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Dettaglio seduta n.229 del 28/05/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Comunicazione del Presidente


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Comunico che le organizzazioni sindacali hanno indetto per domani uno sciopero di quattro ore. Vi sarà una manifestazione in Piazza San Carlo dove parlerà Giorgio Benvenuto. Ho dato l'adesione a nome del Consiglio e saremo presenti. Il Consiglio quindi domani mattina non terrà seduta, si riunirà solo al pomeriggio alle ore 15.
Comunico ancora che la VI Commissione è convocata alle ore 17 nella sala delle Segreterie.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame del disegno di legge n. 120 sul Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1974 (seguito)


PRESIDENTE

Per oggi avrei iscritti a parlare i Consiglieri: Rivalta, che deve completare il suo intervento, Bono, Fabbris, Cardinali.
La parola al Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io accetto sempre volentieri di assumere la parte del kamikaze quando le circostanze lo richiedono e mentre posso comprendere da un lato la preoccupazione dei colleghi comunisti per il modo in cui si svolge il dibattito sul bilancio e per poca attenzione che ad esso è riservata, non comprendo mai atteggiamenti così drastici come quello per esempio che ha portato adesso all'assenza quasi completa del Gruppo dei comunisti. Io sono del parere che il Consiglio è quello che è e non credo che ci sia in questo momento disattenzione da parte sua. Purtuttavia nulla ci impedisce di esprimere i concetti che vogliamo portare avanti e non è la presenza di uno o più membri del Consiglio che possa distoglierci da questo compito, tanto peggio per i colleghi Assessori se di fronte a critiche e a pesanti rimostranze nei confronti di ciò che hanno elaborato non sono in grado di ascoltare e quindi di rispondere.
Ed entriamo in merito al problema del bilancio che, come ebbi già occasione di dire in altre circostanze, implica interventi più semplificati per chi fa parte della maggioranza allo sforzo della quale si deve l'elaborazione del documento che è stato presentato e che nella sua relazione è partito da considerazioni e premesse d'ordine generale; anche queste non sono certo una novità per questo Consiglio Regionale avendone discusso in occasione della mozione del Gruppo liberale.
Io credo che il bilancio tendenzialmente anticipi i piani della programmazione che tardano a venire e penso che se ne debba dare atto alla Giunta, ma è un problema non soltanto della nostra Regione, bensì investe un poco tutte le altre Regioni e direi soprattutto lo Stato. E' evidentemente il tentativo di surrogare ad una mancanza di stabilire determinati obiettivi, ma questa operatività che si vuole realizzare è ahimè, sempre più scavalcata dagli avvenimenti e dai fatti che si verificano nel settore economico non solo nella nostra Regione, ma in campo nazionale. Si tratta di una situazione che universalmente è considerata in movimento, ma verso una direzione non controllata e che presenta aspetti di enorme gravità. Noi ci troviamo in una situazione generale che vede il bilancio della Regione Piemonte in un quadro tutt'altro che chiaro tutt'altro che definito e che cerca di inserirsi attraverso un gruppo di proposte che a mio modo di vedere, come diremo più in là, non contraddicono certamente agli obiettivi che vogliamo perseguire.
Io credo d'altra parte che ci sia oggi, per quello che riguarda la situazione generale economica italiana, la necessità di riconoscere che è materialmente impossibile mettere in moto strumenti di programmazione che non esistono; penso che una delle maggiori imputazioni che si debbono fare ai governi che si sono succeduti, pur con l'etichetta del centro sinistra vi sia quella di non essere stati in grado fino ad oggi, nonostante le loro affermazioni, di mettere in movimento dei meccanismi programmatori che probabilmente, se attuati in tempo, ci avrebbero potuto mettere in parte al riparo delle gravi difficoltà economiche in cui ci dibattiamo.
Ed è evidente che in assenza di questi strumenti operativi si ricorra alle sole leve che è possibile manovrare. Abbiamo tutti sostenuto che la nostra economia si è retta negli scorsi anni sul controllo regolato dall'inflazione, un controllo che da un anno e mezzo a questa parte sta sfuggendoci di mano per ragioni che conosciamo tutti, per l'aumento dei costi delle materie prime, per la crisi energetica e le implicanze che ne sono derivate per effetto delle richieste, pur legittime, dei paesi produttori di petrolio, per cui questa inflazione, dapprima regolata, oggi non lo è più. Così il governo ha messo in movimento le sole leve di cui era in possesso, quello di azione sul credito.
Se consideriamo che questa è la sola possibilità che aveva in mano il governo per poter operare, c'è forse una certa discrepanza tra alcune considerazioni ottimistiche contenute nella relazione della Giunta e le reali prospettive di fronte alle quali stiamo marciando perché a mio modo di vedere, con la presenza esclusiva di queste leve, con la messa in moto dei meccanismi relativi al credito, quale che sia la possibilità di correggerli a livello della selettività, non c'è nessun dubbio che ci avviamo verso una fase di recessione. Direi che come si è regolata a suo tempo l'inflazione sarebbe già un grosso risultato se riuscissimo a regolare la recessione che ci attende, anche se obiettivamente ci sono aspetti contradditori nella situazione in cui ci troviamo.
Ieri, per incarico di questo Consiglio, mi sono trovato in un istituto professionale della Regione ad illustrare lo Statuto della nostra Regione e la Costituzione della Repubblica italiana. Ebbene, il preside mi diceva che le giovani leve che si accingono ad uscire dall'istituto sono già tutte precettate per essere impiegate utilmente. Il che dimostra che esiste ancora una spinta diversa da quella verso la quale dobbiamo orientarci dobbiamo pensare che esistono ancora possibilità di agire in direzioni che consentano di rendere minimi i danni di quella recessione che io non vedo come possa evitarsi per il nostro Paese.
Non c'é nessun dubbio, le restrizioni creditizie ai tempi brevi hanno funzionato come deterrenti a determinate situazioni anche di carattere speculativo ai lunghi tempi, funzioneranno certamente come elementi comprimitori di ogni possibilità di espansione. Noi sappiamo tutti già le difficoltà in cui si battono i piccoli e medi industriali i quali forse si sono troppo scoperti con il riferimento, la caccia alla materia prima fatta negli scorsi anni ed oggi battono insistentemente alla porta degli istituti di credito per avere finanziamenti che probabilmente non otterranno. Quindi ciò che è rappresentano dagli indici della nostra produzione in aumenti nei primi quattro mesi di quest'anno, rappresentano una situazione fittizia e non rispondente a quella che potremo e dovremo purtroppo verificare verso la fine dell'anno.
Io credo d'altra parte che non si possa a questo punto limitare la diagnosi ad una pura e semplice accettazione di queste cose (e mi pare che questa mattina queste cose sono state dette nell'intervento dei rappresentanti del Partito comunista) senza cercare di modificare il meccanismo che si sta mettendo in moto. La modifica del meccanismo che si sta mettendo in moto è in primo luogo quella di dare alle restrizioni creditizie una selettività che però indicherebbe a monte una programmazione che non c'è e in secondo luogo il rilancio di quel volano pubblico dal quale però non so che cosa si possa spremere oggi nel momento in cui almeno la metà delle risorse disponibili nel bilancio del nostro paese sono state destinate ai grandi complessi come la Montedison e come la Fiat che hanno praticamente assorbito la gran massa delle risorse finanziarie disponibili, e quindi non so quali interventi di carattere pubblico, quali riforme tendenti a favorire i cosiddetti consumi sociali potranno essere fatti.
Ma la situazione dal punto di vista nazionale è questa e la sua gravità non sfugge a nessuno. Io non ho la pretesa di essere un economista e non posso neanche indicare le strade che si possono scegliere se non quelle di una valorizzazione attenta delle risorse del Paese, con la chiara, netta visione della necessità che i sacrifici inevitabili che la nazione sarà chiamata a sostenere non gravino sulle classi lavoratrici o comunque non siano tali da mortificare lo slancio che le classi lavoratrici hanno il diritto di attendersi, anche in un momento in cui si parla di limitazioni di consumi; e io non vedo come questi consumi cui la classe lavoratrice italiana vi accede da pochissimo tempo possano essere contratti senza che si creino delle sperequazioni insostenibili da un sistema come il nostro.
Noi ci auguriamo che vengano fatti tutti gli sforzi in questa direzione perché il problema abbia una soluzione e siano resi minimi i danni recessivi che a mio modo di vedere ci attendono nei prossimi mesi come fatale conseguenza delle necessità di intervento che si sono attuate.
Ma in questa situazione,in contraddizione con quanto emergeva stamattina dalla prima parte dell'intervento dell'amico e compagno Rivalta il bilancio della Regione si pone contro corrente. Ho già detto di ritenere alcune affermazioni contenute nella relazione di accompagnamento al bilancio alquanto ottimistiche, o quanto meno più rispondenti ad un settore di desideri che ad una realtà obiettiva, però dall'esame del bilancio non credo si debba dire che questo documento ignora alcune destinazioni e non privilegia in modo particolare settori di intervento destinati a incidere non soltanto nella realtà economica immediata, diciamo congiunturale, ma a consentire nei tempi lunghi il rilancio di una situazione di sviluppo e di espansione che noi riteniamo ancora possibile.
E credo che sia, sotto questo punto di vista, un bilancio che non butta via nulla dal punto di vista delle possibilità, vedremo poi nel rapporto delle cifre che forse ciascuno di noi potrebbe dare delle collocazioni diverse, ma non si può negare che gli obiettivi fondamentali, quelli che almeno ci siamo proposti nell'ambito delle risorse disponibili, sono rispettati.
Quando su entrate per 116 miliardi le spese correnti hanno un rapporto del 50,9% e quelle per investimenti del 49,17, noi diciamo che si tratta di una situazione che giudicheremmo ottimale se ci fosse presentata in un bilancio statale e certamente si tratta di un rapporto ancora corretto tra le due spese. Se poi andiamo all'interno delle spese correnti e constatiamo che quella per il personale non supera il 14%, dobbiamo considerare una situazione di questo genere addirittura abnorme rispetto a quella a cui siamo abituati negli enti locali di tutte le caratteristiche e di tutte le estrazioni pubbliche in cui le spese per il personale hanno raggiunto i livelli paraguaiani o uruguaiani, non lo so, ma certamente debordano quasi sempre il 50% delle entrate globali.
Quindi credo che da questo punto di vista il bilancio abbia una solidità di struttura finanziaria, una solidità che oltre tutto vede nelle spese correnti larghe fette destinate e particolari funzionamenti e perfezionamenti di attività degli uffici, cioè a spese che a lungo possiamo anche ritenere, con quello che implicano come studi, come ricerca, di investimento.
Mi pare quindi che le critiche fatte alla situazione generale del Paese abbiano un grosso fondamento, diventano smussate qualora si pensasse di trasportarle pari pari nei confronti del bilancio della Regione che, senza essere miracolistico, è un buon bilancio.
Entrando in settori specifici, analizzando la tabella che questa volta in una maggior chiarezza di bilancio è stata presentata, notiamo che sono state privilegiate le spese di investimenti in quei settori che rappresentano la possibilità di incidere non soltanto a livello congiunturale, ma anche a livello promozionale di sviluppo. E' necessario pensare ai trasporti, alle infrastrutture (su cui dirò alcune cose dopo) e sull'agricoltura dove abbiamo fatto forse lo sforzo più impegnato, ma dove certamente dovremo avere i maggiori premi rispetto agli obiettivi che ci siamo prefissi.
Io credo che non sfugga a nessuno come gli stanziamenti abbiano un significato che mettono realmente in movimento le cose che si vogliono realizzare. Noi conosciamo tutti la situazione della finanzia locale e la situazione debitoria dei nostri Comuni, che però non sono nella situazione di deficit di certi Comuni come Napoli ad esempio e io mi domando se determinati interventi, con la dilatazione dei tassi di capitalizzazione e con l'aumento del costo del denaro, possono trovare rispondenza obiettiva nella possibilità di attuazione delle opere che si vorrebbero promuovere.
Io credo sia stato saggio, per quel che riguarda la legge sulla zootecnia, avere mantenuti i bassi livelli dei saggi di interesse richiesti agli operatori, perché pensare che un intervento regionale possa limitarsi ad una certa aliquota di contributo, mentre non c'è la possibilità operativa di ottenere mutui per realizzare le altre parti, significa lavorare nel vuoto.
Circa gli interventi per le infrastrutture ed i lavori pubblici io credo che forse si è stati un po' modesti, si sarebbe dovuto essere molto più incisivi, potendolo, perché sono i settori di immediata possibilità di intervento. L'Assessore Petrini sa che sono presenti nel suo ufficio tonnellate di domande da parte degli Enti locali per contributi su opere pubbliche giudicate in tutti i sensi, da parte loro, prioritarie e indispensabili. E' fuor di dubbio che il criterio della priorità dovrà essere valutato a livello regionale, però sappiamo che la messa in moto delle opere pubbliche soprattutto attraverso l'accelerazione e lo sveltimento delle operazioni burocratiche, che oltre tutto mi pare rappresentino una delle caratteristiche dell'assessorato nell'attuale gestione, può realmente consentire il volano di tipo congiunturale che impedirebbe i massicci e credo troppo pessimisticamente preannunciati licenziamenti nel campo dei lavoratori dell'edilizia.
Per quel che riguarda settori specifici vorrei fare alcuni riferimenti ma non come critica, bensì come osservazioni. Nel campo dell'urbanistica l'intervento fatto nei centri storici ha un'indubbia validità, credo per che cadrebbe nel vuoto in assenza di una preventiva normativa che regoli il modo in cui dare assetto a questi centri storici. Noi sappiamo come i centri storici vengono risolti dalla speculazione privata: buttano giù le case, belle o brutte, si riempiono i buchi, magari moltiplicano per uno o due il volume che c'era prima, ma questa non è certamente la soluzione che possiamo permettere. Però per le esperienze fatte, ritengo che se non c'è una normativa precisa (e credo che la legge attuale urbanistica, la legge ponte, sia del tutto inadeguata a questo scopo) non raggiungeremo risultati apprezzabili, non sarà cioè possibile spendere le cifre che abbiamo stanziato.
A quattro anni dall'inizio delle Regioni, a quasi tre anni dalla promulgazione dei decreti delegati credo che possa configurarsi obiettivamente la possibilità di indicare i lineamenti per una legge urbanistica regionale. Io penso che una legge urbanistica regionale non possa restare in attesa di una legge quadro da parte dello Stato che tarda a venire, ma debba essere attuata attraverso gli strumenti che la legislazione vigente, la stessa legge del 1942, consente. I piani territoriali non vanno, secondo me, limitati alla sola zona metropolitana torinese, ma vanno estesi a tutta la Regione e nell'ambito delle due leggi esistenti, che comunque possono valere come leggi quadro per quel che riguarda le destinazioni urbanistiche e per quel che riguarda gli standard urbanistici, noi operiamo nel corretto rispetto di ciò che hanno previsto i legislatori, sia pure in una visione soltanto parziale del problema e mi riferisco alla legge ponte e al decreto dell'aprile del '68.
Una osservazione del tutto marginale volevo fare a proposito dell'istruzione professionale e mi rivolgo in modo particolare all'attenzione dell'Assessore Borando perché ho visto che c'è un notevole incremento negli stanziamenti per questo settore che sono costituiti per per lo più da spese relative al personale. Vi è un'esigenza, una richiesta che credo non implichi nessun costo, salvo poi passare al settore dei contributi, da parte di scuole per parrucchieri, scuole che hanno specializzazioni di questo genere; nella mia provincia sono particolarmente diffuse, hanno notevole prestigio e ottengono notevole successo, ma deve loro essere riconosciuta la qualifica. Mi chiedo se non sia giunto il momento non soltanto di amministrare ciò che ci è stato trasferito, ma di procedere per dilatare il settore dell'istruzione professionale.
Chiedo scusa se porto una richiesta così modesta nella sua apparenza ma se servisse a stabilire un indirizzo potremmo rallegrarcene tutti.
Senza rifarmi a grandi concetti e senza ripetere tutta la cronistoria del bilancio e dell'attività di questa Giunta, ho voluto fare delle osservazioni, alcune di carattere generale, altre più modeste volendo mettere in risalto quell'aspetto che ho segnalato all'inizio e cioè che in una situazione difficile, complicata come quella economica che oggi attraversiamo, il bilancio della Regione può non avere la genialità che avrebbe avuto un Necker, anche se il riferimento oggi suonerebbe un tantino stonato, ma certamente avanza in una direzione corretta, che rispetta gli obiettivi che ci siamo posti e credo che nella misura in cui nella sua verifica quotidiana possano essere fatte anche delle variazioni, dei trasferimenti a seconda delle esigenze che si presentano, offre tuttavia il meccanismo adatto per dare alla nostra Regione la possibilità di incidere nello sviluppo del Piemonte.



