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Dettaglio seduta n.216 del 11/04/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Osservatorio regionale del mercato del lavoro - Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati

Esame mozione presentata in data 7 febbraio 1974 dai Consiglieri Rossotto Zanone, Fassino, Gerini


PRESIDENTE

I lavori riprendono con il punto quinto dell'o.d.g.; "Esame mozione presentata in data 7 febbraio 1974 dai Consiglieri Rossotto, Zanone Fassino, Gerini".
Ritengo sia superfluo leggere la mozione, che è stata distribuita tempestivamente.
Il Consigliere Rossotto uno dei presentatori, desidera illustrarla. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questa mozione era stata presentata il 7 febbraio scorso, con il significato di una assunzione di responsabilità da parte del Gruppo liberale di fronte alla situazione preoccupante che si stava allora delineando e che in questi giorni si sta concretizzando per l'economia nazionale, e specialmente per l'economia piemontese; una assunzione di responsabilità, nei confronti delle forze politiche presenti in quest'aula e dell'opinione pubblica tutta, attraverso suggerimenti, o impegni, ad agire perché le conseguenze dannose che di giorno in giorno in modo sempre più realisticamente drammatico si evidenziano ai nostri occhi potessero essere almeno rallentate, contenute o almeno ad una verifica della possibilità di un intervento, adeguato da parte delle componenti politiche.
Su questa questione si può discorrere a lungo, oppure si può liquidare l'argomento con poche parole. Da più parti oggi è stato chiesto di far avvenire il dibattito sulla mozione congiuntamente alla discussione sul bilancio, che finalmente la Giunta ha approvato e che finalmente è arrivato alle Commissioni. Il 30 di aprile, termine invalicabile entro il quale il bilancio dev'essere approvato, se non si vuole che la Regione si venga a trovare in difficoltà anche in rapporto alle necessità spicciole quotidiane, si avvicina in modo impressionante: in Commissione I abbiamo già valutato la situazione e le conseguenze di un eventuale superamento di tali termini. Da parte delle forze di opposizione, del mio Gruppo come del Gruppo di opposizione più forte, quello comunista, è stata dichiarata la piena disponibilità a che l'esame del bilancio avvenga nel pieno rispetto dei termini statutari, tal che si possa averne un confronto con le forze vive della Regione prima di quel 27 di maggio il cui superamento porterebbe il nostro istituto, tra l'altro, a venir meno a certi impegni, doverosi non fosse altro come datore di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti, primi collaboratori della Regione.
Non è dunque per "tremendismo", per cocciuta intransigenza, che abbiamo insistito per discutere oggi di questa mozione, come un uditorio di Consiglieri regionali invero non troppo numeroso né visibilmente interessato; è ciò non per desiderio di anticipare i tempi del dibattito sul bilancio, o di ricordare che il 7 di febbraio è stata presa una iniziativa da parte di una componente dell'opposizione in questo Consiglio Regionale; ma è invece, prima di tutto, per assumerci chiaramente delle responsabilità e nello stesso tempo per iniziare ad illustrare quelli che possono essere i grossi temi su cui si dovrà imperniare la discussione sul bilancio.
E' indubbio, signori, che il nostro Paese sta attraversando un momento altamente preoccupante. Viene meno in molte circostanze, e negli operatori e nei cittadini, la fiducia che vi siano possibilità di sopravvivenza di un certo tipo di Governo, e si ha al tempo stesso la sensazione che si stia sgretolando un certo sistema economico sulla scoperta del quale la democrazia italiana, nel 1947, aveva baldanzosamente, e con grandi speranze e grandi possibilità, imboccato la via del dialogo con gli altri Paesi liberi e la stessa comprensione nei confronti di coloro che molti di noi non considerano liberi, ma con i quali vogliamo avere rapporti di umana cordialità, di umano e reciproco rispetto, nel tentativo di edificare una società più ampia, più libera e più responsabile.
Con questa mozione il Gruppo liberale ha pensato di dare una risposta ai problemi contingenti, problemi che, a livello di studio, di discussione di dibattito tra le forze vive della Regione, tra le forze politiche, erano già emersi, che investono i grandi temi della nostra società regionale: la necessità di una diversificazione industriale nell'area metropolitana, la necessità di un riequilibrio dell'assetto regionale la necessità del rilancio di attività produttive che colposamente nel passato prossimo sono state dimenticate, o per dolo o per la necessità stessa logica di certi trasferimenti di forze-lavoro dal mondo agricolo al mondo industriale (mi riferisco allo stato di abbandono in cui è stata lasciata per vent'anni l'agricoltura nel tentativo di portare il Paese a più elevati tenori di vita attraverso una concentrazione, una trasformazione industriale, facendo pagare al mondo dell'agricoltura alti scotti e nel contempo cercando di alleggerirne il peso con interventi assistenziali che per vent'anni hanno rappresentato tutta una politica economica nei confronti dell'agricoltura).
Nel momento in cui già si evidenziava la crisi dell'industria automobilistica, industria traente della nostra Regione e della nostra area metropolitana, in anticipo sulle previsioni, che la consideravano possibile alla fine degli anni Settanta, fra il '75 e l' '80; quando si era ormai a conoscenza che anche tutti i Paesi industrializzati, a livello di industrializzazione più elevato del nostro, avevano subito un arresto della produttività di prima collocazione e stavano promuovendo una attività di sostituzione nel mercato automobilistico; mentre la crisi energetica faceva drammaticamente ridurre il volume delle commesse, cosicché seimila dipendenti delle Officine Lancia venivano posti in Cassa integrazione mentre dai giornali apprendevamo - e lei, signor Presidente, personalmente dall'Amministratore delegato - che se _nulla fosse mutato nell'impostazione governativa, qualcosa di analogo sarebbe avvenuto per ventimila dipendenti della FIAT, era ovvio che si dovesse impostare immediatamente una strategia, con risposte immediate ed altre a tempi più lunghi.
Noi abbiamo allora individuato due settori sui quali intervenire: il settore dell'edilizia, sul quale si poteva operare immediatamente attraverso un impegno globale delle forze politiche e delle forze economiche chiamate a raduno dalla nostra volontà politica, e il settore dell'agricoltura, con un intervento stabile, costruttivo, fatto avviando un processo che avrebbe premiato a tempi medi, ma che indubbiamente poteva rappresentare, nell'ampio quadro di piani di sviluppo, non una azione contingente ma una azione di più ampio respiro.
Riservando al collega Zanone, la trattazione dei problemi dell'edilizia, vorrei dire, rimanendo ancora sulle grandi linee generali che non si può protrarre una situazione di equivoco, con le parole continuamente dette e ripetute, e che hanno costituito anche base di quel documento su cui noi attendevamo di avere con la Giunta (quando, non più chiamati a far parte della maggioranza, ci siamo adattati alla nuova realtà, per consentire l'avvio di un nuovo modello di sviluppo che sembrava l'elemento atto a risolvere tutti i nostri mali) un confronto che fino ad ora non abbiamo avuto (abbiamo soltanto letto sui giornali che è stato finalmente approntato un bilancio che prevede 132 miliardi di impegno da parte della Regione, del che parleremo per le notizie che sono apparse, e in maniera indubbiamente più concreta quando questo bilancio avremo potuto esaminare concretamente e nei suoi impegni e nel suo significato politico).
I liberali sentono oggi il dovere di dare il loro contributo politico di idee alla soluzione di questa crisi, trascurando di valutare l'opportunità di non apparire troppo crudi: la realtà impone oggi alla classe politica il massimo della responsabilità e l'espressione molto chiara, e quindi molto, cruda; del suo pensiero.
Si dice che il nostro sistema si è inceppato. In effetti, qualcosa non funziona regolarmente, se siamo arrivati alla situazione che tutti conosciamo. Non soltanto sulla base di quello che apprendiamo dai giornali ma anche proprio di quello che apprendiamo direttamente, per la nostra qualità di uomini che partecipano alla lotta politica, dagli amici che operano a livello più elevato, oppure operando noi stessi ad altri livelli ci rendiamo conto che oggi tutto il discorso viene rovesciato. Si fanno le crisi di governo discutendo sulla deflazione e l'inflazione, si accusa un certo tipo di Governo dl aver lasciato che il Paese precipitasse nell'inflazione, si rimane nell'equivoco più assoluto. Poi, all'improvviso pur premiando a parole il discorso di una politica di investimenti, ci si ritrova giorno per giorno di fronte alla drammatica realtà in cui si trovano i nostri operatori a livello degli enti comunali, in cui si trovano tutte le nostre aziende sulle quali direttamente la mano pubblica agisce con una azione che in aumento è netta chiusura ad un certo tipo di espansione.
La situazione in cui siamo non permette più di giocare con le grandi cifre: quelle poche che ci sono pare debbano non essere usate soltanto più per il nostro sostentamento, ma essere l'unico momento per poter rilanciare un qualche tipo di impegno. Giorno per giorno, misure drastiche si abbattono, come mazzate, sulla nostra economia. Mai nessun Governo ha impostato la sua politica economica in misura così chiaramente deflazionistica. Nel 1948, allorché era ministro del Bilancio un liberale che fu poi Presidente della Repubblica, si seppe contemperare l'arresto della facilità della spesa con una ripresa continua della possibilità di investimenti economici; oggi, invece, sentiamo che a tutti i livelli la parola d'ordine è: non più crediti, non più denaro. E la conseguenza è il blocco di ogni attività. Quale realtà si apre davanti tutto questo? La realtà di centinaia di migliaia di disoccupati, o di milioni di disoccupati. E' un primo aspetto, non polemico, sul quale ci dobbiamo misurare.
Come siamo arrivati a questa posizione? A livello di problemi di sviluppo della nostra Regione, in senso positivo e in senso negativo l'evolversi dei fatti può portare anche a situazioni deficitarie, che purtroppo da un po' di tempo a questa parte stiamo constatando in maniera sempre più drammatica. Quando il collega Minucci, esaminando il piano regionale, anzi, l'ipotesi di piano dell'lRES, ha posto chiaramente, e ci in coerenza con tutta una linea politica ed economica che il Partito comunista porta avanti con costante serietà da 27 anni nel nostro Paese sia con precise e nuove scelte di politica estera, sia a livello di politica economica, sia a livello di politica regionale - i fondamenti per una soluzione verso la quale la sua forza politica è disponibile. Egli ha detto che il Piemonte non doveva più essere posto in una logica di stretto collegamento con le aree forti europee ed ha centrato essenzialmente, in opposizione a questo discorso, tutta una politica del meridione nei confronti della quale la Regione Piemonte deve rallentare, arrestare un certo suo tipo di sviluppo proprio per poter.....



MINUCCI Adalberto

No no.



