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Dettaglio seduta n.22 del 15/12/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Non so se gli elaboratori della mozione sulla piccola e media industria abbiano concluso i loro lavori, non mi hanno informato del punto cui sono giunti.
Mi dicono che non è stata fatta durante l'ora di colazione, quindi, non essendo pronta la mozione, proporrei al Consiglio di passare intanto alla discussione sul punto successivo all'o.d.g., cioè alla mozione relativa all'agricoltura, poi la sospenderemo quando sarà pronta la mozione sulla piccola e media industria, in modo da snellire i nostri lavori altrimenti dobbiamo sospenderli in attesa che sia pronta.
Dato che la discussione generale sulla piccola e media industria è già conclusa e non si può riaprire, si tratterà di presentare ed eventualmente illustrare il testo della mozione unificata e se qualcuno vorrà fare dichiarazioni di voto ne avrà facoltà; sarà una parentesi nella discussione che stiamo per iniziare.


Argomento: Norme generali sull'agricoltura

Mozione sull'agricoltura


PRESIDENTE

Sull'agricoltura era stata presentata, da molto tempo, una mozione dei Consiglieri Bruno Ferraris e Piero Besate, già distribuita da diversi mesi non credo sia necessario ridarne lettura. Ne è stata presentata ora un'altra a firma dei Consiglieri Menozzi, Bianchi, Giletta e Borello.
Ne do lettura affinché i intervenuti in questa discussione possano tenerne conto: "Il Consiglio Regionale constatata la difficile situazione dell'agricoltura piemontese, con particolare riferimento alla condizione di disagio economico in cui, da tempo, si trovano le popolazioni rurali rispetto alle altre categorie di lavoratori; propone all'autorità di governo l'invito ad emanare, con la massima sollecitudine possibile, i decreti delegati per il trapasso delle competenze ai sensi dell'art. 17 della legge 16.5.1970 n. 281; sollecita altresì il governo, tenuto conto della scadenza del piano verde n. 2 della legge 590, a presentare alle Camere il preannunciato provvedimento generale di finanziamento, il quale contenga una norma ponte per far fronte alle carenze dovute alla scadenza delle citate leggi, nonché a definitivamente approvare la legge relativa all'affitto dei fondi rustici; rileva come l'istituto regionale abbia determinante competenza in materia di agricoltura e come in tale sede sia realizzabile l'intervento pubblico più aderente alle realtà locali, nonché potenzialmente più incisivo; esprime la volontà di realizzare una politica agraria rispondente alle grandi direttrici di azione definite dalla comunità economica europea e in grado di definire e valorizzare l'imprenditore agricolo attraverso un riconoscimento ufficiale della professione, di difendere e potenziare l'impresa familiare diretto-coltivatrice, singola o associata, di stimolare le iniziative cooperativistiche ed associative, di valorizzare la ricerca e sperimentazione per migliorare la tecnica delle coltivazioni e degli allevamenti, di perfezionare e potenziare l'istruzione tecnica e professionale, di favorire la ricomposizione fondiaria e di promuovere il riordino delle utenze irrigue, di rilanciare su nuove basi il credito agevolato in agricoltura, di riattivare le zone incolte, in particolare collinari e montane, anche ai fini di mantenere l'equilibrio idrogeologico di sviluppare la viabilità vicinale ed integrare in generale le leggi nazionali vigenti nel settore agricolo; manifesta, nel contempo l'orientamento a integrare le misure previdenziali ed assistenziali riguardanti gli agricoltori, applicando a questi lo stesso trattamento definito per i lavoratori degli altri settori e auspica il sorgere di infrastrutture capaci di assicurare condizioni di vita migliori alle popolazioni rurali; ribadisce infine, la validità dello strumento del piano zonale, cui fa riferimento la stessa carta statutaria regionale, inteso come nuovo metodo per la realizzazione di una politica agraria programmata e diversificata, all'elaborazione del quale dovrà essere assicurata la diretta, responsabile partecipazione delle categorie agricole interessate oltre la determinante funzione dell'ente di sviluppo agricolo quale organo operativo della Regione Piemonte per il settore primario".
Darò ora la parola prima di tutto ai presentatori delle mozioni, ad un presentatore per ciascuna mozione, al fine di illustrarla e avranno poi facoltà di parlare tutti coloro che vorranno intervenire sulle mozioni stesse, siano essi altri firmatari delle mozioni, o facenti parte di altri gruppi o non aventi firmato le mozioni. La mozione presentata per prima ha precedenza nell'ordine delle illustrazioni. Ha quindi facoltà di parlare uno dei due presentatori della mozione presentata dai Consiglieri Ferraris e Besate.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Ferraris, ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, signori Consiglieri, sono passati esattamente tre mesi da quando abbiamo presentato il testo di questa nostra mozione e tre mesi sono molti, nel loro trascorrere succedono tanti fatti, avvenimenti nuovi che possono modificare situazioni, acutizzare certi problemi risolverne altri. Cosî è avvenuto anche per quanto riguarda le questioni sollevate dalla nostra mozione, nel senso però che molte cose si sono aggravate, altre devono essere inserite nel quadro di quelle cose che avevamo previsto e sulle quali volevamo richiamare l'attenzione del Consiglio e sottoporle quindi alla sua considerazione, mentre alcune esigenze pensiamo abbiano già trovato una prima collocazione interessante ed importante nel nostro Statuto. Sotto questo aspetto indubbiamente il tempo non è passato invano.
Ma veniamo al concreto. Quali erano, al di sopra delle cose scritte nella mozione, i nostri intendimenti, la nostra intenzione quando all'inizio della seconda sessione, appena dopo l'insediamento, abbiamo ritenuto di sollevare, come gruppo, certi problemi? Non certo affrontare immediatamente un dibattito di carattere globale sui problemi della politica agraria e neppure presentarci qui con un programma organico da sottoporre al Consiglio per la discussione e la sua adozione. Ci hanno mosso, invece, intendimenti più modesti, ma importanti, indipendentemente dalle cose scritte nel testo e che concretamente si traducono in quattro punti: quello della riaffermazione immediata delle prerogative della Regione in materia agraria, quello dell'esigenza del trapasso immediato dei poteri e degli organismi periferici del Ministero dell'Agricoltura alle Regioni, l'esigenza di esprimere in quel momento una nostra immediata posizione su una serie di problemi aperti di fronte al Parlamento nazionale, infine l'esigenza di impegnare subito la Giunta a formulare proposte concrete per alcuni settori produttivi della nostra Regione per darci anche subito qualche organismo di carattere operativo.
Ma oltre a ciò ci aveva mosso un'esigenza di carattere politico più generale che, pur partendo dai problemi indicati, permettesse di inserire subito nel dibattito politico che si è aperto in questo Consiglio, i problemi dell'agricoltura, dei contadini, della distribuzione. E ciò in relazione al discorso politico generale che stiamo portando avanti e in relazione alla collocazione che avrebbe dovuto avere l'agricoltura nello Statuto.
Per quanto riguarda lo Statuto, lo ripeto, tre mesi non sono passati invano. Anche se non abbiamo potuto affrontare la discussione di questa mozione, nello Statuto i problemi dell'agricoltura, dei contadini, delle campagne, delle comunità collinari e montane hanno trovato una giusta collocazione per il convergere di forze diverse. Nello Statuto insieme siamo riusciti a compiere una scelta importante, soprattutto la più giusta che si poteva e si doveva compiere, una scelta che va nella direzione opposta rispetto alla politica sin qui seguita nel corso di questi ultimi vent'anni. Infatti la Regione Piemonte si è impegnata, per Statuto, a favorire l'azienda contadina, l'associazionismo, la cooperazione, a promuovere lo sviluppo sociale-economico delle comunità collinari e montane. Il che equivale a dire che ci siamo impegnati ad operare per invertire l'attuale rapporto città-campagna, a operare per ridurre le profonde differenze esistenti non soltanto per quanto riguarda la disparità tra i redditi agricoli e i redditi dei settori extra agricoli, ma per il superamento delle profonde disparità esistenti sul piano assistenziale e previdenziale e più in generale sul piano delle condizioni civili di vita.
E' ovvio che tutto ciò potrà essere organicamente conseguito attraverso un nuovo tipo di sviluppo economico equilibrato, una diversa utilizzazione del territorio, uno sviluppo di nuovi assetti sociali e civili delle campagne, il decongestionamento dei grandi centri industriali e metropolitani a iniziare dal nostro capoluogo, la lotta per la riforma di struttura con particolari riferimenti alla casa, alla salute, alla distribuzione. Per quanto concerne la Regione lo strumento, la sede più importante per compiere le scelte decisive in questa direzione sarà il nuovo piano regionale di sviluppo che dobbiamo accingerci ad elaborare. In merito noi sosteniamo che è necessario definire al più presto i criteri di fondo per procedere alla elaborazione del piano di sviluppo della nostra Regione, elaborazione che non potrà ripetere il metodo adottato a suo tempo dal CRPE che portò a una discussione fra iniziati, ma che dovrà consentire e sollecitare un'ampia consultazione democratica realizzando una partecipazione assai più vasta e articolata di quella che abbiamo assieme realizzato per la stessa elaborazione dello Statuto. La partecipazione non dovrà essere limitata agli enti locali, alle organizzazioni sindacali dei lavoratori di categoria, ma dovrà investire davvero le fabbriche, i quartieri, le campagne, i contadini soprattutto attraverso conferenze agrarie di zona, portando avanti a quel livello di zona omogenea il discorso per i piani zonali di sviluppo agricolo e per gli assetti territoriali, le strutture civili, gli insediamenti industriali a livello di comprensorio e di area ecologica. Ma riprenderemo questi temi quando affronteremo i problemi della programmazione e del piano di sviluppo.
Ho voluto però accennare ad essi in quanto ritengo che altrimenti tutte le politiche settoriali, tutti i provvedimenti di politica agraria che ora sottolineeremo, non sortiranno i risultati voluti se non saranno inquadrati in questo disegno generale. Del resto, anche il piano di sviluppo regionale potrà non essere un libro dei sogni soltanto nella misura in cui andrà avanti a livello nazionale la battaglia per le riforme di struttura e nella misura in cui si affronteranno i problemi di un nuovo tipo di sviluppo economico generale e del Mezzogiorno, che pure hanno trovato spazio nella discussione sullo Statuto e anche una codificazione.
Nessuno si stupisca pertanto se in un dibattito sull'agricoltura e con pretese piuttosto limitate, il nostro gruppo solleva qui le questioni del Mezzogiorno che sono strettamente intrecciate a quelle agrarie e della riforma agraria oltre che ad una massiccia industrializzazione di quella parte del paese per bloccare l'esodo di quelle popolazioni, invertire i processi di degradazione dello stesso tessuto sociale e civile; processi del resto che in piccolo si sono verificati e si verificano anche all'interno del triangolo industriale, nel nostro arco alpino ed in altre zone collinari della Regione.
Pertanto, con riferimento ad una precisa scelta compiuta dalla Regione nello Statuto, soprattutto convinti che i problemi delle campagne e dell'agricoltura troveranno soluzioni definitive sicure solo nel quadro di un nuovo tipo di sviluppo economico equilibrato, prendiamo spunto da questo dibattito per proporre che la Regione Piemonte promuova un incontro, un convegno con le Regioni del Mezzogiorno per concretare assieme linee e orientamenti atti a favorire tutte le zone, tutte le aree depresse del Paese.
Venendo così alle questioni più concrete che abbiamo inserito nel testo della nostra mozione, in questi tre mesi purtroppo la situazione si è ulteriormente aggravata, le esigenze che avevamo intravisto allora, si sono fatte più pressanti e più pressante è quindi l'esigenza di un nostro intervento. Ad esempio l'annata agraria 1969/70 si è ormai chiusa senza che le attese degli affittuari italiani siano state soddisfatte. Noi avevamo chiesto un'azione di pressione. L'annata si è chiusa, ma la riforma dell'affitto non è avvenuta. La legge De Marzi-Cipolla approvata sul finire del 1969 dal Senato è stata ferma per oltre un anno alla Camera e non ha avuto la sanzione definitiva. E noi, che abbiamo statuito il valore dell'azienda ad affitto, non possiamo non assumere una precisa posizione in merito, unire la nostra voce a quella della Regione marchigiana e di altre Regioni che già hanno preso posizione affinché questa legge venga approvata al più presto nello stesso testo approvato dal Senato Il 1970 si chiude non soltanto disattendendo le attese degli affittuari, ma lasciando un profondo vuoto per quanto riguarda la politica degli investimenti in agricoltura. Come avevamo del resto annunciato nella mozione, sono scadute e scadono tutte le leggi finanziarie, dalla 590 per la formazione della piccola proprietà contadina, al cosi detto piano verde n, 2; e altre leggi di finanziamento erano già scadute. Quale che sia stato il passato e quale che resti oggi il nostro giudizio sostanzialmente negativo per il plano verde e per altre leggi, è certo che nessuno pu essere d'accordo che si crei un vuoto totale complessivo per quanto riguarda gli investimenti in agricoltura. Noi pero riteniamo che occorra prendere atto della situazione per un intervento che vada sì a coprire quel vuoto, ma a coprirlo nel modo giusto. Quindi nessun rifinanziamento di quelle leggi e neppure nessuna legge ponte chiediamo, noi solleviamo invece l'esigenza, se si vuole davvero operare per modificare il tipo dell'investimento pubblico in agricoltura, di una legge che stanzi a bilancio dello Stato fonti adeguate che siano debitamente ripartite con criteri da determinarsi di equità fra le varie Regioni, in modo che siano esse a modificare la precedente politica degli investimenti, che siano esse a corrispondere, attraverso la loro attività legislativa, alle esigenze locali e a determinare un investimento di tipo nuovo, non più di carattere verticale settoriale, ma orizzontale, che vada a promuovere le trasformazioni agrarie a livello zonale, che favorisca lo sviluppo di nuove forme associative in agricoltura.
Si tratta di cogliere l'occasione da questa situazione perché si realizzino le condizioni affinché la Regione possa, con il 1971, iniziare a operare concretamente nel settore dell'agricoltura.
Sempre con riferimento all'attività legislativa parlamentare, occorre da parte di ogni singolo Consiglio Regionale che si segua il processo legislativo in corso. Sono state presentate varie leggi e leggine. E' giusto che i parlamentari continuino la loro attività legislativa, ma le Regioni devono seguire questo processo e intervenire a favore o contro, a seconda del tipo di legge, se esaltano o se mortificano le prerogative della Regione.
Per quanto riguarda l'agricoltura ve ne sono molte di queste leggi alcune le consideriamo positive, quelle che prevedono la costituzione dell'ente di sviluppo agricolo per le Regioni a Statuto ordinario che ne sono ancora prive. Altre leggi invece ci lasciano assai dubbiosi. E' passata recentemente la legge per la difesa civile, alluvioni, terremoti.
Dire che questa legge mortifichi i poteri della Regione è dire poco.
Un'altra leggina, di un gruppo di senatori lombardi, si occupa del riordino delle utenze irrigue in alcuni comprensori, fra questi anche il Sesia; io non so cosa ne pensino i vercellesi e i novaresi, ma pare a me che quello delle utenze irrigue in generale è uno dei grossi problemi che non era compreso nella nostra mozione ma sul quale è bene che il dibattito si svolga, ma quanto indicato dalla legge non va nella direzione giusta. Il riordino delle utenze irrigue, l'ulteriore sviluppo dell'irrigazione è uno dei problemi di fondo dell'attività della Regione, sul quale si dovrà intervenire. E prima di entrare nella parte finale della nostra mozione colgo l'occasione per segnalare l'importanza di giungere ad una rapida presa di posizione nella questione dell'utilizzazione delle acque del Tanaro. Se ne parla da oltre 50 anni, i colleghi di Cuneo e di Alessandria conoscono quanto e meglio di me le vicende che interessano cinque province liguri e piemontesi. A questo proposito desidero solo segnalare che la Regione ligure, per quanto concerne Imperia e Savona, è interessata soprattutto al rifornimento idrico e potabile, mentre l'utilizzazione delle acque del Tanaro interessa l'irrigazione, il rifornimento idrico, l'energia elettrica ecc.. La Regione ligure si riunirà per esaminare la questione non più tardi di giovedì prossimo e oggetto della discussione sarà se e come intervenire per la soluzione dei problemi relativi alla realizzazione della prima tranche dei lavori a cui si dovrebbe por mano da parecchio tempo e non si procede perché mancano dieci o dodici miliardi.
Questa è una cosa che interessa noi quanto la Regione ligure e dobbiamo vederlo con quelle amministrazioni regionali e provinciali che fanno parte del Consorzio interprovinciale ligure-piemontese.
Giungo così alla parte conclusiva della nostra mozione, sulla quale interverrà pure il collega Besate, per cui io mi limito ad alcune cose essenziali. Noi avevamo sollevato l'esigenza che la Giunta presentasse proposte concrete per interventi di carattere immediato in alcuni settori produttivi, con particolare riferimento alla viticultura, al processo di sfaldamento, di crisi che colpisce le Cantine Sociali, alla zootecnia all'ortofrutto. Chiedevamo la convocazione in accordo con i Comuni e le organizzazioni sindacali per l'avvio del movimento delle conferenze agrarie di zona, al fine di elaborare i piani zonali di sviluppo. Quest'ultimo aspetto fa ora parte anche dello Statuto per il modo in cui intendiamo articolare il piano regionale di sviluppo.
Avevamo sollevato l'esigenza di un impegno della Regione attorno ai problemi della legge n. 364 per il fondo di solidarietà, per l'applicazione e il miglioramento di questa legge. E qui si apre un vasto campo di attività che riguarda appunto l'azione necessaria a migliorare la legge. La Regione credo debba entrarci in due direzioni: operare per la difesa attiva, intervenire anche per la difesa passiva, ma intervenire direttamente a favore dei contadini.
Per quanto riguarda l'impegno che abbiamo chiesto in direzione dei settori produttivi, in questo periodo le cose si sono ulteriormente aggravate. Mi riferisco alla denuncia sollevata dai colleghi Borello e Menozzi con la interrogazione n. 5 (non so se sia già stata data risposta da parte del Presidente) che è di una gravità eccezionale. Non mi soffermo ad esprimere un giudizio sulla legittimità dell'autorizzazione concessa dal Ministero del Lavoro al liquidatore della ex consociazione Asti-Nord a perseguire direttamente le Cantine Sociali che ne facevano parte, per recuperare un credito contestato di oltre 700 milioni. Questi 700 milioni dovrebbero essere pagati dai seimila soci di quelle Cantine, soci che hanno già pagato a caro prezzo le conseguenze del dissesto che ha coinvolto e travolto la Consociazione Asti-Nord.
Né intendo soffermarmi su cose conosciute e in modo particolare dal Presidente della Giunta. Ciò che va detto è che con questa autorizzazione con la sua eventuale esecuzione si pone fine, si porta un colpo decisivo ad ogni possibilità di riorganizzazione del movimento cooperativo e associativo nel settore vitivinicolo. Le conseguenze saranno altre Cantine che andranno verso la chiusura dei battenti, sarà il disfacimento pressoch totale di questo movimento che in Piemonte aveva raggiunto il cospicuo numero di 50 Cantine Sociali. Di qui l'esigenza, da tempo sollevata da parte di tutte le organizzazioni di categoria e di diverse forze politiche di un impegno teso a dare attuazione concreta ad un piano di risanamento dell'intero movimento cooperativo ed associativo nel settore vitivinicolo per il quale è indispensabile la mobilitazione dell'intervento pubblico in capitali, in assistenza tecnica, organizzativa e commerciale, solo che questa volta occorrerà partire dalla base e non dal vertice, occorrerà partire dal risanamento della Cantina, dalla riconquista della fiducia dei soci o ex soci per poi costruire le strutture di secondo e terzo grado con capitali pubblici e con l'intervento della Regione e di altri enti. E qui emerge l'esigenza di darsi al più presto uno strumento operativo che possa assolvere a quei compiti e non può essere che l'ente, di sviluppo agricolo.
Più in generale per quanto riguarda questo e altri settori produttivi la zootecnica, l'ortofrutta, occorre predisporre programmi, iniziative di intervento per un'azione a monte del processo produttivo, per favorire e realizzare programmi di trasformazione agraria, per la riduzione dei costi di produzione; intervenire quindi nella fase della trasformazione, della commercializzazione e distribuzione. Le vie da battere per realizzare programmi, interventi non possono che essere i piani di zona per costruire gli elementi della nuova politica agraria con i diretti interessati. Gli strumenti non possono che essere le nuove forme associative, lo sviluppo della cooperazione che sole possono affrontare e risolvere sia il ricorrente problema delle così dette dimensioni aziendali ottimali, sia quello di garantire lo sviluppo del potere contrattuale del contadino e io direi anche lo sviluppo dell'unità e della democrazia contadina nelle campagne, Altrettanto decisivo a questo punto diventa l'intervento pubblico della Regione, degli Enti locali nel settore oggi dominati dal capitale finanziario oltre che da tutto quel sottobosco in cui si articola l'intermediazione ripetitiva e parassitaria, intendo dire il settore che sta a monte, che sta fra processo di produzione e distribuzione al dettaglio. Intervenire in questo settore procedendo di pari passo nel processo di sviluppo della riorganizzazione, della costruzione di un articolato sistema associativo che realizzi quelle nuove dimensioni aziendali per l'impresa contadina singola o associata significa operare concretamente per la costruzione di un'agricoltura moderna, nuova, basata sull'azienda contadina libera associata, che sia capace di produrre di più a costi più bassi e significa anche operare contemporaneamente per la difesa del reddito contadino naturalmente, ma anche per la paga dell'operaio, quindi anche nell'interesse dei consumatori e contro il caro vita e contro l'inflazione. Si tratta solo di idee generali, ma in proposito vi sono già studi, elaborazioni più compiute e anche iniziative in atto, basta avere sfogliato i documenti che ci hanno mandato i comuni e le province per quanto concerne i criteri e i principi dello Statuto. La maggior parte si è poi diffusa ad indicare una tematica che rispecchia elaborazioni, proposte concrete di intervento in questa direzione, ma vi sono, come dicevo, studi, elaborazioni da parte delle organizzazioni sindacali in campo agricolo.
Noi quindi riteniamo che non si debba perdere altro tempo ed impostare subito alcune linee d'azione e di lavoro per le quali non occorrono particolari poteri in più di quelli che oggi abbiamo, anche se dobbiamo muoverci e operare per strappare subito nuovi poteri, per sconfiggere l'ipotesi che ritorna del così detto biennio bianco; basta riferirci alla recente riunione avvenuta fra i grandi burocrati dell'agricoltura e foreste che si sono riuniti a Firenze per organizzare l'opposizione al passaggio delle prerogative del Ministero dell'Agricoltura alle Regioni. Si tratta di acquisire studi, piani già elaborati sia per il settore vitivinicolo, sia per quello zootecnico. Io penso ai vari piani di risanamento per le Cantine Sociali elaborati dai vari organismi dell'astigiano, penso alla zoo Piemonte, alle sue proposte per quanto riguarda un suo intervento in questo settore, penso al piano zonale di sviluppo redatto dal CRPE per un gruppo di comuni ancora dell'astigiano, ma penso soprattutto ai vari piani, alle varie iniziative, agli investimenti di cui quasi tutte o tutte le amministrazioni provinciali dispongono per l'agricoltura, spesso in modo dispersivo. Non si tratta di ledere l'autonomia di nessuno, ma di darci al più presto uno strumento di coordinamento e di consultazione. Ecco una nostra proposta ad esempio: una consulta regionale agricola provvisoria che possa funzionare come tale anche soltanto fino a quando avremo l'ente di sviluppo, potrebbe diventare lo strumento utile ed efficace per il coordinamento non soltanto degli studi, non soltanto per acquisire le varie iniziative, ma per coordinare già interventi in atto.
La nostra proposta di istituire un comitato interassessorile risponde proprio a queste esigenze di un intervento immediato e penso che possa e debba essere valutata e presa in considerazione.
Concludendo, signor Presidente, signori Assessori e colleghi, non è possibile perdere altro tempo; noi abbiamo accumulato un notevole prestigio per il modo solerte, alacre con cui abbiamo lavorato per darci uno Statuto ce lo siamo dato, ora però non si può perdere quel prestigio con inerzia con inattività che rischieremmo di pagare ma che soprattutto pagheranno i lavoratori, i contadini che attendono appunto qualcosa di nuovo da parte della Regione Piemonte.



