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Dettaglio seduta n.218 del 17/04/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Hanno chiesto congedo i Consiglieri: Carazzoni, Curci, Giovana Minucci, Simonelli, Zanone, Nesi, Rossotto, Vera.


Argomento:

Progetti di legge. Presentazione e assegnazione e Commissione


PRESIDENTE

Presentazione proposte di legge: interventi per lo sviluppo delle zone rurali dei Consiglieri Ferraris, Revelli, Marchesotti, in data 11 aprile.
Assegnata alla VI Commissione.
Disegno di legge regionale: corresponsione al personale che ha assunto servizio presso la Regione Piemonte posteriormente alla data del 22 giugno 1973 di un acconto mensile sul trattamento economico derivante dalla futura legge sull'inquadramento nel ruolo organico della Regione.


Argomento: Sanita': argomenti non sopra specificati

Dibattito sui problemi sanitari


PRESIDENTE

Passiamo al punto quarto dell'o.d.g.: dibattito sui problemi sanitari.
La parola all'Assessore Armella.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Per brevità darò per acquisito quanto è stato oggetto di ampio dibattito in occasione della seduta consiliare dell'estate scorsa, dedicata ai problemi sanitari della nostra regione e vengo invece all'esame di più specifici problemi quali si sono presentati all'attenzione e alle cure della nostra Amministrazione.
In questo periodo si è accentuato ancora il divario tra sanità pubblica ed ospedaliera che già era stato messo in luce la volta scorsa e che rischia di diventare ormai preistorico, con una divaricazione che rende sempre più difficile agli Enti locali, Comuni e Province, di svolgere i loro compiti istituzionali.
Non bisogna dimenticare che in aggiunta a queste difficoltà, che derivano prevalentemente dal numero sempre più cospicuo di medici richiesti dal sistema ospedaliero e dalla differenza delle retribuzioni tra gli ospedalieri e gli igienisti addetti ai servizi comunali, sempre più chiara si è dimostrata l'insufficienza del decreto delegato n. 4, che ha trasferito compiti alle Regioni e altri ne ha delegati, in quanto ha trattenuto nella competenza statale una serie di interventi in materia di igiene pubblica, di tutela dell'ambiente ecc., col risultato che gli ufficiali sanitari - diventati organismi periferici della Regione, dopo essere stati organismi periferici dello Stato - si trovano attualmente in larga parte carenti di indirizzi (e l'attività dei Comuni viene così a limitarsi anche per questo) in quanto si tratta di competenze a cui la Regione provvede in qualche modo, ma che sono in realtà trattenute nella sfera della competenza statale .
E questo che è stato ormai messo in luce nel dibattito avvenuto in molte occasioni, merita di essere sottolineato perché un esame realistico della situazione ci impone necessariamente di provvedere, in qualche modo ad integrare i servizi che i Comuni non riescono a dare.
E' noto come vi siano zone intere della nostra regione (vallate alpine e zone collinari) in cui i Comuni non riescono nemmeno più a trovare i medici condotti: condotte che vanno deserte ai concorsi, sollecitazioni che pervengono ai medici provinciali di provvedere a precettare professionisti per sopperire a necessità minime igienico-sanitarie delle popolazioni e richiesta da parte loro di provvedimenti che, ben sanno, la Regione, se non studiando attentamente la situazione, oggi non riuscirebbe a dare.
Un intervento in questa materia (e ogni proposta in merito può essere valida e deve essere attentamente esaminata) che sopperisse a questa necessità immediata porrebbe certamente la Regione nella possibilità di adempiere ad un dovere che altrimenti finirebbe di non essere adempiuto da parte di nessuno.
Questo è un impegno che la Giunta deve necessariamente prendere, come credo debba prendere il Consiglio.
La Giunta, riesaminato interamente il problema, intende riproporre all'esame del Consiglio la zonizzazione del territorio. Se c'è un'esigenza è quella di non rompere il quadro sanitario parlando di una programmazione limitata agli ospedali e a quello che peraltro è un impegno di legge, sia pure reso possibile quando ci fosse la legge nazionale, ma di vederlo come parte di un tutto che è il piano sanitario; approfondendo questa esigenza la Giunta ritiene che il primo passo sia sempre quello di esaminare il territorio in relazione ai compiti sanitari generali della prevenzione, della diagnostica, della curativa e della riabilitazione. Così facendo e in aggiunta a quelli che sono i compiti propri dei Comuni e delle Province cioè quelli relativi all'igiene pubblica, alla tutela del territorio e alle indagini sulle malattie infettive, lo studio della zonizzazione della nostra regione sarà il primo passo per costituire la base onde addivenire alla programmazione sanitaria.
Se un piano sanitario ha significato, lo ha proprio nella misura in cui si riesce ad individuare le necessità che sono proprio di un programma, in relazione ai compiti da svolgersi e in relazione al territorio, altrimenti il discorso verrebbe ad essere puramente teorico e difficilmente produttivo.
In questo quadro di zonizzazione del territorio bisogna tenere conto dei presidi attualmente esistenti, non solo ospedalieri, ma degli ambulatori, delle mutue e di quant'altro finirà poi di essere acquisito al servizio nazionale non appena la legge di riforma sarà presentata e auguriamoci, approvata dal Parlamento.
Per proseguire nell'esame dei problemi sanitari, pare sia venuto finalmente il momento in cui il Consiglio può prendere cognizione dei lavori già eseguiti per l'organizzazione ospedaliera della nostra regione.
Ritengo sia noto a tutti il lavoro che è stato preparato, articolato in alcune fasi che concettualmente devono intendersi in una logica progressione; anzitutto le relazioni dei singoli gruppi per ogni branca o specialità, si tratta di 51 relazioni che a fine settimana potranno essere presentate al Consiglio prima di iniziare consultazione di operatori sanitari ed Enti locali perché diano il loro apporto di opinioni e possano proseguire ai necessari confronti. Non so se devo rileggere tutto il lungo elenco delle specializzazioni e branche in cui è stato ripartito questo lavoro; lo posso fare non già perché resti a verbale, perché già l'altra volta è stato letto, ma per inquadrare la presentazione dei lavori che a fine settimana intendiamo presentare al Consiglio. Si tratta, come dicevo di 51 relazioni: anatomia e osteologia patologica; anestesia e rianimazione; cardio-chirurgia: cardiologia chirurgia generale; chirurgia pediatrica; chirurgia plastica; chirurgia toracica; chirurgia vascolare angiologia; dermosifilopatia; dietetica; ematologia e immuno-ematologia endocrinologia; fisiopatologia respiratoria; formazione personale paramedico suddiviso in: osservazioni sulla situazione attuale, studio per la ristrutturazione dei corsi, studio delle proposte circa il contributo alla Regione in materia di finanziamenti di scuole e nella verifica delle più opportune modalità di utilizzazione del potenziale attuale del personale; gastroenterologia; genetica; geriatria, grandi ustionati; immuno ematologia servizio trasfusionale; laboratorio analisi; malattie infettive medicina del lavoro; medicina generale; medicina legale; medicina nucleare nefrologia emodialisi; neurochirurgia; neurologia e neuroradiologia neuropsichiatria infantile; oculistica: odontostomatologia odontostomatologia infantile; chirurgia massilo facciale; oncologia organizzazione interna delle unità ospedaliere; ortopedia e traumotologia ostetricia e ginecologia; otorinolaringoiatria; pediatria e servizio neonatale di immaturi; pneumologia e fisiologia; pronto soccorso ospedaliero; psichiatria; radiologia; reumatologia; recupero educazione funzionale; servizio farmaceutico ospedaliero; urologia; virologia servizio assistenza sociale negli ospedali.
Molti avranno rilevato come l'ulteriore specificazione richiami talune delle richieste che cominciano già ad apparire nei nostri ospedali un poco per iniziative delle amministrazioni, un poco anche per l'iniziative degli operatori sanitari che si trovano ad affrontare problemi specifici.
Qual è stato il criterio che ha portato ad espletare questo lavoro? La descrizione per ogni singolo campo e per ogni specialità: 1) i campi di competenza 2) la domanda di utenza 3) i rapporti tra la branca principale e le specialità affini, con particolare riguardo alla così detta patologia di confine 4) le dimensioni minime e massime di ogni unità di cura, compatibili con una buona gestione della branca in esame 5) le attrezzature occorrenti 6) gli organi medici e paramedici utili e indispensabili 7) i servizi necessari per il buon funzionamento della specialità.
E' stato pure possibile, da un'analisi dei dati forniti e sulla base delle diagnosi di dimissione dagli ospedali della regione, stabilire l'indice di domanda per le singole specialità ed i letti occorrenti per soddisfare le richieste.
Si è addivenuti, insomma, all'indagine sulla situazione nosologica del Piemonte in relazione alle dimissioni, non basandosi soltanto sui dati dell'lNAM, ma coordinandoli e confrontandoli con quelli delle dimissioni da parte degli ospedali, stabilendo quanti sono stati coloro che hanno avuto necessità di ricorrere alle cure ospedaliere determinando per ogni singola specialità il fabbisogno effettivo e non puramente teorico della nostra regione; peraltro anche quello teorico noi non l'abbiamo mai avuto con certezza al di fuori delle scarsissime indicazioni che nei decreti ministeriali sono state date in allora, cioè dopo là legge del 1968 e non seguita da ulteriori specificazioni. Si spiega pertanto come questo impegno vuole essere la premessa per non accedere a qualsiasi richiesta che possa venire da parte di iniziative sporadiche, rispondenti a volte a particolari attitudini, o capacità, o dottrine e informazioni che possono derivare dall'uno o dall'altro degli operatori sanitari che svolgono la loro attività nell'ambito ospedaliero, per evitare sprechi e disfunzioni quali derivano spesso dal volere accogliere, a seguito di pressioni, qualsiasi richiesta. Abbiamo notato molto spesso che le richieste si dipingono di politica o trovano nelle forze sociali e sindacali locali, ospedaliere delle possibilità di appoggio.
Nella seconda fase si svolge un'attuazione di sintesi, allo scopo di delineare quale deve essere l'Ospedale di base, ed in quali Presidi debbano essere distribuite le specialità di routine, non necessariamente polverizzabili in tutti gli Ospedali, ma neppure concentrabili solo in alcuni.
Infine si dovrà stabilire quali e quanti debbano essere gli Ospedali dotati di reparti di alta ed altissima specializzazione, che per costose attrezzature e personale altamente qualificato, trovano spazio solo in strutture idonee, collegati con servizi e specialità affini anche a tipo dipartimentale.
In questa fase, una Commissione per l'Organizzazione, in rapporto al variare delle dimensioni e dei caratteri dei vari Ospedali, fornisce le necessarie indicazioni dei limiti minimi e massimi di capacità recettive compatibili con le esigenze di buona funzionalità dei servizi Ospedalieri.
La Commissione Organizzazione sta pure mettendo a punto la gestione dei servizi generali Ospedalieri con particolare riguardo alle indicazioni e limiti della centralizzazione dei servizi di lavanderia e disinfezione di più Ospedali ed eventualmente dei servizi di approvvigionamento di diete ed alimenti preconfezionati i problemi inerenti allo smaltimento dei rifiuti solidi ospedalieri la validità e i limiti del criterio di ricorrere all'appalto per la gestione di determinati servizi generali i problemi organizzativi degli uffici amministrativi: uffici che debbono essere presenti in tutti i Presidi, uffici che possono essere centralizzati per più Presidi Ospedalieri le modalità di registrazione dei ricoveri e possibilità di centralizzare la raccolta dei dati.
Nella terza fase si dovranno confrontare modelli di Ospedali che risulteranno da questi studi, con la realtà. Si scenderà, come si suol dire, sul territorio, per individuare i Presidi presenti che soddisfano i presupposti del piano, gli Ospedali che per la maggior funzionalità dei servizi richiedono la concentrazione e la fusione in un unico Ente; le carenze macroscopiche di servizio.
Allo stato attuale degli studi si possono tuttavia, più che anticipare conclusioni, annotare alcune evidenze, chiaramente emergenti: a) pare impossibile sostenere, per l'economia di gestione e per la completezza dei servizi, la validità di un Ospedale inferiore ai duecento posti letto, che si rivolga quindi ad un bacino di utenza di almeno 50.000 abitanti.
In via transitoria, dovendosi utilizzare tutte le strutture esistenti si dovrà ricorrere all'Istituto della concentrazione e della fusione fra Enti viciniori, che potranno divenire complementari.
b) L'Ospedale di nuova costruzione non dovrà, di regola, superare i 700/800 posti letto. Un macro-ospedale si dimostra parimenti antieconomico ed antifunzionale.
c) L'Ospedale monospecialistico trova la sua validità solo se altamente qualificato e specializzato e funzionalmente collegato con un Ospedale Generale per la complementarità di taluni servizi.
Negli altri casi è preferibile una divisione specializzata in un Ospedale generale.
E qui viene quasi naturale, per inciso, di considerare quanto scarsamente consistenti siano le argomentazioni che vengono da certe amministrazioni ospedaliere felicemente regnanti, quando ad ogni costo si vogliono trasformare dei piccoli ospedali che sono vicini ad altri grandi ospedali unicamente per giustificare una presenza che non può trovare rispondenza in relazione a dei servizi che non possono che essere limitati.
d) Una fascia considerevole di lungodegenti deve essere collocata nell'Ospedale Generale, se pur in una struttura separata polivalente, per usufruire delle prestazioni del personale di diagnosi e cura per acuti.
L'Ospedale per lungodegenti trova la sua validità solo per alcune affezioni e per determinati stadi della malattia e deve essere dotato di centri per il ricupero e la rieducazione funzionale.
e) E' necessario valorizzare la funzione delle branche generali di medicina e chirurgia, lasciando alle divisioni specialistiche soltanto la fascia più affinata e più qualificata della specialità.
Nel corso degli studi sono emerse alcune priorità: Il Pronto Soccorso L'Emodialisi Le Scuole per personale para-medico ed Infermieristico.
Dette priorità sono oggetto di stralcio. Gli elaborati relativi a questi settori sono ormai definitivi ed i servizi pronti ad essere realizzati come anticipo del piano.
Pronto soccorso.
Premesso che il pronto soccorso deve essere comunque un intervento polispecialistico, che deve iniziare al momento dell'evento acuto concretizzarsi con la chiamata ed il trasporto del malato in luogo idoneo e concludersi con la terapia ottimale dell'affezione, è stato stabilito un piano che prevede: a) l'istituzione di un numero telefonico unico di soccorso. La chiamata con un semplice collegamento tecnico viene smistata alla prima unità operativa ospedaliera dipartimentale b) l'istituzione di un adeguato numero di prime unità operative dipartimentali, negli Ospedali che oltre alla Medicina, Chirurgia Ostetricia, Pediatria e Servizi, abbiano anche alcune specialità.
Questi Ospedali, presso i quali parcheggeranno in permanenza autoambulanze idonee, alcune delle quali attrezzate per la rianimazione cureranno il soccorso ed il trasporto del malato, la sua cura immediata e di mantenimento c) l'istituzione di seconda unità di cura polispecialistica dipartimentale, in alcuni attrezzati Ospedali della Regione, dotati di reparti di altissima specializzazione, nei quali saranno trasferiti quei malati abbisognevoli di cure altamente qualificate d) il mantenimento di una unità di pronto soccorso in quegli Ospedali a struttura minima e quindi non rispondenti ai requisiti di cure polispecialistiche citate nella premessa, nei quali è tuttavia necessario ammettere il servizio di Pronto Soccorso per pazienti spontaneamente afferenti e) l'istituzione di una centrale operativa regionale per un coordinamento tra i vari presidi e i mezzi di Pronto Soccorso, specie in caso di grave calamità.
Qui si è previsto che per avere un pronto soccorso effettivamente rispondente la struttura più idonea è quella dipartimentale. E per dare la misura della differenza fra queste due unità di primo e secondo grado (chiamiamole così) vorrei richiamare quello che dovrebbe essere l'organo di questo servizio disponibile 24 ore su 24. Nella prima unità operativa dipartimentale il dipartimento dovrebbe consistere in: un medico internista, un chirurgo, un anestesista rianimatore, un tecnico radiologo un tecnico di laboratorio, assicurandosi peraltro la collaborazione degli specialisti di ostetricia e ginecologia, pediatria, radiologia, laboratorio di analisi, servizio trasfusionale.
Nella seconda invece, per la maggiore specializzazione che comporta questo ulteriore grado di servizio autonomo di pronto soccorso, si dovrebbe avere la presenza continuativa per turno di un aiuto e due assistenti di chirurgia, un medico internista, un estetico ginecologo, un pediatra, un neurologo, due anestesisti rianimatori, un radiologo medico e un tecnico di radiologia, un medico, un servizio trasfusionale ed un tecnico.
Affinché questo non sia un discorso puramente teorico, schematico, si è voluto che l'analisi proseguisse, oltre che per individuare gli ospedali per determinarne i costi e per determinare soprattutto la possibilità di utilizzo del personale attualmente esistente. Abbiamo visto che in un recente convegno fatto a Torino si esprimeva qualche perplessità sul grande pronto soccorso così come era stato, da alcune notizie di stampa presentato, ritenendolo un ulteriore mezzo di aumento vistoso della spesa per gli ospedali.
La spesa, in definitiva, dovrebbe essere la seguente: per le attrezzature 600 milioni che in due esercizi possono gravare nella distribuzione dei fondi che ci provengono a quello scopo dal fondo sanitario nazionale; la spesa di esercizio, cioè la spesa corrente, dovrà aggirarsi sui due miliardi all'anno quando investirà l'intera regione.
