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Dettaglio seduta n.226 del 27/05/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'ordine dei giorno reca: a) Prosecuzione della discussione sui progetti di legge n. 85, 132, 152 e 156 sulla zootecnia.
b) Esame disegno di legge n. 120 "Bilancio per l'anno finanziario 1974".
c) Esame di legge n. 165 "Interventi per lo sviluppo dell'agricoltura".
d) Esame disegno di legge n. 166 "Provvedimenti urgenti per la zootecnia. Legge 18.4.74 n. 118".
e) Esame progetti di legge n. 96 e 103 relativi alla depurazione delle acque refluse.
Secondo gli accordi intervenuti nell'ultima seduta con i capigruppo, si è deciso di invertire l'ordine del giorno e di iniziare la discussione dal punto n. 5: Esame disegno di legge n. 120 "Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1974".
I Capigruppo hanno ritenuto che si debba aprire la discussione con la relazione del consigliere Dotti, seguiranno poi gli interventi dell'Assessore al bilancio e alla programmazione e dell'Assessore al patrimonio e alle finanze.
Se il Consiglio non ha difficoltà precederei immediatamente dando la parola al relatore dr. Dotti.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame del disegno di legge n. 120 sul Bilancio di previsione per l'anno finanziario 1974


DOTTI Augusto, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, avete avuto la relazione della Giunta e il bilancio nella sua ultima stesura che pareggia sui 126 miliardi e 400 milioni per l'anno 1974. La Commissione ha svolto i suoi lavori, ha distribuito una relazione e un allegato relativo alla consultazione.
Evidentemente abbiamo osservato l'ampiezza della relazione della Giunta però anche il ritardo della sua presentazione che non ha dato modo a tutti i consultati di rendersi conto di molte chiarificazione e anche di quelle che sono le intenzioni, gli impegni della Giunta che non potevano trasparire solamente dal bilancio di spesa, dal bilancio che è strumento della politica che la Giunta intende perseguire nel '74. Quindi raccomandiamo ancora una volta alla Giunta, almeno per l'anno 1975, di presentare contemporaneamente la relazione e il documento finanziario.
Abbiamo notato quanto questa relazione sia stata logica con le dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta dello scorso 15 gennaio, ma dobbiamo anche dire, nel sottolineare con comprensione e con vasti consensi questa traduzione della linea programmatica della Giunta nello strumento del bilancio, come involontariamente, proprio con le intenzioni della sua operatività nell'anno '74 e seguenti, sia stato sottolineato quel notevole ritardo che praticamente è durato quattro anni in indagini di ricerca, in quei progetti che devono stare addirittura a monte del piano di sviluppo della Regione Piemonte, in quanto che questi progetti di ricerca, in numero ben di 23, che toccano tutti i campi, non sono ancora noti e non sono ancora stati utilizzati né dalla Giunta né dal rapporto IRES per il piano di sviluppo 1974/78.
Abbiamo anche preso visione con soddisfazione dei 26 disegni di legge che sono stati elencati nella relazione che la Giunta si propone quanto prima di portare avanti al Consiglio. E' veramente un grosso impegno ed io spero che vi sia modo di tradurlo, almeno in parte, in realtà.
Abbiamo purtroppo dovuto constatare però una grave deficienza in questi tempi di presentazione sia della relazione, sia del documento di bilancio vale a dire che non abbiamo potuto prendere visione del bilancio consuntivo '72/73 che per la sua operatività avrebbe potuto portare luce sull'efficacia degli stanziamenti effettuati nel bilancio preventivo dell'anno 1974. Quindi non tanto per non poter valutare l'avanzo dei bilanci '72/73, ma per poter veramente renderci conto di come quelle somme siano state spese e in che misura; la loro ripetizione nel bilancio '74 poteva dar luogo a osservazioni di un certo peso, di una certa rilevanza.
Purtroppo ciò non è stato fatto, nemmeno nelle convenzioni che l'Assessore alla programmazione ha avuto con la Commissione e questo ci ha vivamente rammaricato.
Per quanto riguarda il discorso sul programma pluriennale di cui questo bilancio 1974 sarebbe già un'espressione, ci troviamo di fronte ad una realtà che apprezziamo in quanto che finalmente si vede tracciare qualche cosa di positiva Sebbene anche qui dobbiamo dire che alcune osservazioni fatte nella relazione della Giunta ci hanno lasciati perplessi: la Giunta dice che il programma pluriennale dovrebbe trovare fondamento in un bilancio finanziario pluriennale di cui si conoscesse il gettito delle entrate. Io dico invece che questo ci ha lasciati un po' delusi perché non sarà mai possibile chiedere allo Stato i finanziamenti necessari non solo alla nostra Regione, ma anche alle altre Regioni, se prima non esprimiamo una volontà politica di operare e sottolineiamo certe priorità e certe finanziarie necessità che vadano a soddisfare la politica prioritaria che riteniamo indispensabile per lo sviluppo delle Regioni.
Abbiamo poi la solita rilevazione fatta nella relazione della Giunta che manca il piano di sviluppo; il famoso piano che l'IRES deve portare avanti al Consiglio dopo tutte le consultazioni.
Abbiamo sempre dei progetti, delle proposte che vengono continuamente rinviati. Ritengo di interpretare il pensiero della maggioranza della Commissione dicendo che questo piano di sviluppo bisogna che venga avanti al Consiglio come modello di vita diverso, nuovo per il Piemonte. Vediamo anche nelle conversazioni dei sindacati con il governo che si tratta di impostare, prima della spesa, questo nuovo modello di vita; sarà, questo un piano di sviluppo sociale ed economico del Piemonte con diversi programmi pluriennali che varieranno, settore per settore, anche di durata perché gli obiettivi non sono conseguibili nello stesso tempo.
Così, per tentativi, il relatore ha cercato di dare una interpretazione al piano di sviluppo di questo nuovo modello di vita che dovrebbe corrispondere a principi di libertà e uguaglianza dei cittadini non solo del Piemonte, ma di tutta l'Italia; vi sono dei servizi sociali che vanno estesi a tutti i cittadini ad un certo livello se vogliamo diventare una nazione civile e non una nazione fatta a scale, chi sta in alto e chi sta in basso. Alcuni servizi essenziali come la cultura e anche l'istituzione come strumento di lavoro devono essere erogati a tutti, questa è una priorità: essenziale che corrisponde ai principi di uguaglianza. Così come per la casa perché l'uomo non vive all'aria aperta né sotto la tenda, vive in casa. Ecco un altro servizio sociale che dobbiamo realizzare con una certa urgenza per quanto compete alla Regione, avvalendosi degli strumenti attuali legislativi a disposizione non solo del Piemonte, ma di tutta l'Italia.
Un altro servizio è quello della mobilità dei trasporti, se l'uomo non si muove non è un uomo, quindi deve essere in certo qual modo assicurata ad ogni individuo una possibilità di mobilità ad un prezzo inferiore. Ricordo una risposta banale data da chi vi parla quando faceva il liceo: che differenza c'è fra il mondo vegetale e che pure vive e il mondo animale? Il mondo vegetale non si muove il mondo animale invece si muove. Noi apparteniamo per fortuna a questo mondo che si deve muovere altrimenti non può vivere.
Un altro dei principi fondamentali che la Giunta deve farsi scrupolo di fare rientrare in questo campo di priorità, assolutamente indispensabile per attuare il principio dell'uguaglianza, è quello della salute, della sanità che bisogna mettere in atto fin dai primi anni non solo negli asili nido, nelle scuole materne, ma anche nella scuola, con la medicina scolastica.
Il piano di sviluppo dobbiamo farlo noi, nessuno ce lo darà, non aspettatelo.
Un altro principio che riguarda la libertà, lo sviluppo della personalità dell'individuo sta nell'assicurare la piena occupazione, lo strumento di lavoro a tutti coloro che desiderano di lavorare, sia per affrancare l'individuo dal bisogno, altrimenti la libertà rimane una parola vana, sia per la difesa dei diritti naturali che sono propri dell'individuo. Questa è un'opera di carattere legislativo e anche di carattere politico che la Regione può, ad ogni piè sospinto, riaffermare.
Noi vorremmo sollecitare la Giunta a portare avanti un documento che sia valido nel tempo, cioè un modello di vita che deve valere anche nella cattiva fortuna, nella recessione, nei momenti di inflazione, nei momenti di non prosperità economica. Non è affatto vero che questo modello di vita lo si può raggiungere solamente nei momenti di prosperità, anzi, va verificato nei momenti più difficili. E questo perché noi non abbiamo ancora raggiunto quei piccoli modesti traguardi di un popolo civile: non siamo gli svedesi che hanno trovato una prosperità così vasta per cui il socialismo ha potuto trovare una espressione concreta a tutti i livelli, a tutte le età; non siamo neanche i francesi che dicono abbiamo tutti un piccolo gruzzolo nel materasso; non siamo nemmeno i tedeschi che qualche volta (non adesso, per carità, anche loro sono diventati molto pacifici) nel passato per aumentare la loro prosperità, per conquistare altri mercati di sbocco hanno dovuto anche fare delle guerre; non siamo gli USA che hanno all'estremo grado la loro tecnologia e alla luce di questa loro ricerca possono avere sempre maggiori traguardi; non siamo nemmeno gli inglesi che malgrado le loro difficoltà difendono la tazza di tè delle cinque del pomeriggio anche nelle fabbriche. Evidentemente questo nostro modello di vita deve trovare il consenso unanime del Consiglio, deve essere abbastanza semplice e riassuntivo, comunque accettabile da tutti.
Per quanto riguarda la consultazione, vorrei riassumere molto brevemente all'apporto delle principali categorie.
I Sindacati non hanno prodotto un documento - evidentemente avevano delle difficoltà -, però si sono espressi in modo molto chiaro. Pur dando ampio spazio di riconoscimento a questo documento - non avevano però la relazione -, hanno rilevato la mancanza di un indirizzo politico veramente importante per la Regione, che è quello di non disperdere in troppi rivoli la spesa. Sebbene la cosa possa apparire sorprendente, essi hanno sostenuto, in quanto all'agricoltura, che anche in questo settore si devono trovare forme di spesa più consistenti se si vuol veramente cambiare la situazione attuale. Cioè, bisogna rivolgersi verso forme più organizzate.
Sia pure attraverso la cooperazione, sia pure attraverso l'associazionismo l'agricoltura deve darsi dimensioni diverse, e la Regione non deve prendere atto di una situazione tale e quale per migliorarla ma deve, per quanto possibile, esprimersi perché l'agricoltura abbia diverse dimensioni, se vuole inserirsi effettivamente in un discorso affinché i prodotti agricoli siano ottenuti a minor costo e affinché evidentemente anche i prezzi siano in certo qual modo calmierati, così da assicurare all'agricoltore una adeguata remunerazione, anche magari sovvenzionata. Ma non è ammissibile che, come noi abbiamo fatto in questa legge sull'agricoltura che stiamo per approvare, e in cui sono intervenuti tanti oratori, l'agricoltore venga praticamente sovvenzionato perché possa sostenere i costi: l'agricoltore non desidera essere esposto alle critiche di tutta la collettività dei consumatori, perché non pretende che i prezzi siano controllati, siano in certo qual modo verificati. Non si deve mettere gli agricoltori a disagio facendo credere all'opinione pubblica che essi desiderino essere sovvenzionati sui costi ed avere prezzi liberi. Vorrei che fosse sottolineato da coloro che sono competenti in questa materia, i Consiglieri che ne discutono in Commissione, che gli agricoltori non desiderano affatto questo.
I Sindacati hanno recato un altro grosso contributo: discutendo nelle fabbriche, con le grosse ditte, il principio delle contribuzioni aziendali per cui al salario deve associarsi la prestazione di servizi sociali. Le aziende cominciano a capire, ad esempio, che devono preoccuparsi del trasporto per i loro dipendenti, in certe zone non ancora collegate da linee di trasporto, nell'interesse dell'azienda stessa; cominciano ad avvertire la necessità di istituire asili-nido, una valvola di sicurezza per chi si reca al lavoro, per la maestranza femminile in specie.
Inoltre, i Sindacati hanno sottolineato che non si intravede da parte della Giunta un discorso per il decentramento dell'area metropolitana torinese. E la nostra Commissione ne ha parlato nella relazione.
Gli agricoltori hanno apprezzato lo sforzo della Giunta, però hanno chiesto anche leggi nuove, cui non si fa cenno nella relazione: l'estensione dell'assistenza farmaceutica ai coltivatori attivi, una indennità di ricovero ospedaliero per coloro che vengono costretti a varcare la soglia di un ospedale, ed inoltre, mi pare, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Provvidenze, queste, che sono già proprie del secondario, del mondo dell'industria, ed è giusto vengano anche estese al mondo del settore primario, all'agricoltura.
Gli artigiani hanno reclamato i servizi collettivi, specialmente quelli disinquinanti, che non possono essere, per le loro dimensioni, sopportati dall'azienda singola. Questa è quindi una materia di competenza della Regione: la Regione può effettivamente venire incontro al mondo dell'artigianato procurando questi servizi collettivi in aree destinate all'insediamento dell'artigianato.
Anche gli imprenditori, bontà loro, finalmente si sono un poco "sbottonati": prima, erano sempre venuti a criticare il nostro bilancio, ma non a recare un apporto critico. Essi hanno soprattutto pregato la Regione di portare avanti un discorso sulla formazione professionale: non è possibile spendere otto miliardi l'anno senza ridimensionare questi corsi senza armonizzarli , accettando la situazione così com'è, senza cercare di porre rimedio alle carenze che il mondo del lavoro esige siano coperte nel settore della formazione professionale, e riducendo, dimensionando quei corsi che noi stessi diciamo sono già abbandonati, perché i settori non assorbono coloro che frequentano questi Corsile Camere di Commercio hanno portato un notevole contributo, se non altro di disponibilità: esse hanno mezzi finanziari propri, che vorrebbero poter dedicare, sotto la direttiva della Regione, con il controllo e il coordinamento anche dell'IRES, ad una ricerca di cui evidentemente posseggono, se non altro, gli strumenti da un punto di vista in parte finanziario e in buona parte di personale.
Questo lungo discorso porta a concludere che la Giunta deve prendere un po' le dimensioni della sua politica, che non deve essere una politica di bilancio da tradursi in una spesa ma una politica di intervento non limitata sul territorio ma concordata con le Regioni limitrofe, non solo italiane ma anche straniere, o associate, o comunitarie, come la Francia (cito la Valle d'Aosta, la zona dell'Ossola).
La Giunta non dice, per esempio, di aver preso alcun contatto con i Presidenti delle Giunte, e quindi delle Regioni, Lombardia e Liguria, per problemi che sono in comune. Non c'è neanche palesata l'intenzione di prendere questi contatti.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Ma sono avvenuti tre volte.



DOTTI Augusto, relatore

Però, non sono tradotti nella relazione come motivo di azione, da parte della Giunta... anzi, non mi rivolgo neanche alla Giunta, in questo caso ...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Ma non è che non siano avvenuti.



