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Dettaglio seduta n.21 del 15/12/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta



PRESIDENTE

Desidero dare comunicazione al Consiglio, anzitutto, che è stata insediata stamane la Giunta delle elezioni ed ha proceduto immediatamente alla costituzione del proprio ufficio di presidenza, il quale risulta così composto: Presidente il Consigliere Paganelli, vice presidenti i Consiglieri Fonio e Besate, Segretario il Consigliere Fassino. La Giunta procederà all'esame delle condizioni di eleggibilità del Consigliere Vera e ne riferirà in giornata, in maniera che il Consiglio si possa pronunciare e possa chiudere l'ultimo caso in esame delle condizioni di eleggibilità.


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo per la giornata odierna i Consiglieri Conti Borello e per la seduta di questo pomeriggio il Consigliere Giovana.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Sono stati distribuiti, sia a domicilio, sia direttamente a chi non l'aveva ricevuto a domicilio, in copia, tutti i verbali delle sedute relative all'esame dello Statuto che non erano stati ancora sottoposti all'approvazione del Consiglio. Come i signori Consiglieri avranno potuto rilevare, si tratta di una mole abbastanza pesante e la sua lettura richiederebbe alcune ore. Se non vi sono obiezioni da parte di nessun Consigliere, essendo stati già distribuiti e presumibilmente letti questi verbali da ciascun Consigliere, si possono dare per letti. Vi sono obiezioni? Non ve ne sono. Vi è qualche rilievo od osservazioni da fare in merito ai verbali? Se non vi sono osservazioni si possono considerare approvati. Sono approvati.


Argomento: Industria (anche piccola e media)

Mozione sulla piccola e media industria


PRESIDENTE

Procediamo con il nostro o.d.g.: "Mozione sulla piccola e media industria".
E' stato presentato un testo di mozione (già distribuito) a firma dei Presidenti di tutti i Gruppi consiliari; ne dò lettura: "Il Consiglio Regionale, preso atto della situazione in cui versano parecchie aziende piemontesi, rileva che le difficoltà che sembrano investire parte della piccola e media industria, mettono in pericolo i livelli di occupazione e pregiudicano il raggiungimento degli obiettivi della programmazione regionale. Esprimendo ai lavoratori in lotta la propria solidarietà, il Consiglio impegna pertanto la Giunta a seguire le varie situazioni, al fine di tutelare i lavoratori e di sollecitare al governo gli opportuni provvedimenti." E' iscritto a parlare il Consigliere Revelli, ne ha facoltà.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, signori Consiglieri, in questa discussione sulla piccola e media industria è citata anche la questione di una fabbrica del cuneese che si è trovata in questi ultimi tempi in difficoltà; il pastificio Gazzola di Mondovì. Questo pastificio occupa attualmente 140 operai; per importanza è l'ottavo pastificio italiano; copre, da tempo, con la sua produzione, circa il 50 per cento delle esportazioni italiane in Francia. Il 12 gennaio del '70 l'azienda è entrata in amministrazione controllata a seguito di una situazione debitoria molto gravosa, un miliardo e ottocento milioni di passivo. Questa amministrazione controllata scade il 12 gennaio '71.
Nell'arco di questo anno sono da sottolineare alcuni fatti importanti.
Innanzi tutto le ragioni del dissesto dell'azienda sono state attribuite ad una cattiva amministrazione, soprattutto per quanto riguarda il settore delle vendite; la rete distributiva pare sia stata organizzata con molta leggerezza, provocando uno sperpero enorme di denaro. Le ragioni della crisi hanno avuto in gran parte conferma nel corso dell'amministrazione controllata, proprio perché si è dimostrato che con un'amministrazione più oculata l'azienda sarebbe stata in condizione di realizzare anche un attivo.
Ma ciò che mi preme maggiormente sottolineare è il ruolo che ha avuto la classe operaia nella vicenda della Gazzola. Dopo le prime lotte per la difesa del posto di lavoro, le maestranze hanno dimostrato una grande capacità dirigente, inserendo nel contesto degli obiettivi immediati obiettivi generali, in difesa dell'occupazione. Esse si sono comportate con un estremo senso di responsabilità, investendo le autorità locali perch intervenissero per sanare con un intervento dello Stato, pubblico, la situazione e ponendosi, sin dall'inizio, il problema di una diversa collocazione del monregalese nell'ambito di una politica di sviluppo industriale della provincia di Cuneo. E questo e risultato ben chiaro quando i lavoratori della Gazzola ed i sindacati si sono rivolti alla Regione. Sono venuti qui per chiedere due cose: primo, che la Regione intervenisse, con tutto il suo peso politico ad appoggiare le richieste degli operai e dei sindacati. (Forse gli Assessori Falco e Viglione potrebbero dare maggiori chiarimenti su questo; la Regione ha mantenuto i suoi impegni, la Giunta ha cercato sino ad oggi la possibilità di mantenere in vita questa azienda? ). Il secondo punto però è più importante: gli operai, dopo una giornata di lotta che ha coinvolto tutta la città di Mondovì e tutti i lavoratori degli altri settori produttivi, sono venuti alla Regione per affermare quale deve essere il ruolo della Regione nell'ambito di una programmazione regionale, che veda anche per il monregalese un diverso assetto industriale.
La questione della Gazzola è stata l'occasione, ma dà delle preoccupazioni sul piano dell'occupazione, per il fatto che questa azienda e inserita in un contesto industriale, quello del monregalese, che è estremamente precario, perché legato a settori produttivi precari. La ceramica è passata da una produzione diretta a una produzione prevalentemente basata sulle confezioni; si e cercato di rimediare ai maggiori costi assumendo sempre più manodopera femminile, il che comporta una politica di bassi salari. Sono tre o quattro le aziende che operano nel settore della ceramica e che subiscono sempre di più la concorrenza estera nonché quella del monopolio della Richard Ginori che è presente nel monregalese e prefigura la possibilità di eliminare non solo queste aziende concorrenziali, ma addirittura di smantellare i suoi impianti.
Un altro settore in crisi è quello dell'abbigliamento, caratterizzato da piccole industrie sorte sul piano speculativo, sovente a conduzione familiare, oppure che lavorano per conto terzi e sono quindi costrette a pagare subito le recessioni del settore.
Altre aziende, come le metalmeccaniche, che si collocano a livello di piccole aziende come le fonderie del Tanaro, di Lesegno, dietro ad una vernice di progresso e di benessere, invece portano con sé una linea di occupazione soprattutto di immigrati che non trovano lavoro nell'area torinese, anche perché sono caratterizzate da una stragrande maggioranza di lavoratori addetti alla manovalanza. Anche recenti insediamenti più consistenti non hanno mantenuto le promesse, come nei casi particolari della Ferodo o della Valeo.
Nel quadro poi di una politica di chiusura progressiva delle aziende importanti come la Metalmeccanica Bassano &Manfredi, la Beltrandi e il trasferimento della Bongiovanni, balza agli occhi che le difficoltà dell'occupazione diventano notevoli. E' aumentato il fenomeno dei pendolari verso la zona di Torino e verso la Liguria.
Gli operai della Gazzola quindi si sono preoccupati non soltanto di mantenere in vita la loro azienda, ma sono venuti alla Regione per porre il problema di un diverso sviluppo dell'assetto industriale del monregalese e quindi della provincia di Cuneo. Infatti si può dire che se il cuneese ha conosciuto in questi ultimi anni uno sviluppo industriale, ciò è avvenuto soltanto per quanto concerne i monopoli: Michelin, Ferrero ne sono esempi.
Io penso che gli operai della Gazzola abbiano avuto una certa risposta, per quel che riguarda gli obiettivi immediati, dalla Regione, la quale si sta adoperando perché qualche cosa venga fatto in favore di questa azienda per mantenerla in vita. Ma la Regione è in grado di rispondere alla richiesta più generale che coinvolge tutta una zona e una provincia che è organicamente depressa? Occorre che il Consiglio Regionale affermi la necessità che la Regione sia uno strumento in grado di funzionare, uno strumento che operi in modo nuovo nei riguardi della politica industriale di tutta la Regione, che porti a superare gli squilibri tra zona e zona pur tenendo fede agli impegni principali che si è data col suo Statuto come quello di favorire un decentramento al sud, guardando soprattutto al Mezzogiorno.
La Regione però, per far questo, deve essere in grado non solo di alimentare la partecipazione degli Enti locali, delle Province che non hanno mantenuto le loro promesse di programmare uno sviluppo nelle proprie zone territoriali, ma di controllare lo sviluppo industriale affinché non sia soltanto al servizio degli interessi monopolistici, ma della collettività. Questo al fine di evitare che alcune aziende che hanno avuto una loro funzione, oggi siano chiuse senza poter essere sostituite con grave pericolo per l'occupazione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Petrini, ne ha facoltà.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri. Sebbene con i colleghi della mia provincia viva giorno per giorno la tragedia del depauperamento della nostra zona e del continuo stato di crisi delle nostre vallate con il loro patrimonio di infrastrutture e di attività, cercherò di non lasciarmi trascinare a parlare della crisi tessile che ci tocca molto da vicino.
Desidero soltanto sottolineare, in merito all'industria tessile laniera che la Regione dovrà fare di tutto per sviluppare al massimo questa attività che contraddistingue la provincia di Vercelli e che porta l'area biellese ad essere la seconda area ecologica regionale, quanto a sviluppo industriale.
Ciò pero dovrà avvenire coadiuvando anche i processi in atto a quelli che, a breve scadenza, si imporranno, cioè la ristrutturazione del settore le cui conseguenze riduttive della manodopera dovranno essere neutralizzate con l'insediamento in loco di nuove iniziative industriali, magari complementari a quelle di base, i cui requisiti siano pero tali da impiegare, col minimo di impianti, il massimo di manodopera e soprattutto di non alterare l'equilibrio fisiologico di fondo della struttura produttiva tessile biellese, caratterizzata appunto dal settore laniero.
Superando quindi le questioni campanilistiche e discutendo di visioni più ampie, mi pare che sia necessario un preambolo alla mozione presentata dai Presidenti di tutti i Gruppi consiliari; non tanto per affermare che la cosiddetta tecnostruttura, che nella grande industria ha soppiantato al completo la figura dell'imprenditore con relative responsabilità e decisioni personali, risponde tendenzialmente ad una logica più monopolistica, mentre la struttura tradizionale della media e piccola industria, che si riconosce soprattutto nell'imprenditore e nella sua funzione nonché nella sua responsabilità, risponde ad una logica di libero mercato nel cui ambito alcuni fattori, come l'imprenditorialità, lo spirito di iniziativa, l'inventiva trovano spazio di affermazione molto più che altrove, quanto proprio per ribadire che la piccola e media industria è indispensabile alla grande industria, rispetto alla quale realizza produzioni accessorie. Inoltre essa può insediarsi là dove esistono agglomerati umani e sociali che non presentano un sufficiente bacino demografico ne per le grandi imprese né per le loro succursali, ma che rappresentano pur sempre una dimensione economica da non sottovalutare. Si deve infatti alla piccola e media industria la sopravvivenza di moltissimi centri montani e medio collinari.
La piccola e media industria, poi, non e industria di pochi occupati come semplicisticamente si può credere, ma è soprattutto industria di particolari produzioni che possono essere esemplificate nell'attività tessile laniera dove appunto è lo stesso mercato ad esigere una dimensione medio - piccola delle imprese industriali, poiché essa soltanto pu presentare quella flessibilità di risposta produttiva che il mercato dei manufatti di lana, sotto l'impulso di molteplici e mutevoli fattori impone. D'altro canto, vediamo come non possa considerarsi piccola e media industria, ad esempio, una grande impresa del settore petrolifero dove, con 50 o 100 addetti, si producono milioni di tonnellate di prodotti petroliferi mediante un'elevata tecnologizzazione degli impianti.
La piccola e media industria ha svolto sinora nel nostro Paese la funzione di sollecitazione di iniziativa privata aperta a tutti, di integrazione economica di base che nessuno può misconoscere. E lo ha fatto attraverso innumerevoli difficoltà; si pensi soltanto come alla piccola e media industria sia precluso l'accesso ai finanziamenti di borsa e quindi come essa sia chiusa in un vero e proprio cerchio di ferro, creditizio per il quale, onde finanziare le proprie iniziative, deve assolutamente dipendere dalla congiuntura bancaria o dal finanziamento di impresa divenuto sempre più raro e difficoltoso.
In questo senso si spiegano gli interventi, quasi sempre di natura fiscale o creditizia, adottati a favore delle piccole e medie aziende dal Governo e dal Parlamento. In prospettiva è vera l'affermazione per cui la piccola e media industria tende a scomparire nella ragione in cui il processo tecnologico, che già si realizza negli invasi delle grandi imprese, defluisce in tutti i settori della vita produttiva. La risposta sia pure semplificata, sta nella constatazione, proprio a livello di Paesi a più progredita tecnologizzazione, che la grande industria ha assunto sempre più un ruolo preponderante nella produzione dei prodotti di base di larghissimo consumo, specializzandosi come industria efficientissima sul piano della quantità, mentre la piccola e media industria si dimostra indispensabile nella produzione di elevata qualificazione, nella ramificazione dei processi produttivi di integrazione, nella differenziazione, sia produttiva che di insediamento, delle attività industriali, nel cui corpo si specializza come industria di qualità.
Le prospettive della piccola e media industria stanno quindi nel realizzare questa sua destinazione produttiva in una serie di rapporti gerarchici con la grande industria da un lato e col territorio dall'altro che debbono essere favoriti come socialmente oltre che economicamente utili dai pubblici poteri. A parte la ricerca e l'ipotizzazione di nuove provvidenze a favore della piccola e media industria, ritengo che le manovre tradizionali, vale a dire le esenzioni fiscali, le agevolazioni del credito, la fiscalizzazione degli oneri sociali, possono ridare parecchio ossigeno alla piccola e media industria piemontese, a patto però che il tutto sia incorporato nella logica del piano regionale di sviluppo.
Da qui la necessità, anche sulla base di constatazioni che emergono da vicende oggi alla ribalta della cronaca, di favorire la media e piccola industria. Ed è per questo, per quanto mi riguarda, che mi pare che l'o.d.g. presentato dai presidenti dei gruppi consiliari, meriti sostanzialmente la nostra approvazione, ma che necessiti di essere integrato non tanto dalla definizione di ciò che intendiamo per piccola e media industria, quanto dalla necessità di evidenziare le caratteristiche le prospettive della piccola e media industria piemontese per area e per settore. Ed è per questo che personalmente chiedo un riesame per fare un o.d.g. più completo, più preciso che stia in special modo, signor Presidente, nella logica del piano regionale di sviluppo e che trovi, in definitiva e soprattutto, l'approvazione di tutti i settori che compongono il nostro Consiglio Regionale. Sarà indubbiamente, questo, un passo avanti per l'assetto territoriale della Regione Piemonte.