Il calcolo fatto ospedale per ospedale, sia per le attrezzature che per quanto riguarda il personale medico e para-medico dimostra che ci sono alcuni ospedali, soprattutto grandi, in grado di provvedere al servizio con un aumento di spesa pressoché minimo e che va dallo zero per cento per il San Giovanni, al meno dell'uno per cento per Pinerolo, Biella, Novara dall'1,25 all'1,96 % per il Mauriziano, Maria Vittoria, per Alessandria Cuneo, Ivrea; dal 2,01 % al 2,92 % per Vercelli, per il Martini di Torino per Asti, Casale, per poi cominciare con un maggiore aumento del 4, 5, 6 7, 8 %, nell'ordine per Moncalieri, Verbania, Savigliano, Borgomanero Novi, Rivoli, Alba, Mondovì fino ad un costo maggiore per Chivasso, Acqui Ciriè. Ma è chiarissimo che un servizio di questo genere dovrebbe cominciare a funzionare immediatamente negli ospedali dove i costi sono ormai assorbiti dal personale già esistente, dove le attrezzature sono di notevole impegno ed il numero dei sanitari consente i turni necessari senza aggiunta di altro personale, per poi progressivamente trovare le adeguate strutture anche in altre zone della periferia dove effettivamente il discorso va ulteriormente e approfondito e i costi devono essere, nei limiti del possibile, contenuti, pur tenendo conto che ci sono delle situazioni di fatto che non consentono di non fare servizio in nessun modo per un'esigenza di economicità, sarebbe una cosa del tutto incomprensibile e tenuto altresì conto che la media generale di aumento della retta per un servizio di questo genere, anche attuato immediatamente, sarebbe dell'ordine del 2,65 % sulla retta del '73 che corrisponde a 454 lire al giorno; se si considera che oggi sulla retta degli ospedali incide per non meno di 1.500 lire l'onere degli interessi passivi per anticipazione di cassa, per la nota situazione finanziaria, si può capire come i soldi si possono sprecare anche senza un risultato valido, lasciando indietro invece l'espletamento di necessità essenziali.
Per inciso, se può interessare il livello a cui sono pervenute le rette, motivo sempre di stupefazione da parte di molti che poco conoscono il meccanismo che ha portato a questa situazione, dirò che le rette della nostra regione, deliberate per quanto riguarda Torino dalle 20.000 alle 31.000 lire, sono state in parte approvate dal Comitato di controllo con una riduzione minima evidentemente perché il calcolo della retta, anche dopo l'adozione del bilancio unificato da parte della Regione, corrisponde al costo effettivo. Si tratta di una retta deliberata in L. 26.000 dal San Giovanni, L. 31.000 dal C.T.O. e 31.000 dal Regina Margherita per poi scendere a rette inferiori che si aggirano mediamente sulle 20.000 lire per gli ospedali provinciali.
Vi sono poi alcune cifre inferiori, ma sono per ospedali che non hanno tutti i servizi o per lo meno che non li esplicano nello stesso modo.
Le ambulanze attrezzate per la rianimazione potranno essere consegnate a giorni nella misura di venti e potranno essere assegnate ai singoli ospedali in proprietà, salvo le convenzioni con le pubbliche assistenze per la loro gestione in modo migliore.
Per le scuole infermieristiche para-mediche sono state istituite quattro Commissioni: per l'osservazione sulla situazione attuale del personale paramedico e della scuola di formazione attuale del personale paramedico e della scuola di formazione di riferimento all'attuale fabbisogno (1^ sottocommissione); studio per la ristrutturazione dei corsi di studio per personale paramedico nell'attuale legislazione e nella prospettiva della riforma. Studio per il coordinamento delle nuove iniziative (2^ sottocommissione); studio delle proposte circa il contributo della Regione in materia di funzionamento delle scuole; istituzione nuove scuole, borse di studio, facilitazioni per il personale ospedaliero di accedere ai corsi, ecc.; uniformità delle regolamentazioni delle scuole (3 sottocommissione); verifica delle più opportune modalità di utilizzazione del potenziale di infermieri generici e delle strutture attualmente in funzione, in attesa delle nuove concezioni sulla formazione del personale paramedico (4^ sottocommissione).
Nelle more di un'organica strutturazione delle scuole paramodiche ed infermieristiche è stato elaborato uno schema di legge che contiene norme per le scuole ed i corsi relativi alle professioni sanitarie ausiliarie e alle arti ausiliarie delle professioni sanitarie.
E' il primo passo per adempiere al compito della Regione di promuovere coordinare e disciplinare l'istituzione di scuole, ivi compresi i corsi di specializzazione e perfezionamento, per la formazione professionale diretta allo svolgimento di professioni sanitarie ausiliarie ed arti ausiliarie delle professioni sanitarie valutando le esigenze regionali e le indicazioni emergenti dai piani di programmazione.
Noi abbiamo ormai una situazione precisa delle scuole già esistenti cominciando dalle specializzazioni più elevate (me ne risparmio la lettura essendo a disposizione, l'elenco) in relazione all'attuale organico del personale, ai posti ancora da coprire, al fabbisogno presumibile del prossimo triennio con quel calcolo di approssimazione che queste cose consentono di fare. Si riteneva a prima vista che certi settori fossero ormai saturi, invece la situazione non risponde esattamente alla realtà per gli infermieri generici gli organici sono ancora da riempire e il fabbisogno è dell'ordine di circa il 50 %; forte richiesta di puericultrici, di infermieri professionali, di vigilatrici di infanzia, di ostetriche, soprattutto di caposala, di tecnici di radiologia, di tecnici di laboratorio, di fisiochinesiterapisti, di dietiste, di capo tecnici di radiologia, di infermieri specializzati in strumentiste pediatriche, in anestesia e rianimazione. Questo per dire delle specializzazione di cui vi è maggiore richiesta ma che comunque, abbiamo indicato numericamente, anche qui con documenti a disposizione del Consiglio.
Emodialisi.
Il quadro riassuntivo della situazione emodialitica nella sola Regione Piemonte è attualmente di 252 uremici trattati, cifra che corrisponde al solo fabbisogno di un anno, e sottolinea un evidente deficit.
L'incremento annuo corrisponde infatti circa a 50 casi da trattarsi anno/ milioni di abitanti con riduzione del tasso di mortalità del 10 %.
Occorre provvedere pertanto alle richieste di ulteriori 219 pazienti che si aggiungono a quelli già in trattamento, carico molto rilevante che ha imposto di prospettare una programmazione per far fronte alla richiesta dei prossimi tre anni. Bisogna tenere presente che lo sviluppo della capacità di ricezione deve tenere conto: 1) dell'entrata in funzione di Centri per la quasi totalità già programmati.
2) Progressivo sfruttamento delle attrezzature.
3) Aumento a valori ottimali (10-12 posti rene) di un certo numero di Centri Ospedalieri (già in funzione con un numero minore di reni), pregando i colleghi di non avvalorare mai le richieste dell'ospedale che ha in dono il rene del magnifico donatore locale perché con un rene solo il servizio non si può espletare.
Date le premesse si dovrà quindi provvedere per ogni anno a quanto segue: Entro settembre 1974 Apertura di 6 nuovi Centri di dialisi già in fase di studio o di realizzazione da parte delle Amministrazioni Ospedaliere. In Torino e cintura sono in allestimento i centri del Mauriziano, di Rivoli, di Chieri per la realizzazione dei quali è necessaria l'entrata in attività entro l'anno 1974 poiché la progressiva utilizzazione di doppi turni non è possibile che prima di 6-9 mesi dall'effettivo funzionamento.
Gli altri Centri in allestimento si trovano ad Asti ed a Novara ed uno a Torino (Nuova Astanteria Martini, dall'1.10.1974).
Dotazioni supplementari a Centri già esistenti previste sia in Torino e Provincia che nelle altre Province del Piemonte.
Utilizzazione intensiva delle attrezzature di 7 Centri con doppi turni per il 70 %, dei posti rene. In 2 Centri Ambulatorio di C.so Vittorio di Torino e Ospedale Santa Croce di Cuneo, tale utilizzazione è già stata programmata, negli altri 5, (Cuneo - Ceva - Borgomanero - Vercelli Alessandria), pur presentando strutturalmente le caratteristiche idonee nulla è ancora stato previsto.
Entro luglio 1975 Apertura di 4 nuovi Centri di Dialisi in Torino e Provincia (S.
Giovanni - Chivasso Novi o Acqui - Borgosesia).
Dotazione supplementare a Centri già esistenti (Ospedale S. Andrea di Vercelli).
Utilizzazione intensiva delle attrezzature di 6 Centri (Nuova Astanteria Martini - Mauriziano - Rivarolo - Casale - Asti Borgomanero).
Entro luglio 1976 Apertura di 3 nuovi Centri Dialisi di cui 2 nella Provincia di Torino (Maria Vittoria - Ivrea) ed 1 nella Provincia di Alessandria (Acqui o Novi).
Dotazione supplementare a Centri già esistenti.
Utilizzazione intensiva della domanda di 8 Centri già esistenti (Castellamonte - Chieri - Ciriè - Chivasso - Rivoli - Cuneo - Ceva Novara).
La serie di provvedimenti elencati se attuati sistematicamente permetterà di far passare la Regione Piemonte dall'attuale situazione di deficit di assistenza dialitica in senso assoluto al pieno trattamento.
A questo punto si innesta il discorso sulla dialisi a domicilio. Il trattamento di dialisi a domicilio è già iniziato dalla divisione di nefrologia e dialisi dell'Ospedale Molinette di Torino . Nel corso del 1974 questa attività dovrà essere affidata ad altro centro che si è indicato nella nuova Astanteria Martini. E' chiaro che un'attività di questo genere che è estremamente impegnativa, impone un'attenta opera al fine di evitare che si risolva in deficienze funzionali estremamente pericolose stante la delicatezza degli interventi. Si tratta non solo di fornire l'apparecchiatura a domicilio del paziente, ma di dare i dovuti insegnamenti al paziente stesso o ad un suo partner, familiare, amico personale da lui scelto, che consenta l'utilizzazione del rene a domicilio.
Questi primi esperimenti che si vanno facendo, impongono una regolamentazione anche perché la sua estensione scaricherebbe di un onere notevole un servizio che, anche dal punto di vista psicologico, è molto pesante.
A monte comunque della programmazione dialitica si sottolinea l'indispensabile necessità di istituire un rapido sviluppo del trapianto renale in quanto solo l'applicazione delle due modalità di sostituzione del rene permette di risolvere a lunga scadenza il problema del trattamento dell'uremico cronico. L'inizio effettivo dell'attività dovrebbe avvenire entro il luglio 1974.
I due provvedimenti che la Giunta si è presa l'impegno di portare alla valutazione del Consiglio, riguardano attività propriamente di assistenza sanitaria: il primo è una doverosa riparazione a una deficienza di legge che ha colpito particolarmente la nostra regione per alcuni episodi che hanno commosso l'opinione pubblica, relativa ai tumori professionali contratti nell'espletamento del lavoro e riconosciuti dopo molti anni di servizio, quando sono ormai resi evidenti da una patologia che è esplosa nei lavoratori. Il caso di Ciriè insegna, il riconoscimento è avvenuto dopo dieci anni, cioè al termine di prescrizione scaduto da parte dell'INAIL e quindi con l'impossibilità di riconoscimento della rendita.
La Giunta ritiene che con un provvedimento di legge da adottarsi dal Consiglio, l'onere del risarcimento (se così si può chiamare) debba essere addossato alla Regione in quanto una iniziativa del Parlamento potrebbe giungere troppo tardi e non consentire a taluni che hanno contratto questa terribile malattia di essere risarciti o quanto meno di sovvenire alle loro necessità più immediate.
Il secondo riguarda gli infortunati agricoli, o meglio i lavoratori autonomi che hanno un trattamento diverso a seconda della categoria a cui appartengono; per costoro non c'è l'indennità giornaliera, mentre qualora si tratti di infortuni avvenuti nel corso dell'esercizio della propria attività lavorativa gli altri questa assistenza l'hanno. In definitiva si tratta di non distinguere più, come attualmente la legge fa, tra infortunio industriale, causato da agente inanimato come dicono le leggi e infortunio occorso nell'esercizio dell'attività lavorativa ma non tipico della attività industriale.
Questi due provvedimenti potranno essere presentati nella loro definitiva stesura al Consiglio e quindi all'esame della competente Commissione.
La Giunta prosegue nell'applicazione della delibera assunta dal Consiglio in materia di igiene del lavoro. I recenti incontri con i sindacati credo siano stati sufficienti a dissolvere alcune nubi che si erano presentate nell'applicazione di questa delibera; riteniamo che in effetti ci debba essere un ordine logico in questa attività che è quello indicato nella delibera votata dal Consiglio e presa con accordo generale delle forze politiche oltre che con preventiva consultazione e accordo con i sindacati.
Per operare in questo campo si è detto che ci deve essere un Comitato regionale il quale determini i criteri in cui l'attività può essere svolta.
Se non si provvede a fare funzionare il Comitato è chiarissimo che la diversità di vedute può sorgere in qualsiasi momento; la scelte dei Comuni dove le prime unità devono essere insediate non può essere fatta se non attraverso una valutazione di questo Comitato essendo impensabile che possano sorgere contemporaneamente in ogni parte del territorio e soprattutto che possano sorgere senza un criterio programmatoria.
Il numero delle richieste venute dai Comuni, è certamente superiore a quelle che sono state le prime indicazioni sorte dalla discussione della IV Commissione consiliare, ma ad evitare doppioni o unità che sarebbero troppo vicine una all'altra c'è la possibilità di utilizzare dei mezzi mobili per arrivare rapidamente in ogni punto del territorio, ma soprattutto in aderenza a quella che è l'intensità della popolazione industriale che è diversa, a seconda della distribuzione sul territorio; così facendo io penso che non sarebbe lontano dal vero dire che per il 70 % le richieste non possano non corrispondere a quelle che sono le indicazioni che sono state già preventivate e che nessuno può avere in animo di procrastinare.
Un programma non può essere fatto se non tenendo conto della realtà vera, cioè della diffusione del lavoro industriale, delle manifatture dello stato di pericolo, di nocività, senza escludere i casi eccezionali che indubbiamente devono essere tenuti presenti. Penso quindi che questa attività possa proseguire con produttività e con celerità, coprendo eventuali ritardi che anche nella fornitura delle attrezzature possono essere avvenuti.
Allo studio abbiamo alcuni impegni: in primo luogo un centro regionale per la medicina prenatale. Questa richiesta è un'esigenza vivissima che sorge dalla constatazione che abbiamo ancora una percentuale di mortalità prenatale molto alta, anche se nel nord è più bassa al sud, impone comunque di provvedere con un criterio molto razionale e direi molto scientifico. Si tratta dell'istituzione di un'anagrafe sanitaria preventiva dei neonati con cui acquisire, oltre le notizie anamnesiche sulla famiglia, sulla gravidanza, sul parto e sul periodo prenatale, anche le notizie e i dati derivanti dalle analisi ematiche urinarie in merito all'indagine di metabolismi genetici e di provvedere, attraverso un esame del sangue fatto a tutti i neonati del Piemonte al momento della loro nascita, ad intervenire sulla patologia che può verificarsi appunto in questi casi e non limitarsi ad alcune iniziative, che pure sono state egregiamente e lodevolmente presentate da singole associazioni e che hanno rappresentato una spinta notevole per la diffusione che hanno avuto nell'opinione pubblica, ma che hanno visto un po' settorialmente il problema. La Regione deve affrontarle da un punto di vista generale.
Sono in corso trattative per accordi che dovrebbero concludersi in questi giorni e sarà nostra cura e premura presentarli al Consiglio già in termini operativi, senza ulteriori attese. Il pericolo della diffusione di malattie infettive, sempre incombenti in un paese che ha problemi di inquinamenti (l'ultimo caso è quello dell'epatite virale di Cuneo dove duecento casi si sono verificati ed estesi nell'ambiente scolastico e anche se non è una malattia grave porta una serie di preoccupazioni a tutto l'ambiente igienico sanitario ed anche ai nostri amministratori locali) impone che noi, in anticipo su una proposta di legge dello Stato che non so se sia stata presentata, ma temo di no, costituiamo degli osservatori epidemiologici nel Piemonte, cominciando dal capoluogo e non dimenticando i capoluoghi delle singole province, utilizzando e valorizzando, come dicevo all'inizio, in un'attività di prevenzione, quei laboratori che sono attualmente a disposizione delle province e che svolgono già una attività notevole ma che non è ancora sufficiente a sopperire alle necessità.
Lasciamo per ultima, non perché di minore importanza, ma perché è un impegno la cui trattazione è ancora in corso, la medicina scolastica a cui vogliamo estendere gli interventi avvenuti con l'istituzione degli ambulatori, la medicina scolastica nei centri inferiori a 25.000 abitanti potenziando invece e contribuendo all'attività che svolgono a più grandi Comuni soprattutto quelli che per un grande numero di immigrati si sono trovati a sopperire alle necessità maggiori.
Con questa introduzione, come i colleghi avranno rilevato, non si è voluto fare il quadro generale della necessità sanitaria e di tutti i problemi sanitari della nostra regione, soprattutto, senza scivolarci sopra, non ci si è attardati sui problemi di ordine generale che però sono i più importanti e da affrontarsi con la riforma, ma impegnati come siamo e nella nostra responsabilità di operare anche in questo periodo transitorio abbiamo invece voluto presentare un quadro della nostra attività operativa che dia rispondenza a quella che è una volontà di operare attivamente affinché le aspettative della nostra popolazione non siano eluse dall'amministrazione della Regione.



