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Dettaglio seduta n.230 del 29/05/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento: Bilanci preventivi

Esame del disegno di legge n. 120 sul Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1974 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri Beltrami, Bono, Fassino, Gandolfi Giovana.
Proseguiamo la discussione sul bilancio. E' iscritto a parlare il Consigliere Visone, ne ha facoltà.



VISONE Carlo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, leggendo il bilancio di previsione per l'anno 1974, che discutiamo in un tempo non sono in grado di sopperire a questi bisogni, trasferito in questo documento il programma con il quale si era presentata all'esame e all'approvazione di questo Consiglio. E' un Comune, contribuiremmo a mantenere in efficienza gli edifici scolastici e anche se cogliamo tutte le manchevolezze in esso contenute ma non dovute alla non volontà di realizzare bensì alla situazione in cui si trovano ad operare le Regioni le quali non sempre hanno tempestivamente e nella misura sufficiente la disponibilità finanziaria necessaria che sarebbe doveroso lo stato le mettesse a disposizione.
Dopo questa breve premessa, passo ad analizzare alcuni punti del bilancio e vorrei in modo particolare soffermarmi al cap. 1312 "edilizia scolastica minore" proprio perché richiama alla nostra attenzione la situazione in cui versano i Comuni e le piccole comunità che si trovano nell'impossibilità di operare per mancanza di fondi. Il 28/7/73 io avevo presentato a questo Consiglio una relazione riguardante lo stato dell'edilizia scolastica in Piemonte in relazione ai programmi previsti dalla 641. Già allora avevo fatto presente come i piani previsti dalla citata legge 641 non fossero stati realizzati, se non parzialmente, per mancanza di fondi, per l'aumento dei costi e per la lentezza degli iter burocratici che la realizzazione di quella legge comportava, che un aggiornamento di prezzi porterebbe quella cifra di gran lunga nei grandi e nei medi centri urbani, abbiamo quella che viene chiamata l'edilizia scolastica minore, cioè la manutenzione e l'aggiornamento di edifici obsoleti, non più rispondenti alle necessità, la cui manutenzione rimane completamente a carico dei Comuni i quali, come ho detto prima, non sono in grado di sopperire a questi bisogni.
Io ritengo che se ci fosse un maggiore sforzo da parte della amministrazione regionale per venire incontro ai bisogni di questi Comuni contribuiremmo a mantenere in efficienza gli edifici scolastici e conseguentemente diminuirebbe la richiesta di edifici nuovi che non si è organismi privati per l'attività nel campo dell'orientamento e dell'addestramento celermente la legge sul finanziamento dell'edilizia scolastica, da troppo tempo ormai davanti al Parlamento e per la quale sono previsti stanziamenti che, a mio avviso, servirebbero ormai soltanto a coprire le esigenze del piano non portato a termine per il completamento della 641.
Quando avevo l'onore e l'onere di condurre l'Assessorato all'Istruzione, era stata avanzata la richiesta di aumentare lo stanziamento di 300 milioni per l'anno 1973. Il bilancio 1974 stanzia la somma di 700 milioni. E' uno sforzo notevole e io ne do atto alla Giunta però vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che presso l'Assessorato giacciono richieste per circa un miliardo 800 milioni avanzate in gran parte da piccolissimi Comuni ai quali negli anni passati prima lo Stato in modo restrittivo, poi la Regione in modo più ampio, dobbiamo riconoscerlo davano dei contributi che variavano dal 60 al 70%. Oggi le richieste che giacciono presso l'Assessorato necessitano di variazioni, non sono più reali in quanto i costi sono in questi ultimi mesi aumentati paurosamente ed io ritengo che un aggiornamento di prezzi porterebbe quella cifra di gran lunga al di sopra dei due miliardi. D'altra parte non sono opere che possano aspettare perché molte riguardano l'impianto di servizi igienici la sostituzione di infissi, nuovi impianti di riscaldamento e sono necessarie per rendere, non oso dire più moderni visto il tipo di edifici cui facciamo riferimento e che spesso si trovano in piccole frazioni, ma almeno funzionali gli edifici in questione.
Un altro problema sul quale vorrei richiamare l'attenzione della Giunta riguarda il cap. 346 relativo ai contributi ad enti pubblici ed organismi privati per l'attività nel campo dell'orientamento e dell'addestramento professionale dei mutilati ed invalidi civili ai sensi del decreto legge 30.1.1971 n. 5 artt. 23, 24 e 25 della legge 30.3.71 n. 118. So che nelle ultime settimane ci sono stati incontri, manifestazioni, pressioni da parte di rappresentanti dell'associazione degli handicappati, dell'ANFAS e delle province piemontesi per quanto riguarda i centri di lavoro protetto. Questa dizione, a mio avviso, andrebbe integrata con 'Centri di lavoro protetto' in quanto le amministrazioni provinciali oggi non sono più in grado di sopperire alle necessità di questi centri e meno ancora l'ANFAS (associazione delle famiglie dei subnormali) che li gestisce e che vive di contributi che prima venivano dal Ministero del Lavoro e oggi vengono dalla Regione. Erano stati assunti impegni per potenziare questi interventi invece il bilancio prevede soltanto 19 milioni. Io penso che la cifra sia ridotta dai fondi messi a disposizione del Ministero del Lavoro, per ritengo che un maggiore impegno da parte della Regione sarebbe indispensabile, come indispensabile ritengo che nella direzione del capitolo venga esplicitata la formula "lavoratori protetti" proprio per evitare delle difficoltà per l'approvazione delle relative delibere.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Che articolo è?



VISONE Carlo

E' l'art. 346.
Mi permetto sottolineare che erano stati assunti degli impegni quando io ero Assessore, ribaditi dall'Assessore Vietti e se non erro anche dall'attuale Assessore all'istruzione. Io credo che giacciano domande per corsi per oltre 800 milioni e stanziare 200/250 milioni come si era più volte detto potrebbe essere la dimostrazione che si vuole affrontare un problema che tocca da vicino centinaia di famiglie che hanno la sfortuna di avere dei figli che non possono lavorare presso aziende e che necessitano di questi centri di lavoro "protetto" proprio per le menomazioni fisiche e psichiche di cui sono affetti.
Io vorrei che il Predente della Giunta rivedesse questo capitolo del bilancio.
Un altro capitolo sul quale vorrei soffermarmi è il 242 "Scuole materne non statali". Rispetto allo scorso anno si prevede un aumento di cento milioni, cioè il passaggio da 800 a 900 milioni di spesa. So che è un problema alquanto contrastato, però sento il dovere di richiamare l'attenzione del Consiglio sulla funzione che oggi ha ancora la scuola materna non statale.
Vediamo di anno in anno un potenziamento della scuola materna statale e accanto a questo anche un notevolissimo potenziamento dell'impegno di spesa previsto dal nostro bilancio; infatti, al cap. 244, per la scuola materna statale si passa dai 350 milioni dello scorso anno ai 650 milioni per il 1974. Però vorrei sottolineare il fatto che gli alunni della scuola materna statale per l'anno scolastico '72/73 (per quello in corso non ci sono ancora i dati) sono stati circa 20.600, mentre gli alunni della scuola materna non statale erano per l'anno '72/73 circa 76.000. Il fatto che la scuola materna sia divisa in statale e non statale penso non ci esima dall'impegnarci a favore di questa istituzione in quanto nella stragrande maggioranza dei Comuni periferici e dei Comuni rurali dove non esiste scuola materna statale, la scuola materna non statale svolge una sua funzione e la scuola materna non statale vive praticamente, al di là dei contributi della Regione, di piccole sovvenzioni di Comuni e sulla contribuzione degli allievi che pagano rette di 1.500/2.000 lire al mese per il vitto e l'assistenza che va oltre le sette/otto ore giornaliere della scuola statale.
Considerando l'aumento notevolissimo dei costi che si è verificato negli ultimi mesi sia per quanto riguarda il vitto che per le spese generali, vorrei far presente che un aumento di soli cento milioni per aiutare una istituzione che svolge una funzione di carattere sociale è insufficiente, quindi chiedo che il capitolo 242 sia potenziato, anche in considerazione del fatto che per quanto riguarda l'assistenza scolastica in generale, c'é stato uno sforzo notevolissimo da parte della Giunta, si pu dire, infatti che tutti i capitoli comportano il raddoppio o anche più degli impegni di spesa; da qui la necessità di non mortificare questo unico settore.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



(I Consiglieri del Gruppo comunista escono dall'aula)