PRESIDENTE

Consigliere Petrini, forse potrebbe ella stessa stendere uno schema di proposte da sottoporre ai suoi colleghi che hanno firmato l'o.d.g.



PETRINI Luigi

Lo stiamo vedendo con il Consigliere Simonelli.



PRESIDENTE

Benissimo.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Giovana, ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, desidero fare alcune considerazioni di carattere generale sul tema che è proposto alla nostra attenzione e sul quale alcuni colleghi hanno portato e porteranno ancora esperienze di natura particolare, indicazioni inerenti a problemi di natura specifica. Desidero fare queste considerazioni di carattere generale perch credo che, soprattutto in questa fase, propedeutica alle possibilità reali della nostra iniziativa sul piano economico, si debba avere chiarezza su quelli che sono i nodi di fondo relativi ai problemi di natura economico sociale, e nella fattispecie a quello della piccola e media industria.
Se non vogliamo eludere questi dati di fondo dobbiamo andare a monte delle contingenze, delle crisi alle quali stiamo assistendo, degli aspetti drammatici che il proliferare di tali fenomeni di crisi ci presenta.
Dobbiamo guardare - non per il piacere di fare la storia ma per trarre insegnamento e sapere che su certe scelte vi sarà il banco di prova di determinate volontà politiche - ai problemi generali di indirizzo dell'economia italiana nel corso di questi anni e in questo momento.
Un dato è certo: la crisi della piccola e media industria non è un fatto di questi giorni, è strutturalmente una situazione che risale nel tempo, anche in una Regione ad alto sviluppo industriale com'è il Piemonte.
Io rammento che negli anni passati abbiamo trascorso lungo tempo in amabili conversazioni e dibattiti all'interno del Comitato scientifico dell'IRES su questioni relative proprio alla piccola e media industria, Il collega Oberto, che presiedeva allora il Comitato scientifico, ricorderà quanto tempo attorno a questi problemi si è trascorso, quanti poderosi volumi abbiamo dovuto esaminare. E tutto questo facevamo mentre nel Paese avanzava tranquillamente un meccanismo di sviluppo il quale andava in direzione esattamente contraria alle conclusioni alle quali erano pervenuti sia gli esperti dell'IRES che avevano preparato per noi le basi del lavoro da esaminare, sia taluni di noi che in quel Comitato scientifico cercavano di fare una rilevazione della realtà piemontese in questo settore. Andava cioè avanti in Piemonte (ma anche in tutto il quadro nazionale) un meccanismo di sviluppo che era funzionale ai grossi interessi di potete oligopolistico e che come tale salvava, per il settore della piccola e media industria soltanto quelle entità aziendali le quali a loro volta erano funzionali agli interessi di questi grossi centri di potere. Ci si preparava a emarginare inesorabilmente tutti gli altri strumenti produttivi che a questi centri non interessavano o che in prospettiva dovevano essere assorbiti nel quadro dell'allargamento, dell'espansione del loro potere di controllori della finanza e dell'industria. Era quindi un problema di rapporto fra le responsabilità dei pubblici poteri di fronte al disordine e all'arbitrio dei grossi centri di potere economico privato, e i problemi di uno sviluppo equilibrato dell'economia, le cui risultanze tornassero a vantaggio non di pochi, ma di tutta la collettività, e quindi anche di questi settori della piccola e media industria che sono componente non trascurabile di un'economia a sviluppo equilibrato.
Ecco che questo processo è andato avanti, senza trovare nessun elemento di freno. Io ricordo - e anche qui il collega Oberto avrà memoria altrettanto viva della cosa - che noi stavamo discutendo alcuni anni fa, in quel Comitato scientifico dell'IRES, di costituire una Finanziaria pubblica per sovvenire non tanto alle esigenze di salvataggio di piccole e medie industrie che si trovavano in crisi, quanto per avere un organico disegno che consentisse all'intervento pubblico di fornire a queste piccole e medie industrie, sedi di indicazione, strumenti operativi e di ricerca, modi anche di collegamento per l'intervento e per il sostegno sui mercati, tali da farle sopravvivere rispetto all'imponenza e alla violenza con cui i grandi centri di concorrenza produttiva organizzati contrastavano le loro possibilità di sopravvivere. Ed ecco che proprio mentre noi facevamo delle accademiche discussioni intorno a ciò, nacque la Finanziaria privata. Mi scuserà il collega Oberto se osserverò che era una contraddizione patente il fatto che lui, Presidente in quel momento dell'IRES, in cui si discuteva la Finanziaria pubblica, divenisse anche un esponente della Finanziaria privata. Sono convinto che il collega Oberto avrà avuto una sua linea di scelta e poi dirà le ragioni per cui ciò avvenne. Del resto, questo è un fatto puramente marginale e non lo dico per una polemica personale nei confronti del Consigliere Oberto. Dico soltanto che mentre noi discutevamo questi problemi, intervenne una Finanziaria privata la quale, naturalmente come tutte le Finanziarie private, agì senza nessun controllo pubblico che fosse in grado di sottomettere, di vagliare le scelte che questa Finanziaria attuava rapportandola a interessi più generali dello sviluppo collettivo, e quindi, in quel settore particolare, della piccola e media industria, indirizzandola a giusti fini di sostegno delle aziende.
Siamo andati così avanti (non soltanto in Piemonte: mi riferisco sempre a un meccanismo di sviluppo generale) con un tipo di orientamento dell'iniziativa nell'economia non solo non contrastato dalla classe dirigente, ma largamente agevolato e portato a livelli di sostegno addirittura incredibili e largamente dannosi per il quadro generale della società italiana. Si veda il modo con cui i vari governi che si sono succeduti, ivi compresi quelli di centro sinistra, non hanno mai ritenuto di operare un intervento preciso e limitativo della svendita che è stata fatta in misura eccezionale al capitale straniero di grossi beni della comunità nazionale. Non sr e mai ritenuto di frenare un tipo di sviluppo che proprio qui, nella Regione piemontese, avendo in Torino il suo centro nodale, ha creato nelle caratteristiche che sono estremamente rivelatrici delle contraddizioni del meccanismo di sviluppo capitalistico stesso: cioè la riproduzione del sottosviluppo nelle aree di massimo sviluppo non è stata evitata. Lo hanno riconosciuto ieri alcuni colleghi della maggioranza. Non è stato assolutamente ovviato a quel tipo di sviluppo monocorde dell'economia torinese che ha creato uno stato apoplettico della città e della fascia di Torino, con attorno delle zone di crescente abbandono. Si sono ipotizzate delle zone di crescita industriale che poi alla verifica dei fatti (è il caso del Novarese) si sono rivelate delle zone di progressiva decadenza industriale. E, proprio in misura rilevante in quei settori della piccola e media industria dei quali stiamo parlando abbiamo avuto tutta una serie di iniziative all'insegna del parassitismo approfittando del modo con cui è stata gestita la politica delle incentivazioni e del credito. Vi è stato del parassitismo finanziario con tutti i suoi risvolti politici, e quindi dell'avventurismo protetto. Quanti piloni di fabbriche abbiamo visto alzarsi nelle zone dichiarate depresse del Piemonte; quattro o cinque piloni bastavano per ottenere un credito per un insediamento industriale, bastavano per ottenere dal Comune in cui si faceva questo insediamento, delle condizioni di estremo favore per l'insediamento stesso, dopo di che sparivano gli iniziatori. Ricordo un caso che ha fatto non dirò epoca, perché in Italia ci sono ben altre cose che fanno epoca, ma certamente ha avuto un suo riflesso nella situazione economica piemontese. E' il caso delle Ferriere di Lesegno, in cui lo Stato ha versato 700 milioni a pro di un gruppo di speculatori che poi si sono volatizzati, e che probabilmente hanno fatto fruttare altrimenti questo pacchetto di denaro sottratto alle tasche dei contribuenti. Dopo di loro è intervenuta un'altra Società, le Ferriere di Lesegno hanno ripreso il lavoro. Non so bene chi sia dietro questa Società che gestisce il modernissimo impianto. Sta di fatto che, guarda caso, quell'iniziativa non è crollata completamente, ma i costi che ha pagato il Comune di Lesegno che hanno pagato le popolazioni di quella zona, che ha pagato lo Stato 700 milioni - sono stati del tutto sproporzionati al tipo di iniziativa, e comunque essa ha permesso a un gruppo di speculatori rimasti in parte anonimi, di intascarsi, senza troppi sforzi, somme di denaro non indifferenti. Abbiamo una casistica che potremmo qui elencare per ore. Ma non parliamo poi se ci si sposta a considerare il Mezzogiorno. Chiunque abbia viaggiato nel Mezzogiorno sa come, in virtù delle iniziative della Cassa del Mezzogiorno e della politica degli incentivi, sia nata una selva di piloni di cemento che non sono mai arrivati ad avere un tetto, che non hanno mai visto un operaio passare una porta d'ingresso.
Ecco dunque che il problema, a monte delle denunce che facciamo per singoli casi, è quello di scelte precise di sviluppo. E' chiaro che se va avanti questo tipo di congegno che privilegia in modo assoluto i grandi centri di potere economico, che oggi ci fa assistere a un intreccio fra capitale pubblico e capitale privato (Piombino, Montedison ecc.) il quale non va nella direzione del condizionamento da parte dell'intervento pubblico del capitale privato, bensì nella direzione esattamente inversa se continua il processo di esasperazione della concentrazione "polare" dell'industria in rapporto alle scelte che liberamente fanno grandi centri di potere guidati dagli Agnelli e colleghi, è evidente che non freneremo la crisi delle piccole e medie industrie, non saremo in grado di dare garanzie di sorta per questi problemi. Perché, per quelle aziende che interessano come fattori aggiunti, le strutture produttive dei grandi centri di potere ci penseranno loro a tenerle in piedi; tutte le altre verranno spazzate via, verranno lasciate decadere e, negli interstizi di questa politica passeranno sempre le avventure degli speculatori intenti a pompare denaro allo Stato ed a lasciare a breve scadenza i costi delle loro operazioni sulle spalle dei lavoratori e degli enti locali.
Ecco quindi che il problema di fondo della programmazione regionale dei modi con cui la Regione si atteggerà di fronte non soltanto alla piccola e media industria ma di fronte al quadro generale delle scelte economico - produttive è di vedere se la volontà delle forze politiche che sono qui raccolte è orientata a spezzare la logica delle scelte di questi grandi centri di potere, a interferire nelle loro opzioni condizionandole in ragione dell'interesse della collettività. Se così sarà, allora in questo quadro potremo e sapremo certamente anche costruire degli strumenti che aiutino lo sviluppo della piccola e media industria; altrimenti dovrà essere detto chiaramente che, essendo state fatte delle scelte unicamente funzionali a quegli interessi che richiamavo prima, qualsiasi riferimento a una volontà programmatoria precisa inerente al problema della salvezza dello sviluppo e della promozione della piccola e media industria, è un puro atto di demagogia.
Come mi è toccato di dire quando discutevamo i problemi dello Statuto non credo esistano tre o quattro modi di scelta negli indirizzi di un'economia quale quella del nostro Paese. Esistono qui, come altrove del resto, due linee di scelta molto precise: una è quella che va nella direzione del processo di sempre più accentuato allargamento dei poteri di pochi gruppi privilegiati, e quindi va contro gli interessi della collettività ed è destinata a riprodurre permanentemente quelle contraddizioni che provocano disoccupazione, sottosviluppo nello sviluppo l'altra e invece un modello di sviluppo che, controllato dall'iniziativa pubblica e orientato per gli interessi della collettività, contrasti le scelte privatistiche e quindi modifichi radicalmente il tipo di impiego delle risorse economico - produttive della società, E' soltanto in questo secondo canale che, se noi agiremo coerentemente assieme a una modificazione, a una sanatoria dei grossi problemi che abbiamo anche nella Regione Piemonte e che sono inerenti al sottosviluppo, porteremo avanti possibilità promozionali effettive per la vita della piccola e media industria.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Benzi, ne ha facoltà.