PRESIDENTE

Darei la parola al Consigliere Rivalta perché possa completare il suo intervento.
Stamani le ho tolto la parola, mi spiace ma non potevo fare diversamente.



RIVALTA Luigi

Era doverosa l'interruzione.
Nel completare l'intervento, per me stesso, ma credo anche per i colleghi, è forse necessario che io richiami in modo estremamente succinto alcuni punti della parte di intervento svolto stamani.
Ho espresso l'esigenza di confrontare il bilancio con i problemi di politica economica regionale e nazionale, come metodo generale di valutazione in particolare da adottarsi in questo momento stante la gravità della situazione e l'esigenza di intervenire per modificarla.
Ho esposto la posizione del mio Partito nei confronti della situazione economica generale, ed espresso il giudizio del mio Partito sulla politica condotta in questi ultimi anni, prima dal governo di centro destra e poi dai governi di centro sinistra. Ho accennato alla natura degli interventi che sono stati operati dai Governi per cercare di superare il momento di crisi, e per evitare l'incrementarsi di processi inflativi e del deficit della bilancia estera, e ho denunciato come questi interventi puramente di tipo monetario non abbiano raggiunto lo scopo, anzi, abbiamo favorito l'aggravarsi della situazione.
Ho riconosciuto nella prima parte della relazione della Giunta un insieme di formulazione e di analisi critiche della situazione attuale condivisibili, e per larghi punti, coincidenti con quelle che il mio Partito svolge. Quindi su questo canovaccio comune di analisi della situazione generale mi sono posto il problema di valutare se il bilancio della Regione è conseguente all'esigenza di rinnovare le linee dello sviluppo economico oppure no.
Nel fare questo, ho sottolineato come alcune scelte che sono state operate con questo bilancio si collocano nella linea di intervento in settori importanti per una nuova politica di sviluppo, quelli che appunto sono stati ieri richiamati soprattutto da Simonelli: l'agricoltura l'assistenza scolastica, i trasporti, i lavori pubblici ma ho anche aggiunto che il confronto tra questi impegni di bilancio con gli effettivi fabbisogni esistenti nella nostra Regione, fa emergere la limitatezza dell'intervento finanziario della Regione. Ho aggiunto inoltre che l'analisi del bilancio deve essere riferita non solo all'entità finanziaria, ma all'insieme delle iniziative politiche che la accompagnano.
E proprio per esemplificare questa situazione ho fatto riferimento all'intervento nel campo degli asili nido, che conseguente alla larga rivendicazione che è stata fatta nel nostro paese e nella nostra regione mostra appunto una dimensione insufficiente per portare a soluzione questa problema.
I conti pur sommari, permettono di indicare che il 10% di posti in asili nido della utenza potenziale sarà raggiunto fra dieci anni e non in cinque.
Nel settore dei lavori pubblici, dove pure c'è uno sforzo per indirizzare l'intervento sulle opere soprattutto di carattere primario, il rapporto fra i finanziamenti e la globalità dei fabbisogni mostra una divaricazione tale da non lasciare intravedere il momento in cui si darà riposta a questo tipo di domanda.
Ed ero giunto a sottolineare come gli interventi nell'agricoltura e nei trasporti promossi dalla Regione non risultano capaci di produrre i rinnovamenti necessari.
Per quel che riguarda l'agricoltura ho richiamato il contenuto dei nostri interventi svolti nel corso del dibattito dei giorni scorsi sulla zootecnia, sottolineando che rimangono dubbi circa la possibilità che l'azione proposta possa incidere sulle strutture produttive e promuovere quelle trasformazioni che sono necessarie se si vuole portare il livello di produttività nel campo dell'agricoltura non dico alla pari, ma prossimo a quello degli altri settori, togliendo l'agricoltura dall'arretratezza in cui è attualmente collocata.
Un analogo ragionamento si può fare per quel che riguarda il settore dei trasporti dove è riconoscibile un intervento volto a finanziare prospettive di pubblicizzazione; ma anche qui, come già abbiamo detto nel corso della discussione delle leggi, manca una posizione attiva della Regione, come manca nel campo dell'agricoltura. Ci si limita a delle sovvenzioni, anche se consistenti come quelle previste dalle ultime leggi sui trasporti. Questo tipo di intervento vede la Regione in un atteggiamento troppo passivo.
Noi non vogliamo affatto disconoscere che alcune scelte settoriali siano state fatte; ciò nonostante dobbiamo sollevare una serie di giudizi critici nei confronti del bilancio. Ci chiediamo cioè, se solo attraverso quei quattro filoni di intervento di maggiore evidenza nel bilancio, si pu dare corso ad una linea di sviluppo nuova, che corregga la condizione di arretratezza strutturale del sistema produttivo italiano, che corregga la situazione, di deficienza, di spreco, di improduttività che esiste. Ci chiediamo se non esistono altri settori attraverso i quali si debba dare avvio ad una politica di nuovi investimenti, di difesa dell'occupazione, di contenimento dell'inflazione e del disavanzo.
Noi pensiamo che altri settori di intervento possano rispondere a questa esigenza e che quindi sia necessario promuovere un'azione più incisiva, più aperta della Regione. Si pensi per esempio ai problemi dell'assetto idrogeologico che sono tutti da affrontare in una regione in buona parte montana e collinare dove ogni anno si devono spendere somme ingenti per il ripristino delle zone danneggiate. Si pensi ai problemi della forestazione che ai problemi dell'assetto idrogeologico sono strettamente connessi, e che di per sé hanno una portata economica di rilievo: la forestazione può consentire di ridurre il deficit della bilancia estera.
Non si dimentichi che fra le impostazioni che determinano il passivo della bilancia commerciale del nostro Paese c'è appunto quella del legname e ciò, come già per la carne, suona assurdo per un paese e in particolare per una regione come la nostra, che per la sua morfologia e per il suo clima consentirebbe larga produzione boschiva e zootecnica.
Si pensi alla politica dei parchi, delle attrezzature verdi che è estremamente connessa a quella dell'assetto idrogeologico e della forestazione e per la quale ancora nulla si è fatto. Di qualche giorno fa è la discussione conseguente alla nostra interrogazione sullo stato della procedura per l'acquisizione dei parchi de La Mandria, Stupinigi, Vallere.
Abbiamo constatato il ritardo che in questo campo esiste; addirittura non si è avviata la procedura di acquisizione delle Vallere; molte incertezze ancora esistono, stante la strada che la Giunta ha scelto per l'acquisizione de La Mandria e di Stupinigi. E nulla si è impostato e si imposta per quel che riguarda l'insieme delle attrezzature verdi da realizzare sull'intero territorio regionale.
La politica dei parchi e del verde ha riflessi culturali sul costume di vita, e consentirebbe di ricorreggere certo forme dispendiose e alienanti di uso del tempo libero e di turismo.
Sono settori in cui la Regione manca di iniziative politiche e per cui manca nel bilancio l'indicazione di intervento finanziario.
Proprio in questo ambito di problemi - assetto idrogeologico forestazione, attrezzature e aree verdi - che sono strettamente connessi fra di loro e con i problemi dell'assetto territoriale, si è invece in presenza di una serie di interventi che sono l'opposto di quelli che si dovrebbero attuare.
Ogni valle alpina, ogni zona rivierasca dei nostri fiumi o dei laghi le zone collinari, la collina di Torino, per riferirmi a quella che conosco meglio, è sottoposta all'azione degli speculatori, a distruzioni dell'ambiente boschivo, ad aggravamenti della situazione idrogeologica.
Richiamo alcuni esempi che debbono farci meditare, e in particolare dovrebbero far meditare l'Assessore all'Urbanistica e l'Assessore al Turismo. Si pensi al caso, che noi abbiamo voluto portare in dibattito attraverso una interpellanza, proprio in quest'ultimo mese, di Pian dell'Alpe, nel Comune di Usseaux, dove, a 1800 metri di altezza, in posizione di grande interesse turistico ed ambientale, nella zona dell'Orsiera ove, da più parti si ritiene debba istituirsi un parco, il Parco dell'Orsiera , circa duecentomila metri quadrati di terreno facenti parte del patrimonio demaniale comunale, sono stati alineati dal Comune per meno di 30 lire il metro quadrato: un totale di sei milioni.
La società per azioni, dopo aver ottenuto dal Comune stesso che l'area fosse, nel programma di fabbricazione, destinata a residenze, con cubatura ingente, cioè oltre i due metri cubi per metro quadrato, ha già messo in vendita - c'è stato l'annuncio su "La Stampa" - l'intero pacchetto azionario, per un miliardo e 200 milioni. La zona di Pian dell'Alpe è attualmente a pascolo, e quindi, oltre a presentare caratteristiche ambientali di grande interesse per un turismo itinerante costituisce anche una risorsa economica per la zootecnia.
Analoghe vendite di patrimonio demaniali sono in corso o sono avvenute nella nostra regione. Ho, una ricca informazione per quanto riguarda le Valli del Cuneese: ad esempio, il Comune di Roburent, in Val Casotto, vende tre milioni di metri quadri di terreni comunali, fino ad ora destinati a pascolo, per poche decine di lire il metro quadro; il comune di Argentera in Valle Stura, opera con lo stesso criterio e svende il proprio patrimonio demaniale; il Comune di Ormea, in Valle Tanaro, vende decine di ettari a otto lire il metro quadro. Ma le stesse speculazioni, la stessa distribuzione del patrimonio boschivo e del patrimonio ambientale avviene in tante altre zone, per opera di privati, su terreni di proprietà privata: mi riferisco alla Valle Grana, alla Valle Pesio, alla Val Maira (in quest'ultima Valle terreni considerati dagli stessi contadini del luogo di alto pregio dal punto di vista agricolo e forestale sono soggetti a processi speculativi e sono destinati a recepire residenze in alcuni casi con un indice di tre metri cubi per metro quadro, indici cioè, di tipo urbano).
Si pensi, d'altra parte, alle distruzioni che stanno avvenendo sulla collina torinese, dove per rispondere alle esigenze della popolazione dell'area metropolitana si dovrebbe promuovere una attenta salvaguardia del patrimonio boschivo e dell'ambiente.
Mi risulta che in questi ultimi tempi la Commissione urbanistica di Moncalieri ha accolto domande di lottizzazione per cinquemila vani, da costruirsi nella zona collinare di quel Comune. Ma il Comune di Moncalieri non è certamente l'unico: continuano le devastazioni nel Comune di Pino Torinese, con insediamenti, tra l'altro, onerosi anche dal punto di vista economico, dato che la struttura geologica della collina di Pino non è atta a recepirli, per cui in molti casi è necessario ricorrere a opere di fondazione di entità superiore a quella della parte emergente del fabbricato. E' dunque in atto un processo di distruzione del patrimonio ambientale e naturale esistente, ad opera della speculazione.
In questo modo si distruggono risorse e si procede ad investimenti che molto spesso, sono costosi, onerosi e dispersivi, generano sprechi e inflazione, alimentano modelli d'uso del tempo libero e della funzione turistica assolutamente non accettabili.
Contro questo procedere la Regione non si è mossa e non si muove: non ha neppure tentato di divenire l'interlocutore politico nei confronti dei Comuni, per un'azione e un intervento urbanistico atto a salvaguardare e vincolare queste aree, impedire questi processi di speculazione e il diffondersi della seconda e della terza casa; processo questo che non pu non essere considerato, nella situazione economica del nostro Paese, una ingiustificata dispersione di risorse, operata ingiustamente a favore e a privilegio delle classi più agiate e a scapito di quelle meno abbienti fattori tutti che si collocano nel solco dell'uso distorto delle risorse che si sono avute nel passato, e che non fanno che incrementare i processi inflativi che vogliamo fermare.
La politica monetaria di questi ultimi periodi non ha fatto altro che rilanciare sul piano generale i processi di speculazione nel campo edilizio. Mi sono soffermato soprattutto su aspetti particolari di questo processo, ma devo dire che il rilancio dei processi speculativi è stato generale, non ha coinvolto soltanto le aree extra-urbane ma anche, in particolare, quelle urbane. La spirale inflazionistica ha comportato una fortissima rivalutazione dei beni immobili, provocando, riflessi sul piano della distribuzione della ricchezza e del reddito a favore appunto delle classi più agiate, le quali hanno assunto ancora una volta questi beni terreni e case - come beni-rifugio per le loro ricchezze, e come strumenti per ulteriori arricchimenti.
Nel settore edilizio si è avuta una conseguente azione di concentrazione finanziaria, che ha spinto al margine le imprese più deboli ed ha accentuato ancora una volta la funzione della rendita su quella del profitto. Si è manifestato, e si sta manifestando, più intenso lo sfruttamento della forza-lavoro, in questo settore, attraverso il ricorso ampio al sub-appalto. Abbiamo conosciuto in questi ultimi anni esempi di processi speculativi, e di sfruttamento della mano d'opera quali quelli di Bardonecchia; ma gli stessi sistemi sono diffusi in molte altre zone, nella stessa città di Torino: all'interno delle imprese costruttrici esiste in subappalto, il ricorso al cottimismo, al lavoro precario.