PRESIDENTE

Per illustrare la mozione presentata dal Consigliere Menozzi ed altri ha facoltà di parlare il Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, pur non avendo di fronte a noi l'emiciclo gremito di altre occasioni, i problemi che ci accingiamo a trattare non sono meno gravi e densi di incognite di quelli discussi proprio ieri in questa stessa aula. Anzi, è opportuno precisate che quando il discorso cade sulle attuali condizioni degli operatori agricoli dobbiamo riconoscere che trattasi pur sempre, nella loro prevalenza, di lavoratori, seppure autonomi, i quali sopportano accentuatamente tutti i sacrifici, le tribolazioni, le sofferenze e le privazioni dei restanti lavoratori, senza beneficiare di alcuni trattamenti socio-economici conseguiti da questi ultimi, come avremo modo di dimostrare nel corso del nostro intervento.
Infatti la situazione dell'agricoltura piemontese appare sempre più difficile e complessa, sia facendo riferimento alle forze di lavoro occupate, sia nei confronti del reddito pro-capite degli addetti al settore. Dal 1951 la popolazione agricola attiva è passata dal 38,5 per cento sul totale della popolazione attiva, al 22,8 per cento nel 1961, al 21,1 nel 1967, al 15,8 nel 1969. Circa il reddito pro-capite anche in Piemonte gli addetti al settore primario si trovano ad un livello medio del 50 per cento rispetto al reddito dei lavoratori degli altri settori produttivi: sono cioè, in tema di reddito, dei mezzadri fermi al vecchio parametro di riparto del 50 per cento e non quello del 58 oggi in vigore.
Con un'esemplificazione più espressiva dovremmo dire che gli operatori agricoli rappresentano il sud del Piemonte.
Nonostante che il Piemonte sia una Regione che sempre più viene ad assumere caratteristiche industriali (prova ne sia che dal 1951 al 1969 il reddito lordo prodotto dalla Regione, di provenienza dal settore agricolo è passato da oltre il 40 per cento all'8 per cento), non è pensabile che il settore primario possa essere abbandonato ad una tendenza spontanea, non fosse altro che per il fatto che alcune aree del territorio regionale hanno una tipica vocazione agricola. D'altra parte, come affermato, la tendenza spontanea in atto fa sì che per il settore agricolo abbiano a verificarsi alcuni fenomeni che meritano di essere valutati: a) invecchiamento della popolazione agricola (dal 1961 ad oggi ha raggiunto una percentuale di oltre il 50 per cento degli occupati nel settore che aveva superato il 45 anno di età. Pur mancando dati riferiti al momento attuale, si ha motivo di credere che a tutt'oggi la situazione si sia maggiormente deteriorata); b) per contro la femminilizzazione nelle campagne fa registrare un aumento della percentuale delle donne attive occupate, passando dal 21,4 per cento al 25,2 per cento, e provocando un processo involutivo e non evolutivo come sarebbe logico, della posizione della donna all'interno dell'azienda contadina. Risulta pertanto evidente come sempre più l'agricoltura piemontese diventi un'agricoltura di anziani e di donne.
Strettamente correlato a questi fenomeni, c'è il problema del part time, su questo fenomeno mancano dati precisi. Certo è che non ha senso pensare ad un'attivazione del settore allorquando vi siano persone dedite alla agricoltura intesa come occupazione secondaria.
Dal censimento agricolo del 1961 si è rilevato che il numero delle aziende piemontesi risultava essere pari a 375.820 di cui oltre il 90 per cento direttamente coltivate dal proprietario o dall'affittuario. Da ciò si evidenzia che l'impresa familiare, intesa come quella nella quale il lavoro della famiglia risulta essere preminente su quello di provenienza esterna è, nonostante tutto, la struttura più diffusa nella Regione . Pur mancando una rilevazione regionale in proposito, si ha motivo di pensare che quanto affermato dall'Istituto Nazionale di Sociologia Rurale circa il fatto che il reddito prodotto in agricoltura è di provenienza delle imprese familiari per oltre l'80 per cento, pur estendendosi questa al solo 60 per cento della superficie agraria nazionale, trovi una sua conferma in Piemonte se non addirittura un'accentuazione.
Col dato esposto vengono a cadere le tesi di quanti ritengono superata la conduzione familiare dell'impresa agricola, ipotizzando ed invocando quella del tipo capitalistico che trova tanti fautori, anche nei più disparati settori della vita politica italiana. A maggior sostegno delle nostre convinzioni, ricordiamo che una statistica, risalente al 1966 l'ultima in nostro possesso, collocava il nostro Paese al quarto posto della graduatoria mondiale in tema di incremento produttivo, preceduto soltanto da Israele , Austria, e Francia. Questo dimostra chiaramente non solo la validità, ma addirittura l'insostituibilità dell'impresa familiare diretto-coltivatrice. Le carenze invece emergono quando ci soffermiamo sulla produttività del lavoro e conseguentemente sulla redditività del medesimo, il che non comporta la messa in discussione del tipo di conduzione dell'azienda agricola, bensì le attuali strutture ed infrastrutture dell'azienda la quale, nella maggioranza dei casi, presenta più le dimensioni del fazzoletto di terra, per giunta bucherellato, anzich quelle dell'impresa vera e propria.
Ed ecco alcuni dati in proposito: la dimensione media delle aziende piemontesi è di 9,9 ettari per la montagna, di 3,7 per la collina, di 6,1 per la pianura; dato medio regionale ettari 5,8 per azienda. Appare evidente l'insufficienza strutturale delle nostre aziende, molto spesso ancora frazionate in più corpi. Ed è proprio in riferimento alle denunciate carenze strutturali e infrastrutturali che, pur considerando l'istituto regionale come la sede più idonea per affrontare e risolvere problemi del settore, riteniamo indispensabile, nell'attuale fase di trapasso, in attesa che il governo emetta con sollecitudine i decreti delegati ai sensi dell'Art. 17 della Legge 16 maggio 1970 numero 281, che lo Stato provveda secondo quanto già preannunciato, a presentare alle Camere un provvedimento generale di finanziamento per il rilancio del piano verde n. 2, della 590 e di altre leggi in attesa di risoluzione, comprensivo di una norma ponte onde evitare, nel modo più assoluto, che abbiano a verificarsi periodi di vuoto nel pubblico intervento. Collega Ferraris, è solo per questo che invochiamo una legge ponte, senza fissare dei termini, che vorremmo fossero i più brevi possibili, per evitare che abbiano ad esserci quei vuoti ai quali abbiamo fatto riferimento, per i quali, se lacunosa è la situazione oggi, maggiormente lo diventerebbe domani con detti vuoti. L'ottimismo, la speranza, il desiderio che anima ognuno di noi ai fini di poter quanto prima vedere la nostra Regione nelle piene facoltà della sua operatività, è un conto, ma l'esame serio ed obiettivo della situazione ci pone di fronte ad alcune cautele perché non abbia a verificarsi che mentre il vertice pensa ai prossimi trapassi della Regione e questa li attende, l'agricoltura continui ad accusare determinate carenze che sono preoccupanti oggi e potrebbero diventare drammatiche domani.
Ecco il motivo di invocazione di una Legge ponte. Così come non possiamo fare a meno di sollecitare energicamente il potere legislativo centrale all'approvazione definitiva della legge relativa all'affitto dei fondi rustici attualmente in discussione alla Camera, per una più equa regolamentazione di così importante e determinante contratto per alcune province piemontesi e nel contempo invochiamo il definitivo superamento della mezzadria, per le sue ben note carenze ed insufficienze.
Ottenuto il trapasso dei poteri, che nuovamente ci auguriamo sollecito l'arduo problema della ricomposizione fondiaria dovrà essere affrontato con assoluta priorità iniziando dall'obiettiva individuazione, nell'ambito di aree omogenee del territorio, della possibilità di costituire e nel contempo favorire la creazione di aziende ottimali con l'applicazione di una chiara, lineare e sostanziale politica di incentivi. E qui vorremmo anche fare un discorso che è meno popolare, ma che riteniamo altrettanto importante: e cioè, mentre parliamo degli incentivi, a latere dobbiamo anche parlare dei disincentivi, nel senso di fare in modo che la Regione utilizzi i mezzi finanziari, di cui potrà disporre, a favore delle aziende ubicate in zona e territorio suscettibili di reali e sostanziali miglioramenti per il perseguimento dei fini e c on o mici che si intendono raggiungere, evitando così di disperdere e polverizzare interventi, come purtroppo, tutt'ora avviene.
E' ovvio che il nostro non vuole essere un discorso esclusivamente efficentistico ed economicistico dimenticando l'uomo o la persona, in quanto tale, la quale rimane pur sempre alla sommità delle nostre attenzioni e preoccupazioni; ed allora, per quanti vivono ed operano in località incapaci, nonostante aiuti ed incentivazioni, di far registrare i miglioramenti desiderati, si pone il problema di un indirizzo politico alternativo e cioè quello di natura sociale, principalmente a favore degli anziani, non più in grado di trovare più idonee occupazioni e collocazioni.
Invochiamo, perciò, sul piano produttivistico ed economico una politica a doppio binario che sia decisamente incentivante e, nel contempo disincentivante.
A questo fine appare essenziale una politica regionale volta a valorizzare e a definire l'imprenditore agricolo attraverso un riconoscimento ufficiale della professione, "albo professionale", a favore di chi esercita, quale attività principale e in modo consuetudinario l'agricoltura. Ahimé, quante polemiche sul fatidico albo professionale! E' stato soggetto a mille ed una definizione e qualificazione e non tutte simpatiche; il più delle volte certi giudizi venivano espressi da coloro che, con spirito superficiale, si ponevano soltanto un problema, quello di non riconoscere e non valorizzare la professione in agricoltura.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, sia chiaro l'albo professionale viene richiesto non solo per un giusto e doveroso riconoscimento e qualificazione della "professionalità" come fatto morale e di dignità ma anche e soprattutto per fornire alla Regione uno strumento attraverso il quale possa individuare quando si deve premere il bottone della politica incentivante e quando invece si deve premere quello della politica disincentivante.
Per mezzo di questo riconoscimento ufficiale sarà conseguentemente possibile giungere ad una nuova impostazione anche del credito agevolato in agricoltura, disancorato dalle attuali garanzie reali. A tale proposito non vi è dubbio che così, come risulta essere nell'attuale momento, il credito in agricoltura, ancorato a forme di garanzie, come quelle che ho indicato non possa ritenersi valido per uno sviluppo del settore. Negli Stati Uniti ad esempio, si può osservare che, in ragione delle leggi anti-trust vigenti nel Paese, non è ammessa l'ipoteca a garanzia di prestiti e di mutui, anche in considerazione che ciò è ritenuto fatto immorale. E non mi si dica che gli Stati Uniti si sono abbandonati a questa considerazione perché hanno un'agricoltura ricca; tutte le cose viste dall'esterno sembrano più belle.
Ebbene, l'America, per non parlare di altri Paesi a diverso indirizzo politico, perché allora il dato peggiorerebbe, ha due milioni e mezzo di famiglie contadine che vivono nella più nera miseria e che debbono rivolgersi a quel credito che tante volte ha il sapore di sussistenza vera e propria. Io penso che attraverso l'albo professionale, attraverso la qualifica ufficiale che si dà all'imprenditore agricolo, attraverso l'individuazione di un operatore che dedica manualmente e giornalmente la sua attività al lavoro dei campi, si costituisca uno strumento sufficiente per poterlo aiutare nel momento di bisogno. Oggi si verifica il contrario: lo zoticone, l'incapace, l'indolente che sia in grado di presentare garanzie reali può ottenere il credito, mentre il giovane operatore agricolo, il giovane coltivatore dotato, preparato ma che non è nelle condizioni di presentare le citate garanzie, vede lo sportello abbassarsi.
Il brevetto professionale, è quello strumento che potrà servire notevolmente alla Regione per vedere chi della terra ne fa motivo di lavoro e di vita e chi invece ne fa motivo di speculazione o peggio. Intendiamoci bene, che nella considerazione, tra l'altro, del credo politico che professiamo, non vogliamo fare della politica discriminatoria, non vogliamo abbandonarci a schemi classistici, ma piuttosto a schemi di giustizia.
Chiunque voglia intraprendere la professione agricola, chiunque voglia lavorare i suoi terreni nelle forme che ritiene più opportune è liberissimo di farlo, però gli aiuti, gli incentivi dovranno andare a coloro che della terra ne fanno strumento di lavoro e di vita e non ad altri.
Altrettanto essenziale dovrà riconoscersi la concessione, con legge regionale di un "premio di fedeltà" o salari o differito a favore dei coadiuvanti che restano ad operare nell'azienda agricola. Molto spesso secondo un concetto di equità soltanto apparente, si divide un fondo tra discendenti che di fatto si trovano in differenti condizioni: basti ricordare il caso di due figli di cui uno ha continuato a lavorare nell'interno dell'azienda paterna e l'altro si è dedicato ad altra attività, fatti che, nel corso dei tempi, col ripetersi delle successioni hanno provocato il triste fenomeno della polverizzazione e frantumazione aziendale e che, protraendosi, verrebbero per vanificare ogni e qualsiasi tentativo dell'auspicato riordino fondiario.
In sintesi "gli adeguati finanziamenti", "gli aggiornamenti contrattuali", "l'istituzione dell'albo professionale" e "il salario differito" dovrebbero costituire i capisaldi sui quali promuovere un efficace riordino fondiario oggi e avere la certezza della sua conservazione domani.
Come prima affermato, altrettanto necessariamente valida dovrà essere l'azione in difesa dell'impresa familiare che, peraltro, non vi è dubbio costituisce la realtà più diffusa del nostro Paese e, più consona alla mentalità e al modello di vita della nostra gente di campagna. E' necessario, comunque, che detta azienda nella fase di commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli, venga integrata in strutture di carattere cooperativo ed associativo onde far sì che venga meno l'attuale ottimismo nell'offerta e si possa conseguire un maggior potere contrattuale; cooperazione e associazione dimostratesi purtroppo assai deludenti nella nostra Regione. Al 1968 il numero complessivo di cooperative di produzione e vendita risultava essere pari a 173, di cui 24 cooperative di produzione (12 per la lavorazione dei terreni, 8 per la conduzione, 4 stalle sociali) e 149 cooperative di trasformazione e vendita e tra queste 92 Cantine sociali e 37 latterie e caseifici sociali, oltre a 20 cooperative ortofrutticole.
Il movimento cooperativo, come è noto, sia per l'esistenza di una legislazione ormai inadeguata, sia, molto spesso, perché disancorato da effettive esigenze di validità economica, tende sempre più a ridursi. Pur non soffermandoci su questo aspetto, che, peraltro, meriterebbe un particolare esame, è opportuno rilevare come la situazione attuale in materia risulti essere negativa e come, sia per la mancanza di un coordinamento, che di un più preciso intervento pubblico, scarse appaiono le prospettive. E' chiaro che, in materia, amplissime potranno essere le iniziative che l'Ente regionale potrà venire con l'assumere e ciò anche per coerenza con quanto codificato in merito all'Art. 4 dello Statuto. E' altrettanto noto come la Regione abbia competenza in materia di istruzione professionale e come, in tal senso, per il settore agricolo, debbano promuoversi iniziative precise per la formazione e qualificazione degli imprenditori agricoli, introducendo, se del caso, negli ambienti rurali materie quali ad esempio lo studio della cooperazione in grado di orientare ed educare verso gli obiettivi che si vogliono perseguire. Io direi che non solo a livello di corsi d'istruzione per la formazione e specializzazione tecnico-professionale, ma all'interno delle stesse scuole di certi ordini e gradi dovrebbero essere introdotte queste materie perché: 1) cooperatori non si nasce ma si diventa; 2) quando è stato formato e sensibilizzato un cittadino ai principi della solidarietà, della mutualità e della cooperazione, questa preparazione gli servirà non solo nel settore specifico, ma in tutti gli ambienti nei quali l'individuo si troverà ad operare. Per cui mi pare che non sia una richiesta assurda. Anzi, mi auguro che venga portata avanti dalla Regione, che possa trovare il suo inserimento sia all'uno che all'altro livello indicato.
Molte altre cose occorrerebbe dire in ordine ai problemi della valorizzazione delle zone collinari e montane, cui è connesso il problema dell'equilibrio idrogeologico, così come in materia di viabilità poderale ed interpoderale, di riordino delle utenze irrigue, ecc., aspetti sui quali non mi soffermo in quanto sono certo che altri colleghi non mancheranno nel corso dei loro interventi, di illustrarli dettagliatamente, Dal momento però che ho parlato di equilibrio idrogeologico, mi soffermo soltanto per evidenziare l'estrema necessità ed urgenza che, unitamente ad una concreta ed organica difesa del suolo, ovviamente da svolgersi in concomitanza con i poteri centrali, la Regione si senta impegnata a migliorare la legge 25.5.1970 n. 364, che va sotto il nome di "Fondo Nazionale di Solidarietà" onde renderla più aderente alle caratteristiche ed alle esigenze dell'agricoltura piemontese e nel contempo capace di offrire così ai produttori uno strumento di "difesa passiva" dalle avversità atmosferiche della massima efficacia. Come nel contempo, impegniamo la Regione a voler capire anche la necessità di sviluppare e potenziare la difesa attiva, di concerto magari col Consiglio Superiore delle Ricerche e non certamente con oneri gravanti sulle spalle dei produttori agricoli, almeno sin quando la difesa attiva rimarrà, come attualmente, allo stadio di sperimentazione.
Per quanto attiene poi ai grandi indirizzi di politica agraria, non possiamo non ribadire l'indispensabilità che il Consiglio Regionale manifesti la sua precisa volontà di attuare una politica agraria rispondente alle grandi direttrici di azione definite o in fase di definizione a livello sovrannazionale dalla Comunità Economica Europea.
Mentre consideriamo indispensabile la realizzazione di questa politica europea dell'agricoltura, recepita e coordinata, peraltro, a livello nazionale da parte del nostro legislatore e della relativa amministrazione centrale, non possiamo non ritenere essenziale una partecipazione diretta dell'Ente Regione sia nella fase di coordinamento, da realizzarsi da parte del potere centrale, sia, soprattutto, a livello decisionale della CEE: coordinamento e partecipazione dovrebbe essere il binomio inscindibile caratterizzante la futura attività della nostra Regione e ciò per evitare dannose confusioni, contrapposizioni, dualismi e, peggio ancora esclusioni, tra il potere regionale, nazionale e comunitario.
Ho appreso con piacere in questi ultimi giorni che su alcuni periodici è stato dibattuto questo particolare tema e uno di questi articoli era proprio intitolato "Coordinamento e partecipazione" e ipotizzava l'evenienza, la possibilità e l'utilità che noi condividiamo, di fare in modo che le Regioni e gli Enti locali più importanti abbiano, proprio all'interno dell'esecutivo della comunità, una loro rappresentanza, per potere così realizzare non tanto l'Europa delle patrie che invocava quel grande uomo che non è più, ma per poter eventualmente realizzare la vera unità europea attraverso il coordinamento e la partecipazione delle Regioni di tutta Europa.
Così come consideriamo indispensabile, sempre a livello regionale, che i futuri interventi dell'Ente Regione, nel settore trovino una loro collocazione nella logica più generale dello sviluppo economico e come debba considerarsi essenziale l'interdipendenza tra l'agricoltura e gli altri settori produttivi, soprattutto con riferimento al fenomeno dell'assetto territoriale e del conseguente decentramento industriale onde evitare, anche all'interno della Regione, che abbiano a verificarsi spostamenti di uomini là dove risulta esservi localizzato il capitale anziché viceversa. Non è pensabile, Signor Presidente, colleghi Consiglieri, di procrastinare "sine die" anche la soluzione di un equilibrato decentramento industriale tra le grandi aree del Paese e all'interno delle stesse, al fine di evitare il pauroso dilatarsi dei vuoti territoriali in essere da una parte e dei congestionamenti urbani dall'altra, con tutte le negative conseguenze di ordine umano, sociale e finanziario, a tutti ben note; continuando così (e non riteniamo di uscire come si suol dire, dal seminato, nel pronunciare queste cose, perch pensiamo all'agricoltura i cui operatori sono le prime vittime di questa situazione) si assisterebbe nel breve volgere di tempo a due nefande conclusioni, cioè alla cristallizzazione del deserto nelle campagne e delle bidonville nelle città. Inoltre i lamentati vuoti territoriali, oltre che per l'avvenire dell'agricoltura vanno altresì evitati, per scongiurare l'ulteriore depauperamento di patrimoni morali, di costume e di sane tradizioni, che vanno invece salvaguardati all'interno e all'esterno della Regione. L'Italia, nonostante tutte le previsioni e gli auspici di ben individuati interessi validamente sorretti e sostenuti da certi tecnocrati ed economisti, non potrà mai, salvo rare eccezioni, diventare il Paese delle "megalopoli", pena il suo generale decadimento.
Ecco perché, in tema di decentramento industriale, dobbiamo riaffermare il principio secondo il quale non deve essere l'uomo costretto a rincorrere affannosamente e, tante volte, dolorosamente quel capitale che gli fornisce il lavoro, bensì il capitale, acquistando una maggiore mobilità, dovrà spostarsi ove esiste l'uomo lavoratore. E anche in questo ci sarebbe la salvaguardia dell'integrità dell'azienda contadina nelle sue funzioni e nel suo divenire, Solo così si potrà, modificando gli attuali termini, porre l'economia al servizio dell'uomo e non questo, come oggi avviene, al servizio dell'economia.
Circa gli strumenti operativi, ci pare utile ribadire la validità dello strumento del piano zonale, cui fa espresso riferimento lo stesso Statuto Regionale, inteso come nuovo canale di partecipazione delle categorie agricole alle scelte che le riguardano. Non ha più senso una politica verticistica, bensì deve realizzarsi una concreta partecipazione tale da far sì che anche i coltivatori diretti diventino protagonisti, soggetto e non oggetto di decisioni; così come crediamo nell'ente di sviluppo agricolo, dotato di una maggioranza di produttori nel suo Consiglio, inteso quale strumento promozionale per gli interventi nel settore sia per l'attuazione dei piani zonali, sia per la creazione ed il potenziamento delle necessarie infrastrutture.
Chiedo scusa per il lungo intervento, ma sto per terminare. A qualche collega l'ho già detto: ho preso la parola oggi, volgendo l'ultima sessione al termine; la riprenderò nel solo dicembre dell'anno prossimo (così troverete motivo per scusarmi).
In tema di politica sociale non è pensabile che quel fondamentale concetto della ridistribuzione del reddito, ribadito nella politica di programmazione, non possa trovare una sua logica collocazione anche nella politica regionale. Ai produttori agricoli vanno assicurate condizioni di parità, nelle misure previdenziali ed assistenziali, in modo da evitare che abbia a perpetuarsi una vergognosa condizione di inferiorità. Facciamo voti affinché la tanto discussa riforma sanitaria, oltre che superare l'attuale sistema mutualistico per passare a quello della "sicurezza sociale" vera e propria, riaffermi la validità dell'autogoverno della categoria diretto coltivatrice nella gestione del nuovo organismo e principalmente delle Unità Sanitarie Locali e l'inserimento dei rappresentanti della stessa categoria nelle amministrazioni degli ospedali e in tutti quei settori ove si pone in discussione il delicato e scottante problema sanitario. Come chiediamo anche il superamento di incongruenti disparità oggi esistenti in campo infortunistico e in tutti i restanti settori che per brevità non elenco.
L' Art. 4 dello Statuto regionale ribadisce anche, e direi soprattutto l'impegno di assicurare condizioni civili di vita nelle campagne. Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, in tal senso amplissime appaiono le possibilità di iniziative: la inferiorità sociale di chi vive nelle comunità rurali non è un fatto utopistico ma, purtroppo, una triste realtà.
L'Ente Regione dovrà saper cogliere questo aspetto che trascende i problemi meramente economici, ma che ha una rilevanza del tutto eccezionale. Dovremo operare nel senso che anche in campagna vengano realizzate ormai indispensabili infrastrutture sociali, trasferendo, per quegli aspetti positivi, e solo per quelli, modelli di vita urbana. Solo così potremo, in parte, correggere l'attuale complessa difficile situazione. E in tal senso penso non sia fuori luogo abbandonarci alla invocazione: non più la campagna in città, ma la città in campagna! Riteniamo che la mancata risoluzione dei problemi posti, determinerebbe incalcolabili danni, non solo socio-economici, ma anche politici e morali per l'intera regione e per tutto il paese; pertanto, Signor Presidente e colleghi Consiglieri, confidando sulla fattiva e determinante azione della Regione, che qui rappresentiamo, onde essa abbia a far sì che la risoluzione dei problemi oggi prospettata, diventi certezza domani.



PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Giovana. Ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, la mozione presentata dai colleghi Ferraris e Besate mi trova sostanzialmente consenziente, sia per quanto concerne i richiami che essa fa ai problemi di contenuto della situazione dell'agricoltura piemontese nel quadro di una realtà nazionale del settore che ha risvolti, a mio avviso, drammatici, sia per quanto attiene alle proposte di immediato intervento della Regione in ordine a tali questioni. Non mi addentrerò (anche perché debbo già essere grato alla presidenza di avermi agevolato nello svolgimento anticipato dell'intervento, affinché possa raggiungere in tempo utile un aereo), non mi addentrerò, dicevo, in dettagli tecnici, che del resto sono stati lucidamente esposti dal collega Ferraris e che hanno trovato anche alcuni riscontri nell'intervento così giovanile e così focoso, e quindi certamente portato da un entusiasmo sincero verso la materia che trattava, del collega Menozzi. Devo purtuttavia dire, proprio al collega Menozzi, che bisognerebbe avessimo un momento di riflessione comune sulle vicende del passato per comprendere meglio il presente e guardare con più chiarezza all'avvenire.
Mi scuso con i colleghi se dovrò infliggere loro argomenti che essi già hanno udito nel mio intervento di stamane sulle questioni della piccola e media industria, ma vi sono ovvie interconnessioni fra i temi della politica industriale, il meccanismo dello sviluppo industriale e i temi della politica agricola D'altro canto, la , consistenza numerica della mia parte politica in questo Consiglio, mi obbliga a una finzione di ubiquità per cui necessariamente devo anche fare l'esperto di agricoltura, subito dopo aver fatto l'esperto di problemi del settore industriale.
Devo dire, caro collega Menozzi, che non vorrei discutessimo di queste cose come se l'Italia in questi venticinque anni fosse stata nelle mani di due flobertiani Bouvard e Pecuchet i quali, impegnati con nobili intenti in sperimentazioni varie nel settore agricolo, di volta in volta hanno cercato, con questa nobiltà di intenzioni, con questa ricerca affannosa di acquisizione di nozioni, di risolvere problemi che ogni volta si sono accorti non riuscivano a risolvere per il meglio, sicché alla fine hanno allargato le braccia e hanno cambiato campo di applicazione. La verità è che nel corso di questi 25 anni, e tutt'oggi, l'Italia è stata diretta e guidata, determinata nelle sue scelte di natura economica e politica, da forze molto precise. Ed allora ecco che anche qui i problemi sono estremamente qualificanti dell'uno o dell'altro indirizzo nella misura in cui queste forze sanno nella pratica tradurre certe enunciazioni. Io voglio credere senz'altro a quanto, per esempio, per alcuni aspetti, nel contesto generale di un orientamento che ovviamente non condivido, asseriva di voler propugnare lo stesso collega Menozzi nel suo intervento. Voglio credere che ciò sia il prodotto della constatazione che certe sperimentazioni alla Bouvard e Pecuchet non hanno funzionato e che bisogna invece non ripetere né nel metodo, né soprattutto nella strategia, i modi coi quali ci si è comportati verso le questioni dell'agricoltura italiana. Quindi, anche per ciò che riguarda il Consiglio Regionale, il problema della politica agraria è un banco di prova soprattutto per quelle forze, presenti all'interno della maggioranza consiliare, le quali si dicono portatrici di una volontà politica effettiva di tradurre nei fatti certi postulati che abbiamo concordemente inseriti nello Statuto della Regione in queste settimane.
Correlativamente perciò, su questo tema, si avrà una verifica precisa: quella che permetterà di miusurare quanto e come le componenti dell'assemblea, che rappresentano forze di governo gravate dalla gravissima responsabilità inerente alla crisi dell'agricoltura italiana nei molteplici nodi irrisolti della condizione nella quale essa è pervenuta al limite dell'attuale intollerabile pesantezza, siano o meno disponibili per un radicale mutamento di rotta.
E infatti innegabile l'esigenza di una svolta senza mezze misure se si vuole davvero invertire il processo di decadenza e il vero e proprio scasso economico e sociale provocato dagli indirizzi sin qui seguiti. E' innegabile e urgente trarre tutte le conclusioni logiche e non frapporre ulteriori indugi nell'operare i necessari interventi in merito ad un processo che mentre depaupera all'estremo l'agricoltura nelle sue energie più fresche e utilmente impiegabili, come giustamente hanno detto nella loro mozione i colleghi Ferraris e Besate, mentre genera nuove e sempre più paurose migrazioni sociali, con tutti i costi umani, civili e culturali che ciò comporta per le popolazioni delle campagne e per i centri di loro antica agglomerazione, riversa sull'intera collettività e sui meccanismi economico-produttivi del Paese conseguenze di portata incalcolabile.
Volendo sommariamente, ma credo non arbitrariamente, definire i connotati della politica agraria sin qui condotta dai governi di centro e poi di centro sinistra, facenti perno sulla D.C., si potrebbe dire che essi hanno ripetuto e ripetono in peggio e con una spietata esasperazione dei suoi congegni più crudamente antisociali, le caratteristiche dei modelli di sviluppo capitalistici dettati dal prevalere di quei grandi interessi privati di natura oligopolistica ai quali accennavo stamani nel mio intervento sulla piccola e media industria. Se si osservano, infatti, i diversi momenti attraverso i quali procede l'azione di governo nel settore agricolo, è facile individuare un filo conduttore che lega le varie fasi dell'intero processo dall'interno. Questo filo conduttore è dato dall'appoggio aperto al processo di estensione e di concentrazione dell'azienda capitalistica e di maggiore subordinazione di quella contadina. Mediante provvedimenti di incentivazione e di disincentivazione legislativi e amministrativi, l'intervento dello Stato è valso ad accentuare da un lato la compenetrazione del capitalismo agrario e industriale e dall'altro ha cercato e cerca di mediare con soluzioni interne alla logica capitalistica, le contraddizioni aperte dal processo di riorganizzazione.
Con il piano verde n. 1 e con quello n. 2, l'intervento dello Stato nelle campagne è stato consacrato e organizzato. Gli investimenti pubblici che sostituiscono l'investimento fondiario privato e anche una quota dell'autofinanziamento, sono avvenuti in modo organicamente discriminato favorendo l'azienda capitalistica e facendo emergere la media azienda capitalistica conservatrice. La discriminanza organica è in relazione al fatto che la distribuzione degli investimenti pubblici non è avvenuta in base, come si sostiene sbrigativamente da qualche parte, a forme disordinate di favoritismo; certo, ci sono stati anche i favoritismi, ma questa politica ha perseguito attentamente alcuni criteri tecnici (produttività, possibilità di investimento, localizzazione degli investimenti); e, com'è inevitabile in questi casi, sono proprio questi criteri che hanno portato l'azienda capitalistica, per la sua superiore struttura, ad esserne avvantaggiata. Questo indirizzo ha un suo preciso punto di avvio nel 1958 con l'attuazione degli accordi comunitari, segnati dall'inizio del superamento delle barriere doganali, e costituisce senza dubbio una modifica profonda dell'atteggiamento dello Stato, cioè della classe dirigente, rispetto alla politica agraria. Costituisce anche il primo e più netto risultato coi quest'evoluzione come abbandono del protezionismo agrario. Obiettivo fondamentale del MEC diveniva quello di accelerare e generalizzare un processo di trasformazione tecnico-produttiva che aumentasse la produttività media dei singoli Paesi. L'intervento dello Stato fu quindi funzionalizzato a quest'obiettivo. L'abbassamento dei prezzi, l'aumento del volume degli scambi, spingevano ad un'accelerazione massima dello sviluppo produttivo e alla marginalizzazione dei settori più arretrati.
Un'analisi anche sintetica dell'intervento pubblico che guardi alla selezione degli investimenti, conferma questa scelta di sviluppo dei settori più competitivi. Contemporaneamente, fondo di rotazione, le incentivazioni, le facilitazioni creditizie, si indirizzavano verso un'accentuazione dei finanziamenti in conto capitale. L'approvazione del primo piano verde doveva essere il punto di approdo di questi primi anni di attività razionalizzatrice nell'intervento statale: riordino fondiario e superamento della polverizzazione, pratiche estese di irrigazione concentrazione degli investimenti zonali e settoriali, meccanizzazione ecc. Il piano verde rappresentava il tentativo organico di unificare uno sviluppo complessivo dell'agricoltura che riaffermasse come cardine centrale il settore capitalistico. Ma l'esigenza di alzare la produttività media dell'agricoltura, richiedeva un mutamento qualitativo dell'azione di mediazione statuale, tale da stimolare una generale revisione dei rapporti tra gli strati produttivi. Il nuovo indirizzo economico si precisava quindi nei così detti provvedimenti anticongiunturali (leggi sui patti agrari mutui quarantennali per l'acquisto dei terreni, mutui quinquennali per la meccanizzazione ecc.) che appartenevano ad un momento organico di preparazione delle scelte comprensive dello Stato con il piano verde n. 2 il quale, assieme con la legge per il rinnovamento della Cassa del Mezzogiorno e quella per lo sviluppo della piccola proprietà coltivatrice era l'esplicitazione dei criteri globali di intervento dello Stato stesso nell'alveo di queste scelte. Il piano verde n. 2 aveva per obiettivo di fondo la ricostruzione di un tessuto produttivo, la fascia delle cosiddette aziende familiari efficienti, che garantisse una scala di produzione adeguata al livello di produttività conseguito dai settori propulsivi, con la conseguenza dell'abbandono della gran parte delle aziende contadine.
Ho voluto, in una panoramica estremamente sommaria, come avevo preannunziato, delineare alcune di quelle che a nostro avviso sono le linee portanti di un orientamento governativo della classe dirigente in materia di politica agraria, proprio per dire che quanto avviene nel settore dell'agricoltura non è il prodotto di una fatalità, non è il prodotto di spiegabili e perdonabili errori commessi da uomini di buona volontà traditi da qualche abbaglio nel corso delle loro iniziative. E' vero invece che quando mettiamo occhio alla realtà dell'agricoltura del Paese e della nostra Regione, ritroviamo nella crisi che si è abbattuta sulle grandi masse contadine, nel grado incredibile di abbandono e di sottosviluppo economico e civile, strutturale e infrastrutturale nel quale sono state lasciate plaghe immense del nostro territorio, il risultato non di un destino maligno, bensì la controprova delle cose non fatte, o fatte in una direzione ben precisa e contrastante gli interessi della collettività contadina.
Tralascio, per brevità, una serie di dati che mi ripropongo in un altro momento di riportare davanti al Consiglio, per una discussione che credo faremo in modo approfondito, sulle realtà specifiche del nostro contesto piemontese. Tralascio questi dati per concludere affermando che il punto essenziale della parte di proposte della mozione dei colleghi Ferraris e Besate, mi pare quella che riguarda il problema delle conferenze agrarie.
Questa è un'esigenza, come ha detto il collega Ferraris, che deve trovare immediata rispondenza nell'impegno della Regione come momento di mobilitazione e di interessamento generale non solo nel settore contadino ma, attorno al settore contadino, di tutte le forze interessate a tali problemi, di tutti gli organismi di massa, di tutte le forme associative che attorno a questi temi hanno degli interessi precisi in quanto produttori e in quanto consumatori.
Ecco perché aggiungo il mio appello a quelli dei colleghi Ferraris e Besate, perché il Consiglio Regionale, accogliendo la loro mozione, accolga soprattutto questa richiesta di impegno perché alle conferenze agrarie si vada con rapidità e attraverso un'iniziativa propulsiva del Consiglio stesso.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Giletta, ne ha facoltà.



GILETTA Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, prendo la parola per esporre brevemente, come contadino coltivatore diretto, la difficile situazione della nostra agricoltura e per evidenziare lo stato di inferiorità socio economica in cui si trova la nostra popolazione rurale rispetto alle altre categorie di lavoratori.
In questa sede un collega aveva posto l'accento sul caso particolare della provincia di Cuneo che in pochi decenni ha visto la sua popolazione scendere dai circa 600.000 ai 450.000 abitanti, per il fenomeno sempre più accentuato dell'esodo dalle campagne. Se in un primo tempo questo fatto poteva essere opportuno a causa del processo di trasformazione dei sistemi di lavoro introdotti nell'accentuarsi della meccanizzazione agricola, ora non è più solo un singolo elemento familiare che si stacca dalla famiglia per accedere ad altri posti di lavoro, ma sono intere famiglie che abbandonano le loro terre e le loro abitazioni divenute inaccoglienti ed antieconomiche. L'esodo dai campi era un fatto naturale perché gli addetti all'agricoltura erano troppi e la torta (se di torta si può parlare perch in realtà questa torta si confezionava con la polenta) si rimpiccioliva sempre di più, per le crescenti spese, per le aumentate esigenze e per la diminuzione del rapporto tra capitale e lavoro impiegato nell'azienda ed il reddito ricavato dall'azienda stessa. La dura realtà di questa situazione va affrontata organicamente e credo che la Regione possa incidere notevolmente con un processo di trasformazione strutturale che porti a difendere e potenziare l'impresa familiare diretto-coltivatrice, a stimolare le iniziative cooperativistiche ed associative, ad incrementare l'istruzione professionale, a rilanciare, su nuove basi, il credito agevole nonché a favorire il sorgere di infrastrutture capaci di assicurare condizioni di vita migliori per le popolazioni rurali. Nei giovani agricoltori esiste una fiduciosa attesa; essi vedono nella Regione un organo efficiente per una nuova politica agraria, per fare uscire l'agricoltura dalla sua posizione di inferiorità, per liberarla dai vincoli di una struttura superata. Studi adeguati affrontino le sempre nuove situazioni del contesto sociale dell'agricoltura, si predispongano strumenti adeguati, si creino degli organismi idonei ed efficienti, in modo che l'azione pubblica possa agire tempestivamente e concretamente nella salvaguardia degli interessi degli operatori agricoli. E questo si potrà rendere possibile con la ristrutturazione del Ministero dell'Agricoltura nei suoi organi periferici. L'ufficio agricolo di zona non costituisca un organo burocratico decentrato, un così detto organo passacarte, ma un organo veramente al servizio degli agricoltori per una politica di indirizzo e di coordinamento, per ottenere un'azione dinamica ed incisiva svolta da organi vitali a diretto contatto col mondo agricolo. Si promuovano ricerche di mercato, si effettuino le opportune sperimentazioni produttive, si concretizzi la preparazione professionale. Queste sono esigenze particolarmente sentite dai giovani coltivatori che nel Club 3 P hanno trovato una loro sede per accomunare iniziative e per raffrontare le proprie esperienze. Questi giovani dei Club 3 P tendono a sostituire allo spirito individualistico una mentalità cooperativistica bene organizzata coordinata ed indirizzata verso le loro esigenze.
Occorre predisporre il riordinamento della proprietà fondiaria gettando le basi col risolvere l'ormai vecchio e mai risolto problema della minima unità culturale, onde evitare l'ulteriore frazionamento e spezzettamento dei fondi ed incoraggiare maggiormente la ricomposizione fondiaria facilitando le permute, eliminando il costo e semplificando ulteriormente la procedura, in modo da invogliare anche l'agricoltore restio a contribuire per l'accorpamento delle aziende aventi sufficienti dimensioni ed in cui gli investimenti siano redditizi e diano un lavoro a tempo pieno dopo avere eseguito una appropriata meccanizzazione proporzionata all'azienda, eliminando quei casi in cui il parco macchine viene a costituire un onere insostenibile dalla piccola azienda su cui grava.
Al pari di tutte le altre categorie di lavoratori anche coloro che prestano la propria attività nei campi, sentono, inscindibile dalla dignità dell'uomo, il bisogno di una casa confortevole e della strada per potervi accedere. Il problema della casa è una delle cause dello spopolamento, è una delle cause che impediscono la formazione di una nuova famiglia per mancanza di stanze al figlio che vuole sposarsi. E' stato recentemente approvato dal Senato lo stanziamento di 200 miliardi per le case ai lavoratori. Quindi non devono però essere esclusivamente destinati ai lavoratori che fuggiti dai campi per trasferirsi ad altri settori produttivi, ma anche ai lavoratori che con molto coraggio sono ancora rimasti in campagna. Quante sono le case coloniche ancora in pianura provviste dei servizi igienici indispensabili, quante sono fornite di impianti di riscaldamento? Pochissime davvero. E se poi pensiamo alle zone depresse della collina e della pianura, constatiamo che il lavoratore dei campi va a scaldarsi e a dormire d'inverno nella stalla e d'estate riposa nel fienile o sotto il tetto coperto di lastre e di pietra per mancanza di stanze, come purtroppo e successo nella sua giovinezza al sottoscritto.
L'approvvigionamento dell'acqua avviene sempre attraverso il rudimentale pozzo o, nel migliore dei casi, con una pompa azionata a braccia, oppure viene prelevata dal ruscello. Esistono intere borgate senza luce elettrica vi sono case agricole il cui accesso è limitato a pochi mezzi se non addirittura con strade accessibili solo ai pedoni, mentre a poca distanza scorre il nastro asfaltato di un'autostrada.
Non è che io intenda esporre il quadro tragico di una situazione dolorosa che i lavoratori dei campi hanno sempre affrontato con fermezza sopportato con coraggio e non come rassegnazione ad una fatalità di cose.
Non intendo in alcun modo fare del classismo, ma se in questa sede è stato affermato che dove lavorano operai della Lancia e altre industrie mancano delle finestre, ed è giusto che gli operai lavorino in ambienti sani ed arieggiati, occorre ricordare che i lavoratori dei campi lavorano sotto le intemperie per salvare i raccolti. I contadini hanno l'amarezza di constatare che certe volte, e con molta, troppa periodicità, il frutto del lavoro di un'intera stagione, di spese, di fatiche, di sacrificio di un'intera annata, è messo a repentaglio da una delle non infrequenti calamità naturali che distruggono l'intero raccolto mettendo in pericolo l'economia familiare, incidendo non solo sul raccolto di un anno ma anche su quello dell'anno successivo, come per i vigneti ed i frutteti colpiti dalla grandine.
La difesa del suolo e dei prodotti va affrontata con tutti i mezzi in forma prioritaria. Il fondo di solidarietà va reso operante ed idoneo ad agire affinché esso costituisca una garanzia valida per affrontare i problemi della produzione. Stanno sorgendo, in diverse province, dei consorzi fra produttori ortofrutticoli e viticoli per la difesa del prezzo e la conservazione del prodotto e ritengo che la Regione debba estendere la sua compartecipazione finanziaria parallelamente alle contribuzioni degli altri Enti locali, per fare in modo che ai produttori danneggiati sia assicurato comunque un provento sostitutivo del reddito retraibile dal prodotto andato distrutto integralmente o parzialmente. Le partecipazioni contributive dei produttori a tali consorzi non possono, da sole, garantire una completa reintegrazione ed è quindi doveroso un intervento fattivo in tale campo dallo Stato e dalla Regione per la sua competenza.
La difesa dei prezzi rappresenta un intervento di basilare importanza la cooperazione nella produzione e nella conservazione del prodotto deve essere assistita da un efficace sistema di distribuzione al consumatore quest'ultimo quando vede sulle bancarelle o nei negozi i prezzi di vendita è portato a pensare che i produttori si trovano in permanente periodo di vacche grasse, ma non sanno che il produttore realizza solo un quarto o al massimo un terzo di quello che è il prezzo al consumo e tale suo provento rappresenta la somma di capitale, lavoro e rischio che non è affatto compensativo dell'impegno posto per produrre. Se per le zone collinari esiste notevole disagio, e abbiamo l'esempio della sterminata Langa occorre dire che la montagna è da definire la grande ammalata.
Nell'esperienza acquisita come amministratore del bacino imbrifero del Po del Consorzio idraulico del Po comprendente i territori nei comuni rivieraschi, da Crissolo in provincia di Cuneo a Villafranca in provincia di Torino e pure nel comprensorio di bonifica montana del Po, ho avvertito sempre più di frequente come le popolazioni abbiano la sensazione che l'opinione pubblica, il potere pubblico non si rendono conto della gravità della situazione. Le popolazioni avvertono che ai loro malanni si è sempre cercato di porre rimedio con le opere che giungono troppo tardi. Poco o nulla viene fatto per impedire e prevenire le possibilità di sorgente di mali. Queste popolazioni attendono dalla Regione un effettivo intervento, a tutti i livelli e sono certe che i loro problemi verranno affrontati con cognizione di causa da uomini che per il fatto di vivere in mezzo a loro sono vicini a questi problemi e porteranno, per la soluzione degli stessi il frutto della loro esperienza quotidiana, lontani da quel tecnicismo burocratico che allontana il cittadino e fa sì che molte volte appare più conveniente dar corso all'opera in forma diretta, rinunciando a fare intervenire gli organi di Stato impegnati a concentrare le diverse prassi prima di giungere alla determinazione sul modo come studiare, impostare e risolvere un problema che nel frattempo passa dalla fase acuta a quella cronica.
Per entrare in concreto nei problemi montani, espongo alcune cifre: circa il 48 per cento della superficie della Regione è classificata per legge in comprensori di bonifica montana e cioè in totale ettari un milione 196.504; scomputando da tale superficie circa 250.000 ettari improduttivi (l'alta montagna dove c'è la neve) i terreni montani suscettibili di intervento sono, in base ai dati aggiornati, i seguenti, destinati per province e per comprensorio: provincia di Alessandria, comprensorio del Curone e del Borbera ettari 44.681; provincia di Cuneo: comprensorio Valle Stura di Demonte, ettari 60,135; alto Tanaro e territori contermini 90.456 alto Po 37.221; territorio montano della Langa 43.637; Valle Gesso-Pese Vermenagna 69.388; Valle Varaita 43.382; Valle Maira 54.927; Valle Grana 17.469; comprensorio del fiume Genta 3.253. Provincia di Novara: comprensorio Valle Vigezzo 29.000; Valle Alsasca 25.985; Valli Antigorio e Formazza 35.002. Provincia di Torino: comprensorio del torrente Orco 61,702; Val Pellice 29.302; Val Chiusella 14.264; Valli di Lanzo 64.043 bassa Valle Susa-Cenischia 42.378; alta Valle Susa 64.176. Provincia di Vercelli: comprensorio fiume Sesia e medio Sesia 81.042; Torrente Cervo 35.065. Abbiamo così, per la Regione piemontese, un totale di ettari 946.504 di terreno agrario, corrispondente a circa un decimo dell'intero territorio nazionale classificato in comprensori di bonifica montana.
Il decreto legge pubblicato il 26 ottobre 1970, il così detto decretone, prevede per interventi straordinari a favore di zone di bonifica montana l'importo di 64 miliardi in due anni, per esecuzione di opere pubbliche, strade, acquedotti, fognature, opere di sistemazioni idraulico forestali-agrarie, rimboschimenti ecc.
La Regione deve far sì che almeno un decimo di tale somma venga assegnato alla bonifica montana del Piemonte, non si può pretendere di più perché si toglierebbe ad altri quanto pare loro necessiti, ma bisogna fare in modo che al Piemonte non rimangano solo le briciole, una volta che si sia ottenuto un riparto equo e proporzionato che però rimarrà pur sempre insufficiente a ricoprire il reale fabbisogno. Occorre fare azioni di stimolo e di propulsione affinché gli enti esistenti ed operanti traducano queste somme in beni sociali al servizio della popolazione; occorre fare in modo che tali somme non restino improduttive e non vadano a impinguare i così detti residui passivi della gestione statale. Solo attraverso tale azione si potrà realizzare quanto postulato nell'art. 4 dello Statuto regionale. Con le opere pubbliche e le strutture si dovrà inoltre fare in modo che le popolazioni della montagna e della collina possano disporre di case degne di tale nome, case accoglienti per chi vi risiede tutto l'anno ma case in grado di accogliere in determinate stagioni l'afflusso di turisti, di villeggianti, gente desiderosa di vivere a contatto con la natura, per rinfrancare lo spirito dopo lunghi periodi di snervante vita nel tumulto cittadino, per convogliare i turisti in zone sempre più vaste della montagna vuol pure dire creare una nuova corrente economica nelle vallate alpine. Se i turisti si portano in montagna per respirare ossigeno è pur vero che portano alla montagna un ossigeno di altra natura, la possibilità di migliorare il tenore di vita dei montanari.
La difesa del suolo è un aspetto importante, vitale per l'economia agricola. Le periodiche avversità naturali mettono in evidenza i problemi di sempre: alluvioni, straripamenti ed altre calamità recano danni ingentissimi. Attuando vasti rimboschimenti in montagna si potrà mettere un freno alla partenza delle acque, la costruzione di dighe, di paratoie e di canali o colture agrarie faciliterà il deflusso delle acque.
La magistratura del Po, con sede a Parma, compie ogni sforzo ed interviene con i mezzi a sua disposizione servendosi dell'opera del Genio Civile, ma tuttavia occorre il potenziamento dei mezzi affinché gli interventi possano dirsi veramente efficaci per la difesa del suolo.
Accanto a tutti questi interventi, un altro merita particolare attenzione ed è quello della preparazione professionale. Il ragazzo appartenente a famiglie di contadini esce dalla scuola dell'obbligo conosce i primi elementi di latino, sa l'anno in cui Annibale è venuto in Italia a combattere contro Roma o quando Napoleone ha attraversato le Alpi ha appreso elementi di cui si scorderà presto, ma non ha appreso come si tiene la più semplice contabilità aziendale, cosa di cui ha bisogno tutti i giorni, adopera dei concimi chimici senza sapere di quali elementi fertilizzanti abbisogna il terreno che coltiva ed in quale percentuale deve essere usato. L'agricoltore acquista un determinato mangime e non conosce le unità foraggere. Dunque, scuole di preparazione professionale, rese accessibili in tutte le zone con specializzazione per singola zona in modo che non si dedichi particolare insegnamento alla coltura della vite nelle zone in cui la coltura predominante è foraggera o cerealicola e non si insegua un indirizzo specializzato in frutticoltura nelle zone dove è diffusa la coltivazione di altro tipo. Corsi di preparazione professionale che portino al conseguimento dei brevetti professionali costituenti una qualifica riconosciuta di imprenditore al lavoratore agricolo. Di fronte alle magre soddisfazioni che oggi può offrire la coltivazione della terra il constatare che per l'amore della terra gli si resta affezionati nonostante tutto, pur sapendo che molte volte il frutto è più amaro del sudore, vorrei insistere nel proporre l'istituzione del premio di fedeltà che abbia carattere non solo locale o provinciale, ma su scala regionale e nazionale per quanti alla terra danno il meglio di sé stessi.
Nel concludere, vorrei portare a lei signor Presidente, ai colleghi Consiglieri, al Segretario Generale e ai dipendenti tutti, l'augurio di Buon Natale e di Buon Anno, estendibile alle loro famiglie; siano il Santo Natale e l'anno nuovo portatori di pace, di amore, concordia, benessere e prosperità alla cara e laboriosa popolazione del nostro Piemonte.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Besate, ne ha facoltà.
Mi permetterei, rifacendomi a quanto ha detto poc'anzi il Presidente Vittorelli, di richiamare a tutti il tempo per potere esaurire a un'ora relativamente decente i nostri lavori.