CURCI Domenico

L'esame della relazione della Giunta al bilancio per il 1974 ci induce ad una prima considerazione di massima e cioè che i tanti principi enfaticamente conclamati ed a più riprese sviluppati nella relazione, a cominciare da quello della incentivazione della produzione per finire alla politica di programmazione non trova alcun conforto in tutta la complessa impostazione del bilancio. Nella relazione, insomma, vi è la testimonianza della inefficienza e della incapacità dell'attuale classe politica, non solo a risolvere ma addirittura ad affrontare i problemi del momento. Si porta nuovamente il discorso sulla necessità di una maggiore disponibilità di mezzi per le Regioni e sull'urgenza di una riforma della finanza locale per fornire gli Enti locali degli strumenti indispensabili per svolgere i loro compiti. Ma coloro che in sede periferica muovono queste lagnanze appartengono agli stessi partiti politici che in sede nazionale sono al governo o detengono comunque posizioni di potere tali da incidere sulla realtà politica ed economica nazionale. In altre parole, si assiste allo spettacolo di una classe politica che insorge contro se stessa per l'incapacità dimostrata a realizzare quelle riforme di cui proclama l'urgenza.
Ed il discorso vale anche per quanto riguarda la lamentata mancanza di coordinamento fra il bilancio nazionale e la programmazione regionale, che deve essere attribuita agli stessi partiti che detengono il potere sia in sede nazionale che in sede regionale. Ed è questa la riprova della gravissima crisi in cui versa il regime dei partiti del cosiddetto arco costituzionale.
Se poi dalla crisi politica si passa alla crisi economica, la situazione è ancora più desolante. Una espressione è diventata di moda in questi ultimi mesi, sulla quale da sinistra si insiste monotonamente quella del "nuovo modello di sviluppo". Che cosa si vuole intendere con questa espressione? Un tipo di economia collettivista quale quella in atto nei paesi dell'Europa orientale? Ma l'economia italiana è in crisi proprio perch negli ultimi anni troppo peso ed influenza hanno avuto gli orientamenti delle sinistre marxiste: questo spiega il disserto gravissimo cui ci troviamo di fronte. L'inflazione è in atto ed è la conseguenza della spesa pubblica incontrollata e della politica settoriale che è stata costantemente seguita. Ed infatti sul bilancio dello Stato le somme destinate a qualcosa di diverso da stipendi e pensioni sono di così insufficiente entità in rapporto a quelle che sarebbero le reali esigenze della nazione da non essere assolutamente in grado di risolvere questo o quello dei grandi problemi che urgono alla coscienza di tutti: scuola casa, sanità e nemmeno a risolvere i grandi problemi economici dell'incentivazione, della produzione, dell'incremento dei consumi sociali senza pregiudizio della nostra espansione commerciale sui mercati mondiali senza pregiudizio della possibile consistenza del settore pubblico con quello privato, e, infine, il problema del Mezzogiorno che dalla rivolta di Reggio è divenuto il cavallo di battaglia di tutti anche dei sindacati rossi che stanno impiegando, a quel che si dice ingenti somme, per farsi vivi da quelle parti. Ma tornando ai problemi della nostra Regione intendiamo anzitutto chiarire che noi non siamo dei partiti del pareggio del bilancio, tutt'altro. Se per attuare programmi in grado di accrescere la redditività, di colmare la sperequazione settoriale, di incrementare i consumi sociali, è necessario ricorrere all'indebitamento, si può e si deve andare oltre qualsiasi limite di bilancio, sempre a condizione che i risultati economici di tale politica siano tali da garantire nel tempo vantaggi indiscutibilmente superiori al temporaneo squilibrio finanziario e che nelle nuove dimensioni economiche questo squilibrio possa essere concretamente eliminato ed assorbito.
Ma se il deficit come nel bilancio dello Stato ed in quello di quasi tutti i Comuni e le Province si verifica in piena normale amministrazione ed è quindi esclusivamente dovuto ad impostazioni erronee e demagogiche o peggio utopistiche, è evidente che in questo caso corre l'obbligo di richiamare i presentatari al rispetto del principio per il quale deve esistere un equilibrio tra entrate ed uscite. Mantenere, quindi l'ordinaria amministrazione al livello più economico possibile, per consentire agli amministratori di utilizzare mezzi ordinari e straordinari come quelli che comportano l'indebitamento, per concentrare questi mezzi nella soluzione di grandi problemi economici sociali, quando un prestabilito ragionevole ordine di priorità, è quindi a nostro avviso, un imperativo al quale nessuna autorità politica ed amministrativa pu sottrarsi.
Ciò premesso in linea generale, passiamo a considerare alcuni elementi i più macroscopici che salgono alla mente dalla lettura dei dati e dei documenti sottoposti al nostro esame.
Non è certo possibile in questa sede un esame analitico di tutte le singole voci del bilancio, ma è certo che se questo esame analitico potesse essere fatto con assoluta aderenza alle effettive esigenze, severamente controllate, dei vari settori, delle varie branche della amministrazione regionale, riteniamo che forse qualche economia potrebbe essere realizzata farne anche di personale. E' quello del personale un elemento sul quale si gioca l'efficienza della Regione. Abbiamo dinanzi a noi lo spettacolo vergognoso dell'amministrazione dello Stato, dove una massa sterminata di funzionari e di impiegati appare ormai dominata, e forse sarebbe più esatto dire oppressa, da una classe politica unicamente preoccupata di rafforzare il proprio clientelismo, cosicché a dispetto della competenza e della operosità, prevalgono in genere, salvo lodevoli eccezioni, solo coloro cui è riservato pressoché in esclusiva e secondo accordi partitontici di compromesso, l'accesso ai vertici. Da questa e da altra cause, come l'impossibilità di una disciplina, di una gerarchia di valori, di una effettiva operosità, è disceso quel decadimento della pubblica amministrazione ormai dominata da preoccupazioni salariali e materialistiche e in gran parte assente e disinteressata allo svolgimento delle proprie mansioni.
Chi ha vissuto e vive nelle amministrazioni pubbliche sa benissimo che a monte di una sia pur notevole percentuale di funzionari che alla capacità ed alla preparazione professionale uniscono lo spirito di fedeli e scrupolosi servitori dello Stato, sta una massa amorfa, pigra, sempre più spinta, ad arte, a preoccuparsi solo dei propri interessi materiali. E come rimproverare del resto questa massa dal momento che essa, avvertendo il disprezzo della classe politica, non sente più lo stimolo e l'orgoglio ad attendere con sacrificio e dedizione ai propri compiti? E da che cosa se non dal disprezzo deriva la continua critica della classe politica alla pubblica amministrazione di torpore e di lentezza quando torpore e lentezza derivano da leggi il cui aggiornamento è incessantemente reclamato dai pubblici dipendenti? Si faccia attenzioni quindi a non considerare anche l'impiego nella Regione con l'impiego nello Stato, negli Enti locali, nel parastato e negli Enti che dallo Stato pompano ingenti mezzi, come un sistema per attenuare ma non risolvere il problema della discussione. Nel quinquennio 1966-1970 lo Stato, le sue aziende autonome, le regioni allora esistenti, le province, i comuni e le aziende municipalizzate avevano accumulato un disavanzo finanziario di 25.995 miliardi di lire, e va rilevato che per ogni 100 lire di nuovi debiti 30 vanno a coprire il rimborso dei debiti scaduti, per cui lo Stato dà la sensazione di non essere più in grado di controllare la spesa né di prevederla, organizzarla, determinarla nel suo bilancio. Esso tende a delegare a centri autonomi ed esterni e perci stesso incontrollabili, l'amministrazione di una massa imponente di risorse. In altri termini ciò significa che lo Stato abdica: e le conseguenze si vedono. Ed è chiaro che di questo passo si raggiungerà una crisi finanziaria di dimensioni catastrofiche che travolgerà come fuscelli le fragili strutture dell'ordinamento regionale.
Realisticamente non è possibile nascondere queste prospettive, che forse possono essere anche evitate sottoponendo tutte le spese a cominciare da quelle della Regione, alla più severa revisione al fine di ricondurre i bilanci in quei limiti che soli potranno consentire le riforme.
Il sistema di risolvere giorno per giorno la crisi di questo o quel settore con provvedimenti poco meditati, decisi sotto l'assillo dell'urgenza, con l'unico scopo non di risolvere il problema ma di dare un contentino ai protestanti per dimostrare la comprensione e la buona volontà dell'Ente -vedi la legge sui libri gratuiti - è decisamente da condannare.
Questo sistema confusionario e disorganico qualora contaminasse anche la nostra Regione - e taluni sintomi ci fanno temere che il contagio sia già in atto - ci farebbe assistere tra non molto alla curva ascensionale dei costi.
Per ora ci limiteremo a constatare che questa non è preoccupazione soltanto nostra ma di gran parte della popolazione piemontese, di quella parte almeno della popolazione piemontese che avendo accumulato dei risparmi è oggi trattenuta dagli investimenti di rischio proprio da un quadro nazionale e regionale indiscutibilmente negativo. Si afferma giustamente che mentre negli altri paese industriali il rilancio produttivo appare generalizzato, in Italia questo rilancio non si verifica ma appare timido ed impacciato. Il motivo è di tutta evidenza: è quasi banale porre in rilievo che nel settore agricolo per esempio dopo la legge sulle affittanze agrarie che ha duramente colpito il diritto di priorità, la produzione è in diminuzione, non solo per gli eventi stagionali non favorevoli, non solo per un esodo eccessivo e disordinato della manodopera ma anche perché chi può avere il coraggio di investire ancora in agricoltura dopo questi precedenti legislativi.
La crisi della produzione agricola e delle attività connesse all'agricoltura ci ha condotto al punto che come si legge nella relazione della Giunta, nel 1973 abbiamo dovuto importare prodotti agricoli ed alimentari per 2.200 miliardi, di cui 1.240 miliardi solo per il rifornimento delle carni, con un incremento del 74% sul 1972.
E queste cifre spaventose saranno sensibilmente superiori nel 1974.
Nel settore industriale continua l'emorragia per finanziare l'IRI e l'ENI ed in genere tutte le cosiddette partecipazioni statali, enti ai quali il governo consente il ricorso all'indebitamento, e cioè alla cattura del capitale privato così da sottrarlo alla tentazione di investimenti privati di rischio.
E se il settore industriale pubblico, per quanto riguarda la possibilità di spendere, va a gonfie vele con il risultato di produrre a prezzi sempre più elevati, ognuno può facilmente stabilire che cosa accada nel settore privato.
Si parla di mancanza di fiducia come di un qualcosa che sembrerebbe parte di un disdicevole pessimismo, ma a nostro avviso niente è più ingiusto. Se è vero che nel 1973 l'utilizzazione degli impianti industriali si è ancora ridotto rispetto al 1972, non si vede perché si dovrebbero fare nuovi investimenti con la prospettiva di spendere 100 per sfruttare per ora solo 75 o 80.
E' evidente che l'imprenditore privato, soprattutto nella nostra Regione sia legittimamente sfiduciato nel clima creatosi prima con la conflittualità permanente, poi con i sindacati marxisti ed associati che si sostituiscono al parlamento e stabiliscono che cosa il governo deve fare in materia economica, pena scioperi generali, scioperi a singhiozzo, scioperi a gatto selvaggio, nel clima della spirale dei prezzi, nel clima di un'attività legislativa - anche in materia di diritti consacrati nella Costituzione - incerta ed equivoca.
Il costo delle materie prime è in aumento, il costo del lavoro è sempre maggiore senza trovare compensi in una progressiva produttività, lo Stato e gli Enti pubblici dimostrano sempre di più di non essere in grado di impedire il dilatarsi dell'intervento pubblico ai danni del settore privato; tutto lascia temere che si vada sempre di più verso soluzioni marxiste dell'economia ed è quindi logico, fatale che si determini nel settore privato, più ancora che sfiducia, un vero e proprio panico.
Ed al riguardo non è fuori luogo rilevare come nella relazione della Giunta manchi qualsiasi accenno alla calata del capitale straniero nel Piemonte fra l'altro agevolata dalla legge 27 febbraio 1956, n. 43, che non pone limiti a che le imprese straniere si trasferiscano non solo gli utili ma anche gli eventuali realizzi al paese d'origine. Ed è comprensibile che gli imprenditori italiani, stanchi e delusi, passino la mano ad imprese americane e multinazionali che vanno dragando a ritmo crescente in tutti i settori considerati redditizi.
Ci illudevamo di trovare nella relazione della Giunta l'affermazione una petizione di principio - che per restituire vitalità all'impresa privata, e specie alla media e piccola industria, che rimane il fattore fondamentale di qualunque ripresa economica, occorre ripristinare un clima di fiducia e che per ripristinare un clima di fiducia occorre stabilire una atmosfera di effettiva collaborazione tra le varie componenti della produzione; capitale, capacità scientifica e dirigenziale, lavoro.
Quest'atmosfera di collaborazione si può raggiungere soltanto in un ordinamento che noi definiamo "corporativo" che responsabilizzi i protagonisti del lavoro su un piano di parità e di dignità.
E la nostra parte politica rappresenta proprio questa istanza che non ha carattere contingente ma risponde ad una vera e propria "idealità".
Noi non siamo apparsi sulla scena politica per esaurirci in una sterile nostalgica idolatria di esperienze e di momenti della vita del popolo italiano, ormai affidati al giudizio della storia, o per porre in atto come molti, o in malafede o per corto intuito, vanno cianciando, piani eversivi contro lo Stato quale è concepito dalla Costituzione italiana che vorremmo attuata in tutte le sue parti, ma per portare alla società italiana il contributo della nostra concezione politico-sociale. Noi avversiamo il marxismo e disapproviamo quelle parti politiche che o per biasimevole furberia o per altre ragioni, si sono allontanate - come la Democrazia Cristiana - da schemi sociali che erano loro propri, compiendo con questo un vero e proprio atto di apostasia, e per ciò stesso sposando forse inconsapevolmente ma sempre colpevolmente, se non il marxismo, la logica del marxismo fondata sulla lotta di classe. E ripetiamo, perciò non si creda che gli interventi pubblici possano sostituire nell'agricoltura come nell'industria quella grande spinta verso il progresso economico e sociale che può venire proprio e solo dal moltiplicarsi delle iniziative dei singoli, dal coraggioso impiego di risparmi capitalizzati in imprese di rischio nel quadro però dell'interesse superiore della Nazione.
Il capitalismo di Stato registra ovunque un generale fallimento per molte note ragioni, ma anche perché insedia alla direzione di grandi imprese uomini sulla base delle scelte politiche.
La relazione della Giunta è rivolta in modo particolare ad analizzare le origini della nostra crisi ed individua tra le altre cause (crescente pressione inflazionistica, rilevante disavanzo della bilancia commerciale) anche quella di una diminuzione della domanda interna e di una contrazione degli investimenti privati. Sembrerebbe, anzi, leggendo le considerazioni esposte, che ai felici, anche se alterni, risultati del nostro commercio con l'estero, che dimostrano come il pregio qualitativo dei nostri prodotti e come i nostri prezzi non siano ancora al di sopra di quelli internazionali, si auspichi un aumento della domanda interna per consumi sociali anche se questa dovesse avvenire a scapito del livello raggiunto dalle nostre esportazioni.