Non a caso, in questo stesso periodo - soprattutto mentre era in carica il Governo Andreotti-Malagodi, ma l'andazzo continua anche con il Governo di Centro-sinistra - si è riespressa virulenta, l'azione diretta a svuotare di significato la legge n. 865, e ad indebolire l'intervento pubblico in edilizia. L'edilizia nel nostro Paese continua a svolgere un ruolo dipendente, funzionale alla accelerazione dei processi speculativi e inflativi. In questo modo si spiegano, ad esempio, gli interventi di Borgaro e le varie lottizzazioni in atto, che oggi si stanno intensificando nella area torinese, anche se è rallentato il processo di immigrazione. Ci sta ad indicare in maniera evidente il rapporto fra l'iniziativa speculativa e l'accentuarsi dei processi inflativi, e sottolinea il ruolo che svolge la edilizia in questi casi.
La Regione, in qualche misura, direttamente o indirettamente, pu intervenire per modificare questa situazione. Ma per una diversa politica della casa, nell'ambito della Regione, non si fa nulla di concreto.
Ricordava prima il Collega Cardinali che da due anni sono stanziati dieci miliardi, per interventi edilizi residenziali, che rimangono senza alcuna utilizzazione.
La Giunta ha fatto bene - sulla base della discussione avvenuta in Commissione - a ritirare la relativa legge di spesa perché, come è stato detto nell'ultima consultazione sul bilancio, dall'Assessore all'Urbanistica e dall'Assessore alla Programmazione, era palese l'insufficienza operativa della legge rispetto al fine dichiarato di intervenire nei centri storici. Ma allora si tratta di proporre un'altra legge, con la quale superare i limiti di quella precedente.
Ci si prefiggeva, con quei dieci miliardi, di iniziare la costruzione di case in aree di espansione per poter recepire gli abitanti dei centri storici per consentire la ristrutturazione degli abitati così liberati. Ma quale ristrutturazione? In questo modo la ristrutturazione viene lasciata nelle mani dei privati, in balia quindi dei processi speculativi che proprio all'interno dei centri cittadini trovano maggiori opportunità di acquisizione della rendita. Bisogna allora correggere l'impostazione della legge; utilizzare i dieci miliardi, anche se sono una cifra simbolica, e mostrare in questo modo la volontà di iniziare una politica anche nel settore della casa. Ma l'intervento sul centro storico dev'essere fatto in modo globale: se è necessario costruire case in zone di espansione per recepire gli abitanti del centro storico, bisogna però anche porsi l'obiettivo di intervenire con gli strumenti legislativi di cui si dispone sulle stesse case liberate, per non consentire speculazioni all'interno del centro storico, e per non dare la possibilità ai privati di acquisire sotto forma di rendite le valorizzazioni promosse dagli interventi infrastrutturali che l'operatore pubblico realizza nel centro storico.
Cito, ad esempio, sotto questo profilo, l'effetto enormemente esaltante che sulla rendita avrebbe la realizzazione della prima linea della metropolitana la quale secondo i progetti dovrebbe attraversare il centro storico di Torino.
Ma in relazione al problema della casa non c'é solo l'esigenza (e qui si sono accumulati molti ritardi) di modificare la legge presentata, ma c'è anche quella di dare attuazione all'ordine del giorno che abbiamo votato mi pare, nel giugno del '73, in quell'unica seduta notturna che abbiamo tenuto: un ordine del giorno votato unanimemente in questo Consiglio, in cui si dava mandato alla Giunta di promuovere la formazione di un fondo (e questi dieci miliardi potrebbero essere intanto un primo elemento) per una politica di intervento nella casa.
L'impegno prevedeva che alla formazione di questo fondo venissero chiamate le banche di diritto pubblico, e venissero sollecitati contributi dalle industrie.
Si doveva cercare un accordo tra Regione, organizzazioni sindacali e padronato delle grosse industrie, al fine di ottenere, sulla base delle rivendicazioni operaie e dei contratti, il contributo delle industrie al fondo per la casa. Non voglio certamente crearmi illusioni, non mi nascondo certo che l'intervento nel settore della casa richiede ben altre risorse che i dieci miliardi, e che le possibilità di concludere positivamente una trattativa con le banche e con i settori industriali non sono immediate. E' comunque questa una linea di azione politica che avrebbe un grosso significato comunque, e che introdurrebbe prospettive nuove rispetto al modo con cui oggi viene affrontato il problema della casa.
In generale, sia per quanto riguarda l'ampliamento degli investimenti nei settori già presi in considerazione dalla Giunta (agricoltura assistenza scolastica, trasporti, lavori pubblici), sia per poter intervenire negli altri settori che ho qui richiamato e che sono disattesi dal bilancio, occorre incrementare le risorse finanziarie disponibili. Per questo esiste, da parte della Regione, una possibilità autonoma di espansione della spesa: non sono esaurite le capacità di contrarre mutui anzi, esiste ancora la possibilità di accenderne per 40-50 miliardi.
Proprio in una situazione di accentuati processi inflativi, e in presenza di un così largo fabbisogno in una serie di settori e nel campo dei servizi sociali, l'apertura dei mutui deve essere operata tempestivamente. Ogni ritardo nell'operare per intervenire massicciamente nei settori che ho richiamato, i quattro settori prescelti dalla Giunta, e negli altri per cui la Giunta non prevede di intervenire neanche in misura limitata e parziale e che noi invece indichiamo come fondamentali riduce la possibilità di intervento della Regione, provoca sprechi e favorisce le forme di speculazione degli operatori privati che trovano spazio operativo nelle disfunzioni e nelle carenze presenti, così nel settore della casa e dei servizi, come nel settore della distribuzione, del turismo e dei trasporti.
Al di là poi, di questa possibilità di accensione di mutui che la Regione possiede e che noi riteniamo debba utilizzare in maniera più estesa di quanto fino ad ora abbia fatto, mi chiedo come si possa ammettere la posizione di questa Giunta, che tende a giustificare attraverso la carenza delle risorse l'impossibilità di intervenire massicciamente nei vari settori indicati da noi. Se poi questa stessa Giunta e questa stessa maggioranza è disponibile ad approvare spese infrastrutturali che si effettuano sul nostro territorio per opere, quali le infrastrutture viarie aeroportuali e di trasporto di tipo metrò che non sono strettamente necessarie, che non sono prioritarie, che non rispondono alla domanda dei servizi sociali che è presente nella nostra regione.
Il rapporto IRES, per il prossimo quadriennio, annota investimenti in autostrade per 564 miliardi, ma già sappiamo che la cifra sarà anche maggiore, poiché le verifiche dei costi che si sono fatte ultimamente indicano cifre notevolmente più elevate.
Se poi agli investimenti per le autostrade si aggiungono gli investimenti per la metropolitana, e per le altre infrastrutture per cui sono in corso le progettazioni si arriva all'ordine di grandezza di mille miliardi. Pensi un po' l'assessore ai Lavori Pubblici, Petrini, che vede un così grosso divario fra la sua possibilità di intervento nel campo delle infrastrutture primarie ed i fabbisogni, quante fognature e quanti acquedotti si potrebbero fare se questi fondi fossero utilizzati a questo scopo; e pensi l'Assessore Vietti quanti asili-nido si potrebbero costruire se queste centinaia di miliardi, destinati ad infrastrutture che sono proiezione ancora del meccanismo di sviluppo economico del passato venissero orientati verso i consumi sociali e in particolare per la costruzione degli asilo-nido; si pensi in generale, quanto l'utilizzo di queste risorse potrebbe consentire al fine della dotazione di servizi sociali.
Credo sia troppo banale la giustificazione che non è possibile trasferire questi soldi dall'ambito degli interventi per cui sono stati destinati ad altri interventi. Certo, non lo può fare la Regione, ma è necessaria un'azione politica della Regione, delle forze della maggioranza come di tutte le forze del Consiglio, perché si riveda la loro destinazione e si dia un nuovo indirizzo all'utilizzo delle risorse. D'altra parte, lo stesso consigliere Calleri, intervenendo nel dibattito sulla Torino Pinerolo, aveva ammesso che non esisteva questo problema; il problema è quello della volontà politica; Calleri ha dichiarato che la volontà della D.C. è per realizzare queste infrastrutture se non ci fosse stata questa volontà si sarebbe potuto recedere dalla loro costruzione, anche nel caso di investimenti effettuati, e si sarebbe potuto rivedere sul piano generale il riutilizzo, e la ridistribuzione di queste risorse.
Certo, queste risorse potrebbero non essere più destinate all'area torinese, ma essere convogliate in altre parti del Piemonte, in altre parti della nostra Nazione. Ma non è proprio questo uno degli obiettivi che ci dobbiamo proporre, se vogliamo modificare territorialmente e strutturalmente il tipo di sviluppo avutosi nel passato? Il riferimento che noi facciamo con insistenza circa la produzione di servizi tiene conto dei riflessi positivi che ciò avrebbe sulla attività edilizia e sulle stesse industrie di base produttrici degli elementi intermedi; riflessi che non genera la costruzione di autostrade. Ciò è di grande importanza economica. La produzione delle strutture edilizie dei servizi sociali consente l'ampliamento di tutta una serie di strutture produttive di base, che potrebbero lavorare anche per l'esportazione.
I servizi sociali non sono esportabili, ma lo sono gli elementi di base per la loro costruzione: i prefabbricati, l'acciaio, i prodotti di plastica, le attrezzature di cantiere, i macchinari gli autocarri, i trattori, tutto quanto è necessario per la produzione edilizia. Parecchi di questi prodotti noi oggi siamo costretti ad importarli, perché il nostro mercato interno è insufficiente a sostenere una struttura di produzione di questi elementi.
Lo sviluppo edilizio fatto in direzione dei servizi sociali potrebbe dunque essere una base per il consolidamento, l'espansione e l'introduzione di questi settori produttivi. Invece, si opera in tutt'altro senso: si producono le autostrade, che sotto il profilo di indurre altre produzioni e dell'occupazione sono assai meno incisive. E con la produzione delle autostrade si distruggono strutture produttive agricole esistenti (come nel caso del Pinerolese, dove è stata calcolata una riduzione di produzione di quasi un miliardo all'anno); si distruggono zone verdi rimaste quasi uniche nell'area torinese; si distruggono le residue possibilità di ristrutturazione che l'intera conurbazione torinese può offrire.
Questi discorsi ci riportano al tema della politica territoriale quella che è stata qui già richiamata nell'intervento dell'altro giorno del collega Garabello, e oggi sia dal collega Rossotto che dal Collega Cardinali. Ora non siamo più i soli a dire che la Regione rimane del tutto inattiva: l'abbiamo sentito affermare da altri colleghi di opposizione l'abbiamo sentito riconoscere da colleghi che fanno parte di questa maggioranza.
Non voglio soffermarmi troppo a lungo su questi temi che riguardano l'organizzazione del territorio e la politica urbanistica. Sarebbe sufficiente rimandare alle argomentazioni contenute negli interventi da noi fatti al momento in cui la Giunta ha presentato le sue proposte programmatiche, qualche mese fa, ed a quelli svolti in occasione della presentazione dei programmi delle Giunte passate. Dalla validità ancora attuale di quelle argomentazioni emerge l'inattività, la staticità l'assenteismo di questa Giunta nei confronti di questo settore. La sua posizione è tanto elusiva di questi problemi, che preclude ogni possibilità di dialettica che impedisce una discussione costruttiva. Desidero sottolineare quanto affermato con vigore l'altro giorno dal Collega Garabello: la politica urbanistica svolta da questa Giunta ha puramente caratteri di attività amministrativa e burocratica, mentre alla Regione compete una politica di coordinamento e di indirizzo dello sviluppo e dell'organizzazione del territorio; alla Regione compete intervenire in questa politica di coordinamento e indirizzo attraverso i piani territoriali di coordinamento, la cui approvazione è imputata dai decreti delegati alla Regione.
Nella relazione della Giunta è stata introdotta una definizione nuova almeno per il Consiglio Regionale: i Piani direttori. Non vorrei che qui si introducesse un nuovo istituto che non essendo previsto dalle leggi consente un immediata operatività, e non ha una possibilità istituzionale di essere inserita nella politica della Regione. Dobbiamo, pur con tutti i limiti che presenta la legge urbanistica, pur con tutti i limiti che presenta l'Istituto del piano territoriale far ricorso adesso per dare vita a un primo momento attivo della Regione nel settore dell'organizzazione territoriale.