PRESIDENTE

Sull'introduzione dell'Assessore Armella apro il dibattito.
La parola al Consigliere Berti.



BERTI Antonio

L'introduzione dell'Assessore credo non colga quegli aspetti che hanno determinato la nostra richiesta di un dibattito in Consiglio Regionale per la verifica della politica sanitaria perseguita dalla Regione Piemonte e per la verifica operativa su cui la Commissione e il Consiglio sono impegnati. L'Assessore ci ha tracciato un quadro di impegni che meriterebbero di essere esaminati uno per uno; anche alla luce dei documenti disponibili risulta abbastanza difficile esprimere un parere sulle questioni che sono state poste alla nostra attenzione, anche se di alcune di queste si è già parlato, perché gli impegni che sono stati qui indicati sono quanto meno scollegati tra di loro e non ricondotti per la gestione ad organismi che dovrebbero sorgere a livello territoriale e a livello di gestione democratica con le unità locali dei servizi e con le unità sanitarie locali.
E' ben vero che si parla nei primi impegni delle circoscrizioni sanitarie, ma non si capisce bene se hanno un aspetto prioritario e se i veri interventi di carattere settoriale si riconducono per la gestione agli organismi che a livello territoriale dovrebbero essere costituiti; pu darsi che sia implicito, ma rientra nelle questioni che dobbiamo esaminare.
Credo tuttavia che il dibattito non possa non tenere conto dei motivi che lo hanno determinato. Nel dibattito svolto in occasione del programma della Giunta di centro sinistra, noi abbiamo ripreso questioni che già in altre occasioni avevamo dibattuto; lo stesso Assessore si è rifatto al dibattito del maggio '73 in cui vennero espresse le rispettive posizioni.
I dibatti non sono inutili, servono sempre, a condizione che siano fatti all'insegna della chiarezza, della lealtà e che soprattutto approdino a soluzioni concrete, altrimenti rischiamo di essere esercitazioni di oratori, o sfoggio di conoscenze più o meno vaste di vari argomenti, che in ultima analisi non incidono nella realtà e quindi non hanno grande importanza, soprattutto quando si risolvono in un confronto tra le due maggiori forze politiche esistenti in questo Consiglio Regionale (come è avvenuto stamattina con i Comitati di controllo). Il confronto noi lo vogliamo fra tutte le forze politiche affinché ognuna intervenga col bagaglio delle proprie esperienze politiche e pratiche.
Devo dire che la situazione dal punto di vista dei rapporti politici del confronto delle idee si è resa piuttosto difficile; io credo che in nessuna Commissione di lavoro come nella IV la possibilità di operare sia diventata così difficile, così tesa (è stato rilevato del resto anche dai vari membri della Commissione) perché più che a uno scontro di caratteri tra alcuni membri della Commissione si arriva ad un vero e proprio scontro di impostazioni che per sfortuna non possono mai avere un riferimento a documenti programmatici che la Regione avrebbe dovuto presentare e che a tutt'oggi non ha presentato; vi sono solo stati alcuni dibattiti che si sono conclusi per lo più con degli ordini del giorno che affrontavano aspetti settoriali, ma questo è valido per ogni settore di intervento della Regione, soprattutto per alcuni che hanno carattere trainante, come l'urbanistica, come la sanità. Quindi, quando si vogliono affrontare aspetti settoriali, il potersi riferire ad un quadro più vasto, generale credo costituisca un modo di operare veramente valido. Dobbiamo concludere perciò che a questo punto dell'attività della Regione, un quadro di riferimento (al quale, volenti o nolenti non si può sfuggire) in materia di politica sanitaria la Regione Piemonte non l'ha.
I pochi aspetti settoriali che in questa materia sono alla attenzione del Consiglio, ogni volta vengono affrontati dalle singole forze politiche all'insegna di un proprio quadro di riferimento e quando questo è sostanzialmente diverso, lo scontro è inevitabile e rende più difficile la situazione e la ricerca di quel punto di approdo a cui in questo Consiglio Regionale credo abbiamo comunque sempre teso tutti per vedere quale azione unitaria può essere assunta, dal Consiglio Regionale.
E non si dica che non ci sono state delle sollecitazioni in questo senso. Credo che il punto essenziale su cui non si è ancora fatto chiarezza in questo Consiglio, (anche se di queste questioni io ho più volte parlato) sia il punto di approdo a cui sono pervenute le Regioni nel complesso, le assemblee di operatori sanitari , la moderna medicina. Il problema oggi è ancora quello di intervenire in un sistema sanitario che presenta guasti pressoché irreparabili, riconosciuti da tutti, le cui conseguenze si pagano sempre più drammaticamente tutti i giorni; occorre intervenire con delle misure di riforme, al cui centro sia posta la necessità di interventi capaci di andare a monte della malattia e quindi costruire o tendere alla costruzione di un sistema che produca questi risultati: cura il recupero.
Se il problema è questo, come da anni si dice, è chiaro che allora tutte le misure di carattere parziale, in un contesto operativo reso difficile da carenze legislative o da leggi in atto pure carenti, come più volte abbiamo dovuto ammettere in questo Consiglio e fuori, in un contesto difficile vuoi per la drammaticità della situazione che gli ospedali presentano dal punto di vista del funzionamento e della capacità di accogliere le domande delle popolazioni, vuoi per la mancanza di strumenti che gli istituti dovrebbero avere e non hanno (giuste le critiche ai limiti del decreto delegato in riferimento alla mancanza di una riforma sanitaria ecc.) noi continuiamo ad affermare che non possono che essere in direzione della riforma, della formazione del servizio sanitario nazionale, alla base del quale stanno questi tre elementi fondamentali. Lo scontro di fondo è avvenuto sino ad oggi perché il tipo di intervento è, salvo indicazioni verbali o interventi sporadici, sostanzialmente teso verso una delle strutture, quella ospedaliera, che presenta gravi carenze, elementi di drammaticità ma che ha bisogno di essere risolta in un certo modo e non pu che andare nella direzione del servizio sanitario nazionale che colloca l'ospedale in misura preminente, ma non al centro della riforma.
Ho voluto sintetizzare il contrasto che in questo Consiglio Regionale abbiamo esposto varie volte, in termini anche più compiuti e per quanto ci è consentito dalla nostra personale o generale capacità di intervenire su queste questioni. La domanda quindi che ci poniamo ogni qualvolta affrontiamo l'attività del Consiglio Regionale è questa: le iniziative che assume la Giunta (quelle che siamo in grado di conoscere) hanno questo obiettivo, o rispondono invece sempre alla logica di un rafforzamento di fatto dell'istituto ospedaliero, anche se oggi occorre intervenire negli ospedali colpiti drammaticamente dalla situazione finanziaria e non soltanto da questa? Sono elementi di carattere complesso su cui occorre avere la massima chiarezza, ma credo che chiarezza ci sia stata. Signor Presidente, nella seduta del 17.9.1970, tre mesi dopo l'insediamento della Regione non considerando le ferie di agosto, il sottoscritto a nome del Gruppo comunista presentava una mozione sul problema degli ospedali. Parto da lontano per dire come c'è stata sollecitudine da parte nostra nell'affrontare la questione della assistenza sanitaria ospedaliera partendo dalla crisi degli ospedali già allora colpiti da una situazione finanziaria molto grave in occasione del decretone, con stanziamenti governativi che colmavano il deficit delle mutue. Allora non erano molti in disaccordo, intervennero Oberto, Simonelli, Rotta (rappresentante dei liberali); potrei fare la sintesi dei vari interventi e risulterebbe che nessuno contestò l'indirizzo che ho esposto adesso e che esposi allora credo anche con maggiore ricchezza di particolari, fresco dell'esperienza del Comitato regionale della programmazione ospedaliera di cui facevo parte con l'avv. Oberto.
Oberto intervenendo disse: "Mi vorrà dare atto che non vi è stata una sola riunione" (si difendeva in un certo senso da una accusa molto benevola che anche nel Comitato della programmazione ospedaliera, in riferimento alla situazione degli ospedali, gli veniva fatta) "in cui non si sia sentita la voce del Presidente (e non solo, quella) sostenere che noi dovevamo essere impegnati nella soluzione di questi problemi non solamente dal punto di vista ospedaliero, che è una delle componenti del più importante e vasto problema dell'assistenza sanitaria, ma proprio per l'adempimento del precetto costituzionale che prevede come onere dello Stato quello della tutela della salute e quindi un adempimento costituzionale che non si svolge soltanto nell'ospedale, anzi, vorrei dire che li siamo in fase di restauro e di riparazione, la tutela della salute ha degli inizi a monte dell'ospedale e l'ospedale è un punto terminale che si dovrebbe, per quanto è possibile, cercare di evitare. Quindi c'è l'assistenza preventiva che e il grosso nucleo della riforma sanitaria in aggiunta a quello dell'assistenza di ricoveri quando la prevenzione non sia sufficiente".
Ci sono altre cose, ma mi interessava mettere in evidenza che il 17.9.70, nel primo dibattito svolto su nostra mozione, l'orientamento prevalente esposto in termini di larghissima massima ma inequivocabili dalla Regione, in materia di politica sanitaria, non poteva che essere quello di procedere con un intervento che pur non dimenticando la situazione degli ospedali, tuttavia era rivolta a taluni settori essenzialmente a quello della prevenzione.
In questo senso dovettero esprimersi anche gli altri gruppi che intervennero nel dibattito.
Noi in quell'occasione ponemmo alcune altre questioni e le riponiamo oggi perché credo che la verifica della nostra politica sanitaria vada fatta in riferimento a questioni di carattere generale, di carattere metodologico, di contenuti, queste sono le tre verifiche che dobbiamo fare.
Gli aspetti generali sono ancora oggi drammaticamente posti dalla crisi degli ospedali che ancora ieri abbiamo letto, non sono più in condizioni di operare perché le mutue non pagano e neanche quella tranche di 465 miliardi pare essere sufficiente, quindi occorrono interventi urgenti ma che non riproducano le stesse condizioni, occorre cioè la riforma sanitaria.
Credo che nessuno qui osi ancora difendere la politica del governo il quale, dopo tutte le promesse che sono state fatte, gli impegni e le varie edizioni di riforma preannunciate da varie parti, non ha ancora fatto conoscere le proprie intenzioni, anche se recentemente ha dichiarato che nel mese di luglio ci sarà la proposta di riforma, ma con il 90 % delle probabilità nel mese di luglio ci sarà una crisi di governo, ma è una questione che vedremo. Il governo non ha ancora esplicitamente detto cosa pensa in tema di riforma sanitaria, affinché la eventuale copertura dei deficit, magari fatta direttamente agli ospedali, si inserisca in un contesto definito dalle linee di una riforma esposte al Parlamento, alla collettività. Questo è il contesto generale in cui a una situazione di grave crisi degli ospedali, non corrispondono atti concreti in relazione al settore fondamentale di intervento, che è quello della prevenzione. Credo che qui occorra assumere delle responsabilità politiche e queste non possono che fare carico alle forze politiche di governo le quali non riescono, per dei motivi abbastanza chiari, a definire una linea di intervento in questo settore.
Da questo dibattito uscirà una posizione di dura critica al governo e la richiesta presente della Regione Piemonte perché la situazioni degli ospedali sia sdrammatizzata? Questa è una richiesta sul piano generale immediata, contingente. Noi possiamo anche intervenire per ristrutturare alcuni ospedali, per potenziarne altri, ma l'importante è intervenire in un quadro in cui appaiano chiari i rapporti tra gli interventi esterni all'ospedale per la prevenzione, l'ospedale stesso e gli organi di gestione territoriale, che sono le unità sanitarie locali.
Questo è uno dei compiti che la Regione può benissimo svolgere dal punto di vista generale; da quello metodologico invece, come ho detto prima, siamo in una condizione imbarazzante all'interno della Commissione per quella che io una volta ho definito incompatibilità politica con l'Assessore preposto a questa attività. E' una sfiducia che nasce da tutta una serie di impegni non mantenuti, da atteggiamenti contradditori.
Qualcuno si aspettava da questo dibattito uno scontro con l'Assessore Armella, niente affatto, è un discorso con la Giunta Regionale, con la maggioranza che risponde di questa politica. Che ci sia personalizzata questa attività nella figura dell'Assessore Armella non dipende da noi egli è riuscito a scontrarsi con molti, nella precedente seduta il Presidente del Consiglio ha letto una lettera proveniente dall'ospedale Bertagnetta in cui si accusa l'Assessore addirittura di omissione di atti si minacciano denunce, ecc. Lasciamo ai dirigenti dell'ospedale Bertagnetta la responsabilità di procedere, se lo ritengono necessario; dirò anche che io non sposo mai tutte le posizioni degli ospedali, certe volte i consigli di amministrazione degli ospedali reagiscono (qualcuno ha detto di no) a piani di espansione, ma voglio essere obiettivo, non lo sposo.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Se le avesse sposate ci vorrebbe il divorzio, è l'unica cosa.