ROSSOTTO Carlo Felice

Si, nell'intervento parli di arresto di nuovi investimenti, quindi di rallentamento del tema produttivo. Questa è la mia interpretazione, lascio all'autore delle parole, che indubbiamente parlerà su questo tipo di impostazione, spiegare che cosa ha voluto dire. Diceva che tutto ciò che portava ad un collegamento con le aree forti dell'Europa, determinava logicamente nei nostri riflessi una politica industriale ed economica colonializzata da parte di industrie europee che avevano un livello tecnologico più alto del nostro e che quindi tale soluzione ci avrebbe sempre tenuti in una situazione di subordine industriale: a ciò bisognava ovviare non soltanto attraverso una politica di incentivazione dei consumi interni il che non voleva dire autarchia, ma voleva dire aprire i canali commerciali nei confronti dei Paesi dell'Est ricercare nei confronti dei paesi meno progrediti più vivi scambi di quelli che attualmente abbiamo con il mondo libero. Tutto l'opposto di un'economia di mercato, per far sì che noi si andasse verso e con mercati che avevano e sollecitavano bisogni tecnologicamente più avanzati di quelli che erano rappresentati da un'industria meccanica automobilistica tradizionale: e questa è una grossa scelta sulla quale il Consiglio Regionale deve prendere una decisione. Noi non crediamo a questo tipo di soluzione dei nostri problemi che non può che essere portato avanti con coerenza del solo Gruppo comunista, e ciò avrebbe come conseguenza la lenta nostra uscita dall'area comunitaria la fine di una politica di libero mercato. E qui il discorso non è più a livelli monetari, ma è a livelli di scambi diretti dove viene premiato il lavoro (le esperienze sorgono proprio dai paesi ad economia industrializzata che hanno conosciuto questo sistema) ma non viene premiato lo sforzo, il processo di avanzamento tecnologico che presuppone la possibilità di grossi investimenti, la necessità di un contatto continuo con la realtà, che presuppone il mondo vivo di una domanda che può determinare il sorgere di quelle forze spontanee che devono essere regolamentate dalla mano pubblica ma che spontaneamente sorgono per dare alla domanda una risposta immediata e remunerativa.
Ebbene, quando il discorso è in questi termini e il sistema nostro si inceppa (perché oggi si è inceppato) i problemi sono molto semplicemente posti: o riteniamo che si è inceppato perché non è più rispondente e accettiamo quest'altro tipo di logica quella comunista, oppure con costanza cerchiamo di individuare per quali motivi si è inceppato. E allora occorre che prima di tutto gli interventi per quelle che sono le minime disponibilità rientrino in un quadro generale di divisione economica dei problemi e se vogliamo rimanere in un discorso di mercato, di competitività, dobbiamo ricordarci che esistono certi concetti fondamentali che sono concetti di rapporto tra il capitale impiegato e il rapporto di lavoro, di reddito, di produttività. Dobbiamo renderci conto che a monte di tutto questo esiste una politica che è andata a premiare sempre di più un tentativo di discorso globale con le forze vive, che poi si è tradotto in un discorso sempre più corporativo. Noi non possiamo oggi non guardare in faccia la realtà: parliamo di piano, di razionalizzazione, di interventi efficienti in un momento in cui invece tutto sta diventando disorganico, in cui si sta sfasciando addirittura la macchina dello Stato. Non è polemico il dire che oggi non funziona nulla, nemmeno i servizi più elementari quelli che nell'800 funzionavano; quando in Commissione dobbiamo affrontare un rapido collegamento con la nostra comunità e dobbiamo ricorrere a messaggeri che in macchina vadano a portare a Cuneo, ad Alessandria, a Vercelli i pacchi postali che dovrebbero essere affidati ad un servizio celere, vuol dire che qualche cosa non ha funzionato. Quando ci troviamo di fronte ai bilanci delle aziende municipalizzate, tipo quello dell'azienda di trasporto di Torino che ha raggiunto dei vertici di indebitamento assurdi, impressionanti, che l'anno scorso rappresentavano i due terzi del nostro bilancio, che quest'anno ne rappresentano il 45% e andiamo a esaminare la situazione che esiste in queste aziende, ci rendiamo conto che è stato premiato un discorso corporativistico, ma non è più fare giustizia sociale questo, ma è dare a chi ha gridato di più e ciò può solo giustificare un certo tipo di inefficienza. Quando sappiamo che all'ospedale San Giovanni di Torino su 3500 assistiti sono 3500 i dipendenti: quando arriviamo al punto di conoscere queste assurdità ci rendiamo conto che il sistema non è che non sia valido, ma abbiamo lasciato che lentamente un certo tipo di logica lassista cedesse giorno per giorno di fronte a istanze (e qui la colpa e di tutti ed è logico quindi che coloro che non credono in questo tipo di sistema aspettino attraverso il suo fallimento, il loro momento non attraverso un'indicazione elettorale ma attraverso questa realtà che si impone nel Paese e che può mutare determinate condizioni. Andare, attraverso un ente pubblico (SATTI) a municipalizzare, a pubblicizzare un'azienda di trasporti privati tipo la Pont Canavese-Torino dove due erano i dipendenti che automaticamente sono diventati sei, non è fare giustizia sociale perché questi oneri che si aggiungono al deficit delle aziende ricadono su tutta quanta la collettività non soltanto in termini di imposte trattenute direttamente alla fonte che dai primi di gennaio del 1974 hanno rappresentato per un mucchio di lavoratori dipendenti una dura e cruda realtà, ma in termini di quell'altra tassa più ingiusta di tutte che si chiama inflazione che oggi sta colpendo tutte le categorie.
In questo quadro occorrono delle chiare scelte di campo, o rimaniamo in una via di mezzo tra la finta socialità di forze che giustamente rappresentando nel paese 10 milioni di voti, e buttano sul tavolo tutte le istanze nell'inefficienza del nostro sistema dal loro punto di vista politico, non credendo in questo sistema, volendolo mutare, e chiedono a tutti un'immediata risposta; a questo punto noi ci dobbiamo misurare non in termini di facile socialità, ma di concreta socialità dicendo i no e dicendo i sì necessari e vedendo a monte dove sono le lacune per cui questa macchina si è inceppata.
Si impone così la logica di questa mozione che è voler risolvere non solo in termini congiunturali, ma programmatici la situazione della nostra Regione nei settori dell'edilizia e contemporaneamente dell'agricoltura con risposte a tempi più lunghi, ma bisogna anche vedere a monte che cosa impedisce un certo tipo di discorso che è valido per il sistema. E caso strano non in tono provocatorio o a tutela di vecchi interessi, o perch come diceva l'on. Fanfani, noi rappresentiamo i proprietari e i ricchi (magari così fosse, perché in Italia allora avremmo una forza politica ben superiore non come ricchi, ma come proprietari), ma per quanto di antieconomico e quindi di antisociale rappresentano certi tipi di legislazioni che ancora esistono. Qual'è la logica di mantenere - quando la macchina si è inceppata, quando lasciamo che i salari di coloro che lavorano siano decurtati in maniera ingiusta (avevamo già puntualizzato le conseguenze di un certo tipo di politica non responsabilizzata) attraverso la tassa naturale dell'inflazione e nel contempo vogliamo dare soluzione immediata ai problemi senza finalizzarli - quello dei blocchi che naturalmente esistono e che immediatamente rappresentano un certo tipo di punizione verso gli investimenti spontanei che una economia di mercato deve presupporre, deve lasciare che circolino perché se non esistono questi ogni richiesta d'investimento ricade tutto quanto sul potere pubblico, il quale, non avendo disponibilità di tutte le totalità delle risorse, non pu assolutamente rispondere alle necessità. In questa logica, non premiando e non permettendo questa rapida circolazione di beni, di investimenti privati, noi andiamo a premiare automaticamente la soluzione che viene portata avanti con coerenza dal Partito comunista e che dice: tutte le disponibilità siano al servizio delle esigenze primarie di una società.
Se invece noi diciamo che al potere pubblico spetta di sopperire quello cui l'iniziativa privata non sa o non vuole sopperire perché non è remunerativo, dobbiamo anche trarre certe conseguenze.
E parlando dell'agricoltura, a monte di tutto questo discorso, esiste la legge più iniqua dal punto di vista di razionalizzazione, e di attività economica. Noi non possiamo mantenere una legge che facilita sempre più l'abbandono della materia prima indispensabile per l'agricoltura; è inutile dire che più nessuno oggi vuole coltivare i campi, la realtà è che ci ha la disponibilità di questi beni e non li coltiva perché non li può più coltivare, non ha nessun interesse di rimetterli nel circolo generale perché sa che una certa legge gli toglie ogni possibilità immediata di controllo di questo bene. Io dicevo in tono leggermente scandalistico che la legge del blocco degli affitti agrari è iniqua perché non entra in una logica di economia di mercato e dispone che un determinato bene la terra sia lì e non venga remunerato come deve, nello stesso tempo permette che esso non venga sfruttato come si deve e che rimanga soltanto fonte di ulteriori rendite parassitarie a danno di tutta quanta la collettività. Ce ne rendiamo conto oggi di fronte alle situazioni che il nostro mercato di import determina per certe deficienze di produzione interna: questa mattina è stato votato, con l'astensione di due colleghi, un chiaro ordine del giorno in cui si ripropone e si evidenzia l'attuale grave situazione: sono aumentati i costi alle stelle in maniera spropositata per quelle che erano le concrete possibilità e sono diminuite nell'ordine del 20/25% le possibilità di reddito della carne, per l'allevatore. E noi pensiamo di correre questi errori coi pannicelli caldi senza chiaramente individuare il problema.
Io ho sentito parlare di 32 miliardi di investimenti a favore dell'agricoltura. A parte il fatto che vorremmo vedere in questo bilancio e quanto ammontano le spese correnti e altri oneri non direttamente produttivi anche facendo dei tagli e rimanendo nell'ordine dei venti miliardi di spese dirette da buttare sul mercato come trasferimento a favore di questo settore in profonda crisi, noi diciamo che non è sufficiente ma non lo è perché nello stesso momento in cui il mercato finanziario pone dei costi e dei tassi veramente impressionanti per il tipo di politica che ormai il paese da un punto di vista economico è costretto a fare, noi non chiamiamo al nostro fianco l' intervento di tutte le risorse disponibili da parte del potere privato che essendo fonte di beni di primaria necessità può essere interessante per coloro che cercano la giusta remunerazione al loro capitale.