DOTTI Augusto, relatore

... da parte anche del Consiglio Regionale, che non ha mai evidentemente, sollecitato la Giunta. In questo c'è una colpa anche nostra di noi Consiglieri. Però, è chiaro che tutti i problemi delle comunicazioni, anche dei trafori, dello sviluppo di vita, di scelte, di diversificazione anche dell'industria, devono far parte di un discorso di carattere generale.
Oltre ad una politica, quindi, di contatti con coloro che ci circondano, occorre poi una politica esterna sul piano governativo. Il discorso sarebbe lungo: ma è chiaro che l'indirizzo anche di coloro che sono responsabili dell'Esecutivo dev'essere un colloquio con il Governo centrale, comune con le altre Regioni, affinché nei momenti cruciali come l'attuale vi sia una politica se non altro di solidarietà con il Governo.
Politica che in questo momento viene a cadere non per colpa nostra. Noi ci opporremo con tutti i nostri mezzi ad una recessione, però sembra che questo discorso lo stiano facendo in questo momento con il Governo i Sindacati, e non le Regioni, che pure avrebbero sufficiente autonomia per poterlo fare nel modo più duro possibile, perché solo la disoccupazione è veramente distruzione di ricchezza.
Sull'occupazione e sulla disoccupazione c'è veramente un lungo discorso da fare. Vi ha fatto cenno la relazione della Giunta, e noi dobbiamo di nuovo sottolinearlo: purtroppo, dal rapporto IRES per il piano di sviluppo '74-'78 risulta che nel quinquennio che stiamo per affrontare avremo un calo del numero in assoluto degli occupati (non in percentuale, come vi è stato ancora ultimamente), un calo, si pensa, di sessantamila unità, sempre che il prodotto della Regione si accresca ogni anno del 4,85%, perché se ciò non fosse probabilmente ci troveremmo di fronte ad un calo ulteriore nella occupazione. E quindi evidentemente dobbiamo darci da fare, dobbiamo veramente affrontare questo grave problema, che dimostra come il Piemonte così ricco di tecnici, di persone preparate in tutti i settori, abbia bisogno di rimeditare un po' il suo piano di sviluppo.
Nella relazione si è voluto sottolineare un punto che, anche secondo il relatore, non è stato preso sufficientemente in considerazione, o non lo è stato affatto, dallo stesso rapporto IRES: l'emigrazione industriale in tutto il mondo, il fatto che i capitali vadano dove sono attratti da condizioni migliori di impiego e di utilizzo. Parlo di emigrazione verso altre Nazioni, non mi riferisco allo sviluppo del Sud, su cui siamo tutti d'accordo. In rapporto a questo fenomeno occorre fare un grosso discorso anche con gli industriali. Nel suo bilancio per l'anno 1973, la maggior Casa torinese dice di aver speso 250 miliardi: quanti di questi miliardi sono stati spesi nel Sud Italia, quanti sono stati investiti all'estero quanti in Piemonte? E' chiaro che questo è un discorso politico che va fatto con la Regione Piemonte, perché probabilmente troveremo anche dei consensi se dimostriamo questa volontà politica di fare qualche cosa anche per la mostra Regione.
Un'altra attività che dovrebbe essere sviluppata è quella di favorire ai fini dell'incremento della loro esportazione, la conoscenza dei prodotti dell'agricoltura e dell'artigianato piemontese (una attività che rientra nei nostri compiti, visto che abbiamo competenza in materia di agricoltura e di artigianato). Distribuiti qua e là nei capitoli del bilancio ho trovato 890 milioni, per fiere, esposizioni, convegni. Noi dobbiamo promuovere anche la nostra esportazione. Il Piemonte ha sempre avuto saldi attivi assai ingenti all'esportazione: lo si deduce anche da una tabellina che continua anche nel '73 e continuerà pure nel '74; saldi che in alcuni anni sono stati pari ai saldi passivi dell'intera Nazione. Questo è un campo che evidentemente la Regione ha in mano, di una imprenditorialità comprese evidentemente tutte le forze del lavoro, che fa del Piemonte l'unica Regione in Italia che possa dire di aver sempre avuto per lunghi decenni un saldo attivo nei conti valutari fra esportazione ed importazione. Ed è chiaro che se anche le importazioni sono notevolmente aumentate in valore per l'anno '73 sono affluite unicamente nei rami produttivi, e non nei rami di consumo.
La stessa IRES, nel suo rapporto (quello con la copertina gialla, tanto per intenderci), che mette in evidenza la entità del saldo attivo dell'esportazione - esportazione meno importazione - e indica per l'anno 1978 ben 1800 miliardi di lire, in questo caso compreso evidentemente anche le esportazioni verso le altre Regioni, non si riferisce ad un saldo valutario, comunque un saldo di produzione, un saldo di risorse; noi produciamo 100, consumiamo 80, il resto lo risparmiamo. E' chiaro che siamo una Regione privilegiata, e quindi dobbiamo far sentire la nostra voce dire ben forte che in queste condizioni una recessione in Piemonte sarebbe unicamente una recessione di coloro che rinunciano a produrre per far ricca la nostra Nazione.
Proprio due giorni fa, commentano i nostri provvedimenti per rimediare alla attuale crisi valutarie, pare che uno dei maggiori economisti inglesi abbia concluso: bisogna incrementare le esportazioni. Fortunatamente, noi abbiamo la possibilità di farlo, e la Regione può intervenire anche finalmente facendo un discorso di aree industriali attrezzate, favorendo in modo particolare quei settori industriali che effettivamente possono dare un contributo ancora maggiore alla esportazione.
Manca, a mio avviso, nella relazione una parte dedicata al potenziamento del terziario, che purtroppo in alcune pagine viene considerato ancora un settore quasi parassitario nella sua funzione della distribuzione. In un passaggio che mi ha colpito se ne parla come di un settore parassita dell'esodo, per esempio, agricolo o della mano d'opera industriale. Il terziario, invece, sta assumendo importanza in tutti i settori, in tutti i Paesi grandemente sviluppati, come una delle parti dell'attività economica e sociale che maggiormente incrementa il benessere delle Nazioni: quindi, terziario tradizionale, terziario non tradizionale terziario superiore, che è soprattutto quello della ricerca, delle consulenze (anche fiscali, e questa può essere una cosa ottima), delle progettazioni , di tutto quello che è l'apporto della tecnica e della fantasia produttiva di una Regione o di un popolo.
E' mancato purtroppo nella relazione il discorso sull'urbanistica, che pure è un discorso estremamente importante. E' vero che sono stati stanziati trecento milioni per iniziare i piani di coordinamento territoriali, che sono effettivamente essenziali (ed io rivolgo un sollecito alla Giunta perché ponga mano al Piano regolatore territoriale dell'area ecologica di Torino, che è essenziale per la stesura degli altri piani di coordinamento): non si sente, non si capisce, però, attraverso questi 300 milioni, cosa si farà di veramente pratico e concreto nell'anno 1974. Questa è veramente una cosa che ci dispiace. E poi, anche come indirizzo urbanistico, dev'essere ormai un leader la Regione, deve sapere suggerire il nuovo modello di vita, il nuovo modo di vivere. E noi che cosa troviamo ancor oggi? Che siamo un po' passivi, recepiamo e critichiamo.
Evidentemente, critichiamo nella misura in cui non abbiamo detto che cosa dovrebbero fare i singoli Comuni per venire incontro alle esigenze della politica regionale. Non serve più - nessuno si dolga se dico questo, è un richiamo che faccio in senso assolutamente democratico - il sistema descritto dal Machiavelli diversi secoli fa, usato dagli stranieri calati nel nostro Paese, di contrassegnare con il gesso le porte delle abitazioni che dovevano essere impunemente espropriate dalle soldataglie gozzoviglianti che occupavano l'Italia: non si può più con un tratto di pennarello, rosso o verde, creare i ricchi e i poveri dall'oggi al domani su una mappa comunale, o cose di questo genere; se si vuol mettere in pratica l'esproprio, bisogna fare le cose in modo da non recar danno ad alcuni e vantaggio ad altri. Questa è la politica regionale urbanistica che noi auspichiamo, per qualsiasi insediamento, industriale o abitativo, ed anche per i piani zonali agricoli. Noi dobbiamo agire con estrema prudenza ma comunque mirare ad attuare una urbanistica di carattere distributivo democratica e giusta.
Rinunciamo a distinguere con tratti rossi, verdi o gialli, decidendo di punto in bianco, i terreni, per indicare che in un posto deve sorgere una scuola, in un altro possono svilupparsi liberamente le abitazioni, e quindi i proprietari possono fare tranquillamente i loro interessi; salvo il giorno dopo mutar parere ed accettare di cancellare il segno verde sulla scuola lasciando quell'area fabbricabile, sotto la pressione dell'opera di convincimento, un modo di applicare il metodo democratico che ci ha sempre lasciato alquanto perplessi.
Vorrei terminare augurando alla Giunta ed anche al Consiglio Regionale di rendersi conto delle nostre capacità politiche, sia per le funzioni trasferite che sono nostre proprie sia per quelle delegate, ma soprattutto per le nostre iniziative politiche. Noi non possiamo essere dei sopravvissuti Consiglieri regionali al termine del nostro mandato: dobbiamo essere i protagonisti della politica regionale.



PAGANELLI Ettore, Assessore alle finanze e patrimonio

Un'attenta e approfondita analisi e valutazione sullo stato e sulle prospettive della finanza delle Regione, intesa soprattutto sotto il profilo economico e politico delle risorse manovrabili dal sistema regionale nel suo complesso, si presenta nella situazione attuale particolarmente importante e necessaria.
Da parte delle Regioni si sta cercando, infatti, di influire sull'indirizzo complessivo della politica economica del Paese con un impegno sotto molti aspetti nuovo, che discende sia dalla gravità della situazione economica sia dalla crisi della finanza locale, per la quale si prospetta il rischio di una vera e propria paralisi.
Il tentativo delle Regioni di muoversi in direzione di una espansione della domanda pubblica nel settore degli investimenti, sostenendo in tal modo anche gli investimenti autonomi e cercando insieme di riqualificare la spesa pubblica attraverso la promozione dei consumi sociali, presuppone non solo il realizzarsi di una convergenza tra Regioni e Governo sul piano degli orientamenti generali, ma richiede contemporaneamente che il volume delle risorse disponibili sia adeguato alle esigente finanziarie che questa linea e questo impegno comportano.