BERTI Antonio

Io mi limito a dire che quella lettera è molto esplicita e che abbiamo voluto prendere atto che nel primo incontro con la Giunta il comitato dei sindacati ha fatto emergere uno stato di incompatibilità, di disagio e di impossibilità di rapporti con l'Assessore. Ma io voglio prendere essenzialmente in esame i nostri rapporti all'interno del Consiglio Regionale e della Commissione.
Dico subito che non nego anzi, riconosco il diritto del cittadino Armella, dell'uomo politico Armella di avere le idee che meglio rispondono alla sua concezione politica e specifica in materia, è un suo diritto inalienabile, nessuno glielo vuol togliere, libero l'Assessore Armella di coltivare, di perseguire delle concezioni che oggi, se non sono in antitesi, non sono certamente in linea con i tempi. Ma è certo che quando il Consiglio provinciale di Alessandria discute per il superamento della concezione manicomiale e all'unanimità si raggiunge un accordo affinch anche la Provincia di Alessandria si adegui all'orientamento che ha già trovato corso nella Provincia di Torino, c'è un solo oppositore, e anche autorevole, ed è l'Assessore Armella. Liberissimo l'Assessore Armella di collocarsi a livello delle concezioni che più gli aggradano, ma la cosa ci preoccupa quando...



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

E' tutto un sentito dire!



BERTI Antonio

No no, ci sono i verbali.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Io li cercavo.



BERTI Antonio

Ed io li ho.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Nasce il problema se il CO.RE.CO. deve fornire i verbali oppure no! !



BERTI Antonio

Ma noi non andiamo al CO.RE.CO. abbiamo dei nostri Consiglieri, è molto più facile.
Liberissimo quindi di perseguire le idee che vuole, siamo fortemente preoccupati però quando chi persegue queste concezioni di politica sanitaria è alla testa dell'Assessorato alla Sanità della. Regione Piemonte la quale invece, per propria natura, in quanto ente più giovane, non pu non allinearsi con le posizioni più avanzate, non può non raccogliere quanto di meglio offre oggi il dibattito e i pronunciamenti delle forze che si misurano continuamente su questa e su altre questioni. Svolgiamo delle attività sperimentali, poniamoci al livello di avanguardia, ho detto più volte che possiamo sbagliare e noi non ci dorremo di questo, l'importante è di misurarci con le questioni più avanzate e noi siamo convinti che il modo di operare, la concezione della politica sanitaria perseguita dalla Giunta Regionale piemontese non in linea con i tempi, si colloca ad un livello che, per quanto ci è stato detto; è essenzialmente teso nemmeno alla ristrutturazione, che a mio giudizio è ancora un'altra cosa, ma alla razionalizzazione.
Abbiamo più volte parlato delle fantomatiche Commissioni di esperti. Io giudico in generale gli esperti da quello che scrivono e che mi consentono di leggere. Io non so chi sono questi esperti, non so che cosa hanno prodotto, il giorno in cui sarò nelle condizioni di stabilirlo probabilmente potrò dare un giudizio migliore, ma non posso non rilevare da atti precedenti e da quanto è stato espresso oggi che quanto ci ha esposto l'Assessore Armella è anche il frutto dei suoi consulenti (50 relazioni a cui hanno lavorato 70 esperti) è una concezione che non coglie le finalità del servizio sanitario nazionale, perché colloca essenzialmente il problema dell'ospedale come elemento fondamentale della riforma sanitaria.
Noi questo non lo vediamo e credo che debba essere detto esplicitamente. Ma quando tutte le questioni fossero quelle di un confronto di impostazione, noi preferiremmo che ciò avvenisse in Consiglio Regionale mentre abbiamo dovuto minacciare di chiedere una riunione straordinaria per sapere le cose che ci ha detto adesso l'Assessore; noi preferiremmo che fosse un metodo di lavoro naturale, continuo, permanente (l'ho detto mille volte) non facciamo scandalo se su una linea siamo battuti, è il così detto gioco democratico, ma per me il gioco democratico è anche quello che permette a delle nullità di assumere dei posti di direzione, (nessun riferimento all'Assessore Armella, è uno sguardo in generale).



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Scusi, ma per lo più uno parla di se stesso!!



BERTI Antonio

Appunto, appunto, nessun riferimento, era una considerazione generale sulla Regione Piemonte e su altre Regioni, ma il gioco democratico è anche quello di andare ad un confronto da cui una parte esce battuta. Quello che offende, quello che rende meno serio il lavoro del nostro Consiglio Regionale è proprio il metodo.
Noi abbiamo presentato una proposta di legge di salvaguardia in attesa del piano ospedaliero, già adottata da quattro o cinque altre Regioni, dir poi come. L'abbiamo portata in Commissione e lì si è ritenuto di .chiedere il parere della Giunta. Abbiamo già detto e chiarito come questo parere non sia vincolante, tuttavia nella IV Commissione il Presidente Beltrami ha sostenuto l'opportunità di attendere il parere della Giunta Regionale (è detto tre o quattro volte questo nel verbale). E' diventata una prassi e colgo l'occasione per dire che le leggi non di iniziativa della Giunta per procedere non hanno bisogno del parere della Giunta, la quale è un imbuto entro cui si ferma tutto. E non possiamo non denunciare il fatto che a proposito di questa nostra legge la settimana scorsa la Giunta è intervenuta con una lettera in cui si dice esplicitamente "La Giunta ritiene che non si debba dare corso a questa legge". Si dice che è un parere della Giunta, ma se un parere di questo tipo viene dato prima ancora che si decida l'iter di svolgimento della legge, è chiaro che la maggioranza non si opporrà mai a quel parere, a meno che le cose si rivoltino completamente, ma qui non è mai successo. Quindi il parere in questi termini espresso dalla Giunta non può che essere prevaricante nei confronti della Commissione e che deve operare in piena autonomia; le leggi presentate in Commissione devono poter procedere, esaurire il loro iter, se c'è il parere della Giunta tanto meglio, se ne terrà conto, ma approvare oppure no la legge è compito del Consiglio, per accordo politico di tutte le forze, soprattutto di quella forza che l'ha presentata, la quale valuterà l'opportunità di discutere nel tentativo di cercare un accordo.
Non può essere che così. Tuttavia su questa nostra proposta di legge c'è una specie di veto, suggerito da alcune considerazioni che l'Assessore è venuto a fare in Commissione, che determina delle perplessità.
Ho voluto cogliere questa occasione per ricordare che occorre anche risolvere quest'altro problema.
Ho riferito all'inizio sugli orientamenti emersi nel settembre 1970. Il 29 maggio '73 noi abbiamo avuto un dibattito consiliare sui problemi della Sanità, conclusosi con un ordine del giorno nel quale, tra le altre cose si diceva: "La IV Commissione viene chiamata a prendere in esame le diverse ipotesi risolutive attraverso l'esame di una proposta che la Giunta regionale trasmetterà alla Commissione entro la prima decade di luglio '73". Si parlava di Commissioni tecnico-scientifiche costituite dalla Giunta, dall'Assessorato alla Sanità "per esprimere le indicazioni sulle necessità di unità di diagnosi, di cura, di servizio di scuola professionale", e si diceva che avrebbero concluso rapidamente i propri lavori. 18 giugno '73. Si parlava di Centro tumori professionali, di unità di base e di assistenza sociale in rapporto ad una legge che poi l'Assessore ha recentemente presentato.
Nel frattempo, si è lavorato, con una Commissione paritetica costituita dall'Assessore e da alcuni rappresentanti dei sindacati, che ha prodotto, direi, il risultato più interessante dell'attività di questo Consiglio Regionale in materia di Sanità: la delibera sull'ambiente di lavoro. A questo proposito devo dire che sono note le vicissitudini di questa delibera: approntata dalla Commissione per il 19 luglio '73, fu deliberata dalla Giunta il 31 ottobre successivo. Circa le delibere della Giunta, noi abbiamo avuto alcune sorprese, oggetto di contestazione da parte dei Sindacati e dei Comuni: è sembrato, cioè, che la Giunta non applicasse le delibere così come erano state approvate ma tendesse ad assumere direttamente il coordinamento e la gestione e la costituzione delle unità di base, non tenendo conto di fatto della volontà espressa di assegnare ai Comuni la facoltà di deliberare l'istituzione delle unità di base. A questo proposito abbiamo i vari comunicati dei Sindacati, le prese di posizione dei Comuni: ultima in ordine di tempo, quella dei Comuni del Vercellese. (So che si sono incontrati anche con lei, recentemente). I rappresentanti di parecchi Comuni, sedici o diciassette, mi sembra, riuniti a Vercelli, hanno approvato una mozione in cui sono molto severi con la Giunta Regionale e ripropongono la funzione deliberante dei Comuni come esigenza fondamentale , sollecitando un incontro per un chiarimento di queste questioni. Non leggo l'ordine del giorno: sottolineo il periodo in cui si afferma che questi Comuni rifiutano, con il Comune di Vercelli in testa, che è il più categorico, l'atteggiamento verticistico della Regione.
Questa impostazione, questo atto operativo si evidenziava anche dalle delibere della Giunta, che mentre provvedevano immediatamente alle attrezzature necessarie per il Centro costituito presso il CTO e per i Laboratori fissi e mobili presso gli ospedali, potevano lasciar pensare data anche la poca chiarezza di dizione, che la Giunta intendesse attrezzare i Laboratori presso gli ospedali, quelli di secondo livello, e provvedere con dieci unità mobili che avrebbero dovuto - questa è stata anche la interpretazione dei Sindacati, e dalla delibera non appariva niente altro - intervenire in sostituzione delle unità di base.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Bastava leggere. E' artificioso tutto questo.



BERTI Antonio

Avrò letto male, e lei avrà l'amabilità di spiegarmi quel che io ho letto male. In sostanza, tuttavia, emergeva da quelle deliberazioni che la delibera, o le delibere, per essere più corrispondenti al senso della delibera principale, avrebbero dovuto contemporaneamente operare con finanziamenti per attrezzare il livello minimo che era l'unità di base da farsi presso i Comuni e con i Comuni, e alla data del 31 ottobre erano già numerosi i Comuni che avevano deliberato, facoltà di deliberare l'istituzione delle unità di base.
Diciamo, per esprimere il giudizio in forma molto semplice, che non abbiamo riscontrato, negli atti operativi della Giunta, a proposito di questa delibera, la volontà politica di individuare il Comune come interlocutore principale cui la Regione si rivolge per attuare per intanto questa questione dell'unità di base.
Tant'è che abbiamo avuto delle contestazioni. Sono sbagliate? Pu darsi. La ragione non sta mai da una parte sola. Sta di fatto però che i Comuni hanno a lungo protestato, e noi sappiamo che l'Assessore ha fermamente sostenuto, anche nelle fasi di preparazione della deliberazione (il fatto che fossero i Comuni a deliberare era stato conquistato, diciamo così, in Consiglio, al momento della deliberazione finale), che dev'essere la Regione a svolgere direttamente la funzione di istituzione delle unità di base, che quindi alla Regione compete non soltanto l'azione di indirizzo e di coordinamento ma anche quella di gestione operativa; ci contravvenendo, noi rilevammo, alle intese, all'impegno politico sulla funzione che tutti abbiamo assegnato alla Regione, che non può essere se non di indirizzo e di coordinamento.
Infine, nella delibera approvata in quella occasione si parlava specificamente di istituire le circoscrizioni sanitarie, da tutti ritenute uno dei parametri fondamentali, in assenza di piano ospedaliero, di piano sanitario, cui rifarsi tutte le volte che la Giunta, l'Assessore, il Consiglio sono posti di fronte a richieste di ampliamento, rafforzamento sviluppo eccetera eccetera.
Noi abbiamo effettivamente avuto, in IV Commissione, una proposta, anzi tre proposte di circoscrizione, una dei Medici provinciali, una dell'lRES credo, una della Giunta; abbiamo avuto una proposta di istituzione di servizi di emodialisi; abbiamo avuto una proposta di pronto soccorso. Su queste questioni che noi abbiamo nel complesso allora giudicato in modo positivo, nel senso che si teneva fede finalmente agli impegni che si erano assunti, prescindendo dal merito, è sorta una contestazione, un contrasto certamente non buono, ma valido, di cui si è avuta una eco anche in questo Consiglio Regionale, circa il diritto da noi esercitato di tenere delle consultazioni.
Prescindo qui da una questione personale che credo sia bene escludere da questo Consiglio. Noi abbiamo ritenuto, assumendo un atteggiamento complessivamente positivo nei confronti di questi atti, di chiedere di poterci avvalere del contributo esterno di tecnici: perché la materia è complessa, concerne questioni di organizzazione sanitaria ma anche questioni tecniche, di cui noi che tecnici non siamo non possiamo certo avere profonda conoscenza. Da un atto della Commissione, un ordine del giorno, risulta che alla fin fine si è deciso di rimandare la definizione di queste questioni a dopo la soluzione della crisi di Centro-sinistra perché il Centro-Sinistra avrebbe probabilmente potuto dare indirizzi capaci di coordinare, capaci di unificare le varie richieste e di far chiarezza sui punti controversi. Bene, dopo la formazione della Giunta di Centro-Sinistra, nel corso del dibattito sul programma, nel quale noi dovremmo esprimere, per il settore della Sanità, una serie di osservazioni critiche che i Consiglieri ricorderanno, ci fu una riunione della Commissione in cui l'Assessore si presentò immediatamente con posizioni interessanti. Per esempio, si presentò sostenendo la necessità di promuovere un dibattito consiliare sui problemi sanitari generali, in cui ricordo, siccome noi lo accusavamo di ignorare i documenti che le varie Regioni elaborano a questo proposito, disse che avrebbe fornito tutti i documenti. In questo atteggiamento, di accoglimento di una nostra richiesta, nei confronti del quale noi ci ponevamo in senso costruttivo si affermò, dopo alcuni nostri rilievi sostanzialmente, positivi soprattutto per la proposta di pronto soccorso - rilevammo elementi di interesse, validi per una programmazione ospedaliera. A conclusione di questa seduta l'Assessore chiese di poter ritirare e le proposte di circoscrizioni sanitarie e quelle di servizio di emodialisi e di pronto soccorso, tutto ciò che costituiva il frutto del lavoro svolto in Commissione, impegnandosi, su nostra richiesta a presentare tutto di nuovo nel volgere di un mese (era il 6 febbraio '74; ricordo che precisò perfino la data: il 29 di marzo). Ebbene, la Commissione non ha più visto niente in proposito.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Lei aveva promesso di far pervenire le osservazioni scritte.