A nostro avviso, invece, tutto dev'essere fatto per mantenere all'attuale livello, ed accrescerlo, se possibile, il volume delle nostre esportazioni, dalle quali, tra l'altro, dobbiamo trarre i mezzi per soddisfare le nostre esigenze di generi alimentari, che, come abbiamo visto, hanno ormai raggiunto vertici veramente preoccupanti.
Giungiamo così a brevi considerazioni dirette a collegare tra loro le risultanze del bilancio di previsione in esame ed il programma esposto dalla Giunta all'atto della sua costituzione. Sotto questo profilo affermiamo subito che, a nostro avviso, il bilancio presentato merita la disapprovazione del Consiglio. Per tre motivi.
Il primo motivo è che dal bilancio emerge una insufficiente capacità della Giunta a gestire la Regione. Esso, infatti, rende palese una mancanza di caratterizzazione nei confronti del fine proclamato di avviare la Regione verso lo sviluppo previsto dal piano. Non emerge un disegno politico a sostegno della distribuzione della spesa, che non appare rivolta all'attuazione di un preciso programma; si riceve, invece, l'impressione che le spese siano state ripartite principalmente secondo il criterio di avviarle verso quei settori dove è maggiore la probabilità di riuscire a spenderle.
E' questa una delle caratteristiche che si rilevano nell'azione della Giunta, per cui a fronte di ampie e propagandistiche dichiarazioni programmatiche di intenzione si manifesta poi una palese incapacità di arrivare effettivamente ad operare.
Il secondo motivo per il quale riteniamo che il bilancio merita la disapprovazione è l'assenza di una coerente e valida base di riferimento.
Si rileva, infatti, una palese e stridente dissonanza tra stanziamenti del bilancio e le linee di programma enunciate dalla Giunta: queste, infatti postulano con parole altisonanti un mutamento profondo del tipo di sviluppo della Regione, mentre la distribuzione della spesa sembra essere volta ad una politica di semplice miglioramento e razionalizzazione della situazione già esistente. Non vediamo, insomma, alcuna precisa linea d'azione politica tendente a promuovere un organico disegno di sviluppo, ma si ha l'impressione di un'azione a senso unico, che ignora le fondamentali necessità della multiforme realtà della nostra Regione.
Il terzo motivo sta nella considerazione che la relazione della Giunta è impostata in modo da lasciare fortemente dubbiosi sulla effettiva volontà di governare secondo un programma che si sviluppi nell'arco temporale di un anno. E' vero che manca ancora il programma di sviluppo regionale, al quale far riferimento per una organica politica di piano da cui enucleare poi scelte prioritarie, o, in termini più precisi, singole politiche settoriali, ma non si è neppure riusciti a dare al bilancio un ordine a quelle voci che nei più recenti dibattiti sono state indicate appunto come prioritarie. Leggendo la relazione, si ha quasi l'impressione di procedere alla rovescia: si parla degli strumenti: Ente di sviluppo agricolo, Ente per i trasporti, Finanziaria regionale, o si indicano le politiche settoriali che debbono essere privilegiate, come la sanità, i trasporti, la casa, senza tuttavia riuscire in pratica ad organizzare un conseguente disegno operativo in termini brevi, lasciando, di conseguenza, al futuro più lontano la realizzazione del piano di sviluppo economico. Noi riteniamo, invece, che gli stanziamenti del bilancio dovrebbero rappresentare la parte finale di un processo che, partendo da una visione generale dei fatti socio-economici, passi attraverso i piani particolari ed infine si concretizzi nella ripartizione delle spese. Ed è certo che il bilancio presentato dalla Giunta non presenta minimamente queste caratteristiche. Esso manca del necessario supporto programmatico, e la relazione, a sua volta, non ha nemmeno il carattere di operatività di un bilancio annuale, ed è insufficiente a dare un contenuto politico-economico alle aride cifre della spesa. Se poi si aggiunge che al vuoto programmatico si accompagna una carenza nella produzione legislativa, il panorama è completo.
Il bilancio di quest'anno ha ampie dimensioni spaziali, investe milioni di cittadini, attua collegamenti sostanziali con il bilancio dello Stato e coinvolge tutta una serie di rapporti con gli Enti locali. Ha, dunque, un alto significato politico. Dovrebbe avere, quindi, una sua sostanziale logica coerenza. Ebbene, questa coerenza non la troviamo nel bilancio del 1974. Soprattutto, non si ritrovano nella relazione e nella logica di spesa la consapevolezza di una linea non episodica di politica economica, una scelta netta in direzione di alcuni settori che il dibattito sul programma della Giunta - secondo la nuova maggioranza di Centro-Sinistra individuato.
Prima di passare ad alcune brevi notazioni su singole voci del bilancio, vogliamo rilevare come è nostra impressione che uno dei punti più gravi e pericolosi dell'attuale condizione della Regione Piemonte sia rappresentato dallo scarso funzionamento della macchina amministrativa. E le cause di questo cattivo funzionamento sono parecchie: il ritardato, e non ancora compiuto, inquadramento del personale, la lenta e tuttora carente organizzazione degli uffici, la scadente funzionalità della Giunta articolata in più sedi, e nella quale si colgono sempre più spesso i segni di comportamenti contraddittori e centrifughi tra Presidente ed Assessori.
E il suo affanno, signor Presidente della Giunta per tentare di negare questa realtà, mi creda, ha veramente del patetico.
Passando alle partite di bilancio che più ci interessano per i riflessi che esse hanno sulla politica della Giunta, rileviamo che, per quanto riguarda l'elaborazione di un progetto-pilota per l'area metropolitana torinese, il cui onere è segnato per memoria al cap. 1100, ci auguriamo che si possa passare presto alla fase esecutiva, sia per coordinare i risultati dei convegni e degli studi della Provincia di Torino, sul Chierese, sulla Valle di Susa e sul Pinerolese con quelli delle Province vicine, in modo da citare le inutili polemiche che sorgono quando, ad esempio, si aprono stabilimento a Volvera o a Crescentino o a Verrone di Biella, sia per evitare la proliferazione di borgate o villaggi dormitori, sia per localizzare le aree verdi e quelle destinate alle abitazioni, sia soprattutto, per ridurre, o per rendere meno scomoda, la pendolarità dei lavoratori e degli studenti.
Non nascondiamo, invece, le nostre preoccupazioni sui criteri con cui saranno ripartiti i 700 milioni stanziati al cap. 1106 quale contributo trentacinquennale a favore dei Comuni, per l'esecuzione di opere pubbliche relative alla urbanizzazione primaria di aree destinate all'edilizia pubblica residenziale. Temiamo, cioè, che l'assegnazione dei fondi sia effettuata secondo i soliti criteri partitici e clientelari.
Insufficienti, invece, ci sembrano i 150 milioni annui, per trentacinque anni, di contributi costanti, per la costruzione di impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani di cui ai capitoli 1120 e 1121.
Sui capitolo 1148 e 1149 rileviamo l'impegno della Giunta nel settore delle opere sanitarie ospedaliere, per 1 miliardo e 600 milioni per trentacinque anni, e raccomandiamo soltanto di operare in modo che dallo stanziamento dei fondi alla possibilità di avere posti letto disponibili per gli ammalati non passino degli anni. Anche il cospicuo stanziamento di 970 milioni per asili nido e di 200 e 300 milioni, per trentacinque anni per opere per l'infanzia, gli invalidi ed i vecchi, va speso con oculatezza e con la sollecitudine che i tempi tecnici permettano. I 3 miliardi e 271 milioni per "i sistemi di trasporto di interesse regionale" di cui ai capitoli dal 1180 al 1192 dovrebbero servire allo scopo di migliorare tutta l'organizzazione dei trasporti regionali ed a favorire la concentrazione di aziende secondo il criterio dei bacini di traffico. Ma è evidente che per quest'ultimo scopo non credo siano più sufficienti i 70 milioni stanziati al cap. 1188 in base alla legge regionale 22 agosto '72 n. 8, perché con criteri di economia non saggi si tende a compromettere gli Enti locali e le Aziende pubbliche in imprese che, una volta a queste affidate, diventano sempre più passive e vengono a gravare su tutti i cittadini.
Ormai l'esperienza dell'Azienda Tranviaria Municipale di Torino dovrebbe essere sufficiente a non far ricadere negli errori del passato.
Consistenti ci appaiono gli stanziamenti di cui ai capitoli 1211-1214 1215, intesi a sollevare le Province ed i Comuni, specie le prime, dalle ingiuste spese per la manutenzione e il riattamento di strade, specie di montagna ed ex militari, che hanno costituito, e costituiscono, i motivi di gran parte dei loro indebitamenti e dei loro bilanci passivi. Nella erogazione dei contributi occorrerà, a nostro avviso, pensare in modo prioritario alle strade montane delle Province di Torino e di Cuneo dell'Alto Biellese, della Valsesia, dell'Ossola e dell'Alto Verbano, allo scopo precipuo di far uscire dall'isolamento le popolazioni montane e frenare lo spopolamento pauroso di quelle zone.
Sugli acquedotti ed opere igieniche, i cospicui stanziamenti complessivamente per 6 miliardi e 182 milioni, di cui ai capitoli dal 1220 al 1225, arrivano finalmente a dare possibilità ai Comuni ed ai Consorzi di Comuni di costruire acquedotti, fognature ed impianti di depurazione delle acque inquinate, nell'interesse delle popolazioni dei centri minori, finora trascurate.
Sulle spese per lavori pubblici gli stanziamenti per 4 miliardi e 550 milioni, di cui ai capitoli dal 1306 al 1316, sono rilevanti, ma temiamo che possano essere insufficienti per riparare danni ed evitarne altri a seguito di alluvioni, piene e frane. Ma, a parte l'intervento dell'Ente pubblico nei casi di calamità naturali, importante è il fatto che si pensi finalmente a portare l'energia elettrica in tante zone montane e rurali che ancora ne sono sprovviste.
Per la navigazione e i porti lacuali, non comprendiamo la ragione per la quale i quattro capitoli che costituivano la Categoria IX - Beni ed Opere -, e che comprendevano tutte le spese necessarie per migliorare la navigazione sui laghi Verbano e Cusio, siano praticamente ridotti ad uno il 1320, riguardante le spese per opere idrauliche, per le vie navigabili e per gli approdi turistici, in lire 100 milioni, mentre gli altri stanziamenti sono o "per memoria" o eliminati dal Bilancio. Forse sono bastati i 545 milioni dello stanziamento per il 1973? Sui capitoli di spesa, poi, relativi alle foreste, rileviamo che la bontà della causa della tutela del patrimonio forestale e dello sviluppo della silvicoltura è frustrata dalla esiguità degli stanziamenti. C'è da augurarsi che questi vengano reiterati negli esercizi futuri, in modo da poter almeno parzialmente riparare i danni prodotti dalla imprevidenza e dalla speculazione.
Per i capitoli relativi all'Industria e all'Artigianato, non è incoraggiante vedere, su quattro voci, articolate nei capitoli 1360 - 1362 1364 e 1365 soltanto un valido stanziamento di 300 milioni per sussidi e premi intesi a promuovere o sostenere le iniziative per l'ammodernamento della produzione artigiana, mentre soltanto la memoria, sia pure riportata in bilancio, dovrebbe servire a ricordare la necessità, per i Comuni e consorzi di Comuni di reperire aree ed operare urbanizzazioni primarie atte ad insediamenti industriali ed artigianali.
Per quanto riguarda il Turismo, l'Industria alberghiera, Parchi naturali, il tempo libero lo Sport, la Caccia e la Pesca, a noi sembra che sia valido e sufficiente solo lo stanziamento di 300 milioni di cui al capitolo 1384, per campeggi, villaggi turistici, case per ferie, alberghi per la gioventù ecc., che sono iniziative molto importanti perch costituiscono richiami turistici di rilevanti risultati. Gli stanziamenti invece, di cui ai capitoli 1380 - 1381 - 1382 - 1383 hanno il vantaggio della reiterazione nel tempo di 25 e 10 anni, ma non sono tali da permettere un sollecito ammodernamento delle strutture ricettive, specie alberghiere, particolarmente destinate alle categorie economicamente medie e medie-inferiori.
Per finire, alcuni suggerimenti, di cui la nostra parte è sempre stata prodiga e che l'altrui faziosità ha sempre riconosciuto validi in privato ma sempre colpevolmente respinto in pubblico. Siamo tutti d'accordo che un Paese moderno non può svolgere la sua vita se non sul binario di un ragionato e ragionevole programma, che tenga conto si delle esigenze, ma anche delle possibilità. Al punto in cui siamo, diciamo ai colleghi della Democrazia Cristiana, occorrerebbe lasciare da parte gli schemi ideologici le compromissioni derivanti da alchimie di equilibri politici, e affrontare le cose per quelle che sono, e non possono non essere, in qualunque tempo e sotto qualsiasi regime politico, a meno che non si voglia veramente arrivare ad uno Stato di tipo comunista.
Noi ragioniamo naturalmente partendo dal concetto che non desideriamo l'avvento di uno Stato comunista, ed allora occorre riaffermare, senza timore, che il capitale deve avere la sua remunerazione, che gli imprenditori debbono intraprendere, che i lavoratori devono smettere di dedicarsi all'assenteismo e lavorare invece le ore necessarie in condizioni sempre migliori, come è ormai consentito dalle moderne tecnologie, che le riforme vanno concepite secondo le possibilità, ma anche secondo una seria e precisa volontà di attuarle con la necessaria gradualità e le altrettanto necessarie fermezza e decisione, che i disordini ben poco rispondono alla ricerca dell'effettivo bene dei lavoratori che i lavoratori devono essere sempre più partecipi del processo produttivo, come indicato dall'art. 46 della Costituzione, che nel quadro di questa effettiva partecipazione deve essere data attuazione agli articoli 39 e 40 della Costituzione, al fine di inquadrare la realtà sindacale nella più ampia realtà dello Stato nazionale, ed al fine di regolare lo sciopero perché sia uno strumento di tutela degli effettivi interessi dei lavoratori e non un congegno di pressione politica, che infine la pubblica amministrazione deve essere ricondotta a schemi di snellezza e funzionalità.
Insomma, occorre tornare al buon senso, e tornare al buon senso vuol dire anche riconoscere che il bilancio di previsione al nostro esame è il frutto di uno stato confusionale dal quale dobbiamo uscire.
Penso di poter concludere dicendo che occorre avere coraggio, o, quanto meno, non avere paura, abbandonare i luoghi comuni di veti, tabù e discriminazioni; considerare con obiettività e coscienza se il Centro Sinistra sia stato o no la causa dell'attuale dissesto economico-sociale.
Tutti sono concordi nel far finire il "boom" con il 1961; dopo tale anno il declino. E poiché la conoscenza umana si basa sull'esperienza, pur non potendo disconoscere che vi siano stati nel mondo elementi perturbatori di varia natura, in Italia in quell'anno è iniziato il Centro-Sinistra, con le sue utopie, con i suoi schematismi, con le sue manie di sperimentazione in corpore vili: i risultati li stiamo vivendo ora.
E speriamo che dopo la sconfitta nella campagna del Referendum, che gran parte della Democrazia Cristiana, per ignavia, ha disertato, mentre un'altra parte, per meschino calcolo, ha sabotato, non si cada in altre trappole, che molti nella stessa Democrazia Cristiana stanno già preparando con minuziosa cura, per ambizione o per incoscienza. Stiamo attenti ai compromessi ed alle svolte, specie se storiche. Perché alla svolta della strada non vi sarà il benessere, come diceva lo slogan assunto proprio dalla Democrazia Cristiana in una delle sue massicce campagne elettorali di qualche quinquennio fa, slogan che la Democrazia Cristiana aveva ripreso da Hoover, il quale diceva queste cose per essere rieletto presidente degli.
Stati Uniti d'America: gli Stati Uniti d'America, proprio dopo quella svolta, si trovarono con la crisi di Wall Street, noi, dopo questa svolta potremmo trovarci soltanto nell'abisso di uno Stato comunista.



