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Dettaglio seduta n.202 del 21/02/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Leggo l'ordine del giorno: Approvazione verbale precedente seduta Esame ordini del giorno relativi al disegno di legge n. 2244 per l'attuazione delle direttive comunitarie Esame disegno di legge n. 60: "Istituzione dell'Ente di sviluppo agricolo del Piemonte (ESAP)". Relatore Bianchi Esame relazione dell'intercommissione per l'Università sul Centro di calcolo Esame della mozione presentata il 13.9.1973 dai Consiglieri Gandolfi Zanone e Fassino sui fenomeni di persecuzione e limitazione delle libertà di espressione in URSS Esame della mozione presentata il 14.9.1973 dai Consiglieri del gruppo PSI per la tutela dei diritti dell'uomo in Cile Nomina dei componenti effettivi e supplenti delle sezioni decentrate del CO.RE.CO. di Pinerolo, Alba-Bra, Mondovì, Ivrea, Casale Designazione dei rappresentanti della Regione: a) nei Consigli di amministrazione del Politecnico e delle opere universitarie del Politecnico dell'Università e delle opere universitarie b) nelle Commissioni regionali per il lavoro a domicilio per la manodopera agricola Esame proposta di legge n. 139: "Assicurazione contro gli infortuni in favore dei Consiglieri regionali". Relatore Garabello.
Se nessuno ha delle obiezioni da fare, l'ordine del giorno si intende approvato.
Mi è giunto un ordine del giorno dei Consiglieri Curci e Carazzoni sul disegno di legge 2244, ma atteso che i presentatori ce lo illustreranno nel corso della discussione, se mi esimono dal farlo non ne darei lettura.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Approvazione verbale precedente seduta. Il processo verbale dell'adunanza del 14.2.74 è stato distribuito ai Consiglieri prima della seduta odierna. Se nessuno ha delle osservazioni da fare il verbale si intende approvato.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Armella, Giovana, Simonelli (solo per il mattino).


Argomento:

b) Apposizione visto commissario del Governo


PRESIDENTE

Apposizione visto Commissario del governo: alla legge regionale 24.1.74: "Convalida del D.P.G.R. 14.9.1973 n.
1385, relativo al prelievo di somme dal fondo di riserva per le spese impreviste".
alla legge regionale 15.1.74: "Provvedimenti a favore dei Comuni per agevolare la realizzazione di opere pubbliche relative all'urbanizzazione primaria delle aree destinate all'edilizia pubblica residenziale e di quelle opere necessarie ad allacciare le aree stesse ai pubblici servizi".
Questo è molto importante ed ha avuto il visto del Governo.


Argomento:

c) Risposte scritte a interrogazioni e interpellanze


PRESIDENTE

Risposte scritte ad interrogazioni e interpellanze: è stata data risposta scritta da parte del Presidente della Giunta all'interrogazione del 14.2.74 dei Consiglieri Bertorello, Carazzoni Curci, Fassino, Gerini, Giletta, Menozzi, Rossotto, Zanone relativa alla "situazione di disagio in seguito alla crisi energetica in atto, riflessi sul turismo, sul lavoro e sull'agricoltura".
è stata data risposta scritta da parte del Presidente della Giunta Oberto all'interrogazione del 14.2.74 del Consigliere Carazzoni relativa alla "urgente necessità di assicurare prodotti petroliferi agli agricoltori piemontesi".
da parte dell'Assessore Benzi all'interpellanza del Consigliere Zanone in merito alla situazione urbanistica della Valle Vigezzo.


Argomento:

d) Progetti di legge - Presentazione e assegnazione a commissioni


PRESIDENTE

Presentazione progetti di legge: proposta di legge n. 147: "Interventi della Regione Piemonte nel campo delle attività turistiche" presentata dai Consiglieri Beltrami Falco, Visone in data 20.2.74, che verrà assegnata alla competente Commissione.


Argomento: Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

e) Seconda pista dell'aeroporto di Caselle


PRESIDENTE

Si è svolta lunedì 18 febbraio a Caselle una importante assemblea in merito al problema della seconda pista dell'aeroporto.
Erano presenti i Sindaci dei Comuni di Caselle, Leinì, San Francesco al Campo, oltre a rappresentanti dei partiti politici, delle Organizzazioni Sindacali e delle Associazioni degli Agricoltori.
Numerosissimi cittadini interessati hanno assistito al dibattito che si è svolto.
Nel corso dell'assemblea ho espresso la più viva attenzione ed interesse del Consiglio Regionale ad una rapida soluzione di tale problema che non può essere dilazionato nel tempo e che dovrà derivare certamente dallo studio delle autorità competenti tenendo nel massimo conto gli orientamenti e le osservazioni delle Amministrazioni comunali interessate.


Argomento: Interventi per calamita' naturali - Calamità naturali

f) Danni causati dal maltempo in Piemonte


PRESIDENTE

Proseguendo nelle comunicazioni ricordo che in tutto il Piemonte si sono verificati in questi giorni gravi danni dovuti ad una particolare ondata di maltempo.
Frane, allagamenti e valanghe hanno provocato la interruzione di vie di comunicazione ed isolato dei Comuni, soprattutto nella zona delle Langhe e dell'Astigiano.
A causa di questi fenomeni, sono rimasti feriti dei cittadini, ma l'episodio più grave si è verificato nella Valle di Susa dove un convoglio merci è deragliato a causa di una frana, precipitando in un burrone.
In questa sciagura hanno perso la vita due capotreni ed un frenatore altri cittadini sono rimasti feriti.
Esprimiamo pertanto il nostro più profondo cordoglio alle famiglie delle vittime ed auguriamo pronta guarigione ai feriti.
Purtroppo a causa di calamità atmosferiche sovente si verificano tragici episodi che comportano ulteriori disagi per le zone montane e agricole del Piemonte e che soprattutto costano la vita di cittadini ed in particolare di quelle categorie di lavoratori che essendo più esposte per ragioni di servizio subiscono le più gravi conseguenze come si è verificato in questa occasione per il personale ferroviario del treno deragliato.
Sovente l'assetto del territorio è tale da facilitare il verificarsi di tali sciagure.
Particolare attenzione si dovrà pertanto porre all'esame di provvedimenti e forme di intervento che consentano di far fronte in qualche misura ai gravi danni che hanno colpito il Piemonte.


Argomento: Comunita' montane: Statuti

g) Statuti delle Comunità montane


PRESIDENTE

L'art. 10 della legge regionale 11.8.1973 n. 17 prevede che gli Statuti delle Comunità montane siano approvati con decreto del Presidente della Giunta Regionale su conforme deliberazione del Consiglio Regionale. Sono stati ieri trasmessi dal Presidente della Giunta Regionale i primi statuti riguardanti le Comunità montane di Valli Curone - Grue - Ossola - Valle Vigezzo - Valle Stura - Valle Anzasca - Valle Antrona - Valle Antigorio Formazza.
Ai sensi dell'art. 18, ultimo comma dello Statuto, ho deliberato di demandare alla VIII Commissione l'esame preventivo di tali statuti su cui però il Consiglio dovrà poi deliberare.
Mi permetto pertanto di richiamare l'attenzione dei Consiglieri sul fatto che, essendo complessivamente 44 le Comunità montane, il lavoro di esame degli Statuti relativi comporterà un notevole impegno sia per la Commissione che per il Consiglio, impegno di cui occorrerà tener conto in sede di formulazione dei programmi di lavoro del Consiglio per i prossimi mesi.


Argomento: Rapporti con altre Regioni

h) Incontro dei rappresentanti delle Regioni d'Italia ad Ancona


PRESIDENTE

Si sono riuniti ad Ancona il 15 febbraio i rappresentanti delle Regioni d'Italia per esaminare i problemi del riordinamento della pubblica amministrazione in relazione alla indagine conoscitiva promossa dalla Commissione interparlamentare per le questioni regionali. Al termine dei lavori hanno approvato un documento con cui si dà mandato ad un Comitato di Presidenti di Consigli e di Giunta di illustrare la posizione e gli orientamenti delle Regioni ai Presidenti delle Assemblee legislative, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, al Presidente della Commissione per le questioni regionali e ai gruppi parlamentari del Senato della Repubblica.
In tali incontri si dovrà far presente soprattutto l'opportunità che l'esame del disegno di legge n. 114 sul rinnovo della delega al Governo venga coordinato con le risultanze dell'indagine conoscitiva predetta alla quale stanno offrendo contributi di studio di esperienza le Regioni.