PRESIDENTE

Ringraziamo il relatore.
Ha chiesto la parola l'Assessore Paganelli. Ne ha facoltà.
Oltre che in questa prospettiva, i flussi di entrata, ed in parallelo quindi la possibilità e la capacità di spesa delle Regioni, devono essere valutati in riferimento all'assetto della, finanza regionale che si viene sviluppando ed ai rapporti che si stabiliscono tra finanza regionale e finanza statale, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi, ed anzi, ai fini di un serio e fondato giudizio politico, soprattutto qualitativi, nel senso che la struttura e la dinamica della finanza delle Regioni è un elemento di valutazione quanto mai significativo sul ruolo che può svolgere lo stesso ordinamento regionale.
Infine, per quanto riguarda più strettamente la Regione Piemonte, il momento finanziario dev'essere visto anch'esso nell'ambito di quel disegno programmatorio a cui vogliamo indirizzare tutta l'attività della Regione ed in funzione, quindi, di quel rapporto sempre più stretto tra politica di programmazione e politica di bilancio per il quale è essenziale riuscire a porre su basi programmatiche anche la mobilitazione e la creazione delle risorse. Si deve notare, a questo proposito, come nell'esperienza della programmazione nazionale si sia sino ad ora eccessivamente sottovalutato il problema della finanza pubblica come componente della politica economica sia congiunturale che strutturale, e non a caso oggi è proprio a livello di questo settore che emergono pericolose contraddizioni.
Una impostazione programmata della finanza regionale si impone, anche alla luce degli errori storicamente commessi a livello nazionale, per evitare di riprodurre una paralizzante antinomia tra le esigenze di sviluppo e quelle di stabilità monetaria, e, del resto, l'ordinamento regionale, anche nelle sue strutture finanziarie, si presenta ancora in evoluzione, e quindi con maggiore flessibilità e possibilità di assumere la più idonea configurazione, modificando anche quegli eventuali indirizzi negativi che fossero emersi in questi primi anni.
Per tutti questi motivi si rende dunque quanto mai opportuna, come dicevo, una seria analisi sullo stato della finanza regionale, che presenta invero non poche difficoltà ad essere svolta, già solo perché manca a tutt'oggi una precisa e completa documentazione sulla materia, che consenta di conoscere con completezza ed a grandi aggregati i flussi complessivi di entrata delle Regioni, ed in specie quelli attivati da trasferimenti di fondi dallo Stato per l'esercizio di funzioni delegate o in seguito ad interventi legislativi settoriali.
Rimane quindi uh margine di incertezza nell'esaminare l'andamento della finanza regionale sotto il profilo quantitativo, ma ritengo che ci nonostante la dinamica che abbiamo ricostruito presenti una sufficiente attendibilità. Considerando allora il volume delle risorse a disposizione delle Regioni a statuto ordinario, si rileva che la loro dotazione finanziaria dovrebbe salire dal 1973 al 1974 di almeno un 350 miliardi passando da 1.100 miliardi a non meno di 1.450, con un incremento percentuale del 32,6%.
Questa analisi, purtroppo, deve essere svolta al condizionale, non essendo al momento possibile prevedere con precisione l'ammontare dei trasferimenti per l'esercizio delle funzione delegate, che si è assunto non dovrebbero essere inferiori a quelli dello scorso anno e quindi la cifra che ho fornito dovrebbe semmai essere suscettibile di variazioni in aumento anche per eventuali nuovi stanziamenti per speciali interventi di settore ma non in diminuzione.
Un incremento dell'ordine del 30% rappresenta indubbiamente un'evoluzione positiva delle risorse regionali, tenendo anche conto che nello stesso periodo l'aumento delle entrate statali è stato del 14%, e quello delle risorse disponibili per uso interno del 20%.
Questa dinamica della finanza regionale è la media di andamenti molto diversi delle singole voci di entrata, per cui nel passaggio dal 1973 al 1974 si è avuta una rilevante modificazione della struttura dell'entrata su cui occorre soffermarsi.
Sotto il profilo sostanziale possiamo distinguere gli introiti della Regione in entrate proprie ed autonome - alimentate dal gettito dell'imposizione tributaria regionale e dalla partecipazione della Regione a quote dei tributi statali - ed entrate affidate invece a decisioni discrezionali dello Stato (Fondo regionale di sviluppo, assegnazioni e contributi speciali, delega di funzioni statali): questa distinzione è particolarmente significativa perché essa viene a coincidere con quella sua manovrabilità delle entrate, tra quelle che hanno una destinazione determinabile dalla Regione e quelle vincolate dallo Stato con l'assegnazione dei finanziamenti.
Dal 1973 al 1974 il primo tipo entrata, che chiameremo autonoma, è salito del 15,3%, il secondo del 60,2%, sicché le entrate con destinazione vincolata, che nel 1973 rappresentavano il 40% della finanza regionale, ne rappresentano ora il 50% ed il loro peso può ancora aumentare nel corso dell'anno.
All'espansione dell'entrata è dunque corrisposta una riduzione dell'autonomia sostanziale del sistema regionale, e questa tendenza appare progressivamente farsi sempre più forte; alla richiesta delle Regioni di maggiori flussi di entrata si viene così con crescente frequenza rispondendo con l'affidare alla finanza regionale l'erogazione di fondi la cui destinazione è già stata decisa.
In alcuni casi, come per il Fondo regionale di sviluppo, da parte dello Stato vi è solo un'indicazione di settori, e quindi la limitazione dell'autonomia regionale è solo relativa, rimanendo alle Regioni un largo margine decisionale sulle caratteristiche degli interventi da sviluppare ma, oltre al Fondo di sviluppo, vi sono le assegnazioni speciali ed i trasferimenti per l'esercizio delle funzioni delegate che insieme costituiscono oltre il 30% della finanza regionale, senza che le Regioni possano incidere sulle modalità di utilizzo di queste entrate.
Qualora questa tendenza si sviluppasse, diverrebbe preminente nell'ordinamento regionale il momento del decentramento amministrativo rispetto a quello dell'autonomia locale, con una parallela riduzione della dimensione politica dell'Ente Regione, il cui ruolo preminente diverrebbe quello di "ufficiale pagatore" per conto dello Stato.
Per il momento, questa è solo una possibile prospettiva che per essere evitata richiede però una pronta correzione di tendenza in direzione dell'autonomia regionale e quindi aumentando al grado decisionale delle Regioni nella destinazione delle loro entrate.
Bisogna ancora notare che l'incremento del 15% nelle entrate autonome è dovuto quasi totalmente al fatto che quest'anno è raddoppiata la tassa regionale di circolazione e che il gettito della quota regionale sull'imposta locale sui redditi dovrebbe essere superiore al provento delle precedenti quote regionali su diverse imposte erariali, mentre il fondo comune, che costituisce la maggior voce di entrata della finanza regionale è salito solo del 3,6%.
Se consideriamo che nel corso del 1973 il gettito delle imposte indirette a livello statale è cresciuto del 13,3%, non si può non rilevare l'urgente necessità di rivedere il meccanismo di formazione del fondo comune, che non appare assolutamente in grado di assicurare una corrispondenza tra la dinamica delle entrate tributarie dello Stato e la dinamica di quelle regionali. E' infatti facile prevedere che per il prossimo anno, non intervenendo più quegli elementi innovatori nel sistema fiscale che nel 1974 hanno consentito una certa crescita nelle entrate autonome, lo sviluppo della finanza regionale rimarrebbe completamente affidato all'incremento delle assegnazioni con destinazione vincolata ed acquisterebbe quindi maggiore concretezza, il pericolo a cui accennavo di una negativa compressione dell'autonomia e dell'autogoverno regionale.
Com'è noto, la legge sulla finanza regionale individua sostanzialmente per le Regioni quattro fondi di entrate: i tributi propri, il fondo di sviluppo e i contributi speciali di cui all'art. 119 della Costituzione.
Ora, le linee di tendenza che ho prima ricordato compromettono non poco il sistema previsto dalla legge: intanto, l'art. 12 della legge 281, quello relativo ai contributi speciali da decidersi con leggi apposite "in relazione alle indicazioni del programma economico regionale con particolare riguardo alla valorizzazione del Mezzogiorno", non ha trovato pratica attuazione, e nella misura in cui questa particolare fonte di entrata aveva una peculiare finalità perequativa ed era rivolta ad assicurare alle Regioni meridionali una più elevata possibilità di spesa questa esigenza di redistribuzione delle risorse, di cui non disconosciamo ne l'opportunità né l'importanza, ha dovuto essere soddisfatta giocando sulle altre fonti di entrata, con una conseguente distorsione, nel senso che lo sviluppo del Mezzogiorno è venuto a pesare proporzionalmente più sulla finanza regionale che non sulla finanza statale.
Del fondo comune già si è detto come esso presenti una dinamica del tutto insufficiente ed inadeguata a sostenere l'esercizio da parte delle Regioni delle funzioni loro trasferite: se infatti deflazioniamo lo stanziamento del 1974 in relazione al deprezzamento della moneta, in termini reali abbiamo addirittura un decremento intorno al 7% contro un aumento delle imposte indirette del 6,2% sempre in termini reali.
Le uniche voci, quindi, in espansione reale sono i tributi proprie come si è detto per le modifiche operate nel sistema fiscale e nella ripartizione di alcuni introiti - e il Fondo regionale di sviluppo.
L'aumento di questo fondo dai 20 miliardi del '72 ai 140 del 1973 ai 330 miliardi del '74 è indubbiamente la nota più positiva che si pu riscontrare nell'evoluzione della finanza regionale, anche se rimangono aperti, come vedremo, sia il problema politico dell'adeguatezza dello stanziamento ai fini di una politica regionale di sviluppo, sia problemi tecnico-politici sulle modalità di assegnazione e di riparto del fondo.
Eccetto che per queste due voci l'assetto che viene assumendo la finanza locale si sviluppa, dunque, al di fuori del sistema previsto dalla legge 281, e si rende perciò necessario rivedere la legge stessa soprattutto per configurare una diversa formazione del fondo comune, sia individuando imposte erariali la cui dinamica sia analoga all'andamento complessivo del gettito tributario, sia facendo confluire su questo fondo le assegnazioni e gli stanziamenti derivanti dalle varie leggi speciali.
Non si può ignorare peraltro che la riduzione delle entrate regionali con destinazione vincolata si connette strettamente con la revisione delle competenze trasferite alle Regioni: il trasferimento delle funzioni non per blocchi omogenei, ma a ritagli, ha creato sovrapposizioni e duplicazioni dispersive, ed alimenta la logica delle assegnazioni e dei contributi speciali, cercandosi con la delega di funzioni di ricreare un minimo di unitarietà e di compattezza nella gestione delle diverse materie.
La ripartizione delle competenze e l'assetto finanziario sono quindi tra loro fortemente legati, ed il processo di revisione critica che l'esperienza di questi primi anni dimostra necessario deve riguardare ambedue questi momenti senza però subordinare un nuovo assetto della finanza regionale - che appare più facilmente perseguibile a tempi brevi alla definizione della riforma delle strutture pubbliche, in specie della Pubblica Amministrazione, che è richiesta da una nuova e più adeguata individuazione delle competenze.
Da più parti si richiede invece che le possibilità di espansione della finanza regionale vengano garantite da un rilevante ampliamento della capacità di autonoma imposizione tributaria da parte delle Regioni sottolineando come l'autonomia tributaria sia una componente essenziale all'autonomia politica.
Vi è certo una parte di verità in questa affermazione, con la quale però si disconoscono altre esigenze non meno importanti ai fini di una corretta ed efficiente politica fiscale, quali la chiarezza, la semplicità e la certezza del sistema tributario. Non vi è dubbio che l'elevata evasione fiscale è stata sino ad ora favorita dalla macchinosità dell'apparato e delle disposizioni fiscali, ed in questa prospettiva la riforma tributaria rappresenta, pur con i suoi limiti, un passo in avanti come non si può negare sul piano economico ed anche costituzionale, che in uno stato moderno si debba tendere all'unitarietà del prelievo fiscale su tutto il territorio nazionale con la conseguente certezza nel diritto tributario.
D'altra parte l'obiettivo dell'autonomia può essere perseguito anche aumentando le quote di partecipazione delle Regioni al gettito fiscale dello stato, accrescendo quindi le entrate la cui destinazione può essere manovrata a livello regionale con ampio grado di libertà decisionale.
Oltre che sotto il profilo istituzionale la dinamica della finanza regionale deve essere considerata anche in relazione alle esigenze ed agli indirizzi della politica economica e sociale, sia nazionale che delle Regioni.
A questo riguardo si deve notare come alle Regioni sono state attribuite funzioni caratterizzate da una domanda crescente di intervento pubblico, per sviluppare la dotazione di beni collettivi come per riorganizzare settori produttivi: si pensi alla sicurezza sociale, ai trasporti, all'assetto territoriale, all'urbanistica, all'agricoltura.
Ora, nella misura in cui le entrate autonome - gettito tributario e fondo comune - sono stazionarie in termini reali e larga parte delle entrate extratributarie sono a destinazione vincolata, il margine di manovra delle Regioni si restringe all'utilizzo del fondo di sviluppo e di quegli stanziamenti per l'agricoltura che vengono ad integrarlo.
Anche in questo caso i poteri decisionali delle Regioni sono limitati dalle leggi di stanziamento o dalle indicazioni del CIPE, ma comunque vi è una larga convergenza tra Stato e Regioni nell'individuare i settori in cui indirizzare la spesa. Rimane però prescindendo ora dai problemi di autonomia, la questione dell'adeguatezza delle entrate agli interventi ed alla spesa che si deve sostenere.
All'inizio del 1974 il Governo ha chiesto alle Regioni di concorrere alla formulazione ed alla gestione del piano annuale, da indirizzare sopratutto allo sviluppo degli investimenti pubblici e le Regioni presentarono di conseguenza una serie articolata di proposte, in relazione alle esigenze di interventi strutturali e congiunturali richiesti dalla situazione economica del paese, come in relazione alle loro capacità di spesa.
Nel documento presentato dalle Regioni e la cui validità non è stata contestata dal governo, si indicavano investimenti pluriennali per circa 4.000 miliardi sino al '78, 1160 dei quali potevano essere attivati nel '74.
Prima ancora che essere una richiesta quella delle Regioni era una risposta ad una domanda del governo, il quale chiedeva il loro concorso per sviluppare i consumi collettivi e sostenere gli investimenti sociali e produttivi.
Come ho detto le indicazioni finanziarie avanzate dalle Regioni non sono state contestate nella loro validità, ma a fronte dei 1.160 miliardi occorrenti per il 1974, abbiamo i 330 miliardi del fondo regionale di sviluppo, i 130 del rifinanziamento del Piano verde ed i 60 recentemente stanziati per la zootecnia (sui quali pesano forti dubbi quanto alla possibilità di erogarli nel corso dell'anno). In tutto dunque un massimo di 520 miliardi, che non possono costituire un volano sufficiente per quella politica degli investimenti che si è chiesto alle Regioni di fare ed a cui le Regioni, per parte loro, vorrebbero indirizzarsi.
Infine si deve sottolineare come le modalità ed i tempi di assegnazione dei finanziamenti alle Regioni non consentano una seria programmazione finanziaria ed ostacolino quindi anche una politica di bilancio programmata, non dico su basi pluriennali, come pure sarebbe necessario, ma anche solo su base annuale.
Il fatto stesso che alla fine di maggio non sia ancora possibile conoscere con sufficiente certezza quale sarà il volume complessivo della finanza regionale ed ancor meno per ogni Regione sapere su quali entrate potrà contare, è quanto mai indicativo di questo stato di cose e concorre anch'esso a convalidare la richiesta di un riesame dei meccanismi che regolano i rapporti finanziari tra Stato e Regioni.
Mentre l'art. 9 della legge 281 prevede che l'ammontare del fondo di sviluppo sia determinato per ogni quinquennio, a metà dell'anno non è neppure ancora stato fissato il criterio di riparto per il 1974 ed i bilanci delle Regioni non possono quindi che formulare necessariamente previsioni molto prudenziali sulla base dei fondi ricevuti nel 1973.
Così per quanto riguarda le assegnazioni ed i contributi per l'esercizio delle funzioni delegate, essi non sono iscrivibili in larga parte che per memoria e si tratta di non meno di 300 miliardi a livello nazionale.
La difficoltà di programmare in termini correlati i flussi di entrata e di spesa è quindi evidente ed essa si accompagna ad un altro ordine di difficoltà che viene presentandosi con peso crescente e che è costituito dallo stato della finanza locale.
Alla richiesta di maggiori finanziamenti si oppone alle Regioni che anch'esse stanno accumulando residui passivi e che dunque la loro capacità di spesa è nettamente inferiore al volume di entrate che già attualmente ricevono. Se esistesse a livello nazionale e regionale un bilancio di cassa oltre al bilancio di competenza sarebbe facile dimostrare, cifre alla mano che per le Regioni non si tratta di scarsa capacità di spesa e che i residui passivi regionali hanno altra origine.
Intanto molti stanziamenti formalmente imputabili ad un anno finanziario vengono assegnati sul finire dell'anno stesso ed è quindi impossibile utilizzarli se non marginalmente nell'anno a cui si riferiscono: è questo il caso del fondo di sviluppo che nel 1973 ad esempio venne ripartito nel mese di settembre.
In secondo luogo vi è sovente una sfasatura temporale tra l'assegnazione e l'effettiva erogazione dei fondi, che parimenti produce dei residui di stanziamento per la nostra Regione ad esempio circa il 13,2 delle assegnazioni formalmente stanziate dallo Stato pari ad 11 miliardi non ci è ancora stato consegnato.
In ultimo, e sotto certi aspetti è questo l'elemento più grave, nella misura in cui una consistente quota degli stanziamenti regionali è rappresentata da spese di trasferimento per contributi ai comuni e questi non sono in grado di accendere mutui, per la loro situazione finanziaria e per la stretta creditizia in atto, questa spesa non può essere attivata e si traduce dunque in residui passivi.
Non si vuole con ciò disconoscere che esista anche per le Regioni l'esigenza di migliorare e di rendere più efficiente il meccanismo di erogazione della spesa, ma sarebbe ingiusto ed erroneo ritenere che questo sia il problema centrale, quando invece occorre risanare la finanza locale ammodernare e snellire le procedure statali (che appesantiscono anche la finanza regionale) e rendere più certo e continuo il flusso dei finanziamenti dello Stato alle Regioni.
L'esistenza dei residui passivi (e qui sarebbe opportuno aprire una brevissima parentesi, non polemica, in riferimento ad un articolo con grossi titoli apparso ieri sulla "Stampa" in cui si sostiene che la Regione tiene grosse somme improduttive. Certamente ehi ha fatto queste dichiarazioni non sarebbe incorso in questo grosso svarione solo che avesse letto più attentamente il bilancio della Regione ed in particolare il cap.
45 dell'entrata in cui sono previsti sei miliardi più interessi attivi) che richiede certamente il massimo impegno per smaltirli rapidamente evitando che si produca una situazione come quella nazionale, non smentisce comunque, viste quali ne sono le cause, le esigenze di espansione della finanza regionale, necessaria sia per le ragioni politico-istituzionali connesse ad un pieno esplicarsi dell'autonomia regionale, sia per i motivi strettamente economici, derivanti dall'ampiezza degli interventi che si debbono compiere nei settori di competenza regionale.
Nel 1973 la finanza delle Regioni rappresentava il 5,6% del bilancio statale, nel 1974 potrà rappresentare il 6,2%: una quota troppo modesta perché l'ordinamento regionale possa essere quel fattore innovativo nella vita istituzionale ed economica del paese, com'è invece richiesto dal disegno costituzionale e come era negli stessi intendimenti delle forze politiche che hanno concorso all'istituzione delle Regioni a statuto ordinario.
Venendo alla situazione finanziaria della nostra Regione, essa presenta nel suo complesso una dinamica analoga a quella complessiva della finanza regionale, con un saggio di incremento leggermente inferiore rispetto alla media nazionale, dato che i criteri di ripartizione degli stanziamenti statali si propongono obiettivi di redistribuzione perequativa delle risorse e favoriscono quindi le regioni meno sviluppate.
Di conseguenza a fronte di un'ipotesi di crescita della finanza regionale intorno al 31%, per il Piemonte si può avanzare una previsione di crescita delle nostre entrate sul 27%, supponendo che il fondo regionale di sviluppo sia ripartito con i parametri utilizzati nel '73 e che le assegnazioni ed i contributi speciali non siano inferiori a quelli dello scorso anno.
A livello teorico quindi le risorse disponibili - prescindendo dal ricorso ai mutui - dovrebbero passare da circa 102 miliardi, quante erano quelle formalmente attivate nel 1973, a non meno di 132 miliardi per il 1974 a cui si devono aggiungere 12 miliardi, imputabili al 1973 ma che non abbiano ancora ricevuto, per un totale quindi di 144 miliardi. Devo per sottolineare, per evitare equivoci o alimentare facili illusioni che siano a livello di risorse tecniche, mentre sul piano pratico a fronte di 89 miliardi e mezzo che abbiamo effettivamente riscosso nel 1973 dovremmo passare ad un 130 miliardi durante il 1974 se rimane inalterato il rapporto tra assegnazioni e riscossioni di fondi statali e se riscuoteremo quanto ancora ci aspetta sul 1973. Chiaramente si pone però l'obiettivo di riuscire a percepire tendenzialmente il 100% delle assegnazioni e quindi potremo anche superare il volume indicato, se da parte dello Stato si opererà per rendere più efficienti i rapporti con la finanza regionale.
Le cifre che ho esposto superano le previsioni del bilancio che vi è presentato: in quella sede infatti non si poteva tenere conto se non in minima parte della quota che ci verrà dal fondo di sviluppo, come non si potevano indicare tutte le entrate extratributarie e quelle che confluiscono nelle contabilità speciali.
A livello politico mi sembra però necessario superare queste difficoltà formali e ragionare sul volume di entrate che prevediamo effettivamente siano a nostra disposizione, una disponibilità sempre relativa per il peso che anche nel nostro bilancio reale hanno i fondi a destinazione vincolata.
In questa prospettiva il problema centrale è rappresentato dagli investimenti che dobbiamo realizzare per conseguire gli obiettivi fondamentali della programmazione regionale, dal riequilibrio territoriale alla diversificazione produttiva alla crescita dei consumi sociali, tenendo conto che ciascuno di questi punti richiede non solo iniziative politiche ma interventi finanziari per la creazione di un maggior volume di beni e di dotazioni collettive e per gli interventi nei settori produttivi.