(I Consiglieri del Gruppo comunista rientrano in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Gerini. Ne ha facoltà.



GERINI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ho voluto rileggere il mio intervento sul bilancio di previsione dell'anno scorso, ed ho constatato che, seppure anch'esso fosse stato presentato in ritardo rispetto ai termini statutari (allora eravamo a metà aprile), era tuttavia molto più vicino ad essi rispetto all'attuale. La colpa non è certamente da addossare al Consiglio, o alla lunghezza dell'iter delle consultazioni, ma, come ha precisato l'Assessore Simonelli, "alla genesi difficile e complessa della compilazione del bilancio", che ha messo in difficoltà l'Esecutivo per la riformulazione della stesura e della relazione. Simonelli ha parlato anche di ritardo dovuto "alla difficile genesi anche sotto il profilo politico".
La ricerca infatti, di mezzi di certa consistenza, che arrivano peraltro con il contagocce e con il solito ritardo dal Governo, per far fronte, al di fuori delle spese obbligatorie, all'indirizzo imposto dalla crisi energetica e dalla crisi alimentare, ha certamente concorso a mettere in difficoltà la Giunta. Analizzando il bilancio e le relazioni che lo accompagnano, sia dalla Giunta che dalla I Commissione, prendiamo atto della scelta di ricorrere ad una politica di finanziamento degli investimenti attraverso l'assunzione di prestiti. Ne avevamo messo in rilievo l'opportunità e necessità già l'anno passato per dare al bilancio regionale quel grado di elasticità che non ha più ormai un bilancio di un Ente locale e per sopperire alle necessità congiunturali. La concentrazione degli impegni su alcune scelte strategiche e prioritarie quali lo sviluppo dell'agricoltura e in particolare del settore della zootecnia, della bonifica e del miglioramento fondiario, della cooperazione, la scelta strategica di intervento nella edilizia abitativa, non ci lascia, come minoranza, certamente indifferenti, e riteniamo che a questa scelta l'esecutivo sia pervenuto non solo per motivi congiunturali ma anche con il concorso del nostro stimolo e contributo critico, esplicato attraverso nostri interventi, mozioni e proposte di legge.
Dell'agricoltura si è diffusamente occupato il Consiglio in questi ultimi mesi, in occasione di dibattiti di leggi sull'Ente di sviluppo sull'incremento della zootecnia. Avrà modo di farlo presto, ancora sulla zootecnia (legge Marcora e risanamento del bestiame), o per disegni e proposte di legge di intervento per miglioramenti fondiari che vanno dal risanamento delle Cantine agricoli. Nel corso della discussione sul bilancio, che è sede idonea per parlare un po' di tutto senza andare fuori tema, vorrei richiamare l'attenzione dell'Assessore Chiabrando (in questo momento assente dall'aula) sui problemi della difesa anti-grandine con mezzi aerei, perché voglia dirci qualcosa circa la famosa convenzione che le Province fecero con la Winchester e che recenti notizie darebbero per annullata. Se così é, mentre noi ci auguriamo che quest'anno non abbiano a verificarsi i danni degli anni passati ( ci conforta il caso che le colture quest'anno non hanno subito danni apprezzabili per la brina), domandiamo: cosa si intende fare dei fondi stanziati? Se poi si verificassero i danni (e la verifica la si potrà avere entro una ventina di giorni) alle colture arboree e viticole delle colline e dei fondi posti in vicinanza delle risaie del Vercellese, del Novarese, dell'Alessandrino e del Pavese, a causa dei diserbanti, cosa si intende fare? E' un problema grave, signor Presidente, che deve essere risolto, e che abbiamo dibattuto in Consiglio ancora nel luglio scorso, in occasione di interpellanze proposte da alcuni Gruppi, senza che si siano assunte decisioni. Chi, come me, ha partecipato domenica scorsa al Convegno di Camino Monferrato (era presente anche l'Assessore Simonelli, ma credo a titolo personale, come Consigliere) si è reso conto della gravità del problema e della cosiddetta rabbia contadina.
Dall'agricoltura passo, per un cenno, all'artigianato. La Giunta ci proporrà l'Ente di sviluppo. L'ESARP, come viene prospettato, non è collegato in modo organico al Consiglio Regionale, mentre dovrebbero esserlo per le scelte di politica economica e di verifica. L'autonomia configurata nell'ESARP non è fino a questo punto compatibile da essere tagliato fuori dalle nostre decisioni per farlo crescere e vivere in astratto ed in funzione, direi, corporativa. Occorre perciò delineare presto una più organica politica artigianale. Il disegno di legge della Giunta pendente da tanto tempo alla VII Commissione, e, direi, duramente criticato durante le consultazioni, dovrebbe essere profondamente modificato dalla Giunta stessa, tenendo conto delle indicazioni fornite dai Comuni e dalle Associazioni di categoria. Urgono, perciò, piani comunali e comprensoriali di insediamento delle imprese artigiane, finanziamenti per le aree attrezzate, e per gli insediamenti creati da cedere od affittare alla piccola impresa, per non prestare il fianco alla speculazione e favorire specialmente le zone depresse.
E' indispensabile, giunti ormai ad oltre due mesi dall'approvazione da parte del Consiglio regionale della legge sul credito artigiano provvedere, come da impegni presi dall'Assessore competente, a seguito degli interventi del collega Raschio e miei, a convocare le associazioni artigiane per definire le direttive per l'applicazione di quella legge, le modalità in ordine alla presentazione delle domande degli artigiani interessati. In questo quadro va perciò costituita subito dal Consiglio Regionale la Commissione consultiva prevista dall'art. 7 della legge sul eredito artigiano onde poter esprimere in breve tempo il parere sulle domande presentate. Riterrei importante ed indispensabile incentivare le fiere e le mostre artigianali, provvedendo con legge regionale da varare entro l'anno, in modo da valorizzare anche l'artigianato artistico, come l'oreficeria, l'argenteria, il mobile classico piemontese, e facendo leva con opportuni stanziamenti sui Comuni e sulle Associazioni artigiane.
Queste manifestazioni, oltre a rivestire un non indifferente interesse economico, presentano pure interesse turistico.
Circa il Turismo, Assessore Debenedetti, speriamo che tutte le iniziative, invero buone, contenute nella relazione della Giunta relativamente alla incentivazione del Turismo, elencate nelle ultime pagine, acquistino presto concretezza. Il Turismo, non dico certo cosa nuova, rappresenta un settore che assicura al nostro Paese introiti in valuta pregiata pari a quasi duemila miliardi, e una discreta fetta pu essere attribuita al Piemonte. Questa attività, che rischia di subire una considerevole diminuzione a causa della crisi energetica, per l'aumento del costo della benzina, per la sospensione della concessione di buoni-benzina agli stranieri, per l'aumento sproporzionato dei pedaggi autostradali, va sostenuta in modo più adeguato, a mio parere, di quello riscontrabile nel bilancio.
Non mi è stato dato di conoscere quante aziende operano nel settore alberghiero della Regione e quante siano le unità lavorative, ma so per certo che nel Paese sono oltre 42.000, con oltre un milione e mezzo di unità lavorative. Una recessione nel settore turistico avrebbe una grave induzione negli altri settori economici. Occorrono anche provvedimenti intesi a promuovere flussi di turismo organizzati, soprattutto aerei, verso il Piemonte, stante la restrizione dei voli "charters" e stante l'incapacità dei mezzi ferroviari a surrogare il traffico automobilistico.
Non va protratta oltre l'approvazione del disegno di legge sulla incentivazione turistico-ricettiva, come non va protratta oltre la presentazione, da mesi preannunciata, del disegno di legge per l'incremento degli impianti sportivi e ricreativi. Se ciò non avvenisse, Assessore Debenedetti, il mio Gruppo prenderebbe in considerazione l'opportunità di avvalersi delle norme regolamentari per giungere in Consiglio Regionale con la sua proposta di legge n. 119. Per finire, mi associo al collega Visone del quale ho ascoltato con attenzione l'interessante intervento, nel definire veramente importanti i Centri di lavoro protetto. La mia provincia, quella di Alessandria, ha in passato bene operato per l'attuazione di questi Centri. Ne ebbe uno pilota, a Casale Monferrato, per il quale si avvalse anche dell'aiuto e del patrocinio del Lion. Un altro che regge bene - lo ha costituito nella città di Alessandria. So che iniziative del genere sorgono e si sviluppano un po' in tutto il Piemonte.
E' un problema delicato, che inserisce gli handicappati. Io prego vivamente il Presidente della Giunta di recepire le proposte dell'amico Visone, che faccio in queste mie, perché si cerchi di operare in questo bilancio un più cospicuo stanziamento in tale direzione. Grazie.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Revelli, sospenderei la seduta per cinque minuti.



(La seduta sospesa alle ore 16.25 riprende alle 16.35)