BENZI Germano

Signor Presidente, signori Consiglieri, io vorrei fare una dichiarazione sulle piccole e medie industrie, fra le quali mi rifiuto di mettere il complesso della Montedison altrimenti vuol dire che non sappiamo esattamente che cos'è la piccola e media industria.
Il mio intervento non si riferisce alla piccola e media industria in generale, io vivo in quell'ambiente e una discussione di un'ora o due è segno di buona volontà, ma non può certamente risolvere il problema.
Il complesso dell'azienda Montedison...



BERTI Antonio

Ma non c'è nell'o.d.g.



BENZI Germano

Chiedo scusa, ma questo è il foglio che ho avuto dalla Segreteria.



BERTI Antonio

Ma è un'altra cosa quella.



BENZI Germano

Io ho chiesto dei documenti in Segreteria, ed ho avuto questo, perci parlo su questo argomento.



PRESIDENTE

Questo è un primo schema che aveva scritto il Consigliere Sanlorenzo e che era stato successivamente ritirato per essere sostituito dal testo che ho letto stamane.
Quindi questo non è nemmeno acquisito agli atti del Consiglio.



BENZI Germano

La ringrazio di questo chiarimento, ma le assicuro che ho avuto solo quel documento, perciò la mia preparazione era su quel documento.



PRESIDENTE

Me ne rammarico, comunque il documento valido è quello che ho letto.



BENZI Germano

La mozione presentata da alcuni Consiglieri Regionali e riguardante la situazione precaria di alcune aziende industriali piemontesi, non può non trovarci d'accordo nella sostanza, ma in questa sede è opportuno che si faccia una panoramica generale dell'industria piemontese, per fare eventualmente interventi non su delle aziende in stato comatoso, ma a lunga scadenza, programmati, tenendo presente che in Piemonte esiste una grande industria ma è pure fortissima la piccola e media industria che occupa il 50 per cento della manodopera.
L'Ente Regione ha il dovere di intervenire per equilibrare lo sviluppo industriale piemontese, attualmente squilibrato con punte di intensità altissima e con aree depresse, come nel Mezzogiorno d'Italia. Su 1.209 comuni del Piemonte, 286 e cioè circa un quarto, sono stati riconosciuti depressi, in quanto facenti parte di zone sufficientemente ampie presentano i requisiti di depauperamento delle forze del lavoro derivanti o da sensibile invecchiamento della popolazione residente, o da accentuati fenomeni di esodo, o da reddito pro capite inferiore alla media nazionale o da insufficiente sviluppo dell'attività industriale.
Ai sopra citati 286 comuni, vanno aggiunti quelli classificati montani che sono 391, ciò significa che in Piemonte abbiamo 677 comuni ad area depressa e cioè più della metà dei comuni piemontesi nei quali vi sono circa 850.000 persone, ossia il 20,4 per cento di tutta la popolazione di cui l' 11,7 per cento nei comuni montani e l'8,6 per cento nelle zone depresse. Zone depresse così individuate: Monferrato, Novarese e Vercellese, Acquese, Langhe, Pedemontana Cuneense Meridionale e Orientale Valle del Po e Val Pellice, Canavese Occidentale e Pedemontana Biellese.
Queste nove zone comprendono, come si è detto prima, 286 comuni e cioè il 23,6 per cento dei comuni del Piemonte con una popolazione di circa 360.000 persone. In queste zone del Piemonte c'è miseria, se pensiamo che il reddito pro capite è meno 33 per cento della media regionale, raggiungendo nella Pedemontana Biellese addirittura il meno 46 per cento.
Questi dati sono del 1969, perciò recenti. Che cosa si può fare per queste aree depresse? E' chiaro, bisogna programmare insediamenti industriali, e qua dobbiamo pensare agli insediamenti di piccole e medie aziende e la riprova l'abbiamo controllando i dati degli insediamenti industriali in tutto il Piemonte per il 1969.
Per la provincia di Alessandria 23 nuovi insediamenti, tutte piccole e medie aziende.
Asti: sette nuove imprese industriali, tutte piccole aziende.
Cuneo: 36 nuove piccole medie aziende, una grande azienda, la Michelin con 800 dipendenti.
Novara: 35 nuove aziende piccole e una media.
Torino: 50 nuove aziende, 46 piccole e 4 medie Vercelli: 10 aziende di cui non si conosce però la suddivisione esatta.



BONO Sereno

Sono state trasferite dal Biellese.



BENZI Germano

No no, sono proprio nuove aziende, di nuova costituzione.
Dalla mozione che si sta discutendo è chiaro che la situazione economica piemontese è in una fase di stanca, i sintomi sono dati dalla situazione di parecchie aziende citate nella mozione stessa: la Falconi, la Tobler, la Querena, la Magnadyne e altre.
La Regione è stata chiamata in causa e si è inserita nel dialogo a fianco per impedire, per quanto possibile, un aggravamento di situazioni purtroppo già molto precarie.
E' chiaro che la mancanza dello Statuto regionale, l'impossibilità di interventi decisionali, non hanno portato a dei risultati apprezzabili.
Pero da queste esperienze che abbiamo vissuto la Regione deve trarre degli insegnamenti e delle conclusioni: 1) la costituzione di una commissione per una maggiore occupazione; 2) la creazione di un ente a carattere regionale con ramificazioni in tutte le province per l'assistenza commerciale per tutte le aziende, ma in specie per le piccole e medie per indirizzarle e assisterle nella ricerca di mercati sia nazionali che esteri; 3) la creazione di un centro tecnico ad alto livello per consentire a tutte le aziende di attingere alla metodologia e tecnica più avanzate, per formare aziende attrezzate a tutti i livelli; 4) istituire e favorire le scuole a carattere professionale, per creare gli specializzati per il potenziamento aziendale secondo le tecniche più evolute; 5) favorire il finanziamento in modo rapido per tutti i settori industriali, perché la massima occupazione sia non solo mantenuta ma accresciuta, per assorbire la disoccupazione e la sottoccupazione che esistono in maniera più forte di quanto si immagini.
Questi, è evidente, sono piani a lunga scadenza, ma vi sono problemi immediati a cui prima accennavamo, c'é la disoccupazione e la sottoccupazione che serpeggiano in modo sempre più preoccupante: e qua non basta la denuncia e non bastano i telegrammi che mandiamo ai vari Ministri e che rimangono per lo più senza risposta. Dobbiamo avere dei mezzi per frenare questi fenomeni negativi sulla nostra economia e che sono, in ultima analisi, la miseria con tutte le altre conseguenze per i lavoratori.
A questo punto occorrono interventi in danaro e commesse per le nostre aziende, occorre che una parte dei miliardi che il Governo preleva dalla nostra economia e dal nostro lavoro, venga reinvestita in Piemonte. Occorre cercare altri sbocchi per i nostri prodotti, occorre che le aziende siano in grado di produrre in modo concorrenziale. Questo subito. E' chiaro che poi occorrono dei piani di sviluppo, delle progettazioni e delle programmazioni, è un lavoro che coinvolge tutte le forze produttive, ma non c'è altra strada per dare a tutti i cittadini un posto di lavoro.
L'Italia ha il triste primato, fra i paesi del Mercato Comune, del maggior numero di disoccupati: nel primo semestre di quest'anno erano 875.000; questo numero di capitale - lavoro non utilizzato è uno dei dati più negativi della nostra economia e uno dei dati più mortificanti per una nazione civile ed è un problema che va risolto sul piano industriale e solo il potenziamento dell'industria potrà in gran parte, anzi, del tutto eliminare la piaga della disoccupazione indegna, come si diceva prima, di un popolo civile.
Sui problemi inerenti alla maggiore occupazione, o meglio riguardanti le aziende citate nella mozione in discussione i componenti della Giunta e dell'Assemblea regionale si sono adoperati e sono intervenuti nelle questioni della Tobler, della Quarena, della Falconi, ma dove l'intervento è stato il più costante, il più continuo, il più organizzato è stato nella situazione drammatica dei 3300 dipendenti della Magnadyne, per cui ieri abbiamo fatto un o.d.g. particolare.
La Giunta regionale, dopo un lungo ed approfondito esame della situazione, aveva formato una commissione di assessori che ha portato ieri il problema alla disamina del Consiglio.
Abbiamo pure fatto un altro intervento immediato per una ditta di Brandizzo. Questo sta a dimostrare che la Regione fa qualcosa, ma se non affrontiamo il problema della piccola e media industria con gli insediamenti e con i finanziamenti che sono necessari, non potremo mai risolvere la questione aziendale. Purtroppo a Torino abbiamo una deformazione professionale che è data dalla presenza di un grandissimo complesso; questo grandissimo complesso lascia credere che le piccole e medie industrie abbiano dei grandi mezzi, invece no, molte volte sono operai che da una o due macchine riescono a tirare su una piccola azienda ma devono essere assistiti tecnicamente o finanziariamente. Questo vale specialmente per poter inserire nuove forze di lavoro, perché non possiamo credere che solo le grandi aziende abbiano un ruolo in Piemonte. Noi crediamo che anche le piccole e medie aziende abbiano un ruolo importantissimo, però non dobbiamo farle morire, bisogna che non siano soffocate da questa grande azienda che riesce piano piano a soffocare tutti noi, che ci porta via i nostri dipendenti, le nostre maestranze, ci lascia con gli elementi peggiori per mancanza di preparazione. Ecco perch occorrono anche delle scuole di formazione dei nuovi elementi.
Io mi auguro che la Regione Piemonte prenda a cuore la situazione delle piccole e medie aziende e crei gli strumenti di propulsione per queste aziende.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare la Consigliera Fabbris.