BERTI Antonio

E' vero, ma non vorrà farmi credere che aspettava le mie osservazioni per fare le sue elaborazioni.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Ci tenevo alle sue osservazioni: mi aveva detto anche che me le avrebbe fatte avere per iscritto.



BERTI Antonio

Assessore Armella, sto parlando tranquillamente e non ho affatto l'intenzione di adirarmi, ma lei non si permetta di scherzare, e su questioni così serie.
Lo scontro è diventato sempre più cattivo e duro perché noi ci siamo sentiti traditi, abbiamo avuto la netta sensazione che nel momento in cui il discorso diventava su alcune questioni concreto - nella misura in cui si entra nel merito delle questioni affiorano delle esigenze, per esempio quella della consultazione esterna, affiorano problemi di ampliamento della tematica, di definire meglio il contesto ecc. ecc. - la materia del contendere ci venisse sottratta, e a questo non si sia sostituito niente.
Abbiamo avuto invece la posizione che ho espresso in rapporto, per esempio alla nostra legge di salvaguardia.
Ecco gli elementi di metodo che non ci consentono un dibattito costruttivo, non ci consentono di arrivare a stringere qualcosa nelle mani.
Perché si è ritirato tutto questo materiale? Io comprendo benissimo che una legge presentata la si possa anche ritirare quando sia stato definito un programma, una linea, per rielaborarla in rapporto ad un dato contesto ad un dato punto di riferimento. Qui, invece, si è trattato di ritiro puro e semplice. A me, lo dico chiaramente, tutto ciò ha dato l'impressione di una manovra. Secondo me, si è pensato: voi volete fare delle consultazioni su questo materiale, volete interpellare Tizio e Caio? Volete esercitare un vostro diritto, sancito dallo Statuto? Allora vi ritiriamo il materiale. La realtà vera sta nel fatto che dall'inizio della nostra attività in Consiglio Regionale ad oggi gli impegni fondamentalmente assunti dalla Giunta non sono stati mantenuti, ed oggi noi, a quattro anni dall'inizio del Consiglio Regionale (ho ricordato la seduta del 17 settembre '70 per dire che in quella seduta si era parlato già di impostazione sanitaria) ci ritroviamo con una relazione, una introduzione dell'Assessore in cui ci si dice che sono allo studio delle questioni, che ci saranno degli impegni: senza fissare delle scadenze, senza indicazioni di priorità negli interventi, senza riferimenti di carattere generale. Questa è la realtà nuda e cruda in un settore così importante come quello della Sanità.
Noi allora chiediamo alla Giunta: è possibile andare avanti così? Noi vogliamo arrivare a questo confronto, e facciamo qui delle proposte conclusive.
Per intanto, rinnoviamo una proposta che avevamo fatto allora (e badate che io non faccio mai molto riferimento alle iniziative di altre Regioni perché riconosco anch'io che le singole Regioni sono autonome, decidono autonomamente su certe questioni - non intendo però l'autonomia nel senso in cui ne parlava lei stamattina, per cui una Regione è autonoma nella misura in cui non compie un atto democratico come un'altra: quella è un'altra questione, quella è una scelta politica).



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

E' il modo.



BERTI Antonio

Le nostre proposte sono: anzitutto, che il metodo operativo sia quello dell'allargamento delle forze che contribuiscono a creare il quadro d'insieme degli interventi. Credo che nessuno possa disconoscere - e non lo hanno fatto certamente i Consiglieri democristiani liberali o socialdemocratici della Regione Emilia-Romagna quando, su relazione del presidente della Commissione per la Sanità, il repubblicano Gualtieri, che ha relazionato sulle norme per il piano di salvaguardia e ospedaliero norme per il piano regionale ospedaliero, un piano preparato in Commissione, nel corso di tanti dibattiti eccetera eccetera - ha approvato una legge in cui si indicano gli elementi basilari del piano ospedaliero, i criteri fondamentali, gli obiettivi e le finalità, e si creano gli strumenti, in particolare, "per la elaborazione della proposta di piano che la Giunta Regionale deve predisporre in base all'autorizzazione ecc. ecc.
la Giunta stessa e la competente Commissione consiliare si avvalgono di un comitato tecnico regionale nominato dal Consiglio Regionale". "Alla formazione del piano - secondo quanto dispone il successivo articolo concorrono gli Enti locali, gli enti ospedalieri, le organizzazioni sindacali e le altre organizzazioni interessate al processo di formazione attuazione e adeguamento del Piano Regionale ospedaliero. Queste disposizioni vanno integrate e correlate con i capitoli del documento relativi agli organi e ai modi di predisposizione della programmazione ospedaliera ecc. ecc.".
Ecco dunque un metodo. Qui si arriva al Piano ospedaliero, definendo con una legge le norme che devono seguire per questo piano, e si costruisce lo stesso strumento democratico che chiama tutte le componenti costituisce lo stesso strumento democratico che chiama tutte le componenti sindacali politiche, sociali della comunità a costruire il piano. A questo metodo voi che cosa avete contrapposto? Abbiamo saputo dal Bollettino della Regione Piemonte - l'ho già detto una volta - che il 30 giugno 1971 la Giunta Regionale ha stanziato cinque milioni per l'IRES, per "programmazione del servizio ospedaliero in Piemonte". Prescindo qui dal fatto che questo incarico all'IRES, come ho dimostrato, è avvenuto all'insegna del segreto più assoluto, senza cioè che vi siano state indicazioni di metodo, di contenuto, di norme, senza che vi sia stato qui dibattito. Che cosa ha prodotto l'IRES? Forse quell'enorme malloppo che è negli uffici della IV Commissione, e di cui nessuno si è avvalso? Perché la Giunta non l'ha assunto come documento fondamentale; ha nominato quelle famose commissioni, assumendo un altro indirizzo. Ho già detto, e ripeto, che io non contesto il diritto di fare delle Commissioni di avvalersi dei contributi che tutti possono dare. Ma in questo caso le Commissioni sono state costituite all'insaputa del Consiglio. Per definire quali norme, quali indirizzi, per costruire che cosa noi lo sappiamo solo adesso, quando l'Assessore ci dice che verranno consegnate queste 51 relazioni e da quello che si sente dovrebbero dire come gli ospedali vanno fatti, anzi, addirittura come i reparti devono essere fatti.
Ci consentirete di dire che questa impostazione ignora quasi completamente i problemi che stanno a monte dell'ospedale, i problemi della prevenzione, e questo noi lo attribuiamo proprio al fatto di un metodo che non si è servito dei contributi esterni ma ha colto essenzialmente in un gruppo ristretto di persone quanto queste potevano esprimere.
Noi chiediamo, quindi, alla Giunta in modo esplicito: intende la Giunta Regionale costituire un Comitato tecnico, del tipo che ho adesso letto, e che c'è anche in Lombardia, c'è anche nel Veneto, anche nella Basilicata? Ovvero, intende la Giunta perseguire in questo settore un metodo democratico, che estende il campo dei contributi per la formazione del Piano? Intende la Giunta stabilire una normativa che dica quali sono gli obiettivi del Piano? E basta leggere (qui non lo faccio) anche le normative dell'Emilia- Romagna per dire quali sono queste che hanno scelto, su cui noi potremmo essere d'accordo. Ma le vogliamo cogliere come elemento di discussione.
Questi sono alcuni elementi di fondo che possono, se accolti dalla maggioranza, rimuovere il quadro di tensione, di contrasto che esiste attualmente e produrre una situazione in cui sia possibile il confronto, ma che non debba essere strappato tutte le volte come una conquista ma debba essere metodo di lavoro permanente, così come avviene nelle altre Regioni.
Se così non sarà - io l'ho detto in conferenza dei Capigruppo e in seno alla IV Commissione -, in questo settore non ci può essere lavoro positivo.
Perché il metodo personale, soprattutto quando produce risultati che noi sentiamo non essere in linea con quanto di meglio esprime oggi il movimento per la riforma sanitaria, contrasta con un metodo che pure abbiamo assunto e che in altri settori del Consiglio Regionale, badate, viene perseguito.
Non voglio fare nomi, qui, perché carenze ce ne sono dappertutto, ma in altri settori della Giunta il rapporto non è conquistato ogni volta, è diventato permanente: ci si raffronta, ci si trova anche in contrasto qualche volta le nostre proposte sono anche accolte. Questo è il metodo che noi vogliamo, e diciamo che nella attività dell'Assessorato questo metodo è ripudiato.
Aspettiamo quindi delle conclusioni da parte della- Giunta affinché si risolva sul piano del metodo il problema della costruzione di una politica sanitaria per produrre con questo metodo dei risultati più conformi alle esigenze della collettività piemontese.



SANLORENZO DINO



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE SANLORENZO

E' iscritto a parlare il Consigliere Beltrami. Ne ha facoltà.