PRESIDENTE

La seduta riprende. Ha chiesto di parlare il Consigliere Revelli. Ne ha facoltà.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, vorrei intervenire per fare alcune considerazioni in modo particolare sulla parte del bilancio che concerne la formazione professionale. In primo luogo per evidenziare che l'attuale previsione in bilancio per la formazione professionale denuncia molti limiti e molte insufficienze, poiché questo lo sappiamo già dalle discussioni che abbiamo svolto in Commissione in queste ultime settimane, e che anche lo stesso richiamo a questo argomento contenuto nella relazione della Giunta non pare tener conto di tutto quanto la stessa relazione propone sui processi di sviluppo economico e sociale della nostra Regione.
Secondariamente, perché ritengo che il richiamo preoccupato con cui la relazione della Commissione a pag. 45, si riferisce al problema della formazione professionale, probabilmente non entrando nei dettagli e nei particolari, lasciando evidentemente ai progetti, in corso di progettazione o già presentati, di leggi pur transitorie i problemi più specifici, credo però che questo richiamo sia di valore, anche in poche righe, per richiamarci al valore strategico essenziale che ha il problema della formazione professionale, se vogliamo veramente imbastire un discorso più solido, come quello che già ieri avanzava il mio collega Rivalta, su tutta la visione programmatica, su tutto l'insieme dello sviluppo economico e sociale della nostra Regione. Coglierò questa occasione, anche se molto brevemente, per richiamarmi ad alcune preoccupazioni che vengono qui avanzate, lasciando poi spazio al dibattito in altre sedi forse più opportune, per avere occasione di rilanciare tutto il tema di questa problematica, perché ad avviso mio e del mio partito è condizionante e condiziona le possibilità di una realizzazione concreta di questo stesso bilancio.
La realtà è che a me pare che, mentre nell'insieme questo bilancio lascia vedere, in altre materie che consideriamo affini, per essere di competenza dello stesso Assessorato - come l'assistenza scolastica, di cui dirà poi il mio collega Besate, o gli stessi problemi delle biblioteche alcuni elementi di novità che vengono avanti nello sforzo che ha colto i segni più significativi del dibattito che si è svolto lo scorso anno, a seguito anche dell'approvazione dell'altro bilancio e di iniziative di legge che non hanno ancora trovato un approdo concreto ma che devono essere fondamentali per lo sviluppo della politica del diritto allo studio, non altrettanto la Giunta ha colto, o ha saputo fino ad oggi cogliere, a mio avviso, gli elementi essenziali di un dibattito che per altri versi è stato più approfondito e maggiormente ricco di indicazioni anche operative sul tema della formazione professionale, che abbiamo svolto insieme in questo Consiglio, oltre che nella Commissione, anche nel confronto con la società i sindacati, in primo luogo, e con le proposte del movimento operaio in genere in questi tre anni.
Credo, quindi, che dovremo rivedere poi anche il modo in cui andiamo affrontando - questo lo dico al collega Borando, perché forse siamo in tempo per vedere alcune cose in modo più preciso e corretto - momenti di ristrutturazione degli stessi centri regionali, trasferiti alla Regione, il rapporto con gli enti gestori in generale, e la stessa questione del finanziamento, del modo, cioè, in cui riusciremo a dare un senso, pur partendo anche da questo bilancio estremamente carente, le cui carenze indubbiamente dipendono anche dalla ripartizione mal fatta che avviene ancora a livello nazionale dei fondi per la formazione inviati alle Regioni ma che per altro verso ha sottratto una parte importante dei fondi in una sistemazione del personale su cui poi farò alcuni accenni.
Richiamo, quindi, in primo luogo la questione della funzione strategica della formazione professionale in una diversa concezione dello sviluppo economico che i sindacati e il mio Partito portano avanti con estrema fermezza, in dialogo e in dialettica con le altre forze politiche in questi mesi.
Credo che, trascorsi ormai tre anni dall'inizio della vita piena delle Regioni, possiamo dire, ci sia possibile renderci conto più concretamente che anche il tema della formazione professionale coinvolge un ruolo essenziale cui noi fino ad oggi non siamo riusciti a dare un nesso anche con l'organizzazione dello stato delle autonomie, con la presenza dell'autonomia comunale, di altri Enti locali associati tra loro. Cioè fino ad oggi abbiamo creduto possibile, anche se timidamente, affrontare una politica di deleghe delle funzioni amministrative, di organizzazione quindi, anche sul territorio, dell'assistenza scolastica e di altre materie, mentre invece per la formazione professionale non abbiamo ancora intravisto questo tipo di possibilità. A mio avviso, invece, emerge il ruolo nuovo e necessario delle Regioni, delle Province e dei Comuni, che si deve concretizzare anche in questo campo in un sistema profondamente rinnovato dei rapporti istituzionali, in stretto contatto con la problematica delle riforme economiche sociali e delle anticipazioni chiamiamole così un bilancio regionale, una politica regionale corretta che voglia diversificare la produzione nella nostra Regione, e l'intervento, anche, e quindi il rilancio di alcuni interventi economici anche attraverso i finanziamenti di alcuni settori sociali estremamente importanti, come Sanità, Scuola e via discorrendo, mette in evidenza. Noi abbiamo delineato già nei dibattiti degli scorsi anni - il richiamo, sarà necessario andarli a rivedere, per valutarne tutta la portata un nuovo modo di intendere la formazione professionale, con l'impegno di tutta una società civile, nella prospettiva di un rinnovamento umano e culturale oltre che economico, in grado di rendere effettivo a tutti i livelli, cioè a livello di fabbrica, di quartieri, di frazioni, di comuni, soprattutto di comprensori, in una Regione come la nostra, il ruolo che le grandi masse devono poter assolvere per una programmazione democratica autenticamente partecipata. Una programmazione che - è già stato riaffermato, e non mi soffermerò su questo - investe certo il territorio, l'economia, i modi della produzione, le innovazioni tecnologiche -, anche se quest'ultimo tema ha uno spessore specifico che non siamo ancora riusciti ad affrontare in modo più appropriato - ma soprattutto è finalizzata essenzialmente ad una elevazione del tenore di vita, della capacità sociale, della capacità culturale di tutta la società. Evidentemente, questo principio è riaffermato con forza, credo, nel settore della formazione professionale come forse in nessun altro, proprio perché le conquiste che le grandi masse dei lavoratori sono state capaci di portare avanti in modo coerente, hanno un punto di partenza nella nostra Regione, anche per la strategia sindacale: non possiamo dimenticare, senza voler affatto in questo scindere la partecipazione e l'importanza di tutto il movimento sulla battaglia, per esempio, del contratto passato dei metalmeccanici, che è nata proprio qui a Torino la questione delle 150 ore, che è venuta avanti dalle esperienze che sono state portate insieme non soltanto nella fabbrica ma anche nella società da alcune esperienze che i Comuni avevano già affermato partendo dai principi di diritto allo studio e ponendo dei contenuti nuovi anche nelle scuole che erano riusciti a gestire. Queste grandi conquiste sindacali dei metalmeccanici danno forza a questa nostra ipotesi di programmazione, in cui il sistema di formazione professionale pubblico regionale acquista appunto un valore strategico.
Rispetto a questo noi abbiamo, per esempio, avuto dei ritardi sulla conquista delle 150 ore. E' vero che il movimento ci ha proposto con una certa difficoltà l'organizzazione e i contenuti stessi di questa capacità di usufruire delle 150 ore: ha richiesto, per esempio, una analisi non soltanto dell'organizzazione del lavoro, il cui dibattito è stato maggiormente ampliato e portato avanti anche da convegni di partito, come quelli che abbiamo tenuto noi lo scorso anno; ma dalla stessa condizione sociale del lavoratore all'interno della fabbrica, dalla sua provenienza, e quindi dalla mobilità professionale minima che poteva avere rispetto a quella che era la scuola dell'obbligo. Quando noi sappiamo che nella questione, per esempio, di una grande azienda metalmeccanica qual è la Fiat non poniamo soltanto dei problemi essenziali di ulteriore formazione permanente ma dobbiamo anche pensare a quella che è la mobilità professionale di base, cioè di permettere di avere una libertà della mano d'opera nel mercato del lavoro, e quindi di raggiungere anche la scuola dell'obbligo, troviamo tutti i nessi della difficoltà di applicare coerentemente le 150 ore, le 300 ore qualora si usufruisca di contenuti rilevanti da parte dell'Amministrazione regionale per svolgere questo discorso.
Quindi, è venuto avanti dal movimento un fatto di qualificazione culturale di cui noi, io credo (dico noi per assumerci tutti questo tipo di responsabilità, quindi lavorare in modo più serrato, più concreto), non possiamo certamente rispondere con una politica maltusiana di lesina, cioè dando pochi fondi, non invogliando una corretta funzione della spesa che tenga conto non soltanto di quelle che sono le necessità che si prospettano con la applicazione delle 150 ore ma anche della loro organizzazione territoriale, dei processi in cui vengono ad incidere sia nella scuola tradizionale sia nei processi stessi di formazione professionale. Cioè, noi non possiamo, in fondo, illuderei sulle prospettive di una reale partecipazione democratica, crescita globale, e quindi capacità di incidere anche sui processi economici soltanto proclamandoci a favore di certe riforme o discutendo su bilanci come questo. Dobbiamo dar corso ai progetti legislativi, ma che siano in grado sempre di avere il collegamento non solo con il movimento in quanto elemento di pressione ma in quanto portatore di elementi culturali che arricchiscono il dibattito e la riflessione.
Nella relazione della Commissione traspare, a pag. 45, una preoccupazione che non è certo corporativa, una preoccupazione legittima sui contenuti e gli stessi sbocchi professionali della possibilità attuale dei sistemi di formazione professionale gestiti dalla Regione, o da enti gestori che partecipano ai finanziamenti della Regione, di avere sbocchi positivi. Abbiamo già anche detto che più volte il valore legale del titolo di studio è stato messo in discussione sul piano operativo, e abbiamo anche visto che se questo è un elemento che aggrava la crisi dell'Università della scuola secondaria superiore ed anche dei processi inferiori di formazione scolastica, la privatizzazione della formazione professionale cioè dei processi di raccordo, comunque essi siano concepiti, fra uscite scolastiche e mondo del lavoro è sempre stata di gran lunga superiore, si è andata accentuando, affrontando i problemi in modo non corretto e settorialistico e affidando soprattutto l'assegnazione delle abitazioni professionali a commissioni, queste sì sostanzialmente corporative, dove è preminente la presenza dei membri designati dai collegi professionali, dove si ignora, di fatto, completamente il ruolo delle Regioni, e della Regione Piemonte in modo particolare, mentre ci si ricorda di questo ruolo soltanto per dire che tutti i giovani che non riusciranno ad accedere a questi sistemi di formazione professionale anche più qualificata nell'ambito del privato, non in senso stretto dell'ente gestore privato ma del privato in quanto finalizzato a programmi contenuti e fini che siano dettati soltanto dagli imprenditori delle grandi imprese, potranno trovare sbocco secondario, arretrato nei sistemi tradizionali di formazione e di addestramento di carattere assistenziale, di seconda classe, delle Regioni.
Ora, la nostra ipotesi per una riforma di tutto il sistema formativo professionale di competenza regionale si fonda ancor oggi, - e, credo questo è il secondo elemento da mettere in evidenza - su un dialogo più serrato che noi dobbiamo avere oggi con il Governo, con lo stesso Parlamento, con la stessa Commissione Istruzione della Camera e del Senato che hanno all'esame i progetti di legge per la riforma della scuola secondaria superiore. Questo è un dato essenziale. Qualsiasi legge che noi possiamo - e dobbiamo farla con urgenza, prima della fine di questa legislatura, per dare un segno diverso alla crescita di questi processi formativi, insieme allo sviluppo della dinamica economica rinnovata secondo le scelte che proponiamo più in generale - fare, deve essere comunque subordinata una legge, quindi, transitoria agli sviluppi della secondaria superiore.
Il dibattito che è venuto avanti in questi anni in Consiglio ci ha fatto capire che c'è un divario profondo, quindi, fra ciò che siamo in grado di dire a livello generale, ideale, e le realizzazioni che possiamo concretizzare sul piano pratico. In questo senso io credo che già diverse altre Regioni abbiano indicato insieme a noi, nel primo momento del dibattito e poi ancora successivamente, la riforma della formazione professionale come condizione indispensabile per una visione anche meramente operaistica, in cui non la classe operaia e i sindacati vogliono costringere il mondo del lavoro, non avendo esso accesso ad uno sviluppo più ampio nella società dell'organizzazione di questi processi formativi.
Quindi, saremmo noi stessi a mantenere, se continuassimo questo tipo di politica, la concezione dell'addestramento professionale, anche ristrutturando i centri e anche dando un valore maggiore di quello che deve avere allo stesso personale di questi centri professionali. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare queste questioni, perché - e l'abbiamo ripetuto più volte come partito - la grande spinta egualitaria che viene avanti nel movimento oggi non la intendiamo in sé e per sé in modo astratto da quelli che sono i processi economici e di crisi che stiamo vivendo. Dobbiamo essere in grado di corrispondere man mano che muta il senso positivo anche con altre conquiste e anche sul piano legislativo i primi fatti importanti nell'organizzazione del lavoro nelle industrie che fino ad oggi sono state trainanti nel nostro Paese.
Quindi, la visione subalterna rischiamo di ribaltarla noi su quello che è il complesso della società, e non certamente di assumere quelle che sono invece le dimensioni positive che ci vengono offerte. Si tratta - riporto qui, permettetemelo, brevemente, le stesse affermazioni che abbiamo fatto due anni fa, e ci stupisce di essere ancora a questo punto -, come abbiamo affermato allora, di creare un sistema pubblico di formazione e perfezionamento professionale terminale, che ha come sua premessa la formazione culturale scientifica fornita dalla scuola (di qui la necessità di questa riforma) ma che sia già comunque in grado, anche a tempi intermedi, di offrire diverse specifiche qualifiche per larghi gruppi di mansioni produttive, amministrative e tecniche orientate sulle scelte di fondo della programmazione regionale e nazionale. E non a caso uno dei vuoti essenziali che ha il documento dell'IRES, anche il secondo, è questo: com'è possibile vedere completamente tutto il complesso di problemi che è venuto avanti, effettuare delle scelte poi qualificanti quando non si sa poi dire qualche cosa o affrontare almeno la ricerca, approfondirla? Questo è un elemento che andrà presto chiuso anche rispetto alle scelte del Piano regionale.
Pensiamo ai processi che si aprono rispetto ai temi che maggiormente hanno interessato questo Consiglio Regionale, le questioni dell'agricoltura. Ce lo siamo detto più volte che l'agricoltura subisce un processo generale di senilizzazione e che avremo a che fare nei prossimi dieci anni per risollevare l'agricoltura da coloro che hanno 35-50 anni.
Questo è il primo materiale umano che abbiamo, dobbiamo pensare alla riconversione di questo, se vogliamo fare dell'associazionismo se vogliamo fare tutta una assistenza tecnica particolare, e dobbiamo pensare alla formazione di nuove leve che non può più essere lasciata in mano soltanto a dei contributi da parte della Regione. Pensiamo al problema più grave drammatico, immediato che abbiamo nei servizi sociali. Ecco il senso credo, di questa affermazione, di cui eravamo tutti consapevoli quando l'abbiamo portata ad esempio ed abbiamo insistito anche con le altre Regioni perché ciò si affrontasse. Non solo, ma direi anche che per quanto riguarda la Regione in senso stretto questo sistema dev'essere in grado di soddisfare le esigenze espresse nella progressiva estensione dei ruoli tecnici che sono venuti avanti. Abbiamo una crisi di quadri. Faccio un esempio: pensiamo, ad esempio, che man mano che è cresciuta una certa imitazione oggettiva del mercato del lavoro all'interno dei servizi sociali (come nella questione della Sanità, si poteva accedere prima con la legge 124, mi pare, con una certa sanatoria; all'interno stesso degli ospedali si poteva accedere al ruolo di infermiere, per avere la qualifica professionale, soltanto con il diploma di terza media o tanti anni di servizio; oggi andiamo già, mi pare, al terzo anno della secondaria superiore, poi andremo al diploma della secondaria superiore), per converso abbiamo avuto una immissione attraverso un sistema clientelare, che indubbiamente ha poco a che vedere con le richieste sempre chiare e puntuali del movimento, abbiamo lasciato inutilizzate le risorse giovani che uscivano dalle scuole, dagli ITIS (che, tra l'altro, sono stati confermati come le scuole più valide oggi esistenti dal documento dell'Unesco, a livello europeo rispetto a tutti gli altri ordini di scuola secondaria superiore che esistono in Italia, per esempio per i corsi di radiologia e via discorrendo), sprechiamo energie umane, risorse materiali e creiamo del caos nella stessa organizzazione interna dei servizi, negli organici e via discorrendo. Ci sono altri momenti che il sindacato ha indicato per la promozione giusta all'interno del luogo di lavoro da parte degli stessi lavoratori. Questo è uno degli esempi. Quindi, il ruolo dei tecnici, il superamento dell'attuale miriade di qualifiche nell'ambito della realtà del lavoro parcellizzato e della conseguente parcellizzazione anche del mercato del lavoro, alla crisi generale che abbiamo sempre affermato che è quella dei mestieri e delle professioni, molte cadute in disuso.
Questi, quindi, sono problemi che non possiamo risolvere soltanto con la dichiarazione, posto anche che abbiamo tutti insieme la volontà politica di farla. Questo è il primo dato, essenziale, con cui si affronta la crisi che abbiamo nella Regione e nel Paese. Ma non è sufficiente. Ci vuole qualcosa di più, ci vuole la disponibilità culturale un investimento per riuscire ad arrivare a queste cose. Anche se ci dicessimo tutti d'accordo ad affrontare questo, se non c'è un rapporto permanente, se non si crea qualcosa di diverso per riuscire a strutturare una legge, al di là di quelle che possono essere le possibilità delle stesse forze di opposizione di indicare delle linee generali e anche concrete per il rapporto che mantengono loro stesse, come nel nostro caso, con la società regionale però, ecco, bisogna fare un salto qualitativo, andare oltre, riuscire veramente a servirsi di quegli strumenti anche tecnici per affrontare queste questioni.
Quello che possiamo dire è che la elaborazione generale che noi avevamo fatto anche nel primo progetto di legge per l'esercizio delle funzioni trasferite dalla formazione professionale, abbastanza esatta, cioè si è rivelata ancor oggi, più che ieri, come corrispondente alle esigenze generali e particolari del Paese della nostra Regione. Abbiamo, per esempio, di fronte il problema della tecnologia, che tiene ancorati da tempo in Parlamento alcuni progetti di legge per la secondaria superiore mentre noi siamo costretti a ristrutturare centri, siamo condannati ad avere una gestione magari giusta in linea di principio regionale ma che potrà diventare accentrata, che crea condizioni di squilibrio non solo nel trattamento del personale ma anche tra l'organizzazione stessa dei centri i contenuti, la funzione, il loro modo di proiettarsi sulla società regionale, e le iniziative. Non parlo in senso privato, strettamente, di enti che chiedono il finanziamento, ma penso ai Comuni, a tante iniziative che sono già legate ad un tessuto democratico e che hanno bisogno di essere rivitalizzate per essere tolte dal ghetto in cui una politica di lesina le ha costrette per troppo tempo.
Abbiamo noi - questa la domanda che poniamo - la preoccupazione esatta e giusta di creare un meccanismo di sviluppo diverso, di cui oggi troppo pochi insistono a parlare? Vi sono segni positivi che possano andare avanti anche con questo bilancio alcune cose che credo siano state dette anche se in modo critico, ieri, dal mio collega Rivalta, dalla politica che abbiamo fatto in tutti questi mesi, e non c'è la preoccupazione, allora anche da parte nostra, di garantire gli sbocchi professionali a livello qualitativo, cioè di rompere anche quei sistemi di potere che fino ad oggi hanno tenuto in piedi queste cose? Perché anche a questo livello - lo conferma una analisi generale che abbiamo fatto - non è più possibile fare la minima riforma senza scontrarsi con un interesse che si è generato anche a piccolo livello tra lavoratori che poi sono i primi a sollecitare la riforma. Il primo atto che dobbiamo compiere è quello di rompere questa catena, che diventa anche una catena di sistema di potere che hanno forze in primo luogo la sua, Assessore Borando, alcune anche a livelli periferici, nella gestione di questi interessi.
E' necessario invertire questa tendenza, porre un fermo allo sviluppo spontaneistico ed anarcoide dei sistemi formativi, dove trionfano il provincialismo culturale e l'arretratezza, dove trionfa soprattutto il sottogoverno. Così come è necessario programmare un nuovo sviluppo delle strutture formative dipendenti dalla Regione. E qui bisogna avere una normativa intanto transitoria, che sia in grado di dire, per tutti i centri specifici che abbiamo avuto - l'INAPLi, ex INAPLI, ENAC, EGNAS - cosa facciamo, come li vogliamo gestire, e come vogliamo dare dei tagli netti e secchi rispetto a certe attività per incrementarne altre, per quanto riguarda il campo dell'artigianato, del commercio e dell'industria. E per gli altri aspetti delle competenze che non ci sono state trasferite, o ci sono state trasferite in parte, in modo disarticolato, anche attraverso gli altri decreti delegati - l'abbiamo ripetuto fino alla noia, questo -, noi dobbiamo essere in grado di assumere giusti accordi per favorire tutti i processi anche autonomi, per settore, ma non slegati da una visione generale in cui abbiamo fatto alcune scelte di fondo che a mio avviso dovrebbero esser - lo diciamo anche nella nostra proposta di legge agricoltura, servizi sociali, con particolare riferimento alla questione della Sanità e dell'Assistenza, e alcuni settori dell'industria, facendo scelte prioritarie, badando che queste scelte autonome possano avere ripercussioni a livelli superiori. Dobbiamo pensare alla formazione dei quadri diplomati, pur con il concorso e l'intervento dello Stato, in una utilizzazione migliore di questi fondi, e in questo quadro entrare a piedi giunti - come dicono certi lavoratori - nella situazione veramente caotica e spaventosa di dispersione di fondi in cui si trova il Fondo sociale europeo. Non deve più capitare che ci vediamo passare sotto il naso, come à accaduto due anni fa, o un anno fa ancora, sette miliardi, o quanti, che vengono a finire nella Regione Piemonte, vanno alla Lancia vanno alla Fiat, vanno chissà dove, senza che ci sia non dico una capacità di indirizzo ma neanche il controllo, soltanto con l'avallo burocratico di una firma, da parte della Giunta.