E allora qui esiste quest'altro problema: si è detto molte volte che tutti gli interventi economici nell'agricoltura hanno premiato le aziende di stampo capitalistico e non il coltivatore diretto, non colui che nella fatica quotidiana sua, con una certa impreparazione, vuole affrontare la dura battaglia di uomo della terra e diventare operatore economico; ci si deve rendere conto che la possibilità di garanzie che costui può dare sta nella limitata spesa degli strumenti, degli attrezzi di lavoro o di quelle poche somme disponibili per sopravvivere nella gestione dell'azienda; se invece vogliamo che avvengano interventi d'ordine strutturale nell'ambito dell'azienda stessa non dobbiamo presupporre e supporre la necessità di garanzie dato che esiste l'impossibilità da parte di molti operatori di fornirle, in quanto gli unici che possono darle sono quelli che hanno già una struttura economica talmente consistente per cui è facile dire che un certo tipo di politica che è stata fatta negli anni passati ha premiato unicamente le aziende a carattere capitalistico.
Io penso che nei due mesi in cui la nostra mozione è rimasta ferma forse si poteva ragionare e vedere quali possibilità esistevano per realizzare a livello regionale un leasing immobiliare, i costi sono uguali identici per quello che può essere speso per i mutui o la richiesta di capitale, ma attraverso il riscatto del bene realizzato, indubbiamente si toglieva di mezzo la necessità, valutata la validità dell'opera, di dover dare garanzie da parte di chi queste garanzie non le può dare, e pu soltanto garantire di voler lavorare. Questo sarebbe un premio nei confronti di coloro che verso la terra hanno non soltanto un discorso di amore generalizzato o il gusto di trarne profitto, ma che del rapporto terra - lavoro vogliono trarre la loro dignità di vita quotidiana.
E così oggi forse tutte le proposte che vi sono nella mozione di fronte alla realtà economica e finanziaria che si sta evidenziando tutti i discorsi sui mutui, sui tassi agevolati, stanno saltando e se la Giunta continuerà ad operare in questo senso non risponderemo assolutamente alle domande che la nostra realtà sociale ed economica pone, anzi creeremo più forti residui passivi. E qui il problema non è soltanto per il mondo dell'agricoltura, ma è anche per tutta l'attività a favore di infrastrutture sociali che noi come Consiglio Regionale abbiamo fatto nel passato e che oggi deve essere rivista, perché io chiedo quante possibilità d'ora in avanti avranno i Comuni di rispondere ai nostri interventi integrativi per realizzare opere sociali a tutti i livelli, quando in condizioni di indebitamento generale gli Enti locali, di fronte ad una riduzione di contributi, per agire devono ricorrere al mercato del credito e non possono dare garanzie sufficienti? Ed ecco l'altra proposta: la Regione deve studiare il modo di intervenire per assumersi il rischio finanziario di certi tipi di investimenti sociali, per far sì che per determinate opere che si inquadrano nelle linee generali di un decongestionamento dell'area metropolitana, o di un'elevazione del tenore infrastrutturale sociale della comunità regionale nel suo complesso, si possa venire in aiuto con la garanzia regionale all'azione autonoma degli Enti locali mentre gli altri hanno soltanto l'obbligo e l'onere di assorbire lentamente questo tipo di opere. Ecco, questo era il significato al 7 febbraio del 1974 della mozione che abbiamo presentato, con alcune specifiche indicazioni, settore per settore, sulle quali ritorneremo e che non mi pare corretto in questa sede riesporle, visto che il documento è conosciuto. Io mi auguro che la Giunta su questo documento nella redazione del proprio bilancio abbia potuto meditare, e verificheremo al momento del dibattito quanto di ciò è stato acquisito, quanto di meglio è stato proposto, pronti a riconoscere che avendo in mano l'esecutivo si sono potuti conoscere e suggerire strumenti migliori. Non si può parlare di democrazia, di libertà, di mondo libero in termini astratti e poi non cercare di vedere è individuare le implicazioni d'ordine economico che questo tipo di scelta ha. E' indubbio che una scelta o un'altra portano dei costi economici che in ogni caso la collettività deve pagare, ma si deve sapere chiaramente qual'è la scelta che si vuole fare, non rimanere in una politica di equivoco che giorno per giorno recepisce, su singoli problemi, qualcosa dell'uno, poco dell'altro per giustificare che le scelte sono, tutto sommato, conciliabili. Non è possibile, io ritengo, conciliare due sistemi chiari e distinti e lo si evidenzia in questo dibattito, nei dibattiti pregressi, lo si evidenzia negli scontri che ci sono stati a livello governativo, col significato che una certa lettera di interventi aveva e che non le si voleva dare, mentre la realtà voleva dire sette miliardi di dollari di debito che quest'anno dobbiamo contrarre col mondo libero per poter rimanere nell'ambito di questo mondo libero, lettera di intenti che era soltanto in funzione di un miliardo e 200 milioni, ma che voleva rappresentare il certificato di buona condotta per contrarre gli altri debiti necessari per rimanere nelle regole di una economia di mercato in cui prevale il rapporto monetario.
Questo è il quadro nel quale il Gruppo si presentava in questo Consiglio, due mesi prima del dibattito sul bilancio, con un documento di stimolo a scelte precise, sulle quali saremo, come ultimo atto, giudicati dal nostro corpo elettorale fra un anno. E in questo significato, e per la necessità che indubbiamente non soltanto come ente amministrativo di potere di decentramento, ma anche come ente legislativo, come ente che sa fare scelte politiche e di trarre le conseguenze immediate, a questo Consiglio Regionale si impone di trarre in questo quadro generale delle conclusioni per quella che è la situazione che giorno per giorno si evidenzia e pone alla classe politica chiare e precise domande.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, devo esprimere la mia emozione nel prendere la parola in un'aula così affollata e con segni di attenzione così universale ma questo ci richiama alle migliori consuetudini parlamentari. Il collega Rossotto ha già ricordato che la mozione, presentata per ragioni che noi oggettivamente ritenevamo urgenti, è all'ordine del giorno del Consiglio del 7 febbraio e nel periodo di tempo non breve che da allora ad oggi è intercorso i motivi di preoccupazione sullo stato dell'economia e dell'occupazione in Piemonte, che furono alla base della presentazione del documento del Gruppo liberale, non si sono certo dissipati né attenuati.
Credo sia di comune convincimento il fatto che l'andamento dell'industria automobilistica, la quale fino ad oggi ha costituito l'impresa motrice essenziale dell'economia e dell'occupazione piemontese, nella congiuntura particolare che è derivata dalle restrizioni dei consumi petroliferi ha messo in rilievo la vulnerabilità del nostro sistema produttivo e quindi i pericoli che derivano da un'eccessiva concentrazione e da un'eccessiva specializzazione produttiva. Abbiamo una situazione regionale in cui quasi la metà, per l'esattezza il 49,7% degli addetti all'industria manifatturiera è concentrata nel settore della meccanica e della costruzione di mezzi di trasporto e per quanto riguarda in particolare la provincia di Torino, dove i meccanici sono oltre 300.000, questa percentuale sale al 64,6%. Quindi il problema della diversificazione produttiva è un obiettivo essenziale della programmazione regionale e di quegli indirizzi del piano di sviluppo regionale per cui un giorno o l'altro dovremo pure discutere e deliberare. Noi affermiamo che non si tratta di bloccare, attraverso un indirizzo generico, lo sviluppo dell'attività industriale in Piemonte, la quale anzi si potrà ulteriormente espandere, soprattutto nelle tre province meridionali dove ancora si riscontra un tasso assai elevato di addetti all'agricoltura che va dal 20 della provincia di Alessandria, al 31% di quella di Cuneo e al 33% della provincia di Asti, con incidenze percentuali quindi estremamente elevate.
Possiamo anche ricordare che rispetto alla situazione generale delle tre Regioni del triangolo nord-occidentale, in Piemonte vi è ancora una percentuale complessiva di forza lavoro impegnata nell'agricoltura più elevata della media del triangolo, mentre è inferiore la percentuale degli addetti al terziario. Non vi è dubbio tuttavia che dobbiamo sviluppare le alternative le quali possono servire a rendere il sistema dell'economia e dell'occupazione piemontese meno vulnerabili alle crisi settoriali e nello stesso tempo a soddisfare alcune domande sociali particolarmente pressanti.
Oggi vi sono alcune esigenze chiaramente prioritarie che riguardano bisogni fondamentali nel campo della produzione agricola, sia per quanto riguarda le produzioni alimentari, sia in altri settori, ad esempio quello del legname da carta. Ho visto con compiacimento che la Giunta ha avviato l'attività del comitato regionale per la pioppicoltura, si tratta di un intervento molto settoriale ma che ha un grande significato ai fini del riequilibrio della bilancia commerciale. Vi è un'altra esigenza prioritaria nelle infrastrutture sociali dell'edilizia, soprattutto dell'edilizia scolastica, ospedaliera e abitativa. Quindi la mozione liberale intende impegnare la Regione, anche in questa fase di perdurante incertezza degli indirizzi di programmazione, nelle politiche di intervento dirette a potenziare da un lato la produzione agricola ed alimentare, dall'altro la costruzione di case e di infrastrutture. Per riferirmi al settore edilizio credo che ai colleghi non siano sfuggiti i dati citati nell'ultima edizione del rapporto IRES per il piano regionale 1974/78 che documentano nell'ambito della regione, alla fine del 1973, un fabbisogno insoddisfatto di 2.333.000 vani, calcolando i vani obsoleti e quelli statisticamente sovraffollati ed un fabbisogno aggiuntivo di 259.000 vani nel quinquennio dal '73 al '78 derivante dall'incremento demografico. Sono anche da ricordare le stime che l'ultima edizione del rapporto IRES per il piano di sviluppo contiene per quanto riguarda l'eliminazione del fabbisogno edilizio insoddisfatto, stabilendo due obiettivi che sono già molto al di fuori della portata del piano quinquennale, vale a dire un obiettivo di massima al 1982 e uno di minima fino al 1988; anche fermandoci all'obiettivo di minima, per recuperare questo fabbisogno abitativo insoddisfatto occorre per i prossimi cinque anni di esercizio del piano di sviluppo regionale, cioè dal '74 al '78, un impegno finanziario annuo dell'ordine di circa 350/360 miliardi.