FABBRIS Pierina

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ritengo che parlando di piccole e medie industrie per quanto riguarda l'economia biellese è giocoforza parlare dell'intera struttura economica e sociale, perché è notorio che l'industria biellese ha la particolarità, la caratteristica della piccola e media industria e ancora più specificatamente di un settore, che è quello tessile. In questo Consiglio abbiamo ripetutamente parlato dell'industria tessile biellese per i noti, gravi casi che stanno verificandosi attorno a delle aziende che sono in difficoltà. Sono casi sporadici quelli che abbiamo esaminato, nel contesto però di un'economia che merita di essere esaminata seriamente, perché sta attraversando un periodo molto difficile. Nel Biellese e in atto un processo di ristrutturazione che crea dei seri problemi economici e sociali che impongono scelte ed impegni precisi sul piano economico e politico, a tutti i livelli, non solo per salvare l'industria tessile, ma soprattutto per consentire lo sviluppo socio - economico dell'industria biellese.
La cosa è tanto più grave oggi e nell'economia nostra che poggia prevalentemente sulla monoindustria che ha subito nel giro di pochi anni un crollo pauroso: dal 1964 ad oggi oltre 10.000 unità sono state espulse dalla produzione, delle quali ad essere maggiormente colpite sono state le lavoratrici, che per la prima volta nella storia dell'industria tessile sono scese in percentuale di occupate, al di sotto del 50 per cento. E' chiaro che in una situazione come la nostra e in particolare nell'industria tessile, la manodopera femminile è sempre stata un serbatoio di riserva per gli industriali, dal quale hanno potuto attingere un lavoro altamente qualificato a bassi salari; inserito in modo instabile, quindi più facile ad essere emarginato. Su di essa si sono fatti ricadere i costi sociali di quelle strutture civili che la società ancora non si è data, continuando a mettere in pericolo la stabilità dell'occupazione e dei suoi livelli. E' questo un_ pericolo più che mai presente nella situazione di oggi, non solo per l'occupazione femminile ma in senso generale. Gli industriali biellesi infatti, intenderebbero ripetere l'esperienza fatta nel '64 / '65 nel corso della quale hanno ammodernato in parte le aziende con il concorso del denaro pubblico e contemporaneamente diminuito il numero degli occupati peggiorando le condizioni di lavoro per coloro che sono rimasti in azienda.
Ripetere questa esperienza oggi comporta lo sconvolgimento dell'intera economia delle vallate biellesi. Infatti l'industria tessile continua ad essere la principale fonte di occupazione e di vita per l'intera zona, che gode di fama mondiale per l'alta qualità dei suoi prodotti e per l'alto grado di qualificazione della sua manodopera.
Molte sono le cause delle difficoltà economiche produttive attuali, di cui la riduzione dell'orario di lavoro, la crisi che minaccia l'edilizia le lotte in corso alla Bozzalla &Lesna, alla Rivetti, alla Faudella di Biella, alla Barberis di Candelo, alla Pettinatura Italiana di Vigliano rappresentano gli aspetti più drammatici imputabili, a nostro avviso, ai meccanismi del processo di ristrutturazione aziendale complessivamente dominata dall'iniziativa privata e dai monopoli, sostenuti dalla politica economica svolta finora dal nostro governo.
Nella sostanza, siamo di fronte a difficoltà tipiche dell'industria tessile che deve rinnovarsi profondamente da un punto di vista tecnico produttivo, nel quadro però di una diversa politica economica nella quale i pubblici poteri possano esercitare un reale controllo sugli indirizzi e sulle scelte che i bisogni sociali crescenti sollecitano. Al contrario il perdurare di questo stato di cose minaccia di tradursi in una vera e propria crisi sociale che investe non soltanto i lavoratori biellesi, ma intere vallate e comunità su cui vengono riversati costi sociali e umani intollerabili. A fronte di intere località sottoposte a fenomeni sempre più marcati di degradazione economica e sociale, ricorderò alcuni casi: la Valle Cervo, la Valle Strona, la Valle Elvo, la Val Sessera, per la quale da uno studio recente, fatto in occasione dell'incontro avvenuto col Presidente Calleri per discutere della questione della Bozzalla &Lesna risulta che negli ultimi dieci anni la manodopera occupata nella vallata è passata da 8.684 unità a 4.902 unità, con la conseguente diminuzione di 3.000 abitanti residenti nei nove comuni della vallata.
Abbiamo, a fronte di queste situazioni dicevo, forme di sviluppo congestionato e caotico, anche queste non nuove alla discussione del nostro Consiglio, nei centri di pianura, Cavaglià, Verrone, lungo la provinciale Biella - Vercelli, Biella - Cavaglià, Biella - Cossato in cui vengono a porsi drammaticamente i problemi dei trasporti, (la crisi della società ATA ne è testimone) della casa, della scuola e degli altri servizi pubblici e sociali.
L'esigenza di un piano di sviluppo economico del biellese che parta dal livello comprensoriale, ma si inserisca organicamente nella programmazione regionale e nazionale é, a nostro avviso, non solo indispensabile, ma urgente ai fini di un rovesciamento delle tendenze presenti nei processi di trasformazione e di crescita del settore tessile. Resta chiaro pertanto che, fermo l'accento sul settore fondamentale della nostra economia l'industria laniera, le cui potenzialità di sviluppo riposano sul carattere altamente qualificato della sua manodopera e sull'elevato grado di specializzazione conseguito nel corso di oltre un secolo di esperienze, il piano di sviluppo deve coinvolgere tutti i settori della vita economica biellese, con particolare riferimento all'agricoltura e ai problemi della montagna.
La valorizzazione del biellese come zona tessile, nell'ambito della programmazione regionale e nazionale, consente di programmare l'insediamento di nuove attività complementari, sussidiarie o integrative del ciclo produttivo (mi riferisco al settore delle fibre nuove, del macchinario tessile, delle confezioni ecc.) le quali mentre creano nuove possibilità di reimpiego della manodopera, rendono effettiva una politica del settore. E' perciò necessario invertire radicalmente la tendenza alla fuga dei capitali prodotti nel settore verso altri impieghi ritenuti più remunerativi dal punto di vista del profitto privato, affinché vengano invece investiti nel settore stesso e ciò attraverso l'uso pubblico delle leve del credito, delle agevolazioni fiscali e dell'intervento pubblico.
Unitamente alle direzioni sopra indicate, riteniamo necessario operare per l'incremento generalizzato della produzione, che risolva anche, attraverso una politica creditizia coerente, i problemi riguardanti le piccole e medie aziende, insieme alla sollecitazione di strumenti di partecipazione, di intervento e di controllo pubblico.
Grande importanza assume, a nostro avviso, in questo ambito, la funzione dell'ENI, dell'IRI e in direzione degli investimenti di capitale e in direzione del potenziamento del settore delle fibre e del macchinario tessile, nonché del complemento del ciclo produttivo. Una funzione decisiva a noi pare debba essere assolta dalla Regione in questo senso; essa partendo da una più precisa definizione delle zone tessili, può proporre adeguati interventi che abbiano, come fine, lo sviluppo dei livelli di occupazione e creino la condizione per un'espansione produttiva e occupazionale nell'ambito appunto della programmazione democratica e di una politica economica di sviluppo equilibrato.
Concretamente a noi pare di dover indicare alcuni punti che dovrebbe comprendere il piano e più precisamente: lo sviluppo diffuso delle nostre capacità produttive, l'utilizzazione di tutte le risorse umane e sociali esistenti, l'elevamento dei livelli di occupazione, il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, l'incremento generalizzato della produzione che risolva, attraverso una politica creditizia coerente i problemi riguardanti le aziende ed infine la sollecitazione di strumenti di partecipazione, di intervento e di controllo pubblici.



PRESIDENTE

Faccio presente che ho ancora sette oratori iscritti. Non vorrei richiamare gli oratori al rispetto del limite di tempo che è di 20 minuti per l'illustrazione o gli interventi sulle mozioni. A questo ritmo ho l'impressione che discuteremo soltanto questo argomento. Vorrei pregare i signori Consiglieri di autolimitarsi nel tempo, nella misura del possibile.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, è stato già osservato dal collega Petrini e dal collega Benzi, che questa mozione è ispirata ad una certa genericità. Le situazioni aziendali alle quali la mozione fa riferimento non concernono in realtà soltanto piccole e medie imprese, ma anche complessi di notevole rilevanza e comunque situazioni notevolmente differenziate che richiedono valutazioni e interventi di ordine diverso.
Sarebbe opportuno, a nostro avviso, che la Giunta predisponesse su queste situazioni aziendali di particolare difficoltà, un rapporto complessivo che arrivasse anche alle indicazioni relative alle concrete possibilità di intervento della Regione, in modo da consentire una discussione che esamini l'argomento in profondità e nei suoi molteplici aspetti.
L'o.d.g. che stiamo discutendo esprime la solidarietà del Consiglio Regionale ai lavoratori in lotta per la difesa dell'occupazione. In quanto liberali noi consideriamo lo sviluppo sociale, di cui la piena occupazione è una premessa necessaria, come il fine rispetto al quale lo sviluppo produttivo è appena una condizione strumentale; quindi non vi è in noi alcuna remora a esprimere la nostra solidarietà ai lavoratori che vedono compromessa la stabilità del proprio impiego. Piuttosto ci chiediamo se questi lavoratori non attendano dall'ente pubblico regionale qualcosa di più di una semplice espressione di solidarietà.
Le situazioni di difficile gestione aziendale qui prospettate minacciano in realtà di essere soltanto le prime avvisaglie di una recessione di gravità ben maggiore, la quale dipende da una serie di fattori. Senza togliere nulla alla validità dei miglioramenti retributivi e normativi che sono stati ottenuti o che sono rivendicati dall'azione sindacale, bisogna riconoscere che la gestione delle imprese è resa più difficile dall'aumento del costo del lavoro, il quale è effetto non soltanto dell'aumento delle retribuzioni, ma anche di diminuzioni e discontinuità nei rendimenti.
Ieri, nella relazione che alcuni assessori hanno fatto sulla situazione della Magnadyne, ci è stato spiegato che la crisi di quel complesso aziendale è un effetto della caduta delle esportazioni sul mercato tedesco: non so fino a che punto corrisponda ad un dato di fatto accertabile la voce che la recessione nella vendita dei televisori e di altre attrezzature analoghe nella Germania occidentale è dovuta anche alla nuova concorrenza delle forniture provenienti dai paesi dell'Europa orientale, in cui il costo del lavoro è sensibilmente inferiore al nostro e tuttavia i lavoratori non sono soliti avvalersi troppo frequentemente dell'esercizio del diritto di sciopero.
Sta di fatto, per quanto concerne la situazione piemontese e nazionale che il perdurare all'interno delle aziende di tensioni conflittuali esasperate, è certamente un primo fattore delle difficoltà di cui stiamo discutendo. Un secondo fattore è quello finanziario. In generale la situazione del credito si è appesantita, in particolare l'erogazione dei finanziamenti agevolati è sospesa, credo da oltre un anno, per mancanza di fondi e a tutto questo dovrebbero ovviare gli incentivi previsti nel terzo titolo del decretone. Ma è penoso, dal punto di vista politico, che il governo, a quasi quattro mesi di distanza dalla presentazione del provvedimento, si affatichi .tuttora per ottenere dal Parlamento la conversione in legge di un provvedimento che comunque possa essere valutato, rappresenta poco più di un rattoppo alle sconnessioni del nostro sistema produttivo.
Questo secondo fattore conduce direttamente al terzo, che è forse il più grave: l'incertezza che l'instabilità del momento politico provoca alle iniziative imprenditoriali. Io non credo si debba fare, su questo, un certo tipo di demagogia, ma certo sono sempre più numerosi, come dimostra anche la discussione che abbiamo avuto ieri in Consiglio, gli imprenditori privati che cercano di cedere le proprie aziende o a gruppi di capitale straniero i quali possono suddividere i loro rischi, o agli enti pubblici di gestione i quali non rischiano sulla propria pelle ma su quella dei contribuenti. E il nostro gruppo è stato ieri l'unico ad astenersi sull'o.d.g. per il passaggio della Magnadyne al controllo pubblico, perch a nostro avviso, è sostanzialmente antisociale un sistema in cui l'imprenditore privato gestisce l'impresa fino a quando essa rende e se ne sbarazza quando è in difficoltà, passandola all'economia pubblica. Perch colleghi Consiglieri, se non solo nelle regioni depresse e meridionali (alle quali, secondo quanto abbiamo scritto nello Statuto, noi dovremmo rivolgere uno sforzo prioritario in fatto di industrializzazione) ma nella nostra stessa Regione e in questa stessa provincia di Torino si chiama lo Stato imprenditore a farsi non solo produttore di beni e gestore di servizi di preminente interesse generale secondo la norma della Costituzione, ma anche produttore di televisori, e produttore di cioccolatini, come lo è già di surgelati, di panettoni e pare anche di confezioni di alta moda, noi ci avviamo a fare dell'economia pubblica il sanatorio e il cronicario del sistema economico nazionale. Ed è questa una tendenza estremamente pericolosa che, se non vado errato, è stata lamentata molte volte dallo stesso Presidente dell'IRI.
Noi non possiamo limitarci alle espressioni di solidarietà e ai telegrammi di sollecitazione al governo, non possiamo stabilire come metodo che la mano pubblica debba pagare i costi degli insuccessi dell'iniziativa privata, non possiamo neppure illudere i lavoratori dei settori in difficoltà, riducendo la Regione, come è stato detto ormai da molti, ad essere l'attaccapanni di tutte le speranze. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità di ordine politico, che, come mi pare abbia ricordato ieri il collega Simonelli, lo Statuto orienta secondo il metodo della programmazione. Quindi dobbiamo prendere atto, non per rassegnarci all'inerzia, ma proprio per accelerare i tempi della nostra attività, che la regionalizzazione, come processo di decentramento delle decisioni pubbliche, soprattutto in materia economica, è tuttora appena ai suoi primi passi e che alle molte speranze, attese e domande delle comunità regionali noi siamo in grado di offrire soltanto risposte che non sono concretamente operative o che comunque non corrispondono ad un disegno generale di programmazione regionale. Dobbiamo affrontare questa recessione economica che si profila, con il solo strumento che sia effettivamente a nostra disposizione, che è quello della iniziativa politica di programmazione aprendo sin d'ora la consultazione con le istanze economiche e sociali come pure prevede il nostro Statuto, ma possibilmente nelle forme istituzionali e razionali che esso indica e non in forme episodiche e più o meno spettacolari.
Noi concordiamo con l'osservazione del collega Petrini che il testo di questa mozione possa essere integrato e migliorato e siamo disponibili per avviare questo discorso sulla programmazione regionale; anche se la nostra partecipazione ad essa potrà essere criticata, riteniamo che un programma criticabile sia pur sempre meglio di nessun programma.