BESATE Piero

Io signor Presidente, colleghi Consiglieri, intendo intervenire su alcuni punti del dibattito non in termini agronomici, ma su problemi prevalentemente politici e di politica agraria.
Il nostro dibattito avviene mentre lo stesso tema dell'agricoltura è all'ordine del giorno a livello europeo. A Bruxelles in questi giorni il Ministro Natali e altri ministri sono alle prese con le note difficoltà politiche in tema agrario, il quale tema, con quello monetario, in questo periodo, costituisce un fattore cruciale per le prospettive della comunità (e di questo dirò al termine). Ma il tema agricolo è tornato con forza a riproporsi al Parlamento italiano con la decisione (finalmente! ) della Camera dei Deputati di affrontare la legge degli affitti dei fondi rustici già approvata dal Senato e, poi, tanto avversata da forze varie, tutte riconducibili al comune denominatore, dal punto di vista politico, di avversatori della politica delle riforme. A tanto si è giunti per merito delle lotte dei coltivatori diretti, di tutte le forze politiche democratiche popolari, delle ACLI, di parti notevoli della Coldiretti dell'Alleanza contadina, delle tre grandi confederazioni, di numerose Regioni, di Consigli Provinciali e Comunali, di assemblee popolari e sindacali, di convegni. E' confortante e, credo, di buon auspicio, che le mozioni presentate, su questo punto, qualificantissimo, coincidano positivamente. Quella dell'affitto è una riforma che non costa niente anzi, produce ben 40 miliardi all'anno di mezzi finanziari per gli agricoltori e coltivatori diretti, sottraendoli alla rendita parassitaria comprimendola entro limiti che, pur senza giungere al limite francese di 15.000 lire all'ettaro per le terre migliori, costituiscono questi limiti un vero e proprio salto qualitativo nei rapporti agrari di produzione e di proprietà. Quella degli affitti una tappa verso il superamento dei contratti agrari, una condizione per il primato imprenditoriale su quello del diritto proprietario parassitario e noi aggiungiamo, per il primato imprenditoriale contadino, nelle forme adeguate all'attuale momento (e d'altro canto, il Consiglio Regionale piemontese ha voluto in modo lungimirante e, aggiungo, moderno, affermare la propria funzione in questo campo, preferenziando in modo esclusivo, nella sua politica di intervento nell'agricoltura, l'impresa coltivatrice e familiare, attuando la scelta di fondo di favorire chi lavora direttamente la terra, cioè l'uomo lavoratore la famiglia lavoratrice e il contadino). Ma c'è di più. Il tema agricolo è una delle sostanze di fondo delle lotte contro il caro vita, la speculazione sui prodotti agricoli, che la classe operaia e i sindacati hanno condotto e conducono in questi giorni. E si pensi poi ai grandi problemi della riforma sanitaria e delle condizioni di inferiorità dei coltivatori diretti e dei braccianti, in una parola dei lavoratori della terra, in tema di sicurezza sociale. Perciò vada, da parte di tutti coloro che hanno a cuore la sorte dei lavoratori della terra (e certamente queste sorti stanno a cuore di molti) vada una fraterna espressione di solidarietà agli operai, a tutti i lavoratori che scendono in lotta, in tutte le Regioni d'Italia e, domani, in Piemonte: una solidarietà che, a mio parere e credo anche di altri vasti settori, dovrà trovare momenti operativi di autonoma iniziativa contadina unitaria in direzione di consapevoli processi unitari del mondo contadino, senza attendere che la desolante sferza della grandine e delle calamità spinga alla più incontenibile collera i contadini, per poi tutto adagiare nel mortificante, anche se diuturno e molte volte ingrato, lavoro di assistenza corrente. La spinta all'unità credo anche sia già da auspicare qui, tendendo ad unificare le due mozioni che almeno sui punti qualificanti, mi pare coincidano. Occorrono misure e iniziative adeguate alla gravità della situazione. Quelle questioni di fondo che sono già state qui trattate, che sono poste con forza dalle grandi lotte operaie, studentesche e contadine, pongono il problema del rapporto città-campagna non genericamente o, peggio, in astratto, ma con precisi elementi di riferimento, dal caro vita alla difesa della salute alla parità previdenziale, alla questione delle calamità, come ho detto, e poi alla scuola e alla ricerca. E questi sono grossi temi, scuola e ricerca, che devono essere gli elementi di fondo, perché in ogni società industriale, la quale voglia prospettarsi uno sviluppo della produttività si deve prevedere che a monte dei settori della sfera produttiva siano ben vivi e si sviluppino la scuola, la ricerca, e in pari tempo, le strutture della salute, del tempo libero, come elementi indispensabili di uno sviluppo della produttività e non quindi una terziarizzazione patologica delle città, ma una terziarizzazione qualificata nel senso funzionale ad uno sviluppo della produttività e del progresso per l'uomo. La sfera produttiva quindi e il reddito devono essere posti come base, ma non da soli, per un ancoramento delle popolazioni agricole. Sarebbe inutile considerare il problema soltanto dal punto di vista della parità dei redditi, della parità previdenziale se nello stesso tempo non si pongono anche le questioni di una parità delle condizioni civili di vita. Non si tratta certamente di trapiantare sic et simpliciter i modi di vita urbani dalla città alle campagne, ma si tratta di scoprire, di ricercare quei modi nuovi di strutture civili che facciano delle campagne un habitat tale da ancorare liberamente vaste popolazioni giovani, non solo contadine, ma nell'insieme, popolazioni che possano trovare nel territorio uno sviluppo diffusivo di civiltà, sì da non congestionare le città. Quindi è molto importante il tema dell'agricoltura anche perché se continuasse l'esodo del Mezzogiorno, l'esodo dalle montagne e dalle campagne, potrebbero vanificarsi anche tutte le riforme della casa, dell'urbanistica, della scuola e della salute in quanto la congestione urbana delle aree metropolitane urbane potrebbe vanificare tutte le misure di riforma che fossero adottate. Quindi noi vediamo non un mondo rurale immobile, chiuso non un fattore di arcaicismo o di una filosofia del week-end e delle aree verdi, ma un mondo propulsivo e interdipendente dalla città, che abbia come soggetto l'uomo.
E per questo è importante il discorso sul tipo di sviluppo. Quale tipo di sviluppo regionale equilibrato? Noi lo vediamo in primo luogo verso il Mezzogiorno, un tipo di sviluppo che ponga la questione del Mezzogiorno al centro della nostra attività programmatoria. Ma anche l'agricoltura ne è un elemento essenziale, un'agricoltura che sia concepita non in modo individuale, ma come elemento del piano regionale di sviluppo.
Noi riteniamo che a questo proposito anche un processo integrativo di industrializzazione e di sviluppo equilibrato nelle zone stagnanti delle sacche di degradazione sia un problema che vada ancorato a quello dello sviluppo dell'agricoltura. Stamane si è discusso della crisi della piccola e media industria. Ebbene, colleghi Consiglieri, ebbi modo di dire, mentre parlava il mio compagno collega Berti, di ricordare, mentre parlava della Montedison, quale grande importanza questo fatto riveste. Quando a Vercelli si sono chiuse le fabbriche della Montecatini e della Prodotti Chimici produttrici di perfosfati, immediatamente, oltre al contraccolpo nell'occupazione operaia, si è avuto il contraccolpo nell'aumento dei prezzi dei concimi perfosfatici su tutta l'area piemontese. Noi, quindi vediamo un processo di sviluppo agricolo che sia atto a creare le condizioni economiche, civili, culturali di ancoramento libero al territorio non metropolitano e urbano. In particolare individuiamo nell'associazionismo l'elemento di fondo determinante, e non nell'associazionismo indiscriminato, ma in quello contadino.
Si è parlato tanto, qui, di dimensioni, di accorpamento, di ricomposizione fondiaria. Quando si vuole parlare di questo facciamolo, ma non credo sia la sede più idonea per intraprendere un dibattito di questo tipo, su che cosa di deve intendere oggi, nel 1970, per giuste dimensioni o dimensioni ottimali così astratte. Si tratta in particolare di cogliere quella dimensione ottimale che solo l'associazionismo (con la sua elasticità, la sua dinamicità, la sua capacità di adeguarsi alle varie situazioni, secondo il territorio, le culture, le caratteristiche del terreno) lo rendono possibile. Noi riteniamo che quando si tratta di questioni di questo tipo cogliere il fatto che l'associazionismo è l'elemento decisivo e più importante ci deve richiamare al problema centrale, quello dell'associazionismo contadino. Anche l'attuale Presidente della Giunta, Calleri, nel 1968 ad un convegno (così almeno riferirono i giornali di allora) promosso da Piemonte Italia, sulle questioni degli investimenti in agricoltura, mentre l'on. Pella sosteneva che il problema dell'agricoltura era essenzialmente un problema di investimenti e concludeva che investimenti vuol dire essenzialmente finanziare, e Calleri pur senza polemizzare, faceva una critica all'attuale modo di finanziamento: c'é l'incentivazione col credito agevolato, quella con i contributi a fondo perduto. La critica era incentrata su questo punto qualificante: la scarsa selettività e l'incapacità a promuovere lo spirito associativo con queste forme di incentivazione e di finanziamento. Mi pare che il dr. Calleri colse, in quella sede, uno degli elementi di fondo, cioè l'associazionismo come elemento fondamentale per un nuovo tipo di sviluppo nell'agricoltura.
Io non ritorno sulle cose che hanno detto già i miei compagni o su ricorsi storici che hanno avuto in Piemonte esempi insigni, come quello del canale Cavour, che impose un associazionismo di tipo particolare, sia pure illuministico, imposto dall'alto, ma che promosse uno sviluppo dell'agricoltura nelle zone del Piemonte, della Lomellina, della Lombardia con quell'opera ciclopica materialmente, ma tale anche per la conquista delle coscienze a quel nuovo modo di pensare.
E vengo ad una conclusione, con la tendenza a cercare una conclusione unitaria nel dibattito. Non credo che quanto detto dal collega Menozzi sulle "norme-ponte" vada posto con tanta virulenza, tanto è vero che nel convegno di Firenze tenuto ai primi di questo mese da parte di diverse correnti D.C., il tuo amico di partito, l'on. Galloni (che pure conta nella D.C. e nella Lombardia dove ci sono 450.000 contadini), ebbe a dire queste parole rispetto alla prevedibile vacanza tra la scadenza del piano verde n.
2, l'attuazione dei piani .di zona ecc.: "Credo di dovere affermare l'inopportunità di un provvedimento ponte di natura finanziaria per il '71". Ma siccome Galloni è un uomo politico, capisce che non si devono lasciare delle vacanze, fa anche delle proposte concrete che mi sembrano da prendere in considerazione: "Per questo periodo il finanziamento alle Regioni può avvenire attraverso il bilancio del Ministero dell'Agricoltura in una dimensione di spesa complessiva almeno pari a quella erogata nel 1970 al piano verde. La copertura finanziaria di questa spesa può essere reperita utilizzando l' residui passivi e se occorre il fondo di accantonamento del Ministero dell'Agricoltura. In questi casi e quindi anche per il '71 l'intervento pubblico per la produzione agricola deve essere destinato a quelle imprese ecc." e propone che venga data alla Regione la funzione appunto di amministrare questi fondi. Lo so che il segretario Dall'Oglio della tua organizzazione, disse che è urgente rifinanziare, ma non l'ha posta in termini così virulenti, l'ha chiamata "norma ponte transitoria", perché, giustamente, si é fatta strada l'idea che con le norme ponte non si vada poi a continuare la logica del tipo di sviluppo in atto. E' quindi con chiarezza che si pone in primo luogo l'esigenza di nessuna norma ponte, di rifinanziamento di quelle leggi, ma di reperire i fondi come detto da Galloni e di amministrarli attraverso la Regione. Certo, piuttosto che non lasciare proprio niente sarebbe grave: c'è l'agricoltura, i contadini in particolare.
Ma occorre definire con chiarezza politica che non si può pensare ad una perpetuazione dell'attuale tipo di sviluppo.
Anche sugli altri punti credo che possiamo vedere le cose in modo non drammatico. La questione dell'albo. Se penso a come lo pone la "direttiva" MEC, (che non ha niente a che vedere con il memorandum Mansholt) che la pone in modo indiscriminato, non come l'hai posto tu (tu hai posto dei limiti precisi con una qualificazione ben precisa di carattere "statutario"). E' importante affermare anche l'esigenza dell'ente regionale di sviluppo come organo operativo della Regione nel settore dell'agricoltura, la richiesta del passaggio delle funzioni previste dall'art. 117 alla Regione. Il tuo Segretario generale di organizzazione ha sostenuto, e lo sosteniamo anche noi, che anche senza le leggi quadro le Regioni possono legiferare ispirandosi già ai principi fondamentali esistenti nelle leggi attuali. Anche sul modo come è posta la parità previdenziale c'é da chiarire. Questa parità previdenziale e assistenziale è posta in modo integrativo. Diciamo, invece: la riforma sanitaria a parità per i contadini. E' inutile piagnucolare sull'inferiorità se poi si continua a mantenere una specie di ghetto. Noi abbiamo parlato di un mondo rurale interdipendente dalla città, un mondo contadino aperto, non arcaico.
Parliamo quindi delle lotte degli operai e dei contadini in questo modo qualificante.
Io credo che tenuto conto del modo in cui viene posta nelle mozioni la questione dell'associazionismo, delle strutture civili, possiamo anche tentare una unificazione delle mozioni stesse, in modo da avere in questa sede un atto politico qualificante, e non lacerante, del Consiglio Regionale, con lo sforzo di tutti perché politicamente, che è quello che conta, al di là delle nostre lamentele sull'inferiorità o meno, se di qui viene fuori qualcosa che non è unitario avremo concorso tutti insieme a far sì che lavoratori agricoli, braccianti, coltivatori diretti siano sempre in condizioni di inferiorità e considerati come un mondo destinato a scomparire, verso il quale si deve fare qualcosa tipo parchi nazionali per conservare qualche esemplare di una specie destinata all'estinzione. Il che non è e non deve essere nell'interesse stesso delle città.
Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma mi pare che queste valutazioni di natura politica siano assolutamente prevalenti, cercando un'unità qualificante, su punti qualificanti, non un'unità purchessia, ma un'unità che dimostri al Piemonte, al governo la volontà di far marciare la Regione, di farne un centro propulsivo, di fare acquistare ai contadini fiducia nella Regione perché questo ente possa essere un più valido strumento e per i contadini e per gli operai e per tutti i lavoratori.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il consigliere Gerini. Ne ha facoltà.
Faccio presente che, dopo il consigliere Gerini, sono ancora iscritti a parlare su questa mozione quattro Consiglieri.