In questa situazione noi riteniamo che occorra una politica regionale di impulso in favore dell'attività edilizia, sia per ridurre questo fabbisogno abitativo insoddisfatto e quindi per ridurre anche i livelli del costo dell'abitazione che oggi sono francamente in molti casi inaccessibili ai redditi medi della popolazione, sia ai fini di difesa dell'occupazione e anche di diversificandone produttiva, dato l'ovvia considerazione che l'occupazione dell'edilizia concerne tutta una serie di possibilità di occupazione indotta, soprattutto nei settori della piccola impresa e dell'artigianato, cioè soprattutto in quei settori in cui una diversificazione produttiva può ridurre l'eccessivo grado di specializzazione dell'economia piemontese.
Credo non siano nel torto quei giuristi che ricorrendo ad alcune interpretazioni piuttosto eleganti, interpretano oggi il problema dell'edilizia popolare come l'erogazione di un servizio sociale, cercando quindi di fare rientrare gli investimenti per questi obiettivi nel quadro della legislazione generale dedicata alla espansione dei servizi sociali. E bisogna dire che di fronte a questa necessità vi è in primo luogo un'evidente insufficienza di investimenti pubblici, (negli ultimi anni la produzione edilizia è dovuta per oltre il 95% all'edilizia privata), là dove a nostro avviso e ad avviso dei competenti un corretto rapporto dovrebbe portare l'edilizia pubblica almeno a livello del 20/25% per soddisfare quella domanda che non può sostenere le pressioni di mercato d'altra parte questa grande prevalenza dell'edilizia privata trova però una difficoltà oggettiva nel regime giuridico, soprattutto per quanto riguarda le locazioni; un regime caotico, irrazionale e per molti aspetti anche socialmente ingiusto.
Cosa può quindi fare in concreto la Regione? La nostra mozione propone alcune iniziative, in parte già schedate nel calendario del Consiglio, che però finora hanno trovato una attuazione molto preliminare da parte degli organi regionali.
Vorrei, rispetto alle proposte di obiettivi elencate a pag. 5 della nostra mozione premetterne una che qui non è ricordata in maniera specifica ed è la necessità di una qualificazione professionale degli addetti, in modo da costituire nell'edilizia una forza di lavoro che essendo qualificata sia anche più stabile e che rimedi alla tradizionale precarietà che contrassegna l'occupazione edilizia, che in molti casi è soltanto una stazione di passaggio dall'occupazione agricola a quella industriale.
Ci è noto, per le informazioni che abbiamo ricevuto in questo senso che iniziative per una qualificazione professionale dei lavoratori edili sono state oggetto di trattativa sindacale e si sono concretate in accordi fra le parti sindacali dei costruttori e dei lavoratori, sicch un'iniziativa regionale di coordinamento e di direzione di questo settore potrebbe anche contare sul concorso e sulla collaborazione delle categorie interessate.
Per quanto riguarda i punti specificamente indicati nella mozione del Gruppo liberale, in primo luogo si richiama qui la necessità di fare il punto sugli strumenti per la pianificazione dell'area metropolitana torinese; probabilmente i colleghi che fanno parte della seconda Commissione del Consiglio sono più informati della generalità di noi su questa vicenda, ma io confesso di ignorare ad esempio che fine abbia fatto la convenzione che dovevamo contrarre con il Ministero del bilancio per avviare il progetto pilota previsto dal documento della programmazione nazionale; così pure non credo che il Consiglio disponga oggi di uno stato di avanzamento degli studi per quanto riguarda le rilevazioni sul piano territoriale di coordinamento dell'area metropolitana.
In questa fase di provvisorietà accade che, essendo la disciplina dei suoli nel territorio comunale di Torino, in parte obiettivamente ristretta dalla sempre maggiore rarefazione di suoli disponibili, in parte anche dal regime vincolistico attuato necessariamente dall'amministrazione comunale oggi l'attività edilizia si riserva principalmente sui Comuni della cintura, là dove, a quanto pare, indipendentemente dal colore politico delle amministrazione, è ancora possibile fare qualche buon affare. Ci avviene però col rischio di un'ulteriore compromissione di questa area e quindi di un'ulteriore riduzione del grado di libertà che avranno i pianificatori regionali quando decideranno l'assetto dell'area metropolitana. Per cui noi dobbiamo augurarci che il piano territoriale di coordinamento intervenga ad instaurare quella gerarchia che in base alla legge gli compete sugli strumenti urbanistici di livello inferiore.
Il secondo punto riguarda il rapporto fra la Regione ed i Comuni circa l'adeguazione e l'approvazione degli strumenti urbanistici. Non voglio angosciare il Consiglio con un tema obbligatorio del Gruppo liberale da tre anni a questa parte, ma nonostante ogni contraria argomentazione continuo a credere che la disciplina attuale, la carenza di disposizioni normative che esistono in tutte le altre Regioni e di cui noi siamo tuttora carenti, è discrezionale in modo imperscrutabile (e su questo si pronunceranno i competenti organi di giustizia amministrativa regionale quando affronteranno i ricorsi a ciò predisposti) ma è anche sospetta di illegittimità.
Prendiamo atto dell'opportuna circolare con cui il Presidente della Regione sul Bollettino ufficiale n. 7 del 15 marzo ha richiamato i Sindaci della Regione alla necessità di aggiornare gli standard urbanistici dei Comuni in base alla legge 765 e desidereremmo avere assicurazioni circa il rispetto dei termini previsti dalla legge e anche circa la possibilità che gli organi tecnici regionali, pur nella loro composizione che forse anche sotto il profilo tecnico è troppo ristretta rispetto alle esigenze di questi uffici, tuttavia non solo svolgano quell'azione di sollecitazione e di controllo che loro compete per legge, ma anche possibilmente un'azione di sostegno perché vi sia un adeguamento della normativa urbanistica dei Comuni ad un quadro di riferimento regionale. Il terzo elemento della mozione liberale riguarda il possibile apporto dell'iniziativa privata ai piani di zona previsti dalle leggi per la casa, (la 167) e dalle modifiche della 865. Questo noi chiediamo non per indulgenza o propensione verso il concetto teorico e ideologico della iniziativa privata, ma per un'empirica e realistica considerazione sull'impossibilità che attraverso l'edilizia direttamente sovvenzionata dallo Stato e dagli enti pubblici, si risolva il problema della casa. Noi riteniamo che la finanza pubblica non abbia la possibilità, in termini organizzativi e quantitativi, di risolvere da sola il problema della casa se non in parte, come documentano le statistiche che dimostrano che solo una minima parte del fabbisogno si soddisfa attraverso questo tramite; per cui, se il problema è quello di mobilitare con un impegno di denaro pubblico il più possibile ridotto, una maggiore quantità di risorse, allora si impone la scelta politica di un'azione incentivante nei confronti della edilizia convenzionata e questa è a nostro avviso, una scelta che responsabilmente la Regione e gli altri organi pubblici devono assumere.
Un ulteriori aspetto della mozione richiama il problema del risanamento dei centri storici. Abbiamo in Italia in gran numero ed anche in Piemonte in numero rilevante, sistemi urbani di grande valore, anche culturale molti dei quali oggi sono fortemente degradati; e lo sono anche per una causa di natura politica, cioè perché le politiche di tassazione e di finanziamento della edilizia hanno sempre privilegiato le nuove costruzioni rispetto alla manutenzione del patrimonio edilizio più antico.
Vi è, se non vado errato, all'esame della Commissione una proposta di legge che con termine forse non del tutto felice è stata chiamata quella per le "case parcheggio", cioè abitazioni che dovrebbero supplire, nella fase in cui si risanano certi quartieri, per la popolazione ivi residente che dovrebbe poi ritornare nei quartieri di origine, ad evitare che il risanamento dei centri storici sia oggetto di un'operazione di classe. Ma pur non sapendo quali siano le possibilità che questa proposta di legge sia approvata c on sollecitudine, credo che dovremmo andare oltre; sui centri storici si è detto pressoché tutto quello che era ragionevole pensare, ne hanno studiato, parlato e discusso i quartieri, il Comune, la Regione, la Fiat, i sindacati, i partiti, si sono moltiplicate le tavole, rotonde, le colazioni di lavoro; a questo punto vorremmo che la Regione assumesse una posizione direttiva su questo grande dibattito ed esaminasse anche una possibilità di fare riferimento all'esperienza di altri paesi e di iniziative ché si svolgono in paesi simili al nostro per la costituzione ad esempio di società miste in cui, sempre sulla logica di mobilitare una massa ingente di risorse finanziarie, attraverso un intervento pubblico limitato, si potessero avviare alcuni interventi settoriali che promuovano una più ampia riqualificazione dei centri storici a cominciare dal centro storico di Torino.
Infine la mozione richiama la necessità, qualora si trovi la formula legislativa adeguata a promuovere questo intervento, di incentivi finanziari della Regione in favore dei Comuni che promuovano degli investimenti per le infrastrutture sociali anche in forme di garanzie fidejussorie.
Riteniamo che la Giunta debba esprimere una propria concreta volontà di intervento, precisando i tempi, i modi, le date di ciò che ritiene di poter fare. Siamo alla vigilia della discussione generale sul bilancio, ne esamineremo i contenuti, esamineremo anche la fattibilità in questo momento finanziario e le effettive possibilità di indebitamento della Regione, ma abbiamo voluto premettere l'illustrazione di questa mozione alla discussione generale del bilancio per il contributo che anche per questa via può venire ad una più puntuale determinazione di contenuti del bilancio che la Giunta ci proporrà.
Credo che la votazione sul bilancio sia la sede più propria per arrivare ad una determinazione di questa volontà politica, quindi penso che il Gruppo liberale non intenda insistere sulla votazione della mozione in questa medesima seduta. Fin da quando il bilancio della Regione era un modesto compendio di alcune entrate e di alcune spese, lo abbiamo sempre interpretato come un'articolazione del piano di sviluppo, lo abbiamo sempre visto in questa logica e abbiamo sempre ritenuto che la votazione del bilancio sia un momento fondamentale della programmazione regionale se la programmazione non deve essere la cabala dei sogni. In questa circostanza dopo il dibattito che ora si aprirà, riteniamo che per quanto riguarda le proposte concrete che questo documento contiene, soprattutto nei settori dell'agricoltura illustrati dal collega Rossotto e dell'edilizia, la Giunta debba esprimere la propria determinazione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENZE VIGLIONE