BORANDO Carlo, Assessore all'istruzione

Eh no, il controllo c'è!



REVELLI Francesco

Ma non si controlla nulla, in effetti: puoi controllare che questi fondi sono stati spesi, ma non controllare a quali fini, non siamo neanche in grado, con l'apparato che abbiamo, di capire a che cosa servono e come vengono utilizzati da queste aziende, di farne una critica serrata e un confronto. Perché di fronte a chiunque della Lancia ci venga a raccontare certe cose restiamo a bocca aperta. Allora, qual è il termine di confronto? E' il movimento operaio, sono le cose che ci dicono i sindacati, sono le cose che ci dicono gli imprenditori più avanzati, in particolare quelli che hanno bisogno di far distinzione fra ricerca di base e ricerca applicata come quelli delle piccole e medie aziende, gli artigiani, che sollecitano in modo unitario, oggi più di ieri, la riforma del loro settore. Intanto occorre che la Regione avvii una politica diversa, che non sia più quella del contributo all'Associazione degli artigiani, quasi come mancia, perch poi si tenga indietro rispetto alla sopravvivenza in sé e per sé dell'ente associazione, perché poi si tengono indietro invece i processi reali, che sono quelli che ricordava, tra l'altro, ancora poco fa Gerini.
Senza avere questo quadro generale di fronte - il che non ci richiede una ulteriore perdita di tempo -, senza una ipotesi programmatica di attività formativa attuata sul fondamento del nuovo concetto che abbiamo dato della formazione permanente professionale a tutti i livelli, possiamo tuttavia individuare alcuni punti essenziali su cui misurarci in termini prioritari.
In primo luogo, lo sviluppo del settore produttivo - dobbiamo tirare le conseguenze giuste da come spendiamo i fondi in generale di questo bilancio, soprattutto nei settori maggiormente importanti per lo sviluppo economico - industria, agricoltura eccetera - e quello dei servizi e degli interventi formativi che devono accompagnare queste politiche, perch avendo una politica di spesa nel settore bisogna avere delle politiche di lavoro corrispondenti.
Secondariamente, la questione dei servizi sociali, che è più urgente perché c'è da rimediare a tutta una situazione arretrata di personale che pur si è formato, che è ricco di esperienza, e in cui però bisogna selezionare, nel senso letterale del termine, scegliere, vedere, e che riguarda innanzitutto le esigenze che sono state poste nell'intervento della compagna Fabbris, con particolare riguardo alla questione degli asili nido. In questo settore dobbiamo riesaminare situazioni di personale che può venire da certi enti, ed essere in grado di impostare un programma che non possiamo affidare né alla Clinica pediatrica né a quell'altro settore né a quell'altro settore ancora, pur anche avanzato, avanzatissimo, perch ha bisogno di un lavoro ormai di equipe, e di una visione più organica, che deve trovare la sua sede adatta. Non formeremo certamente soltanto con personale medico, anche avanzato, il personale per gli asili-nido, senza avere altri settori che concorrano a questa formazione. E poi, una formazione in cui 30 milioni non bastano, per il semplice fatto che se impostiamo una attività da quest'anno nel quadro di una legge generale, per esempio dall'autunno, che potremmo veder approvata, bisogna avere un fondo molto superiore per impostare il lavoro che permetta lo svolgimento di questi corsi, il loro decentramento, la loro gestione in un certo modo ed anche la partecipazione diretta dei lavoratori ad essi.
In questo stesso campo dei servizi sociali c'è tutta la problematica che è stata sollevata, per esempio, dagli operatori, cui noi abbiamo dato le deleghe per i fondi di gestione di questi servizi nel nostro progetto di legge sull'assistenza scolastica ai Comuni. Sono fondi di pertinenza, per esempio, della signorina Vietti. Noi non possiamo più avere la formazione fatta alla buona, anche con grandi specialisti che si riuniscono attorno ad un tavolo e fanno alcune conferenze alle signorine del CIF o ad altre signorine magari non democristiane, ma di sinistra, in qualunque modo: non è più concepibile. Abbiamo una Università che ha bisogno anche di committenze, sotto questo aspetto, e bisogna saper cogliere gli elementi giusti all'interno dell'Università. Non è accettabile che si facciano semplici elargizioni di fondi ad associazioni o enti che si propongono di fare una promozione della formazione professionale a questi livelli, o anche, diciamo, di propaganda e di diffusione di alta cultura in questo senso? Bisogna ricondurre le cose alle loro sedi giuste e adatte, e in primo luogo al rapporto Regione-Università, che credo abbia fatto progressi in questi anni, con la creazione di un clima diverso. Poi, abbiamo bisogno che la Giunta sia disponibile a destinare una quota di fondi allo studio e alle ricerche sulla evoluzione dei vari processi produttivi, in modo da collegare strettamente i contenuti anche molto avanzati che l'esperienza di alcune piccole frange, quelle che sono state possibili con i fondi che sono stati dati, dell'esperienza delle 150 ore e altre che vengono portate avanti parallelamente, riguardanti direttamente il rapporto organizzazione del lavoro-lavoratori-condizioni della società. Dobbiamo indubbiamente rivendicare dallo Stato la completezza dei poteri, ma questo non possiamo farlo se non siamo in grado di darci una capacità di sviluppo della nostra impostazione che renda condizionante, vincolante.. non possiamo più mandare degli ordini del giorno al Governo per dire: vogliamo quelle competenze: dobbiamo precisare un programma su cui questo Governo e lo stesso Parlamento nella legislazione si senta ancorato.
E allora deve esserci un confronto serrato, a mio avviso in questo stesso mese, prima delle ferie, rispetto al progetto del CIPE, - che, pur essendo mutato Governo - anzi, è cambiato già due volte rispetto al documento del CIPE resta ancora in piedi, quello della famosa Agenzia nazionale per la formazione professionale, che, pur avendo un suo valore se visto in un certo modo, ha bisogno però di alcuni correttivi, perché si basa su una visione dello sviluppo economico consistente nei rilancio del vecchio meccanismo, quindi nell'impostazione dello stesso bilancio dello Stato e della spesa pubblica nel settore sbagliato, che noi critichiamo, e soprattutto - non tiene conto di queste politiche formative ma tenta ancora di dare comunque, alla vecchia maniera, uno sbocco alla piena occupazione arrivando al punto di sovvenzionare centri o enti gestori che tengano lì dei giovani, in una specie di parcheggio di forma nuova, senza peraltro risolvere neanche i problemi più grossi di formazione permanente e di riconversione industriale.
Queste, a nostro avviso, sono le condizioni di fondo, e non possiamo certamente non concordare sul fatto, più volte già ricordato anche dall'Assessore, che c'è una sotto-utilizzazione - lo ha detto lei più volte in Commissione - del lavoro, ma c'è anche una dispersione e una parcellizzazione di questo mercato del lavoro. Continueremo ad avere, se non lo riunifichiamo anche attraverso strumenti quali quelli della formazione professionale, un rapporto sbagliato con le strutture e l'occupazione nel lavoro dipendente, con i lavori in subappalto l'occupazione dei minori non in età di lavoro, la questione dell'apprendistato, che ci toglierà da una parte quello che tentiamo di realizzare, posto che la Giunta lo voglia davvero fare, dall'altra.
Quindi, credo che sia nostro dovere fissarci un programma a brevissimo termine, che è quello di una legge - che comunque sarà transitoria, in vigore sino a quando non ci sarà la secondaria superiore - che ci richiami a questo compito immediato alla questione dei distretti scolastici a cui potremo veder delegata, per l'incapacità di alcune Regioni di gestire questi processi in modo ordinato e coordinato (continuando invece a praticare la politica bonaria, che ha sempre portato avanti Visone, in una confusione in cui non si è mai capito bene come dovevano andare a finire i soldi con tante richieste che venivano avanti da parte di enti di nuova istituzione e che non si era neanche in grado, con le strutture regionali di controllare) la residua parte di competenze, perché siano in grado loro di relazionarsi con gli Enti locali. Questo sarebbe un duro colpo per le Regioni, che potrebbe venire avanti, così come vengono avanti le sfiducie nelle autonomie locali quando si affidano grandi progetti di sviluppo a grandi aziende.
Se è valida l'affermazione generale da cui siamo partiti, credo che noi non possiamo avere ulteriori ritardi su questa legge, in cui è possibile allora, ecco, fare il discorso ancora sul bilancio, modificare alcune questioni. Sarà possibile innanzitutto perché noi saremo in grado di affrontare il discorso dei consorzi per l'istruzione provinciale e per l'istruzione tecnica. Non li lasceremo più, in questo modo, abbandonati a se stessi, e con l'orientamento professionale affidato a strutture che non sono in grado di assolvere un tale compito. Potremo invece vedere, non potendoli abolire per legge, di delegarli in modo corretto insieme alle competenze. Vedremo in modo corretto la questione dei distretti scolastici saremo in grado anche di affrontare i problemi sul versante del diritto allo studio per la formazione professionale, che riguardano in primo luogo in senso stretto, la questione anche dell'utilizzo del materiale didattico.
E quindi ci collegheremo anche alla questione delle biblioteche, di cui dirà Besate nel suo intervento, e alla formazione anche del tipo di personale per questi scopi occorrente.
Abbiamo davanti una vasta gamma, una possibilità di intervento concreto ed efficace. Le scelte prioritarie, ripeto, a nostro avviso devono essere poche ed incisive.
Ristrutturazione dei centri, ma secondo linee diverse da quelle che ha elaborato l'Assessore. Il non aver saputo governare e proiettare meglio la mano d'opera, gli operatori della formazione professionale presenti nei centri sul territorio regionale può essere stato un handicap per lo sviluppo generale della formazione. Se questo è vero, è necessario non certo punire questi formatori, metterli sempre fra l'incudine e il martello, fra l'adattarsi ad un certo sistema o l'esserne cacciati via, ma andare presto ad un processo di deleghe che sia in grado non di smembrare i centri ma di metterli sotto un diverso rapporto con la comunità locale, con la funzionalità diretta che deve avere con lo sviluppo produttivo nella zona in cui questi centri si trovano.
In secondo luogo, una politica privilegiata verso i centri comunali già degli Enti locali.
In terzo luogo, condizioni ben precise per il finanziamento agli enti gestori privati, che ci siano cioè controllo e contenuti confacenti alle linee di sviluppo che diamo in questo campo. Revisione della questione dell'artigianato, respingendo pienamente il discorso portato avanti dalla stragrande maggioranza conservatrice dell'Associazione artigiana. E' inconcepibile oggi un criterio che non possiamo accettare che si proceda alla sovvenzione del piccolo artigiano senza definire chiari limiti dicendo semplicemente: il barbiere, o chi altri, riceve tanto dalla Regione perché insegna il mestiere a quell'altro. Revisione anche dei contributi quindi, ai processi formativi gestiti autonomamente da queste categorie.
Scelte precise in agricoltura, che siano confacenti alle leggi che il Consiglio Regionale ha privilegiato e al programma in agricoltura che è stato privilegiato. Riordino immediato da parte dell'Assessorato alla Pubblica Istruzione di tutti quei processi formativi che, direttamente o indirettamente, sono gestiti, in contrasto con la delibera votata dal Consiglio già due anni fa, dall'Assessore Armella, e che devono essere tutti unificati sotto la competenza dell'Assessorato all'istruzione, in modo che, pur rimanendo alla Giunta nella sua collegialità la competenza di indicare i vari settori, questa politica abbia a confluire in un solo alveo, quello dell'Istruzione. In questo campo siamo in difetto da due anni. La stessa cosa vale per il settore di competenza della signorina Vietti.
Infine, a proposito del Fondo sociale europeo, occorre far chiarezza con il Governo e proporre che questi fondi, che possono essere estremamente limitati oggi su questo bilancio, possano essere superiori, perché dobbiamo essere in grado di gestire anche dei progetti speciali per il Piemonte rispetto a quella che è la linea generale del Governo. E' contro le Regioni l'attuale sistema, perché, mancando una legge generale, viene a privarci di una grossa fetta di finanziamenti e della possibilità del loro indirizzo.
Da ultimo, occorre tenere stretti rapporti anche con le aziende, per conoscere i programmi e quindi essere capaci di cogliere gli elementi che discendono da ciò che dicono i sindacati e da quanto invece le aziende stanno predisponendo, soprattutto in una situazione di crisi in cui evidentemente il mercato del lavoro viene a subire ulteriori colpi.
Credo che se anche con lo strumento legislativo saremo in grado di affrontare questo discorso, le stesse voci che sono presenti in questo bilancio possano essere sostanzialmente mutate sia per il loro utilizzo sia anche per la loro quantità, e quindi, anche per la qualità della politica regionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Franzi, ne ha facoltà.