Argomento: Stato giuridico ed economico del personale dipendente

i) Applicazione dell'accordo sullo stato giuridico ed economico del personale degli Enti locali


PRESIDENTE

L'esecutivo ANCI del Piemonte, venuto a conoscenza delle difformità di posizione dei CO.RE.CO. relative alla concessione di acconti in applicazione dell'accordo sullo stato giuridico ed economico del personale degli Enti locali, ha richiesto un incontro per esaminare il problema.
Legge regionale 15.1.1974. Scrive il Commissario di Governo "Appongo il visto sulla legge regionale approvata il 15.1.1974 e concernente 'Provvedimenti a favore dei Comuni per agevolare la realizzazione di opere pubbliche ai sensi e per gli effetti dell'art. 127 della Costituzione'".
Atteso peraltro che l'esercizio provvisorio è stato riferito al 1973 il Governo ha osservato che l'effettuazione delle spese previste dalla legge in questione non può avvenire che successivamente all'approvazione del bilancio regionale 1974.
Il Commissario di Governo scrive ancora: "Ai sensi e per gli effetti dell'art. 127 della Costituzione, appongo il visto sulla legge regionale approvata il 24.2.1974 concernente 'Convalida del decreto Presidente Giunta Regionale 14.9.1973 n. 1385 relativo a prelievo di somme dal fondo di riserva per le spese impreviste'. Comunico altresì il consenso del governo alla dichiarazione di urgenza della legge in parola".
Finite le mie comunicazioni do la parola al Consigliere Vecchione che la chiede. Ne ha facoltà.



VECCHIONE Mario

Signor Presidente, io parlo sulla mancanza di una comunicazione relativa alla riunione sui Comitati di controllo di ieri e chiedo al Presidente che era presente di fare avere, con la massima urgenza possibile, a tutti i Consiglieri, il testo stenografico del dibattito che c'è stato perché non ritengo si possa andare al dibattito generale sulle relazioni dei Comitati di controllo senza che i Consiglieri conoscano quanto è avvenuto ieri.



PRESIDENTE

Aspettiamo le dichiarazioni sulle comunicazioni del Presidente.



PETRINI Luigi, Assessore alla viabilità

I colleghi Consiglieri del Gruppo comunista hanno rivolto al Presidente della Giunta ed agli Assessori competenti una interpellanza urgente che trae il proprio spunto dalle recenti, eccezionali calamità atmosferiche che si sono abbattute sulla nostra Regione, provocando danni in numerose località.
E' da notarsi, in via preliminare, che la durata e l'entità delle precipitazioni sono risultate al di fuori della norma, sì da dar luogo a fenomeni spesso imprevedibili, e particolarmente dolorosi - in quanto hanno purtroppo causato anche vittime umane - ai cui familiari desidero rinnovare le espressioni del più sincero cordoglio.
I notevoli danni interessano la rete viaria statale, provinciale e locale, le opere di difesa idraulica ed altre minori infrastrutture.
Non entrerò nel merito di quanto concerne i danni alla Agricoltura, ai trasporti ed ai privati, che rimando alla valutazione degli Assessorati interessati, né di quanto attiene la viabilità e le opere idrauliche di competenza statale.
In diretto riferimento alle specifiche richieste degli interpellanti, è mia intenzione fornire un quadro il più possibile completo della situazione, tanto per ciò che è stato fin qui disposto ad opera della Amministrazione regionale, quanto per gli interventi, che sono allo studio ed ai quali si intende dare sollecito corso.
Desidero peraltro avvertire i Colleghi Consiglieri della possibilità di ulteriori aggiornamenti della situazione data la brevità del tempo sino ad ora intercorso dal verificarsi degli eventi dannosi, e in considerazione del fatto che, in molti casi, i tecnici sono tuttora all'opera per completare rilievi ed accertamenti.
Alla eccezionalità della situazione ha fatto riscontro, tuttavia, un tempestivo ed adeguato intervento da parte delle autorità e degli organi responsabili, statali e regionali e degli enti locali, che è valso a ridurre il senso di allarme, ad accertare la consistenza dei danni e a predisporre e a dare inizio - compatibilmente con le situazioni locali alle opere di riparazione occorrenti.
L'intervento regionale nell'ambito della propria competenza concernente la viabilità minore, la difesa degli abitati e le infrastrutture igienico sanitarie, si è sviluppato per mezzo degli uffici provinciali del Genio Civile, che hanno effettuato immediatamente sopralluoghi, segnalando la natura dei danni e la spesa presunta per il provvisorio ripristino.
Finora, nell'ambito di ciascuna Provincia sono stati segnalati i seguenti danni: Alessandria - Viabilità minore - 192.000.000 Asti - Viabilità minore - 76.350.000; Difesa abitati - 52.000.000 Cuneo - Viabilità minore - 87.000.000 Torino - Viabilità minore - 550.000.000 Vercelli - Viabilità minore - 110.000.000; Difesa abitati 30.000.000 Movimenti franosi 55.000.000 per un totale di L. 1.152.350.000 Nei casi sottonotati, essendo pervenuti dagli Uffici del Genio Civile sufficienti elementi di valutazione, sono già stati predisposti gli interventi urgenti, fino al limite di spesa presumibile e con riserva di integrazione, ove si renda necessario.
Alessandria Cerrina Monferrato 37. 000.000 Fraconalto 10.000.000 Montegioco 4.800.000 Asti Canelli 7.000.000 Casorzo 35.000.000 Cassinasco 3.000.000 Castagnole Monf.to 650.000 Castigliole 50.000.000 Roccaverano 1.500.000 Vercelli S. Paolo Cervo 10.000.000 per un totale di L. 158.950.000.
Al finanziamento occorrente per la totalità degli interventi si potrà far fronte a carico dello stanziamento previsto in L. 1.200.000.000 sul cap. 1316 del bilancio provvisorio per l'esercizio 1974.
Si deve però ricordare che su tale capitolo sono già state autorizzate spese per circa 150.000.000 per singoli eventi calamitosi, verificatisi prima delle recenti eccezionali precipitazioni, e che sul medesimo deve trovare capienza l'erogazione del contributo del 50% della spesa a favore dei Comuni che hanno presentato progetti per lavori di difesa da frane e corrosioni, ai sensi della Legge 30/6/1904, n. 293.
L'ammontare di detto contributo, salve le rettifiche che possono intervenire in sede di esame dei singoli progetti, si prevede in circa 800.000.000.
Per quanto precede è indispensabile che lo stanziamento citato debba essere considerevolmente integrato.
Anche in tale prospettiva, il Presidente della Regione Avv. Oberto ha indetto un incontro, che avverrà mercoledì prossimo, tra gli Assessorati ai Lavori Pubblici, Agricoltura, Ambiente e Bilancio per puntualizzare l'argomento, con richiamo ai problemi fondamentali della difesa del suolo e della sistemazione idrogeologica, che restano nella competenza dello Stato ma che, peraltro, non possono non interessare la Regione, la quale dovrà portare ogni possibile contributo ad un programma organico delle autorità centrali che sia in grado di affrontare e portare a soluzione in Piemonte i predetti gravi problemi.
Considerato che ai sensi del D.P.R. 15/1/1972, n. 8 lo Stato ha riservato alla propria competenza gli interventi necessari "in caso di calamità di estensione ed entità particolarmente gravi", non appare per ora pertinente una regolamentazione della materia con la legge regionale.
L'Amministrazione regionale si farà comunque premura di studiare i mezzi ed i modi più idonei affinché, nella deprecabile eventualità del ripetersi di eventi analoghi, l'intervento possa esplicarsi con la massima immediatezza ed efficacia.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Intervengo sulle comunicazioni del Presidente ed in particolare sulla informazione che egli ha fatto in merito alla assemblea indetta lunedì sera dalla Giunta comunale di Caselle, ed a cui hanno partecipato i sindaci dei Comuni vicini.
L'assemblea, affollatissima (circa mille persone presenti) ha manifestato la preoccupazione dell'amministrazione e delle popolazioni per le iniziative intraprese al fine di realizzare un secondo aeroporto nella città di Caselle. Sono state dibattute le ragioni di opposizione che vedono unitariamente collocate le varie forze politiche (erano infatti presenti la D.C., il P.S.I., il P.C.I. e le varie organizzazioni sociali e sindacali).
Esse riguardano i possibili pericoli che l'ampliamento dell'aeroporto di Caselle può comportare sulle popolazioni dei Comuni che stanno attorno a quest'area; ma la preoccupazione non si ferma qui, ed è rivolta all'accentramento di interventi che si produce ancora nell'area torinese ai non ritenuti validi indirizzi di politica economica che vengono attuati oggi attraverso l'ampliamento dell'aeroporto di Caselle, quando invece si tratta di operare per la realizzazione di un nuovo sistema di mobilità per i pendolari, di infrastrutture civili e sociali di cui c'è un'estrema carenza. Sotto questo profilo, il medico di Caselle ha sottolineato i rischi che questi Comuni corrono perché privi addirittura di fognatura, e i rappresentanti di organizzazioni sociali di Borgaro hanno rinnovato l'allarme perché ogni anno nel loro comune si hanno casi di epatite virale.
Mi spiace che non siano presenti il Presidente della Giunta l'Assessore all'Urbanistica e l'Assessore ai Trasporti, ma io spero che gli altri Assessori presenti saranno portatori di questa mia sollecitazione: problemi di questa natura, così ampiamente dibattuti dalle popolazioni locali e dalle organizzazioni dei contadini, preoccupate dalla distruzione del tessuto agricolo che si va operando in quella zona, non possono lasciare indifferente la Regione che ha competenza in materia urbanistica e territoriale, per cui è necessario procedere ad un dibattito in Consiglio.
Tale dibattito è opportuno sia preceduto dal lavoro della Commissione affinché sugli interventi che si stanno operando nella zona di Caselle alle porte di Torino, ed in particolare sulla questione dell'aeroporto che è occasione di questo mio intervento, si prenda una decisione maturata e dibattuta, che impedisca di operare sulla testa dell'amministrazione comunale, al di sopra e contro le volontà delle popolazioni locali.