Invece si continua a rinviare l'avvio della elaborazione dei piani territoriali di coordinamento. I finanziamenti sono già stati indicati due volte in bilancio - anzi, mi pare che in tutti i bilanci siano stati indicati investimenti per i piani territoriali; c'é stato addirittura un decreto, che, se pur criticato da noi perché non correttamente impostato aveva voluto dare avvio alla formazione del piano territoriale di coordinamento, per quanto riguarda l'area metropolitana torinese. Ma nulla è stato fatto a tutt'oggi, e ormai sta crescendo in noi la convinzione che da questa Giunta non verrà nulla nel corso di questa legislatura, con tutte le conseguenze che questo comporterà. Non si è presa alcuna iniziativa per costituire le autorità politiche comprensoriali a cui far riferimento per una partecipazione della comunità dalla elaborazione dei piani territoriali di coordinamento; non si è promosso la formazione delle strutture di ricerca necessarie perché queste unità comprensoriali possano partecipare con proprie elaborazioni, in un rapporto dialettico con la Regione, in una posizione autonoma, alla discussione ed alla formazione dei piani; non si è quindi messo in moto alcun organismo, non si è presa alcuna iniziativa politica, neanche la più semplice, ad esempio quella di un convegno (personalmente, non sono fautore dei convegni, ma in assenza di altre iniziative penso possa valere anche questo), per discutere questi problemi.
Non si è presa neppure una iniziativa per costruire gli strumenti tecnici e politici per la gestione democratica del territorio.
Non si può pensare di formulare i piani territoriali di coordinamento con i metodi empirici con cui si è proceduto alla formulazione dei piani regolatori. E' necessario avere le strutture tecniche al massimo livello di strumentazione e di capacità scientifica, per poter elaborare dei piani territoriali di coordinamento che costituiscano delle effettive interpretazioni e proiezioni spaziali dello sviluppo economico e sociale che si vuol realizzare. Sotto questo profilo mi sembra che suoni del tutto assurda l'intenzione espressa nella relazione di costituire un ufficio nell'ambito dell'Assessorato per la formazione dei piani territoriali di coordinamento. Si tratta di promuovere una elaborazione scientifica e al tempo stesso di realizzare la partecipazione democratica: la conoscenza scientifica deve essere la base per una effettiva partecipazione alle scelte da parte della comunità.
Quindi, altri sono gli strumenti che devono essere realizzati per la formazione di questi piani territoriali di coordinamento. Può certamente esserci nell'Assessorato un ufficio per il rapporto con questi strumenti comprensoriali, politici e tecnici, a cui deve essere demandata l'elaborazione dei piani territoriali di coordinamento, ma non deve essere un ufficio dell'Assessorato a risolvere, né sul piano tecnico né tanto meno sul piano politico, i problemi della elaborazione dei piani territoriali.
Non si fa nulla, quindi, per realizzare strumenti di controllo e direzione democratica in uno dei settori - quello dell'organizzazione del territorio e dell'urbanistica - nel quale hanno messo forti radici i meccanismi di speculazione, e dove sono presenti, le irrazionalità che hanno portato alla costituzione di fattori connessi tra di loro e propulsori di una dinamica di inflazione e di bassa produttività.
Nessuna azione politica promozionale è messa in atto per modificare la logica speculativa che presiede allo sviluppo edilizio ed alla sua distribuzione sul territorio. E dire che la legge n. 865 potrebbe, se correttamente utilizzata, consentire di intervenire in modo sostanziale per eliminare il ruolo della rendita nell'ambito della produzione edilizia. I comuni sono in grado di intervenire, applicando i meccanismi di esproprio della 865, sul 60% delle aree necessarie per i fabbisogni futuri decennali di insediamento abitativo; i Comuni possono inoltre intervenire, sempre applicando la legge 865, sul 20% del residuo 40% del fabbisogno. Se ci fosse una politica oculata da parte dei Comuni, stimolata, coordinata dalla Regione, sarebbe oggi possibile intervenire colpendo, eliminando anzi, la rendita sul 68% delle aree necessarie per il fabbisogno residenziale presente nella nostra Regione nel prossimo decennio. E queste stesse possibilità di intervento esistono per quanto riguarda gli insediamenti produttivi, sia industriali sia commerciali e turistici. Invece, ho dovuto indicare situazioni da cui appare palese la contraddittorietà con cui va avanti ad esempio la politica degli investimenti turistici nelle nostre valli. Più grave diventa quindi la posizione passiva assunta dalla Giunta di convalida amministrativa e burocratica delle decisioni che i Comuni assumono in questa direzione.
In questa situazione di vuoto e di mancanza di interventi della Regione e degli Enti locali per una politica capace di tirar fuori dalle secche della speculazione l'attività edilizia; in questa situazione di rinuncia della Regione e degli Enti locali a svolgere i ruoli loro spettanti; di fronte alla disorganizzazione territoriale determinata dalla logica della rendita e del profitto, si avanza ora, da parte proprio dei gruppi che quella disorganizzazione hanno determinato, la esigenza di dare razionalità agli interventi attraverso i cosiddetti "progetti speciali". Dopo avere disorganizzato il territorio, rendendolo non agibile per la vita associata gli stessi gruppi finanziari che sono massimi artefici delle distorsioni prodotte si propongono, quali autori e propositori di interventi di recupero, in una prospettiva che tende a garantire loro nuovi filoni di rendita e di profitto.
E' in atto per garantirsi, processi intensi di speculazione e di accumulazione, il tentativo di esautorare le assemblee elettive delle loro competenze politiche istituzionali. Sono pienamente d'accordo con l'Assessore Simonelli per il richiamo fatto a questo proposito: l'Iri, la Fiat, l'Eni, la Montedison, l'Efim sono i Gruppi finanziari oggi in corsa per intervenire sul territorio. Giustificano questo loro intervento sulla base dell'esigenza di dare efficienza e razionalità alla organizzazione territoriale e di realizzare i servizi e le abitazioni. Ci troviamo di fronte ad una svolta strategica che tende al rafforzamento delle condizioni di potere delle strutture produttive, pubbliche e private, sull'intero quadro della vita urbana e sociale, con grave distorsione del quadro democratico istituzionale. E questo non è che un cavallo di Troia per più larghe assunzioni di potere da parte di questi gruppi. Il Comitato di salute pubblica insediatosi al vertice della Confindustria sembra infatti proporsi, attraverso i progetti speciali nel campo sociale, non solo questi programmi di intervento, ma di fatto la direzione dell'intera politica economica.
Gli industriali si propongono di fare essi quello che gli Enti pubblici, per colpa dei governi e degli esecutivi espressi dalle maggioranze di centro-sinistra non sono stati in grado di fare, e si presentano sulla scena propagandisticamente titolati di capacità di elaborazione tecnica e di capacità di finanziamento.
Di fatto tendono a sostituirsi al momento politico.
Nel passato, questi gruppi industriali hanno avuto nello Stato, nelle forze governative, uno strumento passivo per sostenere le loro scelte. Oggi le strozzature del meccanismo di sviluppo e le rivendicazioni sociali e sindacali, non rendono più agibili queste strade: hanno spezzato il rapporto passivo di dipendenza degli esecutivi e delle Assemblee elettive a queste strutture produttive. I settori produttivi si propongono, allora di intervenire direttamente: mentre noi ci prefiggiamo di allargare la base di partecipazione alla vita e alla direzione politica, le strutture produttive cercano di attuare la linea contrapposta.
La strada delle concessioni e la santa alleanza confindustriale sono nella sostanza dirette contro l'autonomia delle Regioni e dei Comuni contro l'articolazione dello Stato. Se non ci accorgessimo di questo commetteremmo un errore madornale. L'Ente pubblico deve acquistare, proprio per poter contrastare questo disegno, tutto il prestigio e il consenso necessari nei confronti della classe lavoratrice, delle masse lavoratrici dimostrando impegno e capacità di intervento sui problemi sociali.
Se ciò avverrà, se non ci sarà una risposta dell'ente pubblico, della Regione, ai problemi sociali, la stessa struttura democratica dello Stato verrà messa in discussione.
Sotto questo profilo la Regione che cosa ha fatto? Nulla, dobbiamo dire. L'Assessore Simonelli ha dichiarato la sua opposizione alle concessioni, e noi condividiamo questa posizione.Ma se non si opera in concreto per realizzare una linea alternativa fattiva, se la riorganizzazione del territorio, se la dotazione di servizi sociali, se la soluzione del problema della casa non costituirà l'oggetto dell'intervento dell'Ente pubblico, la linea portata avanti da questa santa alleanza confindustriale, pubblica e privata, non può che risultare vincente. A questo riguardo dovrebbe essere massima l'attenzione e la ricerca di intervento della Regione; in questi campi la Regione ha possibilità di intervento e la Regione ha competenze, e quindi qui essa può affermare la propria funzione nel caratterizzare e dirigere lo sviluppo futuro.
Ma io mi chiedo allora; come può l'Assessore Simonelli conciliare questa sua posizione, di denuncia nei confronti del pericolo dell'intervento di questi gruppi finanziari attraverso le concessioni, con il sostegno che il suo Gruppo, insieme alla intera maggioranza, ha già manifestato alla costruzione di alcune infrastrutture, che distorcono l'uso delle risorse, che assorbono i fondi necessari perché la Regione e gli Enti pubblici possano svolgere una loro propria politica di intervento. Com'è possibile dire che mancano le risorse, e poi sostenere una politica di continua espansione degli investimenti nel campo delle autostrade, nel campo della infrastrutturazione, dei trasporti di tipo metropolitano, degli aeroporti, che già sono dominio di aziende e corpi separati dalle assemblee elettive. Com'è possibile svolgere un'azione di contrapposizione alla linea presentata da questi gruppi finanziari, se poi si è favorevoli agli insediamenti di Borgaro e di altri insediamenti di questo tipo? Mi sono dilungato attorno a questo problema della casa e dell'organizzazione territoriale, ma altre situazioni potrebbero essere richiamate a riprova della deficienza nella impostazione di questo bilancio e a evidenziazione delle implicanze politiche ed economiche. Ad esempio, la mancanza di una politica della distribuzione. Non sono stati, infatti formulati i piani urbanistici commerciali, non c'é alcuna politica di intervento della Regione per la costruzione di strutture per la conservazione, la trasformazione e la distribuzione delle merci, da affidare a organismi di gestione democratica come sono le cooperative di consumatori e le cooperative di produttori agricoli. Nell'ambito di quella politica di controllo dei prezzi che rimane uno dei grossi problemi economici non si è fatto nulla, e non si è proceduto nemmeno alla costituzione del comitato democratico di controllo per cui si erano assunti impegni. Molte, quindi, sono state le manchevolezze in settori importantissimi, e su questioni di politica democratica e di politica economica.
Non si sono realizzati gli strumenti per le ricerche necessarie alla programmazione.
Se vogliamo contrastare la politica delle concessioni - lo dico in particolare al collega Simonelli, che si è fatto sostenitore di questa linea di opposizione - dobbiamo dotarci, come Enti pubblici, di tutta la capacità di elaborazione, di ricerca, di igenierizzazione, di progettazione che hanno questi gruppi privati.
La battaglia con questi gruppi si vince anche sulla base della capacità dell'Ente pubblico di svolgere attività di ricerca, di elaborare e di progettare.
Proprio in riferimento alla esigenza fondamentale di dotarci degli strumenti di ricerca, di elaborazione e di progettazione, si sta perdendo tempo prezioso per procedere alla costituzione del Centro di calcolo, una struttura fondamentale non solo per la gestione d'inattività amministrativa della Regione ma anche e soprattutto per la politica di piano e di programmazione attraverso alle quali l'ente pubblico acquisisce maggior capacità di intervento. E si continuano ad espletare vari tentativi per evitare di collaborare con l'Università. Io credo, proprio in rapporto all'esigenza generale, richiamata da Simonelli, che la Regione si opponga all'ingerenza nella attività pubblica dei gruppi finanziari e degli operatori privati, che la collaborazione con l'Università costituisca un esempio operativo giusto. L'Università per la sua caratterizzazione pubblica oltre che per la sua caratterizzazione scientifica, costituisce l'alleato che ci dà garanzia non solo di rafforzamento delle nostre capacità di elaborazione tecnica e scientifica, ma anche di controllo democratico degli strumenti e delle politiche di raccolta ed elaborazione dei dati riguardanti la realtà economica e sociale e la politica di programmazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bono. Ne ha facoltà.