OBERTO GIANNI



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE OBERTO

Ha chiesto di parlare il consigliere Lo Turco. Ne ha facoltà.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE OBERTO

LO TURCO Giorgio



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE OBERTO

Signor Presidente! Farò soltanto brevi osservazioni.
Fino alle cinque del pomeriggio di un certo giorno, in una fabbrica, si è lavorato regolarmente, senza che vi fosse alcun sentore di una situazione che stesse precipitando; alle sei di sera i lavoratori, al momento di lasciare la fabbrica al termine del turno di lavoro, sono stati avvisati dai sorveglianti che avrebbero dovuto rimanere a casa perché la fabbrica chiudeva, era in dissesto, in fallimento. Così sono andate le cose alla Querena di Brandizzo.
Di fronte a casi di questo genere si è logicamente indotti a dire che non serve più mandare fonogrammi o telegrammi, chiedere l'intervento del Governo, ma occorrono scelte politiche, decisioni. Noi alcune scelte politiche, attraverso il dibattito sullo Statuto, le abbiamo fatte, ci siamo impegnati, ad esempio, a richiedere la partecipazione popolare per prendere decisioni. Ma io mi domando fino a che punto questa partecipazione avrà un valore, un significato, se può ancora avvenire che poche persone decidano all'improvviso, senza aver preavvertito gli interessati, di lasciare dei lavoratori senza lavoro, mettendo sul lastrico centinaia di famiglie? Quale tipo di partecipazione chiederemo a questi diseredati? La partecipazione alla miseria, la partecipazione ad un degradamento civile e politico? Non era questo, ne sono sicuro, che si intendeva al momento di fare lo Statuto da parte dei Consiglieri regionali tutti.
E c'è un altro fatto grave: non è sempre vero che non è più il tempo dei telegrammi e dei fonogrammi, perché nel momento in cui ieri discutevamo della Magnadyne, e gli amici, i compagni lavoratori della Magnadyne occupavano il palazzo della Regione, e inviavano telegrammi al Governo per chiederne l'intervento a sollievo della loro drammatica situazione, il Governo taceva; ma interveniva a sua volta con telegrammi alle organizzazioni sindacali per intimare il cambiamento dei sistemi di lotta e minacciando l'intervento della forza pubblica contro certi lavoratori che stanno mettendo in crisi la Fiat con la loro lotta tesa a costruire un contratto di lavoro nuovo, rivoluzionario rispetto a tutti i contratti di lavoro fino ad oggi conquistati. Il presidente del Consiglio in persona on. Colombo, ha inviato giorni fa un telegramma alle Confederazioni in riferimento alla lotta nel settore gomma, in cui tassativamente impone loro: o intervenite perché sia tolto il blocco delle merci o interverrò io con l'autorità di capo del Governo. Alla Pirelli e alla Ceat, com'è noto si attua il blocco delle merci, non si lascia uscire il prodotto finito destinato alla Fiat, e la Fiat minaccia di sospendere in conseguenza di ci trentamila suoi dipendenti. In proposito, su "La Stampa" di venerdì sera è apparso un articolo su tre colonne che è poco paragonare ad un libello fascista, in cui addirittura si cerca di influenzare l'opinione pubblica e di scagliarla contro i lavoratori convincendola che le forme di lotta adottate da essi sono illegali e costringeranno la Fiat a mettere sul lastrico trentamila persone.
A questo punto mi chiedo: se dobbiamo continuare per questa strada casi tipo Querena o tipo Tobler ne incontreremo ancora a decine e centinaia. Se è con questi metodi che si intende riportare la tregua o la calma che il ceto industriale rivendica ai sindacati, deve essere chiaro che non ci potrà essere tregua. Noi sappiamo bene che la Fiat fa questi ricatti, non come qualcuno potrebbe pensare, per premere sulla Pirelli affinché concluda in fretta il contratto di lavoro, ma perché il contratto di lavoro non si faccia. Noi all'art, 6 dello Statuto abbiamo fissato alcune norme per la tutela dell'integrità fisica dei lavoratori nella fabbrica: ebbene, il contratto di lavoro previsto per il settore gomma va proprio in direzione dell'art. 6 dello Statuto. Non a caso i lavoratori del settore gomma hanno dato un contributo determinante a quell'art. 6, perché esso scaturiva da tutta la elaborazione della piattaforma rivendicativa di quel contratto. E nel contratto si chiede il riconoscimento dei rischi che corrono i lavoratori, il riconoscimento dell'uso di sostanze nocive. Allora sì che la partecipazione ha un senso. Ma se gli industriali alle cinque del pomeriggio decidono che centinaia di lavoratori devono essere messi sulla strada e ridotti alla miseria, io mi chiedo chi potrebbe con tranquilla coscienza dire che questa gente non è gente da mandare in galera.
Si tratta di un problema che non investe soltanto la struttura di una piccola fabbrica o di una piccola e media industria, ma che investe il Paese, la Regione, tutto il Mezzogiorno. Perché nel Mezzogiorno, come diceva il collega Giovana, sono stati eretti decine di piloni per la costruzione di nuove fabbriche, ma, intascati i finanziamenti, le fabbriche non sono state fatte, e la gente del Sud viene al Nord in cerca di lavoro e qui trova una realtà drammatica: lavoratori che al primo contatto con la fabbrica cadono vittime degli infortuni più gravi, lasciano le mani sotto le presse. E' una situazione veramente sconvolgente, e se non ci decideremo ad investirne il Parlamento, il Paese, oltre che la Regione, perché la fronteggi adeguatamente, potremo essere sommersi, e non potremo dire di aver compiuto fino in fondo il nostro dovere.
Per quanto ci compete, per parte nostra, il nostro dovere lo facciamo e lo facciamo davanti alle fabbriche, nel dirigere le lotte per far avanzare ed avviare a soluzione i problemi che la classe operaia ci pone con tanta drammaticità. Sta a noi dare una risposta politica a questo stato di fatto, e la risposta politica verrà soltanto - se prenderemo impegni politici per costringere chi è al potere a fare leggi nuove, atte a tagliare le unghie ai pirati che oggi nelle fabbriche decidono vita, morte e miracoli dei lavoratori, e possono anche cambiare il destino delle famiglie. Questo è un impegno morale di un Paese civile, Se non sapremo assolvere questa funzione non potremo dirci degni di sedere in questo consesso.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE OBERTO

Ha chiesto di parlare il consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Dopo l'ampia discussione svoltasi ieri sulla situazione alla Magnadyne limiterò il mio intervento ad alcune brevi considerazioni sulle condizioni esistenti nelle altre aziende in crisi.
Comincerò dalla Tobler, dove è in atto una vera e propria azione speculativa della Tobler internazionale svizzera, o, per meglio dire, della Nestlé Interfood, la quale, di fronte al sistematico passivo di quasi mezzo miliardo di lire annue della Tobler italiana, avendo la Montedison disdettato il contratto, intende non solo farla sparire dal mercato, ma addirittura togliere il marchio senza il quale né l'IRI, né altra Società italiana che volesse assorbire lo stabilimento Tobler, avrebbe interesse a farlo.
Occorre una forte volontà politica perché l'IRI subentri, oppure si diano incentivi ad altro gruppo dolciario per l'assorbimento dell'ex stabilimento Tobler italiana. Per intanto, però, occorre pensare ad una grossa liquidazione extra - contrattuale ai lavoratori, in modo che possano superare almeno il periodo invernale.
Va però anche ricordato a questo proposito che l'abolizione di alcuni articoli dei Codici del 1942 perché ispirati a concetti corporativi rende possibile ora una situazione del genere, cioè che un'azienda straniera possa, da un giorno all'altro, senza nemmeno ascoltare i sindacati chiudere uno stabilimento.
Analoga è la situazione alla Querena di Brandizzo, anche se con aspetti diversi. La vertenza alla Querena è stata risolta con il pagamento ai lavoratori dei salari a tutto dicembre più liquidazione maggiorata, più sei mesi all'80 per cento in base alla legge 1115 del 1968, a carico della Cassa integrazione guadagni.
Ma il problema è più grave, perché si collega alla crisi dell'edilizia che si sta delineando in tutta la sua gravità. Non intendo qui discutere il Decretone, ormai quasi legge di Stato, e gli emendamenti della nostra parte politica e sindacale, che sono stati sistematicamente respinti per faziosità politica. Ma quando praticamente si vieta alla privata attività la costruzione di fabbricati ad uso civile con l'esproprio dei terreni fabbricabili con quote ridicole, e con l'aggravio di tutte le imposte, è chiaro che deve subito subentrare l'iniziativa pubblica, altrimenti si ha una grossa crisi che coinvolge centinaia di migliaia di lavoratori dell'edilizia vera e propria, nonché di tutte le attività collegate compresi i lavoratori che in tali attività prestano la loro opera per la produzione di tondini di ferro, cementi, calce, infissi metallici e lignei mattoni, mattonelle, impianti per servizi igienici e via di seguito.
Se la Regione vuole interessarsi di questo argomento, è chiaro che non dovrà farlo in modo episodico, bensì sistematico, perché casi del genere purtroppo ce ne capiteranno a decine. Occorre, cioè, che lo Stato, le Province, i Comuni diano subito mano alla costruzione di abitazioni ed alla urbanizzazione di zone periferiche delle maggiori città, perché il caso Querena non si moltiplichi arrivando a Casale, a Verrua Savoia, alle Fornaci dei dintorni di Torino e via di seguito.
Alla Falconi di Novara, alla Panizza, alla Cascami Seta di Novara, al Maglificio Vignoti esistono situazioni analoghe. Pur nella differenziazione dei motivi specifici delle varie situazioni e delle varie crisi, esiste un comune denominatore, e cioè la impossibilità per le medie e piccole aziende di sopportare contemporaneamente i gravissimi oneri contributivi, le riduzioni di orario (che significano utilizzazione degli impianti anche a meno del 50 per cento della loro possibilità di rendimento) e la decaduta competitività dei nostri prodotti.
Occorre pertanto riesaminare tutti i problemi, partendo da una visione sociale degli stessi, per evitare che queste crisi dilaghino. Per la Falconi esiste anche un fatto di carattere finanziario dovuto a pessima amministrazione ed anche a cattive azioni da parte di alcuni dirigenti, ed i lavoratori ne pagano le conseguenze perché non è stato applicato l'art.
46 della Costituzione che dovrebbe chiamarli alla gestione delle imprese ed alla ripartizione degli utili.
Per quanto riguarda il complesso delle aziende Montedison (SIEI RHODIA PAVESI AZOTO DONEGANI),si tratta di speculazioni politiche dei comunisti per colpire gravemente tale complesso italiano e buttarlo nelle braccia dell'IRI. Nessuna solidarietà dovrebbe partire da questo Consiglio verso coloro che all'indomani di una sistemazione contrattuale, nazionale o aziendale, inventano nuovi motivi per ginnastica agitatoria, che portano fino all'estremo del fermo delle ferrovie.
Per la STANDA, non esiste alcuna crisi, bensì rivendicazioni sindacali giustissime dei lavoratori e delle lavoratrici che si stanno esaminando nella loro sede opportuna. Non si vede come la Regione possa entrare, oggi come oggi, in problemi di qualifiche, di aumenti retributivi, di orari di lavoro, perché la Regione non può svuotare i Sindacati dei loro compiti.
Nessuno ci sarebbe grato per tali interventi sostitutivi dell'azione sindacale e non complementari.
Per alcune fabbriche del settore tessile del Biellese vale quanto ho detto prima in ordine ad alcune attività di media portata del Novarese e del Verbano. Però, la crisi tessile è strutturale, perché i nostri prodotti non vengono più acquistati da molti mercati esteri, e per i loro alti costi, e perché molti nuovi Stati hanno appreso, con i fondi dell'ONU, a fabbricare in proprio i prodotti tessili. Problema grosso, quindi, che va esaminato in sede politica, perché soltanto una forte volontà politica pu permettere a tali aziende, attraverso finanziamenti ed incentivi, un rinnovamento degli impianti ed una ristrutturazione.
Per quanto riguarda la mia parte, esprimiamo la solidarietà cori i lavoratori in lotta, ma non possiamo approvare l'occupazione delle fabbriche, che è un fatto sovversivo gravissimo che colpisce l'economia ed i lavoratori stessi.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE OBERTO