PRESIDENTE

Farò presente al Presidente della Giunta appena viene in aula questo problema perché ho avuto l'impressione, nell'assemblea di lunedì, che veramente meriti un'ampia discussione anche in Consiglio Regionale. Sono presenti qui anche gli amministratori dei Comuni interessati e vorrei assicurarli che appena giungerà in aula il Presidente della Giunta mi far interprete dei sentimenti delle popolazioni interessate.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Berti, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Io credevo di rispondere subito all'interpellanza che abbiamo presentato sui danni del maltempo, ma si è intrecciata con le comunicazioni.



PRESIDENTE

Scusi Consigliere, le vorrei fare presente che era stato stabilito che non portavamo interpellanze, se no avrei portato in aula l'interpellanza urgente.



BERTI Antonio

Io gliene do atto, era più che opportuno portare anche soltanto questa perché ci troviamo di fronte a dei danni certamente non lievi. Le cifre che sono state qui citate ancorché incomplete dimostrano che il danno che l'agricoltura (e non soltanto l'agricoltura) e le amministrazioni comunali subiscono da questa ondata di maltempo è molto seria ed è appunto in riferimento alla serietà dei danni che occorre agire con la massima tempestività e concretezza.
Io posso dare atto all'Assessore di essersi mosso con notevole tempismo, anche se oggi non può dare dei dati precisi, ma possiamo anche capire che sono in corso degli accertamenti.
La nostra interpellanza tendeva a porre all'attenzione del Consiglio le iniziative che la Giunta intende assumere e l'intervento di carattere immediato che abbiamo letto sui giornali di oggi relativo ad uno stanziamento di 200 milioni. Poiché non ne ho sentito parlare dall'Assessore, sarebbe bene sapere chi è autorizzato a parlare a nome della Giunta annunciando 200 milioni di stanziamenti, che semmai sono troppo limitati, la cifra fa ridere rispetto alla complessità dell'intervento che va attuato nei confronti delle situazioni più contingenti ed immediate in forme più organiche relativamente alla sistemazione delle strade le quali hanno subito dei danni notevoli.
Chiediamo quindi una spiegazione su queste notizie giornalistiche (pare siano state date dal prefetto o non so bene da chi) ed è bene che la Giunta sia esplicita su quanto intende proporre al Consiglio come stanziamenti concreti per intervenire immediatamente nelle situazioni più drammatiche in secondo luogo, dopo di avere accertato il più rapidamente possibile l'entità effettiva dei danni, stabilire in quali settori occorre intervenire in modo prioritario e anche con piani a scadenza più lunga.
Noi proponiamo che l'Assessore, avendo messo a punto una serie di proposte, le affronti con la Commissione LL.PP., con la II e VI Commissione, o con un organismo del Consiglio in modo che possa esser verificato, dato per dato, il modo di intervenire.
Voglio concludere sottolineando che in questa occasione emergono ancora le considerazioni di sempre, anche ieri il Presidente della Giunta ha dovuto ammettere che si interviene sempre in situazioni rese più gravi dalla mancanza di interventi di carattere preventivo. E questo avviene puntualmente a fronte di calamità che investono parte del territorio nazionale o anche in conseguenza dei danni del maltempo.
Occorre quindi, quando parliamo di piani di intervento, pensare a piani di sistemazioni idrogeologiche, cioè interventi che vadano a monte, di carattere preventivo, tesi se non ad annullare perché non si può annullare la pioggia, quanto meno a limitare i danni che essa produce.
Quindi noi chiederemmo adesso una puntualizzazione ulteriore sulle richieste e sulle considerazioni che abbiamo fatto, per intervenire in Commissione ed eventualmente in Consiglio per quello che si farà.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Petrini.



PETRINI Luigi, Assessore alla viabilità

Io vorrei fare solo due precisazioni: la prima è relativa alla cifra dei 200 milioni. Probabilmente questa cifra è comparsa sulla stampa perch i primi interventi autorizzati dall'Assessorato ai Lavori Pubblici comportano una spesa complessiva di 158.950.000 lire, che presumibilmente è stata arrotondata a 200; non so però attraverso quale canale sia giunta alla stampa piemontese.
La seconda considerazione è relativa all'esame collegiale con la Commissione competente del Consiglio. Non ho nessuna difficoltà ad accogliere l'invito che mi è stato rivolto e quindi sono a disposizione della Commissione per valutare congiuntamente la situazione che si è andata creando sul nostro territorio.



PRESIDENTE

Mi pare che la Commissione competente sia la II. Non vedo il Presidente Dotti, ma appena giungerà in aula lo informerò e lo pregherò di riunire la Commissione invitando anche l'Assessore Petrini.
Nessuno chiedendo più la parola sulle comunicazioni, passerei al secondo punto.


Argomento: Rapporti delle Regioni con l'ordinamento comunitario

Esame ordini del giorno relativi al disegno di legge n. 2244 per l'attuazione delle direttive comunitarie


PRESIDENTE

Esame ordini del giorno relativi al disegno di legge n. 2244 per l'attuazione delle direttive comunitarie.
E' giunto un ordine del giorno dei Consiglieri Curci e Carazzoni che è stato unito a quelli precedenti, per cui chiederei al Consiglio il metodo della discussione. Gli ordini del giorno sono tre: il primo è quello firmato dai Consiglieri Zanone, Rossotto e Gerini e presentato il 25 ottobre 1973; il 30.1.1974 è pervenuto quello firmato dai Consiglieri Berti, Ferraris e Marchesotti; successivamente, in data 19.2 è pervenuto quello firmato dai Consiglieri Curci e Carazzoni.



FERRARIS Bruno

Io li passerei in ordine di presentazione.