Nell'ultimo rapporto dell'IRES si indica un volume di investimenti regionali nel quinquennio 1974/1978 pari a 275 miliardi per l'infrastruttura: razione civile e sociale del territorio e come si dice anche nella Relazione al bilancio quest'ordine di investimenti, in sé e per sé considerato, non crea problemi di compatibilità con le entrate di cui dovrebbe poter disporre nel periodo la finanza della Regione. Se per consideriamo che oltre agli investimenti proposti dall'IRES ve ne sono altri in diversi settori, da quello dei trasporti a quello dell'agricoltura, e questi ultimi vengono assumendo un rilievo notevole, e se ancora teniamo presente lo stato della finanza locale, per la quale solo nella infrastrutturazione l'IRES ipotizza 364 miliardi di investimenti possono allora porsi in prospettiva dei seri problemi di compatibilità non pienamente risolvibili con il ricorso ai mutui bancari. Si pongono allora due ordini di esigenze: quella di applicare il volume delle risorse di cui la Regione può disporre e quello di giungere ad una rigorosa programmazione pluriennale dell'impiego delle risorse stesse.
L'espansione dei flussi finanziari si lega da un lato con l'impegno che dobbiamo dispiegare insieme con le altre Regioni per la revisione della legge sulla finanza regionale al fine di ottenere un più consistente volume di entrate e da un altro lato alla creazione di nuovi strumenti operativi che consentano di mobilitare anche capitali privati in direzione di investimenti per la collettività.
Mi riferisco con ciò alla società finanziaria regionale, per la quale sembrano ormai rimossi gli ostacoli istituzionali che si presentavano lo scorso anno e che quindi deve ricevere una pronta definizione per poter entrare nella fase operativa ancora nel corso di questa legislatura, in modo che entro il 1978 dalla finanziaria possa venire ben più dei 15 miliardi di investimenti prudenzialmente ipotizzati dall'IRES.
Anche per quanto riguarda infine la programmazione finanziaria componente essenziale del piano di sviluppo regionale, ritorna l'esigenza su cui mi sono già soffermato di un più efficiente rapporto tra finanza statale e finanza regionale che consenta di formulare previsioni realistiche e di disporre con regolarità delle risorse stanziate.
In conclusione si deve ribadire la necessità che Stato e Regioni sviluppino un concreto e serrato confronto intorno ai problemi del sistema finanziario regionale, adempiendo ad un impegno assunto dal Governo già nell'ottobre dello scorso anno, e non vi è in questa richiesta una preconcetta e polemica ostilità verso lo Stato, ma anzi la convinzione che solo mettendo le Regioni in grado di adempiere compiutamente alle loro funzioni, si possono consolidare e migliorare tutte le istituzioni pubbliche, in un coerente disegno di sviluppo democratico dello Stato e del potere locale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare l'Assessore Simonelli, ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Signor Presidente, colleghi, come indicato dalla relazione della Giunta il bilancio per il 1974 si presenta con tre caratteristiche fondamentali: tende ad essere un bilancio onnicomprensivo, cioè con la massima mobilitazione delle risorse disponibili; tende ad essere un bilancio programmatico; tende a collocarsi e a collocare quindi l'attività della Regione nel quadro della situazione economica congiunturale e strutturale del Piemonte e del Paese.
E' onnicomprensivo nel senso che cerea di ricondurre, nelle sue previsioni, tutte le possibili fonti di entrata. Mi limito, a tal proposito, a fare un semplice riferimento all'ampia relazione svolta poc'anzi dal collega Paganelli, nella quale si sono evidenziate tutte le componenti di questa mobilitazione di risorse.
Tende ad essere programmatico e questo da un triplice punto di vista: innanzi tutto perché vuole collocarsi nella logica del piano regionale di sviluppo di cui anticipa alcune soluzioni; in secondo luogo perché diventa strumento essenziale di attuazione del programma della Giunta, che infatti trova nel bilancio puntuale momento di verifica, di conferma e riferimento in terzo luogo perché non si limita ad essere documento contabile che enuncia le entrate e le spese, ma si accompagna ad una ampia definizione di progetti di intervento, di ricerche a sostegno della attività della amministrazione regionale, di leggi che devono costituire la trama attraverso la quale il programma si realizza.
Sotto questo profilo mi sembra importante stabilire il rapporto che il documento in discussione oggi viene ad avere con il piano regionale di sviluppo, un rapporto che secondo la Giunta ha da essere strettissimo, ma non al punto da sostituire le indicazioni del bilancio a quelle che solo il piano di sviluppo potrà dare.
Noi abbiamo cercato di dare al bilancio un respiro programmatico abbiamo detto che esiste ormai intorno agli obiettivi del piano regionale di sviluppo una larga convergenza tra forze politiche e sociali nel contesto della Regione; abbiamo detto che sarebbe stato sbagliato aspettare che si formalizzasse, con il voto del Consiglio il piano per cominciare una politica di programmazione: abbia detto perciò che col bilancio '74 bisognava cominciare a realizzare il disegno della programmazione; abbiamo anche tentato, attraverso un'indicazione degli impegni di spesa, non di fare un bilancio pluriennale, ma di dare almeno il quadro delle previsioni di spesa pluriennali, così come nascono dalle leggi già in vigore, dalle leggi approvate, dalle leggi di cui si propone l'approvazione.
Nella tabella n. 1, è indicato proprio questo respiro pluriennale della attività di spesa della Regione che se non costituisce formalmente un bilancio pluriennale (e dirò subito dopo perché, a mio giudizio, quest'anno non era possibile né opportuno fare un vero bilancio pluriennale) rappresenta tuttavia una sufficientemente attendibile previsione sugli interventi pluriennali che la Regione si prefigge di compiere.
Non era possibile fare un vero e proprio bilancio pluriennale per una ragione molto semplice: noi riteniamo che, secondo il dettato dello Statuto, si possa parlare formalmente di bilancio pluriennale soltanto come strumento di attuazione del piano regionale di sviluppo; le norme statutarie al riguardo sono estremamente chiare e non si prestano ad interpretazioni diverse: di un vero e proprio bilancio pluriennale di attività e di spesa si può parlare in quanto esiste l'indicazione fondamentale del piano regionale di sviluppo, che è l'unica sulla base della quale può essere previsto, con un certo vincolo, l'impegno pluriennale della spesa della Regione.
Del resto nella stessa direzione procede la normativa che dovrebbe portare alla riforma della legge di contabilità delle Regioni. Il Consiglio sa che da mesi è al lavoro una Commissione mista Stato-Regioni per procedere alla elaborazione di un testo di riforma della contabilità regionale, questa Commissione ha in pratica esaurito i suoi lavori e la legge di riforma della contabilità regionale sta per essere portata alla discussione e all'esame della Commissione Interregionale della programmazione nella quale sono rappresentate tutte le Regioni.
Tra gli elementi più qualificanti della riforma della Contabilità regionale c'è proprio la previsione, all'art. 1 della formazione di un programma finanziario pluriennale: questa norma prevede che la Regione predisponga un programma finanziario pluriennale di durata varia, comunque non superiore ad un quinquennio. Si prevede che ogni anno, contestualmente all'approvazione del bilancio annuale, ci sia l'approvazione del programma finanziario pluriennale il quale costituisce il quadro delle risorse da impiegare da parte della Regione per tutto il periodo di riferimento, sia in base alla legislazione statale e regionale già in vigore, sia in base ai previsti nuovi interventi legislativi della Regione, stabilendo inoltre che questo programma pluriennale possa rappresentare la sede per il riscontro della copertura finanziaria di nuove maggiori spese stabilite da leggi della Regione a carico degli esercizi futuri.
Questa innovazione legislativa ci dà il senso di che cosa debba essere un programma pluriennale, qualcosa cioè che non consiste in un atto volontaristico, ma che rappresenta un minimum di impegno, anche sotto il profilo giuridico, per quanto riguarda la spesa pluriennale. Ed è a un riferimento di questo tipo che noi pensiamo, nella convinzione che qualcosa del genere possa già essere possibile per il 1975.
Io credo che per quest'anno non si sarebbe potuto fare di più di quello che si è tentato di fare, ma che per il 1975 si creeranno le condizioni per poter andare ancora più avanti nell'elaborazione di documenti diversi, in ordine alle previsioni finanziarie ed economiche, della Regione. E questo perché nel 1975 ci sarà il piano regionale di sviluppo, sarà, noi ci auguriamo, approvata la riforma della contabilità regionale, sarà, noi riteniamo approvata la riforma della legge 281 sulla finanza regionale e ci sarà soprattutto a disposizione il quadro programmatico già delineato quest'anno per gli interventi della Regione.
Il bilancio che viene oggi portato all'attenzione ed alla approvazione del Consiglio ha avuto una genesi difficile e complessa, come ricorda il relatore, ha subito dei ritardi, ha avuto diverse stesure, ha presentato anche delle difficoltà per la fase della consultazione, proprio perché non tutti i documenti che lo accompagnano, ed in particolare la relazione della Giunta, hanno potuto essere pronti tempestivamente affinché venissero fatti oggetto della consultazione. Sono ritardi in gran parte dovuti alla difficile genesi anche sotto il profilo del momento politico in cui il bilancio è nato e la Giunta ha già manifestato, e lo ribadisce qui oggi l'impegno a predispone tempestivamente la formazione del bilancio preventivo per il 1975, documento che dovrà essere iniziato - almeno come indicazione delle sue linee portanti e come apertura della consultazione con le forze sociali, con gli Enti locali e con le forze economiche della Regione - immediatamente dopo l'approvazione del bilancio 1974 e comunque certamente prima dell'estate.
La formazione del bilancio è stata complessa, difficile, per molti versi innovativa proprio perché ha tentato di tenere conto della realtà così come si è venuta modificando nel corso degli ultimi anni; un bilancio complesso sotto il profilo politico e sotto il profilo tecnico. E qui mi piace dare atto dello sforzo e della fatica che i funzionari e i dipendenti della Regione hanno fatto lavorando assiduamente per molto tempi intorno a questo documento, in particolare gli uffici dei due Assessori alle finanze e al bilanci, che si sono impegnati in modo duro e continuativo.
Il bilancio si è presentato aperto al confronto, in seno alla Commissione consiliare, tra le varie forze politiche, tanto è vero che giunge oggi in Consiglio con alcune significative modifiche rispetto al testo iniziale che era stato presentato dalla Giunta. E direi che le modifiche attengono ad alcuni importanti settori prioritari sui quali ci sono stati il dibattito ed il confronto in seno alla prima Commissione così che si è giunti ad alcune modifiche che noi riteniamo ampiamente positive proprio perché testimoniano della volontà di legare sempre più il bilancio alla realtà della regione, in modo che sia sempre meno qualcosa di astratto, che naviga nella stratosfera delle buone intenzioni e sempre più invece qualcosa di concreto, collegato alle lotte, alle esigenze reali, ai bisogni concreti della società regionale.
Non vorrei soffermarmi ad indicare, anche sinteticamente, il quadro dei nuovi interventi, delle modifiche, delle priorità perché penso che sia sufficientemente chiaro e non credo di dover portare via tempo per questa analisi che è nota e che semmai sarà ripresa nel corso del dibattito.
Vorrei soltanto dire che le priorità individuate dalla programmazione nazionale, individuate dal movimento dei lavoratori, portate avanti dagli Enti locali e dalle forze politiche, hanno soprattutto fatto perno intorno ad alcuni settori: innanzitutto l'agricoltura, per la quale il bilancio stanzia delle somme rilevanti che sono state ulteriormente integrate con le leggi in fieri, a cominciare da quella sulla zootecnia che è in discussione dinanzi al Consiglio, e alle altre leggi che sono davanti alla Commissione o per le quali la Giunta ha assunto precisi impegni.
Un'altra priorità tenuta presente dal bilancio regionale in modo particolarmente significativo riguarda il settore dell'assistenza scolastica e della formazione professionale per il quale l'aumento degli stanziamenti è accompagnato all'impegno di una riforma legislativa del settore, con la formulazione di una legge regionale che unifichi gli interventi nel settore dell'assistenza per la scuola dell'obbligo e contenga un'ampia delega agli enti locali per gli interventi relativi.
Una terza priorità riguarda il settore dei trasporti per il quale lo sforzo della Regione si è tradotto nelle tre leggi già approvate dal Consiglio, che fanno in pratica del Piemonte una delle prime Regioni ad intervenire concretamente in quello che si è chiamato "il piano autobus" che è comunque il tentativo di spostare rilevanti somme verso il trasporto pubblico, garantendo i fabbisogni di trasporto collettivo che sono crescenti a fronte della crisi energetica e della prevedibile crisi che ne conseguirà per il trasporto privato.
Un quarto settore di priorità che si è indicato riguarda infine le opere pubbliche, civili, sociali, soprattutto realizzate dai Comuni e dalle Province per il quale si è fatto uno sforzo consistente e mentre sono in gestazione provvedimenti legislativi importanti, in particolare per quanto riguarda il settore degli interventi per la tutela dell'ambiente, per lo smaltimento dei rifiuti e per la depurazione delle acque e per il quale si è deciso, anche in base alla consultazione di stabilire degli impegni direttamente a carico del bilancio anziché con il ricorso a mutui.
Il bilancio, come ricordavano il collega Paganelli poc'anzi e il relatore Dotti prima, pareggia intorno ai 126 miliardi; tuttavia le risorse disponibili, per le quali c'è uh impegno politico ad utilizzarle, sono di gran lunga maggiori, tenendo conto degli investimenti per i quali si indica un finanziamento a mutuo, e che ammontano a circa 70 miliardi; e della possibilità di utilizzo, delle somme corrispondenti all'avanzo di amministrazione degli esercizi '72 e '73, che si può stimare per ora prudenzialmente intorno ai quattro miliardi, mentre il loro definitivo ammontare sarà chiarito non appena i rendiconti '72 e '73 saranno approvati dal Consiglio. E qui desidero riconfermare l'impegno della Giunta, già espresso in Commissione, a portare prima dell'estate i rendiconti '72 e '73 all'esame ed all'approvazione del Consiglio Regionale.
Si tratta dunque di una grossa mobilitazione di risorse cui si accompagna, e non a caso, il quadro degli impegni legislativi della Regione. Il relatore Dotti ha già opportunamente ricordato come nella relazione si dia il conto di un insieme di ben 26 provvedimenti legislativi nuovi. E' chiaro che questo impegno è strettamente legato ad un bilancio che possa e sappia mobilitare le risorse necessarie; perciò da un lato dobbiamo cercare di spendere il più possibile, dando evidentemente importanza ai settori prioritari, dall'altro, dobbiamo cercare di far sì che la nostra spesa vada orientata in misura crescente secondo i criteri nuovi ed adeguati alle necessità della Regione. Quindi dobbiamo cercare di ampliare la parte della spesa che è retta dalla legislazione regionale cioè che ha come suo, fondamento sostanziale la normativa autonoma della Regione, proprio perché - e lo ricordava in modo egregio il collega Paganelli poc'anzi - nel sistema della finanza regionale, che non privilegia l'autonomia delle Regioni, le entrate autonome sono scarse mentre i trasferimenti da parte dello Stato tendono ad essere vincolati, a configurarsi come risorse soltanto trasferite per l'erogazione, ma con un quadro di riferimento già tracciato da parte dell'amministrazione centrale.
E' dunque attraverso un'adeguata legislazione regionale e la mobilitazione di risorse aggiuntive attorno a leggi della Regione che deve prendere corpo quell'autonomia regionale per la quale la legge 281 si rivela oggi in realtà non una legge larga, ma una camicia di forza che rischia di vincolare in modo severo le possibilità autonome della Regione.
Il quadro degli impegni legislativi, cui si accompagna il quadro delle ricerche in corso o in programma, ai fini della redazione del piano di sviluppo regionale, è - unitamente al Bilancio - la piattaforma sulla quale deve incentrarsi la discussione. L'indicazione delle leggi significa infatti, la volontà della Regione di marciare su direzioni nuove e nei settori di maggiore interesse per la collettività.
Per questa ragione, mi pare che si possa parlare della presentazione di un quadro programmatico, proprio perché, indicando 26 interventi legislativi, la Giunta in pratica indica il terreno sul quale la spesa regionale si dovrà mobilitare nei prossimi anni e apre quindi la possibilità di un confronto non sulle linee astratte del piano, ma sulle linee concrete delle scelte che di volta in volta dovremo fare nei diversi settori. L'approvazione del piano, che la Giunta si è impegnata a portare in Consiglio entro il 1974, sarà perciò contemporanea all'impostazione dell'attività legislativa e non vi saranno perciò più leggi casuali disarticolate rispetto al disegno programmatico né il piano resterà un sogno nel cassetto, non confortato dal supporto della legislazione regionale.
L'analisi compiuta nella relazione intorno alla situazione economica congiunturale e strutturale ci ha consentito di evidenziare il ruolo importante cui la Regione è chiamata, un ruolo che non corrisponde alla velleitaria pretesa di fare i primi della classe, di giocare una partita al di sopra delle nostre possibilità. Noi sappiamo che le possibilità della Regione sono limitate, le stesse dimensioni del bilancio sono limitate anche tenendo conto della capacità di mobilitazione di risorse ulteriori private e pubbliche, che il bilancio consente. Certo, noi ci rendiamo conto che 126 o 190 miliardi nel contesto del Piemonte non consentono di invertire la rotta, non consentono di modificare la congiuntura, anche se sono certamente un contributo non indifferente alla tenuta del sistema economico regionale. Però sappiamo anche che la Regione ha, accanto alle possibilità dirette di spesa e quindi ai poteri di intervento che gliene derivano, delle grosse possibilità come iniziativa politica e come punto di riferimento, tanto per gli imprenditori pubblici e privati e in genere per tutti i soggetti che si muovono nella realtà della Regione, quanto nei confronti dello Stato e delle altre Regioni.
Vorrei qui passare brevemente in rassegna questo quadro di riferimento e, se mi consente il relatore Dotti dire innanzitutto che la Giunta ha cercato in questi cinque mesi di fare il massimo degli sforzi possibili per andare in questa direzione- La prima esigenza che è emersa già dalle consultazioni effettuate in seno alla I Commissione con i grandi gruppi imprenditoriali che agiscono della Regione, ha riguardato la necessità ormai inderogabile di procedere ad una contrattazione programmata della Regione con le aziende, in modo particolare con le grandi aziende. Non è possibile che la Regione proceda come Ente di programmazione e di indirizzo senza conoscere i programmi di investimento e almeno nelle sue linee generali, la distribuzione territoriale degli investimenti delle grandi imprese. E allora è chiaro che quell'iniziativa è cominciata in seno alla I Commissione e che poi ha avuto significativi sviluppi nei tempi successivi attraverso contatti sia a livello di I Commissione ancora, sia a livello di Giunta, deve essere continuata.
I sindacati ce lo hanno richiesto negli incontri avuti con la Giunta in modo esplicito e la Giunta si è impegnata in modo esplicito. Occorre procedere ad una contrattazione programmata con le aziende che abbia sviluppo in tre direzioni fondamentali: innanzi tutto per quanto riguarda la conoscenza e, nei limiti in cui la Regione lo può fare, l'indirizzo degli investimenti ai fini della diversificazione produttiva della economia regionale. E quando diciamo questo, individuiamo nella diversificazione produttiva non soltanto l'obiettivo che hanno di fronte le piccole e medie aziende nel contesto della Regione, ma una necessità e un'esigenza anche per i grandi gruppi che operano nella Regione. Sarebbe un tragico errore se di fronte alla difficile situazione cui si trova oggi l'economia piemontese la Regione, rinunciasse, per una specie di timore reverenziale, nei confronti dei grandi gruppi, a gestire la politica di piano, con riferimento all'intera realtà economica regionale. Quindi non esistono delle isole, delle fasce del grande potere economico che se la vedono solo con lo Stato mentre la Regione si limita a tenere i rapporti con le forze economiche minori; esiste la necessità di un confronto globale con tutte le forze economiche presenti nel contesto regionale, perché se la politica di diversificazione da lungo tempo individuata da chi si batte per una politica di piano è oggi diventata una necessità chiara anche alle forze economiche, allora questa politica deve essere contrattata, programmata anche con la Regione.
Su questo terreno la Giunta ha avviato tre iniziative di ricerca e di studio importanti che vengono incontro alle esigenze di cui il consigliere Dotti si è fatto carico nella sua relazione: quella sulla diversificazione produttiva, con individuazione dei settori alternativi a quelli tradizionali; quella sul comparto delle piccole e media imprese operanti nella Regione per verificare il grado di dipendenza ed il grado di autonomia rispetto all'industria motrice; e quella infine sul terziario superiore, visto come settore attraverso il quale è possibile, da un lato una grossa innovazione tecnologica, dall'altro, una qualificazione di tipo strutturale dell'economia piemontese.
Per terziario superiore non intendiamo soltanto i servizi ad alto livello della pubblica amministrazione - ad esempio, Università e ricerca e neppure soltanto i servizi terziari in senso tradizionale, anche se moderni e innovativi, dall'assicurazione alla banca, all'intermediazione e ai servizi di questo tipo, ma anche quella parte di terziario che è incorporato ed inglobato nell'attività produttiva, cioè quella parte di terziario che attiene alla progettazione, alla ricerca, all'engineering e così via, che fa quindi parte dell'industria, che è incorporato all'interno dei settori industriali. Questo insieme di attività rappresenta, tra l'altro, una delle componenti di maggiore interesse in una politica che voglia produrre per esportare, e quindi punti su quei comparti produttivi che presentano rilevanti capacità di esportazione negli altri paesi.
E' chiaro che più riusciamo a sviluppare questo tipo di industria ad alto livello tecnologico, compresi quei settori del terziario superiore che hanno un mercato favorevole, e più abbiamo la possibilità di sottrarci ai rischi che la difesa dell'occupazione si traduca in una scelta concorrenziale con la politica meridionalista per il nostro Paese, che è il rischio che noi non vogliamo e non dobbiamo correre.
E' vero, ci sono dei problemi di occupazione per la nostra Regione nei prossimi anni, non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte ad una realtà che mostra difficoltà per la tenuta dei livelli occupazionali, ma guai se la risposta della Regione fosse nel senso di una svolta antimeridionalista tutta volta al recupero, al nostro interno, dei margini fattibili a qualunque costo. La verità è che a queste difficoltà che si prevedono, noi possiamo rispondere soltanto riconfermando, da un lato, l'impegno meridionalista a cui siamo tenuti non solo per un ossequio statutario, ma per la convinzione intorno a scelte irreversibili per il paese, ma dall'altro cercando di riqualificare il tessuto industriale della nostra regione.
Non quindi cercando di creare comunque condizioni maggiori di impiego ma qualificando gli sviluppi di settori nuovi, di settori diversificati capaci di garantire il quadro del livello occupazione della Regione e anche di far fare un salto qualitativo alla Regione nel suo complesso.