GERINI Armando

Signor Presidente! Colleghi Consiglieri! Certamente, i colleghi Ferraris e Besate, nella loro mozione, con un pizzico di forma demagogica, hanno messo a fuoco le carenze croniche della "grande ammalata", l'agricoltura. Ma, accanto ad una "grande ammalata" come affermava un paio di anni fa un uomo politico nostrano, c'era, e c'è ancor oggi, un ammalato ancora più grave: lo Stato. Quello Stato che attraverso il vuoto di potere determinato dalla discordia dei partiti e nei partiti non ha saputo adeguare le strutture centrali e periferiche, in special modo nel settore dell'agricoltura.
Con tutti i disagi e i difetti crudamente elencati nella mozione, il potere centrale, quindi, trasferirà alle Regioni, a norma dell'art. 117 della Costituzione, le attribuzioni che competono anche in materia di agricoltura; e non v'è chi non veda come in questo settore la Regione sarà protagonista principale.
Sarà tuttavia parecchio difficile programmare in agricoltura e fare buone leggi stante la situazione che si è creata. In siffatta delicata materia il passaggio delle consegne non può e non deve venire in maniera caotica, per non provocare intasamenti ed anche perché la materia è vasta e difficile, e la Regione dovrà tenere presenti le circostanze attuali che postulano un serio programma di politica agraria, basata su due grossi pilastri, e cioè la politica per le strutture e la politica di garanzia per i mercati ed i prezzi.
Non può negarsi, infatti, che solo un'agricoltura efficiente, fondata su imprese di adeguate dimensioni, modernamente attrezzate, munite di sufficienti capitali e con la possibilità concreta di organizzarsi fra loro, potrà assicurare costi competitivi e prezzi contenuti al consumo per difendere il potere di acquisto dei lavoratori.
Una politica di ristrutturazione quale quella proposta dal memorandum di Mansholt, non può che trovare consenzienti gli agricoltori, se saprà basarsi sulla omogeneità di obiettivi a livello comunitario e con la regionalizzazione degli interventi, con la partecipazione delle categorie mobilitando i fattori produttivi ed il rinnovamento delle forme associative. Il tutto con stretta connessione, a tutti i livelli, fra lo sviluppo agricolo e quello delle attività extra-agricole.
Accanto ai contratti associativi assumono via via importanza nuove forme societarie, anch'esse strumento indispensabile per la ristrutturazione del settore. La frammentazione in piccole aziende derivante principalmente dalle divisioni per successione mortis causa, il divario esistente tra reddito agricolo pro capite degli addetti all'agricoltura e quello degli altri settori produttivi, gli assetti civili e sociali dei centri rurali nettamente al di sotto della realtà in cui viviamo, hanno effettivamente reso drammatico l'esodo dalle campagne.
Nei primi quattro anni di vita del programma nazionale di sviluppo economico, e cioè fra il 1966 e il 1969, si è verificato un esodo agricolo superiore a quello previsto: circa 900 mila unità, contro le 600 mila ipotizzate nel quinquennio, hanno abbandonato l'agricoltura. Quello che più fa pensare è che fra il 1969 e il gennaio 1970 delle 370 mila unità che hanno abbandonato i campi ben 250 mila siano costituite da lavoratori autonomi e solo 115 mila da lavoratori dipendenti.
S'è formata così, specialmente in Piemonte, la categoria dei contadini operai, categoria che risulta in netto aumento, originando anche da noi il fenomeno che va sotto il nome di agricoltura "part-time", e che configura così un nuovo operatore. Le implicazioni del fenomeno sono rilevanti e direi benefiche, dal punto di vista politico e sociale. Sul piano economico, invece, queste aziende accessorie che rimangono parzialmente fuori del mercato, se dovessero avere una ulteriore diffusione, potrebbero costituire un ulteriore ostacolo allo sforzo necessario di ridimensionamento aziendale. Alla base di un adeguamento dimensionale dell'impresa agricola, alla base della diffusione delle forme societarie deve essere la riforma della legge sulla cooperazione, l'istituzione di altre forme societarie, fra le quali, non ultime, le società per azioni in agricoltura, già vigenti in altri Paesi della Comunità, che dovrebbero contribuire al potenziamento produttivo, come del resto lo hanno potenziato negli ultimi decenni nel campo industriale. Naturalmente, queste società per realizzare in un ragionevole lasso di tempo gli obiettivi sperati dovrebbero godere di particolari agevolazioni.
Per una politica di garanzia dei mercati e dei prezzi occorrono forme nuove e più efficienti, in relazione alla politica comunitaria, riformando la struttura dell'A.I.M.A. e degli Enti di sviluppo.
Gli Enti regionali di sviluppo agricolo esistenti nel nostro Paese diciamolo chiaramente, non hanno finora saputo realizzare il loro scopo.
Hanno operato settorialmente e limitatamente ad alcune aree depresse senza un'ampia visione, mentre si spera possano avere un'altra visione ed avanzare con i piani zonali, divenendo organismi più agili e sburocratizzati. Alla riforma delle strutture di questi organi, al loro migliore funzionamento dovranno collaborare, con adeguata partecipazione e secondo i dettami del nostro Statuto, tutte le categorie interessate. Come dovranno avere campo di partecipazione a livello decisionale gli imprenditori agricoli e le loro organizzazioni sindacali ed economiche, in unione agli Enti territoriali, per la elaborazione di piani zonali.
Dovranno essere recepiti tutti gli studi già elaborati in materia, tra i quali è degno di menzione, per quanto attiene alla Provincia di Alessandria, il piano di sviluppo della Provincia stessa, redatto da noti tecnici su incarico del Consiglio provinciale.
Ritornando ai contenuti della prima mozione, laddove si vuol esprimere "il proprio incondizionato appoggio alla legge per la riforma dell'affitto dei fondi rustici, già approvata dal Senato", e mi pare anche alla seconda testè presentata, il Gruppo liberale non può dichiararsi d'accordo, e per questo motivo il Partito Liberale Italiano ha nella primavera scorsa presentato un disegno di legge a firma Bignardi ed altri. L'affitto è una forma contrattuale da incoraggiare, soprattutto per ché esso facilita la creazione di unità aziendali di ampiezza economicamente valida, e di conseguenza la trasformazione dell'agricoltura in una vera e propria attività industriale; ma perché l'affitto possa conseguire queste finalità per esso previste anche dal Piano Mansholt, è necessaria una sua adeguata valorizzazione, che né la legge tuttora vigente né quella approvata finora dal Senato contemplano. Di più, il disegno di legge De Marzi-Cipolla, con l'accentuata impronta a favorire l'affittuario, lo fa in modo così marcatamente demagogico da mettere a serio rischio la sopravvivenza stessa della proprietà fondiaria che è un errore dal punto di vista giuridico sociale e dal punto di vista economico.
In pratica, si vuol portare l'equo canone ai redditi catastali in modo imperativo tra un minimo di 12 ed un massimo di 45 volte il reddito dominicale che risale all'epoca censuaria 1936-1939, In base a questi criteri, e supponendo il coefficiente più alto, i canoni di affitto oggi vigenti, e che non sono consoni alla realtà, verrebbero praticamente ridotti alla metà. In taluni casi essi saranno appena sufficienti a pagare le relative imposte ed a scoraggiare chiunque dall'investire capitali nell'acquisto della terra.
Siamo d'accordo per una nuova politica sociale per il mondo rurale che finora è stata troppo scopertamente discriminatoria, anche se in piccola parte attenuata con interventi meritori e coraggiosi da parte delle Amministrazioni provinciali, pur con fondi inadeguati, perch necessariamente iscritti nelle spese facoltative. L'obiettivo primo dev'essere quello di equiparare gli interventi sociali e previdenziali a favore degli agricoltori a quelli delle altre categorie di lavoratori addossandone l'onere alla comunità. In questa prospettiva va quindi inserita anche la non più differibile riforma degli enti previdenziali ed assistenziali.
La legge 25 Maggio 1970 n. 364 circa l'istituzione del Fondo di solidarietà nazionale per interventi in agricoltura, in caso di eccezionali calamità naturali o di eccezionali avversità atmosferiche, non è nata certamente per una chiara volontà politica degli ultimi Governi: è nata sotto la pressione costante venuta dal basso, e segnatamente dai componenti elettivi degli Enti territoriali. E' risultato però un compromesso e di fatto una legge di coordinamento di agevolazioni preesistenti, ponendo infine, limiti e macchinosità di organizzazione che accontenta pochi e scontenta i più.
E' un dramma, signor Presidente, per chi, come me, vive abitualmente in centri agricoli dove ancora dominante è la produzione del vino, vedere ogni anno compromesso il duro lavoro dei contadini dalle puntuali grandinate dei mesi di luglio ed agosto.
Certo, collega Ferraris, che questa legge va migliorata, se non vogliamo assistere in poco tempo al completo spopolamento del Basso dell'Alto Monferrato e di una grossa zona dell'Astigiano e se non vogliamo assistere allo sfacelo completo delle Cantine sociali, già male organizzate e talune vittime della disonestà di dirigenti.
L'istituzione delle Regioni a Statuto ordinario, la progressiva messa a punto della seconda fase della politica agricola comunitaria, la predisposizione e l'avvio del secondo piano di sviluppo economico devono quindi impegnare il Ministero dell'Agricoltura ad un profondo ripensamento delle linee d'azione finora seguite, allo scopo di affrontare i problemi e le esigenze che la politica comunitaria ed il programma nazionale di sviluppo economico propongono.
L'esperienza del primo e del secondo Piano Verde deve essere ripresa in forme nuove, tenendo conto della funzione che le Regioni sono chiamate a svolgere, ed il nuovo assetto organizzativo dell'intervento pubblico dev'essere articolato sulla base delle responsabilità legislative ed amministrative che la Costituzione assegna alla Regione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Chiabrando. Ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Il consigliere Giovana, nella premessa al suo intervento, ha lasciato intendere che l'attuale situazione di crisi della nostra agricoltura sia da ricercarsi nella politica sbagliata perseguita dai Governi succedutisi in questi ultimi tempi. Ora, in questo momento, in cui tutte le agricolture del mondo, da quelle a regime capitalistico a quelle a regime socialista sono in crisi, a me non pare affatto che la nostra agricoltura sia in condizioni diverse e peggiori rispetto a tutte le altre.
Il motivo di queste crisi è da ricercarsi in molti elementi, e da vedersi sotto molti aspetti. A mio avviso, il settore agricolo in Italia ha praticamente concluso una lunga fase, nella quale si sono verificate rivendicazioni e sono stati raggiunti importanti traguardi sul piano assistenziale e previdenziale. I coltivatori hanno ottenuto, seppure non ancora in misura pari alle altre categorie, l'assistenza mutualistica, la pensione e gli assegni familiari. Buona parte degli altri interventi ed aiuti statali in favore dell'agricoltura hanno contribuito a migliorare le condizioni di vita nelle campagne: costruzione e sistemazione di case di abitazione, approvvigionamento idrico, viabilità eccetera; anche qui comunque, non risolvendo che in parte i grossi problemi.
Ora è il momento di affrontare le vere e grosse questioni tecniche economiche e strutturali, al fine di mettere le aziende agricole in condizioni di produrre di più ed a minor costo, affinché i coltivatori possano raggiungere l'auspicata parità dei redditi con le altre categorie: bisogna ampliare e specializzare le aziende, e queste devono organizzarsi sul piano economico e di mercato.
Il compito di raggiungere tali obiettivi è ormai quasi completamente assegnato alla Regione. Allo scopo essa deve pertanto impostare con urgenza le basi per avviare tutte le riforme necessarie: e le basi non possono che essere costituite dalla programmazione e dai piani di sviluppo zonali. Si deve, cioè, fare subito un quadro generale dei provvedimenti che si intendono adottare, nell'intento di superare il disagio economico e sociale che travaglia attualmente il mondo agricolo. Ed a questo scopo ritengo che la discussione che stiamo facendo, con le relative conclusioni, possa costituire una buona base di partenza.
Senza entrare nel merito di tutti i provvedimenti che la Regione potrà adottare, intendo sottolinearne alcuni che, secondo me, assumono particolare importanza.
Quando diciamo che bisogna valorizzare l'imprenditore agricolo attraverso il riconoscimento ufficiale della professione, alludiamo chiaramente all'adozione dell'albo professionale dei coltivatori diretti di coloro, cioè, che dedicano esclusivamente, o comunque prevalentemente la loro attività alla lavorazione della terra. (E qui vorrei aprire una breve parentesi per auspicare che il termine normalmente usato di "contadini" sparisca dal nostro vocabolario, essendo un termine medioevale ormai anacronistico, che deriva da "contado", e che ha un certo senso dispregiativo). Con l'iscrizione a tale albo, analogamente a quanto avviene per altre categorie, l'agricoltore di professione, specialmente giovane potrà sentirsi più difeso, valorizzato, ed avere maggiori garanzie di reddito e stabilità per il proprio avvenire. L'albo dovrà essere il punto di riferimento di tutte le norme e dei provvedimenti che dovremo adottare in favore dell'agricoltura, e gli iscritti dovranno disporre di idonee forme di prelazione sul possesso e sulla proprietà dei terreni agricoli.
Altro problema che travaglia oggi i giovani coltivatori e che molto sovente è motivo di abbandono dell'agricoltura è costituito dalle ingiuste leggi che regolano le successioni ereditarie e che noi dovremo con ogni mezzo, direttamente o con l'iniziativa legislativa, correggere al più presto. Oggi assistiamo allo sfaldamento di aziende, magari ancora vitali perché l'unico figlio di numerosa famiglia rimasto con il padre a coltivare l'azienda decide di abbandonarla. Ciò per evitare che dopo venti o trent'anni di duro lavoro nell'azienda paterna, alla morte del padre, i fratelli e le sorelle occupati nell'industria o nel commercio si presentino a dividere in più parti ed a sottrargli il suo strumento di lavoro, che egli stesso ha creato ed ampliato.
Questo è uno dei più grossi problemi, la cui mancata soluzione ha provocato, nel passato, l'esodo dei nostri migliori giovani coltivatori, ed ha lasciato che lo spezzettamento nelle aziende e la polverizzazione dei terreni raggiungessero limiti insostenibili, che ora costeranno molto alla collettività se vorrà rimediarvi.
Noi vogliamo che a chi rimane in azienda venga garantito un equo compenso, da valutare ed assegnare nel momento della successione: ecco perché lo chiamiamo salario differito, o premio di fedeltà. E tutto ciò non intacca per niente i diritti degli altri coeredi, i quali potranno sempre ottenere le loro quote riferite al valore esistente al momento della loro uscita dall'azienda: non potranno, invece, più partecipare, ingiustamente come avviene oggi, alla divisione dei beni accumulatisi successivamente per merito quasi esclusivo dei fratelli coltivatori.
Sempre per garantire sicurezza di lavoro e l'avvenire agli imprenditori agricoli, occorre che essi, quando non sono proprietari, ma solo affittuari forma di conduzione che d'altronde noi accettiamo e intendiamo valorizzare e perfezionare - possano essere opportunamente difesi dalla proprietà assenteista, che molto sovente fa mancare al coltivatore una decente abitazione ed adeguati locali ed attrezzature per la conduzione dell'azienda.
Questo problema dovrebbe venire risolto dalla nuova legge sulle affittanze agrarie attualmente in discussione alla Camera. Noi dobbiamo sollecitare i nostri parlamentari a non lasciar passare altro tempo senza approvarla definitivamente, e dovremo poi vigilare perché venga attuata al più presto, riservandoci di provocarne modifiche e miglioramenti qualora risultasse inadeguata e non aderente alla nostra realtà locale. Non tanto per l'equo canone, che secondo me non è l'aspetto più importante, ma per l'obbligatorietà dei miglioramenti fondiari, che costituisce la vera novità del progetto di legge. Così eviteremo che certe ottime famiglie di coltivatori siano costrette ad abbandonare l'agricoltura e a disgregarsi perché la moglie, per esempio, non può avere la casa dignitosa che da troppo tempo attende, o perché il figlio che prende moglie, non pu procurarsi l'alloggio di cui avrebbe bisogno.
Sono, questi che ho accennato, i problemi di fondo che dobbiamo affrontare subito, se vogliamo intanto ridare un po' di fiducia e di speranza a chi opera in agricoltura e creare entusiasmo e spirito di iniziativa, sempre necessari in ogni attività, ma indispensabili nella conduzione di un'azienda agricola che oggi e diventata decisamente la professione più difficile ed impegnativa.
Ed allora potremo affrontare tutti gli altri grossi problemi delle riforme delle strutture: dall'ampliamento delle aziende alla ricomposizione fondiaria, dal miglioramento dei fondi alla meccanizzazione, dalla specializzazione delle coltivazioni e degli allevamenti alla cooperazione dall'organizzazione economica alla difesa dei prezzi dei prodotti agricoli.
Le quali riforme costeranno sicuramente molti sacrifici alla collettività ma potremo affrontarle con tranquillità, perché saremo sicuri di operare su solide basi, su operatori agricoli preparati e coscienti del loro lavoro e della loro funzione, i quali ricambieranno sicuramente e largamente gli sforzi che per essi la società avrà fatto.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente! Colleghi del Consiglio! Il mio intervento sarà breve, non solo perché l'ora tarda e le norme del regolamento mi impongono di essere breve, ma anche perché ritengo superfluo, dopo la disamina amplissima che è stata fatta dei problemi dell'agricoltura, entrare nel merito di tutti gli argomenti che sono già stati egregiamente svolti dai colleghi. Non possiedo, d'altra parte, una potenza vocale sufficiente per introdurre, a quest'ora ed a questo punto del dibattito, nuove argomentazioni con il vigore che occorrerebbe per farmi ancora ascoltare; non dispongo, intendo dire, delle tonalità che ha sfoggiato il collega ed amico Menozzi, calcolabili, penso, in almeno 75 decibel, grosso modo, quindi, pari all'urlo di Patty Pravo.
Io credo che i due ordini del giorno presentati, l'uno da alcuni Consiglieri del Gruppo comunista e l'altro da consiglieri del Gruppo democristiano non siano molto lontani uno dall'altro e ci sia quindi la possibilità di giungere ad una mozione comune sui problemi dell'agricoltura. Vorrei soltanto soffermarmi su alcuni argomenti che il dibattito ha già introdotto, perché ritengo sia bene fissare alcuni punti fermi per i lavori futuri, dato che su questi problemi dopo la discussione che ci vede impegnati oggi, dovremo ancora tornare.
Anche nel settore agricolo credo sia giusto partire dallo schema di sviluppo regionale, anche per l'agricoltura abbiamo una situazione che non è conforme al piano, anzi, che è conforme all'ipotesi neutrale che il piano faceva nel caso fosse mancato qualsiasi intervento per modificare la situazione di crisi che era stata evidenziata. Nel 1969 gli addetti all'agricoltura nella nostra Regione erano il 16 per cento circa delle forze di lavoro; e il numero degli addetti all'agricoltura è andato diminuendo con ritmo crescente negli ultimi anni. Ora abbiamo una situazione nella quale l'esodo presenta ritmi ancora accentuati, mentre di converso l'aumento della produttività e la riorganizzazione del settore non hanno fatto progressi rilevanti.
Credo sia giusto soffermarci brevemente su questi tre aspetti fondamentali dell'agricoltura: i problemi dell'occupazione nel settore, i problemi delle dimensioni delle aziende ed i problemi che stanno a monte ed a valle del processo produttivo vero e proprio.
Circa i problemi dell'occupazione, è noto a tutti come le necessità dell'esodo siano state evidenziate in modo particolare dal Memorandum "Agricoltura '80", quello che va impropriamente sotto il nome di "Piano Mansholt", - che giunge anzi ad indicare una serie di incentivi per la fuoruscita di mano d'opera dal settore agricolo. Direi che sotto questo profilo possiamo condividere le perplessità che sono state avanzate da tecnici del settore quando hanno rilevato come gli incentivi che il Memorandum "Agricoltura '80" indica per l'esodo di mano d'opera dall'agricoltura rischiano, nel nostro Paese, di portare conseguenze ancor più dannose degli inconvenienti che si vorrebbero eliminare. Perché proprio da noi, lo ripeto, l'esodo sta avvenendo a ritmi certamente non inferiori a quelli richiesti per una fisiologica riorganizzazione del settore, ed è un esodo che interessa in prevalenza forze di lavoro giovani. Il "Memorandum '80" prevede infatti incentivi maggiori per i lavoratori di età superiore ai 55 anni, ma ne prevede anche per i lavoratori più giovani. Quindi, se applicassimo le indicazioni che ci vengono dalla Comunità economica europea, noi arriveremmo ad avere un esodo ulteriore che interesserebbe forze di lavoro giovani ed anziane, e quindi ci troveremmo in quelle condizioni, che già vengono denunciate come un grave pericolo immanente per cui un processo di ristrutturazione e di ammodernamento della nostra agricoltura diventerebbe impossibile proprio perché mancheranno le forze di lavoro necessarie per sorreggere uno sviluppo moderno del settore. Quindi se è presente l'esigenza di esodo dalle campagne, occorre che questo esodo sia fisiologico, controllato, tale da non aumentare oltre un certo limite il tasso di senilità e di femminilizzazione della popolazione agricola; e soprattutto, l'esodo deve essere legato ad una prospettiva di sviluppo dell'agricoltura, in modo che gli occupati nel settore siano quelli che pu occupare una agricoltura moderna ed efficiente, e non quelli che risulteranno occupati nel settore primario "a saldo" cioè dopo che si sono tracciate le ipotesi di sviluppo di tutti gli altri settori dell'economia regionale.
A questo discorso sono connessi due problemi, che costituiscono poi due obiettivi precisi di lotta: 1) la tendenza alla parificazione dei redditi agricoli ed extra-agricoli (dico "tendenza" alla parificazione, per non introdurre un obiettivo astratto e difficile da perseguire nel breve periodo perché è chiaro che fin che non opera una tendenza alla parificazione dei redditi non c'è alcuna possibilità concreta, realistica di trattenere in agricoltura delle forze di lavoro che trovano una remunerazione più soddisfacente in altri settori produttivi) 2) la necessità di estendere i servizi civili essenziali alle campagne, per parificare anche da questo punto di vista le condizioni di vita, giacch l'altro elemento che accentua l'esodo dalle campagne è rappresentato dal fatto che in campagna si vive peggio che in città, cioè che una serie di servizi essenziali in campagna ancora non ci sono. Per questa via si pu dunque intervenire ancora a correggere ed a rendere fisiologico l'esodo dalle campagne.
Occorre, in definitiva, rovesciare una tesi corrente nel nostro Paese che trova sostenitori purtroppo anche fra i tecnici e gli esperti dell'agricoltura: la tesi, cioè, di chi ritiene che il declino dell'agricoltura sia inarrestabile e che si possa abbandonare, almeno in una certa misura l'agricoltura al suo destino, tesi pericolosissima, che dev'essere contrastata da una politica di settore adeguata.
Il secondo problema sul quale vorrei intrattenermi riguarda la dimensione delle aziende. La Comunità europea ha nato indicazioni anche su questo punto, con il "Memorandum '80". Anche qui abbiamo una serie di dati che non sto a riportarvi, fra l'altro, tali dati che sono stati anche portati a conoscenza del Comitato regionale per la programmazione economica del Piemonte Sappiamo da una indagine dell'INEA - una indagine di parecchi anni fa, ma la situazione non è sostanzialmente modificata - che il 95 per cento delle proprietà in Piemonte sono inferiori ai cinque ettari, e dunque che ci troviamo in presenza di una situazione aziendale e proprietaria estremamente frammentata Sappiamo anche che c'è un frazionamento degli stessi appezzamenti di terreno: solo il 18 per cento delle aziende piemontesi sono aziende ad un corpo solo; oltre il 40 per cento delle aziende è costituito da due a cinque corpi, il 23 per cento da cinque a dieci corpi, il 18 per cento addirittura da più di dieci corpi. E° una frammentazione estrema della proprietà agricola, tale da rendere veramente difficile un processo di ammodernamento che consenta l'uso di tecnologie e di mezzi adeguati, e quindi il raggiungimento di livelli di produttività quali sono necessari per un salto di qualità del settore, giacché è noto che, in agricoltura in modo particolare, l'uso di tecnologie moderne, in definitiva il progresso tecnologico, si accompagna a dimensioni adeguate delle aziende. Quindi, il secondo indirizzo da perseguire dev'essere quello di una decisa azione per la ricomposizione fondiaria, lo sviluppo della cooperazione e le altre misure che consentano di giungere ad avere aziende efficienti e di dimensioni adeguate.
Il terzo ed ultimo problema riguarda aspetti a monte e a valle del processo produttivo; a monte, cioè i problemi della fornitura dei mezzi tecnici di cui le aziende agricole hanno bisogno, a valle, cioè problemi della commercializzazione e della trasformazione dei prodotti agricoli.
Sono note anche qui le lamentele che vengono dal mondo dell'agricoltura italiana per gli alti costi e lo stato di vassallaggio in cui gli operatori del settore, le aziende contadine sono tenuti da parte delle industrie fornitrici di mezzi meccanici, di prodotti per la concimazione, di fertilizzanti eccetera, e dall'altra parte le difficoltà, la debolezza, la carenza di organizzazione di mercato degli agricoltori, soggetti alle tangenti notevoli della intermediazione commerciale e della vera e propria speculazione agraria.
Però, anche qui bisogna individuare con chiarezza gli obiettivi da perseguire. Giustamente, in un convegno recente uno dei tecnici più accreditati del settore, Manlio Rossi Doria, senatore del PSI, ricordava come sia presente, a livello di Comunità economica europea, una strada paradossale, filosofia sui problemi dell'agricoltura: mentre da un lato per quanto riguarda gli aspetti strettamente agricoli, si tende a dare una regolamentazione minuta, a introdurre un concetto di pianificazione rigido in tutte le fasi del processo produttivo in agricoltura, dall'altra, per quanto riguarda l'industria che produce i beni che servono all'agricoltura e i momenti della commercializzazione e della trasformazione dei prodotti agricoli, si ignorano questi problemi e si finge di credere che tutto avvenga in regime di libera iniziativa, fuori da qualsiasi intervento pubblico, da qualsiasi controllo; una pianificazione fin troppo rigida e minuziosa, che arriva appunto a prevedere la distruzione di culture, per la riduzione della superficie coltivabile, e di contro la piena libertà di mercato proprio nei punti nodali dai quali passa la possibilità di sviluppare e di razionalizzare l'intero processo di produzione.
E' chiaro, quindi, che una politica agricola efficace si deve esercitare anche in questa direzione. Le linee direttrici di questa politica si possono riassumere nella necessità di una profonda trasformazione strutturale delle aziende, nell'indispensabile intervento pubblico per realizzarla, giacché è dimostrato come sia impossibile che questa trasformazione si realizzi attraverso processi spontanei, e in una politica tendente a raggiungere la parità dei redditi, la competitività delle aziende e un adeguato rafforzamento del potere contrattuale degli agricoltori sul mercato come condizione di uno sviluppo fisiologico del settore, nonché adeguati interventi infrastrutturali e nei servizi civili delle campagne. In definitiva, questi obiettivi vanno inquadrati in una politica di piano, nella quale anche il settore dell'agricoltura deve trovare il suo inquadramento.
Non aggiungerei altro se non l'auspicio - raccogliendo l'indicazione che ci viene da entrambe le mozioni che ci sono state presentate, e che mi sembra giusto ribadire con particolare vigore a chiusura di questi nostri lavori - l'auspicio che anche per questo argomento lo Stato faccia sollecitamente il suo dovere, dando alla Regione i poteri che costituzionalmente le sono attribuiti, mettendoci così nelle condizioni di procedere rapidamente sulla strada che tutti concordemente stiamo oggi indicando.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Bertorello. Ne ha facoltà.