Ha chiesto di parlare il consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Allorché si è deciso di presentare e discutere in questa sessione del Consiglio regionale le mozioni che appaiono all'ordine del giorno, mi pare che fosse intenzione di tutti di non esaurire un discorso che certamente andrà ripreso, in forma anche più compiuta, nella discussione che si aprirà, noi auspichiamo il più sollecitamente possibile, con la presentazione del programma della nuova Giunta.
Abbiamo, per quanto ci riguarda, pensato anche che questi dibattiti potessero comunque costituire elementi dei quali la Giunta dovrà tener conto nella formulazione dei programmi che presenterà. Siamo anche partiti dalla considerazione che questo dibattito, essenzialmente per quanto riguarda i problemi della piccola e media industria, dovesse riferirsi in primo luogo alle situazioni di crisi esistenti: cioè, noi abbiamo inteso, e per quanto ci riguarda riteniamo, che si debbano in questa prima fase porre in primo piano sostanzialmente le situazioni di crisi esistenti, quelle che mettono in gioco il posto di lavoro degli operai, dei lavoratori, e naturalmente delineare il quadro politico ed economico entro il quale questi elementi di crisi si pongono; un quadro politico ed economico nel quale per l'appunto, vanno, a nostro avviso, collocate la politica di programmazione, gli atti preliminari, anche, della politica di programmazione, del piano della Regione piemontese e del piano nazionale.
In questo quadro ieri abbiamo avuto l'interessantissima e molto valida esperienza della Magnadyne. E' emersa qui, stamattina, nei vari interventi la situazione in altre fabbriche della provincia di Torino. Sottolineo ancora il problema della Tobler, che è stato oggetto di attenzione particolare anche da parte dei rappresentanti del Consiglio regionale oltre che del Comune di Torino e della Provincia, e che purtroppo ha già portato ad una conclusione negativa per i lavoratori, in quanto i quattrocento operai della Tobler sono stati licenziati, anche se l'intervento della Provincia e degli altri enti pubblici, ottenendo la presenza del proprietario svizzero qui, nella sede regionale, ha potuto per quanto riguarda le liquidazioni ed il riconoscimento di un premio extra, portare a risultati che probabilmente non si sarebbero altrimenti raggiunti. Per cui, se da un lato si deve purtroppo prendere atto di una conclusione negativa ai fini della vita dell'azienda, dall'altro si pu constatare che l'intervento della Regione, pur con i limiti in cui esso poteva realizzarsi, ha avuto un esito soddisfacente.
La situazione alla Tobler ci ha consentito di prendere visione del modo in cui si colloca l'intervento del capitale straniero nel nostro Paese e anche del ruolo che la Montedison ha avuto in questa azienda. Partendo da questa constatazione, il discorso sulla Montecatini - Edison viene ad avere una sua collocazione precisa anche in un dibattito che riguardi la piccola e media industria. Tutti sapranno che anni fa la Tobler fu assorbita dalla Montecatini - Edison, che per ammodernare gli impianti e per assumere nuovo personale spese circa un miliardo e mezzo. E' noto a tutti che fu una pessima gestione: aumentarono i ritmi di produzione, scadde la qualità delle confezioni, crebbero gli scarti, e quindi il passivo, che fino all'anno scorso era coperto da un fatturato di quasi tre miliardi di lire.
Dopo questo sconquasso, la Montecatini cedette la Tobler alla società svizzera Interfood, che già controllava la Suchard, e per la quale in Italia già funzionava uno stabilimento a Varese. Si riaccesero le speranze.
Ma rapidamente vennero troncate dalla "bomba" di qualche mese fa, quando il proprietario svizzero Ciumi, presidente della Suchard svizzera, incaric due commercialisti di procedere a quelle iniziative di cui tutti sanno, che hanno portato alla conclusione che ho detto prima. La Montecatini Edison si colloca pertanto nella vicenda della Tobler in una funzione assolutamente negativa, in merito al che dirò qualcosa ancora in seguito.
Per quanto riguarda il problema della Tobler, mi limito ora a dire dopo la presa d'atto che ho fatto prima, che il tentativo di una grossa speculazione è più che mai evidente, denuncia il carattere piratesco proprio dei padroni della Tobler, e impone, credo, ai rappresentanti degli enti pubblici di intervenire. La Regione non può che esprimere, nell'ordine del giorno conclusivo, o nelle forme che la Giunta riterrà di dover seguire, un invito al Comune di Torino perché, attraverso la considerazione delle aree in via Aosta, che ai prezzi attuali valgono forse qualche miliardo, come aree a verde pubblico, in una zona già molto congestionata eviti che possa essere operata questa ulteriore, enorme speculazione, che sarebbe estremamente grave; è un invito non soltanto della Regione, ma delle stesse maestranze che hanno dovuto subire questa dura conclusione.
Preso atto, quindi, delle varie situazioni di crisi esistenti nelle industrie piccole e medie della nostra Provincia, per motivi determinati dalla politica dei grandi monopoli, quale è appunto, nel caso specifico, la Montecatini - Edison, credo mi rimanga soltanto da sottolineare alcuni elementi che dovrebbero essere presi in considerazione soprattutto per le linee future della nostra attività.
Per quanto riguarda la Montecatini - Edison, tutti sanno che quando si formò, attraverso l'unificazione della Montecatini e della Edison, con esborso, tra l'altro, di capitale pubblico, qualcuno parlò di un modernissimo colosso della chimica, che avrebbe rivoluzionato le attuali strutture produttive del nostro Paese ed avrebbe portato a chissà quali elementi di rinnovamento. In pratica, nelle aziende Montecatini del Piemonte si nota oggi una discrepanza importante fra le previsioni fatte dal piano di sviluppo economico piemontese, e, sul piano occupazionale, la realtà attuale, di circa duemila operai in meno non essendo nel contempo avanzato alcun progresso di decentramento né nel Sud né tanto meno nel Piemonte. Quindi, si constata una gestione assolutamente negativa da parte del monopolio. Oggi deve avvenire, e forse a quest'ora è già avvenuta, la nomina del nuovo presidente della Montecatini - Edison. Leggiamo sui giornali di oggi che si prospetta l'intervento di questa Società in quattro grandi settori. E' necessaria da parte nostra una presa di posizione che imponga il controllo pubblico sulle iniziative di questa grande grandissima azienda, la cui attività industriale ed amministrativa ha fatto registrare nel corso dell'anno passato un disavanzo di ben 64 miliardi, che certamente non può ripercuotersi sulle masse operaie, disavanzo che dimostra l'incapacità di manovrare questa gran massa di miliardi come strumento per procedere ad un rinnovamento dell'azienda.
Vorrei aggiungere da ultimo che da tutta questa vicenda, di cui noi prendiamo atto per essere vicini agli operai, per favorire, sull'esempio di quanto abbiamo fatto a proposito della. Magnadyne, delle soluzioni positive alle loro questioni, emerge una indicazione di carattere politico estremamente grave: secondo me, siamo in presenza di un processo di ristrutturazione e integrazione del capitale a livello europeo. Le crisi delle aziende presentano caratteristiche diverse. Certamente, noi opereremo in favore di questa ristrutturazione se, a conclusione di questo dibattito per esempio, riusciremo a dare alle nostre conclusioni anche un carattere operativo, che può essere di accertamento delle situazioni, di inchieste per ottenere dati che ci consentano di impostare i lavori per il piano di sviluppo economico regionale sulla base di indicazioni precise. Ma è certo che questo processo di ristrutturazione a livello europeo oggi avviene sulle spalle dei lavoratori, come dimostrano le esperienze citate. Senza stare a ricordare i problemi della Fiat, della Riv - SKF, gli accordi con la Francia, senza ricordare i processi di integrazione che riguardano a livello mondiale i grossi monopoli industriali del nostro Paese, citiamo gli abbinamenti Ignis - Philips, Rex - Castor, AEG tedesca - Zanussi Indesit - Fiat. Vediamo cioè realizzarsi una concentrazione di capitali che evidentemente si ripercuote sulle spalle degli operai e sulle piccole e medie aziende.
Discutere dell'avvenire, delle prospettive della piccola e media azienda vuol dire, quindi, discutere delle prospettive dell'economia del nostro Paese in Piemonte e in tutta Italia; una economia che è certamente oggi dominata dalle iniziative della grande azienda capitalistica, che sfugge completamente a qualsiasi indicazione programmatoria, che sfugge continuamente a qualsiasi intervento pubblico, a qualsiasi modo di controllo pubblico. Da questo punto di vista, pertanto, tutti i discorsi sulla programmazione, per esempio, che non siano imperativi, che non riescano in qualche modo a controllare le attuali incontrollate iniziative della grande azienda monopolistica, sono discorsi che non reggono: la programmazione dello sviluppo economico del nostro Paese, ai fini di interesse della collettività, ha un senso nella misura in cui esiste un controllo pubblico sulle iniziative delle grandi imprese motrici che dominano lo sviluppo del nostro Paese.
Per questo noi pensiamo che la nostra mozione sui problemi della piccola e media industria, preso atto della situazione di crisi esistente indicate per questa delle soluzioni possibili, deve comunque introdurre il discorso dello sviluppo economico del nostro Paese, il discorso .di come controllare le iniziative delle forze motrici dalle quali dipende la condizione e delle classi lavoratrici e delle piccole e medie aziende.
Concludo questo mio intervento, che è preliminare ad un discorso molto più ampio che faremo non appena si riaprirà la sessione del nostro Consiglio regionale, per proporre che attorno a queste questioni si lavori in modo alternativo, o in una Commissione ad hoc o anticipando o ponendo come uno dei primi atti della prossima Giunta la costituzione della Commissione programmazione e bilancio che abbiamo espressamente previsto nel nostro Statuto. Questa proposta ha lo scopo di ottenere la informazione e la discussione preliminare, la più ampia possibile, delle proposte che il ministro Giolitti ha fatto fino a questo momento essenzialmente ai Presidenti delle Regioni in quella Commissione interregionale per la programmazione economica, e che a nostro avviso devono diventare patrimonio intanto del Consiglio regionale e devono costituire oggetto di una discussione ampia a livello dei comprensori esistenti, e cioè far partecipare a queste fasi che possono essere definite preliminari ai fini della impostazione delle procedure del piano la più gran parte dei Consigli comunali, delle forze sindacali e sociali che noi abbiamo dichiarato di voler far partecipare a questo. Questa discussione potrebbe essere condotta o dalla Giunta, o dalla Giunta con la Commissione programmazione e bilancio, che pertanto, anche ai fini di indicazioni che riguardano il piano di sviluppo economico piemontese, potrebbe prendere in esame i problemi che si pongono nelle fabbriche, la condizione risultante da questo dibattito e da ulteriori accertamenti della piccola e media industria, per indirizzare le linee del piano piemontese partendo dalla situazione reale quale risulta appunto da questa analisi e dalle altre che potremo ancora fare.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE OBERTO

Ha chiesto di parlare il consigliere Bono. Ne ha facoltà.