BERTI Antonio

Siamo in grado di dire no alle autostrade, ai trafori, alle tangenziali ? Questo è il punto.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Questo è un discorso diverso, io stavo parlando dello sviluppo industriale della Regione, le autostrade, i trafori e le tangenziali sono...



BERTI Antonio

Sono tutte parole se non si arriva a questo.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

No, sono scelte compiute come è noto a Lei ed al Consiglio, da organismi che non sonò la Regione e soprattutto scelte che stanno alle nostre spalle e non davanti a noi e sulle quali...



BERTI Antonio

Il nuovo ruolo di cui tu parli si esercita nella misura in cui si impediscono delle scelte ché lo contrastano.
Che cosa intende fare la Regione? Quale impegno assume?



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Per quanto riguarda le cose cui Lei fa riferimento ne abbiamo già discusso, è un discorso già fatto in questa e in altre sedi.



RIVALTA Luigi

Cioè le avete accettate.



SIMONELLI Claudio

Assessore alla programmazione e bilancio. Il secondo impegno per il quale la contrattazione programmatica è importante, riguarda la distribuzione territoriale delle iniziative industriali. Anche qui torna il discorso del riequilibrio e del limite che deve essere posto ad uno sviluppo indiscriminato dell'area metropolitana e quindi la necessità di procedere per le diverse aree ecologiche a questo confronto e a questa verifica sugli investimenti, perché è chiaro che il discorso si pone per tutta la realtà del Piemonte e per le diverse aree territoriali.
Il terzo discorso che ci interessa e sul quale dobbiamo impegnarci nella contrattazione programmata riguarda un altro elemento che già il relatore Dotti ha indicato, il problema delle contribuzioni industriali delle grandi aziende, cioè quelle contribuzioni che sono state strappate nel corso delle recenti vertenze dai sindacati e che prevedono interventi delle grandi aziende in alcuni servizi sociali, interventi che peraltro necessitano di qualcuno che li coordini e li conduca ad operatività, per non correre il rischio di rimanere sulla carta. Questi interventi, tra l'altra previsti da alcuni dei contratti più importanti , per esempio quelli della FIAT e della FACIS, non possono andare a residuo. L'impegno che i gruppi industriali, hanno assunto con i sindacati, siglando gli accordi aziendali, è che le erogazioni per i servizi sociali sono fatte anno per anno e quelle non utilizzate nel corso dell'anno vengono perdute e non possono essere trasferite sull'anno successivo. C'è dunque la necessità di un coordinamento degli Enti locali, che sono i destinatari diretti di queste contribuzioni e la Regione è impegnata a questa verifica ritenendola importante non solo per il valore emblematico che queste contribuzioni hanno assunto, come inizio di un discorso nuovo nei rapporti sindacali, ma perché contribuiscono a risolvere dei problemi nelle aree di nuovo insediamento.
Questo insieme di esigenze nate dai problemi di questi mesi e confermate dalla consultazione in seno alla I Commissione, che sono venute prendendo corpo anche nel confronto con le forze politiche, con le forze dell'opposizione, con le forze comuniste in particolare, credo ci abbiano consentito di fare un grosso passo avanti nell'individuazione di problemi che stavano alle nostre spalle come obiettivi del piano di sviluppo. Da quando discutiamo di programmazione sappiamo che gli obiettivi di fondo del piano di sviluppo sono: la diversificazione produttiva e il riequilibrio territoriale. Noi oggi però siamo in grado di fare questo discorso in termini più sofisticati, più approfonditi di quelli che ci erano soliti abbiamo acquisito alcune consapevolezze maggiori, siamo in grado di procedere su questa strada con elementi nuovi di valutazione.
E' chiaro che il punto di riferimento fondamentale resta il discorso del riequilibrio territoriale e il discorso dei comprensori, sui quali c'è un impegno preciso da parte della Giunta per avviarne tempestivamente la relazione. Abbiamo scontato anche qui l'impossibilità di individuare i comprensori come livello di governo con legge regionale, ma stiamo verificando la possibilità di fare partire comunque un'iniziativa a livello comprensoriale, che ha due possibili campi di azione anche senza attendere una riforma della legge comunale e provinciale o della legge urbanistica o comunque della legislazione dello Stato. Il primo punto di riferimento è quello dei consorzi o delle associazioni volontarie di Comuni per la gestione di attività o per la gestione di deleghe da parte della Regione il secondo livello è quello del piano comprensoriale, cioè di un'elaborazione a livello di comprensorio dei piani di sviluppo subregionali. Sono due indicazioni di lavoro che noi abbiamo presenti e sulle quali ci impegniamo a marciare subito.
Sarebbe stato del tutto impossibile fare questo discorso se non avessimo avuto presente, dal primo giorno in cui la Giunta si è costituita il quadro di riferimento esterno alla Regione. Se non è mai possibile una programmazione autarchica confinata negli ambiti amministrativi della Regione, non lo è soprattutto in questo momento in cui noi qui subiamo in gran parte delle scelte, che vengono assunte, fuori di qui, o comunque subiamo gli effetti di comportamenti che sfuggono direttamente al nostro controllo e alla nostra capacità di previsione.
Per questo la Giunta ha fatto costantemente un riferimento esterno sia nei confronti del movimento sindacale, sia nei confronti degli Enti locali sia, infine, nei confronti del governo.
Con i Sindacati abbiamo avuto a livello regionale, un confronto ampio articolato, franco, anche duro, talvolta, del quale abbiamo recepito tutta una serie di elementi che sono presenti nelle scelte compiute. Abbiamo avuto un confronto a livello nazionale, a livello di vertice delle Federazioni, proprio per coordinare questa azione nei confronti del Governo che vede in fondo Sindacati e Regioni solidali nella richiesta di una politica che non sia deflattiva e che non rischi, per uscire da una crisi di cui certamente non sottovalutiamo la gravità, di produrre conseguenze ancora peggiori.
Ora, il confronto a più voci sui grandi temi della politica economica e finanziaria del Governo è in atto, e le Regioni, la Regione Piemonte in particolare, vi prendono parte, senza assumere posizioni dalle quali si possa ricavare che dalla crisi si può uscire con una politica facile dei vincoli che l'aumento dei prezzi e il deterioramento dei conti con l'estero impongono a qualsiasi tipo di politica economica del nostro paese. Siamo consapevoli anche della necessità di misure restrittive. Peraltro, non riteniamo che misure restrittive indiscriminate ci consentano di uscire dalla crisi nel modo giusto: misure restrittive indiscriminate consentirebbero, a nostro parere, di risolvere solo apparentemente alcuni aspetti della crisi, ma ad un prezzo talmente elevato da rendere la soluzione peggiore della crisi che si vuol risolvere.
Ci sono, in definitiva, due terreni sui quali il confronto deve andare avanti, e sui quali devono essere operate delle scelte: c'è certamente il momento della severità, che però si deve accompagnare alla ricerca dell'equità sociale, e c'è certamente il momento della selezione nella destinazione delle risorse, che si deve però accompagnare con la preoccupazione per i livelli di occupazione e per i livelli produttivi del Paese. Se è vero che occorre una politica austera, è anche vero che questo non deve significare che a pagare siano le aree deboli, i ceti non privilegiati del Paese. Quindi, c'è la esigenza di una equa distribuzione del carico di questa severità, si traduca esso in misure di restrizione creditizia o in misure di stretta fiscale.
Dall'altra parte c'è certamente l'esigenza di una selezione nella destinazione delle risorse. Purtroppo, dal momento in cui il problema non era quello di contenere la domanda ma soltanto di bloccare l'aumento dei costi siamo arrivati ormai al punto in cui si afferma esplicitamente che anche la domanda deve essere frenata; e alla fase, nella quale si è sempre spiegato che occorreva premere su entrambi i pedali, quello delle misure restrittive e quello del rilancio degli investimenti, rischia di succedere una fase nella quale il pedale usato è di fatto uno solo, e a questa succederà una fase nella quale l'uso di un pedale solo sarà anche teorizzato.
Io penso che le Regioni non possano accettare una politica di questo tipo, anche perché è una politica che liquida il ruolo delle Regioni come componenti dello Stato, come espressione di enti autonomi che si muovono nell'ambito dell'Amministrazione pubblica del nostro Paese.
Noi crediamo che il discorso degli investimenti sociali non possa essere abbandonato in questa fase. E alla considerazione che le priorità per gli investimenti sociali devono essere salvaguardate noi diciamo che occorre far seguire provvedimenti conseguenti, misure appropriate, atti concreti che consentano di dar corpo a questa politica. Non crediamo neppure che la situazione di emergenza che c'è, che è grave, che anzi le Regioni per prime hanno indicato quando ancora nel 1973 sono state esse a porre al Governo la necessità di fare un piano di emergenza per il 1974 possa essere assunta come pretesto per cercare la salvezza a spese delle Regioni: in particolare ci riferiamo al progettato ampio uso dell'Istituto della concessione ai grandi gruppi, che dovrebbe essere il toccasana rispetto alla crisi della pubblica amministrazione.
Noi siamo convinti che questo discorso non sia un discorso valido. Le Regioni lo hanno detto a chiare lettere, e noi lo ribadiamo ancora in questa sede: il discorso sulle concessioni rischia di essere una fuga dalle responsabilità che incombono alla pubblica amministrazione. Non è pensabile, non è credibile, che di fronte ad una situazione nella quale si denunciano i ritardi della spesa pubblica, le inefficienze della pubblica amministrazione tradizionale, si inventi come panacea di tutti i mali una pretesa efficienza e rapidità affidata alle concessioni ad alcuni grandi gruppi, proprio perché mancano, perché questo discorso sia credibile, tutti i presupposti. Innanzitutto, quello della rapidità di realizzazione: le concessioni stanno incontrando tali difficoltà, a livello politico ed a livello tecnico, da far pensare che i tempi attraverso le concessioni rischino di allungarsi invece che di accorciarsi; in secondo luogo, è troppo facile sostenere che le Regioni, le Province ed i Comuni non sanno spendere quando non si danno loro le risorse da utilizzare. Diventa troppo facile così, in uno strano gioco di mimi, da un lato individuare delle realtà locali, incapaci di spendere ma impoverite, alle quali non affluiscono mezzi, e dall'altro invece far affluire i mezzi ai grandi gruppi, con ciò consentendo loro di fare quelle cose che ai Comuni, alle Province, alle Regioni non si consente di fare.
Ma c'è un'altra considerazione ancora più importante: con la concessione si appaltano dei settori di competenza dello Stato o delle Regioni ai grandi gruppi, prevedendo che siano essi a fare tutto, dalla ricerca del finanziamento al coordinamento delle imprese che a, queste realizzazioni sono chiamate, alla progettazione e così via. Ora, non è accettabile che si mandi avanti una soluzione di questo tipo, soprattutto in un momento in cui i progetti prioritari di intervento sono i grandi investimenti sociali, quelli che dovrebbero spostare il tipo di modello di vita al quale siamo abituati. Su questo discorso non si possono saltare le competenze istituzionali delle Regioni e degli altri Enti locali. E ci anche a tacere dei contenuti dei progetti speciali. Perché se noi partissimo da questa considerazione di carattere generale e facessimo poi una analisi, punto per punto, di quali sono i progetti speciali che dovrebbero essere oggetto di concessioni, noi ci accorgeremmo che in realtà si tratta di una parte, e di una parte sostanzialmente trascurabile, delle cose che erano già contenute nel piano quinquennale. Per il Piemonte, tutto ciò che i progetti speciali contengono è costituito dallo scalo di Orbassano e dalle due ferrovie in concessione; Torino-Ceres e Torino Rivarolo. E, tra l'altro, si tratta di interventi che, mentre da un lato dovrebbero essere oggetto di progetti speciali, dall'altro rischiano intanto di essere avviati da parte delle Ferrovie dello Stato, e quindi di vanificarsi.