BONO Sereno

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi ritengo esonerato dal riprendere i temi di carattere più generale, dal momento che già il collega Rivalta ha espresso il giudizio globale sul bilancio che stiamo esaminando giudizio che io condivido interamente.
Il mio intervento in questo dibattito si incentrerà su alcuni aspetti specifici del nostro bilancio, allo scopo di portare un contributo anche critico ma sempre ispirato da volontà costruttiva, tesa soprattutto all'affermazione dell'Istituto della Regione, intesa come momento politico di decentramento di una direzione statale che la nostra Costituzione implicitamente richiama prevedendo la istituzione delle Regioni ed i compiti che ad esse affida e riconosce che, per molti aspetti, come superati e non più rispondenti alle moderne esigenze.
Il primo tema che intendo affrontare è quello della difesa del suolo tema questo che va inquadrato nel problema più generale della organizzazione del territorio e va visto soprattutto cercando di uscire da quella visione angusta ed amministrativa - mi scuso con il collega Benzi della direzione urbanistica, che denunciava il collega Garabello, la cui opinione io condivido interamente, per affrontare in modo più unitario, più aderente alla realtà, il ristabilimento di quel giusto equilibrio che deve esistere tra l'uomo, con i suoi insediamenti abitativi, produttivi e di uso del tempo libero, e l'ambiente naturale nel quale primeggia la funzione del suolo.
Venendo ai fatti, si rileva che dal lodevole proposito espresso dalla Giunta di stabilire un raccordo operativo tra la politica di programmazione e di politica di bilancio di scivoli su questo aspetto del problema; la difesa del suolo, che a mio parere è la base essenziale per qualsiasi sana politica di piano, in una grossa sua sottovalutazione, o quanto meno esso trova una collocazione non adeguata, e che torna ad esprimersi nell'ambito di una visione vecchia e superata che ha già dimostrato tutto il suo fallimento in passato.
Il collega Dotti osservava che nella relazione della Giunta non è dato il giusto risalto all'importanza che riveste nel momento attuale il settore terziario e lamentava inoltre un debole discorso sull'urbanistica. Io ritengo di dover aggiungere alle manchevolezze già che altri Colleghi hanno denunciato nella relazione della Giunta quella della mancanza di una visione più globale, più politica e quindi la sopravvivenza di una visione ancora troppo burocratica del modo in cui questo problema viene affrontato.
Leggendo la relazione, si ha chiaramente la sensazione che il problema della difesa del suolo - non dimentichiamo mai che solo in occasione dell'alluvione del '68, che ha colpito la nostra Regione in modo durissimo per vite umane e per beni materiali, si ebbero danni per parecchie centinaia di miliardi di lire - è ancora visto settorialmente e marginalmente dalle varie competenze. Infatti, nel bilancio che abbiamo di fronte si trovano tutta una serie di voci che interessano l'Assessorato all'Agricoltura, l'Assessorato ai Lavori pubblici, l'Assessorato alla difesa dell'ambiente, ognuno dei quali opera per proprio conto, nel proprio settore, senza che vi siano su questo problema essenziale un coordinamento ed una visione globale che consentano di raggiungere i massimi obiettivi con il minimo spreco di energie. Manca quindi, a mio parere, nella visione della Giunta quel carattere interdisciplinare sia nelle diagnosi che negli interventi che sarebbe invece assolutamente indispensabile. E questo si verifica per l'assenza di una politica generale del territorio, politica generale del territorio che non è emersa dalla stessa relazione, che dev'essere invece concepita e gestita secondo gli interessi della collettività regionale e nazionale, e perché ancora, al di là delle parole nei fatti manca questa politica coerente con il principio della utilizzazione sociale del suolo, ed in contrapposizione alla solita visione speculativa del suolo.
Noi ci troviamo, ecco, Colleghi, per dirla ancora in parole chiare, di fronte ad una politica di difesa passiva nei confronti del suolo dell'assetto idrogeologico; una politica, quindi, di rinuncia ad interventi attivi più incisivi, capaci di prevenire il male, non solo di curarlo e piangere dopo che le alluvioni sono avvenute, quando, di fronte ai disastri, sulle vittime ci si limiti alle lamentazioni, dicendo: "E' la fatalità, sono calamità imprevedibili ed inevitabili!" Qui, signori, non si tratta di fatalità e di calamita: si tratta di scelte politiche.
Se si parte da una corretta analisi delle cause che hanno provocato tanti disastri emerge chiaro che è stato il tipo di sviluppo imposto al nostro Paese a provocare la rottura dell'indispensabile equilibrio tra l'uomo e l'ambiente naturale che lo circonda. Tanto che questo tipo di sviluppo è stato pagato a prezzi durissimi, particolarmente della nostra economia ma in specie dalle nostre popolazioni lavoratrici delle zone di montagna e di campagna, e da quei territori che sono periodicamente colpiti da movimenti franosi, da alluvioni, che vivono sotto l'incubo delle valanghe. L'esigenza di mutare modello di sviluppo, che in occasione del momento più acuto della crisi energetica è stato messo in discussione da tutti, compresi anche coloro che non sono dalla nostra parte - in quanto noi tale modello l'avevamo già contestato molto tempo prima -, ora viene pressoché dimenticata, come sono stati sistematicamente dimenticati promesse e impegni assunti dopo ogni disastro, dopo ogni alluvione.
Nessuno, tanto meno noi, si nasconde la complessità di una questione come quella che stiamo esaminando. Certo, oltre alle ragioni socio economiche e cioè oltre alle ragioni collegate all'abbandono della campagna, della montagna, alla politica del massimo profitto, alla subordinazione dell'agricoltura all'industria, agli intrecci tra profitto e le rendite parassitarie sui suoli agrari e sui suoli urbani, vi sono delle ragioni tecniche a complicare il problema: non dimentichiamo che il nostro territorio è costituito prevalentemente da montagna e da collina, che vi sono terreni geologicamente giovani e solcati da corsi d'acqua con elevati indici di torrenzialità. Ma tale complessità del problema, lungi dal costituire una giustificazione, accentua, a mio parere, le responsabilità e richiede un maggior impegno di ricerca, di analisi e di interventi da parte dell'ente pubblico, in quanto tutti abbiamo, o quanto meno dovremmo avere la coscienza che gli eventi naturali costituiscono solo l'ultimo tragico atto di processi che hanno punti di partenza ben più lontani. Eventi che oggi, con l'attuale sviluppo della tecnica e con il necessario impegno politico, possono essere agevolmente controllati.
Dicevo "con la necessaria volontà politica", perché è necessario che vi sia questa volontà di operare una svolta, volontà di affrontare un nuovo tipo, un nuovo modello di sviluppo, così come più volte è stato detto. E' ora veramente di cambiare registro a tutti i livelli: a livello dello Stato per quanto compete allo Stato, a livello nostro per quanto compete all'attività della Regione. Noi non possiamo non ricordare e denunciare contemporaneamente che per la difesa del suolo nel nostro Paese in venti anni sono stati spesi appena 1175 miliardi, mentre per le autostrade, per il trasporto privato, per quel modello che deve essere rivisto, si sono spesi più di 6000 miliardi in poco più di dieci anni. Quando si fanno scelte di questo tipo a che vale lamentarsi, versare lacrime sui disastri che si verificano? Torniamo a ripetere che per risolvere questi problemi che noi collochiamo tra i prioritari, ci vuole volontà e capacità di operare determinate scelte politiche, ci vogliono forze in grado di realizzare queste scelte politiche. Insistiamo su questo punto perché alle parole e agli impegni assunti a caldo, dichiarati nei momenti di più acuta angoscia per i disastri ormai verificatisi, nei momenti in cui questo tipo di economia mostra più marcatamente la corda, sistematicamente non ha finora corrisposto una politica conseguente, che avvii ad una svolta organica in direzione dei problemi dell'assetto idrogeologico; politica che avrebbe potuto e dovuto essere avviata con il primo piano quinquennale, del '66-70, mentre in effetti, come tutti sappiamo, non se ne è fatto niente tanto che in quei cinque anni, riprendendo un vecchio malvezzo, è stato speso meno del 20% di quanto era previsto dallo stesso programma, già di per sé ritenuto ampiamente insufficiente.
Per la preparazione di un piano organico di sistemazione del suolo, a livello nazionale è stata costituita a suo tempo anche la Commissione Marchi, che ha concluso i suoi lavori oltre nove anni fa. Però, da allora che cosa si è fatto? Praticamente niente. Di Marchi e della sua relazione chi di dovere, ormai non parla più, salvo poi magari rispolverare quei dati, quelle relazioni alla prima occasione di alluvione, o di frana.
In compenso, però, si torna a parlare, come già ha detto poco fa il collega Rivalta, anche qui in Piemonte, di autostrade e di altre opere, di aeroporti, di canali navigabili, ed anche di grosse lottizzazioni, che comportano spese per decine, centinaia di miliardi. Si parla di una spesa globale per queste varie infrastrutture nella sola nostra Regione di oltre mille miliardi, da profondere in opere che nulla hanno a che vedere con i problemi (di un organico dell'assetto del territorio con i problemi di scelta che noi abbiamo di fronte.
Un esempio clamoroso di spreco può essere dato da due scelte, che dimostrano quale conferma puntuale abbiano le reiterate affermazioni di priorità alle esigenze dell'agricoltura, allo sviluppo delle produzioni ortofrutticole della zootecnia. In provincia di Cuneo, si sta avviando a realizzazione il traforo del Ciriegia - Mercantour, con uno svincolo a Borgo San Dalmazzo del costo di oltre 15 miliardi, e la superstrada anziché stanziare somme per lo sfruttamento delle acque della Stura, scelta che vorrebbe dire valorizzare gli investimenti in agricoltura, risolvere i problemi dell'acqua potabile eccetera, risolvere anche gli stessi problemi di produzione di energia, un'opera che interessa tutto il Cuneese, parte della provincia di Torino, parte della provincia di Asti. E tutto questo a pochi mesi di distanza dall'assunzione di solenni impegni e promesse, che hanno accompagnato la crisi del petrolio, sulla disponibilità delle forze di Governo ad imboccare la strada di un diverso modello di sviluppo, strada che si era unanimemente riconosciuta necessario imboccare, ma certo non imboccata fino a questo momento. Quali sono dunque le scelte che in quel settore la nostra Giunta ritiene di dover fare, o sulle quali comunque ritiene di dover intervenire sul piano politico, per fare veramente l'interesse del nostro Paese, della nostra Regione? Ricollegandomi al bilancio ed alla relazione della Giunta, che secondo gli estensori dovrebbe costituire un primo momento tra politica di programmazione e politica di bilancio, vediamo in qual modo si colloca la politica di difesa del suolo, che pure dovrebbe costituire un momento prioritario della più generale politica di difesa ambientale, che vuol essere rappresentata, nella sua accezione più vasta, come uno dei punti più qualificanti del l'attività della Giunta? A nostro parere tale politica si affronta in modo ancora parcellizzato, rispondendo più alle esigenze d'ufficio dei diversi Assessorati che alle esigenze e alle dimensioni effettive del problema. Questo vuoto si avverte agevolmente dalla stessa lettura della relazione della Giunta, da pag. 35 in poi, là dove si individuano come supporti alla definizione degli interventi programmatici quattro gruppi di progetti e si individuano gli obiettivi generali della programmazione regionale (tra i quali ne troviamo alcuni estremamente interessanti). Ma il problema della difesa del suolo nel suo insieme non viene considerato.
Tutti avrete potuto notare che tra questi obiettivi manca qualsiasi riferimento alla necessità di una pianificazione territoriale globale pianificazione regionale ed anche articolata per i vari comprensori pianificazione entro la quale la difesa del suolo e la sistemazione idro geologica assumono una funzione primaria.
Nel bilancio si trovano vari capitoli che interessano la sistemazione idraulico-forestale ed i problemi della stessa difesa idrogeologica. Se non ho commesso qualche svista, avendo avuto i dati a rate, le cifre che si investono globalmente, nei vari settori, da parte dei vari Assessorati, per questo problema portano ad un importo di circa 8200 milioni. Di questi quasi il 50% viene finanziato con prestito, l'altra parte con mutuo normale. Senza far riferimento alle singole cifre, farò alcune considerazioni. La prima è che, se anche la cifra globalmente investita nel settore potrebbe essere significativa e determinare altrettanto significativi risultati, non ci pare che esista una idea precisa, un collegamento tra i vari interventi, e quindi una pianificazione degli stessi. E non ci pare esista, proprio per la mancanza di questa pianificazione, un giusto rapporto tra la cifra che viene destinata per prevenire i danni, quindi che viene investita prima che i danni si verifichino, e la cifra destinata invece alla riparazione dei danni stessi.
Ancora una volta vi è quasi la prevalenza dell'importo destinato alla riparazione. E noi riteniamo che questa impostazione sia errata e conseguenza della mancanza di una visione giusta. Inoltre, l'ammontare che globalmente sembrerebbe destinato alla prevenzione è ridotto dalle eccessive spese di carattere formale e per adempimenti burocratici stabiliti dalle vecchie leggi. In terzo luogo, si evidenzia nuovamente che alla base di questa carenza di carattere generale vi è la mancanza di elaborazione di una politica regionale nel settore, che ha indotto la Giunta a far ricorso a vecchie ed insufficienti leggi statali.
La mancanza di una linea politica globale sul problema si deduce anche da un capitolo modesto ma significativo, l'884, che prevede un investimento di 40 milioni per lo studio geologico sulle acque termali e sulle cave. A questo punto noi domandiamo: perché, invece di destinare 40 milioni ad uno studio geologico sulle acque termali e sulle cave, non si opera per costituire un vero e proprio servizio geologico regionale, un servizio che dovrebbe diventare uno strumento indispensabile non solo per una effettiva politica di difesa ambientale ma anche per l'attuazione di una politica corretta per l'uso del territorio? Il campo al quale sarebbe interessata la costituzione di questo servizio geologico regionale è vastissimo, e non mi pare neanche sia il caso di ricordarlo se non per sommi capi: l'urbanistica, i lavori pubblici, le scelte degli insediamenti. La Regione Piemonte al momento non dispone di un solo geologo. Questo problema è sottovalutato, non solo a livello regionale ma anche a livello nazionale.