BERTORELLO Domenico

Signor Presidente! Colleghi Consiglieri! Vorrei mettere in evidenza un solo punto della nostra mozione, e precisamente quello relativo alla ricomposizione fondiaria.
La polverizzazione della proprietà terriera è una conseguenza storica in quanto i nostri avi, per lo più braccianti e servi dei signorotti dei secoli scorsi, accedevano alla proprietà stessa comprando il pezzetto di terra con i pochi risparmi che erano riusciti ad accumulare conducendo una vita di sacrifici e di stenti. E' stata la vittoria del lavoro su chi godeva del lavoro e del sacrificio altrui. Da questa realtà nasce l'amore per quel pezzetto di terra specie negli anziani, i quali ben sanno con quante privazioni quel piccolo podere è stato acquistato.
Se, però, lo spezzettamento della proprietà ha avuto la sua logica storica non è detto che debba ancora sussistere ora che l'agricoltura sta trasformandosi radicalmente.
L'esperienza insegna, infatti, che quanto si è fatto finora non è giusto. Le leggi dello Stato democratico sono state tutte volte a garantire la proprietà (vedi mutui quarantennali), mentre io sono convinto che d'ora innanzi si debba puntare in particolare sull'uso della proprietà. In questi venticinque anni di democrazia il coltivatore era indotto per ampliare la propria azienda a comprare la terra, in quanto se ciò non avesse fatto c'era talora un altro coltivatore, ma più spesso non un coltivatore, che procedeva all'acquisto, in ossequio a quel principio che anche noi abbiamo inserito nel nostro Statuto: la funzione sociale della proprietà. Su questo concetto si sono fatte le più spregiudicate speculazioni di impiego di capitali, obbligando il coltivatore a fare sacrifici enormi e a indebitarsi eccessivamente solo per avere uno strumento di lavoro, infatti la terra secondo me, altro non è che strumento di lavoro. Vorrei vedere cosa direbbero i sindacati dei lavoratori se l'operaio fosse obbligato ad acquistare un pezzo della FIAT per poter lavorare.
Ecco perché noi abbiamo inserito nella nostra mozione: ricomposizione fondiaria. Senza un'azienda di adeguata superficie è impossibile fare un'agricoltura razionale.
Lasciamo pur libero l'accesso alla proprietà: l'acquisti chi lo desidera. Una azienda può anche essere costituita da appezzamenti di proprietari diversi, ma dev'essere una unità culturale unica e indivisibile. L'uso della terra e quindi dell'azienda va assegnato al coltivatore che nel complesso ha la maggioranza di superficie. E' questo un atto sociale su cui noi responsabilmente dobbiamo legiferare. Lasciamo pure le leggi che facilitano l'accesso alla proprietà, ma ripeto questo sia un atto spontaneo di scelta, non un obbligo per poter lavorare.
La società deve garantire a tutti i suoi figli il lavoro, e questo vale anche per l'agricoltura. Come un agricoltore può impegnare i suoi risparmi in azioni della FIAT diventando in parte proprietario della società, senza tuttavia poter prenderne un pezzo, così le altre categorie debbono poter impegnare i propri risparmi nella proprietà terriera purché sia lasciata incorporata in aziende razionali su cui vengono sviluppate quelle culture che la programmazione agricola avrà predisposto, e il cui uso sarà assegnato a quel coltivatore che in quel sito ha scelto di vivere.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il consigliere Debenedetti.
DEBENEDETTI Signor Presidente! Signori Colleghi! Credo che sul tema in discussione sia stato veramente detto tutto. Se non fosse per un impegno politico, potrei quindi sottrarmi a portare ulteriori contributi di discussione a questo dibattito, che ha già sufficientemente evidenziato una individuazione di quelli che sono gli aspetti negativi del settore agricolo e che ha d'altra parte evidenziato anche una certa unitarietà nel prefigurare una nuova politica dell'agricoltura.
Ritengo che non sia male, comunque, ritornare a considerare in funzione critica le cause che a mio avviso hanno portato il fenomeno al punto di gravità che tutti conosciamo. E direi che alla produzione di questa situazione hanno concorso problemi di ordine istituzionale e problemi di ordine organizzativo. Tutti constatiamo che mentre in società molto più progredite della nostra si vanno configurando e realizzando moderne strutture agricole, tanto che si parla più propriamente di industria dell'agricoltura, da noi il settore agricolo presenta tuttora inalterati i suoi vizi costituzionali, nonostante gli interventi finanziari predisposti dallo Stato in questi ultimi decenni. Nel mondo dell'Est europeo si è decisamente scelta la via della cooperazione; nel mondo occidentale - mi riferisco soprattutto alle esperienze del Nord America - si è perseguita la politica cosiddetta dei grandi spazi, unitamente a forme di cooperazione attuate nelle diverse fasi del sistema produttivo: produzione e distribuzione. La struttura agricola italiana è invece rimasta sostanzialmente affetta da quei mali endemici ormai secolari sufficientemente individuati anche in questo dibattito e purtroppo non ancora rimossi e che hanno fatto dell'agricoltura la classica cenerentola della nostra economia. E' ben vero che su questa situazione pesano gravi carenze dello Stato, che risalgono assai indietro nel tempo e che sono riconducibili alla non esistenza di una vera, autentica politica agraria dello Stato italiano fin dal suo sorgere; ma è altrettanto vero che le condizioni in cui oggi versa l'agricoltura sotto l'incalzare di nuove pressanti esigenze - e mi riferisco in modo particolare alle conseguenze del Mercato comunitario - non consentono più soluzioni di tipo terapeutico che non incidano sulle strutture.
Ho detto che l'arretratezza della nostra agricoltura è dovuta innanzitutto a motivi di ordine istituzionale, e mi riferisco, è evidente alla causa prima, individuabile nell'altissimo frazionamento della terra con gran numero di aziende di dimensioni antieconomiche, e che non possono aggiornare i processi produttivi (si pensi che su quattro milioni di aziende un terzo ha una superficie di mezzo ettaro), oltre che all'altro fenomeno, tuttora perdurante, specie nelle zone del centro-sud, di una forte aliquota di mano d'opera sottoccupata. Ma ritengo che a questo punto non sia sufficiente prendere atto della situazione, ma possa essere estremamente utile soffermarci a considerare, e possibilmente a individuare, le condizioni che hanno reso possibile il sopravvivere e il perdurare dei suddetti anacronistici vizi del settore. E a mio avviso basta far riferimento ai principi fondamentali delle principali leggi di struttura agricola tuttora vigenti, senza sostanziali varianti - mi riferisco, ad esempio, al testo unico sui boschi e le foreste, alla legge sugli usi civici, alle leggi sul credito agrario, al testo unico sulla bonifica, e se vogliamo lo stesso piano verde - per individuare una costante, ricorrente tutela del primato assoluto della proprietà fondiaria sull'impresa agricola, con la conseguenza che la tutela della priorità relega in posizione marginale la protezione dell'impresa e della cooperazione. Interessante è constatare come tutta questa legislazione tuttora vigente, codificata in epoca fascista, si sia posta in netto contrasto con opposte tendenze che erano già precedentemente emerse nell'immediato primo dopoguerra: basta appunto pensare al fenomeno cooperativistico, che è stato poi rallentato durante il periodo fascista.
E' stato rettamente affermato che, secondo lo spirito della legislazione vigente, l'impresa è considerata niente altro che una proiezione della proprietà, anzi, semplicemente come un modo di esercizio del godimento del diritto di proprietà, e l'intervento dello Stato conseguentemente è stato così concepito come un rapporto diretto ed esclusivo con la proprietà fondiaria al fine di accrescere il reddito dominicale. In tal senso basterebbe riferirsi appunto alla politica che è stata perseguita nel settore del credito agrario, alle strutture della bonifica, alle norme, alle regolamentazioni per i miglioramenti fondiari alle agevolazioni eccetera.
Da queste osservazioni mi pare che possa scaturire una prima indicazione circa quella che potrebbe essere una nuova politica dell'agricoltura: la proprietà fondiaria dev'essere considerata un elemento subordinato all'impresa agricola, subordinato, quindi, alle esigenze della produzione e della retribuzione del lavoro. L'impresa dovrà pertanto essere il soggetto della nuova politica agraria, e l'intervento pubblico dovrà essere diretto a potenziare le strutture dell'impresa e quelle del mercato.
In questa prospettiva mi pare si imponga anzitutto una revisione della legislazione che tenda a favorire l'accesso alla proprietà della terra, ad agevolare il ricorso all'affitto mediante opportune disposizioni in armonia con le norme comunitarie, per assicurare l'ampliamento delle aziende e creare quindi imprese agricole economicamente vitali, ad agevolare la cooperazione nelle diverse fasi di produzione, di distribuzione e trasformazione dei prodotti.
Anche in campo organizzativo, mi pare che si impongano alcune indicazioni, che mi esimo dall'illustrare e che indicherò semplicemente: anzitutto, promuovere una unificazione di piú fondi collegati con contratto di affitto, favorire la conduzione associata cooperativa di terreni uniti o divisi tra soci, favorire la conduzione coordinata cooperativa di terreni coltivati individualmente da soci; inoltre, accompagnare la trasformazione aziendale e le nuove esperienze di associazione fra le imprese ad ogni livello mediante un consistente intervento pubblico, specie per quanto concerne la costituzione di una adeguata rete di mercati alla produzione la ricerca, la sperimentazione, l'assistenza tecnica creditizia, la formazione professionale; e ancora, favorire e potenziare le associazioni tra produttori nei diversi settori, sia a livello nazionale che a livello comunitario; rendere possibile, di conseguenza, un migliore controllo dell'offerta, tenendo conto delle condizioni di mercato anche attraverso l'autoregolazione da parte delle associazioni di produttori delle quantità da produrre, al fine di evitare sovrapproduzioni; infine, far adottare ai produttori da parte delle associazioni i criteri industriali nella fase di distribuzione e di trasformazione, predisporre ed organizzare esperienze contrattuali nelle fasi di collocamento dei prodotti, predisporre ed organizzare esperienze contrattuali ai vari livelli nelle fasi di acquisto dei mezzi necessari all'agricoltura.
A questo punto vorrei brevemente considerare l'esigenza che l'intervento pubblico debba avvenire sull'impresa e sul mercato sulla base di una programmazione ad ogni livello: internazionale, nazionale, regionale e zonale; quindi, programmazione agricola non di settore e non avulsa dalla programmazione globale.
Per accennare a problemi che ci toccano da vicino per quanto riguarda la competenza della Regione nel settore, mi pare che già da tutti sia stata conclamata l'esigenza di arrivare quanto prima alla costituzione dell'Ente di sviluppo agricolo, inteso proprio come strumento di intervento globale e di pianificazione agricola regionale e zonale al servizio delle direttive politiche della Regione, la quale potrà avvalersi dell'opera tecnica e amministrativa di controllo degli Ispettorati agrari. E vorrei ancora ricordare l'opportunità dell'invito al Parlamento, contenuto in uno degli ordini del giorno che sono stati presentati, perché provveda con sollecitudine alla delega dei poteri nel settore della Regione. Però, mi pare di dover considerare che, contrariamente a quanto è stato detto se non erro dal consigliere Besate, non possiamo forse ritenere che la Regione possa immediatamente legiferare nel settore in parola senza l'emanazione delle leggi-quadro, perché a me pare che ci sia una esigenza di carattere costituzionale - e mi riferisco in particolare all'art. 3 della Costituzione - che stabilisce il principio della parità fra i cittadini per cui non si potrà prescindere dalle leggi-quadro, quindi da una competenza legislativa ripartita fra lo Stato e la Regione, nel senso che appunto le leggi dello Stato esprimeranno il momento della uguaglianza del trattamento e la legge regionale potrà esprimere il momento concreto dell'intervento riequilibratore che interpreta e specifica le esigenze di ogni singola Regione.
Ho ritenuto opportuno fare questa precisazione per esprimere un mio personale convincimento. Sarò ben lieto se potrò essere ampiamente smentito dai fatti. Però mi pare che, stando così le delineazioni che già sono emerse, la Regione potrà legiferare soltanto dopo l'emanazione di leggi quadro e nei diversi settori di intervento.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Dopo un dibattito tanto ampio noi ci limiteremo a, precisare con brevi osservazioni quale sia la posizione del MSI a fronte delle due mozioni qui presentate.
Abbiamo costruito questo nostro intervento prendendo a base il testo della mozione firmata dai consiglieri Ferraris e Besate, in tanto in quanto era l'unica fino ad oggi pomeriggio distribuita. Ma crediamo che, entrando nel merito di questa mozione, sia anche possibile dare una risposta, cioè precisare il nostro punto di vista a fronte della mozione firmata da altri Consiglieri del Gruppo della Democrazia Cristiana, poiché, come è stato fatto rilevare specificatamente da parte del consigliere Besate, le due mozioni coincidono sui punti qualificanti.
Venendo al merito del testo della prima mozione, noi rileviamo che nella premessa, la gravità e la complessità di situazione dell'agricoltura italiana e regionale vengono indicate come una conseguenza di cause oggettivamente fondate, che anche la nostra parte denuncia. Così dicasi, ad esempio, per l'accentuarsi del divario fra il reddito agricolo pro capite degli addetti all'agricoltura e quello degli addetti agli altri settori così dicasi ancora per la scarsa remuneratività di produzione di alcuni prodotti. Riteniamo invece sia per lo meno esagerato comprendere fra queste cause, come si è fatto, anche un supposto pesante prelievo della rendita parassitaria: noi crediamo, infatti, che il canone di affitto, almeno nella normalità dei casi, non rappresenti un esborso esorbitante per l'affittuario. Notiamo piuttosto che sovente è la proprietà a non adempiere al suo compito di adeguarsi nelle strutture alla nuova situazione sociale ed agricola; perché, ormai, com'é noto, non è più possibile condurre una azienda che non si sia ammodernata nelle sue strutture, così come non è più possibile trattenere la mano d'opera necessaria nei campi e nelle case coloniche, quando queste non siano in ordine e completate dei servizi indispensabili.
Quanto alle conseguenze derivanti alle aziende diretto-coltivatrici da queste cause, ed evidenziate nel secondo punto della mozione Ferraris Besate, noi osserviamo che ad essere sottoposte alla falcidie dei redditi non sono tanto le aziende agricole vere e proprie quanto piuttosto quelle che mancano di una superficie sufficiente a dar lavoro alla unità costituente il nucleo familiare, ed a giustificare investimenti in macchinari che siano atti a rendere il lavoro meno pesante e più proficuo.
E sono, queste, aziende che, comunque, via via andranno eliminandosi spontaneamente. Sussisteranno cioè, fino a quando esisterà la generazione che attualmente è a cavallo degli anni '50-'55, e che in oggi continua ad utilizzare l'azienda solo per averne alloggio ed occupazione. Per allargare la superficie aziendale, dove non vi sia la possibilità di farlo con la ricomposizione fondiaria, noi crediamo non vi sia altro mezzo all'infuori dell'affitto. Ne consegue che l'istituto dell'affitto dev'essere potenziato, anziché venire scoraggiato con leggi quali quella già approvata al Senato e di cui diremo brevemente in seguito.
Quanto all'aggravamento di situazioni portato dal divario esistente fra la vita nelle città e nei comuni, di cui al terzo punto della premessa della mozione Besate-Ferraris, riteniamo opportuna una più dettagliata specificazione. Il divario quanto agli assetti civili, sociali, culturali ci sembra che in alcuni casi si stia riducendo: vi sono già, infatti famiglie che ritornano nei piccoli comuni di campagna, dove le modificate strutture offrono condizioni di vita forse migliori che in città e certo più economiche. Il divario nel settore previdenziale è avviato a ridursi nei prossimi anni, cioè entro il 1975, per effetto della nuova legge sulle pensioni: se mai, sarebbe auspicabile accelerare opportunamente i tempi.
Permane infine - questo sì, lo riconosciamo, - il divario relativo al settore assistenziale, soprattutto per quanto si riferisce all'infortunio e agli assegni familiari.
In merito all'avvio di una politica agraria - quarto punto della premessa, - noi riteniamo molto difficile che la Regione e gli enti locali possano disporre di mezzi finanziari tali da consentire maggiori interventi a favore dell'agricoltura; pensiamo, anzi, che se i mezzi finanziari disponibili continueranno ad essere distribuiti dallo Stato, si avranno certamente risultati più efficienti e con risparmio di personale. Non possiamo dimenticare, infatti, che finora le Province hanno sempre prelevato, per esempio, imposte dai proprietari dei terreni agricoli, ma di contro ben poco hanno dato agli agricoltori! Dopo questa lunga introduzione, la mozione Besate-Ferraris arriva a richieste precise: sostanzialmente rivendica il pronto trasferimento alla Regione delle competenze del Ministero dell'Agricoltura e dei suoi organi periferici, regionali e provinciali, sollecita dal Parlamento una rapida soluzione di alcuni problemi ed iniziative di legge, tra cui in particolare l'istituzione in ogni Regione dell'Ente di sviluppo agricolo, ed esprime infine incondizionato sostegno alla legge per la riforma dell'affitto dei fondi rustici che è già stata approvata dal Senato.
Al proposito, il MSI ritiene di dover fare queste considerazioni.
Anzitutto, è esatto rilevare che l'agricoltura costituisce uno dei settori più interessanti all'ordinamento regionale, e saranno infatti molti gli interventi che la Regione potrà svolgere a favore del settore agricolo. Ma i risultati saranno positivi o negativi proprio in relazione al modo in cui verranno ripartite le competenze e le attribuzioni fra Stato e Regione. Noi riteniamo che debba continuare a sussistere, così come d'altra parte esiste in tutti gli Paesi del Mercato comune europeo, il Ministero dell'Agricoltura: questo assolve a competenze e riassume in se prerogative che ci sembra non possano essere demandate alle Regioni; infatti, la conformazione del terreno, i corsi d'acqua, le opere di irrigazione e di bonifica non rispettano confini amministrativi regionali. Occorre pertanto che sia lo Stato a legiferare in merito, lo Stato a far rispettare le leggi relative e intervenire laddove vi è la necessita dl intervenire. E così pure, a nostro parere, devono rimanere allo Stato le competenze relative alle foreste, per evitare, per esempio, che delibere regionali possano provocare gravi falcidie nei patrimonio boschivo nazionale con conseguenze che poi fatalmente andrebbero a ripercuotersi anche su altre Regioni.
Insomma, ci sembra che ci si debba render conto che in campo agricolo la Regione, come d'altra parte è precisato nei piani del MEC, non è un ente amministrativo ma e una zona agraria omogenea, che può anche valicare i confini di varie Regioni, per cui vi è la necessità, l'assoluta necessità che la nostra agricoltura si inserisca nel Mercato comune europeo con una partecipazione unitaria, cioè guidata da una politica agraria che sia al tempo stesso comune e nazionale.
Quanto, poi, all'auspicio che sia realizzato sollecitamente il trattamento paritario a favore dei coltivatori diretti, dei mezzadri, degli altri lavoratori agricoli in materia previdenziale, e che vengano opportunamente migliorate le provvidenze assistenziali, la nostra parte non ha nulla da eccepire, concordando sostanzialmente, come già abbiamo avuto modo di dire prima, sulle richieste formulate. Non condividiamo invece la proposta di sollecita istituzione dell'Ente di sviluppo agricolo. A nostro giudizio, la costituzione di siffatti enti non ha alcuna ragione d'essere in Regioni dove già esiste una agricoltura di avanguardia così come nella pianura della Valle padana. E ci soccorre anche, dobbiamo pure dirlo, nella valutazione negativa di questa richiesta la cattiva prova che questi enti finora hanno fornito in altre Regioni: ovunque, si sono trasformati in enti clientelari, tutti in stato pressoché fallimentare, alcuni addirittura privi dei mezzi per retribuire i propri dipendenti. La nostra agricoltura ci sembra sia già appesantita da troppe strutture burocratiche. La Regione potrà consentire la migliore messa a punto e la soluzione dei moltissimi problemi che travagliano il settore agricolo se riuscirà a non aggravare questo appesantimento, rivalutando al contrario enti che già esistono e trasformandoli in modelli di chiarezza e di snellimento amministrativo anziché la creazione di inutili e costosissimi enti di sviluppo, noi proponiamo pertanto la riorganizzazione e il rilancio degli Assessorati provinciali agrari, i quali, opportunamente attrezzati e completati del personale idoneo, darebbero certamente risultati migliori.
Il dissenso della nostra parte è totale in merito al voto a sostegno della legge per la riforma dell'affitto dei fondi rustici. Noi siamo convinti che questa legge, se dovesse venire approvata alla Camera nel testo approvato al Senato, creerebbe all'agricoltura italiana danni pressoché irreparabili, poiché ridurrebbe in modo drastico quegli investimenti che oggi sono indispensabili per l'ammodernamento strutturale e costringerebbe alla miseria quei coltivatori diretti che hanno abbandonato per età la conduzione del fondo o quelli che sono giunti ai limiti della loro prestazione. Sarebbe stato meglio, noi crediamo, dare a questa legge un carattere incentivante per la proprietà, che, per esempio nell'arco di cinque anni riuscisse a trasformarsi, ad ammodernarsi, e dare invece un carattere punitivo solo per i proprietari dimostratisi realmente assenteisti. In realtà, con il pretesto di stabilire una nuova disciplina per l'affitto dei fondi rustici, si è mirato a ben altro: si è mirato a dimezzare i canoni riducendo la proprietà terriera ad un guscio vuoto.
Questo ci sembra essere il vero fine della legge firmata dal comunista Cipolla ed immediatamente avallata, nel clima conciliare dominante, dal democristiano De Marzi.
L'estrema concessione che i comunisti, e dietro i comunisti i socialisti e le sinistre cattoliche, sentono di dover fare alla proprietà privata è proprio questa: piccola industria, piccolo commercio, adesso piccola agricoltura; in sostanza, una specie di tollerato nanismo economico, che non dia troppo nell'occhio, che non innalzi troppo la figura dell'imprenditore, che moltiplichi quel proletariato padronale su cui il Partito comunista fonda proprio le sue speranze più fresche. La incompatibilità fra questi propositi e il Memorandum Manshoft, che disegna le linee dell'Agricoltura '80 per l'Europa, non merita, crediamo, molte parole. Vogliamo solo dire che la classe politica al potere dovrebbe rendersi conto finalmente, come si è reso conto, d'altra parte, il socialista Mansholt, che l'agricoltura in questo momento ha bisogno, ed ha più bisogno che mai, di capitali di investimento per aggiornare le proprie strutture, che sono vecchie, che sono superate; per cui diventa necessario diventa indispensabile, incentivare, favorire l'afflusso alla terra di capitali, da qualunque parte provengano, E d'altra parte, possiamo e dobbiamo anche dirlo, non va dimenticato che la maggior parte di quanto è stato fatto nei secoli scorsi nella Valle Padana, dove c'è un'agricoltura d'avanguardia che nulla ha da invidiare alle altre agricolture europee, è stato fatto proprio grazie all'apporto del capitale privato.
Nessuna obiezione, infine, in ordine agli impegni che la mozione Ferraris-Besate chiedeva alla Giunta regionale nella parte finale. Anche noi riteniamo auspicabile che la Giunta stessa promuova conferenze agrarie di zona, assuma iniziative per l'applicazione e il miglioramento della Legge 364 sul Fondo di solidarietà nazionale, presenti proposte concrete sullo sviluppo dell'associazionismo contadino e della cooperazione agraria istituisca un apposito comitato per il coordinamento delle iniziative e degli investimenti in agricoltura.
Pieno assenso da parte nostra vi e anche sulla richiesta urgente di una programmazione e di uno stanziamento per far fronte al vuoto che verrà a verificarsi a fine anno con la scadenza del secondo "Piano verde".
Chiariamo tuttavia che siamo però contrari al puro e semplice rinnovo delle provvidenze di questo piano, il quale, così come finora ha funzionato, è servito a poco o nulla: il cosiddetto "Piano verde" non e stato, in realtà un vero e proprio piano, ma più semplicemente una iniziativa bancaria a carattere assistenziale. Il piano per l'agricoltura deve invece intendersi noi crediamo, come un intervento organico dei pubblici poteri per organizzare i produttori, per impedire la speculazione degli intermediari parassitari, per razionalizzare culture ed allevamenti. Noi sosteniamo pertanto, che protrarre semplicemente la durata di questo cosiddetto "piano", anche se con maggiore efficienza per quanto riguarda la tempestività degli interventi e dei finanziamenti, non servirebbe, in realtà, all'ammodernamento della nostra agricoltura. L'agricoltura italiana lo diciamo a conclusione - ha bisogno di ben altro, e può averlo, perch vi sono in Italia uomini capaci, studi avanzati, strumenti moderni tali da poter trasformare lo sclerotico settore agricolo in un settore agile e redditizio. Mancano, per giungere a questo risultato, l'indirizzo aperto la volontà costruttiva, le capacità realizzatrici; sono queste, purtroppo deficienze costituzionali di questo regime che non potranno essere modificate, noi pensiamo, se non in un diverso e più progredito sistema politico.