BERTI Antonio

Non dovrebbero essere concesse alla Regione, queste?



SIMONELLI Claudio

Pare di no, dovrebbero essere, ma non si sa se lo saranno. Sono comunque state inserite nei progetti speciali, senza ancora sapere se questa concessione la deve fare lo Stato o la Regione. Cioè, c'è un margine di indeterminatezza ancora tale che questi progetti speciali, invece di essere qualcosa che parte subito, rischiano di avviare un lungo contenzioso e di non partire mai, con il risultato che intanto si ferma quello che nei progetti speciali non è compreso, cioè tutte quelle altre cose che noi crediamo abbiano precise priorità. E' dunque falsa soluzione, questa di progetti speciali, che deve essere chiaramente denunciata e che le Regioni hanno chiaramente denunciato.
Ci sono delle alternative, invece, a questo discorso; occorre rifare il censimento dei programmi in corso, in parte già finanziati, delle iniziative contenute nei primi piani regionali o nei primi documenti programmatici, di ciò che ha solo bisogno di un rifinanziamento per partire. Ed è su questo terreno, se volete meno ambizioso dal punto di vista concettuale ma più concreto, più preciso, che occorre fare un confronto fra Regione, sindacati e Governo, proprio per uscirne con soluzioni che siano operative nei tempi brevi.
Ma l'allarme e le preoccupazioni delle Regioni sono anche alimentati da altre cose che vengono avanti, e che del resto le Regioni hanno già denunciato. Il Presidente Oberto ha partecipato ad un convegno a Bellagio con la Direzione nazionale dell'ANCI, le Regioni italiane e i Sindaci o i rappresentanti di alcuni grossi Comuni, nel quale è stato lanciato un grido di allarme giusto e fondato, di cui si è fatto eco anche il relatore Dotti.
Noi siamo in presenza di una situazione nella quale rischia di saltare la capacità di spesa dei Comuni e delle Province, e per contrastare questa tendenza dopo Bellagio si è costituito un comitato fra Regioni, Comuni e Province. Abbiamo, per la verità, una situazione dei Comuni che è certamente gravissima: è cresciuto il numero dei Comuni non in grado di pareggiare il conto economico, ed è aumentato fortemente l'indebitamento dei Comuni. Secondo dati del Ministero del Tesoro, l'indebitamento globale degli Enti locali raggiungerebbe, al 1 gennaio di quest'anno, i 18.319 miliardi, con un aumento rispetto al '72 di 5.500 miliardi. Secondo dati della Banca d'Italia, parzialmente difformi, il finanziamento bancario agli Enti locali, cioè quello che sarebbe il risultato di questo indebitamento avrebbe raggiunto nel '73 la cifra di 2.300 miliardi, con un aumento di 374 miliardi rispetto al '72 (un aumento non molto forte, tutto sommato): di questi, 1.300 sarebbero stati erogati dalla Cassa Depositi e Prestiti, 500 dalle banche e 500 dagli istituti speciali di credito, i Comuni non in grado di raggiungere il pareggio economico sono ormai 4.000, cioè circa la metà dei Comuni italiani.
Ma i dati relativi al disavanzo economico, e quindi ai mutui a ripiano rappresentano solo una parte di questo indebitamento generale: cioè, questo indebitamento generale, se per una parte è dovuto al peggioramento delle condizioni, diciamo così di gestione e di funzionamento dei Comuni, per una parte è dovuto ad una maggiore massa di risorse mobilitata per le opere pubbliche e - in generale - per gli investimenti pubblici. E sono due aspetti molto diversi da esaminare, anche perché la stretta creditizia in atto produce conseguenze gravi sull'uno e sull'altro fronte, che devono essere valutate entrambe. Se è vero che i Comuni, nonostante la difficoltà delle loro condizioni di bilancio, sono stati in grado anche nel '73 di mobilitare una ingente quota di risorse per finanziare le opere pubbliche allora è vero che il blocco creditizio non solo bloccherà il pagamento degli stipendi, laddove gli stipendi si pagano con i mutui - e non credo che sia una situazione molto generalizzata -, ma bloccherà anche le opere pubbliche che i Comuni hanno continuato a fare in questo tempo...



BESATE Piero

Anche per conto dello Stato.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