Noi riteniamo che vi sia la possibilità di operare per il superamento di questa insufficienza, per la creazione di questo servizio, a nostro parere importante. Lo stesso piano per le acque, che viene presentato come un momento rilevante della politica di questa Giunta, e che pure rappresenta una scelta positiva, da noi stessi sollecitata, non può essere visto in modo a se stante e non invece come un momento del piano più generale di sistemazione idrogeologica, che sul piano delle acque deve avere un carattere prioritario. Che senso avrebbe fare il censimento della disponibilità idrica, la regolamentazione dell'uso delle acque, e tutto quanto ne consegue, se poi il contenitore stesso di queste acque, che è la terra, è sottoposto a continui sconvolgimenti che a loro volta ricreano disordine nelle acque stesse? Sempre sul piano delle acque intendiamo porre due questioni: la prima è che le linee alle quali questo piano deve ispirarsi e le scelte che si propone devono essere individuate e discusse, democraticamente, in un dibattito a livello di Consiglio, o quanto meno in Commissione. E poi la scelta dell'ufficio che deve redigere il piano. Sono due momenti molto importanti. Nella relazione, in riferimento alla prima questione, alle scelte che devono essere operate attraverso il piano, la Giunta esprime già alcuni pareri. Non mi pare sia il caso di diffondersi ampiamente su di essi: però, io chiedo alla Giunta se è disposta a discutere quanto meno in sede di Commissione, queste linee generali del piano, al fine di vedere insieme di dare al piano stesso quel carattere che effettivamente deve avere. Quanto a chi lo deve fare. Nella relazione si dice che la Giunta ha già interpellato diversi organismi. Noi chiediamo: l'Ires è stata interpellata dalla Giunta? Una legge regionale, la legge del 4 gennaio '73 che regolamenta gli studi e le ricerche inerenti le funzioni regionali fissa esattamente, al suo art. 2, che "la Regione di norma si vale dell'Istituto di ricerche economiche e sociali per gli studi e le ricerche per la formazione dei piani regionali, dei piani settoriali e di piani per aree sub-regionali". Ora, a mio parere, se anche l'Ires non avesse la possibilità di realizzare da solo interamente il piano, dovrebbe sempre essere considerato come il coordinatore, come il capofila di una equipe di tecnici che preparano un piano che non sia scollegato o contrapposto ma coordinato al Piano generale di sviluppo. Ritornando alla difesa del suolo e al riassetto idrogeologico, nel bilancio manca ancora una visione organica e d'insieme del problema. Come abbiamo già detto, esso è affrontato settorialmente dalle varie competenze, e manca una politica.
Prendiamo atto che vi è un impegno della Giunta a preparare un disegno di legge entro il 15 luglio per definire le competenze della Regione in materia di sistemazione idrogeologica e forestale: l'impegno per il disegno di legge, però, non è ancora una precisa volontà politica di operare. Il terreno sul quale oggi possiamo agire è già un terreno abbastanza vasto. E' vero che il decreto del Presidente della Repubblica n. 8, che ha trasferito alle Regioni la competenza in materia di urbanistica e di assetto del territorio, ha trasferito ad esse anche la competenza per le opere idrauliche solamente di quarta di quinta categoria, ma è anche vero che le competenze della Regione possono non terminare lì: la Regione può ritrovare delle competenze sul piano dell'urbanistica, appunto come dicevamo prima nell'approntamento dei piani di assetto del territorio, nella politica della forestazione, nei piani di sviluppo delle Comunità montane, nelle opere di bonifica montana, per il cui studio sono stati stanziati 100 milioni anche in questo stesso bilancio.
E poi vi è l'art. 53 della legge del 25 luglio 1904, la legge n. 523 che ha per titolo "Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie", art. 53 che dice esattamente: "Alla Provincia od alle Province, interessate, quando d'accordo ne facciano domanda, il Ministro dei Lavori pubblici, di concerto con quello del Tesoro, potrà, sentiti il Consiglio superiore dei Lavori pubblici ed il Consiglio di Stato, concedere la facoltà di eseguire direttamente le opere di seconda e terza categoria, fermi restando i contributi di cui agli articoli 8 e 9. Eguale concessione potrà essere data al Comune, o ai Comuni interessati, nonché al consorzio degli interessati, su domanda deliberata dall'assemblea. Lo Stato pagherà la quota di parte spesa in relazione al progresso dei lavori". Poi tale legge prevede anche dei contributi nella misura del 12% in più a favore dei Comuni, degli Enti che hanno anticipato i soldi. Orbene, se tale facoltà è concessa alle Province ed ai Comuni da una legge che è stata fatta molti anni prima che si creassero le Regioni perché l'interpretazione di questo articolo non può essere estesa anche alla stessa Regione? E se proprio non fosse possibile questa estensione interpretativa, il che io non darei per scontato,sarebbe nostra funzione come Regione, come Amministrazione regionale, esercitare uno stimolo e un coordinamento sulla base però di un preciso piano regionale, per investire i consorzi di comuni, le Province, gli stessi consorzi idraulici eventualmente le Comunità montane, per far sì che sulla base di un piano regionale di riassetto, di consolidamento, di difesa del territorio, di riassetto idrogeologico, si vada a prelevare dallo Stato la cifra di maggiore entità possibile, e quindi a realizzare opere che sono estremamente importanti. Questo potrebbe essere anche il mezzo, se ben utilizzato, per far spendere allo Stato i fondi per il riassetto idrogeologico, che fino ad ora ha solamente impegnato a bilancio per poi sistematicamente riportarli in ampia misura a residuo.
Ancora qualche parola sulle opere di bonifica montana. Al cap. 1351 vi è uno stanziamento di 500 milioni. Nel merito vorrei suggerire solamente alla Giunta la necessità di operare una accurata selezione delle opere, in quanto dall'esperienza del passato, dall'orientamento di diversi amministratori si deduce che quasi tutto quello che viene stanziato per opere di bonifica montana viene poi utilizzato per la costruzione di strade le quali non vengono poi a valorizzare alpeggi e l'economia montana nel suo insieme, ma piuttosto a valorizzare aree destinate alla speculazione, ossia per opere che si pongono nel senso esattamente opposto a quello che dovrebbe proporsi la bonifica.
Qualche rapida osservazione anche su qualche altro problema.
Sono stati decisi i primi stanziamenti per il piano di depurazione delle acque e per il piano di smaltimento dei rifiuti solidi. Come Consiglio Regionale saremo gli ultimi a conoscere questi piani, perché fino ad ora tutti ne hanno parlato, tutti li hanno visti, si sono tenute conferenze in luoghi diversi, ma né il Consiglio né la Commissione sono stati mai informati ufficialmente dei loro contenuti. Certo, anche nella elaborazione degli studi - e mi spiace non vi sia l'Assessore competente questa è una metodologia che non può assolutamente essere seguita in futuro: il Consiglio non può essere l'ultimo ad essere informato dei problemi. E' una metodologia questa contro la quale protestiamo vivacemente e che non può essere seguita anche perché la elaborazione di questi piani è stata affidata ad enti privati, o a singoli, senza minimamente interessare il nostro istituto di ricerca che è l'IRES.
Mi pare che sia positivo, invece, lo stanziamento al cap. 390, per la promozione di uno studio sulla regolamentazione dell'uso di sostanze chimiche, anticrittogamiche e sostanze concimanti in agricoltura. Sarà un punto ancora da verificare, questo, però è una battaglia che dev'essere portata avanti, in quanto anche in questo settore la lotta contro gli inquinamenti non dev'essere condotta a posteriori ma preventivamente soprattutto impedendo l'uso e imponendo la sostituzione di determinate sostanze che possono essere nocive alla collettività con sostanze che possono ugualmente assolvere la loro funzione senza recare danni.
Sul problema dei parchi ho solo qualche parola da aggiungere a quanto ha detto il collega Rivalta. Mi pare che questa Giunta sia completamente ferma in riferimento alla politica dei parchi: non solo per quanto si riferisce alla procedura per l'acquisizione della Mandria e di Stupinigi ma per la elaborazione di un piano regionale dei parchi. E' stato dato un affidamento di studio al prof. Peyronel che però si è dimostrato assolutamente insufficiente, inadeguato, di carattere settoriale, che non corrisponde alla globalità delle esigenze. Che cosa vogliamo fare? Non sarebbe il caso di promuovere invece uno studio serio, globale, del problema, al fine di incominciare a fissare determinati vincoli su determinate aree, in modo che non si arrivi, quando lo studio globale sarà terminato, a dover costatare che quelle aree sono già state attraverso determinate operazioni, ed interventi, pregiudicate? A questo proposito desidererei rivolgere al Signor Presidente e all'Assessore ai parchi una domanda in riferimento al Parco del Ticino. Ho appreso dai giornali che lei non si è incontrato con gli Amministratori della Provincia di Novara per stabilire una linea d'azione. Ora, mi risulta che sul problema del parco del Ticino vi è stato in provincia di Novara un importante dibattito, nel quale sono intervenuti l'Amministrazione provinciale, i Comuni interessati, la Camera di Commercio, e che è stato affidato un incarico all'Ires, che ha elaborato una sua bozza di piano per la realizzazione di questo parco. Questo piano, al suo arrivo in provincia di Novara, è finito in fondo a qualche cassetto, anche se per la sua elaborazione erano stati spesi, mi pare, undici milioni: l'imboscamento del piano IRES sembra sia avvenuto perché era un piano troppo restrittivo per la mentalità di qualcuno, un piano che conosceva spazio alla speculazione e che pertanto nessuno doveva vedere. E' diventato così, quello dell'Ires, un piano - fantasma. E' stato poi affidato dalla Provincia di Novara ad un libero professionista l'incarico di preparare qualche altra cosa, che non si sa bene quali obiettivi si proponga. Ora, io chiedo: la Giunta Regionale è sulle posizioni di quegli amministratori novaresi che hanno messo nei cassetti il piano Ires oppure è sulla posizione di procedere ad una verifica del piano che è stato fatto dall'Ires, per valutarlo ed esaminarlo, per discuterlo nei contenuti; vedere che cosa di esso va accolto ed anche eventualmente va corretto? E per partire con un dibattito che sia aperto, non chiuso alla formazione di quel grosso servizio sociale che è il Parco del Ticino. Questo lo chiedo perché mi risulta che il piano dell'IRES non solo non è stato reso pubblico ma non è stato nemmeno discusso nei Consigli Comunali e Provinciali.
Qualche altra rapidissima considerazione prima di concludere.
Sui problemi del turismo: a me pare che in questo settore si sia ancora molto legati al concetto di una politica di sostegno degli imprenditori economici soltanto: ossia, mi pare che si porti avanti ancora un discorso da operatore turistico anche se pubblico e non si parla invece della funzione pubblica del turismo concepito come servizio sociale. Infatti, per lo più le spese previste in bilancio interessano la propaganda e la promozione; spese che si riferiscono solo al richiamo dei turisti, al sostegno dell'industria alberghiera, tanto per intenderci. Ossia, mi pare che manchi ancora la visione di una politica del turismo concepita come servizio sociale, da mettere a disposizione in primo luogo delle popolazioni lavoratrici piemontesi, manca una politica di uso del tempo libero, nella politica turistica, una visione che colleghi il problema del turismo ai problemi della salute, della cultura e della ricreazione in senso generale.Qui possiamo ricollegarci al discorso dei parchi, e quindi al discorso di una politica del territorio che consenta, senza gli spostamenti di popolazione che ora si verificano, di praticare del turismo per i brevi, per i medi e per i lunghi periodi nell'ambito della Regione.
Emerge dalla relazione della Giunta che tutta la politica turistica sia ancora troppo legata al vecchio concetto e che non riesca a far emergere le nuove necessità. Si stanno, per esempio, realizzando prime esperienze interessanti a Torino, di scaglionamento del periodo feriale in importanti fabbriche. E' questa una delle condizioni di fondo per evitare la congestione delle attrezzature turistiche in determinati periodi. Però di questo problema non se ne fa neanche cenno nella relazione della Giunta.
Per noi Regione che pure abbiamo la massima responsabilità in campo turistico, dalla relazione della Giunta, questo si direbbe quasi un fenomeno di secondo piano, non meritevole di particolare osservazione In questo quadro nel bilancio che stiamo esaminando si potenziano ancora gli Enti provinciali per il turismo, quando l'anno scorso la stessa Giunta aveva espresso l'intenzione esattamente opposta, e questo mutamento di parere della Giunta è avvenuto senza dichiarare minimamente la volontà di procedere ad una ristrutturazione degli EPT e ad una loro democratizzazione. Sembra che vi sia,ecco, da parte della Giunta, o dell'Assessorato, una specie di complesso nei confronti di questi enti, che si voglia rabbonirli per indurli ad attenuare la loro arroganza - si tratta prevalentemente a livello di Presidente di gente che era abituata a dipendere solo dal Ministero e che, diciamolo pure con chiarezza, non ha accolto con favore il passaggio delle competenze alla Regione - concedendo loro ulteriori e più cospicui finanziamenti. E' questa a mio parere, una politica completamente sbagliata, una politica che non può essere accolta.
I dati sull'andamento turistico stanno dimostrando - è detto anche nella relazione - che la strada che era stata imboccata negli anni passati è errata e che di questo passo andremo continuamente restringendo le nostre possibilità nel settore, invece di ampliarle.
Mi pare che in questo quadro non possa essere accolto tra le voci di bilancio quel mutuo per 500 milioni a fini di interventi nel settore turistico, in conto capitale, per opere inferiori ai 20 milioni, che sono previsti nel disegno di legge della Giunta. Come può, infatti, una legge prevedere interventi in conto capitale per opere così modeste per una sola annata? Una politica conseguente dell'Assessorato al Turismo doveva investire il periodo che è interessato dalla legge, non una sola annata.
Collocati questi 500 milioni per l'anno 1974, si ha la netta sensazione permettetemi di dirlo con tutta franchezza - che si tratti di 500 milioni messi lì per potervi attingere durante il periodo che dovrà preparare la prossima campagna elettorale.