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cardinali, ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Stamani mi era stato detto che si sarebbe avuta l'illustrazione della mozione e poi il dibattito e con questo spirito mi sono iscritto a parlare essendo evidente che le cose dette dai due colleghi liberali, soprattutto dal Consigliere Rossotto, hanno investito il problema in termini estremamente generali che propongono un dibattito di vasto respiro non tanto sui provvedimenti specifici quanto sull'assetto generale dello sviluppo, che è l'argomento all'ordine del giorno non direi permanente salo della nostra Regione, ma del Paese e dello Stato.
Io credo che proprio perché sono di ritorno da un congresso del mio Partito dove questi argomenti sono stati trattati.



BESATE Piero

Davvero?!



CARDINALI Giulio

.ho acquisito la convinzione che le parole sono utili ma se non si calano in una certa realtà rimangono sterili.
Quando noi diciamo che vogliamo portare l'attenzione sui problemi della nostra economia, diciamo una cosa estremamente importante; quando il collega Rossotto parla dei 7000 miliardi di deficit della bilancia dei pagamenti (tanto sarà alla fine dell'anno il nostro indebitamento con l'estero) richiama l'attenzione su un punto nevralgico, ma è evidente che la risposta a questi drammatici interrogativi (scusi il Presidente Calleri se uso anch'io la parola "drammatici") non la si può dare in termini generici dicendo che vogliamo l'espansione dell'attività produttiva, che vogliamo realizzare gli obiettivi di un sistematico e permanente sviluppo della nostra economia, volendo in sostanza contemporaneamente cose che in parte sono in contraddizione tra di loro.
E' evidente che si profila una discussione sullo sviluppo che si vuole dare alla nostra economia; ecco perché dicevo che le affermazioni fatte dai colleghi liberali anticipano anche la fase di vigilia di presentazione del bilancio da parte della Giunta. Credo si possa dire che la nostra Regione ha operato fino a questo momento nell'ambito dei suoi compiti istituzionali cercando di sopperire, in una visione programmatica che va del resto di giorno in giorno evolvendosi, alle finalità che si intendevano raggiungere.
Forse gli interventi non sono stati sempre valutati nella loro reale esigenza prioritaria e il riferimento va soprattutto a quelli in agricoltura, fatti per accontentare subito immediate esigenze, senza avere un quadro programmatico generale ed efficace. Direi che una discussione sul problema dell'agricoltura non si è mai fatta. Io mi ricordo che nella prima manifestazione televisiva che ci fu, alle origini della Regione, uno dei problemi che mi permisi di sottolineare fu quello della redditività nel campo dell'agricoltura e credo che questa mia affermazione oggi abbia perfetto riscontro nella situazione in cui ci troviamo; io non penso che si debba concepire il nostro sviluppo come una retta a 45^ tendente ad allontanare sempre più vasti settori di lavoratori dall'agricoltura per inserirli in attività industriali che oggi hanno già limiti che non possono essere valicati quando addirittura non entrano in crisi. Noi dobbiamo porci di fronte all'esigenza di valutare che cosa intendiamo come sviluppo del Paese e portare il discorso su quello che è il tipo, il modello dello sviluppo che vogliamo realizzare. Il modello di uno sviluppo fondato unicamente sulla dilatazione dei consumi è un modello da abbandonare, non ci può soddisfare, è un modello che non ci dà risposte, che non si attaglia alle nuove esigenze ed alla nuova realtà economica. Noi dobbiamo fare delle scelte prioritarie dove le nostre risorse, che non sono illimitate, possano essere utilmente impiegate e vedere in che misura possiamo contribuire a fare una dimensione diversa al tipo di sviluppo, favorendo e privilegiando un tipo di consumi che non sia quello seguito fino ad oggi, ma sia quello che noi chiamiamo di tipo sociale, che vada cioè incontro ad esigenze tuttora largamente insoddisfatte della popolazione italiana e quindi piemontese.
Io sono d'accordo con quello che dice la mozione liberale quando individua nel settore della casa uno degli elementi su cui si pu intervenire nella giusta direzione, ma o noi diamo per scontata la possibilità da parte dello Stato di intervenire in termini efficaci per raggiungere per plafon del 15/20% dell'intervento pubblico nel campo della edilizia economico-popolare, oppure, se non siamo di questa convinzione non sono certo queste le strade che dobbiamo seguire; la strada noi la potremo seguire dal punto di vista istituzionale soltanto attraverso gli strumenti di carattere finanziario che potremmo attuare, attorno ai quali possiamo mettere in moto determinati meccanismi. Ed io faccio riferimento previso all'edilizia di tipo agevolato, fatta anche dai privati i quali beneficiano dell'agevolazione del credito per realizzare l'obiettivo della costruzione della casa. Non vedo attraverso l'applicazione della legge 865 quale possa essere il campo di intervento della Regione in tema di edilizia statalizzata, che sia cioè frutto dell'intervento diretto dello Stato, per tramite della Regione stessa, mentre ritengo che debba essere necessariamente demandato alla caratteristica promozionale che gli enti tipo la Finanziaria regionale potrebbero avere anche in questo settore.
Io non so se sia possibile dal punto di vista dell'intervento sulle leggi statali favorire o contribuire al rifinanziamento della legge 291 per il Piemonte, questo però potrebbe essere un aspetto positivo nella misura in cui, inserendoci nella 291, soprattutto tendendo a favorire la costituzione di cooperative, di forme associate, ci troveremo di fronte a due aspetti: dare risposta ad una certa domanda e dire dove questa domanda può trovare l'opportuna localizzazione. Io credo che la stessa 865 offra gli strumenti per dare una risposta alla nostra domanda, perché attraverso la definizione di aree comprensoriali all'interno dei Comuni anche carenti di strumenti urbanistici, c'è la possibilità di individuare settori ad hoc da destinare alle costruzioni di carattere economico-popolare.
Questo è un campo di intervento, ma credo che nel dibattito dovrebbe essere precisato maggiormente quale può essere l'intervento regionale in termini di impegni finanziari, perché di questo evidentemente si tratta.
Per quel che riguarda l'agricoltura si tratta di un settore ormai da parecchi mesi all'attenzione della Regione. Ci sono state iniziative che forse possiamo definire frammentarie, un piano organico di intervento non esiste ancora, ma ritengo che non ci siamo mossi su una strada sbagliata in antitesi cioè con le finalità programmatiche, semmai abbiamo fatto degli interventi limitati e non in grado di soddisfare gli obiettivi della nostra agricoltura. Certo che le nostre competenze sono specifiche e credo che, in attesa che il Consiglio dei Ministri vari il piano per la carne, si possa fare uno sforzo da consegnare al momento del bilancio alla nostra riflessione per un intervento collaterale con i nostri mezzi per favorire al massimo anche questo settore. Dovremo tuttavia fare attenzione a non mettere in moto un meccanismo di tipo speculativo come già si sta verificando: mi risulta che in diversi settori del Piemonte imprenditori piuttosto avventurosi stanno acquistando terreni agricoli per predisporsi a non so quale intervento nel campo della produzione delle carni e cioè dell'allevamento di bestiame. E' chiaro che occorrerà seguire i canali tradizionali dell'agricoltura, cioè fare leva su coloro che coltivano la terra e che sono i veri protagonisti della vita agricola.
Dopo aver fatto queste poche e forse un tantino confuse osservazioni mi trovo nella necessità di riscontrare che la mozione mentre conclude con alcune cose specifiche che però non mi sembrano sufficientemente materializzate in termini concreti, sicché ne possa scaturire un provvedimento invece che una sola indicazione, apre un discorso molto più vasto che logicamente fa capo alle risorse della Regione e al modo prioritario con cui intendiamo affrontare i problemi ai quali dare per primi la soluzione.
In assenza di richiesta di un pronunciamento con il voto, così come è stato affermato dal collega Zanone, direi che i due settori, quello della casa e delle infrastrutture e quello dell'agricoltura, devono attrarre la nostra attenzione in maniera da contribuire in modo specifico a sopperire alle deficienze del sistema in senso generale e soprattutto a provvedere perché la crisi del settore trainante piemontese non colpisca in maniera dura, nei prossimi mesi, la vita della Regione e ci sia la possibilità di mettere in moto meccanismi alternativi.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Minucci. Ne ha facoltà.