... anche per conto dello Stato, certamente, si tradurrà in un blocco di quella stessa spesa pubblica che per un altro verso si vuole sviluppare e potenziare.
Del resto, è un dato ormai storicamente assodato che nei venti anni trascorsi la grossa spinta alla creazione di infrastrutture nel nostro Paese, quelle infrastrutture di carattere collettivo che sono state il sostegno del cosiddetto miracolo , si è avuta proprio grazie alla capacità di spesa degli Enti locali, che, in assenza dello Stato, sostituendosi allo Stato, anticipando lo Stato, hanno creato le condizioni per lo sviluppo economico. E c'è stata una mobilità, una capacità di adattamento della spesa degli Enti locali enormemente superiore a quella dello Stato, in una situazione nella quale agli Enti locali non venivano trasferite adeguate risorse, e non veniva adeguata la legislazione che regolava la loro attività.
Ora, se questo è stato vero negli anni passati, se questo è vero anche nel passato più recente, come mostrano i dati del '73, la conseguenza che oggi i Comuni ridotti al blocco della loro attività, faranno fallire, se non saranno messi in condizioni di spendere, tutti i programmi di rilancio degli investimenti pubblici nei settori prioritari e nei settori dei consumi sociali. Tanto più oggi che si opera in una situazione economica difficile, aggravata dall'aumento dei costi, che evidentemente comporta, a parità di risorse disponibili, un rallentamento nelle attività di investimento, che si aggiunge al peggioramento delle condizioni finanziarie per l'indebitamento crescente, e al blocco dei crediti. Questo stato di cose potrebbe compromettere tutta la politica di rilancio degli investimenti sociali, e soprattutto ricade pesantemente sulle Regioni dal momento che la nostra spesa è in gran parte una spesa di trasferimento di risorse ai Comuni, alle Province ed in genere agli altri operatori. Nella integrazione della relazione che è stata distribuita ai Consiglieri si vede chiaramente come nel bilancio '74 le spese per investimenti diretti della Regione sono il 4,8%, mentre il 95,2 è rappresentata da spese di trasferimento, cioè da spese che vanno a favore degli altri operatori e in gran parte degli Enti locali.
In una situazione in cui la nostra funzione diventa in gran parte quella di innescare dei processi di spesa e di investimento da parte degli altri operatori, è chiaro che il nostro contributo resta sulla carta, se non si accompagna ad una capacità autonoma di spesa degli Enti locali minori, in parte possiamo sopperire a queste difficoltà spostando l'accento dalle spese in conto interessi alle spese in conto capitale, cosa che anche in questo bilancio è stata fatta. Però, questo accorgimento se consente di innescare comunque una certa spesa, riduce le capacità di mobilitare ulteriori risorse. E' dunque il livello globale dell'investimento che cambia, a parità di impegno della Regione.
Quindi il problema non si risolve semplicemente caricando ad un livello superiore le difficoltà dei Comuni; anche perché, proseguendo su questa strada, tra cinque anni le Regioni saranno esattamente nella stessa situazione nella quale si trovano i Comuni oggi, cioè a dover mendicare che un altro livello superiore conceda le risorse necessarie per il loro funzionamento. Questo è il destino che ci attende, se non si modifica il quadro generale. E il quadro generale si modifica riaprendo il discorso del credito agli enti locali: un credito selettivo, un credito che vada nelle direzioni prioritarie, che privilegi gli investimenti sociali, ma che tuttavia deve consentire ai Comuni, alle Province e quindi alle Regioni la mobilitazione di risorse che è necessaria per realizzare i programmi di investimento. Ma significa anche una inversione di rotta rispetto al tipo di rapporto che si è venuto instaurando fra Stato e Regioni. Un rapporto che non è soddisfacente, anche se certamente è qualcosa di molto meglio, di molto di più rispetto ai primi tempi di funzionamento dell'istituto regionale.
In seno alla Commissione interregionale per la programmazione economica le Regioni e il Governo hanno avuto una serie di incontri, di verifiche e di scontri abbastanza rilevanti, con alcune tappe significative che debbono essere ricordate.
Innanzitutto, la battaglia sul bilancio dello Stato per il 1974 battaglia nella quale le Regioni non hanno avuto una grande vittoria ma hanno tuttavia ottenuto di poter modificare in alcuni punti in maniera qualificante il bilancio dello Stato. Poi, c'è stata la discussione sulla legge per la zootecnia, la legge Ferrari-Aggradi, che in alcuni testi iniziali le Regioni hanno respinto proprio perché anziché essere una legge quadro, una legge di principi, all'interno della quale poi le Regioni potessero legiferare, voleva essere una legge che disciplinava minutamente un'attività che è invece di competenza delle Regioni.
Questa legge, però, modificata con il concorso delle Regioni in un testo accettabile, si è poi fermata (ora pare che il nuovo Ministro dell'Agricoltura intenda riprenderla) e nel frattempo è andato avanti l'altro progetto di legge di iniziativa parlamentare, che è poi diventato la legge 118, la cosiddetta legge Marcora , che, diciamolo francamente, è ben più povera cosa rispetto ad una legge generale sulla zootecnia in quanto è soltanto una legge per gli interventi urgenti (per la quale, tra l'altro, il Governo non ritiene di poter garantire l'integrale copertura per gli interventi previsti nel 1974: con il che si è creata una situazione nella quale le Regioni sono costrette a difendere gli stanziamenti già concessi per il Fondo per i piani regionali di sviluppo, per impedire che il Governo attinga, come era sua intenzione, dal Fondo stesso per finanziare la legge Marcora che non ha la sua copertura nel Bilancio dello Stato).
Ma ci sono altri episodi, altri esempi di un rapporto non sempre rispettoso delle competenze e del ruolo delle Regioni. Nel settore dell'edilizia abitativa, per esempio, a fronte di due provvedimenti portati avanti dal Ministero dei Lavori pubblici, le Regioni hanno espresso consenso solo su un decreto-legge recante provvedimenti di urgenza: hanno fatto presente, però, l'esigenza di una battuta d'arresto e di un riesame nei confronti di un più ampio disegno di legge, che è poi il piano decennale, e il suo stralcio triennale per gli interventi sull'edilizia abitativa, il famoso "pacchetto Lauricella". Ma, nonostante queste riserve e nonostante l'impegno assunto nei confronti della Commissione, il Ministro dei lavori pubblici ed il Governo hanno mandato avanti quel disegno di legge, sul quale le Regioni potranno certo intervenire durante l'iter di esame e di approvazione da parte del Parlamento ma che tuttavia non è uscito dall'esame in seno alla Commissione interregionale per la programmazione confortato dal parere espresso dalla rappresentanza delle Regioni.
Ora, è chiaro che questo discorso significa che le Regioni hanno un ruolo importante da giocare nei confronti del Governo, ma anche che lo stanno giocando, che si stanno muovendo per un cedere, in questo momento particolarmente delicato. In effetti, davanti alle Regioni ci sono quattro occasioni importanti di lavoro e di verifica: 1. il riesame del Piano di riparto dei fondi che ci spettano sull'art.
9, cioè i famosi 330 miliardi per i Piani regionali di sviluppo, il cui riparto non è stato ancora deciso proprio perché le Regioni non erano d'accordo sui criteri di riparto portati avanti dal Governo 2. la discussione generale sulla politica economica e finanziaria del Governo, e in particolare sul problema del credito agli enti locali, che è stata chiesta nella riunione scorsa e sulla quale il Governo si è impegnato ad un incontro al più presto 3. la discussione sul bilancio dello Stato per il 1975 4. l'esame delle riforme della legge di contabilità regionale e della legge sulla finanza regionale.
E' dunque da un insieme di impegni - di impegni di spesa ma anche impegni politici, impegni di presenza - che nasce questo bilancio, con la relazione che lo accompagna. Noi abbiamo detto, e credo lo si debba confermare, che con questo bilancio la Regione entra sulla scena come ente di Governo.
E non per un merito particolare che questa Giunta si vada arrogando ma perché, conclusosi il periodo comprendente la fase costituente, la fase del trasferimento dei poteri con i decreti delegati , la fase di primo assestamento, oggi tutte le Regioni italiane entrano nella fase di governo una fase, cioè, nella quale possono dispiegare fino in fondo i loro poteri costituzionali; una fase di governo che significa impiego delle risorse dirette della Regione, uso della iniziativa politica che la Regione ha nei confronti degli altri soggetti presenti nella realtà regionale, nella partecipazione alla definizione delle linee di politica economica e finanziaria dello Stato. La Giunta ha indicato una via per gestire queste responsabilità di governo: l'ha indicata prima con il programma che il Presidente Oberto ha illustrato agli inizi della nostra attività, lo ha indicato oggi, conformemente all'impegno in allora assunto, attraverso questa relazione e questo bilancio. E' una linea che si è valsa di apporti costruttivi ricchissimi venuti dal Consiglio e dalle forze economiche e sociali della nostra Regione.
Sappiamo che la via è difficile. Credo che nessuno possa oggi sottovalutare le difficoltà, i rischi della situazione in cui ci troviamo.
Ma ci sorregge una consapevolezza: che da questa situazione di crisi, che può essere lunga e anche, dolorosa, occorrerà in qualche modo uscire. E noi da questa crisi vogliamo uscire raccogliendo le indicazioni che ci vengono dalle forze popolari, dalla realtà degli enti locali, dalla realtà delle autonomie, dalla realtà di tutte le forze valide della nostra società, per una nuova politica economica del Paese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Garabello. Ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, credo sia mio dovere, all'inizio di questo intervento, che si incentrerà esclusivamente su quattro osservazioni di carattere generale relativamente al bilancio '74, come presidente della I Commissione, svolgere alcune brevi considerazioni sul lavoro svolto. Lavoro svolto in un momento anche difficile per gli impegni politici di molti Consiglieri regionali, che però ha visto le forze principali di maggioranza e di opposizione concretamente impegnate in un ciclo di consultazioni e in una novità operativa, annunciata lo scorso anno e quest'anno realizzata, di non trascurabile interesse anche agli effetti pratici, come del resto si e visto nella stesura definitiva del bilancio, che ha subito variazioni identificate come necessarie proprio nei lavori di Commissione.
Mi riferisco in particolare alle discussioni avvenute in Commissione con i singoli Assessori, in cui i temi fondamentali dell'attività regionale sono stati individuati. Tali discussioni, tali incontri, che forse hanno avuto il difetto di una brevità estrema - per il prossimo bilancio abbiamo già formulato il proposito di consentire maggiore tempo, in modo che gli Assessori possano avere questo contatto sui singoli problemi e quindi portare avanti al Consiglio, anche se non nella sua formulazione assembleare, ma in un momento molto significativo, i loro propositi, le loro intenzioni, le loro difficoltà -, hanno costituito certamente un momento qualificante. Alcuni di questi incontri hanno poi consentito anche varianti al bilancio stesso, credo con soddisfazione degli Assessori, non soltanto come soddisfazione individuale per veder accolte loro richieste ma anche perché queste richieste venivano vagliate anche dalle forze politiche e quindi il loro accoglimento aveva il significato, oltre che di un aumento di stanziamento, di una migliore precisazione delle intenzioni della Regione. Quindi, intenzione per il bilancio del '75, di dare maggiore spazio, maggiore tempo, con un altro proposito proprio della Commissione di vedere in questo quadro una maggiore operatività collaborativa delle altre Commissioni. Probabilmente, l'invito dei singoli Assessori di settore nella Commissione I ha un pochino depotenziato la possibilità di intervento delle singole Commissioni. Per l'anno prossimo, per il prossimo bilancio si dovrà trovare una nuova forma di collaborazione, in modo che tutti i Consiglieri regionali, nell'ambito delle singole Commissioni, però in una stretta correlazione con la Commissione I, possano esprimere i loro pareri anche sugli aspetti più propriamente settoriali.
Una novità importante che vi sarà prima della elaborazione del bilancio '75, già ricordata anche questa mattina, è cioè prima della presentazione del bilancio stesso in previsione avremo il conto consuntivo del '72-'73 il primo portato in Consiglio Regionale, perché i precedenti erano semplicemente dei consuntivi di un piano di riparto, con ben poche possibilità di discussione. Ed a questo proposito dirò che la Commissione I porterà al più presto, in accordo con l'Ufficio di Presidenza, la discussione del piano consuntivo del '71.
Avuto riguardo, quindi, al lavoro che ha svolto la Commissione, che indubbiamente si è svolto in momenti difficili, che ha visto però da parte di un settore della maggioranza - quello che ha maggiore disponibilità numerica di Consiglieri - e così pure della minoranza un notevole impegno partecipativo, debbo però dire, nel complesso, che rimane come punto di meditazione di tutte le forze politiche, particolarmente di quelle più limitate come rappresentanza numerica, la necessità di fare quanto è nelle loro possibilità, e qualcosa in più, perché la vita delle Commissioni, in particolare della Commissione I, in compiti statutari di tale rilievo possa essere la più completa, possa raccogliere più voci, osservazioni provenienti dai vari angoli visuali. Ci rendiamo conto tutti delle difficoltà materiali che ci sono, però dobbiamo dire che non è simpatico non è neanche politicamente approvabile che tutto debba ridursi ad un dialogo fra la principale forza di maggioranza e la principale forza di opposizione. Devo fare, e lo faccio molto volentieri, eccezione per il vicepresidente della Commissione, Consigliere Rossotto, che ha dato una partecipazione molto attiva. Però il problema in generale rimane: occorre cioè, che attorno ai documenti fondamentali della Regione ci si possa ritrovare tutti, affinché il momento assembleare finale non sia un inserimento di cose nuove diverse e peraltro legittime, che le modificazioni possano trovare in fase di una discussione più immediata attorno ad un tavolo, una maggior comprensione, un maggiore approfondimento.
Primo punto, primo riferimento: quello al Piano regionale di sviluppo.
Noi non possiamo, proprio come I Commissione, dimenticare che questo fa parte dei nostri compiti, ed è uno dei nostri crucci non essere ancora riusciti a concludere la discussione sul rapporto preliminare. Peraltro sappiamo che le modifiche intervenute nel quadro economico-sociale del nostro Paese, che hanno richiesto una prima messa a punto e poi una seconda messa a punto del documento ormai in via di stampa, hanno complicato notevolmente questo lavoro. Possiamo però dire che gli obiettivi di tipo qualitativo che il piano ormai ha individuato sono diventati patrimonio comune: si tratta di identificare gli aspetti quantitativi, di definire i punti fondamentali in un sistema che abbia dei punti fermi ma che abbia il massimo di possibilità dinamiche. Oggi una definizione di piano che sia basata su elementi assolutamente rigidi ci dimostra la realtà in cui stiamo vivendo, e che abbiamo vissuto in questi ultimi tempi, come sia veramente difficile irrigidire le decisioni e come invece occorra stabilire punti fermi intorno ai quali sia possibile una continua messa a punto. Abbiamo però rilevato - lo diciamo in termini collaborativi, e lo ha già detto anche il relatore -, rispetto a questo elemento, in cui dobbiamo dare atto alla Giunta che ha proposto con il bilancio del '74 il massimo possibile di riferimento a questi obiettivi di piano anche con le priorità stabilite, la necessità di dar vita ad un piano pluriennale in cui quello che può essere definito di impegni quantitativi possa trovare una sua definizione. In altri termini, poiché gran parte dei fondi della Regione - non per le deleghe ma per legge, e di più domani, quando avremo affrontato concretamente, nei vari settori, i problemi della delega - passano per gli investimenti attraverso gli Enti locali, è necessario che questi possano essere per tempo a conoscenza delle possibilità che ha la Regione nei vari campi, dalle opere pubbliche ai vari servizi sociali all'agricoltura, ai diversi settori di intervento, per poter fare dei programmi realistici, in modo da non trovarci ogni anno di fronte ad enormi richieste difficilmente collocabili in un piano di priorità che non abbia - come avviene forse più all'esterno dell'aula regionale che non all'interno della stessa, dove i Consiglieri sono più a conoscenza di come avvengono le cose - il sigillo del dubbio, della discrezionalità della scelta delle proposte che vengono avanzate alla Regione per i finanziamenti. Quindi, un tentativo di dare concretezza ad un piano quantitativo.
Il collega Dotti nella relazione ha scritto: precisare quanti chilometri si possono eseguire di acquedotti, di strade, di fognature quanti impianti di depurazione, e via dicendo; cioè, fissare l'indicazione di una serie di obiettivi ai quali tendere concretamente attraverso l'impegno dei bilanci annuali.
Mi pare che questa sia una indicazione che venga alla Giunta da parte della Commissione, che ritengo l'abbia accolta nella sua totalità, e che dovrebbe mettere la Giunta, in particolare l'Assessore al Bilancio è con lui, però, per la preparazione di queste previsioni quantitative, tutti gli Assessori competenti per i vari settori - di fronte ad un notevole concreto, immediato impegno di ricerca di questo bilancio operativo.
Perché? Perché il bilancio del '75, che conclude i bilanci della prima legislatura regionale, deve, anche se in un certo senso viene politicamente, moralmente, ad impiegare nella seconda legislatura, dare delle indicazioni di metodo di lavoro politico alla seconda legislatura.
Non devono esserci salti fra la prima e la seconda legislatura: ora che i bilanci cominciano ad avere una dimensione non più trascurabile occorre che ci sia questo slittamento, il quale non potrà avvenire su bilanci annuali di esercizio ma su bilanci programmatici.
Evidentemente, il discorso portato su questo livello, alla considerazione di questi propositi, di queste intenzioni, non può che richiamarsi concretamente al Piano generale di sviluppo della Regione, non può che richiamarsi anche agli impegni di assetto di territorio di natura urbanistica. E' un impegno che pensiamo che la Giunta, che dal punto di vista della composizione del bilancio stesso dimostrando di aver recepito molte delle indicazioni venute l'anno scorso nella discussione di bilancio in aula, possa assumersi.
Rispetto al piano, ci rendiamo conto della battuta di arresto che la crisi ha determinato anche nell'ambito della nostra Regione, ed altresì dei riflessi rilevanti, preoccupanti, soprattutto per l'occupazione, che la crisi stessa ancora contiene in sé. Confermato il piano con le sue linee fondamentali, la Regione deve impegnarsi a finalizzare al massimo tutte le sue risorse, tutte le sue possibilità finanziarie, proprio per portare avanti quei discorsi delle linee fondamentali del piano, della diversificazione, degli impieghi sociali, dell'assetto del territorio, per tener conto dei pericoli ancora insiti nella crisi economica. E quindi quest'anno la Giunta, in accordo con la Commissione, per la verità, ha cercato di concentrare al massimo i sui impegni di spesa, puntando soprattutto ad avere immediatamente i fondi a disposizione. L'anno scorso si era discusso a lungo sul problema dell'indebitamento con mutui, con prestiti. Quest'anno, anche se più ampio è l'indebitamento previsto, per più ampia è la possibilità di investimento con denaro immediatamente disponibile. Sappiamo che vi sono difficoltà ad ottenere i mutui, c'è addirittura il dubbio di non riuscire a contrarli, e gli Enti locali per questo sono già bloccati e qualche voce di allarme vi è anche nei confronti della Regione. Quindi, la disponibilità immediata di denaro di bilancio è indubbiamente utile. Certamente, non appena approvato il bilancio occorrerà che l'approvazione delle richieste dei Comuni segua immediatamente, in modo tale che non avvenga, come in certi settori per gli anni scorsi, che piani di distribuzione dei fondi siano approvati alla fine dell'anno, annullando praticamente quasi un anno di attività degli Enti locali.
Abbiamo rappresentato agli Assessori, assieme ai consultati esponenti degli Enti locali, le difficoltà in cui si dibattono in fatto di bilancio gli Enti locali. Abbiamo trovato disponibilità, ricercato soluzioni migliorative di questa situazione. Ovviamente i Sindaci ci hanno detto: qui vi e il timore, vi è la preoccupazione che accada quello che gli Enti locali in linea di massima non hanno mai dovuto rassegnarsi a tollerare cioè vedere le opere pubbliche fermarsi in attesa di ulteriori finanziamenti, perché nel frattempo i prezzi sono aumentati, gli appalti non reggono più, molte volte non si trovano le imprese e molte volte le imprese, mentre stanno lavorando, ad un certo punto si fermano perch mancano le ulteriori perizie finanziarie.
In questo senso è da intendersi la richiesta, con la risposta positiva della Giunta, di migliorare il funzionamento con fondi regionali per gli asili-nido, cosa certamente positiva. Soprattutto, vi deve essere preoccupazione da parte dell'Assessore ai Lavori pubblici di una attenta utilizzazione e un attento controllo del denaro che esce su capitoli di entità non indifferente, per consentire l'immediata ripresa per gli aumenti di prezzo, per consentire cioè che queste opere non si arrestino nei Comuni; altrimenti anche la Regione si vedrebbe legata, imbavagliata in una crisi di carattere finanziario ed economico estremamente preoccupante.
Secondo punto su cui desidero porre l'accento: la legislazione regionale. Io ritengo che sia una questione di principio che le Regioni debbano avere, per tutta la vasta gamma delle loro attività, una propria legislazione. I bilanci sono stati finora essenzialmente delle imputazioni di capitali relative a leggi in molti casi vecchie, superate, basate su principi che hanno bisogno di aggiornamento. Ma perché penso che si debba operare su tutto il campo, non soltanto su quello nuovo ma anche su quello tradizionale, con leggi regionali? Perché altrimenti le Regioni prestano il fianco ai poteri accentratori. Se continueranno ad usare soltanto le leggi dello Stato non dimostreranno di avere, come si sosteneva allorché se ne caldeggiava la costituzione e nei primi momenti di loro esistenza, qualcosa di particolare da dire sui singoli problemi, nell'ambito di principi generali. Una legge sulla zootecnia - e ci stiamo lavorando - piemontese può avere sfumature diverse da quella toscana o da quella pugliese; e lo stesso discorso si può estendere a tutti i campi di intervento. Occorre quindi che si faccia, direi, un piano di lavoro per la identificazione delle caratteristiche regionali anche di leggi che siano ancora valide per i principi cha portano con sé ma che devono avere, nel momento dell'attuazione, nel momento dell'utilizzo, nel momento dell'impegno dei fondi, una maggior precisazione di carattere regionale.
Le discussioni che si sono svolte nell'ambito della Commissione I molto pacatamente ma con estremo approfondimento, hanno consentito di evitare un errore: quello di mettere in capitoli di bilancio relativi a leggi statali dei fondi che non avrebbero potuto essere spesi perché leggi che hanno ormai superato la loro operatività finanziaria. E quindi, le stesse leggi agricole di cui ci stiamo occupando in questi giorni sono un esempio della necessità che si ha per certe leggi di rifarle con caratteristiche regionali impegnando i fondi della Regione.
Quindi, al rifinanziamento di leggi ancor valide, che debbono per ricevere il sostegno di nuovi fondi, non avvenga, quando è possibile soltanto con una legge di bilancio, anche quando questo è legittimo, ma si ricerchi un approfondimento, un miglioramento di contenuti di carattere tipico regionale, perché divengano più rispondenti alle esigenze della Regione. Va da sé che tutte le leggi che invece siano sostanzialmente esaurite, che abbiano fatto il loro tempo, anche se contengono ancora principi validi, debbono essere recepite in una legislazione propria.
Terzo punto, le ricerche.
Il relatore Dotti ha detto in Commissione - ed eravamo tutti d'accordo con lui - che nel campo delle ricerche, nel campo cioè della conoscenza della realtà regionale nelle sue sfaccettature anche settoriali, la Regione ha pochi elementi di conoscenza scientificamente accertati, elaborati e identificati. In questo senso dobbiamo dire che questi quattro anni sono stati almeno parzialmente perduti. E' vero, abbiamo il grosso lavoro fatto per il piano regionale che contiene anche molti elementi settoriali, ma qualcuno in termine piuttosto vago, generico, utile in una visione generale, ma non per preciso quadro di settore e la dimostrazione è che la Giunta sta identificando o ha identificato oltre una ventina di ricerche per avere gli elementi che le mancano.
Dobbiamo dire che siamo in ritardo, non è colpa della Giunta se si è trovata in questa situazione, però, c'è un principio che abbiamo affermato nella relazione e che credo contenga il punto di vista di tutta la Commissione: occorre non disperderci in rivoli e non trovarsi alla fine di questi lavori commessi all'esterno con dei risultati che non riescono ad inquadrarsi perfettamente in una visione organica; la relazione richiede alla Giunta, anche quando vuole commissionare ricerche ad istituti specializzati, ad aziende, a chi è più disponibile sul mercato, due elementi di fondo come guida di qualsiasi tipo di ricerca e di analisi: 1) non si deve, una volta data la commessa, aspettarne i risultati molte volte tardivi, deve esserci in ogni settore la presenza costante della Giunta dell'Assessore, se è necessario del Consiglio Regionale, delle Commissioni permanenti per mantenere queste ricerche fatte all'esterno in una realtà che risponde alle richieste, ai desideri, alle necessità della Regione; 2) anche da un punto di vista tecnico e scientifico le ricerche affidate a terzi abbiano sempre un coordinamento con il nostro istituto di ricerca proprio perché anche nell'approfondimento tecnico scientifico non si sfugga mai alla necessità di inquadrarsi in un filone di guida, l'uno garantito politicamente dalla Giunta, dagli organi ufficiali della Regione, l'altro garantito dall'organo tecnico cui commettiamo le principali responsabilità di ricerca. Va da sé che questo organo tecnico ha da essere messo in quadro perfettamente, al più presto; vi sono già degli impegni del Consiglio Regionale in proposito, occorre non perdere ulteriore tempo per sistemare strutturalmente l'IRES e dargli le necessarie possibilità di sviluppo.
Quarto e ultimo punto, l'assetto del territorio. Non è un problema di carattere settoriale ed è per questo che lo affronto.
Vorrei dire con molta cordialità al collega Benzi e alla Giunta che occorre assolutamente, a proposito di urbanistica e di assetto del territorio, uscire dalla visione essenzialmente amministrativa del problema, fare dell'urbanistica regionale non significa solo attuare il grave, pesante, difficile (ne abbiamo discusso più volte in Consiglio) compito di verificare, controllare, approvare, respingere piani e altri strumenti urbanistici dei Comuni, questo è un compito amministrativo che deve essere perseguito con estremo impegno, con estrema razionalità e tagliando i tempi nella maniera più radicale possibile, è un compito di carattere formale che ci è stato passato con i decreti delegati.
La politica urbanistica di assetto del territorio è invece qualcosa di più, la Regione impegna se stessa a ricercare le proprie linee di sviluppo collocandole sul territorio, quindi vi è un'azione attiva di studio, di progettazione. Anche questo non deve avvenire in chiusi uffici, in chiusi studi professionali, ma deve avere una continua verifica di volontà politica nell'ambito degli organi regionali. Dirò di più, occorre un'attenta ricerca continua di pareri, di punti di vista, di correzioni, di indicazioni della realtà sociale della nostra regione particolarmente da parte degli enti locali e per quanto riguarda le sistemazioni industriali anche a livello dei sindacati, e, come diceva prima l'Assessore Simonelli delle grandi industrie che, volenti o nolenti, dobbiamo tenere vicine a noi affinché possiamo trasfondere in loro qualcuna delle nostre idee e non lamentarci soltanto successivamente - come si è dovuto fare in passato quando la Regione non c'era e mancava loro una controparte valida - delle loro scelte. A questo punto dobbiamo collocarsi noi nelle loro scelte dobbiamo darne le indicazioni.
Non dimentichiamo che parlando della necessità di piani urbanistici, di identificazione di linee fondamentali di assetto del territorio su cui è basato tutto quanto il meccanismo del piano regionale di sviluppo, noi stiamo giocando in modo particolare sulla credibilità della Regione, da parte dei comprensori periferici (chiamo comprensori periferici quelli che non hanno, come loro centro, la città di Torino). La credibilità della Regione nel cuneese, come nel novarese, nel vercellese, nell'alessandrino dove volete, si gioca sulla capacità che ha di coordinare e di portare a conclusione politica le parole, di cui ormai si riempiono intere biblioteche, sull'area metropolitana di Torino. O la Regione riesce a coordinare Provincia, Comune di Torino e tutti gli altri Comuni interessati, il che vuol dire una ricerca attenta di compatibilità tra le forze politiche, oppure rimaniamo sempre nei termini generali della pura denuncia, della pura richiesta. Soltanto se la Regione riuscirà, valendosi delle sue facoltà in campo urbanistico, a trovare le linee di organizzazione dell'area metropolitana potrà dire di avere superato lo scoglio della credibilità in tutte le altre aree della Regione, altrimenti avverrà quello che molte volte ci siamo sentiti dire, e cioè che i comprensori hanno difficoltà a nascere perché c'è il timore che il Comune principale voglia prevaricare rispetto ai Comuni minori, perché si ha l'impressione che la Regione vada a rimorchio dei problemi dell'area metropolitana e non riuscendo ad affrontarli in maniera armonica imponendo democraticamente, con consenso rispetto agli enti locali, una linea, una volontà politica, si faccia trascinare e non riesca ad essere elemento di guida.
Rigiriamolo come vogliamo ma ritengo che il problema fondamentale sia questo e quando leggiamo sui giornali la preoccupazione, i punti di vista le proteste, le proposte che derivano da tutta la Regione e particolarmente all'interno dell'area metropolitana di Torino, sia dagli organi elettivi dei Comuni, degli Enti locali, sia dei quartieri così informali ma che pure racchiudono la volontà popolare, sia dai sindacati, dai consigli di fabbrica e che costituiscono quindi l'argomento di una polemica politica che non riesce a portare ad un decollo rileviamo che questi problemi singoli, perché possano essere risolti, vanno visti in una visione di assetto territoriale in un piano, in un quadro dell'area metropolitana che è l'ultimo e l'unico modo corretto di dare una risposta e non dire sì o no ad un'operazione, ad un'opera, ad una decisione privata, pubblica o semipubblica sulla base di impressioni, o partendo da punti di vista di varie forze politiche; bisogna dire sì o no in rapporto ad un quadro obiettivo al quale tutti abbiamo lavorato, collaborato e che è stato espresso in maniera democraticamente valida.
Prima c'è stata un'interruzione di Berti, che l'Assessore non ha ritenuto collocata formalmente al momento giusto, sui problemi delle autostrade, della metropolitana, di Caselle, sulle grandi opere infrastrutturali realizzate da enti semipubblici; sulla bocca di tutti continuano ad esservi Borgaro, Venaria, Parcobasso, lottizzazioni collinari a Moncalieri e altrove. A queste cose possiamo dare una risposta che non lasci a certuni la bocca dolce ma amara perché non si è convinti del sì che si dice, ad altri la bocca amara perché si portano avanti battaglie di questa natura e non si riesce a fare molte volte capire la importanza dei problemi, soprattutto indotti. L'unico modo serio è quello di avere un punto di riferimento sul quale ci battiamo prima, ci confrontiamo prima sul quale discutiamo, portiamo tutti gli scontri che vogliamo, ma non sarà più una cosa che, per quanto importante immiserisce il dibattito; in una visione in cui il dibattito è elevato, si va alla ricerca del meglio mettendo in gioco tutti gli elementi del gioco stesso e non uno solo o qualcuno soltanto costituendo una possibilità di scelta che non convince nessuno.
Accanto a questo, i problemi delle nostre città principali, per cui c'è per riferimento una volontà di stanziamento per i centri storici, cosa di per sé positiva, ma che deve trovare un nuovo riferimento a tutto il problema della casa economica, soprattutto nell'ambito della nostra città delle cinture e particolarmente delle zone industriali. I Comuni non possono più risolvere questi problemi da soli, lo diciamo da tempo, è ora che ce ne rendiamo conto veramente quando si dà una risposta politica. I Comuni non possono più risolvere nell'ambito dei loro piani regolatori questi problemi, i piani regionali potranno essere semplicemente gli strumenti tecnici, oppure i Comuni ci diranno in che maniera intendono operare, però occorre qualcosa al di sopra, occorre una visione sia in termini urbanistici, sia in termini finanziari che ci deve trovare tutti quanti impegnati.
Ci sono aspetti di più diretta competenza della Regione, ce ne sono altri delegati dallo Stato, ci sono aspetti su cui influirà essenzialmente una visione politica non potendo sovvenire quella finanziaria, però questi sono i punti di riferimento signori della Giunta, cari colleghi di tutti i partiti, a cominciare da quelli di maggioranza, sui quali fra un anno saremo impegnati sulle piazze in vista della seconda legislatura della nostra Regione.
Questi problemi si discuteranno, la girandola delle impostazioni generiche si è già fatta quattro anni fa, fra un anno saranno cinque, a questo punto ci sarà il peso dei problemi concreti, del modo in cui li avremo affrontati e del modo soprattutto in cui, valendoci dell'esperienza li sapremo affrontare in futuro.
Vorrei che il Presidente della Giunta, gli Assessori si rendessero conto che in questo accorato appello vi è estremo desiderio di impegno, di collaborazione che vale per tutti, non vi è una volontà di opposizione o la ricerca di cose che non hanno ancora trovato la giusta collocazione (il pelo nell'uovo a tutti i costi) è un impegno comune di cui tutti quanti ci dobbiamo sentire responsabili.
Concludo. Il bilancio del '75, ci ha detto l'Assessore Simonelli, si raccorderà nel giro di pochi mesi col bilancio del '74; ci auguriamo che la situazione generale e quella politica ci consentano di chiudere almeno l'ultimo anno della legislatura con un bilancio che arrivi nei termini statutari, altrimenti dovremo onestamente modificare lo Statuto. Ma al di là dell'aspetto formale mi interessa l'aspetto sostanziale.
Questo dibattito è appena iniziato, il mio è stato un contributo molto modesto e marginale, altri colleghi parteciperanno porteranno dai due lati della barricata, maggioranza e minoranza, tutto il loro contributo e in qualche cose, sotto certi aspetti, molto qualificati. Occorre che il bilancio '75 contenga tutti gli elementi qualificanti che escono da questo dibattito.
Dovremmo avere, per lo meno per quanto riguarda il bilancio, il desiderio, la volontà di fornire, dopo i passi avanti che anno per anno si sono verificati, lo dobbiamo riconoscere, una specie di modello definitivo di quello che deve essere il bilancio della Regione Piemonte, più collegata alle questioni del piano, con maggiori puntualizzazioni su certi punti.
Quest'anno abbiamo ricercato delle priorità, nel '75 probabilmente saranno confermate, bisogna identificarne altre, lo metto l'assetto del territorio fra le priorità fondamentali, come ho avuto modo brevemente di argomentare e quindi ritengo che al di là della polemica che è facile e che cade nel momento in cui viene portata avanti - dai tempi che sono slittati alla relazione che è arrivata dopo il bilancio, cose che si devono notare ma che non hanno nella sostanza una grande importanza - il bilancio '74 rappresenti un passo avanti e la Giunta del centro sinistra, come giusto ne debba ricevere riconoscimento, che io le dò con piena soddisfazione.
La relazione di Paganelli di questa mattina sulla finanza regionale che è arrivata alla fine e che è stata letta e quindi più difficile...