FRANZI Piero

Signor Presidente, signori Consiglieri, il relatore Dotti prima, i rappresentanti della Giunta Paganelli e Simonelli, dopo, hanno posto particolare attenzione ai fattori economici di ordine generale nei quali la Regione deve inserirsi per operare e come questi fattori esogeni possano condizionare negativamente tutte le iniziative locali.
Queste preoccupazioni sono strettamente collegate alle particolari situazioni finanziarie ancora recentemente denunciate dal Presidente del Consiglio dei Ministri dr. Rumor. Non sono valsi e non valgono i risultati economici conseguiti nel corso del 1973 che ha visto il reddito nazionale aumentare del 5,90% per stimolare le condizioni per un più accentuato rilancio di tutta l'economia italiana. La percentuale di sviluppo del reddito nazionale già indicata nel 5,90% rappresenta un indice molto elevato se si considerano le difficili condizioni di produzione e di mercato in cui molti settori sono venuti a trovarsi a seguito del blocco dei prezzi del luglio scorso e della crisi energetica di fine anno.
E' stato indubbiamente un risultato di tutto conforto che, se considerato autonomamente, potrebbe illudere che l'economia nazionale stia attraversando un periodo di tutta tranquillità e che pertanto potrebbe bastare solo il controllo della dinamica dei fattori produttivi per assicurare anche per il 1974 un tasso di sviluppo non certamente inferiore a quello del 1973.
Tale convinzione potrebbe anche essere suffragata dai dati relativi alle variazioni del prodotto lordo per singolo settore economico che ha fornito a prezzi costanti le seguenti percentuali di aumento: agricoltura 7,70%; industria + 8%; attività terziaria + 5,40%.
Purtroppo però la situazione non è così tranquilla come prevista da una superficiale analisi degli elementi. Non va infatti dimenticata che nel corso del 1973 il livello dei costi è salito del 12,4%, contro il 6% del 1972, e l'indice di inflazione, secondo i dati Istat, è stato vicino al 20 rispetto all'anno precedente (alcuni commentatori hanno stimato tale percentuale più vicina al 30%).
Questi scompensi sono stati ancora più gravi se si considera che si sono verificati nel corso di un anno in cui il Governo, dopo più di vent'anni ha dovuto ricorrere all'antieconomica ed impopolare politica del blocco dei prezzi.
Quale sarebbe stato l'aumento dei costi e l'indice di inflazione se non si fossero adottati i provvedimenti straordinari del luglio 1973? E' difficile dare una risposta, anche perché quei fenomeni che hanno caratterizzato il Bilancio economico nazionale del 1973 non si sono ancora esauriti, ma anzi, continuano tuttora a condizionare negativamente sia la produzione che il consumo.
Altro aspetto fortemente negativo è rappresentato dall'incremento del passivo della Bilancia commerciale, influenzato in modo particolare dall'ulteriore aumento delle importazioni di prodotti alimentari e dalla difficoltà per taluni comparti di potere esportare a prezzi competitivi.
Nel settore alimentare, che presenta un passivo di oltre 2.000 miliardi, rilevante incidenza ha avuto la massiccia importazione di grano duro per bilanciare le minori produzioni di circa 6,5 milioni di quintali.
Per questo settore tuttavia si ha motivo di ben sperare che già il corrente anno, sia per l'aumento delle superfici coltivate che per la normalizzazione del mercato internazionale; mentre invece il comparto che più di ogni altro preoccupa e deve preoccupare anche per gli organi regionali è quello relativo al settore zootecnico. I più recenti dati forniti dalla INEA per il 1973 ci indicano che l'importazione di carni macellate sono salite, nell'arco di un solo anno, da q. 3.300.000 a q.
4.200.000, mentre il patrimonio zootecnico nazionale, secondo una dichiarazione dell'ex Ministro dell'Agricoltura Ferrari-Aggradi sarebbe diminuita di circa il 10%.
Sono aspetti di carattere generale che per essere meglio interpretati devono essere collegati alle recenti iniziative assunte dal Governo nei confronti del flusso mercantile dall'estero.
Dare un giudizio definitivo sul recente provvedimento italiano riguardante il deposito obbligatorio presso la Banca d'Italia in c/a senza interessi del 50% del controvalore delle merci importate, è in verità troppo presto, tuttavia si può già precisare che i prodotti dell'agricoltura zootecnici in particolare, hanno beneficiato di lievi aumenti.
Le ragioni che hanno indotto il Governo ad adottare tale provvedimento non sono certamente da ricercare nella volontà di tonificare i mercati italiani, né tanto meno in quella ufficialmente dichiarata di limitare la liquidità monetaria.
Il mercato nazionale non aveva e non ha bisogno di sollecitazioni al rialzo, stante la compressione legale dei prezzi (blocco) e la dinamica attiva della produzione industriale (+ 15% nel mese di febbraio e di marzo). Non è nemmeno da credere che sia per aiutare l'agricoltura perch il provvedimento più consono sarebbe stato quello di fare ricorso alla clausola di salvaguardia.
La sola verità invece è quella di poter aumentare la liquidità di tesoreria della Banca d'Italia. Con questo sistema infatti la Tesoreria potrà disporre di una forte liquidità senza alcun costo. Pare infatti che tale operazione potrà fornire una disponibilità di liquidità di circa 5.500 miliardi (per i soli prodotti agricoli si supereranno 1500 miliardi).
Tale operazione sarà difficilmente di vantaggio per l'economia italiana perché si potranno verificare le seguenti condizioni: 1) perché determinerà una sicura lievitazione dei prezzi interni e quindi farà scattare l'indice della scala mobile su livelli ancora più alti che poi si ripercuoteranno a catena sui fattori: costo di vita-salari 2) perché modificherà l'iniziativa delle nostre correnti di traffico a vantaggio degli operatori stranieri che, avvantaggiati da economie più forti, potranno assumere autonome iniziative (basta considerare ad esempio le iniziative francesi) 3) perché si creeranno rapporti distorti nei fattori costi-ricavi ed una tensione "drogata" dei prezzi e del costo del denaro (tassi di credito 14-15% tassi di deposito 9-10-11%) 4) perché per l'agricoltura in particolare, il vantaggio economico comunque vada, sarà limitato al periodo dei 180 giorni e poi, se non verranno modificati i meccanismi comunitari, si ricreeranno le stesse condizioni di disagio di questi ultimi mesi 5) perché potrebbe anche verificarsi che allevatori amareggiati del lungo periodo critico potrebbero sfruttare il momento dei più elevati prezzi del bestiame per smobilitare le loro stalle, eventualità da non escludere proprio nelle zone ove è più facile la riconversione a cultura cerealicola.
Per evitare che fra 180 giorni si ricreino per l'agricoltura le difficili condizioni degli ultimi mesi sono necessari i seguenti interventi: a) interventi finanziari per il sostegno del settore, così come tante volte richiesto, per l'adeguamento delle strutture aziendali b) in carenza di iniziative di mercato dei produttori, gli Enti pubblici (Stato e Regioni) devono intervenire sul mercato per la difesa dei prezzi almeno sui livelli di quelli indicativi c) modificare i rapporti inter-CEE correggendo il sistema dei montanti compensativi.
Circa il sistema della erogazione dei montanti compensativi si deve considerare che la Germania, in particolare, doppiamente avvantaggiata (rivalutazione marco e svalutazione lira verde) gode di montanti superiori del 25% dei prezzi unici di base, per cui ben difficilmente dovrà rinunciare ai maggiori vantaggi di cui possono beneficiare i loro allevatori. Sono elementi che, seppure di carattere generale, tuttavia non possono essere trascurati per una chiara valutazione della situazione economica in cui i nostri imprenditori devono operare e della quale si deve tener conto per l'impostazione delle iniziative regionali.
Già in altre occasioni ho avuto modo di precisare che anche la Regione quale depositaria costituzionale del potere legislativo, deve avanzare autonome proposte legislative per sollecitare nuove iniziative, sostenere la produttività aziendale e difendere il potere d'acquisto della moneta.
Non vi è dubbio che proprio questi elementi, quali la promozione di nuove iniziative, l'incentivazione di una maggiore produttività sia del capitale che del lavoro, la difesa del potere di acquisto della moneta sia essa salario che risparmio, devono costituire la struttura portante per il Bilancio dell'intera economia.
Per quanto riguarda il settore edilizio è indispensabile che tutte le amministrazioni comunali possano disporre di moderni piani urbanistici per assicurare possibilità di iniziative a coloro che hanno volontà di lavorare, come è pure necessario sostenere l'iniziativa statale per quanto riguarda l'assegnazione di mezzi finanziari per l'edilizia abitativa agevolata e convenzionata e per l'accelerazione delle procedure. Le preoccupazioni di ordine economico ed umano che riguardano l'agricoltura sono veramente gravi perché già oggi in molte zone si cammina velocemente verso l'ultima fase di un deterioramento totale del settore.
Alcuni dati ricavati dal Rapporto IRES per il Piano Regionale 1974-1978 dimostrano quanto pesante sia il momento attuale e quanto preoccupanti siano le prospettive a medio e breve termine. Una comparazione dei valori aggiunti per singoli settori produttivi ci dà questi risultati: l'industria nella previsione del piano IRES 1973/1978 dovrebbe avere un aumento di valore aggiunto, per ogni singolo addetto, da lire 4.778.000 a lire 6.050.000 pari al 27%; il commercio da lire 3.866.000 a lire 5.113.000 pari al 32%; il terziario da lire 5.679.000 a lire 7.160.000 pari al 26%; l'agricoltura da lire 1.890.000 a lire 2.418.000 pari al 26 Ancora una volta l'agricoltura nelle previsioni programmate 1973/78 camminerà meno degli altri settori.
La differenza di valore aggiunto fra settore agricolo ed altri settori sarà ancora più diversificata e la forbice continuerà ad allargarsi in danno dei settori dei produttori agricoli: nell'agricoltura-industria la differenza passerà da 2.868.000 nel 1973 a 3.632.000 nel 1978 nell'agricoltura-commercio passerà da 1.976.000 nel 1973 a 1.695.000 nel 1978 nell'agricoltura-terziario passerà da 3.889.000 nel 1973 a 4.742.000 nel 1978.
Questi pochi dati sono sufficienti a dimostrare la gravità del momento in cui si trova il settore, ed evidenzia, se ancora ve ne fosse bisogno l'urgenza di interventi immediati, per correggere l'accentuata tendenza allo smobilizzo delle aziende agricole.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Besate, ne ha facoltà.