BONO Sereno

Signor Presidente! Colleghi Consiglieri! Ho ritenuto di dover intervenire nel dibattito sollevato da questa mozione sui problemi della piccola e della media industria nella Regione per tentare di dare qualche contributo ad una più specifica conoscenza della intera realtà regionale portando qui l'esperienza della provincia di Novara ed in modo particolare della sua parte più alta: il Verbano, il Cusio e l'Ossola.
Ritengo, però, di dover sottolineare che, anche se la mia esposizione si riferirà più direttamente alla zona dell'Alto Novarese, perché fino ad ora ho avuto la possibilità di meglio approfondire la conoscenza di quella realtà, il discorso che si farà per 'l'Alto Novarese potrà avere un valore di carattere regionale, in quanto la peculiarità di quella zona, che è una delle tipiche zone piemontesi di vecchio insediamento industriale, si riflette anche in altre zone prealpine del Vercellese, del Torinese e del Cuneese, che a partire dagli anni Cinquanta hanno subito un continuo e logorante processo di disinvestimento industriale che ha determinato momenti di dolorose lacerazioni nel tessuto sociale piemontese.
Considero superfluo dover precisare l'assoluta pertinenza di questo discorso nel dibattito sulla mozione sulla piccola e media industria della Regione, in quanto le zone prealpine di vecchio insediamento industriale come l'Alto Novarese, si sono formate appunto attraverso l'iniziativa privata con la piccola e la media industria, caratteristica che rappresenta tuttora la componente principale di quelle realtà economiche e che è stata negli ultimi venti anni, come abbiamo detto, messa in crisi dall'offensiva delle grosse concentrazioni monopolistiche che con lo sfruttamento dell'energia elettrica prodotta in quelle zone hanno costruito buona parte delle loro fortune.
Il punto sulla situazione socio - economica ed occupazionale dell'Alto Novarese è stato fatto nello scorso mese di aprile ad un "Convegno sulla occupazione e lo sviluppo del Verbano - Cusio - Ossola" indetto dalle maggiori Amministrazioni comunali di quell'area ecologica (Verbania Domodossola, Omegna, Villadossola ecc.) con la diretta collaborazione dell'allora esistente CRPE e dell'IRES.
Ritengo che quell'analisi debba tuttora considerarsi valida sia per i pochi mesi che ci separano da quella data e anche soprattutto per il fatto che da allora non si sono verificati atti, o più semplicemente nuove volontà, capaci di modificare ed invertire le tendenze negative fino allora registrate.
Anzi, ad aumentare le nostre preoccupazioni, si sono ripresentati non solo nuovi momenti di riconferma della tendenza al disinvestimento già allora denunciata, ma si è registrato il più assoluto disimpegno governativo e padronale verso questi problemi quando addirittura non si sono apertamente ostacolate, da parte degli organi di governo e come più avanti dimostreremo, le iniziative assunte liberamente dagli Enti locali iniziative che, è bene sottolineare, erano indicate nello stesso piano di sviluppo elaborato dal CRPE.
L'obiettivo principale di quel convegno era di operare una verifica della dinamica demografica e della occupazione industriale che si era effettivamente registrata negli ultimi anni nell'area ecologica di Verbania e la corrispondenza di questa dinamica con le previsioni che il piano di sviluppo regionale per il quinquennio 1966 - 1970 fissava per quell'area.
Si precisava anche - a sottolineatura della serietà di intendimenti dei promotori del Convegno - che tale verifica non andava intesa come una volontà critica a posteriori verso gli estensori del piano, che, isolata come tale questa critica, sarebbe stata solo sterile recriminazione, ma voleva essere una assunzione di coscienza di quelli che sono stati i limiti che avevano impedito l'attuazione del piano, al fine di poter offrire come enti locali un contributo di idee e di esperienze, con un impegno concreto di lavoro per la stesura dei piani futuri.
Dall'analisi fatta è emerso, almeno per quanto si riferiva all'Alto Novarese, il completo fallimento del primo Piano quinquennale, che, pur trai numerosi limiti, si poneva l'obiettivo, molto valido, di una decelerazione del tasso di incremento torinese e di una politica che, con l'arresto e l'inversione dei processi di disgregazione in atto nelle zone periferiche, riportasse ad una più equilibrata diffusione delle attività nell'intero territorio regionale piemontese.
Questa previsione - che doveva essere uno dei punti qualificanti del programma - è stata completamente rovesciata e disattesa. Infatti l'occupazione industriale, che nel 1963 era di 50.700 unità, e che avrebbe dovuto salire a 57.700, con un aumento di 10.000 unità entro il 1970, era in effetti alla fine del '68 in totale di appena 47.500 unità occupate, con una ulteriore flessione di 3.200 unità rispetto al 1963. Tutto questo si è verificato mentre la popolazione residente e considerevolmente aumentata.
Questi dati stanno a significare come il rapporto tra occupazione e popolazione residente si sia ulteriormente aggravato, costringendo alla inattività forzata e all'esodo verso Paesi stranieri altre migliaia di cittadini, di lavoratori dell'Alto Novarese.
Ma dalla fine del 1968 ad oggi la situazione non solo non è migliorata ma è ulteriormente peggiorata. Infatti, da allora noi abbiamo assistito ad un aggravamento di essa che richiede non solo che si abbia presente il quadro più generale entro il quale si collocano i singoli casi di crisi, ma interventi immediati, da operare subito, al fine di evitare che mentre si fanno discorsi generali intervengano fatti nuovi a rendere ancora più preoccupante lo stato di fatto. Uno di questi eventi negativi, per la Provincia di Novara - è già stato da qualcuno ricordato -, è costituito dal caso della Falconi: questa azienda si trascina da anni in una situazione penosa; da mesi è in corso una trattativa con la Otis - Stigler americana e con l'IRI, ma fino ad ora, nonostante questi tentativi, non si è riusciti ad offrire ai lavoratori di quella fabbrica prospettive serie. Le notizie che giungono sono estremamente contraddittorie, le ultime addirittura preoccupanti. La circostanza più grave, però, è rappresentata dalla impossibilità che fino ad ora si è determinata per i lavoratori, per i rappresentanti degli enti locali, nel caso specifico i rappresentanti del Comune, di stabilire un rapporto con il Governo, al fine di prendere in esame e di proporre per il problema delle soluzioni. Sabato scorso si è tenuto a Novara, nella sede del Consiglio comunale, un incontro con il ministro Giolitti, il quale si è impegnato a fornire entro la giornata odierna una risposta precisa in merito alle intenzioni del Governo. Noi riteniamo che da questo nostro dibattito debba scaturire un impegno per la Giunta ad intervenire oggi stesso presso il ministro Giolitti al fine di sollecitare questa risposta, per poter informare i Consiglieri regionali della Provincia di Novara quanto meno sui propositi del Governo, e al fine di riuscire a stabilire questo rapporto che fino ad ora è venuto a mancare.
Altro fatto nuovo è quello verificatosi alla Panizza, l'unica fabbrica del settore esistente nella zona dopo la chiusura del Cappellificio Albertini. Da qualche anno questa azienda attraversa momenti particolarmente difficili. In passato occupava più di 250 dipendenti, oggi ne ha solo 170 circa. Si trova sotto amministrazione controllata da qualche mese. Ha chiesto, senza ottenerli, dei prestiti al Governo per un'azione di risanamento. I lavoratori hanno subito, a causa di questa difficile situazione, parecchi pesanti ritardi nel pagamento degli stipendi, ritardi che hanno toccato perfino i tre mesi. A tutt'oggi ha in sospeso dal mese di marzo i versamenti per i contributi assicurativi.
La Direzione giustifica questa situazione deficitaria richiamandosi ad una crisi del mercato del cappello, che i lavoratori ritengono che effettivamente esista, ma che hanno proposto di superare con una riconversione produttiva dell'attività aziendale.
Il principio della riconversione inizialmente è stato condiviso anche dalla Direzione dell'Azienda, che oggi però la definisce impossibile per la mancanza di mezzi finanziari: secondo voci che circolano con molta insistenza, un noto dirigente avrebbe involato alla Società una cifra dell'ordine di 500 milioni di lire. I lavoratori ed i cittadini si chiedono se la proprietà privata, che è garantita dalle leggi dello Stato, possa operare anche in contrasto con gli interessi della collettività, oppure se come è convinzione generale, il potere pubblico debba intervenire quando essa opera a danno dell'interesse comune.
Una parimenti pesante situazione esiste alla Nestlé di Verbania, la nota fabbrica dolciaria, di proprietà svizzera, come la Tobler. Anche in questa industria, che opera ormai da parecchi decenni ed ha sfruttato fino all'osso gli impianti senza mai investire cifre di una qualche consistenza per modificarli e rammodernarli, gli operai hanno subito notevoli riduzioni degli orari di lavoro, fino a scendere al di sotto del limite della Cassa integrazione, alle sedici ore settimanali.
Abbiamo poi notizia di difficoltà in altre aziende di non lieve entità come la Edilceramica, che occupa circa 180 lavoratori, ove esistono condizioni interne spaventose, sia in rapporto alle condizioni ambientali e alla salute, sia in rapporto alle libertà dei lavoratori che sono sancite dalle leggi dello Stato e dalla Costituzione. Anche qui si dice che per ristrettezze finanziarie vi sono pesanti ritardi nei pagamenti degli stipendi.
Ma la gravità dell'attuale situazione nel Novarese, che è forse particolare in tutto il Piemonte, la si può anche dedurre da un altro dato altamente significativo: circa il 17 per cento dei lavoratori dell'Alto Novarese, cioè 8.000 lavoratori contro i 47.000 che sono occupati nelle fabbriche italiane della nostra zona, sono frontalieri, ossia vanno a lavorare nella vicina Svizzera, varcando il confine ogni giorno, o almeno una volta la settimana. Questi nostri connazionali devono sopportare notevoli sacrifici, alzandosi ad ora antelucana per partire il mattino alle cinque e rincasare alle nove-dieci di sera; per di più, hanno un trattamento assicurativo e previdenziale notevolmente inferiore a quello degli altri lavoratori italiani, che pure è anch'esso insufficiente; non godono di tanti altri diritti di cui fruiscono i lavoratori italiani; per esempio, per citare una delle sperequazioni più rimarcate, non hanno la possibilità di partecipare ai concorsi Gescal per ottenere case a basso prezzo. Ma la situazione estremamente precaria di questi lavoratori non è in relazione soltanto ai fatti che ho denunciato: la si deve anche alla precarietà del loro stato di occupazione che è sempre dipendente dalla situazione produttiva, commerciale e finanziaria della vicina Svizzera, la quale ai primi sintomi di flessione, com'è naturale, fa ricadere le conseguenze sui lavoratori stranieri, in larga misura italiani: non dimentichiamo le umiliazioni che i nostri lavoratori in Svizzera sono costretti a subire nel corso delle varie campagne xenofobe del razzista Schwarzenbach.
Tutto questo perché i grossi gruppi finanziari nei confronti dell'alto Novarese e dei vecchi insediamenti industriali di valle hanno fino ad ora attuato solo una politica di rapina e di spoliazione. E perché il nostro Paese, con tutte le sue politiche dei redditi e con tutte le sue benevole comprensioni e agevolazioni fiscali, o di altra natura, concesse ai grossi gruppi finanziari e monopolistici, non è stato in grado finora di assicurare a tutti i suoi cittadini un posto di lavoro in Patria e li costringe ad andare all'estero, dove sono sottoposti ai lavori più faticosi e pericolosi, come dimostra ampiamente la forte percentuale di lavoratori italiani che si è dovuta registrare fra i morti di Mattmark e di Charleroi.
Concludo riprendendo una affermazione fatta all'inizio, quando ho parlato di totale disinteresse del potere pubblico, ed in alcuni casi addirittura di atteggiamenti che ostacolano le iniziative tendenti a creare strumenti nuovi, a superare con una programmazione democratica i guasti che prima ho denunciato E' il caso del consorzio per l'area industriale del basso Toce, previsto dal piano dell'Ires e del CRPE, costituito fin dal marzo scorso fra i Comuni interessati, che hanno regolarmente approvato lo Statuto, ancora in attesa, dopo quasi dieci mesi, dell'approvazione del Prefetto e della Giunta provinciale amministrativa, che hanno senza spiegazione alcuna insabbiato tutta la pratica. Il Consorzio non è nato per un capriccio dei promotori né degli amministratori dell'Alto Novarese: è nato perché al meccanismo spontaneo di sviluppo, dimostratosi irrazionale e che aveva provocato tanti guasti nell'economia locale, si voleva sostituire un elemento razionale e coordinatore, che, pur nel rispetto degli interessi delle singole piccole e medie industrie, non perdesse mai di vista l'obiettivo fondamentale, che rimane l'interesse della collettività. Certo, nessuno si illudeva, o si illude, che il Consorzio possa essere il toccasana di tutti i nostri mali. Per riparare le grosse falle aperte sono necessari altri strumenti, ben più importanti ed indispensabili per attuare una programmazione democratica. Tra questi il primo, è già stato ricordato da qualcun altro, è il controllo sugli investimenti e sui programmi dei grossi gruppi finanziari. Ma il Consorzio rimane comunque uno strumento giusto e necessario, uno strumento per il quale abbiamo ritenuto di dover lavorare e riteniamo di dover insistere.
Fino ad ora solo le lotte dei lavoratori hanno provocato inversioni alle tendenze al disinvestimento in atto. Permettetemi di portare a questo proposito due esempi: l'intervento deciso e coraggioso dei lavoratori ha impedito - contro la volontà della Edison, e contro il parere di coloro politici e tecnici, che davano per scontata la fine della industria di valle, particolarmente dell'industria siderurgica - la chiusura, nel 1966 della Metallurgica Vittorio Cobianchi di. Omegna, che allora occupava circa 800 dipendenti, ed oggi, a quattro anni di distanza, quella fabbrica opera anche se a ranghi ridotti, assicurando il lavoro a più di 400 lavoratori la lotta che i lavoratori della Rhodiatoce hanno sostenuto nel marzo 1969 contro le condizioni ambientali e contro i ritmi di lavoro ha costretto l'Azienda a rivedere gli organici dei vari reparti ed ha imposto l'assunzione di circa 300 dipendenti Ho voluto citare questi due esempi perché mi pare sia indispensabile se non vogliamo procedere in modo burocratico e tecnicistico, portare avanti un discorso che è strettamente collegato all'azione delle masse e dei lavoratori, al fine di poter stabilire ai più alti livelli quel momento di congiunzione tra tutte le forze che vogliono operare per un risanamento della nostra economia.
Ma la lotta dei lavoratori da sola non basta: la salvezza della piccola e della media industria, e con essa del posto di lavoro, è problema di tutta la collettività, è problema di carattere nazionale. Per questo noi abbiamo, come Consiglieri regionali, recisi doveri, che debbono esprimersi soprattutto in una affermazione di volontà politica e di intervento.
Cerchiamo di non tradire questa aspettativa. La stragrande maggioranza dei lavoratori e dei cittadini guarda con grande fiducia alla nostra Regione, e guarda soprattutto con grande fiducia alla sua politica di programmazione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Desidero assicurare subito che il mio non sarà un intervento lungo ma semplicemente un intervento di precisazione. Precisazione, intanto, in rapporto al testo di questo ordine del giorno, frutto, io penso, di una rielaborazione. Su questo testo, direi, non sono molto d'accordo, perché mi sembra di rilevare addirittura contrasto fra il primo e il secondo periodo: nel primo si parla di "situazione in cui versano parecchie aziende piemontesi", in termini assoluti, concreti e precisi; nel secondo, di difficoltà che "sembrano investire", mentre in realtà investono effettivamente.
Non parlo di quel che potrei dire per la mia città di Ivrea, per il mio Canavese, anche perché so che ultimo iscritto a parlare, dopo di me, è il consigliere Gandolfi, il quale conosce, come conosco io, la situazione di Ivrea e del Canavese. Vorrei soltanto, a questo proposito, denunciare una situazione: cioè come uno degli aspetti che può determinare la crisi nelle piccole industrie sia la grande forza di attrazione che psicologicamente esercitano le grandi aziende motrici, le quali sollecitano molte volte i lavoratori che hanno fatto una certa esperienza nelle piccole industrie a lasciarle, per andare nella grande industria. E' questa, a mio avviso, una delle componenti dell'attuale situazione di crisi delle piccole industrie alla quale se ne aggiungono evidentemente molte altre.
Ma il motivo fondamentale che mi ha mosso a chiedere di intervenire è un altro. Devo una precisazione al collega consigliere Giovana, all'amico Giovana, anzi, se me lo consente, il quale mi ha tirato in campo non tanto come Consigliere regionale quanto come ex presidente dell'IRES, insistendo molto sul "Dum Romae consulitur". Effettivamente, questi consessi scientifici impiegano moltissimo tempo per elaborare quello che dovrà diventare una loro progettazione, una loro indicazione di linee programmatiche; e quando questa elaborazione avviene, ecco che il tram l'autobus, l'automobile, il treno e il satellite che raggiunge la Luna hanno tutto sovvertito. Questo è da imputarsi non all'IRES in modo particolare ma ad un metodo, ad un sistema per cui si lasciano invecchiare quasi che fossero vino pregiato, degli studi che al momento di sbottigliarli sono diventati aceto, hanno perso completamente la fragranza del buon vino.
L'aspetto, poi, che vorrei particolarmente precisare è l'altro, ed è quello che mentre noi impiegavamo il tempo a discutere ed affermare la necessità della costituzione della Finanziaria pubblica, nasceva la Finanziaria privata; Finanziaria privata nei confronti della quale consigliere Giovana, gli enti pubblici torinesi, il Comune di Torino, la Provincia di Torino, ottennero una rappresentanza numerica molto maggiore di quella che avrebbe comportato il modestissimo apporto di natura finanziaria dato, proprio per un riconoscimento che questa iniziativa privatistica concedeva all'apporto che dall'ente pubblico poteva derivare.
Quel che mi sembra giusto, poi, sottolineare, e che credo troverà consenzienti il consigliere Giovana e l'intero Consiglio, è che queste cose potevano accadere proprio per la struttura, che noi riteniamo sia modificabile con l'Ente Regione, di quelli che sono i momenti e i tempi decisionali, intanto, bisognava reperire dei capitali, il che non è sempre cosa agevole: non potevamo, come ente pubblico, andare da un ente privato da un istituto bancario, a chiedere dei quattrini per creare la Finanziaria pubblica; ma anche quando questo fosse stato possibile, il tempo operativo per metterci d'accordo - delibera della Provincia, delibera del Comune delibera degli altri enti - era tale che fatalmente l'idea sprigionata di creare questa Finanziaria pubblica faceva germinare l'idea altrove, anzi faceva nascere effettivamente questa Finanziaria privata.
Ho voluto fare questa precisazione unicamente perché non mi è sembrato opportuno che da parte di chi aveva la responsabilità della presidenza dell' IRES nel recente passato si trascurasse di dare al Consiglio regionale quelle precisazioni e quelle indicazioni che forse puntualizzando la situazione, consentono anche di dire che questo strumento nuovo, l'Ente Regione, attraverso la formula della realizzazione "aziendale", cioè attraverso strumenti che si creano al di fuori di quello che è l'ente pubblico nella accezione comune, attraverso le deleghe date a queste aziende o la partecipazione degli incarichi alle Province e ai Comuni, potrà molto più rapidamente mandare in porto le realizzazioni che gli competono di quel che non fosse consentito agli enti pubblici fin qui esercenti la loro attività.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