MINUCCI Adalberto

Il mio Gruppo aveva intenzione di cogliere l'occasione offerta dal Gruppo liberale per intervenire in una ampia discussione di politica economica, che a noi sembra oggi particolarmente stringente come verifica della situazione stessa e come verifica degli indirizzi della Regione, alla Giunta in modo specifico. E questo non solo per rispetto formale verso il Gruppo liberale, che si è impegnato a suscitare questo dibattito, ma perch noi stessi, come Gruppo comunista, più volte abbiamo sollecitato la Giunta a questa verifica di fondo sugli indirizzi economici (anche nelle settimane passate abbiamo più volte stimolato una messa all'ordine del giorno di questo argomento centrale). Purtroppo, dato l'andamento delle cose, visto che il clima non sembra presentarsi ad una discussione a fondo, in considerazione dello scarsissimo impegno della maggioranza, e soprattutto del Partito di maggioranza, assente anche fisicamente, non mi sembra questo il momento più adatto per fare questa discussione. Quindi, se il Presidente lo consente, mi limiterò ad una breve dichiarazione. Io ritengo che l'esigenza di un dibattito, di un confronto di idee sugli indirizzi economici, sia emersa in questi giorni non solo dal permanere, e per certi aspetti dall'aggravarsi, della crisi economica di cui si parla ormai da tanto tempo, ma anche da ambiguità e sintomi preoccupanti dell'orientamento della maggioranza alla Regione Piemonte. Soprattutto dopo il recente dibattito sull'autostrada Torino-Pinerolo, con le dichiarazioni fatte a nome della Democrazia Cristiana del collega Calleri - che, se mai, posso accettare di chiamare ex Presidente, Cardinali, ma non più Presidente -, mi pare si sia venuto evidenziando, all'interno della maggioranza all'interno, quindi, della stessa Giunta, una contraddizione che deve in qualche modo trovare una risposta, una verifica, in questo Consiglio.
Ho sotto gli occhi il comunicato della Giunta Regionale dell' 11 marzo di quest'anno, dopo un incontro con il Gruppo dirigente Fiat, in cui - con nostra soddisfazione, devo dire, e con un esplicito consenso della mia parte politica, sulla stampa, nelle varie dichiarazioni che facemmo allora si affermava, molto fermamente e molto chiaramente, che la Giunta avrebbe fatto il possibile per mobilitare gli investimenti, sia pubblici che privati, nella direzione di alcuni fondamentali impegni sociali, di cui si indicavano anche i titoli: trasporto pubblico, edilizia, sanità, scuola sviluppo delle aree più deboli.
Da atti molto concreti, cioè più validi delle parole contenute in questo comunicato, ci si è poi resi conto che l'orientamento effettivo è diverso, che si va nella direzione, del resto apertamente rivendicata, di un ripristino di quelle tendenze di sviluppo che dagli anni Cinquanta hanno caratterizzato il nostro Paese: nuove autostrade, nuovi trafori, altre migliaia di miliardi spesi in direzioni opposte a quegli impieghi sociali che erano qui stati conclamati. E si è agito anche con una certa forzatura a mio avviso provocatoria, e quindi sintomatica, significativa di tutto uno stato d'animo, di tutto un indirizzo. Di fatto, noi ci troviamo non soltanto di fronte ad un contrasto di parole, ma ad atti impegnativi e di gravità estrema. Ecco perché riteniamo sia giunto il momento di un chiarimento molto puntuale su queste grandi questioni, nella sala del Consiglio Regionale, di fronte all'opinione pubblica. Ciascuna forza politica, ciascuna corrente politica deve assumersi responsabilità precise verso il proprio corpo elettorale. Noi pensiamo (e mi sembra che questo del resto, sia anche l'intendimento della Giunta) che questa occasione di confronto possa essere appunto la discussione del bilancio, che si svolgerà, se non sbaglio, nel maggio prossimo.
Precisato così che a quell'appuntamento rinviamo lo sviluppo delle nostre argomentazioni, mi limiterò ora ad alcune considerazioni. Essendo stato assente, purtroppo, in occasione della discussione cui mi sono richiamato sulla Torino-Pinerolo, desidero fare qualche riflessione su un certo orientamento che si sta palesando e su cui in ogni caso occorre che le forze politiche del Consiglio si pronuncino. Dopo il manifestarsi di sintomi di ripensamento da parte anche di gruppi e correnti della maggioranza di Centro-Sinistra, della stessa Democrazia Cristiana, sulle vecchie tendenze dello sviluppo economico nella nostra Regione e nel Paese dopo manifestazioni autocritiche, che pure si sono avute, tendenti a riconoscere che dalla crisi attuale non si può uscire senza modificare in maniera sostanziale il meccanismo di accumulazione oggi in crisi, si assiste da qualche settimana ad un mutamento di orientamento: messi in disparte riflessioni e ripensamenti, torna a farsi strada baldanzosamente l'ipotesi fondamentale che sia possibile uscire dalle difficoltà attuali limitandosi a ripristinare appunto il vecchio meccanismo, il vecchio modello. Personalmente, provo un certo sgomento di fronte a questo tentativo, perché non ne colgo soltanto l'ingiustizia, l'errore di scelta politica e morale che si compie dopo aver già toccato con mano i nefasti le contraddizioni, i costi sociali ed umani di uno sviluppo che ormai ha dato tutto quello che poteva dare e che oggi può portare solo ad un accentuarsi degli squilibri, dei costi stessi, ma vi rilevo velleità e illusione. Perché non vi può essere alcuna possibilità di ripristinare il vecchio meccanismo, di rimettere sui vecchi binari lo sviluppo economico e della nostra Regione e del nostro Paese.
Non voglio assolutamente richiamarmi a dichiarazioni, a documenti dei più illustri economisti del nostro Paese, alle discussioni fatte nel recente passato: bastano i fatti, quelli che noi stessi abbiamo in questa sede più volte esaminato.
Oggi, la crisi è più oggettiva che espressione di uno scontro, di una lotta fra posizioni politiche. Sono venuti meno - lo abbiamo detto tante volte - i fattori di propulsione del vecchio meccanismo di sviluppo: si tratta di sostituirli, se vogliamo che l'economia italiana si rimetta in piedi. Di questo mi è parso in più occasioni - a meno che la mia sia stata una illusione - vi fosse ormai diffusa consapevolezza in tutti i Gruppi non solo in quest'aula ma in tutta l'opinione pubblica democratica del nostro Paese. Oggi, invece, ci ritroviamo di fronte al tentativo di far credere che sia possibile una ripresa economica, il superamento delle difficoltà, attraverso il ribadimento dei vecchi schemi.
Non so se i Colleghi avranno riflettuto a sufficienza - forse l'avrà fatto il collega Rossotto, sempre così preoccupato per i salari degli operai (mi pare che anche poco fa abbia parlato della decurtazione dei salari operai) - su quello che è avvenuto in queste ultime settimane a proposito della riforma fiscale. Si è giustificato il maggior salasso dei redditi dipendenti con il fatto che finalmente si stava mettendo in moto il meccanismo di una tassazione progressiva che avrebbe colpito in modo molto più virulento i redditi alti. Subito dopo, però, si è decisa la "cedolare secca" che praticamente esenta i redditi elevati. Questa è non soltanto una scelta moralmente ignobile, che si traduce in un inganno teso all'opinione pubblica: è una scelta folle dal punto di vista dello sviluppo economico.
Eppure, nel dibattito economico degli ultimi tempi uno dei punti sui quali ci si era trovati quasi tutti concordi era stato il riconoscimento della necessità di una ristrutturazione del sistema fiscale italiano come ristrutturazione del modello dei consumi, come ristrutturazione del sistema di utilizzazione delle risorse. Bruscamente ci si è diretti lungo una strada che non è solo sbagliata sul piano politico, che non è solo vecchia, ma è anche velleitaria, illusoria, e che porterà soltanto ad un aggravamento delle contraddizioni che finora hanno prevalso nella nostra economia.
Il collega Rossotto - con il quale non intendo certo aprire una polemica astiosa, ma solo dialogare bonariamente, dato anche il tono cordiale dei suoi interventi - cerca di evocare spesso in quest'aula figure retoriche che non impressionano nessuno, come quella che ad un certo punto siamo alle soglie dello spostamento della cortina di ferro dalle rive dell'Oder-Neisse a quelle del Po, o a quelle, che so io, della Dora Baltea.
Mi sembra che la realtà sia ben diversa, che non sia sufficiente la pubblicizzazione di una qualche azienda di trasporto, se non sbaglio del Canavese, a far incombere questo pericolo sulla nostra Regione. Se proprio si vuol piangere, si pianga per altre cose (io mi limito a protestare perché non ho affatto voglia di piangere).
Ho parlato prima del fisco, di un atteggiamento che, prima sbandierato e poi sentito nel giro di poche settimane. Ma guardiamo anche quello che avviene nel campo dei cosiddetti consumi pubblici. Da tutti, anche da parte democristiana, oltre che comunista, socialista, si è individuato un volano nuovo della domanda, e quindi anche una prospettiva di diversificazione della struttura industriale, e via dicendo. Che cosa si è fatto, poi? I provvedimenti assunti in concreto vanno nella direzione di una accelerazione ulteriore dei consumi privati, e quindi in una direzione che ormai è solo più spreco, perché i consumi privati hanno perduto quella funzione che pure avevano un tempo di propulsione della espansione economico-produttiva.
E vengo all'argomento: autostrade. Si è deciso all'improvviso, anche qui dopo che vi erano stati ripensamenti autocritici anche nelle file della Democrazia Cristiana, di accelerare la realizzazione di un paio di autostrade e di qualche altra opera sul terreno delle infrastrutture viarie, finalizzate sull'area metropolitana di Torino, per un complesso che si dichiara sui 600 miliardi ma che, tenendo conto della svalutazione della lira, dell'aumento dei costi, non risulterà certo molto al di sotto dei 1000 miliardi. Mi spiace che il collega Calleri, ora assente, abbia scarso accesso ai teleschermi: se il Ministro dell'Agricoltura ha parlato cinque minuti per esaltare come un fatto di portata storica nella vita del nostro Paese che il Governo abbia deciso di stanziare 305 miliardi in cinque anni per la zootecnia, Calleri, che appartiene alla stessa corrente, dovrebbe poter parlare per almeno venti minuti per vantare la decisione di spendere mille miliardi per fare delle autostrade attorno a Torino. Non è prendere in giro l'opinione pubblica destinare mille miliardi alla costruzione di autostrade che non hanno alcuna autorità, sulle quali tutte le persone ragionevoli, e fra esse lo stesso Presidente della Giunta, hanno manifestato quanto meno delle perplessità? L'on. Mancini, nuovo ministro della Cassa per il Mezzogiorno, ha presentato come una vittoria eccezionale che si sia stabilito di spendere 450 miliardi in tutte le Regioni meridionali: è meno della metà di quello che si è deciso di spendere, solo per autostrade, nella zona attorno a Torino.
Francamente, avrei molte domande da porre ai compagni socialisti perché non mi pare che una loro adesione a questa linea sia in coerenza con i principi, gli indirizzi più volte da essi indicati, nei comizi, nei discorsi, ai loro seguaci, ai compagni socialisti, ai lavoratori.
Operando in questo modo si determina davvero sfiducia nelle istituzioni, nella classe politica, nella possibilità di uscire dal marasma che sta vivendo il nostro Paese. Questa decisione per le autostrade, che si è voluto sbandierare, ripeto, in modo provocatorio (uso questo termine in un certo modo), con i comunicati della D.C. prima ancora che con i comunicati degli enti pubblici interessati, secondo me costituisce - mi si consenta di dirlo senza ombra di acredine - un vero e proprio scandalo. Se si pensa che anche i colleghi della Coldiretti, della buonanima (mi spiace che non ci sia oggi il Consigliere Menozzi, così calorosamente applaudito qui un giorno - me ne ricorderò sempre - dai contadini come loro estremo difensore, solo perché strappa qualche decina di lire per la zootecnia piemontese) hanno approvato la spesa di centinaia di miliardi per le autostrade, la nuova sottrazione di territorio all'agricoltura piemontese tutto il resto appare demagogia, inganno nei confronti degli stessi elettori. Questa è la realtà. Su tutto questo non si può continuare a tergiversare, non si può continuare con il gioco degli equivoci. E' tempo che ogni forza politica assuma le proprie responsabilità. Ad un anno appena dalle elezioni regionali, credo che tutti abbiano interesse - e in ogni caso noi ci faremo carico per quello che ci compete - a che ogni elettore del Piemonte, operaio, contadino, borghese che sia, sappia giudicare quello che qui ciascuna forza, ciascun esponente ha fatto in questi anni e sta facendo in questi mesi.
Lo dico anche a voi, cari Colleghi liberali. Perché va benissimo che abbiate presentato una mozione in cui si sottolinea - in termini che, fra l'altro, io giudico discutibili, su alcuni dei quali non sono affatto d'accordo - la priorità dell'agricoltura e la priorità della casa (e il collega Zanone ha detto anche delle cose ragionevoli sul problema della casa). Ma poi voi stessi ci avete informato, dall'alto della vostra dottrina plurisecolare, che le risorse sono quelle, ossia che i soldi scarseggiano e se vanno in una direzione non possono andare in un'altra per cui non si possono fare le riforme. Visto che appoggiate la politica delle autostrade, è demagogico quello che venite a dirci in rapporto all'edilizia popolare e all'agricoltura: perché se accettate di buttare centinaia di miliardi nella vecchia fornace, nella vecchia voragine delle autostrade, ingannate i vostri elettori presentandovi come paladini dell'agricoltura e delle case.