BELTRAMI Vittorio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, come stato d'animo, e non solo per coerenza, sento che se dovessi dar corso ad un diffuso ed approfondito intervento non potrei che ripetere le stesse cose che già dissi nel dibattito del maggio '73, richiamato testé dal Consigliere Berti, dibattito che allora investi, e direi giustamente, in una "logica regionale", il complesso tema della "sanità" e dell'assistenza, allora meglio ripropostaci come "Sicurezza sociale". "Repetita juvant", nel caso attuale prima che per altri, per se stessi: impedirebbe, però, per limiti di tempo, e sera già avanzata, ad altri di sviluppare un originale discorso.
Da qui un brevissimo intervento, attraverso il quale, richiamata la linea regionale, che è stata anche definita "filone ideologico regionale" al quale ci siamo rifatti anche qui nella Regione Piemonte, nei diversi momento nei quali siamo stati chiamati a pronunciarci sui temi della "salute" e della "Sicurezza sociale", dai trasferimenti, attraverso i decreti delegati, delle materie alle Regioni ai dibattiti sulla riorganizzazione delle strutture del Paese attraverso il riordino dei Ministeri, a quelli che hanno accompagnato, o preceduto, l'adozione di provvedimenti regionali, si possa, prendendo atto della realtà socio politica della nostra Regione, superare ogni difficoltà, anche quelle che sono state manifestate in quest'aula, e pervenire a concretezza di decisioni, a traduzioni operative dei più ampi indirizzi della Giunta Regionale.
Le difficoltà sono talvolta legate - almeno vorrei ritenere ed auspicare - più che a riserve mentali, a temporanee soluzioni di continuità nel dialogo costruttivo, ad una diversa valutazione dei problemi, alla intensità del sentire che molti rivolgono, per quotidiane esperienze, ai problemi della Salute, al desiderio - che suona vera esigenza - di dare corpo di concretezza e di operatività alle indicazioni programmatiche che ancora il più recente documento letto in aula dal Presidente Oberto nel gennaio '74, dopo che venne accordata fiducia alla Giunta, ha riproposto al Consiglio.
L'esperienza che acquisisce chi è chiamato ad operare all'interno di una Commissione permanente del Consiglio ancor più sensibilizza, accentua il tono di queste rilevazioni, fatte, ripeto, di stati d'animo, ma anche di atti politici, riterrei, da ultimo, pur con diverse e sfumate interpretazioni circa il ruolo della Regione nella materia, dettate dalla sollecitazione e dello scrupolo di far presto e di utilizzare costruttivamente gli ormai pochi mesi che ci separano dalla scadenza del mandato.
Così insorge all'interno della Commissione, ritengo, alla fin fine, un rispettoso e corretto discorso, filtrante la volontà politica dei diversi gruppi operanti entro il Consiglio Regionale, portando, e, mi si consenta talvolta scaricando, in una sede che non ha, oggi, compiti promozionali e di iniziativa, il quadro delle tensioni che dovrebbero trovare ovviamente il giusto e costruttivo sfogo all'interno dell'aula consiliare.
Da qui la validità di questo dibattito, che, ancor prima della sterilità di possibili scontri - scontri che, abbiamo rilevato, non ci sono peraltro stati - può, nella giusta sede, costituire elemento di confronto (e dal confronto, mi faceva notare il collega Dotti, non si esce mai battuti: il confronto, se mai, arricchisce) e di verifica della politica regionale, alla riscoperta di una ulteriore occasione per cogliere la conferma che il programma del Governo regionale, non certo frutto di occasionale inventiva, ed entro il quale la maggioranza della Commissione della Sanità si riconosce, possa incontrare tempi maturi per l'attuazione.
Giacciono in Commissione particolarmente quattro disegni di legge attorno ai quali si è sviluppato un forte discorso, una contrapposizione non lieve: sono il "128", del Gruppo dell'MSI, per il recupero sociale dei minorati fisici e psichici il "129", che ha richiamato più volte il Consigliere Berti, per la salvaguardia del Piano sanitario regionale il "137", "Interventi per la promozione dell'assistenza domiciliare agli anziani, agli inabili e ai minori, nonché per il funzionamento di Centri d'incontro per gli anziani" il "155", il più recente, "Legge di intervento e di deleghe in materia di servizi sociali e sanitari".
Un particolare approfondimento del disegno di legge 129 ha dato luogo al rilevamento di atteggiamenti diversificati e contrapposti, che, senza entrare nel merito - altri lo hanno fatto - sono più imputabili, a mio avviso, ai tempi previsionali di realizzo dei programmi regionali piuttosto che a sostanziali divergenze di fondo.
Il disegno di legge 129, di fatto, tratta la salvaguardia del Piano sanitario regionale, ma la materia che esso specificatamente affronta è quella dell'organizzazione ospedaliera. E' un progetto - come è stato richiamato nel dibattito - che trova riscontro in provvedimenti che talune Regioni hanno adottato mentre altre, al momento, si trovano allo scoperto.
In effetti, è stato adottato dalla Lombardia, dall'Emilia-Romagna, dal Veneto, dalla Toscana; l'Umbria per il momento non ha provveduto, il Lazio ugualmente, la Basilicata ancora non ha proposto uno schema di legge analogo, l'Abruzzo ha allo studio la stesura del Piano ospedaliero, la Campania ancora niente, lo stesso il Trentino-Alto Adige, la Calabria per quanto almeno ci consta non ha ancora presentato un progetto di legge di questo indirizzo; la Liguria ha un progetto di legge che dovrebbe essere varato, se non è stato provveduto a ciò nei giorni scorsi; lo stesso dicasi per il Friuli-Venezia Giulia; la Sardegna non ha ancora una legge sull'argomento, e neppure la Sicilia; la Puglia il 7 febbraio ha varato invece le norme transitorie per la programmazione ospedaliera.
Nella sostanza, le leggi approvate o gli studi in corso nelle altre Regioni manifestano un impegno di salvaguardia che non esclude, però, la possibilità di far fronte ad esigenze straordinarie e indifferibili ed impegnano la Giunta Regionale, quasi sempre entro un anno dall'entrata in vigore della legge di salvaguardia, a presentare un compiuto piano ospedaliero.
Ripeto, non entro a fondo nell'argomento, anche se ognuno di noi portando avanti una sua esperienza come uomo di periferia, accanto agli Enti ospedalieri, conosce le diverse fasi, i passaggi, le aspirazioni quelle giuste e quelle altre che giuste non sono, la grossa esigenza che l'ospedale sia fatto per l'uomo e non l'uomo per l'ospedale, intendendo racchiudere con questa frase, che ormai è ripetuta sino alla noia, la trepidazione degli uomini che hanno responsabilità nel settore della salute e che vivono quotidianamente, e con una certa angoscia, questo problema.
Si è formulata, a livello di maggioranza di Commissione, la convinzione che la materia debba essere comunque ordinata e regolamentata, pur nel carente quadro legislativo vigente, e alla luce delle competenze affidate alla Regione.
L'Assessore alla Salute, avv. Armella, ha ancora recentemente assicurato, e lo ha ripetuto oggi, che nel volgere di pochissimo tempo potrà essere rassegnato al Consiglio, e per esso alla Commissione, il modello ottimale dell'ospedale di base, frutto degli studi di un ampio gruppo di collaboratori dell'Assessorato, e che dovrebbe proporci il modello di ospedale, con tutte le specificazioni in ordine ai reparti tradizionalmente affidati agli ospedali di zona e alle specialità di routine (ortopedia, otorino, oculistica, dermo, neuro, urologia eccetera) ospedale che dovrebbe calarsi entro una realtà territoriale omogenea, che non può più necessariamente essere il tradizionale "bacino ospedaliero" bensì proiettarsi nell'ambito degli interventi, in una nuova dimensione quella "sanitaria ", legata ad un quadro di interventi che investe tutta la sfera delle iniziative e potenzialmente sviluppabili che ruotano attorno alla salute dell'uomo. Sorge così naturalmente il problema della comprensorializzazione o zonizzazione del territorio in chiave sanitaria.
Anche qui esistono - non molte per la verità - esperienze introdotte in altre Regioni.
Se - come è stato oggetto di dichiarazioni programmatiche della Giunta questo progetto di organizzazione sanitaria territoriale venisse ugualmente presentato in tempi brevi al Consiglio - e già un primo studio era passato in Commissione IV (ripeto, solo uno studio, come proposta di dibattito e di discussione, su un piano di collaborazione all'interno della Commissione, ritirato, così come ha ricordato poco fa il Consigliere Berti per dare libero sfogo alla presentazione di un programma del Governo Regionale, per essere poi presentato in veste organica al Consiglio Regionale -, a mio avviso verrebbe a crearsi quella "cerniera" di collegamento, di accostamento e di integrazione dei due momenti, quello ospedaliero col più completo momento sanitario, tanto da dare una risposta ai diversi problemi sollevati, non ultimo quello di salvaguardia del piano ospedaliero.
La comprensorializzazione dovrebbe, nella sostanza, essere un disegno anticipatore della riorganizzazione sanitaria del territorio, previsto dai molti progetti di riforma sanitaria ancora non presentati al Parlamento della Repubblica e rimasti ancor oggi semplicemente nella fase di abbozzo.
Il discorso investe il tema della prevenzione, quale momento di verifica iniziale della salute dell'individuo, proprio nel quadro di quella inversione di tendenza da più parti invocata di bloccare la marcia che con una certa ostinazione, causa le strutture ed una certa inerzia (intesa semplicemente come effetto di forza fisica), persiste nel percorrere la strada in discesa della "cura" della malattia anziché avviarsi su quella più faticosa, ma certamente più moderna e civile, della tutela e della promozione della salute collettiva e singola attraverso una seria politica di difesa dell'ambiente di vita, della natura entro i quali vive ed opera l'uomo, in una parola della "medicina preventiva".
Vorrei richiamare qui un suggerimento venuto dalla Fondazione Olivetti emerso nella "tre giorni" dei Servizi sociali del maggio '73 indetta dal Consiglio Regionale, quale atto di non rassegnazione al sistema e che suonava certamente desiderio di rimonta delle difficoltà che il quadro legislativo propone oggi alla Regione. Ne risparmio ai Consiglieri la lettura: ricordo soltanto che, nella sostanza, il documento della Fondazione Olivetti suggeriva alla Regione di "avvalersi di tutte le risorse offerte dalla legislazione vigente, di sfruttare tutti gli spazi e le contraddizioni in esse presenti", attraverso una attenta rilettura delle leggi vigenti, con una nuova ottica, penetrando nelle maglie delle leggi stesse, in modo da poter cogliere quanto possibile per offrire la soluzione migliore secondo questi indirizzi.
Nulla, comunque, potrà impedire alla Regione una più approfondita ed organizzata utilizzazione degli Ospedali, anche nel settore della stessa prevenzione, ospedali gestionalmente legati ad un disegno di relativa autonomia, certamente non assoluta, certamente legata alla pianificazione regionale.
Al limite, forse, potremmo scoprire un nuovo e diverso modo di colloquiare con gli stessi istituti mutualistici: enti che la riforma annulla, ma che sono, oggi, presidi importanti attorno ai quali ruota una grossa parte dell'attenzione che la comunità organizzata conferisce alla salute dell'uomo.
Ci sono in questa direzione problemi economici a non finire, e se la Regione intende anticipare, come le sarà possibile, anche sul piano della semplice intuizione, i tempi della riforma sanitaria, non può restare insensibile davanti allo sfacelo delle finanze degli Ospedali. Come onestamente, non lo so. Bisognerà comunque dibatterlo, questo problema affrontarlo per quanto ci è possibile, impegnando l'Autorità centrale ad esaminare, senza respiro, una realtà che perifericamente tocca punte estremamente tragiche.
Nel concludere vorrei sottolineare - proprio richiamandomi ancora al dibattuto tema della organizzazione sanitaria del territorio - l'esigenza che possa decollare, entro termini relativamente brevi, anche il più ampio strumento di pianificazione regionale costituito dal Piano di sviluppo economico, nel cui rispetto ed entro le cui linee, anche nella carenza di un piano di organizzazione del territorio, dovrà collocarsi, come uno dei momenti regionali di intervento, il Piano sanitario.
In effetti, l'inserimento di un certo tipo di polo di sviluppo industriale in una zona, magari per equilibrare l'eccessivo e disordinato sviluppo di quella contigua, significherà proporre una diversa situazione sociale e quindi una diversa domanda di utenza di ogni tipo, anche sanitario.
Oggi, accanto alle tradizionali strutture di organizzazione del territorio - Province, Comuni, Consorzi di Comuni - altre se ne presentano e se ne presenteranno: Circondari, auspicabili i Comprensori, le Comunità montane, i Quartieri, le Aree ecologiche, nel settore dei trasporti la organizzazione dei bacini di traffico, nel settore scolastico i Distretti scolastici, peraltro previsti dalla legge dello Stato già operante, le Unità sanitarie locali, previste dai progetti di riforma sanitaria, e quelle locali dei servizi, previste in materia di sicurezza sociale, e tutta una serie di strutture legate ad ambiti territoriali, con gestioni elettive e non, la perimetrazione dei quali non sempre è coincidente, e che necessariamente, in chiave di ordinato assetto del territorio, dovranno nei limiti del consentito, essere ricondotti ad un grado di omogeneità.
Questo moltiplicarsi delle organizzazioni territoriali locali, a volte empirico, a volte slegato, a volte superato dalla valutazione socio politica della realtà territoriale, anziché deprimerci, distaccarci dagli interventi, desistendovi in attesa di opportuni strumenti, anche legislativi, non deve scoraggiarci. Preoccupati del bene comune, e nella fattispecie della salute dell'uomo, dovremo bensì cogliere, ad avviso mio ogni migliore animazione, e, nel coordinamento degli interventi stessi incanalarli verso sbocchi costruttivi.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Non vi sono più Consiglieri iscritti a parlare. Se più nessuno desidera intervenire, dò la parola all'Assessore Armella per la sua replica.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Pur avendo ascoltato diligentemente, mi trovo in un certo imbarazzo a rispondere al pregevolissimo intervento del collega Berti ed al molto penetrante intervento del collega Beltrami, perché le questioni hanno finito con lo sfumarsi in atteggiamenti, senza che vi sia stata una valutazione, positiva o negativa, delle singole cose che erano state dette.
Una risposta sul piano specifico va comunque indubbiamente data per qualche punto.
Credo che l'impegno della Giunta sia sempre stato - e le esemplificazioni sarebbero molte - quello non soltanto di porre attenzione al settore ospedaliero, ma anzi di volerlo costantemente inquadrare nei problemi della Sanità in generale e di intervenire, ovunque la mostra competenza operativa lo rendesse possibile, in modo preventivo, con quegli interventi che, come si suol dire, stanno a monte della cura e del ricovero. In particolare, è stato ricordato da me l'impegno per gli ambulatori scolastici, è stato ricordato da altri che abbiamo istituito questa Giunta e la Giunta precedente - addirittura un Assessorato per gli inquinamenti, e che se non tutto è stato raccolto, condensato in un unico Assessorato, ciò è stato proprio per consentire una maggior vastità di interessamento e di interventi.
Si dice: ma manca un documento programmatico. Ora, non nascondo il mio disappunto di dover dire che un documento programmatico che indichi operativamente le tante cose che la Giunta possa fare trova effettivamente difficoltà di formulazione. Non mi risulta che documenti programmatici del genere, al di fuori di valutazioni generali, siano stati fatti altrove, per quanto ammetta che molti possano anche camminare più in fretta. E deve ancora aggiungere che per quanto riguarda il settore che più specificatamente è affidato, per competenza istituzionale, alla nostra attività, cioè il settore ospedaliero, quando io vedo i risultati espressi nei costi ed espressi, diciamo così, nelle attività che svolgono i nosocomi di altre Regioni, vedo che le differenze fra Regioni progressive e meno progressiste non sono poi molte, perché il meccanismo è identico in tutta Italia.
Per quanto riguarda poi gli appunti , di ordine molto personale, che sono stati fatti nei confronti della mia attività, non posso rilevarli tutti se non per quanto riguarda esplicitamente l'attività che è stata propria, direi trasfusa, in quella della Giunta. Due parole vorrei dire soltanto per l'Igiene del Lavoro e per quel caso che è stato citato come esemplificativo - non perché valga molto la spesa di rilevarlo ma perché è stato citato come esemplificativo - della Bertagnetta.
Cominciamo dall'Igiene del lavoro. Ci si duole che la Giunta, al 31 ottobre '73, abbia preso delle delibere per dare esecuzione alla deliberazione del Consiglio relativa all'igiene del lavoro. Queste delibere, di cui ci si duole, sono due: una impegnava la spesa necessaria per il Centro Regionale, l'altra impegnava la spesa necessaria, come dice il titolo, "per acquisto di laboratori fissi e mobili per la dotazione delle unità di base".
Centro Regionale perché? Perché in quel sistema che il Consiglio ha ritenuto - su nostra proposta, derivata dalla lunga discussione, dal lungo confronto coni Sindacati - di approvare, il Centro Regionale appariva una parte di un tutt'uno in cui la rilevazione dei dati nell'ambiente del lavoro non fosse limitata o cadesse ad un livello esclusivamente locale ma che trovasse validità scientifica e possibilità di elaborazione ad un livello che garantisse effettivamente la salute dei lavoratori.
Si disse da parte dei Sindacati, quando questa discussione ebbe inizio che si chiedeva alla responsabilità della Regione di adottare tutte le misure idonee a gestire, diciamo, l'esecuzione dei contratti di lavoro (così iniziò la discussione che in alcune grandi aziende, in alcuni grandi settori introducevano i principi della tutela dell'ambiente) con la presenza degli enti pubblici, degli enti di prevenzione, degli enti per l'assicurazione e la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, e soprattutto con la presenza delle organizzazioni sindacali. A questo livello, però, si diceva: tutto questo resta far polvere, perché questi documenti sono raccolti ma non hanno la possibilità di avere una successiva, valida, convincente, tranquillante valutazione da parte di chi la può fare, con strumenti che diano a noi garanzia che sia effettivamente - possano o meno verificarsi esatti i nostri sospetti, i nostri timori - nella realtà e nei limiti indubbiamente, ma nel massimo grado possibile ad un livello scientifico.
Lo studio che fu portato alla discussione si concluse proprio con questa determinazione: che questa disciplina, che questo lavoro, se vogliamo dire, si esplicasse a tre livelli di responsabilità: l'adozione a livello locale, la rilevazione a livello locale, unità di base; i laboratori degli ospedali siti nei capoluoghi di provincia (e non soltanto in esecuzione dell'art. 2 della Legge ospedaliera, sempre trascurata sotto l'aspetto di prevenzione che pure era imposto agli ospedali, ma anche perché si consentisse attraverso questi, di avere l'anello di congiunzione con l'altra richiesta che i lavoratori facevano, e cioè quelle delle visite da effettuarsi in questi ospedali per essere svincolati dalle strutture mediche di fabbrica, che rispondevano ad una richiesta che loro facevano ad altri criteri, o potevano rispondere ad altri criteri). E al terzo livello a cui si chiese di fatti che pervenissero tutte quelle rilevazioni che in fabbrica avrebbero dovuto essere fatte e sarebbero state fatte, e cioè al Centro Regionale.
Questo fu difatti scritto nella deliberazione, e questo fu infatti voluto nella deliberazione. Ci si avviava verso la fine dell'anno, cioè dell'esercizio finanziario, e si nutriva timore che i fondi stanziati non potessero essere più utilizzati. Proprio per questo si impegnò la spesa necessaria e per l'uno e per l'altro di questi due aspetti dell'iniziativa.
Per il secondo, su cui si dice che si è voluto vedere, o si è ritenuto di vedere che fosse una emarginazione della partecipazione degli Enti locali, devo dire che bastava leggere con attenzione la delibera per non poter non rilevare che lo stesso titolo parlava di "acquisto di laboratori fissi e mobili per la dotazione delle unità di base e non per gli ospedali"; che sarebbe stato peraltro legittimo, ma che non abbiamo pensato minimamente, di finanziare con quello stanziamento, ritenendo a ci sufficiente lo stanziamento del denaro che ci veniva dallo Stato, dal Fondo nazionale ospedaliero. E bastava poi estendere la propria attenzione l'esame, alla motivazione, in cui si diceva che "il Consiglio Regionale ha con deliberazione approvato l'organizzazione del servizio per la tutela sanitaria", che "il predetto servizio prevede l'istituzione di unità di base operanti in circoscrizioni comprendenti il territorio di uno o più comuni, la istituzione ed il potenziamento dei servizi di medicina del lavoro e di igiene industriale presso gli ospedali siti nei capoluoghi nonché la istituzione di un Centro Regionale per la tutela sanitaria, dei luoghi di lavoro"; dopo di che si diceva che questa delibera era presa esclusivamente per i laboratori fissi e mobili delle unità di base". "Per avviare all'attività operativa è tra l'altro necessario promuovere l'acquisto delle attrezzature che consentono il funzionamento delle unità di base, previste in numero di venti, e dotarne la metà di lavoratori mobili e l'altra metà di laboratori fissi". Laboratori mobili e laboratori fissi che erano stati proprio oggetto di attenzione, di indicazione, di proposta da parte di quei sindacati che ci avevano interessati in un primo tempo alla promozione di questa attività e di questi impegni da assumere.