A conclusione del dibattito, vorrei cercare di riassumere alcuni dati che sono già stati riportati nella discussione, comunque di ricondurre tutto il discorso che si sta facendo sulla piccola e media industria su un piano concreto, che è quello che dobbiamo aver presente per dare anche un senso alla discussione.
Mi sembra che le prime considerazioni che dobbiamo fare riguardino la struttura dell'industria italiana nel suo complesso.
L'industria italiana, per un 22-24 per cento si colloca nella fascia della grande industria controllata dal capitale privato; pure per una percentuale che può variare, a seconda dei parametri che si utilizzano, dal 22 al 25 per cento, rientra nella fascia controllata dal capitale pubblico e per una percentuale che può andare dal 50 ad oltre il 55-56 per cento è piccola e media industria. Questo deve farci riflettere anche al peso che la piccola e la media industria ha sul complesso del fenomeno della industrializzazione italiana, al peso che ha avuto e che deve continuare ad avere questo settore industriale, prima nel miracolo economico e domani, ce lo auguriamo, nella continuazione, nello sviluppo del processo di industrializzazione. Lo dobbiamo tener presente, perché il fenomeno dell'imprenditorialità di tipo tradizionale, della inventiva, della capacità dell'imprenditore a lanciare iniziative, a trovare nuove possibilità di sbocco, di collocazione dei prodotti, e di sviluppo, quindi della occupazione, ha pesato in gran parte e continuerà a pesare su questo tipo di imprenditorialità.
Imprenditorialità che oggi si trova in una situazione critica. La situazione tecnologica e commerciale comune a tutta l'Europa occidentale vede, in settori particolarmente importanti, come quello elettronico quello tessile, quello delle macchine utensili, situazioni concorrenziali sempre più difficili, che richiedono molto spesso strutture e finanziamenti nel campo della ricerca, possibilità di ricerche di mercato, di analisi di mercato e di iniziative commerciali, con una concorrenza, direi, di carattere internazionale (ricordiamo, nel campo elettronico, la concorrenza giapponese, nel campo delle macchine utensili la concorrenza dei Paesi dell'Est) che si va facendo obiettivamente sempre più difficile e richiede quindi capacità di iniziativa e possibilità di sostegno che molto spesso la nostra piccola e media industria non hanno. Questo in rapporto alla concorrenza internazionale ed alla situazione tecnologica che la piccola e media industria si trova a dover affrontare sul mercato europeo e mondiale.
Tra l'altro, però, c'é il problema dei costi di lavoro, un problema anche assai importante e di rilievo nel nostro Paese: non mi riferisco tanto all'aumento delle retribuzioni agli operai, che ha seguito una logica direi abbastanza coerente con lo sviluppo del sistema, che doveva necessariamente garantire anche alle classi operaie una partecipazione adeguata ai redditi che nel Paese si venivano realizzando, quanto alla parte ingente, in molti settori industriali assai vicina al 40 per cento del costo del lavoro, che oggi rifluisce nelle casse degli enti pubblici italiani, per finanziare il sistema mutualistico, assistenziale e previdenziale italiano, che è veramente la palla al piede di tutta la struttura economica del nostro Paese.
Oggi i costi del lavoro sono arrivati a livelli proibitivi specialmente per la piccola e la media industria, e questo è un altro elemento estremamente importante che noi dobbiamo tenere presente, perch ha come punto di riferimento la situazione fallimentare della gestione degli enti mutualistici e previdenziali italiani, e in generale la gestione della cosa pubblica nel nostro Paese. Hanno certamente ragione quei colleghi ed amici che, come Giovana, puntualizzano gli aspetti deteriori avventuristici eccetera di certi fenomeni imprenditoriali; ma questi sono per fortuna, casi eccezionali, riguardando essi più la grande industria che la piccola e la media industria. La realtà della piccola e media industria che noi oggi dobbiamo considerare, è quella di imprenditori seri, che cercano di dare un contributo allo sviluppo dell'economia e si trovano a dover lavorare oggi - ma penso che la situazione nel prossimo anno sarà ancora più critica - in condizioni di concorrenza, in condizioni di costi di lavoro estremamente pesanti e proibitivi.
Sulla base di queste considerazioni noi dobbiamo valutare molto realisticamente e molto seriamente, al di là delle enunciazioni di carattere ideologico, i punti sui quali il potere pubblico, il Governo a livello nazionale, la Regione a livello locale, devono puntare per far si che il Paese riesca a superare la situazione difficile che si avrà sicuramente nel prossimo anno, o nei prossimi due anni. Da un lato, a livello nazionale, c'é il problema del riassetto di tutta la spesa pubblica, direi di tutto il sistema previdenziale, per la parte che viene a gravare sulle industrie, in particolare, ripeto, sulla piccola e media industria.
Il Decretone, provvedimento preso, in sostanza, per turare le falle del sistema mutualistico, ha colpito da un lato i lavoratori nei beni di consumo, ed ancora una volta ha aggravato i costi di lavoro, in particolare, ripeto, per la piccola e la media industria. E' un tipo di discorso, questo, che investe il Parlamento e il Governo e che deve veramente essere fatto oggetto di attenta meditazione a livello parlamentare. Ma c'è un altro tipo di discorso, che riguarda il tipo di assistenza, di stimolo, di appoggio alla piccola e media imprenditorialità che è necessario articolare a livello regionale, Dev'essere un discorso di stimolo, di iniziativa politica, non evidentemente di presenza diretta in questo settore, perché questa piccola e media industria, per settori omogenei, e per settori anche economicamente omogenei, come è molto spesso l'iniziativa industriale attualmente in Piemonte - basti pensare al settore tessile - trovi la possibilità di darsi quelle forme di organizzazione commerciale associativa, di organizzazione nel campo della ricerca e della assistenza tecnica che sono oggi estremamente importanti per uno sviluppo di questa forma di imprenditorialità. Noi abbiamo in Europa, nei lander tedeschi soprattutto, esempi di iniziativa pubblica che riesce a coordinare, ma al tempo stesso a stimolare, l'iniziativa privata a livello di piccola e media industria, con il supporto, l'aiuto, lo stimolo per quelle iniziative a carattere associativo, specialmente commerciale e di ricerca, che oggi diventano una componente essenziale di una politica di espansione della piccola e media industria in un mercato quale sta diventando il mercato europeo. Naturalmente, c'e tutto il discorso della collocazione di questa politica per la piccola e la media industria in una prospettiva di sviluppo, di garanzia per l'occupazione in Piemonte, ma direi, più in generale, di sviluppo economico piemontese. Si deve evidentemente puntare alla realizzazione di strumenti di carattere programmatorio, di cui qualcuno ha parlato, che vorrei ricordare: una politica urbanistica che poggi su strumenti quali le licenze di insediamento, una politica, ripeto, di appoggio, che veda la Regione come momento di decisione politica pubblica, capace non solo di stimolare queste iniziative imprenditoriali ma anche di coordinarle in un contesto di decisioni politiche più ampie.
Mi sembra, per concludere, di dover ripetere che se noi vogliamo veramente far uscire il discorso dal piano delle enunciazioni per portarlo come dev'essere, sul piano della concretezza, non possiamo non tener presente il ruolo fondamentale che questo settore dell'iniziativa ha per lo sviluppo dell'economia del nostro Paese, in particolare del nostro Piemonte, e non pensare anche, nel momento in cui prendiamo atto di questa situazione di crisi che incomincia a manifestarsi, che c'è un problema di adeguati interventi pubblici a sostegno di questo settore e a sostegno della occupazione, da operare attraverso strumenti estremamente moderni nella concezione e nella proiezione della realtà del Mercato comune europeo.



PRESIDENTE

Mi risulta che è stato approntato un altro testo di mozione, che reca le firme dei consiglieri Bianchi e Simonelli. Forse si desidera una sospensione della seduta per poterlo esaminare, affinché altri Gruppi eventualmente possano dare la loro adesione? Allora, sospendiamo la seduta per dieci minuti, con preghiera di non eccedere questo margine di tempo data l'ora assai tarda.
Il presidente della Giunta delle elezioni, consigliere Paganelli approfitta di questa sospensione per convocare ad una breve riunione la Giunta delle elezioni stessa.



(La seduta viene brevemente sospesa)



PRESIDENTE

La seduta è aperta. Non è stato ancora raggiunto l'accordo su una mozione comune, e si desidera prendere occasione dalla sospensione dell'ora di pranzo per giungere a concordare un testo unitario, che verrà sottoposto all'esame ed alla approvazione del Consiglio nella seduta pomeridiana.
Consideriamo pertanto chiusa la discussione generale sulla mozione.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Convalida dell'elezione del Consigliere regionale Fernando Vera


PRESIDENTE

Dò lettura del verbale della riunione della Giunta delle elezioni tenutasi poco fa: "La Giunta delle elezioni, verificata la condizione del consigliere regionale Fernando Vera ai fini della convalida della elezione; constatato che non sono stati prodotti reclami circa la ineleggibilità del predetto dato atto che per quanto consta ai membri della Giunta stessa non sussistono in questo momento cause di ineleggibilità nei confronti del consigliere Vera delibera di esprimere parere favorevole alla convalida del consigliere regionale Vera" Qualcuno ha osservazioni da muovere? Allora pongo in votazione la proposta fatta dalla Giunta delle elezioni di convalidare la elezione del consigliere Vera. Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano.
E' approvata all'unanimità.


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Il Consigliere Armella mi ha comunicato la sua richiesta di congedo per la seduta di questa mattina, non avendo potuto raggiungere Torino causa lo sciopero ferroviario; ne dò notizia soltanto ora perché tale comunicazione mi è pervenuta a metà seduta.
La seduta è quindi rinviata alle 16 di oggi pomeriggio, in questa sede per la continuazione dell'esame dello stesso ordine del giorno



(La seduta ha termine alle ore 13,20)



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