PRESIDENTE

Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulla mozione relativa all'agricoltura.


Argomento: Industria (anche piccola e media)

Mozione sulla piccola e media industria (seguito della discussione e approvazione)


PRESIDENTE

Ricorderete che avevamo sospeso la conclusione della discussione sul punto 2 all'ordine del giorno relativo alla piccola e media industria perché era in corso di elaborazione una mozione suscettibile di raccogliere il consenso di tutti i Gruppi. Nel frattempo questa mozione è stata elaborata, e quindi possiamo adesso riprendere l'esame del punto 2 all'ordine del giorno e concluderlo con l'approvazione della mozione che è ora sottoposta al vostro esame. Ritengo si debbano considerare ritirate le mozioni precedentemente presentate.
La mozione concordata porta le firme dei consiglieri Gandolfi, De Benedetti, Bianchi, Curci, Viglione, Rivalta e Zanone. Manca solo quella del consigliere Giovana, ora assente, il quale peraltro si era dichiarato in linea di massima d'accordo su questi orientamenti. E' pertanto sottoscritta da tutti i Gruppi. Eccone il testo: "Il Consiglio Regionale: esaminata la situazione della piccola e media industria piemontese rileva con preoccupazione da un lato le difficoltà che investono aziende appartenenti ad alcuni settori produttivi (in particolare a quelli tessili dell'abbigliamento e alimentari) dall'altro il diffondersi, all'interno di processi di concentrazione e riconversione produttive, di drastiche riduzioni dell'occupazione e chiusure di stabilimenti rileva inoltre e condanna quei casi di speculazione di gruppi privati italiani e internazionali e di inadeguatezza di gestione verificatisi recentemente in Piemonte che hanno fatto ricadere le loro conseguenze a danno dell'interesse pubblico e in modo particolare dei lavoratori ai quali il Consiglio esprime tutta la sua solidarietà esprime viva preoccupazione per le conseguenze che derivano da questa situazione sul piano economico e sociale con grave pregiudizio per gli obiettivi di sviluppo regionale e in contrasto con il metodo della programmazione postula la necessità che per affrontare alla radice tali fenomeni si dia corso ad una politica economica che: a) si incentri sull'obiettivo della difesa e sviluppo dell'occupazione da realizzarsi mediante una scelta di priorità negli investimenti, una politica di rigore e di ordine nella spesa pubblica ed una nuova politica del credito e tributaria che tendano ad alleggerire i costi di produzione e garantiscano che le conquiste salariali e contrattuali dei lavoratori siano punti fermi acquisiti nell'interesse della collettività e tali da costituire nello stesso tempo base, premessa e stimolo per una rinnovata funzione della piccola e media industria b) sia sostenuta da una politica di riforme che risolva i problemi sociali della casa, della scuola, dell'assistenza sanitaria e della disponibilità e dell'uso dei suoli ribadisce la necessità che la piccola e media industria, espressione di talenti e di capacità tecniche e imprenditoriali, possa trovare alimento e promozione nello stesso mondo operaio e artigianale nella garanzia di un pluralismo di iniziative autonomo da ogni condizione e pratica di monopolio, nella logica e nel rispetto delle finalità del piano di sviluppo regionale ritiene necessario in preparazione del piano regionale un'ampia consultazione degli Enti locali, dei sindacati, delle piccole e medie industrie, delle categorie interessate per giungere ad acquisire una effettiva analisi nel settore ramo produttivo e per area ecologica che consenta programmi e interventi articolati e approntati per tutta la Regione compresa l'assistenza tecnica e di mercato rinnova l'impegno della Regione Piemonte a realizzare sollecitamente gli strumenti di intervento richiesti dalla politica di piano in particolare quelli necessari per la guida e il controllo delle localizzazioni industriali e la società finanziaria pubblica".
Nessuno chiede la parola per dichiarazioni di voto? Ha chiesto di parlare il consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Riteniamo doveroso ribadire che la pur seria ed approfondita discussione sulla situazione in cui versa la media e piccola industria e la votazione di un ordine del giorno al quale ci accingiamo a dare il nostro voto favorevole non esaurisce certo l'esame che di questo serio ed importante problema, come di altri, dev'essere compiuto nel quadro della situazione sociale, economica e politica del Paese e della Regione in sede di formulazione e di discussione del programma che la Giunta regionale proporrà al Consiglio per la sua approvazione.
E' comprensibile e corretto che la Giunta ora si astenga dall'esprimere un suo giudizio collegiale su questo come su altri ordini del giorno perché è noto che l'approvazione dello Statuto viene a proporre delle esigenze di adeguamento degli organi regionali per le diverse modalità di elezione previste e per il numero di componenti della Giunta, che ne comporteranno le formali dimissioni e la ricostituzione sulle nuove basi. A questo riguardo colgo l'occasione per affermare che la Democrazia Cristiana, al di qua del momento formale delle dimissioni, legato alle esigenze di una responsabile continuità delle funzioni degli organi regionali oltre che di opportunità procedurali, è immediatamente disponibile per incontri tra le forze politiche di centro-sinistra che già costituiscono questa Giunta, per definire termini, strutture e contenuti programmatici della nuova Giunta, destinata a segnare il passaggio dalla fase più propriamente costituente - fase che si conclude apportando a tutti noi Consiglieri motivi di soddisfazione, se non ci inganniamo sul significato di echi e di giudizi sul nostro Statuto - a quella di assunzione dei compiti effettivi secondo le competenze regionali nell'ambito dei principi dell'autonomia, della partecipazione e della programmazione, per rispondere alle attese ed alle speranze che sentiamo attorno a noi tanto vive e che per quanto riguarda la volontà politica e la serietà del nostro impegno non andranno deluse.
La prospettiva di questi incontri ci consente di ribadire che noi siamo aperti e disponibili sempre per un confronto ed un clima di rapporti politici fra i Gruppi consiliari, fra tutti i Gruppi consiliari, della maggioranza e della minoranza, quale si è andato collaudando in questo primo periodo di vita della Regione Piemonte; che noi riteniamo che gli equilibri politici necessari alla stabilità ed efficienza operativa degli organi regionali trovino la loro valida e responsabile espressione nell'accordo dei Gruppi di centro-sinistra, che curiamo di rafforzare per quanto sta in noi e di rendere politicamente sempre più qualificato; che nell'ambito interno, infine, a questi rapporti, fondati sulla lealtà e sulla stima reciproca, anche tra le persone, se vi è luogo a libere e franche discussioni per dare la migliore e più corretta soluzione ai problemi posti dall'attuazione dello Statuto, non vi è pero spazio per manovre, o forse anche solo per voci maldestre ed infondate che tocchino la nostra volontà ferma di collaborazione, la responsabilità delle persone impegnate in ruoli di rilievo e la nostra fiducia in esse, si tratti di chi appartiene al nostro Gruppo, come il Presidente della Regione, Calleri, o di chi appartiene, come il Presidente del Consiglio, sen. Vittorelli, al Partito socialista. E così, la stima per le persone, e la certezza che la loro apprezzata attività continuerà ad esserci assicurata nei ruoli che hanno determinato il nostro vivo apprezzamento, si accompagna al giudizio politico di essenzialità dei rapporti costituiti e da rafforzare tra le stesse forze politiche.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Il Gruppo socialista accoglie con viva soddisfazione le dichiarazioni del Presidente del Gruppo della Democrazia Cristiana, sia quelle di politica generale, sia quelle più specificatamente di leale apprezzamento per l'opera del Presidente del Consiglio Regionale, sen. Vittorelli, e per l'opera del Presidente della Giunta, dott. Calleri.
La situazione generale del Paese richiede la presenza di un Governo nazionale e di Governi regionali stabili, non minacciati da crisi periodiche ma al contrario resi più forti dal consenso che alla loro azione può derivare da più larghi strati e da più larghi schieramenti di forze popolari.
Le grandi lotte dei lavoratori in corso nel Paese per le riforme fondamentali debbono trovare nel potere esecutivo un interlocutore capace di assumersi la responsabilità dei grandi cambiamenti che il Paese attende e che non possono avvenire se non attraverso una collaborazione di Governo nella quale la Democrazia Cristiana e il Partito socialista italiano sono e debbono essere elementi essenziali.
Il PSI ritiene che sarebbe un grave danno per la nostra Regione se le preannunciate dimissioni della Giunta, che debbono trovare la loro collocazione esclusivamente nell'impegno preso al momento della formazione della Giunta stessa, portassero ad una crisi della collaborazione, che si trasformerebbe rapidamente in una crisi generale. Non è tempo, questo, di giochi di potere, non è tempo di diversivi interni ed esterni ai partiti: è tempo di presentare all'opinione pubblica un quadro delle libere istituzioni del Paese quale l'opinione pubblica e la classe lavoratrice attendono, vale a dire testimonianza di una democrazia non solo formale ma cosciente delle gravi responsabilità che comporta il governare in questo difficile momento, pronta ad assumersi gli oneri che il governare comporta.
Soltanto in questo modo si esalta la solenne dichiarazione antifascista che la stragrande maggioranza di questa assemblea ha votato ieri.
Per queste ragioni, il Partito socialista italiano accoglie le precisazioni della Democrazia Cristiana e le fa proprie. Ogni collaborazione comporta momenti difficili, ed anche scontri; ma dobbiamo avere tutti la forza di superare e momenti difficili e scontri per giungere ad una sintesi operativa che, fatte salve le connotazioni e le finalità ultime di ciascun partito, costituisca un punto di riferimento della nostra Regione, e sia aperta, come giustamente ha auspicato il collega Bianchi, a schieramenti sempre più larghi e ad incontri di maggioranza e di minoranza di collaborazione di incontro e di scontro. Facendo questo, senza attardarci in piccoli giochi di potere, credo che faremo l'autentico interesse dei cittadini del Piemonte, soprattutto di quelli che in questi giorni hanno dimostrato veramente in modo esemplare e civilissimo di riporre una grande fiducia in noi, e saremo degni del loro mandato.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Ci inseriamo anche noi in questa sorprendente procedura, che colloca dichiarazioni politiche riguardanti l'assemblea ed i suoi organi in una dichiarazione di voto che concerne una mozione su un tema che l'Assemblea ha discusso. Non ci opponiamo, perché riteniamo che sia importante parlare di questo.
Incomincio con il dire che noi approviamo la mozione, riguardante i problemi della piccola e media industria, con la premessa che abbiamo già fatto questa mattina: che essa certamente non è risolutiva, non indica concretamente se non nel momento contingente la volontà della Regione di operare in una politica di piano che porti ad un controllo pubblico dell'attività dei grandi monopoli. Questa è l'indicazione che a noi viene dalle lotte dei lavoratori, dalle indicazioni che essi ci hanno dato, da quanto è emerso per questo punto dal dibattito dei problemi concreti che si pongono nel nostro Paese.
E' certo che problemi - lo ha già detto il compagno Nesi - molto gravi si sono aperti nel nostro Paese. Già ieri Minucci nella sua dichiarazione antifascista denunciava gli ostacoli che si oppongono al processo di rinnovamento in corso nel Paese; rinnovamento democratico, che fa avanzare le masse lavoratrici verso una direzione nuova del Paese, per una politica di riforme strutturali, per una politica che riaffermi, porti avanti la classe lavoratrice come forza dirigente del Paese. Noi pensiamo, quindi che la mozione che stiamo per approvare vada considerata, intanto, come un pronunciamento contro le iniziative industriali, rivolte contro gli operai che in questi giorni vengono messi alla porta, e come una indicazione precisa su come il Consiglio regionale e la Giunta debbono orientarsi nell'approntamento delle iniziative che il Consiglio regionale assumerà alla ripresa della sua attività.
Per quanto riguarda, invece, i problemi posti dalle dichiarazioni del Capogruppo democristiano, Bianchi, e del collega Nesi, vogliamo cogliere anche noi questa occasione per parlarne, non certo perché indotti da coloro che con l'articolo su "Stampa Sera" avranno ottenuto lo scopo che si prefiggevano (o forse sono stati sconfitti? La cosa è ancora piuttosto dubbia), dato che anche noi pensiamo che, come diceva ieri sera il Presidente Calleri nella riunione dei Capigruppo, rifacendosi ad una dichiarazione del nostro compagno Togliatti, alle osservazioni critiche non si debba dare smentita, per non provocare la smentita alla smentita entrando in un giro vizioso da cui non è possibile poi uscire.
Anche noi confermiamo, ammesso che ve ne sia ancora bisogno, la nostra piena fiducia al Presidente dell'Assemblea, Vittorelli, e all'Ufficio di Presidenza- Credo che un esame obiettivo del funzionamento della Regione in questi ultimi quindici giorni non possa che portare non soltanto a ribadire la fiducia nell'Ufficio di Presidenza ma ad esaltare la funzione e l'attività che esso ha svolto in questi giorni. Certo, qualcuno potrà dolersi del fatto che iniziative specifiche siano state assunte dai membri o da qualche membro dell'Ufficio di Presidenza; a qualcuno può dare fastidio che il nome del vice-presidente comunista Sanlorenzo sia oggi uno dei più popolari di questa Assemblea, perché egli è stato il personaggio più vicino, a nome dell'Ufficio di Presidenza, agli operai in lotta, il personaggio più attivo nelle iniziative che hanno permesso di collocare la Regione di fronte all'opinione pubblica in un quadro giusto, preciso, in un quadro che fa emergere la funzione della Regione.
Abbiamo riconosciuto ieri che gli operai sono venuti alla Regione per trovare un alleato, avendo inteso lo spirito del nostro Statuto, ed in essa hanno trovato il loro interlocutore naturale; hanno cercato nella Regione un alleato per la difesa del loro posto di lavoro. Se qualcuno pensa che le iniziative dell'Ufficio di Presidenza in questo periodo non siano state conformi allo spirito e alle indicazioni dello Statuto nessuno gli vieta di dirlo: può anche venirne fuori un giudizio di censura, o comunque di critica. Noi pensiamo invece che i vuoti che in questo periodo di sono avuti nella nostra Assemblea sono stati colmati dall'iniziativa dell'Ufficio di Presidenza. E pertanto a coloro che sull'articolo di "Stampa Sera" attaccano il presidente Vittorelli, censurando l'operato dell'Ufficio di Presidenza, in questi giorni, noi rispondiamo con la confermata fiducia, non soltanto, ma con l'approvazione piena e totale delle iniziative e delle attività che essi hanno svolto, perché diciamo che essi hanno pienamente corrisposto allo spirito e alla lettera dello Statuto che tutti noi abbiamo approvato.
Per quanto riguarda la Giunta, è nota la nostra posizione. Noi abbiamo affermato a chiare note che siamo per una assemblea che operi costantemente; abbiamo detto che vogliamo una Regione viva, e riscontriamo questa sua capacità di essere viva nella misura in cui è presente nei processi in corso nel nostro Paese: processi di carattere politico processi economici, processi che coinvolgono la vita, l'avvenire l'attività dei cittadini piemontesi. E abbiamo presentato proposte di dibattito di temi attuali su cui peraltro si è largamente esercitata l'iniziativa del Consiglio regionale. Decine di interventi hanno confermato quello che noi comunisti abbiamo sostenuto presentando le mozioni, e cioè la necessità, la possibilità e l'utilità che il Consiglio regionale si riunisse per discutere di queste questioni. E noi siamo lieti che l'ampia partecipazione al dibattito abbia confermato le proposte che noi abbiamo avanzato nella conferenza dei Capigruppo. Ma abbiamo anche detto che noi non siamo per un regime assembleare che si risolva in un dibattito senza conclusioni pratiche; abbiamo a più riprese affermato che noi siamo anche per una Giunta operante, per uno strumento esecutivo con compiti di promozione delle iniziative che politicamente stabilisce l'Assemblea.
Siamo, quindi, per una Giunta che operi, che operi subito, che operi bene nell'ambito delle iniziative dell'Assemblea, delle decisioni di questa, e degli articoli, dello spirito dello Statuto.
Naturalmente, noi, nel valutare i problemi che si aprono con le dimissioni della Giunta in osservanza delle decisioni statutarie, cogliamo tutto il senso politico delle dichiarazioni fatte dal compagno Nesi; e affermiamo che mentre restiamo vigilanti, ad operare perché non sia dilazionata oltre il 19 gennaio, giorno in cui per Statuto dovrà convocarsi l'assemblea regionale, la crisi che si apre, credo, di fatto, anche se tecnicamente in questo momento, noi diciamo anche che opereremo, alla luce dei fatti che stanno avvenendo nel Paese, ed a cui il compagno Nesi ha fatto riferimento, perché la Giunta corrisponda non soltanto ai problemi e ai contenuti che questi esprimono, ma anche alle indicazioni politiche che la realtà del Paese sta additando. Questa realtà è un generale spostamento a sinistra, è una generale richiesta di direzioni politiche a tutti i livelli che sappiano corrispondere alle aspettative, alle esigenze, ai problemi che la collettività italiana pone in questa situazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente! Colleghi! Naturalmente, io parlo in questo momento nella veste, che ho praticamente riassunto, di consigliere, a nome del mio Gruppo, il Gruppo del Partito socialista unitario.
Ritengo che la prima fase dell'esperienza che abbiamo vissuto in questo Consiglio regionale, l'attività che abbiamo svolto, si debba giudicare positiva, e credo che da questa fase possano scaturire indicazioni molto utili per poter realizzare un proficuo lavoro anche in futuro. Se c'è una cosa che possiamo lamentare, credo noi tutti colleghi di Giunta, è che il terreno sul quale ci siamo trovati ad operare, il terreno, cioè, dei poteri limitati non ha consentito di effettuare qualcosa di concreto che non fossero iniziative a livello di studio o di informazione, e ciò ha fatto perdere qualche settimana, o qualche mese. Ciononostante, io credo che si sia voluto, con la costituzione della Giunta, a suo tempo, affermare una volontà politica dei partiti, a cui oggi compete ugualmente di dare una indicazione per la prossima formazione del nostro organo esecutivo.
L'occasione sarà in questo caso una occasione propizia, perché la Giunta si formerà non soltanto sulla base di formule politiche ma sulla base della verifica di precise volontà politiche, di volontà programmatiche, che compete ai partiti di centro-sinistra di indicare.
Penso sia un fatto fondamentale - vi ha fatto riferimento il capogruppo Nesi - riconoscere che la stabilità politica è un fattore essenziale in ogni circostanza. Noi la richiediamo e pretendiamo a livello governativo la auspichiamo e la vogliamo sinceramente a livello della nostra Regione.
Crediamo non sia qui il caso di esprimere la ovvia fiducia nelle persone che hanno guidato, ciascuna con la propria competenza, nella propria sfera di potere, la nostra Regione fino a questo momento. Noi ci auguriamo che tutto possa continuare nel migliore dei modi; sappiamo, soprattutto, che ciò continuerà nella misura in cui i diversi poteri saranno chiaramente definiti. E, del resto, il nostro Statuto ha avuto modo, e il Regolamento che farà seguito allo Statuto avrà modo, di chiarire esattamente le linee di potere, senza che con questo possano insorgere conflitti che nessuno vuole, che nessuno desidera, e che sarebbero sotto tutti gli aspetti deprecabili. Affermiamo quindi, una volontà politica che intendiamo verificare con i partiti che costituiscono la maggioranza; maggioranza che come ho avuto occasione di dire altre volte, non intende rappresentare un fattore a se stante, avulso dalla realtà che vive nel nostro Consiglio e nel Paese stesso, ma vuole essere scrupolosa interprete di una regola democratica che attribuisce a ciascuno precise responsabilità, in modo che la maggioranza da un lato e la minoranza dall'altro, possano svolgere il proprio compito per un utile e proficuo lavoro per tutti.
Con questo augurio e con questa convinzione, a nome del mio Gruppo, mi associo a quanto ha già dichiarato il capogruppo della Democrazia Cristiana, collega Bianchi.



PRESIDENTE

Non vi è nessun altro iscritto a parlare.
Pongo quindi in votazione la mozione sulla piccola e media industria che è già stata letta.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno sulla Falconi e la Tobler


PRESIDENTE

In connessione con questo dibattito, è stato pure presentato un ordine del giorno specifico, a firma di tutti i Gruppi, del seguente tenore: "Il Consiglio Regionale impegna la Giunta a: richiedere risposta dal Ministero delle Partecipazioni Statali e da quello dell'Industria per la soluzione positiva del problema della Falconi promuovere di concerto con il Comune di Torino le misure atte a impedire qualsiasi speculazione privata successiva alla smobilitazione della Tobler." Le firme che vedo sono quelle dei consiglieri Nesi, Marchesotti Cardinali, Bianchi e Curci. La Giunta desidera esprimere il proprio parere?



CALLERI Edoardo

Mi riesce oggettivamente difficile accettare questo ordine del giorno come impegno, atteso il carattere di transitorietà che evidentemente la Giunta avrà d'ora in poi, secondo le dichiarazioni fatte in questa sede.
Penso però che lo potrei senza alcuna esitazione accettare, anziché come impegno, come raccomandazione.
I colleghi che hanno firmato questa mozione capiranno, credo, la situazione e aderiranno a trasformare l'impegno in raccomandazione.



PRESIDENTE

Di norma, quando in Parlamento il Governo accetta un ordine del giorno come raccomandazione, questo non viene posto in votazione. Se i presentatori non insistono, quindi, si considera che questo ordine del giorno, accolto dalla Giunta nella situazione transitoria attuale come raccomandazione, possa passare agli atti ed essere considerato come una raccomandazione accolta dalla Giunta stessa.


Argomento: Norme generali sull'agricoltura

Mozione sull'agricoltura (seguito della discussione e approvazione)


PRESIDENTE

Mi è pervenuto ora il testo di una mozione unificata sull'agricoltura sottoscritta dai presentatori delle due mozioni precedentemente proposte sullo stesso argomento e da altri Gruppi consiliari: in tal modo non ve ne sono più due in contrasto fra di loro o comunque in contrapposizione in sede di votazione.
Possiamo, quindi, così, con questa mozione unificata sull'agricoltura concludere anche il punto all'ordine del giorno n. 3 relativo alla mozione sull'agricoltura. Ne dò lettura perché i Consiglieri regionali possano conoscerla, in quanto, essendo stata presentata soltanto ora, è stato impossibile fotocopiarla e distribuirla: "Il Consiglio Regionale: constatata la difficile situazione dell'agricoltura piemontese, con particolare riferimento alla condizione di disagio economico in cui, da tempo, si trovano le popolazioni rurali rispetto alle altre categorie di lavoratori invita l'autorità di Governo ad emanare, con la massima sollecitudine, i decreti delegati per il trasferimento delle competenze, ai sensi dell'art. 17 della legge 16.5.1970, n. 281 sollecita altresì, il Governo - tenuto conto della scadenza del piano verde n. 2 e della legge 590 - a presentare alle Camere un provvedimento generale di finanziamento per far fronte alle carenze conseguenti alla scadenza delle citate leggi, nonché a definitivamente approvare la legge relativa all'affitto dei fondi rustici, già approvata dal Senato rileva come l'istituto regionale, in conformità a quanto previsto dal disposto costituzionale, abbia determinante competenza in materia di agricoltura, e come, in tale sede, sia realizzabile un intervento pubblico più aderente alle realtà locali, nonché potenzialmente più incisivo esprime la volontà di realizzare una politica agraria in grado di definire e valorizzare l'imprenditore agricolo attraverso un riconoscimento della professione, di difendere e potenziare l'impresa familiare diretto coltivatrice - singola o associata - di stimolare le iniziative cooperativistiche ed associative, di valorizzare la ricerca e sperimentazione per migliorare la tecnica delle coltivazioni e degli allevamenti, di perfezionare e potenziare l'istruzione tecnica e professionale, di favorire la ricomposizione fondiaria e di promuovere il riordino delle utenze irrigue, di rilanciare su nuove basi il credito agevolato in agricoltura, di valorizzare le zone collinari e montane, anche ai fini di mantenere l'equilibrio idrogeologico, di sviluppare la viabilità vicinale, di integrare, in generale, le leggi nazionali vigenti nel settore agricolo chiede nel contempo, misure previdenziali ed assistenziali a favore degli agricoltori applicando a questi lo stesso trattamento definito per i lavoratori degli altri settori e auspica la realizzazione di infrastrutture capaci di assicurare condizioni di vita migliori alle popolazioni rurali ribadisce infine, la validità dello strumento del "Piano zonale", cui fa riferimento la stessa carta statutaria regionale, inteso come nuovo metodo per la realizzazione di una politica agraria programmata e diversificata all'elaborazione del quale dovrà essere assicurata la diretta responsabile partecipazione delle categorie agricole interessate: a questo scopo ravvisa l'opportunità di raccogliere ogni elemento conoscitivo sulla situazione dell'agricoltura, richiedendo la collaborazione degli uffici periferici dello Stato, in attesa della piena assunzione delle funzioni da parte della Regione; ribadisce la determinante funzione dell'Ente di sviluppo agricolo, quale organo operativo della Regione Piemonte per il settore primario".
Questa mozione è firmata dai consiglieri Bianchi, Bertorello, Bruno Ferraris, Menozzi, Simonelli, Chiabrando e Cardinali.
Qualcuno chiede la parola per dichiarazione di voto? Ha facoltà di parlare il consigliere Carazzoni; gli succederà il consigliere Fassino.