DEBENEDETTI Mario, Assessore al Turismo

E' la legge.



BONO Sereno

Si, ma la legge lì dà all'Assessore, che ne decide circa la loro utilizzazione. Questi 500 milioni potrebbero, con questo dispositivo della Legge essere usati strumentalmente ed in modo più fruttuoso per la propaganda elettorale della Giunta o per lo stesso Partito dell'Assessore.
Vi sono poi 500 milioni per impianti sportivi di carattere sociale e per il tempo libero, che noi consideriamo troppo pochi, perché le esigenze della nostra Regione sono grandissime, e interessano sicuramente un importo notevolmente superiore, in questo campo.
Vi sarebbero altre domande da porre, ma le porrò direttamente all'Assessore in altre occasioni, su come viene gestita la legge sulla caccia che è stata approvata lo scorso anno, soprattutto su come sono stati realizzati quegli obiettivi per la destinazione del 10% del Territorio utile alla caccia di ogni singola Provincia per la creazione delle zone di riproduzione naturale della selvaggina che sembra costituiscono uno dei punti più qualificanti di tutta la legge sulla caccia che è stata approvata dal Consiglio Regionale.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Fabbris e successivamente mettere in discussione la deliberazione della Giunta relativa alla proposta del Consiglio Regionale di decidere sul referendum consultivo per la modifica della denominazione del Comune di Roreto Chisone in Roure sospendo la seduta per cinque minuti.
Pregherei i Capigruppo e il Presidente della Giunta di tenere una breve riunione per fissare la prosecuzione dei lavori nella giornata di domani.



(La seduta sospesa alle 18,45 riprende alle ore 19)



PRESIDENTE

Comunico al Consiglio che i Capigruppo, unitamente al Presidente della Giunta, hanno fissato la seduta del Consiglio per domani alle 15 interverranno i Consiglieri Visone, Nesi, Curci, Gerini, Vera e due del Gruppo comunista.
Giovedì mattina alle 9,30 è riconvocato il Consiglio per la prosecuzione, nella mattinata termineranno gli interventi; giovedì pomeriggio il Consiglio prenderà in esame la legge n. 118 per la zootecnia la cosiddetta legge Marcora; venerdì pomeriggio alle 15 vi saranno le repliche dell'Assessore al bilancio, del Presidente della Giunta, le dichiarazioni di voto dei singoli gruppi e infine la votazione del bilancio.
Ha chiesto di parlare la Consigliera Fabbris, ne ha facoltà.



FABBRIS Pierina

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il compagno Rivalta nel suo intervento ha sottolineato la necessità di misure da parte della nostra Regione per sviluppare il consumo dei servizi sociali. Tra le scelte prioritarie che ha indicato il compagno Rivalta interessanti alcuni settori importanti, c'é quella della costruzione di asili nido, come risulta anche dall'accoglimento che la Giunta ha fatto di richieste fatte dal nostro Gruppo in sede di Commissione.
Io desidero approfondire questo argomento e un altro che dirò alla fine.
Intanto mi permetto di ricordare a noi tutti che l'avere scelto il capitolo della costruzione degli asili nido come una delle scelte prioritarie, mi sembra che metta in evidenza la validità delle argomentazioni svolte dal nostro gruppo in varie occasioni: in questo Consiglio nei dibattiti che abbiamo svolto nell'attività delle Commissioni Consiliari nel corso dei quali sono stati sottolineati la finalità e la funzione del servizio che deve assolvere ad una funzione nuova, così come nuova è la legge che istituisce il servizio stesso conquistato dalle lotte dei lavoratori, che tende a superare il concetto assistenziale per soddisfare da una parte un diritto di tutti i cittadini, dall'altra attuare un dovere della società. In questo ambito è da prevedere un impegno nuovo dello Stato, degli Enti locali e delle Regioni per i compiti che a loro spettano di programmazione e di promozione delle iniziative e degli interventi per una nuova politica nei confronti della prima infanzia.
D'altra parte la nostra Regione ha recepito questo concetto nell'art. 2 della nostra legge regionale, là dove si afferma che "il piano pluriennale degli asili nido costituirà specificazione settoriale del piano di sviluppo regionale e delle sue articolazioni in piani comprensoriali".
Io vorrei approfondire un momento questo discorso in relazione agli impegni che la Giunta ha accolto su istanza del nostro Gruppo in sede di Commissione, quando è stato discusso il bilancio e come l'accoglimento di questa nostra istanza si collochi nell'ambito del fabbisogno minimo che ci dobbiamo proporre di soddisfare.
E' certamente importante che sia stata recepita la proposta che tende ad accogliere l'esigenza espressa dai Comuni di integrare la somma di 40 milioni per la costruzione degli asili nido e di una certa somma per la gestione di questo servizio. E' stato infatti riconosciuto da tutti che 40 milioni di contributo stabilito dalla legge nazionale non bastano per la costruzione e che non bastano neanche i venti milioni per la gestione, per cui può sembrare grossa la decisione di contrarre un mutuo di 5 miliardi e 620 milioni per il '74 come Regione per vedere di far fronte a questa necessità.
Nell'approfondire cosa rappresenta questa somma è emerso però che sì è importante questo impegno, ma esso è insufficiente sia in rapporto all'entità del problema, alla necessità ed alle richieste, e in relazione alla necessità di una visione programmatica per risolvere almeno in un certo modo questo problema.
Infatti io credo che per verificare come si colloca questa cifra nell'ambito del settore, sia necessario che noi facciamo brevemente un consuntivo della situazione attuale. Stamattina il collega Rossotto si chiedeva una cosa di questo tipo: affrontando questo argomento - si chiedeva - come si pone oggi il discorso? Ebbene, io ho voluto fare due righe di conti e vi chiedo scusa se ve li espongo: con il piano del '72 e del '73, noi abbiamo dato contributi ai Comuni per la costruzione di 125 asili nido. Integrare, come è stato riconosciuto necessario, con 25 milioni di contributo della Regione ai Comuni che hanno avuto il contributo per la costruzione di questi 125 asili nido, significa impegnare tre dei cinque miliardi e 620 milioni che si è deciso di mettere a bilancio.
Il piano del '74, impegnando la rimanenza dei 5 miliardi e 620 milioni e considerato quanto dovrà essere versato dallo Stato, ci consentirà di costruire o meglio di dare contributi ai Comuni per la costruzione di 70 altri asili nido, con un contributo di 65 milioni.
In totale, quindi, tra quelli già finanziati nei piani precedenti '72/73, e questi che ci proponiamo di fare il piano per il '74...



VIETTI Anna Maria, Assessore alla sicurezza sociale

Ci sarà anche la gestione, perciò non settanta, un po' meno.