Su tutto questo, ripeto, bisogna arrivare ad un chiarimento, in primo luogo in quest'aula e poi di fronte a tutta l'opinione pubblica. Stiamo andando verso un periodo difficile, non solo sul piano economico ma su quello politico. Probabilmente risulterà purtroppo vero quello che si sostiene nell'ultimo documento, nell'aggiornamento dell'IRES, circa la prospettiva (io stesso, del resto, ho più volte insistito su questo tema in quest'aula) di un rallentamento delle imprese motrici nella nostra Regione e di contraccolpi seri sui livelli di occupazione, su tutti i processi di sviluppo nel Piemonte. E' vero a mio avviso, che rimarranno, e si aggraveranno, dei malesseri della nostra società, e a livello politico, a livello delle istituzioni, che vanno oltre le stesse questioni immediate dell'economia, delle strozzature presenti nell'economia, e che riguardano tutto sommato, il ruolo dello Stato e delle istituzioni statuali nei confronti dello sviluppo economico.
Noi vediamo che oggi anche grandi imprese che pure non sono affatto sull'orlo del disastro, che pure annunciano prospettive di grande sviluppo produttivo, cominciando dalla Montedison, dalla stessa Fiat e via dicendo che hanno comunque, come nel caso della Fiat, una consistente solidità che permette loro di fronteggiare anche questi momenti difficili, pongono tutte, da posizioni diverse, un unico problema: quello dello Stato e del ruolo dello Stato. Si è arrivati da tutte le posizioni importanti della vita economica e industriale del nostro Paese a capire che questo è ormai il nodo da sciogliere: che cosa è questo Stato, come funziona, quale efficienza è in grado di esplicare? In che misura è in grado di svolgere il ruolo di protagonista, di programmatore, di coordinatore dello sviluppo? Ogni discorso che si faccia, in qualsiasi campo, di promozione di nuovi settori industriali, di promozione di una riforma, di una ristrutturazione dell'agricoltura e così via, sfocia sempre in questo tema-chiave: lo Stato non può più essere lo spettatore, o l'elemento sussidiario, di uno sviluppo deciso da altri, ma deve sempre più essere il protagonista, se non unico certo fondamentale, dello sviluppo stesso.
Questo è il vero nodo che si deve affrontare. Se lo si vuol fare su un terreno di democrazia e di sviluppo della democrazia politica, la soluzione non può essere lasciata dipendere dalla buona o dalla cattiva volontà di qualche ministro: dobbiamo cominciare noi, dal nostro posto di lotta, che è la Regione Piemonte, a renderci conto, intanto, che la domanda vera da porci è: quale Stato? Uno Stato burocratico accentrato, come finora è stato, e grosso modo si è presentato, o uno Stato che utilizzi fino in fondo le Regioni per decentrare le decisioni, per dar lungo a forme di programmazione realistica, credibile e davvero collegata ai problemi ed alle esigenze profonde della società? Tutti siamo interessati a rispondere a questa domanda, e vorrei che su questo terreno gli equivoci che dicevo prima fossero finalmente chiariti.
Ho l'impressione che all'interno del Partito di maggioranza si stia giocando una partita non sempre chiara, qualche volta forse anche con risvolti torbidi - non si veda alcun intento di offendere nell'uso di questo termine -, comunque non chiari. Naturalmente, sono questioni che riguardano i colleghi democristiani, ma ho l'impressione che sempre più si avvicini il momento in cui un chiarimento si renderà necessario, se la stessa Democrazia Cristiana non vuol trovarsi nei confronti del proprio elettorato in una posizione irrimediabilmente negativa, suscettibile di dar luogo a mutamenti che potrebbero poi ritorcersi a danno di tutta la democrazia italiana.
Concludo, signor Presidente, con la richiesta formale di mettere all'ordine del giorno un dibattito in cui tutti i Gruppi, incominciando dalla maggioranza e dalla Giunta, possano effettivamente non solo pronunciarsi ma assumere fino in fondo le proprie responsabilità sui gravi problemi che ci stanno dinanzi.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, per la consueta serietà con la quale il Gruppo liberale tratta ogni problema e l'importanza delle questioni che esso ha sottoposto all'esame del Consiglio, credo che questa discussione meriti tutta la nostra attenzione. Come già altri hanno sottolineato, e gli stessi presentatori della mozione riconosciuto, essa, svolgendosi a distanza ormai ravvicinatissima da quella sul bilancio (è relativamente lontana dalla data di presentazione della mozione), non può che essere propedeutica preparatoria, enunciativa, destinata a completarsi ed integrarsi in quel momento vicino in cui, in modo organico e completo, ogni parte politica si dovrà pronunciare su temi e su argomenti di tanto peso, in modo da mettere nel giusto rilievo l'iniziativa del Gruppo che ha presentato la mozione.
Anch'io non entrerò direttamente nel merito di problemi così vasti, ma mi limiterò ad alcuni rilievi di carattere politico generale, sollecitati e desumibili dagli interventi di coloro che mi hanno preceduto, specie quelli dei presentatori della mozione, ai quali siamo tenuti a dare una risposta non di cortesia, ma di contenuto. Il collega Rossotto ha agito, non senza qualche fondamento (nel senso che obiettivamente di queste cose si parla: non che siano effettivamente riscontrabili nella realtà), lo spauracchio di una specie di congiura, da una parte con atti consapevoli, dall'altra inconsapevoli, per lassismo, diretta a portare ad un progressivo deterioramento del nostro sistema economico e sociale, per consentire e provocare una specie di trapasso più o meno indolore, insensibile e politicamente non avvertito, verso nuove e diverse forme politiche sociali procedendo anche ad una operazione mistificatoria, di screditamento di certe istituzioni e di certe formule di convivenza politica, le quali si rivelerebbero, come tali, inadatte e incapaci a dare risposte valide ai problemi che oggi vengono proposti. Credo che in questo momento abbiamo il dovere di dire che non riteniamo si possa fare ricorso a forme di socialità facile, o di tipo populistico o giustizialistico, che non si possa assolutamente indulgere a forme di spreco che sono presenti in modo ampio e vasto in vari settori della vita economica ed amministrativa del nostro Paese. Occorre chiamare a raccolta tutte le energie per concentrare le risorse, per utilizzarle per finalità che si riconoscano valide, non solo in una operazione di tipo intellettuale e tecnico, ma in una operazione che leghi i due livelli, il livello tecnico-politico e quello sociale. La scelta da compiere - in termini ripetuti più volte fino alla stanchezza tanto da fare ad un certo momento smarrire il senso dei significati - è quella, si dice, dei modelli di sviluppo e dei nuovi indirizzi verso i quali si ritiene opportuno procedere. Io credo - per rispondere subito ad una richiesta di chiarimento che è venuta anche a noi - che nessuno intervenendo su questo argomento, abbia inteso rovesciare i termini di una analisi critica che ogni forza politica fa della situazione, per trovare gli indirizzi, le scelte, gli strumenti atti a superare una crisi che era attesa, ma più tardi, fra qualche anno, e che vari fattori di carattere internazionale hanno fatto precipitare.
Nel discorso fatto da autorevoli esponenti del mio Gruppo, e mi riferisco particolarmente al Consigliere Calleri, sulle autostrade, c'era sicuramente - come c'è sempre in un dibattito, nella dialettica tra le parti - anche un intento polemico, e quindi penso vi possano essere delle accentuazioni, quanto meno c'era la volontà di respingere un giudizio di condanna globale, totale, integrale di tutta una serie di scelte fatte in passato al fine di realizzare delle strutture civili atte a far progredire il nostro Paese, scelte indubbiamente di tale importanza da poter portare con sé anche eccessi, o errori, di valutazione. Un altro chiarimento desidero poi dare: non si deve, per cercar di identificare un nuovo modello di sviluppo, arrestare l'applicazione del vecchio modello (ricordo di aver già detto, usando una immagine non so se perfettamente calzante, che sarebbe come voler fermare in aria un aeroplano per trasformarlo in dirigibile). La trasformazione può avvenire soltanto con gradualità, e secondo me, anche il vecchio modello di sviluppo deve potersi innestare nel nuovo, affiancandolo, sorreggendolo. Una caduta generale, un blocco generale delle situazioni ci farebbe passare un guaio non superabile dalle stesse istituzioni democratiche ed insopportabile in termini sociali.
Quando si è prospettata, dunque, l'ipotesi che certe infrastrutture sulla cui essenzialità i giudizi possono divergere - mi riferisco a certe autostrade, a ferrovie, a certi impianti -, nel quadro di una iniziativa già avviata, debbono essere completate, affinché non diventino addirittura antieconomiche e sbagliate le scelte precedenti che sbagliate si ritiene non fossero. Non credo si sia inteso dare un colpo di timone verso una inversione della rotta, e, nell'assenza di indicazioni chiare sulle scelte da fare, si sia voluto tornare alle scelte degli anni Cinquanta, quando c'era la terra di nessuno e si riteneva di dover dare al nostro Paese un certo tipo di infrastrutture di cui mancava totalmente. Per ora mi limito ad affermare - la spiegazione più dettagliata verrà nel dibattito prossimo per il quale ci prepariamo adeguatamente e ci disponiamo con totale apertura - che non vi è alcuna intenzione di arroccarsi in posizioni superate, di rinverdire impostazioni valide al tempo in cui furono prese rifiutando il discorso che ci viene proposto dalla realtà attuale.
Il Consigliere Rossotto e il Consigliere Zanone ci hanno richiamato su delle realtà che non si possono negare, anche se sul modo di affrontarle non si è del tutto d'accordo. Certo, non si può ritenere che la politica di sviluppo possa avere il suo settore trainante nella spesa per opere pubbliche di tipo faraonico, come autostrade che non servono o cose di questo genere. Ma è da ritenere per valido che ci sono anche altri settori dove bisogna trovare la forza politica, la responsabilità sindacale per metter mano. Ci sono veramente degli sprechi colossali - ce ne siamo resi conto tangibilmente anche in sede di commissione - nelle aziende municipalizzate, nei settori della pubblica amministrazione. E' vero, per esempio, che se nel settore delle Poste si continuerà a procedere inflazionando le assunzioni, non regolarizzando il servizio, daremo campo a qualcuno - badate che non cerchiamo di ribaltare sull'opposizione la responsabilità di questo stato di cose, ma facciamo una autocritica che ci sembra doverosa di fronte al Paese - di apparire, riuscendo a mettere ordine nel settore Poste, Comunicazioni, Trasporti, il più grande riformatore del nostro Paese, e quindi rischieremo di pagare anche questo prezzo politico. E' bene che avvertiamo la necessità di mutare in qualche modo il quadro politico, affinché questo renda possibile delle riforme che dovrebbero essere la conseguenza, invece, di scelte politicamente già fatte.
Abbiamo quindi coscienza della gravità della situazione, della necessità di assumere tutte le responsabilità. E quando anche dovessimo scegliere nel senso che una certa autostrada è da fare, che un'altra non è da fare, che alcune cose sono da fare e altre no, non vorremmo per questo qualificarci come coloro che non hanno nulla da dire in ordine alle domande che il Paese ci pone. Così, non possiamo non riconfermare le scelte, nei settori prioritari, per l'agricoltura, ad esempio come stiamo procedendo nell'ambito delle nostre competenze, con celerità, con il massimo impegno affinché si diano risposte che abbiano validità sociale, economica ed anche politica. così per quanto riguarda i trasporti, le comunicazione e gli altri settori che sono stati identificati nel programma della Giunta.
In sostanza, noi non ci sottraiamo all'ampio dibattito che si richiede.
Dichiariamo con piena convinzione che non vi è da parte di alcuno della maggioranza un atteggiamento sostanzialmente rinunciatario, tendente a rinverdire vecchie consumate idee, con il doppio svantaggio di riproporle quando non sono più attuali, mostrando di non saper dare risposte al Paese che consideriamo sempre valido, nel complesso, il nuovo modello di sviluppo, che propone la scelta dei consumi sociali, dell'organizzazione del territorio, delle condizioni di vita nelle città, dei servizi sociali ma non intendiamo che, per attuarlo, si adottino soluzioni tali da bloccare il sistema, da metterlo in ginocchio, facendo venir meno le fonti del reddito, creando sconcerto, sicché, nel momento stesso in cui le buone intenzioni si enunciano viene meno la possibilità di realizzarle, perché ci si trova ad operare nel caos politico, nel marasma sociale.
Rinviamo quindi la completa e organica risposta da parte nostra a queste domande, ringraziando il Gruppo liberale per aver esercitato la sua funzione di opposizione sollecitando la Giunta a portare, anche in vista del bilancio, la propria attenzione su alcune questioni fondamentali.