BERTI Antonio

A quanti Comuni sono andati questi?



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Non sono andati ad alcun comune, perché questo è stato un impegno di spesa, al quale han fatto seguito alcuni ordinativi (altri non sono stati neppure più fatti perché sappiamo tutti quale discussione ne è seguita).
Quando già si discuteva di questo, che cosa è successo? Che i sindacati hanno ritenuto di fare una corsa presso i Comuni facendo deliberare i Comuni quando l'adozione delle delibere avrebbe dovuto avvenire d'intesa con le Amministrazioni regionali. Perché d'intesa con le Amministrazioni Regionali? Perché l'Amministrazione regionale non è minimamente in grado sia per la specifica attività, sia perché occorrono, come è stato rilevato persone idonee, preparate - si è chiesto di fare dei corsi di preparazione ecc. ecc. - di provvedere a far funzionare un numero indefinito di unità di base. Si è detto: il Comitato si riunisca, si metta a tavolino e cominci ad indicare quali sono le unità che devono essere messe in funzione in prima istanza, in seconda istanza, nei tempi necessari di una gradualità che non può non essere vista insieme. Ma se poi in quella occasione del Comitato si fosse detto: ne facciamo funzionare immediatamente trenta invece che venti invece che dieci, perché è possibile far questo - ma ci si è guardati bene dal dire cose di questo genere -, cosa si sarebbe verificato? Che tutto ci sarebbe stato attuato - metro di criteri, proposte -, tutto quanto è stato dalla delibera consiliare affidato al Comitato Regionale, che avrebbe trasferito le proprie specifiche conclusioni all'Amministrazione Regionale perché adottasse i relativi provvedimenti.
Sotto tutto questo a me pare ci sia solo una artificiosa polemica: non c'è assolutamente nulla che possa giustificare sospetti, timori atteggiamenti che non trovano rispondenza in fatti obiettivi. La verità è che i sindacati vennero al nostro incontro, ritennero che queste delibere fossero state prese prima ancora che il Comitato funzionasse (il che effettivamente era vero, perché c'era la necessità di impegnare la spesa).
E si è detto: ma allora perché sono mobili? perché sono fisse? dove devono essere collocate? Abbiamo ritenuto di far deliberare a Villadossola o a Santhià, o, non so, a Livorno Ferraris, abbiamo già preso impegni in tal senso, e adesso invece ci si dice che il primo sarà a Vercelli e a Biella a Casale e ad Alessandria, a Barriera di Milano e a Ciriè. Sono venute anche pressioni - e ci fa piacere che siano venute - dalla base stessa, dai sindacati stessi, non a livello regionale ma a livello periferico, locale provinciale ecc. ecc., che non erano stati forse interamente consultati non avevano partecipato alla elaborazione di quel documento che fu poi preso a base del Consiglio per la discussione e per l'adozione.
Credo che siano cose del passato, tutte queste, perché si è detto, si è ripetuto, si riconferma e si ribadisce che la Giunta Regionale, proprio perché questa delibera è uscita per volontà unanime del Consiglio, intende attuarla, ed è aperta ad ogni discussione, e per realizzare il miglior servizio come è stato voluto, cioè nella responsabilità dell'Amministrazione regionale e ad un livello tale che dia, nei limiti del possibile, la sicurezza che chi lavora possa veder tutelata la sua salute nell'ambiente in cui la sua attività deve espletarsi.
Avevo evitato intenzionalmente di parlare del caso della Bertagnetta sembrandomi che una questione di così scarso rilievo non dovesse avere tanta risonanza in Consiglio Regionale. Ma dal momento che questa amplificazione è stata fatta sarà bene che io rilevi immediatamente quella che è stata la nostra attività, la attività della Giunta, in questo caso per l'Ospedale specializzato provinciale "La Bertagnetta".
Si tratta di un piccolo ente, che gestisce uno stabilimento già dell'INPS, destinato alla cura dei tubercolotici. Come in passato si fosse avuta l'idea di curare i tubercolotici in mezzo alle risaie, o ad Alessandria tra due fiumi, come nel caso del "Borsalino", è cosa che non riguarda la nostra responsabilità. Certo, le dislocazioni di tali istituti non si rivelarono idonee a tale destinazione. Ad Alessandria si risolse la questione già in epoca precedente al 1970, chiedendo la fusione con l'Ospedale civile, sembrando ingiusto che si lasciassero delle strutture pressoché inutilizzate data la caduta della morbilità per tubercolosi in virtù delle migliori condizioni di vita, dell'uso degli antibiotici e di altri motivi. Per tenere dei sanatori mezzi vuoti, tanto valeva, secondo il buon senso prima ancora che per un minimo di razionalità (pare d'altronde che la razionalizzazione non si più molto apprezzata, o non sia più completamente apprezzata) che questi istituti fossero diversamente utilizzati. Cosa viene in mente ad un amministratore di sanatorio quando vede che, nonostante ogni sforzo, i tbc non arrivano perché non ce ne sono quasi più? Non può certo mettersi a spargere i germi della tubercolosi...
Qui si è pensato di destinare l'istituto ad una attività similare, di adibirlo alla cura delle malattie dei polmoni, alla pneumologia, anzich alla tisiologia.
Ma non ci sono neanche tanti malati di penumologia quanti sarebbero necessari per far funzionare appieno tutte le strutture del genere che vi sono in Piemonte, e i malati optano per lo più per i convalescenziari meglio dislocati. Per esempio, quello di Pra Catinat, per la verità mezzo vuoto anch'esso, data la sua ubicazione in zona di montagna, ad una certa altezza, ha e può avere ancora una utilizzazione di quel genere; molto affollato di pazienti il "Carie", vicino a Cuneo, che ha una tradizione forse più consolidata, nel quale sono concentrati ricoverati della provincia di Cuneo, del Piemonte, della Liguria; altri, come questo della Bertagnetta, come quello di Bioglio, sopra Biella, sono pressoché vuoti.
Quando il commissario di questo istituto "La Bertagnetta" ha preannunciato l'intenzione di attrezzarlo per cure pneumologiche, gli è stato obiettato che la pneumologia non si può fare dappertutto, ed è stata mandata una Commissione, composta, mi pare, di cinque persone, composta da primari e direttori del Consorzio antitubercolare di Torino (Palenzona Andolfi, Concina, per ricordare qualche nome), perché vedesse che cosa si può fare di questo ospedale. La Commissione ha sentenziato: può essere utilizzato per la pneumologia soltanto in collegamento con un ospedale più grosso, perché non e pensabile dotarlo di tutte le attrezzature costose che tale attività richiede (radiologia eccetera) creando inutili doppioni. Non ci si è accontentati di questo giudizio e si è fatta riesaminare da altri la questione: la risposta è stata la stessa.
Si farebbe presto, a questo punto, a trarsi d'impaccio facendo della politica in senso deteriore. Mi si dice che io cerco i contrasti: non cerco affatto contrasti, ma come posso riferire alla Giunta che questi consulenti, per chiamarli così, dicono cose diverse da quelle che effettivamente scrivono e sottoscrivono? Il Commissario dell'ente dice: io intendo intanto fare la pianta organica del personale. Questo è il vero nocciolo della questione: la pianta organica del personale. Ora, tutti sanno che gli ospedali che sono stati scorporati dall'INPS, dall'INAIL.
devono trasferire il loro personale dall'ente scorporato all'ente nuovo all'ente ospedaliero. E chi lo fa questo? La legge ha disposto che lo faccia, con un decreto, il Medico provinciale, ovviamente sentito l'ente scorporato, l'INPS e l'INAIL. che dovranno precisare quante persone riguarda il trasferimento. Perché così non è avvenuto in alcuna zona del Piemonte? Perché i Sindacati hanno fatto rilevare che il legislatore si è dimenticato allora di provvedere con una norma di legge a che il trattamento previdenziale di quiescenza dei dipendenti dell'ente, che utilizzavano prima un'altra cassa, diversa da quella che sarà utilizzata passando al nuovo ente, potesse usufruire di quanto accumulato nei precedenti anni di servizio. Ed hanno richiesto al legislatore nazionale di provvedere con una leggina a far avvenire il passaggio dei fondi, non so bene con quale tecnica, da un ente all'altro. Finora si è rimasti infatti ad attendere questa legge: non essendo venuta alcuna disposizione per questo trasferimento di fondi, nessun Medico provinciale della Regione - n quello di Vercelli, né quello di Cuneo - provvede alla realizzazione dell'accordo né del CTO, né del "Carle", né de "La Bertagnetta", né di Bioglio, né del "Borsalino" od altri.
Ora, che cosa si dice? Noi vogliamo la pianta organica ugualmente perché l'INPS non ci dava le qualifiche che riteniamo ci competano e che vorremmo prima del trasferimento. Ma, signori, prima di parlare di denunce di omissioni, di abusi eccetera, schierandosi decisamente dalla parte degli interessi dei singoli, sia pur da tutelare anch'essi, vorrei si riflettesse. Si tratta di persone che avevano determinate qualifiche nell'INPS. Facciamo la pianta organica prima, prevediamo il posto di direttore amministrativo, quello di economo, quello di capo del personale e via dicendo, poi trasferiamo successivamente: questa è una esigenza sindacalmente accettabile, quale che sia la posizione che si intende patrocinare; meno comprensibile è quando si tratta di valutazioni che la pubblica amministrazione deve fare.
Si dice che al "Carie" questo è stato fatto. Io obietto che l'informazione è inesatta. Io sono stato al "Carle" per rendermi conto di persona, ed ho visto che effettivamente quel convalescenziario è pieno di ricoverati. Questo perché? Perché la zona è migliore, o per più consolidata tradizione, o per quei vari elementi che portano i malati a preferire un istituto ad un altro. Per poter fronteggiare le esigenze l'istituto ha assunto del personale, oltre a quello dell'INPS. Noi siamo arrivati, forse forzando un poco la legge, d'accordo, per tutelare questo istituto ed anche questo personale, a consentire l'approvazione di una pianta provvisoria del nuovo personale, non di quello trasferito.
Quindi, invece di parlare di disparità di trattamento, cui sarebbero addivenuti, chissà come e perché, la Giunta e l'Assessore alla Sanità - che stranamente viene sempre qui imputato in prima persona -, sarebbe opportuno che si facessero valutazioni legate a fatti obiettivi. Quanto poi ad arrivare a configurare in queste altre responsabilità, ebbene, vi assicuro che fra tante preoccupazioni questa proprio non ce l'ho. Direi che qualcun altro, invece, si dovrebbe preoccupare anche di altre responsabilità quelle che derivano dal diffamare il prossimo - pare che il reato di diffamazione sia ancora contemplato dal nostro Codice penale -, dal fare affermazioni diffamatorie senza assicurarsi delle loro fondatezza, dallo scriverle, dal diffonderle. Non è ammissibile che ci si permetta di ledere la onorabilità degli altri. C'è anche il reato di calunnia nel nostro Codice, per cui mi pare che bisognerebbe essere un po' cauti nel fare certe dichiarazioni.
Ho apprezzato che il collega Berti abbia detto che non sposa mai aprioristicamente le posizioni di chicchessia. Non posso però non rilevare che questa citazione egli l'ha fatta in senso specifico, e, abile com'è l'ha anche puntualmente rivolta alla persona.
Al di là di tutta questa polemica, noi dobbiamo certamente provvedere all'Ospedale della Bertagnetta. Provvedere secondo i criteri, in questo caso possiamo dirlo, tradizionali, per cui la pubblica amministrazione non può fare cose che servano soltanto per sollecitare, per aiutare, per favorire posizioni di persone, di amministratori ma deve attenersi a criteri, che nel caso specifico non possono essere che criteri programmatori, altrimenti si continuerà ad avere un istituto che non serve a fare cose che non servono, con risultati men che modesti, e soprattutto a fare cose che non giovano minimamente all'interesse pubblico.
Per ritornare a questioni di ordine generale, io non so quali determinazioni vorrà prendere la Giunta, di cui io faccio parte, e che sinora, mi pare, mi ha confortato della sua solidarietà, essendo le decisioni prese collegialmente, come il nostro Statuto vuole.
Un elemento di discussione è stato il riferimento al piano, o ai criteri di piano ospedaliero, espresso dalla 'Regione Emilia-Romagna. Ne ho il testo sotto gli occhi, non perché mi aspettassi di dover intervenire su questa questione, ma perché nessuno di noi può permettersi di non essere informato su quanto fanno Regioni italiane di grosso peso, come Emilia e Lombardia.
La Lombardia ha ritenuto di portare avanti decisamente, dopo alcune discussioni, un limitato piano ospedaliero, calato sul territorio, con indicazioni specifiche per ogni singolo ospedale, che precisano se un dato ospedale deve essere fuso, se deve essere concentrato, se deve essere soppresso. I principi generali del piano sanitario, ben noti alla Regione Lombardia, non hanno indotto ad escludere, anzi hanno fatto ritenere necessario, l'approntamento del piano ospedaliero. Questo è preceduto da una serie di relazioni per ogni singola specialità, che danno una valutazione, direi quasi, scientifica. Secondo me, non si può degradare la questione a livello di organizzazione di singoli reparti, quasi si trattasse solo di decidere se disporre i letti in un senso o nell'altro con il tal personale o il tal altro: si tratta di una valutazione degli standard ritenuti necessari a questo livello di conoscenza per ogni singola specialità.
La Lombardia ha portato questo piano in Commissione ed ora è in corso un'ampia consultazione, che porta a valutazioni pro e contro, come ne possono sorgere tutte le volte che si toccano anche particolari interessi locali.
L'Emilia-Romagna non ha ritenuto di fare un piano ospedaliero al momento: ha impegnato la Giunta a farlo entro un anno, e quindi l'applicazione si avrà a 1975 inoltrato, visto che la presentazione è stata fatta il 24 gennaio '74 ed è previsto oltre un anno dall'entrata in vigore della legge. Nel frattempo, ha fissato degli obiettivi: una elencazione programmatica, non precettiva - su cui non mi consentirei minimamente di esprimere delle posizioni negative o delle posizioni contrastanti -, una certa metodologia per la costruzione, per la formulazione del piano ospedaliero; ed ha indicato dei criteri molto generali, non specificati in articoli, sui rapporti tra piano ospedaliero e piano sanitario.
Ognuno ha la sua autonomia, ma mi pare sia apparso evidente che la strada seguita dalla Giunta Regionale del Piemonte non sia stata poi molto diversa: ha sempre riaffermato questa posizione (piano regionale, piano ospedaliero come integrazione); ha cercato, certo, con difficoltà prima, di mandare avanti le due serie di progetti e di discussioni, di guardare al territorio come zonizzazione, di tenere presente tutto ciò che non era ospedaliero, vale a dire la prevenzione, la sanità pubblica, il servizio relativo all'inquinamento, all'ambiente, la polizia veterinaria, cioè tutto ciò che è settore della sanità pubblica, e nello stesso tempo di avviare il discorso che più attiene alle nostre particolari ed immediate cure, che è quello ospedaliero.
Mi pare che in quella metodologia che la Giunta ha seguito fosse compreso l'intendimento di far scaturire da quelli che operano nelle singole materie delle indicazioni per ogni specialità (anche qui, non degradiamoli a reparto) e di presentare questo al Consiglio attraverso la Commissione per le ulteriori fasi. Sarà una via migliore o meno buona di quella seguita dalle altre Regioni? Non lo so. Ma evidentemente una costruzione di questo genere non può prescindere da indicazioni di obiettivi: quelli che sono stati indicati come metodo per arrivare a proporre dei quesiti. E, quando la formulazione di questi quesiti riguardava i limiti di competenza delle singole specialità, il rapporto con la patologia di confine, la indicazione dove e in che modo dovessero essere realizzati, si ponevano indubbiamente dei criteri di obiettivo. Non si è lasciata libertà dicendo: si faccia in qualsiasi modo; si è detto invece: a questo deve partecipare il Consiglio e la consultazione deve essere larghissima, deve impegnare le forze sociali, deve impegnare le forze politiche, deve impegnare gli Enti locali, e via dicendo. Su questo non ci sono dubbi, perché non ci sono contrasti.
Il piano ospedaliero dev'essere adottato con legge regionale. Sarà adottato quando ci sarà la legge dello Stato, come l'art. 26 della n. 13 impone? La Regione Piemonte riterrà di adottarlo ugualmente se non altro come documento indicativo, programmatico, precettivo nei confronti della Giunta, nei confronti dello stesso Consiglio, dell'Amministrazione Regionale, come meglio riterrà? Questa è domanda cui indubbiamente compete rispondere al Consiglio, esclusivamente al Consiglio. Devono essere consultate le forze politiche e sociali, gli operatori e gli Enti locali eccetera? E' fuor di dubbio. Ma la nostra preoccupazione, giusta o sbagliata, era che il discorso fosse un discorso eminentemente vago, che intervenisse così, su un discorso generale che fosse inficiato, inquinato da interessi particolaristici, di settore, di categoria, qualche volta persino da interessi personali di singoli operatori, il che, in questa materia, è indubbiamente sempre cosa che può verificarsi. E quindi ci siamo chiesti se non fosse il caso di presentare un canovaccio su cui la discussione potesse avvenire, perché la discussione non fosse generica, non fosse su tutte le cose, che si possono dire in questa materia, ma vincolata alla risposta a quei quesiti, e pertanto particolarmente appropriata e pertinente.
Siamo arrivati in ritardo a far questo? Non credo, perché queste cose si costruiscono anche nell'esperienza del lavoro che si compie giorno per giorno. Molti altri magari lo vorrebbero fare: colui al quale questa responsabilità compete cerca di farlo nel migliore dei modi. Ma indubbiamente non è mai tardi, per incominciare questa attività.
Nessuno ha pensato di operare segretamente per svolgere un'attività che è nell'ordine delle cose, nelle nostre competenze, nelle funzioni del Consiglio. Noi presentiamo gli studi - come abbiamo presentato quelli dell'Ires, insufficienti, ci si dice (ma non mi pare che ne sia stato fatto un esame approfondito nel bene e nel male) - che coloro che abbiamo incaricato di farli ci hanno consegnato. Daremo anche la nostra valutazione. Potremo darla subito, potremo darla dopo che il Consiglio si sarà pronunciato, o durante l'esame che il Consiglio farà. Possiamo presentarla, come intendiamo sia presentata, come credo sia nella competenza, nel giudizio, nella volontà della Commissione, a quante forze vorranno essere consultate. Ma è fuor di dubbio che vogliamo che questa consultazione sia la più ampia possibile e questo apporto sia effettivamente dato, affinché il risultato sia positivo per tutti. Non pensiamo assolutamente, come taluno in questa fase di discussione qualche volta polemica ci ha detto, che tutto questo debba essere accantonato: mancheremmo ad una nostra responsabilità, nell'attesa di discutere, o di allegarvi, un altro materiale, più vasto, di cui i confini sono quanto mai incerti, e che oggi, oltre tutto, alle soglie di una riforma sanitaria potrebbero essere vicini ma che indubbiamente non ci metterebbero al riparo del nostro dovere di conoscenza di provvedere per quello che è già nella nostra competenza di provvedere.
Spero di essere riuscito, se non altro, a dissipare con la mia replica certi dubbi, certi sospetti, se vi erano, certi timori che si volesse andar oltre le proprie competenze, chissà in quale modo. Se così non fosse, siamo sempre a disposizione affinché il nostro apporto sia un apporto che si verifica nel confronto con gli altri, affinché ognuno possa dare quanto di meglio può dare, ovviamente con una chiara definizione delle singole responsabilità, in modo che si possa effettivamente procedere e non rimanere paralizzati in una sterile discussione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Debbo due risposte all'intervento del Consigliere Berti e una precisazione di carattere generale.
L'Assessore Armella, al quale è stata rinnovata la delega per il settore della Sanità, non agisce in persona propria ma agisce quale delegato della Giunta, e quindi a nome di tutta la Giunta, per cui la sua politica nel campo sanitario non è una politica personale ma una politica che trova il consenso e lo stimolo di tutta quanta la Giunta, la quale a mezzo mio intende, questa sera, dargli la testimonianza esplicita di questa solidarietà.



