga ad assumere un rilievo particolare, tra le scelte da portare avanti, il discorso del riordino idrogeologico della regolamentazione delle acque - e abbia suggerito di far ricorso ai cosiddetti Consorzi idraulici di terza e quarta categoria. E' indubbio che io concordi con il collega e compagno Bono vedendo però di inquadrare questo problema - forestazione, difesa del suolo, regimentazione delle acque - utilizzando questi strumenti. Ma intanto vorrei porre qui un problema che ho avuto modo di porre all'Assessore Petrini e alle Commissioni Lavori pubblici subito dopo l'ultimo periodo di maltempo, quest'anno. Sappiamo tutti che le alluvioni un tempo provocavano danni in Piemonte unicamente nella vallata del Belbo la quale ha subito allagamenti circa venti-ventidue volte. Poi il fenomeno si è esteso: nel '68 abbiamo avuto devastazioni nel Biellese, da un po' di tempo si verificano frequentemente disastri in Valle di Susa e in altre località. Il problema va visto, quindi, in questo quadro organico. Però, in questo quadro è certo che il problema della Valle Belbo assume un aspetto del tutto particolare: interessa tre province (Cuneo, Asti, Alessandria) ma fondamentalmente due, per ampiezza di territorio investito e disastrato.
Ora, tutti abbiamo avuto notizia che un giorno l'ex Presidente della Giunta, il collega Calleri, ha fatto un bel giro in elicottero su quelle valli, sorvolando quelle gole; dopo di che la stampa ha detto che la Giunta, anzi, la Regione Piemonte, sarebbe intervenuta. Troppa gente lo ha detto. Un funzionario del Magistrato del Po, parente, credo, del collega Nesi, e oggi in pensione, aveva elaborato, con il concorso delle popolazioni del luogo, un progetto, sul quale sono confluiti ampi consensi oltre, naturalmente, ad alcune riserve; ma anche questo progetto quell'ing.
Nesi, non Nerio, oggi in pensione, non è riuscito, mentre reggeva la sua carica, a portarlo a compimento, e rimane ancora in sospeso.
E' indubbio che questi sono compiti dello Stato. Però, un intervento della nostra Regione per riprendere quel progetto e lì proporre un intervento organico, direi pilota, che coinvolga per davvero lo stato e che risolva i problemi di quella vallata, potrebbe essere l'avvio di un discorso più generale, quello che ha fatto il collega Bono, quello che ho ripreso io in questo intervento.
Credo che gli impegni assunti anche nella Commissione Lavori pubblici due mesi fa, di corrispondere per quei danni che ci hanno ridotti ad intervenire con opere di pronto intervento dell'ammontare di un miliardo un miliardo e mezzo, siano rimasti ancora una volta lettera morta, e adesso continuano a piovere all'Assessorato ai Lavori pubblici le relative richieste.
L'ultimo argomento che vorrei toccare - compiacendomi di poterne parlare alla presenza dell'Assessore ai Lavori pubblici, direttamente interessato, il collega Petrini - riguarda una fra le varie infrastrutture, il complesso problema della distribuzione idrica. Asti e l'intero Monferrato, la Val Tiglione, sono già senz'acqua, come del resto ogni anno: queste zone dovranno affrontare, giorno per giorno, settimana per settimana, un'altra estate di penosa scarsità idrica. Ora, il problema degli acquedotti, il problema delle risorse idriche, è di nostra pertinenza. Anche qui il discorso da fare è complesso: si tratta di procedere finalmente a quel censimento delle acque, naturalmente di tutte le acque, di cui si parla da tanto tempo; si tratta di riprendere in esame di ristrutturare, di apportare le varianti necessarie al Piano degli acquedotti, approvato prima che venissero istituite le Regioni; e si tratta anche di predisporre stanziamenti adeguati per tali strutture. Ho voluto inserire, fra i temi che mi sono consueti, questi altri problemi, che non sono di secondaria importanza, e che vanno riportati invece a livello appunto di scelte fondamentali e prioritarie che la Regione, che questo Consiglio deve affrontare prima del suo naturale scioglimento. Grazie.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Non ho più oratori iscritti a parlare. Dichiaro pertanto chiusa la discussione generale sul bilancio.
Comunico che la VI Commissione è convocata, immediatamente dopo la conclusione della seduta, nella sala riunioni; la I Commissione si riunirà invece alle ore 15.
Nel pomeriggio, con inizio alle 15,30 (raccomando vivamente la puntualità, perché vi sono esattamente 12 articoli da votare, più la discussione, sono quindi presumibili almeno cinque ore di seduta) proseguiremo l'esame dei due disegni di legge 165 e 166; "Interventi per lo sviluppo dell'agricoltura. Provvedimenti urgenti per la zootecnia in attuazione della legge 18/4/74 n. 118".
Domani, alle ore 15, riprenderemo invece la discussione sul bilancio con la replica del Presidente e dell'Assessore, la dichiarazione di voto dei Gruppi e quindi la votazione dei tredici articoli della legge di bilancio.
La seduta e tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12)



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