PRESIDENTE

Per la Giunta ha chiesto di parlare l'Assessore Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

A nome della Giunta, desidero anch'io ringraziare i colleghi liberali per aver promosso e animato questo dibattito su temi indubbiamente importanti, suggestivi; un dibattito che ci ha consentito di svolgere oggi una anticipazione di quella più ampia discussione che riteniamo dovrà svilupparsi in occasione dell'esame del bilancio preventivo per il 1974 una discussione che giustamente tanto gli interventi dei Colleghi, liberali quanto quelli che ad essi sono seguiti, in modo particolare quello del collega Minucci, hanno proposto di allargare ad una serie di temi di politica economica generale.
La Giunta, impegnata nella piena attuazione del programma concordato fra i partiti che hanno dato vita alla maggioranza di Centro-Sinistra, e che è stato sottoposto al Consiglio Regionale e da esso votato, non intende sottrarsi ad un confronto di questo tipo, anzi desidera che esso avvenga con ampia possibilità per le forze politiche di misurarsi su tutti i temi: a questo fine accompagnerà, per il dibattito consiliare, il bilancio non solo con la consueta relazione, ma con un documento di analisi della situazione congiunturale e della situazione economica del Paese, con un altro documento che contenga il parere della Giunta in ordine al rapporto dell'IRES e con altre indicazioni programmatiche legate al bilancio e all'attuazione del programma concordato.
La discussione viene pertanto rinviata, ma con l'impegno di farla avvenire al livello che tutti i Gruppi hanno qui sollecitato.
Ritengo doveroso peraltro aggiungere, senza entrare nel merito dei problemi che sono stati discussi oggi, che la Giunta deve respingere decisamente qualsiasi accusa contenuta nella mozione presentata dal Gruppo liberale di aver tenuto un atteggiamento sostanzialmente passivo, di mera registrazione dei processi in atto, quasi che la Giunta si sia in questi mesi data carico soltanto di essere il notaio della crisi in atto nel sistema economico piemontese, per ribadire invece che questa Giunta si è impegnata, per quanto ha potuto, ad essere presente, attenta all'esame dei fenomeni che si stanno verificando, cercando di dare un contributo, di influire sulle scelte, sulla ricerca del modo per uscire da questa crisi.
Questo abbiamo fatto non solo attraverso una presenza a livello di Commissione interregionale per la programmazione, e dunque di partecipazione, insieme con le altre Regioni, al dibattito sulla politica economica generale, sul piano di emergenza '74, sulle scelte di politica economica del Governo, sull'ampliamento dei fondi e dei poteri di cui devono disporre le Regioni: lo abbiamo fatto anche confrontandoci in una serie di incontri serrati con le organizzazioni sindacali della nostra Regione, serie di incontri che evidentemente hanno lasciato inalterati i rapporti di reciproca autonomia di giudizio e di libertà d'azione della Giunta e delle Organizzazioni sindacali,ma che ci hanno peraltro consentito di verificare e di affrontare in modo estremamente ampio, concreto e proficuo i temi sui quali si stanno battendo le Organizzazioni sindacali; e infine attraverso l'attività posta in essere dalla Giunta e, più ampiamente, dalla Regione che, ha dato in questi mesi, sia per quanto riguarda l'attività legislativa che per quanto riguarda gli impegni diretti di spesa, il senso di una presenza tutt'altro che passiva, di un contributo, tutt'altro che marginale, alla ricerca del modo di superare la crisi.
Anch'io penso che le grandi parole, l'insistere su alcuni temi di moda che la pubblicistica ha divulgato, non aiutino gran che ad uscire dalla crisi; credo invece sia molto più importante valutare la reale possibilità di un diverso modo di crescita del nostro sistema sulla base di atti concreti, di impegni precisi, di scelte fatte, di indirizzi di spesa, di indirizzi programmatici. Tutte le forze politiche debbono oggi sentire la responsabilità di non continuare a sciacquarsi la bocca con l'ossequio a nuovi modelli di sviluppo e di operare invece in concreto, perché i tempi ormai hanno logorato, come succede in genere, le formule d'uso rimaste tali. Occorrono scelte diverse, scelte alternative; il tipo di sviluppo diverso passa attraverso un modo diverso di fare gli investimenti, un modo diverso di qualificare la domanda, un modo diverso di impostare i consumi un modo diverso di usare del territorio, un modo diverso di indirizzare le attività produttive. In relazione, quindi, a fatti precisi, a scelte concrete, a investimenti da realizzare, a capacità reali di spesa, a mobilitazione di risorse, noi crediamo che la Regione debba dare, e darà il suo contributo ad una politica nuova: e il fatto che di queste cose si discuta in occasione del bilancio 1974, che è un bilancio in espansione, un bilancio frutto di una scelta politica espansiva della spesa pubblica della Regione, mi sembra che di per sé consenta di collocare questo dibattito nel giusto quadro e nella luce più appropriata.
E' dunque un appuntamento a brevissima scadenza quello che la Giunta intende dare ai colleghi del Consiglio perché questo dibattito prosegua; un appuntamento nel quale il più ampio dibattito consenta di verificare tutte le posizioni, rispetto alle quali ognuno ha il dovere di assumere le sue responsabilità.



PRESIDENTE

L'orientamento generale che mi pare sia emerso dagli interventi fin qui svolti mi pare sia che è necessario un dibattito più approfondito sullo stato dell'economia, da svolgere nel quadro del dibattito sul bilancio, che dovrebbe avvenire immediatamente dopo il 15 maggio (mi pare che le date previste siano il 20-21 e 22 maggio.
Prima d'allora il nostro programma di lavori prevede: mercoledì 17 aprile, la discussione sui Comitati di controllo e sui problemi della Sanità; mercoledì 24 e venerdì 26 quella sui provvedimenti in favore della zootecnia.
La discussione odierna sulla mozione potrebbe dunque concludersi qui per essere ripresa in occasione del dibattito sul bilancio.
Vorrei conoscere il parere del Consiglio su questo programma. Chiede di parlare il Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Il Gruppo socialista è d'accordo sulle proposte che lei ha fatto.Ci interesserebbe sapere se la discussione della settimana prossima, quella che avrà per oggetto i problemi della Sanità, sarà o no introdotta da una relazione della Giunta.



PRESIDENTE

La discussione sulla Sanità potrebbe essere introdotta da un discorso dell'Assessore competente, o prendere le mosse da un documento della Giunta.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Posso precisare fin d'ora che il discorso sarà avviato da una relazione dell'Assessore alla Sanità.Più esattamente, l'Assessore introdurrà l'argomento con una sua comunicazione (non sarà una vera e propria relazione, perché la Giunta non avrebbe neanche il tempo materiale per poterla avallare come tale), in cui esporrà delle linee anche in relazione al dibattito precedente e al contenuto di interrogazioni che concernono il suo campo di attività.Nulla vieta peraltro, che Gruppi o singoli Consiglieri presentino mozioni, se desiderano farlo.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Tornando all'argomento che si stava discutendo, dichiaro che il Gruppo liberale concorda sulla proposta che i contenuti oggetto della mozione che abbiamo oggi illustrato restino sospesi in attesa della nota che l'Assessore alla Programmazione annetterà alla relazione sul bilancio del 1974.



PRESIDENTE

Quindi, per la prossima seduta, di mercoledì 17, mi pare vi sia questa intesa: si discuterà sui Comitati di controllo, rispettando un termine fissato dal Regolamento, sulla base degli atti che il Presidente della Giunta ha fatto pervenire alla Presidenza del Consiglio e che risultano essere già stati recapitati ai singoli Consiglieri, e sulla Sanità, con introduzione all'Assessore alla Sanità nulla vietando però che siano presentate mozioni.
Prego, a conclusione della seduta, il Segretario di dar lettura delle interrogazioni, interpellanze e ordini del giorno pervenuti.


Argomento:

Interrogazioni e interpellanze (annuncio)


FRANZI Piero, Segretario

Interrogazione dei Consiglieri Vera, Calsolaro, Cardinali, Zanone tendente ad appurare se corrisponda al vero che il Ministro degli Interni abbia proibito ai Sindaci di concedere spazio per la propaganda elettorale ai Partiti e alle organizzazioni collaterali e, in caso affermativo, quali passi intenda svolgere il Presidente presso il Ministro degli Interni.
Interrogazione del Consigliere Gerinisulla mancanza di acqua potabile nella frazione Incasale del Comune di Odalengo Grande, ove vivono nove famiglie.
Interrogazione urgente dei Consiglieri Zanone, Fassino, Gerini Rossotto al Presidente della Giunta per sapere quali iniziative intenda assumere in occasione del centenario della nascita di Luigi Einaudi e delle manifestazioni einaudiane. Interrogazione dei Consiglieri Saldano e Falco al Presidente della Giunta per sapere quali iniziative essa intenda assumere per alleviare la grave situazione di disagio delle popolazioni della Val Varaita, sprovvista di assistenza sanitaria.
Interpellanza dei Consiglieri Revelli, Lo Turco al Presidente della Giunta per sapere quali iniziative si intendano assumere in favore delle popolazioni danneggiate dal maltempo nelle zone della provincia di Cuneo.
Interpellanza dei consiglieri Revelli, Lo Turco e Marchesotti, con accluso testo di una lettera del Sindaco di Mentone che attiene alla Cuneo Ventimiglia-Nizza, rivolta al Presidente della Giunta perché precisi quali iniziative intenda assumere.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, prima di dichiarare chiusa la seduta, vorrei rivolgere a tutti un cordiale augurio per l'imminente festività pasquale.
La nuova Giunta ha cominciato a lavorare alla vigilia di Natale, il 21 dicembre, a Pasqua è giunta in un baleno. Auguro a tutti voi, che in questo periodo avete lavorato duramente, di godervi una felice Pasqua.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18)



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