PRESIDENTE

Do la parola al primo presentatore Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la data 25 ottobre 1973 dell'ordine del giorno presentato dal mio gruppo e la data in cui questo ordine del giorno viene in discussione, ha necessariamente portato delle modificazioni allo stesso tenore dell'impostazione del problema modificazione che è necessaria visto anche il trascorrere di quei termini ultimativi a cui si riconnetteva ancora in ottobre la concessione o no dei contributi da parte della CEE all'Italia; quei contributi che mi pare ammontino a 800 miliardi, e che secondo le direttive comunitarie, se entro il 31.12.73 non fossero state trasformate in legge nazionale o legge esecutiva le direttive comunitarie 159, 160 e 161, ci sarebbero stati negati.
Pertanto con l'ordine del giorno del 25 ottobre si invitava la Giunta a sollecitare il governo ed il Parlamento ad un rapido esame del disegno di legge. Dal 25 ottobre il Parlamento ha compiuto un solo atto concreto: il 28 novembre la Commissione per gli affari costituzionali della Camera ha esaminato il testo di legge di cui stiamo parlando ed ha rilevato alcune necessarie modificazioni che si potevano riscontrare necessarie per adeguare il disegno di legge alla Costituzione. Si tratta delle istanze che le forze regionali avevano più volte manifestato e che cioè alcune attribuzioni, che il disegno di legge dava agli organi centrali, proprio perché la materia specifica della agricoltura è demandata alle Regioni doveva essere riconosciuta alle competenze regionali.
Però la Commissione degli affari costituzionali ha anche chiaramente precisato che se un disegno di legge di attuazione di disposizioni comunitarie, quando investe materia primaria delle Regioni, in linea corretta normativa dovrebbe limitarsi all'enunciazione dei principi fondamentali, ciò non esclude anche che la normativa nazionale possa intervenire direttamente per costituire un quadro di riferimenti in quelle che sono le materie prettamente delle Regioni, salvo poi alle Regioni di provvedere in deroga a queste disposizioni, con propria legge e emanare autonomamente una legislazione più aderente alle realtà locali.
Le altre osservazioni di indole sostanziale, quale il necessario richiamo che in attività prettamente amministrative al posto del Ministero dell'Agricoltura si debba riconoscere la funzione delle autorità regionali furono chiaramente indicate dalla Commissione affari costituzionali.
Ma qui occorre fare il punto su questo aspetto, prima di tutto esaminare che le direttive comunitarie furono emesse nell'aprile del '72 che il termine ultimo entro il quale dovevano diventare esecutive nei singoli paesi, visto che in Italia non si è voluto adottare il meccanismo vigente altrove, tipo la Repubblica federale tedesca, e che consente una loro automatica adozione, soltanto nel giugno del 1973 fu presentato questo disegno di legge quando ormai i termini erano estremamente brevi.
L'esperienza abbastanza negativa sulle capacità delle Regioni a loro volta nell'emanare leggi integrative di quelle dello Stato (abbiamo degli esempi quali gli asili nido e le comunità montane) e la necessità di dover rispettare i termini del 31 dicembre 1973, potevano, tolte le modifiche di carattere formale e sostanziale cui accennavo prima, fatte salve successivamente la possibilità per le singole Regioni nella loro capacità legislativa di poter emettere disegni legislativi a modifica di quelle norme di carattere generale di loro competenza come indicato dalla Commissione affari costituzionali giustifica il tipo di scelta fatto dal Governo Andreotti per rendere operanti le direttive comunitarie Mi pare che a questo punto occorre rilevare che pur avendo dato i chiari suggerimenti la Commissione affari costituzionali per come rendere operativo nel rispetto dei dettati costituzionali questo disegno di legge il disegno di legge si è arenato su problemi di fondo, di merito di come interpretare le direttive comunitarie.
D'altra parte la polemica su che significato abbiano queste direttive che modifiche possono avere come loro conseguenza le strutture agricole italiane è aperto da lungo tempo, tutti in Italia hanno ricevuto con grande interesse il piano Mansholt, dopo di che, tutte le forze politiche, quelle che avevano accettato questo principio innovatore e creatore di un'agricoltura moderna, hanno cominciato ad andare ad accertare quanto di troppo innovativo e quanto di eccessivamente valido ci poteva essere e che poteva modificare troppo le condizioni agricole. D'altra parte le polemiche su questi tipi di direttive che il Presidente della Regione Lombarda ha fatto nella rivista "Italia Regioni", parlo del Presidente Bassetti il quale dice che le direttive 159, 160 e 161 rientrano in una logica di un'agricoltura capitalistica, fa comprendere che gli ostacoli sorgano non per la tutela delle funzioni regionali, ma per evitare l'introduzione in Italia di una agricoltura moderna ed efficiente.
E qui è ovvio ed è logico e rientra ancora una volta come osservavo parlando qualche tempo fa di un intervento del collega Minucci in cui riportava di nuovo l'attenzione sul nuovo modello di sviluppo è chiara, è coerente la politica del PCI che ha dei suoi chiari intendimenti in politica agraria come in tutti gli altri settori dell'attività del nostro paese e che purtroppo sta portando avanti, con l'aiuto dei democratici, ci che sta veramente preoccupando noi liberali è che ci sono delle componenti politiche le quali con un certo tipo di governo, alludo chiaramente al Governo Andreotti - Malagodi che fu l'artefice di questo disegno di legge che porta...



FERRARIS Bruno

Di quel malfamato disegno di legge.