BESATE Piero

Io farò un esame, come ha già annunciato il collega Revelli, della sezione II del bilancio che riguarda l'assistenza scolastica, biblioteche e musei di Enti locali.
Per la parte che concerne l'assistenza scolastica le cifre iscritte inducono ad alcune riflessioni interessanti che dal punto di vista finanziario contabile si possono considerare approssimativamente positive.
Ma proprio questo elemento di positività materiale induce a considerare un risvolto politico estremamente negativo: noi troviamo che ai nove miliardi e 174 milioni inseriti nella II Sezione si devono aggiungere i tre miliardi che nell'elenco n. 3 si trovano imputati al cap. 1018 sotto la voce 'Erogazioni di contributi per l'acquisto di libri' che porta a 12.174.000 il totale a cui, se mi permettono i colleghi Vietti ed Armella aggiungerei anche i 600 milioni del cap. 520 'Soggiorni estivi' che figurano nella sezione sicurezza sociale e i 400 milioni del capitolo Medicina scolastica della sezione della sanità, un altro miliardo quindi da sommare e che porta lo stanziamento complessivo a 13.174.000.000.
A questi ci sono ancora da aggiungere i 700 milioni direttamente connessi con i processi scolastici previsti al cap. 1312, investimenti per l'edilizia scolastica minore per cui si va a 13.870.000.000 oltre a quelli per la formazione professionale su cui per il mio Gruppo è già intervenuto il collega Revelli. Si tratta di una cifra non indifferente.
L'aspetto contabile finanziario è quindi positivo nel senso che è un supporto materiale vicino alla sufficienza per una politica di promozione di mobilitazione delle risorse di enti locali e di altri enti, per una vera politica di diritto allo studio, in quanto il fabbisogno calcolato per il Piemonte è di circa trenta miliardi e non può essere naturalmente la Regione da sola a sopportare questo onere; tanto più che se oggi questa politica ha mantenuto tutte le prospettive dl sviluppo e di riordinamento si deve dire grazie soprattutto all'intervento degli enti locali che hanno sempre manifestato, nelle numerosissime consultazioni e negli incontri la loro disponibilità, non solo, ma si sono fatti promotori della iniziativa regionale come titolari di funzioni che devono essere loro delegati dalla Regione, per potere dare un assetto a questo settore così importante. E basti citare una cifra: 250.000 sono gli alunni delle cinque classi elementari in Piemonte, dei quali esattamente 125.000, cioè la metà, si ritrovano nelle scuole secondarie superiori, il che vuol dire pur facendo la tara di tutti coloro che in un modo o nell'altro prendono altre vie, che il livello della media inferiore scoraggia almeno la metà dei ragazzi piemontesi a proseguire gli studi nella secondaria superiore ivi compresi gli istituti professionali.
Di qui l'importanza fondamentale di una politica del diritto allo studio che a partire dalla scuola materna e fino alla media inferiore ponga il ragazzo in condizione di accedere alle scuole secondarie superiori, alla formazione professionale. Perché non basta dire abbiamo tanti miliardi, li eroghiamo ai patronati, a quel Comune, a quell'Ente, a quella cassa scolastica, occorre intervenire con una visione complessiva ed organica di una politica diretta a decondizionare tutti quegli elementi di ordine sociale, culturale, ambientale, materiale, che pesano sui ragazzi che ne condizionano i processi di sviluppo della formazione e dell'apprendimento. Dalla scuola materna all'ultimo stadio, la scuola è come un missile, permettetemi questa metafora - che deve portare in orbita l'individuo e inserirlo nella vita lavorativa, nella vita professionale.
Ecco come noi misuriamo il grosso divario tra le aspettative e le possibilità che oggi esistono e che sono il frutto di grosse battaglie condotte non soltanto da noi, ma anche dai Comuni, dai sindacati, dalle famiglie che hanno portato a considerare quello del diritto allo studio come uno dei problemi principali della politica della nostra Regione.
Quando approvammo la famosa legge sui libri di testo, così come chiamiamo correntemente, dicemmo che l'approvavano soprattutto perché oltre agli aspetti di sollievo economico per le famiglie, vedevamo in quel provvedimento un ponte che creava o aiutava a creare condizioni materiali finanziarie per una politica diversa di diritto allo studio, per una politica di assistenza scolastica organica e complessiva.
A questo proposito abbiamo presentato un progetto di legge, un altro lo hanno presentato i Comuni, uno è stato annunciato dal Presidente della Giunta fin dal gennaio scorso in occasione della presentazione del programma. Tutti questi progetti hanno come tema principale la delega dell'esercizio delle funzioni in materia di assistenza scolastica ai comuni e agli Enti locali. Questo principio è stato riaffermato dal Consiglio una settimana fa, in occasione dell'esposizione del parere sullo schema di decreto delegato per gli organi collegiali della scuola e per il distretto scolastico.
Io spero che al più presto questi progetti arrivino alla presidenza del Consiglio e quindi alla Commissione per essere discussi affinché entro il mese di giugno, poiché le consultazioni sono già state fatte e numerosissime, si possa approvare il provvedimento di delega agli Enti locali in fatto di assistenza scolastica, in modo che all'inizio dell'anno scolastico, 1.10.1974, tutti gli operatori scolastici, soprattutto i comuni, gli Enti locali, i sindacati, le famiglie sappiano come si devono comportare. Perché non basta fare la legge, occorre emanare le disposizione applicative, sappiamo che quando si crea dal nuovo, anche se l'esperienza dei Comuni è enorme, c'è sempre qualche cosa da rivedere, qualcosa che non va. Quindi è urgente che ciò avvenga, soprattutto perché troviamo il supporto finanziario nel bilancio e questo ci fa misurare il divario che corre tra la possibilità e l'attuazione. Noi siamo del parere, e lo abbiamo affermato nella nostra legge, che per attuare i principi a cui ho accennato all'inizio occorre che il provvedimento sia, non dico proprio quello che abbiamo presentato noi, ma comunque con quei fondamentali principi ispiratori che sono poi quelli che il Consiglio ha discusso ed approvato a più riprese, su vari documenti, che privilegiano la scuola materna e quella dell'obbligo. Certo, c'è anche la secondaria superiore, però è nettamente in collegamento con la formazione professionale. Ma per la scuola dell'obbligo e per la scuola materna occorrerà dare agli Enti locali la delega in modo che siano loro a decidere in quali località operare, singole o associate (meglio comprensorialmente considerate soprattutto in vista dell'istituzione del distretto scolastico se saranno accolte le osservazioni che abbiamo fatto come Consiglio Regionale all'unanimità) e quali sono gli interventi prioritari da attuare nei vari comprensori perché ci sono località dove è più importante intervenire per la scuola materna ed altre dove è più importante intervenire per i libri, o per i trasporti. Ma soltanto la delega ai Comuni, agli Enti locali può far sì che la spesa sia efficiente, gli amministratori locali si metteranno in contatto con le popolazioni, le faranno partecipare e nello stesso tempo assumeranno le proprie responsabilità.
E' molto importante però che fin dalla settimana prossima la presidenza del Consiglio, le Commissioni competenti abbiano a mano il progetto della Giunta perché sappiamo come avvengono queste cose, si discute su uno, due progetti di legge di altra fonte poi arriva il disegno della Giunta e si riprende da capo tutta la discussione. Questo non deve avvenire, c'è l'esigenza di definire la questione entro un termine ben preciso perch l'anno scolastico inizia al 1 ottobre e di mezzo c'é il periodo delle ferie, non dobbiamo nel modo più assoluto sciupare questa occasione, tanto più che il bilancio prevede disponibilità di una certa cifra.
L'altra questione riguarda le biblioteche e i musei degli Enti locali per i quali sono stanziati 962 milioni. E qui c'è da fare un discorso particolare. Può sembrare che in rapporto allo stanziamento la spesa del personale sia elevata, invece non è così perché in questo settore è decisiva per il patrimonio artistico e culturale che hanno le biblioteche e i musei, ma di per sé conta poco o niente. Un esempio: la qui vicina Biblioteca Nazionale ha un patrimonio di 700 mila volumi, sapete quanti ve ne sono catalogati? Soltanto 200.000 gli altri 500.000 sono materiale di magazzino e sicuramente si tratta di materiale pregiatissimo che corre anche il pericolo che ci siano asportazioni, lo so, diciamo pure che sono hobby culturali, ma sono sempre furti a danno della collettività. Tenete presente che uno studente di Università che debba dare un esame come minimo si deve fornire di 5/6 libri, se non li trova nelle biblioteche li deve pagare 6/8.000 lire magari per un capitolo di 40/50 pagine; anche le dispense costano 4/6.000 lire, per cui ad ogni esame il costo dei libri, se va in libreria, è di 50.000 lire, per 25 esami ha una spesa di un milione e 250.000 lire solo per i libri strettamente necessari, se poi si allarga un po' la spesa fa presto ad arrivare sul milione e mezzo - due milioni.
La catalogazione della Biblioteca Nazionale non è un'eccezione purtroppo, quasi tutto il patrimonio bibliotecario piemontese e forse nazionale con opere di autori e altro materiale molto pregiato non è catalogato per cui non si può nemmeno controllare ciò che viene prelevato.
Ecco perché la questione del personale è importante, intanto per la catalogazione, per sapere quello che abbiamo ma anche per rendere produttivo questo patrimonio dal punto di vista culturale, ma anche dal punto di vista economico perché le famiglie operaie, artigiane, del ceto medio, che hanno i figli che studiano non debbano comperare i libri spendendo fior di quattrini.
Importante a questo proposito sarebbe anche un sistema regionale di informazione, un sistema integrato di biblioteche con un archivio che renda possibile per esempio allo studente di Ovada si sapere subito dove si trova in Piemonte il determinato volume, la determinata opera. Non è di facile soluzione ma di possibile soluzione, sempre che esista un sistema regionale di informazione che operi in generale ma che operi per le biblioteche, per l'amministrazione, per la programmazione, che sia quindi integrato. Il personale poi è importante, ma non basta avere il bibliotecario, che pure ci vuole per tenere con ordine e disciplina i volumi e catalogarli, occorre del personale in grado, quando si presenta lo studente o chi fa una ricerca, non soltanto di dire se c'è o no quel volume, ma di dare delle indicazioni per la ricerca all'interno della biblioteca. Bisogna provvedere alla formazione del personale delle biblioteche sia come quantità che come qualità, riqualificandolo.
Qui però lo stanziamento è veramente modesto, quanto è previsto serve solo per mantenere in vita le cose che ci sono. Siamo andati avanti così per quattro anni, prima abbiamo detto che non avevamo le funzioni, poi ci sono state le crisi delle passate Giunta e abbiamo erogato i contributi per non disperdere il patrimonio che avevamo. Nei Patronati c'è del personale che deve essere riqualificato, però si è andati avanti così, senza fare niente. Certo, l'attuale Giunta può dirci che è al governo da soli cinque mesi (a parte le responsabilità del partito di maggioranza relativa) per non possiamo più accontentarci di dire salviamo il salvabile, a questo punto se non si interviene con le leggi che danno alla Regione i suoi veri poteri cadrà tutto.
Vi faccio l'esempio di bilancio, non di politica perché ne ha trattato ampiamente il collega Revelli: capitolo 25 delle entrate 3.570.000.000 dal fondo addestramento professionale lavoratori; capitolo 344 spese correnti 3.570.000.000, preso di là come arriva dal centro, messo di qua; cap. 26 per le entrate; cap. 345 delle uscite, stessa dizione all'entrata e all'uscita con le stesse cifre e questo per quattro miliardi e mezzo su sei miliardi, il che vuol dire (e lo diceva Simonelli nel suo intervento) che non operiamo altro che un trasferimento. Per la Regione queste sono - mi corregga qualche ragioniere se lo sa - partite di giro, entrano ed escono allo stesso titolo. O la Regione si dà le leggi di delega anche per i musei e le biblioteche di Enti locali, oppure al quarto anno la Regione si trova ad essere un ente di trasferimento, per quanto riguarda questa II sezione del bilancio, cioè un organo duplicatore di passaggi e di spese.
Ecco quello che ci vuole: tre leggi di delega per l'assistenza scolastica, per i musei e le biblioteche degli Enti locali, per la formazione professionale e sono tutte e tre urgenti; in ordine di tempo l'urgentissima è quella dell'assistenza scolastica, c'è anche un vostro impegno ed entro il mese di giugno noi riteniamo che il Consiglio Regionale debba approvarla, ed entro quest'anno occorre anche quella per biblioteche e musei di Enti locali che comporta una cifra che non è irrilevante perch ai 962 milioni c'è da aggiungere un altro miliardo o miliardo e mezzo.
Forse in questo bilancio non è possibile aggiungere altre perché non avremmo nemmeno la capacità di spesa, bisogna essere realisti, però la prospettiva è questa ed è urgentissima.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Per questa sera non vi sono altri interventi programmati, tutti i Consiglieri che avevano chiesto di parlare sono stati sentiti. Per domani sono previsti gli interventi dei Consiglieri Bianchi, Soldano, Nesi e forse Dotti.
Diamo ora lettura delle interrogazioni, e interpellanze pervenute al Consiglio.


Argomento:

Interrogazioni (annuncio)


FRANZI Piero, Segretario

Interrogazione urgente con richiesta di risposta scritta della Consigliera Fabbris; malcontento dei cittadini di alcuni comuni della zona della Valsesia i quali attendono da anni che vangano risolti i conflitti di competenza tra i vari enti interessati e chiedono siano eseguiti i lavori necessari per assicurare l'erogazione di energia elettrica.
Interrogazione del Consigliere Nesi per sapere come la Giunta ha definito gli enti originari degli ospedali riuniti di Verbania; se è vero che l'individuazione dell'ente originario nella Prefettura sarebbe dovuto al fatto che il decreto di unificazione, risalente al 1939, degli ospedali Castelli di Pallanza e San Rocco di Intra, fu allora emesso dalla Prefettura stessa.
Interrogazione urgente con richiesta di risposta scritta dei Consiglieri Fabbris e Vecchione sulla nocività derivante dalla sverniciatura dei telai usati della Olivetti ad opera della Ditta Zanaga e quali iniziative siano state prese per prevenire i danni derivanti agli operai ed agli abitanti.
Interrogazione urgente con richiesta di risposta scritta del consigliere Besate sulla situazione creatasi nel comune di San Nazaro Sesia (Novara) in rapporto alle proprietà acquistate dai cittadini del luogo.



PRESIDENTE

Comunico che la seduta è rinviata a domani alle ore 9.30 per la prosecuzione degli interventi.
Domani alle 15 si inizierà la discussione sulla legge 118 sulla zootecnia.



BERTI Antonio

Vuole dirci l'ordine degli interventi di domani?



PRESIDENTE

L'ordine degli interventi è il seguente: Soldano, Nesi, Bianchi, forse Dotti e due Consiglieri del Gruppo comunista che mi saranno segnalati domani mattina.
Con domani a mezzogiorno è chiusa la discussione generale.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18)



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