PAGANELLI Ettore, Assessore alle finanze e patrimonio

Era un intervento.



GARABELLO Enzo

... merita approfondimento e io ritengo che la Commissione I si farà carico di discutere con gli Assessori anche questi aspetti, per ricercare insieme linee di impegno, di posizione politica, per sostenere le linee che lì venivano indicate o altre che possiamo distillare ancora.
Altri problemi li abbiamo evidenziati con l'Assessore Simonelli durante le sedute per l'esame del bilancio '74 e quindi ci resta del lavoro di collaborazione fra Giunta e Consiglio per il periodo che ci separa da oggi al momento in cui il bilancio '75 verrà all'esame del Consiglio. Sono tappe che si sono fatte in questi quattro anni, vi sono molte cose di cui dobbiamo dispiacerci, non essere soddisfatti e altre di cui dobbiamo prendere atto perché sono tappe di un percorso lungo e faticoso attraverso cui, con questi dibattiti, con questi incontri-scontri la Regione cerca di identificare il suo ruolo, che è un ruolo di sviluppo, di rinnovamento nel cogliere i problemi della comunità per proporre, partecipandovi direttamente con il suo impegno, le soluzioni più idonee.



PRESIDENTE

Ha così termine la prima parte della seduta.
Vorrei pregare i Capigruppo di comunicarmi entro la giornata, se fosse possibile, gli interventi previsti sul bilancio per programmare i lavori.
Ritengo anche di dover rinviare la seduta odierna alle 16,30 perché si deve riunire la Giunta per esaminare alcuni emendamenti. Sciolte le riserve, del tutto naturali d'altronde, su una legge così importante, si potrà procedere rapidamente perché restano una decina di articoli.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,20)



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