ROSSOTTO Carlo Felice

Malfamato... mal presentato, direi! Perché ho dato una giustificazione che mi pare abbiamo dimostrato come questa legge nel desiderio e nella necessità di salvare i termini operativi salvava, e la Commissione affari costituzionali della Camera l'ha detto chiaramente, le competenze regionali sostanziali.
Il problema e un altro: esistono delle forze politiche nel merito hanno riconosciuto che i principi di imprenditorialità che sono necessari oggi nel mondo agricolo, centrando il problema della rinascita dell'agricoltura sulla gente dei campi sì da elevarli a protagonisti e partecipi in una società che deve progredire e non tenerli nelle condizioni che conosciamo cioè tutta una serie di sussidi e di aiuti e di incentivi per poter aiutare questa gente a trasformarsi in operatori alla altezza di quelli che sono i loro colleghi nelle altre nazioni europee, e ciò se vogliamo parlare di una civiltà. In un successivo tempo, improvvisamente, mutata forma di governo queste forze politiche mutano anche l'orientamento perché si lasciano improvvisamente condizionare dal partito comunista. Se si fa un Governo con i liberali escono delle leggi che attuano i principi comunitari, secondo principi di libertà occidentale, di economia di mercato per far progredire l'Italia e la sua agricoltura di cui oggi si torna a riconoscere l'aspetto fondamentale per dare un nuovo volto e un nuovo riequilibrio economico al paese. Improvvisamente perché esiste un diverso tipo di opposizione quella più morbida, più comprensiva del PCI, allora si vengono a modificare completamente i precedenti impegni politici. E qui è chiaramente un problema di assunzione di responsabilità e di coerenza, perché questo è un discorso che va rivolto al collega Menozzi - il quale in occasione del dibattito sul programma della Regione fu lungamente applaudito dalla gente dei campi che presumono egli sia sensibile ai problemi loro - e gli chiedo di dire quale tipo di scelta la sua componente politica, la D.C., fa perché nel giugno del 1973 questa componente politica ha deciso a favore dell'adozione delle direttive comunitarie, in modo liberale ed ora ha mutato pensiero e propositi.
Invece questo discorso, per l'ambivalenza della D.C. e dei partiti laici democratici, si è affossato per non voler decidere. Sappiamo benissimo con quanta capacità le forze politiche ed in specie la D.C., a parole così sensibile ai problemi dell'agricoltura, quando esistono delle complicazioni politiche molto più gravi per lei stessa è capace di affrontare con sollecitudine un disegno di legge; parlo del finanziamento dei partiti il cui disegno di legge, nel volgere neanche di una settimana è già pronto e sono già convocati i Capigruppo per un sollecito esame e per un'immediata normativa nazionale in merito. Allora dal 28 novembre al 31 dicembre doveva e poteva esistere anche il confronto di merito se vogliamo anche essere delle persone serie nel rispetto di determinati termini e dopo di che evidenziare chiaramente se sia giusto, esatto, se la maggioranza che sta guidando questo paese vuole seguire gli insegnamenti che in materia economica, agricola sta dando da 27 anni il PCI oppure se si vogliono rispettare i cardini della libertà seguendo le linee cui i paesi a democrazia occidentale stanno facendo progredire la loro gente dei campi.
Questo è un discorso di fondo che ritroviamo quotidianamente e quotidianamente lo riscontriamo nella realtà. Una politica di equivoco su tutti i temi principali e di fondo, il tutto contornato da parole che portano a far sì che la gente si rende conto che a rimanere nell'equivoco non si affrontano seriamente i problemi. Vuol dire allora che c'è una realtà che drammaticamente si impone e che fece dire al Presidente di questa Giunta quando insediato dalle forze di centro sinistra, e disse che era scoppiata la collera della gente dei campi. La collera della gente dei campi scoppia proprio nella gente più semplice e più seria, in coloro che hanno più meritato verso il Paese con sacrifici, nei momenti drammatici quando furono chiamati a compiere il loro dovere e sono stati poi illusi continuamente con una politica di trasformazione da agricolo e industriale a superare e sostenere gravose situazioni personali; scoppia perché noi a parole continuiamo a discutere e non a portare avanti in concreto i problemi, quando poi nella realtà, invece, gli altri fenomeni che a volte si dicono spontanei, sono spontanei nella misura in cui sono lasciati oppure voluti e determinati dalle forze che hanno il governo e il potere del paese, lasciano che avanzino.
E allora se il 25 ottobre '73 l'ordine del giorno presentato dal mio gruppo aveva un significato di sollecitare il dibattito su questo provvedimento perché al 31 dicembre '73 si sapesse come l'Italia aveva attuate queste direttive della CEE o se invece anche nel campo dell'Agricoltura l'Italia riteneva come vogliono altre forze politiche che si attui un certo tipo di politica di disimpegno da un discorso europeo o di mondo occidentale e lo abbiamo anche rivisto nel momento della crisi petrolifera, a questo punto nel mese di febbraio, superati i termini, forse persi 800 miliardi per incuria e incapacità di coloro che hanno assunto la gestione responsabile del Paese, il discorso si riapre e va chiarito a fondo. Devono dire chiaro la DC - il PSDI e il PRI - quello che si vuole fare per questa agricoltura se vogliamo agire secondo il modello occidentale, secondo le direttive della CEE, oppure nell'altro modo ben chiaro e ben noto a tutti quanti e se non lo si conosce ancora si vada pure a conoscerlo oltre cortina.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Ferraris. Ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi, l'ordine del giorno presentato dal Gruppo comunista sul disegno di legge n. 2244, per il recepimento delle direttive comunitarie nel nostro ordinamento legislativo, affronta in modo particolare gli aspetti di carattere costituzionale di questo disegno di legge e si prefigge l'obiettivo, attraverso l'attuale dibattito, di impegnare il Consiglio regionale e la Giunta ad assumere un atteggiamento preciso, che per noi non può che essere di denuncia del carattere antiregionalistico, oltre che anticontadino, che emerge dal disegno di legge del Governo ed a prendere, quindi, tutte le iniziative che riterremo opportune, e che mi auguro vorremo concordare, come del resto è già avvenuto da parte della maggioranza delle Regioni italiane, in difesa delle prerogative che la Costituzione riserva alle Regioni in materia di politica agricola, e quindi per una radicale modifica del testo presentato dal precedente Governo di Centro-Destra.
L'ordine del giorno presentato dai liberali, come ognuno di noi si è potuto rendere conto attraverso la sua lettura e come, del resto, ha illustrato il collega Rossotto, sia pure correggendo in parte la originaria impostazione, si limita invece a sollecitare, tralasciando ogni questione di carattere giuridico, la Giunta ed il Consiglio alla immediata approvazione di quel disegno di legge. Stando al testo dell'ordine del giorno, le Regioni non possono essere considerate le interlocutrici della CEE, perché questa è una comunità di Stati sovrani rappresentata dai diversi organismi del MEC, secondo le regole del Trattato di Roma, per cui non ci sarebbe alcun problema di carattere istituzionale. Invero, si tratta di un modo molto sbrigativo e semplicistico di porre un problema di capitale importanza sia per i poteri e le attività delle Regioni sia per l'avvenire stesso dell'agricoltura: un problema che si è posto, d'altronde la stessa Commissione Affari costituzionali - come del resto ha ricordato il collega Rossetto - la quale è pervenuta a conclusioni, e quindi a indicazioni, che, sia pure largamente insoddisfacenti, rappresentano una base per il superamento di quei contenuti che ho definito prima prettamente antiregionalistici. Ma ritornerò successivamente su questo problema.
I colleghi liberali dicono di essere stati mossi dalle vive preoccupazioni dei produttori agricoli a porre il problema dei ritardi e della urgenza di decidere. Pur non essendo a conoscenza delle vive preoccupazioni dei produttori per la sorte di questo disegno di legge (certo, i produttori sono fortemente preoccupati, ma di ben altro: sono preoccupati per il divario fra costi e ricavi, sono preoccupati per l'assenza di investimenti e soprattutto di misure adeguate atte a bloccare e ad invertire lo stato di precollasso in cui si trovano le loro aziende e l'agricoltura nel suo insieme), non ho alcuna difficoltà a riconoscere e denunciare con i colleghi liberali l'esistenza di un ritardo grave ingiustificato, e, tutto sommato, dannoso. Ma questo ritardo, intanto risale, in primo luogo, al Governo Andreotti-Malagodi, in particolare all' ex ministro Natali, che a suo tempo lasciò trascorrere ben quattordici mesi prima di presentare il disegno di legge n. 2244, rispetto almeno alla data di approvazione delle direttive comunitarie, se non sbaglio avvenuta il 17 aprile '72. La presentazione del disegno di legge fatta dal ministro Natali, per conto del precedente Governo di Centro-Destra, avvenne infatti com'è noto, il 12 giugno 1973, alla vigilia di quella crisi salutare che doveva spazzare via dal nostro Paese il Governo Andreotti-Malagodi, ma che lasciò purtroppo in eredità quel decreto di legge n. 2244. E' vero però che il nuovo Governo non ha saputo recuperare quel ritardo ma ne ha provocati altri, e ciò è avvenuto e sta avvenendo tuttora, soprattutto per la spaccatura esistente nel Governo sulla sorte di questo disegno di legge, o meglio sulla sua radicale modifica. Questo disegno di legge, purtroppo sopravvissuto al Governo che ebbe a partorirlo, portato in data 5 ottobre all'esame della Commissione agricoltura, vi è stato fortemente attaccato da tutte le forze politiche, escluse le destre, naturalmente, per i suoi contenuti anticontadini e per quel contenuto drasticamente, anzi provocatoriamente antiregionalista.
Ai primi di dicembre, quando anche il contributo rappresentato dal parere espresso dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, si delineò la possibilità di giungere ad una soluzione positiva, la Commissione Agricoltura decise di affidare le modifiche ad un comitato ristretto, con il compito di rielaborare il testo di questo disegno di legge. Questo Comitato ristretto si è posto al lavoro, si è riunito, a quanto mi risulta, ben sette volte. L'ottava riunione non ha però più potuto aver luogo, in quanto i lavori del Comitato ristretto sono stati bloccati per un ripensamento di alcune componenti governative, ed ogni iniziativa dei commissari comunisti, gli onorevoli Valori e Bardelli, per la riconvocazione del Comitato al fine di proseguire i lavori fino a giungere alla definizione, allo "show down" dei motivi del contrasto, è rimasta infruttuosa. Il presidente del Gruppo parlamentare comunista, on.
Natta, ha sottolineato in una lettera l'importanza, non settoriale ma politica, della questione, di politica agraria e soprattutto di carattere istituzionale e costituzionale, perché di mezzo ci sono, con l'agricoltura le prerogative stesse della Regione.
D'accordo, dunque, con i colleghi liberali sull'esigenza di superare ogni ulteriore indugio e sull'esigenza di far presto, a patto che il far presto si accompagni al far bene.
A questo punto nel mio intervento non posso non addentrarmi nei contenuti del disegno di legge n. 2244, giacché è su questo che dovremo esprimerci, e del resto lo stesso collega Rossotto ha ritenuto giusto necessario, entrare nel merito, valutandolo naturalmente secondo la sua ottica politica. Ma per entrare nel merito di questo disegno di legge sarebbe necessario, indispensabile, prendere in esame l'intera politica agricola comunitaria, con le sue disastrose conseguenze di ieri e di oggi una politica comunitaria che è sempre stata sulla difesa dei prezzi, sugli interventi di mercato, a scapito delle strutture.
Per brevità, mi limiterò a qualche accenno alle direttive comunitarie che sono per l'appunto l'oggetto che il disegno di legge n. 2244 deve recepire. Lascerò da parte l'importante capitolo della politica dei prezzi che è costata un occhio della testa al nostro Paese facendone uno dei Paesi che hanno pagato di più e ricevuto di meno; lascerò da parte la storia dei montanti compensativi, che sono una delle concause della crisi zootecnica e del latte, che attraversiamo in questo momento; lascerò pure da parte la storia dei prezzi di riferimento e soprattutto dei prezzi minimi garantiti e dell'integrazione sui prezzi dell'olio, del grano duro, del riso, che sono oggetto di un dibattito che si svolge stamane alla Camera dei Deputati, o alla Commissione Agricoltura. Dirò soltanto che, pur ribadendo il nostro profondo dissenso e la nostra critica radicale alla politica dei prezzi, che ha divorato il 90 per cento delle ingenti risorse del FEOGA oggi come oggi, data la situazione, concordiamo con le altre forze che sostengono che non si deve arrivare ad accettare in questo momento di perdere l'integrazione del prezzo dell'olio e sul grano duro o il contributo alla esportazione per il riso: il discorso andrà fatto appena avrà iniziato a dare i suoi frutti la politica delle strutture, o appena per altre vie, soprattutto attraverso una diversa impostazione che arrivi alla integrazione dei redditi, si sia giunti ad un equilibrio fra costi e ricavi e via di seguito.