CARAZZONI Nino

Udita la lettura del testo di mozione concordato, noi rileviamo che in essa sono state recepite parti sulle quali possiamo senz'altro concordare ma altresì parti nei confronti delle quali il Movimento sociale italiano non può associarsi: in particolare, l'auspicio di sollecita approvazione da parte della Camera della legge che disciplina l'affitto dei fondi rustici nonché la richiesta di istituzione dell'Ente di sviluppo agricolo. Per queste ragioni, noi riteniamo di doverci astenere in sede di votazione.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il consigliere Fassino.



FASSINO Giuseppe

Per dichiarazione di voto.
Ricollegandomi a quanto nel suo intervento ha affermato il collega Germi, debbo dichiarare che il mio Gruppo si ripropone la stessa domanda che già in Senato ieri si erano posti, e che domani si porranno alla Camera, i nostri parlamentari e cioè quale sarà l'avvenire del rapporto di affittanza qualora l'istituto stesso sia regolato dalla disciplina approvata dal Senato, e di prossima, ormai certa, approvazione da parte della Camera dei Deputati? Quali le conseguenze? A nostro avviso, ne deriveranno la paralisi nei processi di ammodernamento delle aziende di affitto, il blocco, il regresso delle superfici condotte con tali sistemi ed una conseguente svalutazione dei terreni stessi. Di contro, il Gruppo liberale pensa che nella realtà di oggi e del prossimo futuro occorra dare spazio e respiro al rapporto di affittanza, mezzo più semplice, più rapido meno dispendioso per giungere all'aumento delle dimensioni aziendali, base della politica delle strutture agricole.
Per quanto affermato nella mozione specificatamente circa l'affitto dei fondi rustici, di cui si chiede che sia accelerato l'iter legislativo, ed anche in coerenza con l'azione dai nostri Parlamentari svolta prima in Senato e ripresa poi alla Camera, con la presentazione di un progetto di legge (progetto Bignardi, dello scorso aprile), il Gruppo liberale, che pure è nel complesso d'accordo su molti punti della mozione posta ai voti dichiara di astenersi.



PRESIDENTE

Non vi è alcun altro iscritto a parlare. Pongo quindi in votazione la mozione unificata sull'agricoltura della quale ho dato lettura.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Mozione sulla riforma tributaria


PRESIDENTE

Mi è pervenuto ora il testo di una mozione con molte firme, che ora leggerò, sul successivo punto all'ordine del giorno: la riforma tributaria.
Essa è sostitutiva dei testi fin qui presentati. La mozione potrà poi essere illustrata ed eventualmente discussa prima di esser messa in votazione: "Il Consiglio Regionale del Piemonte in relazione al disegno di legge governativo, in discussione in Parlamento, sulla riforma tributaria ed ai suoi riflessi sulla finanza locale, - considerato che l'Associazione Nazionale Comuni Italiani ha già provveduto, per parte propria, a puntualizzare gli aspetti negativi che il testo in questione, se approvato, comporterebbe sia per la finanza degli Enti locali sia, più in generale, per le autonomie, che si possono considerare tali soltanto se alle enunciazioni di principio corrispondono concrete possibilità di gestione finanziaria e di spesa dichiara di far proprie, anche in rappresentanza politica degli Enti locali piemontesi, le posizioni assunte dall'A.N.C.I., cui dà tutto il proprio concreto appoggio rileva come i problemi finanziari delle Regioni siano sostanzialmente ignorati dal disegno di legge in discussione, per cui l'intento di sostituire un sistema tributario vecchio e sorpassato - fatto importante e approvabile anche per il contenuto di rinnovamento del rapporto tra il cittadino e lo Stato che comporta necessariamente - verrebbe perseguito senza tener conto del profondo rinnovamento strutturale che le Regioni comportano per lo Stato stesso ritiene che non si possano conseguire gli importanti e urgenti obiettivi che si compendiano nella formula "giustizia fiscale" senza tener debito conto delle necessità finanziarie degli Enti locali e delle Regioni, cui la Costituzione e le leggi riservano compiti fondamentali e gravosi si rivolge al Governo e al Parlamento sollecitando un dialogo concreto che consenta un chiarimento delle esigenze finanziarie regionali e locali si riserva ulteriore approfondimento nel merito dei problemi in discussione impegna la Giunta Regionale a prendere gli opportuni contatti con le altre Regioni per un'azione unitaria e tempestiva per attuare il dialogo richiesto col Governo e il Parlamento".
La mozione è firmata dai consiglieri Garabello, Bianchi, Cardinali Simonelli, Fassino e Raschio. Desiderano illustrarla? Ha facoltà di parlare il consigliere Raschio.



RASCHIO Luciano

La mia non vuol essere una illustrazione, signor Presidente e colleghi Consiglieri, ma una semplice dichiarazione di voto, in quanto questa mozione viene presentata da tutte le forze democratiche e antifasciste del nostro Consiglio regionale, e riflette, direi, in sostanza, anche tutti i documenti che i Comuni in occasione della consultazione per l'elaborazione dello Statuto regionale hanno ampiamente inviato a noi trattando i problemi del rinnovamento delle loro strutture in relazione ai problemi della riforma tributaria e del rinnovamento della Legge comunale e provinciale.
Abbiamo fatto bene a renderci interpreti in Consiglio con tale mozione di questa esigenza; esigenza che ci trova oggi maggiormente confortati dalla presa di posizione dell'Associazione nazionale Comuni d'Italia, che nel suo convegno straordinario dell'11-12 e 13 dicembre, a Viareggio, con solennità ma anche con grande capacità, ha saputo interpretare le richieste dei Comuni e degli Enti locali, e direi ha saputo anche dare una esemplare ed articolata risposta sulla nuova strutturazione che il Paese ha assunto con la nascita della Regione. Il collega Simonelli ed io, partecipando a quel Convegno, abbiamo visto, in quella sede, quanto sia importante il momento regionale e quanta vitalità esso produca nei confronti dei Comuni di quelli presenti e di quelli delegati, e quanta importanza, inoltre, di contro i Comuni diano alle finanze regionali, chiedendo che siano adeguate allo svolgimento di una politica autonoma, vasta e di rinnovamento della Regione stessa.
Con questa dichiarazione di voto, noi, come Gruppo consigliare comunista, ritiriamo la proposta di mozione che avevamo presentato alla Presidenza del Consiglio e che avevamo dato a tutti i Gruppi; la ritiriamo perché sentiamo l'esigenza di affrontare immediatamente invece con questa mozione unitaria l'impegno di far sentire al Governo come la Regione sia un elemento che interpreta le esigenze dei Comuni associando parimenti l'azione della Regione Piemonte all'azione dell'Associazione nazionale Comuni d'Italia.
Con il ritiro della nostra mozione per dare il nostro assenso pieno come Gruppo comunista, a questo nuovo documento, noi, Consiglieri regionali, chiediamo unitariamente, come riporta il testo della mozione, di essere ascoltati dal Governo, dal Parlamento, come Regione piemontese, e nel contempo ci colleghiamo alle Regioni italiane sia a Statuto ordinario come a quelle a statuto speciale, perché il momento della Regione completamente disatteso nel progetto di riforma tributaria, sia al centro del discorso di tutto il rinnovamento delle strutture vecchie, arcaiche colleghiamo, nelle intenzioni, questo discorso a quello sulle riforme del nostro Paese, alle lotte dei lavoratori, all'esigenza da parte degli Enti locali di avere più autonomia, per garantire, con questo atto, una maggior partecipazione delle forze lavorative alla stessa gestione della cosa pubblica. Noi diamo quindi anche un contributo, proprio sulla base delle indicazioni che il nostro Capogruppo poc'anzi andava ribadendo con fermezza, a che il Consiglio sveltisca i suoi lavori, rimanendo però sempre ancorato ai problemi delle lotte dei lavoratori, ai problemi degli Enti locali, dei centri di potere in cui i lavoratori possono esprimere meglio di chiunque le proprie esigenze, le proprie rivendicazioni.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il consigliere Nesi.



NESI Nerio

Sono un po' imbarazzato a parlare di questo argomento, perché non l'abbiamo trattato molto seriamente. Un dibattito di questo genere, su quella che è una delle più importanti riforme dello Stato italiano, avrebbe dovuto essere svolto da un Consiglio regionale come quello del Piemonte in modo completo ed approfondito. Riconosco però l'esigenza, che il collega Raschio ha giustamente ribadito, di presentare una posizione politica unitaria per quanto riguarda le forze regionali.



BERTI Antonio

Non l'abbiamo chiesto noi il dibattito in questa forma: noi abbiamo chiesto semplicemente una discussione.



NESI Nerio

E' vero. Ma sento comunque imbarazzo per una discussione fatta in questo modo, su una questione di grande rilevanza politica. Siamo di fronte ad una legge che abroga venti imposte, che ne istituisce cinque fondamentali, che cambia radicalmente il sistema tributario del nostro Paese, una legge che il Paese deve darsi, per impegni internazionali, per quanto riguarda l'imposta sul valore aggiunto.
Questa materia dovrà avere nel Consiglio regionale del Piemonte una trattazione più seria dell'attuale se vogliamo che i nostri lavori, ed anche i nostri ordini del giorno, le nostre mozioni, abbiano una rilevanza più adeguata a livello nazionale. Però, di fronte alla necessità comprovata di far sentire al Parlamento ed al Governo, che stanno discutendo di queste cose, qual è la volontà politica in ordine ai rapporti fra il progetto di legge e gli organismi regionali, di far capire che non ci può essere accertamento di imposte dirette senza la collaborazione dei Comuni, di far emergere il problema delle Regioni, il Gruppo socialista, pur nell'imbarazzo di votare un ordine del giorno senza alcun dibattito approva questa proposta di mozione.



PRESIDENTE

Qualcun altro chiede di parlare ancora? Il consigliere Garabello: ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Noi ci siamo fatti perfettamente carico della preoccupazione che ha espresso il consigliere Nesi. Riteniamo anche noi che non sarebbe compiutamente espresso il parere del Consiglio regionale del Piemonte se non si approfondisse in un dibattito adeguato un argomento di tale importanza. Peraltro, abbiamo ritenuto fosse opportuna una immediata presa di posizione da parte del Consiglio regionale atteso che notizie di stampa ci hanno reso noto che i Capigruppo della Camera hanno stabilito nell'ordine dei lavori, fra i primi punti, questo argomento; abbiamo ritenuto indispensabile che il Governo ed il Parlamento fossero tempestivamente messi al corrente del fatto che le Regioni vogliono dire la loro, insieme agli Enti locali minori, sul grosso problema della riforma tributaria.
Il collega Raschio, ricordando il recente convegno dell'ANCI, ha fatto presente come i Comuni d'Italia abbiano articolato in maniera assolutamente più profonda, più completa, il loro intervento su questo argomento, che come giustamente ha ricordato il collega Nesi, porta una completa rivoluzione in tutto il sistema fiscale italiano, e, in particolare, per quello che ci sta a cuore, nel sistema fiscale degli enti locali. Quel congresso discusse una relazione molto completa, fra l'altro dell'assessore alle Finanze del Comune di Torino, prof. Vinciguerra, il quale documentò come una approvazione della legge nel testo formulato darebbe, ad esempio, al Comune di Torino, nel giro di due anni, un deficit di quindici miliardi nel prelievo fiscale. Ora, oltre tutto, è stato rilevato anche in quel Convegno come di fatto le Province siano ridotte praticamente al 20 per cento delle loro attuali entrate, come la Regione sia di fatto ignorata.
E' chiaro, quindi, collega Nesi, che siamo perfettamente d'accordo sulla necessità di svolgere un dibattito completo. Ma proprio per le scadenze in sede parlamentare riteniamo indispensabile: innanzitutto affermare che gli Enti locali hanno ragione a prendere posizione, e la Regione ne deve assumere la rappresentanza politica, e in proprio, insieme alle altre Regioni italiane, deve portare il dibattito a livello del Governo e del Parlamento. E pertanto noi richiediamo senz'altro che Governo e Parlamento si pongano come nostri interlocutori per la parte direttamente nostra, ed anche per quanto di rappresentanza politica degli interessi degli Enti locali abbiamo in secondo luogo, attuare una iniziativa, in collegamento con le altre Regioni, al fine di avere una voce unitaria per garantire al Governo ed al Parlamento una interlocuzione valida. Per ora, le Regioni non hanno un organo rappresentativo associativo nazionale, e pertanto è bene che le Regioni che hanno questa sensibilità - penso saranno tutte, comunque senz'altro la nostra è in prima linea sotto questo aspetto - si impegnino ad interpellare gli esponenti delle altre Regioni ed a portare al livello massimo il discorso.
In questo senso, mi pare che ci sia motivo di approvare questa mozione e ci auguriamo e ci impegniamo tutti a far sì che il suo contenuto diventi base di attività nei mesi prossimi.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente! Se si fosse svolta la discussione sulla riforma tributaria avremmo ampiamente illustrato la nostra posizione al riguardo.
Poiché con l'ordine del giorno proposto e con gli accordi precedentemente intervenuti fra i Gruppi si è inteso superare la discussione, ci limitiamo ad annunciare il nostro voto contrario, perché l'ordine del giorno proposto non rispecchia nel merito la nostra posizione; posizione che ci riserviamo di illustrare quando verrà svolto il dibattito.



PRESIDENTE

Non vi è nessun altro iscritto a parlare.
Possiamo quindi procedere alla votazione.
Pongo ai voti la mozione sulla riforma tributaria, che è stata presentata dai consiglieri Garabello, Bianchi, Cardinali, Simonelli, Fassino e Raschio.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata.



RASCHIO Luciano

Vorrei che questa mozione, votata a stragrande maggioranza dal Consiglio Regionale, fosse inviata a tutti i Comuni ed alle Province della nostra Regione.



PRESIDENTE

Se nessun Consigliere muove obiezioni a questa proposta, la intendiamo approvata. L'Ufficio di Presidenza provvederà dunque ad effettuare questa diffusione.



RASCHIO Luciano

La ringrazio.


Argomento: Educazione permanente

Ordine del giorno sul prolungamento del corso di studi in alcune scuole medie superiori


PRESIDENTE

Prima di passare all'ultimo punto dell'ordine del giorno, che riguarda la elezione dei rappresentanti della Regione nel Comitato per il controllo sulle Province, ho ricevuto un ordine del giorno che reca numerosissime firme. Non so se vi abbiano aderito tutti i Gruppi.
Ne dolettura: il Consiglio poi deciderà se porlo in discussione e in votazione, non essendo stato iscritto all'ordine del giorno dei lavori della seduta odierna. Si riferisce a fatti che sono accaduti in questi giorni nelle scuole.
Eccone il testo: "Il Consiglio della Regione Piemonte sensibile alle numerose sollecitazioni provenienti da studenti, professori famiglie in merito ai recenti provvedimenti proposti dal Governo per l'istituzione del quinto anno di corso per gli Istituti Magistrali e i Licei Artistici e del quarto e quinto anno per le Scuole Magistrali, mentre ribadisce il suo totale impegno verso il mondo della scuola, sia sul piano delle realizzazioni, sia su quello della partecipazione rivolge invito al Governo ed al Parlamento affinché considerino: a) che il corso di studi in atto, per i suddetti indirizzi scolastici, è stato scelto dalla maggioranza degli studenti a causa delle loro modeste condizioni economiche b) che gli studenti e le loro famiglie non sono contrari al prolungamento del corso di studi, purché esso abbia il significato, da un lato, di avvio ad un profondo mutamento delle attuali strutture, dei contenuti e della didattica dei suddetti indirizzi in funzione di una maggiore qualificazione professionale, dall'altro di una sollecita attuazione di una politica di diritto allo studio che garantisca a tutti i cittadini di accedere all'istruzione senza subire selezioni determinate da fattori economici e socio-ambientali c) che la riforma globale della Scuola Media Superiore non può più essere ulteriormente procrastinata adottando provvedimenti puramente settoriali non atti a corrispondere alle esigenze di una adeguata maturazione culturale e civile ed a risolvere i problemi dei rapporti tra qualificazione professionale ed occupazione auspica che Governo e Parlamento diano sollecitamente una risposta positiva e chiara a tali urgenti problemi e mettano la Regione in condizione di esplicare al più presto tutte le sue funzioni di questo settore".
Vi è qualche obiezione a che questo ordine del giorno sia messo in discussione o in votazione, non essendo esso iscritto all'ordine del giorno della seduta odierna? Apro allora una eventuale discussione. Vi è qualcuno che lo voglia illustrare o che si iscriva a parlare? Allora, pongo in votazione l'ordine del giorno del quale ho dato test lettura, che è presentato da numerosi Consiglieri, rappresentanti, mi pare tutti i Gruppi.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità.


Argomento: Comitato regionale e sue sezioni

Elezione dei rappresentanti del Consiglio regionale nel Comitato di Controllo sulle Province


PRESIDENTE

Passiamo ora all'ultimo punto all'o.d.g. :"Elezione dei rappresentanti del Consiglio regionale nel Comitato di controllo sulle Province".
Leggo quei passi della Legge 10 febbraio 1953 n. 62 che regolano secondo la norma costituzionale, il controllo della Regione sugli atti delle Province.
All'art. 55 di tale legge è detto: "E' istituito nel capoluogo di ogni Regione un Comitato per il controllo sulle Province. Il Comitato è nominato dal Presidente della Giunta regionale e dura in carica quanto il Consiglio regionale.
Esso è costituito: a) di tre esperti nelle discipline amministrative, iscritti nelle liste elettorali di un Comune della Regione, relative ai cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati, eletti dal Consiglio regionale b) di un membro nominato dal Commissario del Governo c) di un giudice del tribunale amministrativo regionale designato dal Presidente del tribunale stesso".
Vi è poi una norma transitoria che permette alla Magistratura ordinaria di designare questo componente.
"Con la stessa deliberazione vengono nominati quattro membri supplenti nelle persone di due esperti nelle discipline amministrative, iscritti nelle liste elettorali di un Comune della Regione, relative ai cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei Deputati, eletti dal Consiglio Regionale, di un membro supplente nominato dal Commissario del Governo e di altro giudice del tribunale amministrativo designato dal Presidente del tribunale stesso. I supplenti intervengono alle sedute in caso di impedimento dei rispettivi membri effettivi.
Il Presidente è eletto dal Comitato tra i membri di cui alla lettera a)".
(cioè tra quelli designati dal Consiglio regionale).
"Funge da segretario un funzionario della Regione, designato dal Presidente della Giunta regionale.
Per l'elezione degli esperti nelle discipline amministrative ciascun consigliere regionale vota per due membri effettivi e per un membro supplente. Rimangono eletti i tre effettivi e i due supplenti che ottengono il maggior numero di voti.
Per la validità delle deliberazioni del Comitato si richiede l'intervento di almeno quattro commissari. In caso di parità prevale il voto del Presidente".
Sono state preparate delle schede che contengono due righe bianche per l'indicazione dei candidati a membri effettivi in questo comitato su designazione del Consiglio regionale ed una riga bianca per un membro supplente, che dev'essere pure designato dal Consiglio regionale. Ciascun Consigliere voterà quindi per due candidati al posto di membro effettivo ed un candidato al posto di membro supplente. I tre candidati che avranno ottenuto il maggior numero di voti saranno designati membri effettivi dal Comitato di controllo, i due candidati a membro supplente che avranno ottenuto il maggior numero di voti saranno designati membri supplenti designati dal Consiglio regionale nel Comitato di controllo.
Prego la Segreteria di procedere alla distribuzione delle schede.
Effettuerò quindi l'appello nominale dei Consiglieri, che deporranno nell'urna i nomi che avranno designato.



(Si distribuiscono le schede per la votazione. Il Presidente, coadiuvato dai Consiglieri Segretari, procede allo spoglio delle schede)



PRESIDENTE

Proclamo il risultato della votazione per la elezione di tre membri effettivi e di due membri supplenti rappresentanti della Regione nel Comitato di controllo sugli atti delle Province: presenti e votanti 39 voti validi 37 schede bianche 2 Hanno riportato voti: membri effettivi CIRIO Giuseppe 20 COLONNA Arturo 18 VECCHIONE Mario 17 MIRATE Aldo 8 BONZATO Dante 6 MOTTA Achille 3



DAL PIAZ Claudio 2

membri supplenti BACHI Emilio 20 LAZZARI Giuseppe 17 Sono quindi eletti nel Comitato di Controllo sulle Province, quali membri effettivi l'avv. Giuseppe Cirio, l'avv. Arturo Colonna, il dott.
proc. Mario Vecchione e quali membri supplenti l'avv. Emilio Bachi e l'avv.
Giuseppe Lazzari.


Argomento:

Annunzio di una mozione


PRESIDENTE

Prima di chiudere questa seduta, prego un Segretario Consigliere di dar lettura di una proposta di mozione sull'Università, che non verrà posta in discussione questa sera ma della quale a norma di regolamento si deve dare lettura.



ROTTA Cesare, Segretario



PRESIDENTE

Signori Consiglieri! Con questa seduta si conclude la sessione ordinaria del Consiglio regionale, sessione che è stata estremamente importante e densa di contenuto e durante la quale il motivo di maggiore importanza è stata l'approvazione dello Statuto della Regione Piemonte; ma anche le sedute che abbiamo svolto tra ieri ed oggi, successivamente all'approvazione dello Statuto, con l'accoglimento di diverse mozioni e vari ordini del giorno su problemi importanti, fra i quali alcuni di scottante attualità, quale quello della Magnadyne, dimostrano la funzionalità e l'armonia che regnano in questo consesso.


Argomento: Varie

Auguri per le festività di fine anno


PRESIDENTE

Al termine dell'odierna seduta desidero, prima di toglierla, rivolgere a tutti i Consiglieri regionali ed alle loro famiglie i migliori auguri di buon Natale e di buon Capodanno.
La sessione ordinaria, a norma di Statuto, si dovrà svolgere a decorrere dal giorno 19 gennaio. I Consiglieri riceveranno convocazione a domicilio. I Capigruppo prima di quella data verranno invitati a riunirsi per concordare l'ordine dei lavori ed il programma.
Rinnovando i migliori auguri, dichiaro tolta la seduta.



(La seduta ha termine alle ore 21,28)



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