BERTI Antonio

Non abbiamo chiesto la sfiducia per Armella.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Consigliere Berti, lei ha una innegabile abilità di guastatore: me ne sono reso conto qualche giorno fa. E di questa qualità ha dato prova anche oggi, insinuando nel suo intervento dichiarazioni miranti a scardinare quella omogeneità che in un organo collegiale come la Giunta deve esistere proprio perché il lavoro si svolga e si concluda in modo proficuo. Le do atto di questa sua abilità che la contraddistingue, e che oggi si è espressa in misura forse maggiore di altre volte; ma indubbiamente debbo un poco riguardarmi dagli incuneamenti che lei cerca di fare per rompere una certa compagine.
Fatta questa dichiarazione, desidero essere altrettanto preciso nel confermare le linee che l'intera Giunta intende proporre e continuare collegandosi a quel discorso al quale lei, Consigliere Berti, si è richiamato, del settembre 1970, da me fatto come Consigliere, ma che era stato recepito dalle Giunta precedente come un motivo fondamentale dell'azione da svilupparsi in questo settore. Al centro del problema della sanità nel suo complesso viene posto, almeno per ora, l'aspetto ospedaliero, ma la Giunta non finalizza all'aspetto ospedaliero tutta l'attività che svolge nelle altre direzioni. Essa ribadisce la linea indicativa della sua azione nel senso che la riforma sanitaria, anche a livello regionale, che sarà concretamente fattibile soltanto il giorno in cui vi saranno delle disposizioni legislative - che attendiamo, queste sì è vero, ed io accolgo l'invito a rinnovare al Governo un sollecito pressante perché queste leggi vengano finalmente emanate così da consentire alla Regione di operare -, terrà conto dei tre momenti: prevenzione (e una delle delibere alle quali si è riferito oggi l'Assessore Armella va proprio in questa direzione); aspetto ospedaliero, che è cogente, e non può, in questo momento, venire pretermesso dalla Regione, perché in materia sanitaria vi sono delle deleghe specifiche, e la Regione in questa materia deve dare dei pareri, sarebbe in grave torto se non si pronunciasse (certo molto meglio sarebbe stato se vi fosse stata la legge sanitaria che avesse consentito di collocare subito l'aspetto ospedaliero in maniera da impedire delle compromissioni per il momento terminale di questa operatività, ma questo non può essere addebitato né alla Giunta attuale, che io presiedo né alla Giunta che l'ha preceduta nell'esercizio di questa attività) recupero, che è all'esame, è allo studio, ma che non trova la possibilità di una concretizzazione legislativa se non nei limiti e nei termini che lei stesso ha sottolineato, Consigliere Berti, e che l'Assessore Armella ha puntualizzato, di una o due Regioni che si sono date delle linee di carattere generale, ed hanno ritenuto di farlo con una legge (la nostra Regione non ha ritenuto di farlo con una legge; la Regione lombarda, di cui lei ha parlato, non lo ha fatto con una legge, ma ha presentato alla Commissione Sanità direttamente un piano ospedaliero, che io sto esaminando in questi giorni indubbiamente molto rilevante, molto importante, molto interessante).
Noi queste linee ce le siamo proposte, e quel tanto o quel poco che è possibile fare lo si fa proprio in questa particolare direzione: gli interventi vengono finalizzati alla prospettiva della riforma sanitaria. La quale, oltre tutto, è abbastanza difficile da prefigurarsi. Eravamo insieme al Comitato regionale per la programmazione ospedaliera. Parlavamo allora e attendevamo allora, l'Unità sanitaria locale: sembrava che tutta la riforma sanitaria, compreso un aspetto della riforma ospedaliera, dovesse ancorarsi a quella realizzazione. Siamo ancora nel limbo delle ipotesi delle previsioni, ciascuno se l'è prefigurata a modo suo, questa Unità sanitaria, e non si è concretato assolutamente nulla. Che cosa importa di fare? Importa di fare che non si guasti, nella fase operativa alla quale siamo tenuti, perché non ravvisiamo centro del problema l'ospedale, ma riteniamo doveroso da parte della Giunta, effettivamente, per quel tanto di delega che c'è stato, attenersi a questa indicazione.
Per cui, rispondendo alla sua prima domanda, Consigliere Berti, dir che certamente la Giunta si farà interprete (penso che nella stessa seduta di domani potrebbe esserci la espressione di questo pensiero collegiale della Giunta presso il Governo) della necessità che, la tante volte annunciata riforma sanitaria vada innanzi in modo da metterci in condizioni di procedere a nostra volta.
Vorrei fare una proposta concreta, e, se me lo consente, Consigliere Berti, respingere l'affermazione che la Giunta sia stata assente nel momento in cui la IV Commissione intendeva avere alcuni chiarimenti. Certo la IV Commissione può andare innanzi anche senza il parere della Giunta. E' indubbio però, lo ha rilevato anche lei che quando c'è un parere della Giunta si cammina più speditamente, perché si sa in definitiva qual è la strada che si vuol prescegliere praticamente da quell'organo che ha la responsabilità della maggioranza e quindi della conduzione. Ma in quella sede l'Assessore Armella, incaricato dalla Giunta, ha espresso il parere della Giunta stessa, e poco tempo dopo il Presidente della Giunta, con una lettera, che dev'essere agli atti, ha ribadito tale punto di vista. Quello che devo respingere è che si consideri tutto questo atteggiamento, che qualche volta è determinato da esigenze di lavoro veramente complesse e notevoli, di un ritardo del quale io mi dolgo sempre, anche se non ho l'impressione di essere consapevole di un ritardo qualsiasi, come una specie di veto. A simile interpretazione mi oppongo nel modo più assoluto per l'infinito rispetto che ho dei singoli Consiglieri regionali, del Consiglio Regionale e delle Commissione che operano al servizio del Consiglio regionale.



BERTI Antonio

Un veto alla maggioranza: a noi non potrebbe certo porlo.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Men che meno.



BERTI Antonio

Lei non entra nel merito della legge. Dice soltanto: la Giunta è del parere che questa legge non debba andare avanti, punto e basta. Il veto è alla maggioranza, ovviamente, non a noi.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Ma no! E' soltanto la espressione del pensiero della Giunta. I membri della Commissione possono benissimo dichiararsi di diverso avviso. Non è mai capitato in Consiglio Regionale che vi siano stati voti non dati.



BERTI Antonio

Come no? Sempre, in Commissione tutti i giorni! La maggioranza si dissocia sempre dalla Giunta!



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Vorrei ancora fare una precisazione, alla quale non ha pensato l'Assessore Armella, sulla presa di posizione dei Sindaci che chiedono l'applicazione della delibera con una interpretazione però difforme dallo spirito e dalla lettera del suo testo.
Sono effettivamente venuti la settimana scorsa a chiedere un incontro con l'Assessore, auspicando che io potessi presenziarvi. L'Assessore ha immediatamente accolto l'istanza ed ha fissato l'incontro per il 24 di questo mese, facendone dare tempestiva comunicazione ai Sindaci interessati.
Il Consigliere Berti chiede un metodo allargato per quella che pu essere la eventuale costituzione di un Comitato Regionale della Sanità. A priori non respingo la richiesta - parlo a titolo personale: sarà la Giunta a decidere, evidentemente, proprio per quel rispetto all'organo collegiale che io continuo ostinatamente a sottolineare -. Ma bisogna che noi teniamo conto che la Giunta ha dei doveri e delle responsabilità. Il Consiglio Regionale, sapendo che l'Assessore, confortato dal parere della Giunta, ha ritenuto opportuno far approntare uno studio - l'elaborato, alla fine di questa settimana sarà messo a disposizione di tutti i Consiglieri - che raccoglie le opinioni, i suggerimenti di uomini di esperienza su quella che potrà essere la impostazione per la soluzione progettata, ipotizzata niente affatto vincolante l'attività del Consiglio e neanche della Giunta stessa, mi sembra possa accogliere il pensiero, la proposta che il Presidente della Giunta formula, e cioè di non considerare chiuso il dibattito di questa sera ma di puntualizzarlo ulteriormente quando i singoli Consiglieri abbiano preso conoscenza, come prenderà la Giunta, di questi dati conoscitivi che provengono dagli esperti in materia ospedaliera. Probabilmente, a quel momento anche noi potremo trovarci nella condizione di poter varare più rapidamente di quello che avevamo pensato in attesa della riforma sanitaria a livello nazionale, quel piano che oggi si chiama di salvaguardia e che potrebbe avere anche una prospettiva di piano definitivo.
In termini concreti, pertanto, chiederei al Consiglio di voler aggiornare ancora la discussione su questo tema in attesa di conoscere i risultati degli studi che a fine settimana l'Assessore avrà a disposizione.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Tra i tanti altri punti che richiederebbero un chiarimento di contenuti nelle dichiarazioni del Presidente Oberto vi è un accenno che mi interessa in particolare approfondire. Egli ha detto che quando ogni Consigliere disporrà della documentazione preparata dagli esperti potremo anche discutere del piano di salvaguardia. Vorrei fosse chiaro che il nostro progetto di legge, per il quale la IV Commissione ha nominato un relatore prosegue regolarmente il suo iter.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

La IV Commissione procede per suo conto.



PRESIDENTE

Ha così termine il dibattito.
Mentre prego i Capigruppo e il Presidente della Giunta di trattenersi ancora qualche istante per prendere accordi relativamente alla prossima seduta, invito il segretario Franzi a dar lettura di una interpellanza urgente pervenuta alla Presidenza.


Argomento:

Interpellanza (annuncio)


FRANZI Piero, segretario

E' giunta una interpellanza urgente a firma Ferraris - Lo Turco Revelli, "per sapere dal Presidente della Giunta e dall'Assessore incaricato quali iniziative intendono assumere in ordine alla creazione dell'ipermercato nel Comune di Castagnito d'Alba della Società UNI-EURO".



PRESIDENTE

La prossima seduta è prevista per i giorni 24, ore 9,30 e 15, e 26, ore 15, con all'ordine del giorno la legge per la zootecnia. Dichiaro chiusa la seduta odierna.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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