Venendo alle direttive comunitarie in senso stretto, com'è noto queste tre direttive, che originariamente avrebbero dovuto essere cinque riflettono, con alcune marginali attenuazioni, la filosofia e la logica mansholtiana del ridimensionamento della produzione e della occupazione in agricoltura; una filosofia ed una logica che muoveva e muove, contro ogni evidenza, dal falso presupposto che il problema chiave della nostra epoca storica, in Europa e nel mondo, sia quello della sovrapproduzione agricola alimentare. Si tratta di una tesi che era sbagliata ed assurda anche ieri quando ha partorito il premio di 120 mila lire a capo per l'abbattimento delle vacche o i contributi per la distruzione del frutteti e via di seguito con i risultati che ben conosciamo tutti, e che è stata ridotta in frantumi dai recenti sconvolgimenti intervenuti sul mercato agricolo alimentare a livello internazionale, europeo e nazionale. Nel mondo ci troviamo in presenza di un crescente divario fra il ritmo stentato di sviluppo della produzione agricola e il sempre più rapido aumento della domanda, con la conseguente erosione delle scorte. In Europa la situazione è vero, era in parte caratterizzata, e forse lo è ancora, da squilibri fra settori eccedentali e settori deficitari, ma con una crescente tendenza al prevalere dei secondo sui primi.
In Italia, la situazione è giunta al limite di rottura a seguito della sostanziale stagnazione e regressione della produzione agricola per il crescente abbandono delle terre coltivate, calcolate ormai a 4-5 milioni di ettari, per lo smantellamento degli allevamenti, la chiusura delle stalle con le note conseguenze per il deficit della bilancia agricolo-commerciale e forse con il prossimo razionamento della carne. Ma le direttive comunitarie ignorano del tutto questo stato di cose, noto anche ai bambini dell'asilo, e, ciò che è anche peggio, il disegno di legge del ministro Natali si muove su questa linea peggiorandola ed aggravandola per non pochi aspetti.
Venendo nel merito di questo famigerato e malfamato - come ho già detto, interrompendo il collega Rossotto - disegno di legge, mi si consenta di dire che tutta la impostazione nuova, che avrebbe dovuto essere costituita dal passaggio, sia pure graduale, alla politica delle strutture è poi, tutto sommato, risibile quando si stanziano 95 miliardi in cinque anni quale concorso nel pagamento dell'interesse sui mutui per la realizzazione dei piani aziendali. Una cifra semplicemente ridicola, come ho già detto, appena sufficiente a soddisfare nel quinquennio le necessità di una regione come la Lombardia.
Con questa cifra sarà infatti possibile finanziare al massimo da 160 mila a 200 mila non dico piani zonali, che sarebbe certo una grande cosa ma piani aziendali; quindi, da 150 a 200 mila aziende, nella migliore delle ipotesi, in cinque anni, su 3 milioni e 600 mila aziende che abbiamo in Italia, o, se vogliamo limitarci, su un milione di aziende aventi più di cinque ettari, quindi il 15% a dir molto delle aziende riconosciute ottimali.
Ci sono poi, invece, 76 miliardi per la concessione della indennità di anticipata cessazione dell'attività agricola, a confermare che quello che più interessa è cacciare i contadini dalle campagne. Certo, la cosa viene condita con la scusa dell'invecchiamento e via di seguito. Ma è mai possibile che si ignori che in vaste zone del Paese l'occupazione agricola è già oggi al di sotto dei livelli fisiologicamente necessari per la coltivazione dei terreni, per la salvaguardia dell'ambiente naturale? Se all'anticipato abbandono dell'attività agricola da parte degli anziani compresi quelli fra i 55 e i 65 anni, che in Piemonte mi pare siano oltre il 30%, oltre 50 mila, si accompagnasse una immissione di forze giovanili la scelta del Governo potrebbe avere qualche senso; ma la verità è che nella stragrande maggioranza dei casi dietro gli anziani abbiamo il vuoto e il vuoto assoluto. Già si impone, al contrario l'esigenza di porre allo studio, anzi, in cassa, incentivi, come già si fa in Svizzera, in Francia nella Savoia, nella nostra stessa Valle d'Aosta, per incoraggiare la permanenza dell'uomo nell'azienda, in particolare in montagna e in collina e naturalmente soprattutto di forze giovanili. Di qui la necessità di lasciare per lo meno alle singole Regioni ogni decisione circa la concessione della indennità di anticipata cessazione dell'attività agricola e di prevedere altresì nel disegno di legge la possibilità per le stesse Regioni di forme di incentivi per chi rimane a lavorare la terra, specie appunto nelle zone di montagna, di collina e via di seguito. Se mai, un barlume di intelligenza doveva portare a prevedere che una misura di questo genere può anche avere una certa ragione di interesse in determinate località del Paese, come ci può essere la esigenza opposta. Ecco qui già l'evidenza di articolare il provvedimento, lasciando ampia libertà, sia pure nella definizione di principi generali di indirizzo che dovrebbe essere compito fondamentale del Governo centrale.
Si stanziano poi 81 miliardi per l'acquisto delle terre da parte di enti fondiari (tra l'altro, una cifra inadeguata, se si vuol realizzare gli altri presupposti). Così pure, per limitarci alle voci più consistenti, si stanziano altri 80 miliardi per la informazione socio-economica e la qualificazione professionale, di cui però soltanto 27 miliardi saranno assegnati alle Regioni, che pure in questa maniera hanno pienezza di poteri. Qui si entra nel campo della formazione professionale, per cui questo disegno di legge investe due competenze primarie delle Regioni.
Ma, al di là dell'aspetto quantitativo della spesa, che pure ha una sua importanza di grande rilievo, sono gli orientamenti generali concernenti i beneficiari, è la intera normativa a far emergere in tutta la sua gravità il carattere anticontadino ed antiregionalistico del disegno di legge n.
2244. Infatti, ad esempio, dai provvedimenti per le strutture sono escluse le cooperative di conduzione per i braccianti agricoli. Per essere inclusi gli affittuari coltivatori diretti devono dimostrare di avere un contratto che risalga almeno a cinque anni prima della presentazione della domanda e che abbia una durata ulteriore di nove anni. In compenso, sono ammesse tra i beneficiari le società per azioni. Altro che riserva dei finanziamenti a favore dei coltivatori diretti, altro che albo professionale! Non credo che i giovani coltivatori diretti che hanno assistito alla riunione in cui si discuteva il programma, applaudendo Menozzi ed interrompendo i lavori del Consiglio, intendessero chiedere la riserva dei finanziamenti a favore delle società per azioni e delle imprese giuridiche, e via di seguito: chiedevano i fondi per le aziende contadine.
Le imprese agricole, infine, - e qui entrano quelle contadine, quelle ad azienda diretta coltivatrice familiare -, per ottenere i contributi previsti a favore dell'ammodernamento delle strutture con quello che segue per i contributi, per la contabilità e via di seguito, dovranno presentare un piano settennale di sviluppo aziendale, dovranno tenere una contabilità la cosa può anche essere utile quando ci sono i contributi -, dai quali risulti che l'azienda, realizzato il piano, sarà in grado di raggiungere un reddito per ciascun addetto comparabile a quello dei lavoratori extra agricoli in ogni singola Regione: per il Piemonte, un reddito netto superiore di due milioni di lire per ogni singolo addetto, cosa assai problematica, in ogni caso possibile solo per un limitatissimo numero di aziende, se è vero, come è vero, quanto si va denunciando anche in questa sede da parecchio tempo, da tutte le componenti politiche, sull'attuale fortissimo divario fra reddito agricolo e reddito extra-agricolo, se è vero che i redditi agricoli netti si aggirano soltanto sul milione, poco più poco meno - in provincia di Asti assai meno - mentre il reddito comparabile per la Regione Piemonte è superiore ai 2 milioni per addetto.
Ma vi è di più e di peggio: l'art. 25 del disegno di legge 2244, per un pedissequo omaggio al divieto contenuto nelle direttive comunitarie alla concessione da parte degli Stati membri di qualsiasi agevolazione superiore al tasso minimo del 5%, e da concedersi solo per un periodo transitorio di 5 anni alle imprese che non abbiano presentato il piano o che, avendolo presentato, se lo siano visto respingere, impone limiti e divieti assurdi ai poteri legislativi delle Regioni nella emanazione delle norme di propria competenza per gli interventi nel settore delle strutture agrarie e fondiarie. Con il citato art. 24 del disegno di legge in discussione si stabilisce infatti che "gli aiuti agli investimenti a favore delle aziende che non hanno titolo ad ottenere le provvidenze previste dalle direttive comunitarie possano essere concessi solo alla condizione che l'interesse a carico dei beneficiari ammonti almeno al 5% annuo, con la sola eccezione limitata peraltro ad un periodo transitorio di cinque anni, per quelle aziende che non sono in grado di raggiungere un reddito di lavoro comparabile con quello di cui beneficiano i lavoratori dei settori extra agricoli".
Tutto ciò verrebbe a sconvolgere gran parte della legislazione nazionale e regionale già esistente, già operante in materia di credito agrario, di miglioramento fondiario, a pregiudicare, anzi ad impedire, ogni ulteriore miglioramento di questa stessa legislazione, che oggi è compito primario appunto della Regione e che noi riteniamo debba essere adeguata alle esigenze dell'azienda contadina, in particolare della cooperazione agricola. Quando abbiamo discusso la legge per i crediti di conduzione, i nostri emendamenti sono stati respinti, ma non perché fossero ritenuti inaccettabili, bensì con l'intesa che se ne sarebbe tenuto conto non appena si fosse giunti a varare una legge organica. Qui non si parla più di legge organica, tutto verrebbe a ridursi, per la gran parte delle aziende contadine del Piemonte, a quel 5%.
Si tratta, come dicevo prima, di norme inaccettabili nel merito, oltre che illegittime ai sensi dello stesso Trattato di Roma, il trattato istitutivo della CEE.
A questo punto, vien fatto di domandarsi se il gioco vale la candela se per ottenere dalla CEE in cinque anni qualcosa come 25-30 miliardi da destinare all'ammodernamento delle strutture aziendali, sia conveniente assoggettarsi a certe direttive. E già vi è chi si è domandato se non sia il caso di porsi il problema di una nostra temporanea uscita dal Mercato agricolo. Per ora, almeno, non è questo il problema che poniamo noi comunisti, che si pone il nostro Gruppo, anche se una simile ipotesi è già stata avanzata da autorevoli personalità non certo sospettabili di scarsa convinzione europeistica, come Manlio Rossi Doria, tanto per fare un nome.
Certo è che si pone, in ogni caso, l'esigenza di una ferma battaglia in sede comunitaria per far modificare gli indirizzi e le direttive di politica agraria: una battaglia che presuppone, intanto, un saldo retroterra di politica agraria, nazionale e regionale, nuova e diversa; che può e deve partire proprio dal recepimento delle direttive comunitarie da farsi emendamento al disegno di legge del precedente Governo in tutti i suoi aspetti più smaccatamente anticontadini ed antiregionalistici ed adattando le direttive stesse sia alle esigenze della nostra realtà agricola, diversa da regione a regione, sia all'ordinamento costituzionale del nostro Paese, che assegna potestà primarie in materia di agricoltura di formazione professionale proprio alle Regioni.
Sia per non dilungarmi oltre il sopportabile, sia perché su questi aspetti più propriamente politici e costituzionali interverrà ancora il nostro Capogruppo compagno Berti, non mi soffermerò qui ad elencare punto per punto gli aspetti che ho più volte definito più smaccatamente o provocatoriamente antiregionalisti. Insisto sulla espressione "provocatoriamente", perché non è affatto vero che le direttive imponessero un disegno di quel tipo, non è affatto vero che la Costituzione italiana non consenta uno spazio per agire diversamente. Del resto, una strada meno antiregionalistica è stata indicata proprio dalla stessa maggioranza della Commissione Affari costituzionali della Camera.
E' certo che, se non ci opponiamo al suo accoglimento, il disegno di legge in esame ridurrà le Regioni a semplici organi esecutivi, subordinati alla potestà ed al controllo del Ministro dell'Agricoltura, al quale vengono riservati tutti i poteri. E ciò, come ho già detto, è del tutto provocatorio e gratuito, in quanto le direttive comunitarie si chiamano così proprio perché, a differenza dei regolamenti del Mercato Comune, che devono essere applicati in tutti i Paesi, salvo richieste di sospensione in particolari momenti o contingenze, hanno caratteristiche di flessibilità proprio per consentire agli Stati membri della CEE di adeguarli più che alla diversa realtà istituzionale dei vari Paesi.
Noi non abbiamo escluso, e non escludiamo, come del resto abbiamo scritto nel testo dell'ordine del giorno, che possa esistere qualche difficoltà, da parte del legislatore nazionale, a definire una normativa intesa a disciplinare l'attuazione di un impegno internazionale dello Stato in materia, quali l'agricoltura e la formazione professionale, assegnate alla competenza regionale. La soluzione, anche se fortemente caratterizzante in senso giuridico, è soprattutto di ordine politico, e va quindi ricercata sul piano politico. Ed è su questo piano che noi riteniamo, come risulta dai documenti espressi da quasi tutte le altre Regioni, che ove soccorra la volontà del Governo esista non solo tutto lo spazio necessario per risolvere giuridicamente, come suggerisce la Commissione Affari costituzionali, attraverso il suo parere, il problema del rispetto delle prerogative regionali, ma altresì la base e lo spazio per una stessa partecipazione delle Regioni al momento elaborativo della politica comunitaria e degli atti fondamentali di tale politica.