FABBRIS Pierina

Arrivo dopo alla gestione.
Noi possiamo, dicevo dare contributi per la costruzione in tre anni con tre piani, fino al '74 di 195 asili nido.
A questo punto io pongo il quesito che mi pare si ponesse anche Rossotto, tentando di dare una risposta. Quale fabbisogno vogliamo soddisfare con il piano degli asili nido? Sappiamo che la legge nazionale parla di un piano quinquennale. Sappiamo d'altra parte che assegna alle Regioni ed ai Comuni dei mezzi insufficienti ed è per questo che noi, come Regione Piemonte, ci siamo impegnati per le somme di un miliardo nei due anni precedenti, per integrare tali somme alle quali si deve aggiungere l'impegno che ora si propone.
Io credo che tenendo buona la proposta o meglio la indicazione che aveva formulato l'Assessore Vietti in occasione della approvazione dei due piani che abbiamo precedentemente fatto per gli asili nido e cioè di conseguire il 10% del soddisfacimento del fabbisogno, e tenendo conto che abbiamo in Piemonte una popolazione infantile di 214.000 unità da 0 a 3 anni noi dobbiamo creare 21.400 posti per soddisfare il 10%. Dal calcolo che ho fatto io, noi dovremmo costruire 410/420 asili nido, meno i 195 che abbiamo programmato, restano 215/220 asili nido da costruire e io mi sono permessa di fare anche il conto: rappresentano un costo di circa 14 miliardi. Calcolando che negli anni '75/76, che sono i due anni che concludono il piano quinquennale, avremo dallo Stato all'incirca quattro miliardi, rimane che la Regione per realizzare il soddisfacimento del 10 sull'attuale popolazione che è di 214.000 unità, dovrebbe proporsi di impegnare altri dieci miliardi oltre ai 5 miliardi 620 milioni che già abbiamo preventivato, oltre a quelli che ci verranno e che io ho già calcolato dovrebbero entrare nelle casse della Regione da parte dello Stato e della Previdenza sociale.
Questo è il calcolo, molto "grossolano" ma che mi sembra possa essere indicato per valutare l'impegno, pure importante, che io non voglio sottovalutare, ma ribadisco insufficiente dei 5 miliardi 620 milioni per il '74, e anche quello che è già stato indicato di due miliardi e 600 milioni per il '75. Insufficiente in rapporto al minimo di fabbisogno, sottolineo il minimo. Risparmio a tutti voi Consiglieri il discorso sull'importanza e sulle finalità della legge perché già ho detto in apertura di questo mio intervento che si tratta di una legge che più volte abbiamo discusso in questo Consiglio e in modo particolare ne abbiamo approfondito il carattere, le finalità quando abbiamo fatto la nostra legge regionale.
Quindi penso che siamo tutti convinti che per rispondere agli obbiettivi che il movimento operaio si è proposto quando ha lottato per conquistare questa legge, non dovremmo accontentarci di proporci l'obiettivo del 107 ma dovremmo andare ben oltre. Tuttavia fermandomi a questa prima tappa iniziale, per giungere a gradi a programmare la richiesta, a me pare che se riconosciamo valido questo obiettivo minimo intanto dobbiamo - e qui formulo le richieste molto sinteticamente - innanzi tutto programmare lo stanziamento di questi ulteriori dieci miliardi per andare alla copertura di questa prima esigenza.
Naturalmente questo comporta una questione di carattere tecnico, cioè quella di modificare la legge regionale perché in questa legge noi prevediamo la non cumulabilità dei contributi della Regione con quello dello Stato. Se noi, come a me pare giusto e d'altra parte il Consiglio l'ha riconosciuto valido, riteniamo di dover integrare i contributi che diamo ai Comuni perché sono insufficienti ad affrontare la costruzione di questo servizio, dobbiamo provvedere a modificare la nostra legge.
Non solo, ma a questo punto io propongo che si proceda celermente ad elaborare un piano pluriennale perché diversamente ci troviamo ad operare alla giornata, permettendoci l'espressione, compromettendo la possibilità di affrontare minimamente il problema alla radice. Sappiamo che i Comuni incontrano difficoltà burocratiche materiali derivanti dalla prassi burocratica del reperimento aree, presentazione dei progetti ecc., per dare avvio alla costruzione degli asili nido. Proprio oggi l'Assessore mi ha fornito l'elenco dei primi trenta Comuni del piano del '72 che hanno ottenuto il decreto di autorizzazione all'appalto dei lavori per la costruzione degli asili nido.
Noi abbiamo già sottolineato fin dall'approvazione del primo piano del '72 come fosse indispensabile che accanto alla approvazione del piano annuale, si prevedesse il piano pluriennale e insieme a questo le misure necessarie per sveltire tutte le pratiche burocratiche, allo scopo di creare, di dare vita a questo servizio, di cominciare cioè a mettere gi dei mattoni che facciano capire che questo servizio cresce e non siano più solo nel limbo delle speranze.
Ripropongo quindi il problema. Il piano pluriennale non solo è importante perché è previsto ed è quindi in attuazione della nostra legge regionale oltre a quella nazionale; ma è indispensabile per consentire che i Comuni possano da subito predisporre le aree necessarie, preparare i progetti, sapendo che entro un determinato periodo avranno il contributo della Regione e quindi possono immediatamente creare il servizio.
In secondo luogo ci consente, e questo è uno scopo promozionale, di dare il via, di fare iniziare da parte dei Comuni che ancora non l'hanno iniziato, un discorso circa i compiti e gli obiettivi che i Comuni si devono proporre, per realizzare una politica in direzione dell'infanzia e quindi prevedere l'impegno, proprio per contribuire con mezzi necessari ad aumentare la disponibilità del servizio nell'ambito di quello che l'Ente locale può dare alla collettività. E in questa visione, di andare al reperimento anche in loco (dirò poi per quanto riguarda la funzione della Regione a livello regionale) con l'ausilio dell'azione delle organizzazioni sindacali e del movimento dei lavoratori, al reperimento di altre fonti di finanziamento perché è chiaro che quando cominciamo in un Comune, di qualunque dimensione, a creare un servizio nuovo per la cittadinanza contemporaneamente creiamo le premesse per una ulteriore richiesta. Più il servizio è qualificato più la sua realizzazione incrementa la richiesta.
Se noi quindi mettiamo i Comuni nelle condizioni di programmare a loro volta in base ai bisogni esistenti in loco, si verifica immediatamente la necessità di andare al reperimento di altri fondi perché quelli che dà la Regione non sono certamente sufficienti e quindi è uno stimolo continuo per andare veramente ad affrontare, con serietà e in maniera programmata, il discorso di una politica in direzione della prima infanzia.
Questo aspetto è un'altra delle questioni che abbiamo ripetutamente sottolineato e che io richiamo perché ritengo importante. Mi pare cioè che posto in questo senso il discorso spiega anzi, dà valore alla nuova funzione che deve avere la Regione nei confronti dei Comuni per l'azione che deve contribuire a dare vita ad un rapporto diverso, nuovo, democratico tra Regione e Comuni, rapporto di collaborazione e di stimolo reciproco.
Con questo spirito dobbiamo andare verso la programmazione di un piano pluriennale ci consenta di dimostrare ai Comuni che la Regione assolve ad una funzione promozionale, e che insieme ci si possono proporre degli obiettivi che consentano di realizzare concretamente una programmazione vera in tutte le direzioni e, per stare nell'argomento specifico, nel campo dell'infanzia.
Un'altra proposta che desidero fare su questa questione è quella che la nostra Regione debba continuare quell'azione intrapresa sin dal 1972 nei confronti del governo, per modificare la legge nazionale 1044 e per ottenere il suo rifinanziamento. Inoltre, cogliendo la disponibilità che è stata dichiarata dalle organizzazioni imprenditoriali di affrontare e di collaborare per risolvere il problema dei servizi sociali e precisamente trasporti ed asili nido io credo che la Regione debba al più presto convocare queste forze economiche per vedere come intendono concretizzare questa loro disponibilità e stabilire, insieme alle organizzazioni sindacali e i rappresentanti dei comuni, come si può programmare l'utilizzazione di questa dichiarata ulteriore disponibilità. Se sia meglio cioè iniziare una trattativa a livello regionale oppure articolarla a livello di province o di settori.
Infine, in relazione alla funzione promozionale che la Regionale deve svolgere, credo che si debba iniziare concretamente il discorso per quanto riguarda la gestione di questi servizi, in due direzioni: la prima per quanto riguarda il costo della gestione, che è legato alla qualità del servizio che si dà, quindi alle quantità di personale impiegato. Il secondo aspetto per quanto riguarda la gestione sociale del servizio, principio questo al quale si ispira la nostra legge regionale, ma che è stabilito chiaramente nella legge nazionale.
Ora, in questa direzione credo che noi come Regione nei confronti dei Comuni, se vogliamo veramente realizzare questo tipo nuovo di gestione e di rapporto con i Comuni, dobbiamo dire la nostra parola circa i contenuti della gestione sociale.
Ho voluto dire queste cose sulla questione degli asili nido tralasciando l'aspetto che riguarda il personale e la sua formazione perch in merito ci sarà un altro compagno del mio Gruppo che interverrà, ho voluto ripeto dire queste cose perché ho ritenuto di mettere in evidenza come, pur riconoscendo valida l'accettazione da parte della Giunta della richiesta avanzata dal mio Gruppo, di un impegno che valutiamo importante per il bilancio del '74 tuttavia tale impegno risulta insufficiente in rapporto all'obiettivo finale da realizzare. E desidero richiamare la vostra attenzione perché mi pare che questa sia l'occasione per uscire dall'equivoco e decidere se vogliamo compiere una scelta qualificante in questa direzione, qualificante sia come entità di spesa per creare un servizio sociale esteso su tutto il territorio della Regione, ma qualificante anche come tipo di servizio che vogliamo costruire e quindi qualificante per quanto riguarda la gestione, al tipo di gestione che vogliamo creare, agli operatori che vogliamo impiegare in questo servizio alle forze sociali e democratiche da coinvolgere in tale gestione.
Io credo che l'impegno debba essere ben altro che l'attuale. Ecco perché ho voluto richiamare la vostra attenzione su questo, riconoscendo ripeto, l'importanza dell'impegno della Giunta, ma mettendo in evidenza che è insufficiente e anche che è questo il momento nel quale è necessario compiere uno sforzo a livello di bilancio, perché dobbiamo in questo momento, ce lo impone la legge regionale che dobbiamo modificare, compiere delle scelte a favore dei consumi sociali.
Quindi a me pare che non solo per le ragioni che sono state ricordate dal compagno Rivalta in apertura degli interventi che si richiamano alla necessità della programmazione, alla validità di una visione programmatica da parte della Regione intesa come funzione promozionale nei confronti degli Enti locali ma soprattutto perché questo è il momento valido per compiere una scelta di questo tipo.
Un'altra questione che voglio porre e che mi sembra di non poter tacere perché non risponde a determinate scelte che si dice di voler compiere, è quella relativa al capitolo 1172 del bilancio che prevede ancora l'erogazione di contributi costanti trentacinquennali a Comuni e Province per la costruzione di opere di soggiorno per gli anziani.
Noi già nello scorso bilancio critichiamo questa previsione di spesa perché abbiamo valutato che in relazione alle richieste che venivano avanzate in modo particolare dalle organizzazioni sindacali, dalle associazioni democratiche e anche da molti Comuni, questa scelta si ponesse in contraddizione nei confronti di una linea nuova, diversa che non vede nell'istituto la forma di assistenza nei confronti degli anziani, ma che individua invece nella attività di carattere domiciliare, quello che noi dovremmo discutere con progetto legge della Giunta nelle prossime settimane, individua in questo tipo di attività, il soddisfacimento dei bisogni delle persone anziane. Nonostante la nostra critica l'impegno a bilancio rimane e la risposta se non ricordo male, che ci fu data allora è che sarebbe stata l'unica volta che ci sarebbe stato quel capitolo perch la Giunta aveva già pronta la legge o meglio il progetto di legge per l'assistenza domiciliare.
Voglio fare qui una richiesta esplicita: sottolineando il ritardo con cui la Giunta ha presentato il progetto per l'inizio di un tipo di attività nuova che si pone in alternativa all'attività dell'istituto, ritardo che ha pesato sulla maturazione di nuove sperimentazioni, io chiedo che i 200 milioni siano diminuiti; che la somma diminuita sia stornata per aumentare le disponibilità per l'attività domiciliare che sia l'ultima volta che si impegnano dei soldi a questo titolo altrimenti questa è la dimostrazione che non si fa una scelta, ma anzi è la dimostrazione che c'è una contraddizione tra le cose che si sostengono e gli atti che si compiono.
Mentre cioè si dice che è valida la sperimentazione di un servizio domiciliare, la scelta che si compie per l'impegno finanziario non è a favore dell'attività domiciliare, ma è invece nel senso tradizionale, per migliorare le istituzioni e crearne nuove.
La richiesta esplicita quindi che faccio è di dimostrare di essere coerenti tra le linee che diciamo di voler portare avanti e le scelte che indichiamo e che compiamo con la spesa che prevediamo a bilancio.


Argomento: Istituzione nuovi comuni - Mutamento denominazioni

Modifica della denominazione del Comune di Roreto Chisone in "Roure"


PRESIDENTE

Ha così termine la prima parte degli interventi e, come ho preannunciato, passeremmo all'esame della proposta al Consiglio Regionale di delibera sul referendum consultivo per la modifica della denominazione del Comune di Roreto Chisone in "Roure".
Relatore è il Presidente della VIII Commissione, Visone.



VISONE Carlo, relatore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri la Commissione VIII ha esaminato la deliberazione della Giunta Regionale in data 15 maggio 1974 "Proposta al Consiglio Regionale di deliberare sul referendum consultivo per la modifica della denominazione del Comune di "Roreto Chisone" in Roure.
Infatti, il Comune di Roreto con domanda in data 18 aprile 1973, ha chiesto alla Regione di riassumere la vecchia denominazione "Roure" che deriva dal "patois " valligiano e che fu soppressa d'autorità con R.D. 12 aprile 1937, n. 751.
La Commissione ha fatto propri i contenuti ed i motivi evidenziati dalla relazione della Giunta Regionale alla proposta di deliberazione nella quale si sottolinea l'opportunità di far riassumere al Comune l'antica denominazione.
Sotto il profilo giuridico, la Commissione ha esaminato gli artt. 117 e 118 della Costituzione, inerenti le materie trasferite alle competenze delle Regioni; il D.P.R. 14/1/1972 n. 1 che trasferisce alle Regioni la competenza in materia di circoscrizioni comunali, che all'art. 1 stabilisce, che competono alle Regioni le funzioni relative alla denominazione dei Comuni; l'art. 60 dello Statuto regionale del Piemonte che prevede il referendum consultivo per la modificazione delle denominazioni comunali e che il referendum sia deliberato dal Consiglio Regionale e indetto dal Presidente della Regione; gli artt. 33 e seguenti della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 "Iniziativa popolare e degli Enti locali e referendum abrogativo e consultivo".
Dall'esame delle suddette disposizioni appare chiaro che non sussistono dal punto di vista giuridico-legislativo ostacoli all'approvazione della richiesta avanzata dal Comune di Roreto Chisone.
Pertanto, considerato quanto sopra, esaminata la proposta di deliberazione che reca, come richiesto, l'indicazione del Comune in cui gli elettori sono chiamati a consultazione, l'indicazione del quesito da sottoporre a votazione, del giorno della consultazione, fissato per il 6 ottobre 1974, l'imputazione di spesa, la Commissione VIII all'unanimità ritiene che la proposta di deliberazione possa essere favorevolmente accolta dal Consiglio Regionale, consentendo al Comune di Roreto Chisone di esprimersi sul ripristino dell'antica e storica denominazione di "Roure".



PRESIDENTE

La discussione è aperta. Nessuno intende intervenire? La parola all'Assessore Conti.



CONTI Domenico, Assessore alle circoscrizioni comunali

Brevemente a nome della Giunta, richiamando l'attenzione del Consiglio Regionale sul fatto che il Consiglio Comunale di Roreto Chisone desidera che la Regione riconosca questa sua iniziativa per il ritorno all'antico nome del Comune e che è intesa alla valorizzazione della parlata locale tuttora in atto, parlata che vanta una gloriosa tradizione semantica linguistica e letteraria.
La citata delibera consiliare è redatta in testi bilingue per dimostrare con il confronto delle due parlate, l'italiano ed il "patois" locale, l'attestazione e lo sviluppo di una civiltà montana piemontese che si estrinseca anche nei rapporti linguistici.
Se il Consiglio Regionale, competente ad ammettere a referendum consultivo la richiesta comunale, si esprime positivamente, conferisce valore alla tradizione linguistica, alla varietà nell'unità piemontese e la testimonianza di civiltà che contribuiscono a formare la civiltà del Piemonte.
Il Consiglio Regionale è chiamato soprattutto, a mio avviso, a sostenere un tentativo di una comunità di avanzare nella definizione di una più radicata identità capace non di separare e di chiudere, ma di ispirare una sempre più aperta partecipazione allo sviluppo anche culturale della nostra Regione; e ciò in forza di un volto e di un accento comunitario sempre più proprio e originale.
Come i Consiglieri regionali sanno, sono stati presi contatti con i numerosi uffici che concorreranno ad organizzare il referendum che avverrà per la prima volta dalla nascita della Regione.



PRESIDENTE

Più nessuno chiede la parola? Leggo lo schema di deliberazione: "Il Consiglio " Regionale del Piemonte, su proposta della Giunta regionale in data 15.5.1974, sentita la relazione della competente Commissione consiliare delibera di accogliere la domanda del Sindaco di Roreto Chisone per lo svolgimento del referendum consultivo concernente la modifica della denominazione di quel Comune in Roure di indicare il seguente quesito da sottoporre a votazione mediante referendum nello stesso Comune: 'Approvate che sia cambiata la denominazione del Comune da Roreto Chisone in Roure? ' di proporre che l'indizione del referendum consultivo da stabilirsi con decreto del Presidente della Giunta ai sensi dell'art. 34 della legge regionale 16.1.73 n. 4 fra il 70° ed il 50° giorno precedente la data della votazione venga fissato per la giornata di domenica e lunedì mattina 6 ottobre 1974 di imputare la relativa spesa di lire un milione e 500.000 al capitolo 34 del bilancio per l'anno 1974 in corso di approvazione, mediante decreto di impegno emesso dal Presidente della Giunta Regionale nei limiti della somma di venti milioni prevista in tale capitolo.
La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi intende approvare è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità.
La seduta riprenderà domani alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 20)



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