Nel porre questo problema, di una partecipazione delle Regioni contestualmente con gli organi dello Stato, del Governo, Parlamento e Governo, alla elaborazione della politica comunitaria, noi non rivendichiamo affatto alle Regioni uno spazio o un diritto di incidere sulla titolarità delle competenze e sulla relativa assunzione di responsabilità degli organi dello Stato nel rappresentare verso l'esterno gli interessi del nostro Paese: ci riferiamo, invece, allo spazio per una adeguata partecipazione e collaborazione delle Regioni alla Formazione ed alla elaborazione delle proposte politiche relative alle materie di loro competenza, attraverso la loro audizione, la sollecitazione di loro pareri la istituzionalizzazione della partecipazione delle stesse anche mediante particolari momenti deliberativi in appositi organismi nazionali. Ad esempio, per procedere correttamente alla elaborazione di un disegno di legge per l'attuazione delle direttive - che, non essendo regolamenti, come ho già detto, possono essere recepite dai singoli Stati in modo flessibile a seconda cioè delle singole realtà, e che nel nostro caso investono così incisivamente le competenze delle Regioni - si sarebbe dovuto seguire la procedura adottata per l'approvazione dei decreti delegati, inviandone il testo alle Regioni per un loro rapido pronunciamento, per raccoglierne le osservazioni. Certo, non ci si poteva attendere tanta sensibilità da parte del precedente Governo di Centro-Destra, ma era auspicabile che ciò fosse avvenuto da parte dell'attuale Governo: non avremmo avuto, in ogni caso ritardi maggiori di quelli che si sono prodotti e che perdurano tutt'oggi perché il contrasto sta proprio nel rispetto delle prerogative costituzionali, oltre che nei grossi problemi di contenuto.
Concludo con una richiesta. Abbiamo parlato del disegno di legge n.
2244, e conseguentemente delle direttive comunitarie e del FEOGA; abbiamo detto di volerci battere in difesa delle prerogative delle Regioni, ed in particolare contro la delega di cui all'art. 118, per ottenere, se mai, la delega di cui all'art. 117 ecc. Ma intanto la Giunta, questa Giunta di Centro-Sinistra, come intende regolarsi, nell'immediato, per la formazione del programma per le pratiche sulla undicesima tranche del FEOGA, che va presentato entro il 28 febbraio, quindi entro pochi giorni? Si regolerà come la Giunta precedente di Centro-Destra, o come si regolano tutte le Regioni, dalla Lombardia alla Toscana alle Marche alla Campania al Veneto? In tutte le Regioni il programma viene formulato in Consiglio e con la consultazione delle organizzazioni, o, ove si è proprio alle strette con i tempi, impegnando seriamente la Commissione competente. Chiedo che nel corso di questo dibattito il Presidente assuma un preciso impegno in rapporto a questo problema, che da tempo io vado prospettando. La Commissione VI, nella sua ultima riunione, alla unanimità, ha chiesto che almeno questa questione sia vista con l'Assessore in sede di Commissione ed ha anche indicato una data, lunedì o martedì (dopo sarebbe troppo tardi). Su questa questione il nostro Gruppo attende una risposta precisa concreta, immediata.
Noi crediamo che in questo momento siano in gioco sia i destini dell'agricoltura, sia le prerogative delle Regioni in materia di agricoltura e in parte della formazione professionale. Togliere alle Regioni la competenza in ordine all'attuazione degli interventi comunitari determinando dall'alto ogni dettaglio, significherebbe stravolgere il senso della riforma regionale e vanificare ogni attesa ed ogni concreta possibilità di una riforma dell'intervento pubblico in agricoltura che sia capace di adeguarsi alle singole realtà regionali, che sia capace di costruire dal basso, attraverso i piani zonali e i piani regionali di sviluppo, una agricoltura nuova, in grado di produrre nell'interesse dei suoi operatori e nell' interesse della collettività.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, come avevamo preannunciato al termine dell'ultima seduta, abbiamo presentato un nostro ordine del giorno sul tema dell'attuazione delle direttive comunitarie in materia di strutture agricole.
Poiché è mancato il tempo materiale per procedere alla distribuzione del documento da noi elaborato, riteniamo doveroso e corretto darne preventivamente lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte esprime il più vivo biasimo per il grave ritardo accumulato dal Parlamento nazionale nel recepire e nel dare attuazione entro l'ordinamento legislativo italiano alle direttive comunitarie n. 159-160 e 161 approvate dalla CEE il 17 aprile 1972, e denuncia le precise responsabilità del Governo Andreotti-Malagodi-Tanassi con l'appoggio di La Malfa, che ha presentato il disegno di legge n. 2244 solo il 12 giugno 1973, giorno delle sue dimissioni, nonché del Governo Rumor-De Martino, che è stato incapace a tutt'oggi di promulgare una normativa per adempiere ad un obbligo internazionale dello Stato in materia di agricoltura, così privando gli agricoltori italiani della possibilità di accedere ai fondi messi a loro disposizione dalla CEE.
Nel merito, il Consiglio Regionale del Piemonte, riconosciuto che lo Stato è l'unico interlocutore della CEE, per cui ad esso soltanto incombe il dovere di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli adempimenti previsti dal Trattato di Roma auspica e richiede che lo Stato voglia far concorrere le Regioni alla attuazione degli impegni comunitari attraverso la delegazione di poteri cioè con la totale delega delle funzioni amministrative in materia nonch con l'attribuzione di ampie competenze alle Regioni medesime.
Pertanto, il Consiglio Regionale del Piemonte dà mandato alla Giunta di rappresentare al Governo ed alle altre Regioni questa posizione, al tempo stesso sollecitando la rapida approvazione del provvedimento legislativo in discussione".
Il dibattito sugli ordini del giorno presentati da più parti politiche a nostro avviso, non può non prendere le mosse dalla denuncia delle colpe (e si tratta di vere e proprie colpe!) che l'attuale classe dirigente - già direttamente e pesantemente responsabile della crisi nella quale l'agricoltura italiana è stata fatta precipitare, ed i cui effetti negativi sono oggi davanti agli occhi di tutti - sta adesso assumendosi per il gravissimo ritardo ormai accumulato nel recepire e nel dare attuazione entro il nostro ordinamento legislativo delle direttive comunitarie 159 160 e 161, che andavano trasformate in legge per il 31 dicembre 1973, e che, proprio per il non esserlo state, non soltanto rendono il nostro Paese inadempiente nei confronti di un obbligo internazionale, ma soprattutto impediscono agli agricoltori di usufruire degli ingenti fondi finanziari messi a disposizione dalla CEE.
Abbiamo detto che questo colpevole ritardo si configura come l'ultima responsabilità, in ordine di tempo, della attuale classe dirigente. Ne parlano, infatti, tutti i documenti presentati. Ma - vogliamo annotarlo per inciso - è significativo, sul piano politico, che l'ordine del giorno del MSI-Destra nazionale parli in termini espliciti di "denuncia" e di "biasimo"; che l'ordine del giorno del Gruppo liberale esprima "preoccupazione"; e che, invece, l'ordine del giorno del Gruppo comunista almeno nella premessa, sia formulato con tono ben diversamente sfumato e morbido. Anche questa diversità di taglio rientra forse nei canoni di quella "opposizione diversa" che i comunisti stanno portando avanti e che il Presidente della Giunta ha mostrato in più d'una occasione di apprezzare e di gradire.
Al contrario, non vi può né vi deve essere comprensione alcuna per lo scarso impegno e per la cattiva volontà dimostrati, su questo tema di fondamentale importanza per l'agricoltura italiana, e dal precedente Governo Andreotti-Malagodi-Tanassi (che aveva l'appoggio di maggioranza dell'on. La Malfa) e dal Governo in carica Rumor-De Martino.
Qui le responsabilità sono chiare e comunque facilmente precisabili. Le direttive comunitarie n. 159, n. 160 e n. 161 sono state approvate dalla CEE il 17 aprile 1972: già sin dal giugno di quell'anno, cioè sin dall'inizio della VI Legislatura, l'MSI-Destra nazionale, come attestano i resoconti parlamentari, ebbe a sollecitare l'emanazione della conseguente necessaria normativa. Una specifica interpellanza al riguardo venne presentata alla Camera nell'ottobre 1972: la risposta è giunta soltanto il 18 gennalo 1974, con la stupefacente dichiarazione che... "l'approvazione era in atto!" Dal 17 aprile 1972 il Governo di allora ha atteso - sciupando irresponsabilmente mesi e mesi di tempo prezioso - il 12 giugno 1973 per arrivare alla presentazione del disegno di legge n. 2244.
Vale la pena di ricordare che il 12 giugno 1973 è stata la data delle dimissioni del Governo Andreotti-Malagodi-Tanassi. Vale la pena, cioè, di sottolineare che quel Governo ha aspettato - per prendere una posizione al riguardo - di venire a scadere! E' una constatazione che evidenzia le responsabilità della D.C., del PSDI, del PRI; ma anche dei liberali, che di quel Governo facevano parte e che, pertanto, sono da considerare corresponsabili del grave ritardo accumulato. Ovviamente, adesso, il Gruppo del PLI finge di non più ricordare quanto accaduto, e presenta un ordine del giorno che - se non fosse proprio per questa dimenticanza - forse avrebbe potuto avere anche il nostro consenso; ma che invece siamo costretti a non votare proprio perché noi non dimentichiamo, così come crediamo non abbiano a dimenticare gli agricoltori italiani.
E - dopo le colpe del Governo Andreotti-Malagodi-Tanassi - sono venute quelle del Governo Rumor-De Martino, che, a sua volta, ha perduto altro tempo, concorrendo a fare sì che la nostra agricoltura seguiti a restare lontana da quei modelli comunitari che erano stati previsti ed accettati con gli accordi di Roma del 1958 ed ai quali ben si sono adeguati gli altri partners della CEE. Si risponde in Parlamento alla data del 18 gennaio come ricordavamo prima, che l'attuazione delle direttive comunitarie è in atto: ma la verità e che - dal 15 gennaio - il "Comitato ristretto" della Commissione Agricoltura non viene più riunito, e resta Paralizzato nei suoi lavori per la rottura, per le discrepanze, per i contrasti che sono scoppiati tra i partiti del cosiddetto "arco costituzionale".
Ecco le vere ragioni del ritardo. Ed ecco anche le chiare responsabilità di una classe dirigente che, ancora una volta, disattende e delude colpevolmente le ansie e le speranze del mondo agricolo nazionale.
Detto questo, quanto al merito del problema, la nostra posizione non può essere che diametralmente opposta a quella dichiarata nell' ordine del giorno comunista. Cioè, l'MSI-Destra Nazionale ritiene che non si possa discutere il principio che abbia ad essere lo Stato, e solo lo Stato, il diretto interlocutore della CEE. Infatti, la Comunità stessa significa realtà sovranazionale. Ed inoltre è allo Stato che compete il rispetto degli obblighi assunti a livello internazionale, mentre sarebbe - come è assurda pretesa pensare che questo possa rientrare nelle competenze regionali.
D'altra parte, a conferma della tesi che andiamo sostenendo è intervenuta l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972 n. 11 che, appunto, riconosce allo Stato la competenza in materia di "applicazione di regolamenti, direttive ed altri atti della Comunità Economica Europea concernenti la politica dei prezzi e dei mercati, il commercio dei prodotti agricoli e gli interventi sulle strutture agricole". Così come altra conferma è venuta dalla sentenza n.
142 del 6 luglio 1972 della Corte Costituzionale.
Riteniamo dunque che sia immotivata e pretestuosa la affermazione dell'ordine del giorno comunista secondo la quale il disegno di legge n.
2244 rappresenterebbe "un gravissimo ed inaccettabile attacco alla potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni"; e ribadiamo, per parte nostra, che le Regioni non possono essere elevate al rango di interlocutrici della CEE.
Il problema diventa, invece, quello di far concorrere le Regioni all'attuazione degli impegni comunitari in materia di strutture agrarie.
Perché è fuor di dubbio - e siamo i primi a riconoscerlo - che debbono essere proprio le Regioni a realizzare il grande processo di rinnovamento della agricoltura italiana, sia per la connessione della materia con la competenza primaria riconosciuta agli enti regionali in agricoltura, sia per il necessario coordinamento operativo della politica strutturale con la politica agricola nazionale.
Ora, a questo proposito - e lo abbiamo affermato nell'ordine del giorno presentato dall'MSI-Destra nazionale - noi pensiamo che il solo mezzo accettabile ed utilizzabile sia quello della delegazione di poteri, che tra l'altro consente l'esercizio di un potere sostitutivo da parte del delegante qualora il delegato avesse a rendersi inadempiente. In altre parole, noi auspichiamo che le norme emanande dal Parlamento abbiano a costituire vere e proprie leggi-quadro entro le quali le Regioni - con la totale delega delle funzioni amministrative, nonché con l'attribuzione di ampie competenze - possano finalmente esercitare la loro primaria e costituzionale attività in materia di agricoltura.
Questa è la nostra posizione, che riteniamo di avere a sufficienza motivata e che ci porta a respingere così l'ordine del giorno liberale come l'ordine del giorno comunista, per sostenere invece i principi espressi nell'ordine del giorno presentato dal nostro Gruppo.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Franzi. Ne ha facoltà.



FRANZI Piero

Signori Presidenti, signori colleghi, gli ordini del giorno che stiamo esaminando - il primo del Gruppo liberale, del 25 ottobre '73, il secondo del Gruppo comunista, del 30 gennaio '74, il terzo del Gruppo del MSI Destra nazionale di questa mattina -, anche se riguardano lo stesso argomento,cioè il recepimento nell'ordinamento legislativo italiano delle direttive C.E.E. dell'aprile 1972, tuttavia propongono considerazioni completamente diverse, delle quali è necessario un attento esame, per giungere ad un sereno e giusto giudizio.
Con le illustrazioni fatte dai tre presentatori ci si è addentrati anche in considerazioni di carattere di politica generale, trascurando forse di approfondire l'esame più confacente degli ordini del giorno stessi e di verificare alla luce della vigente legislazione la posizione delle Regioni nei confronti delle direttive comunitarie e di chiarire come le Regioni possano collocarsi nella realtà giuridica per darne pratica attuazione.
Quali sono, dunque, in linea di principio le tesi dei diversi Gruppi? I liberali sostengono che "le Regioni non possono essere considerate le interlocutrici della CEE poiché questa è una comunità di Stati sovrani rappresentati nei diversi organismi del Mercato economico europeo secondo le regole del Trattato di Roma".
I comunisti ravvisano nel testo del disegno di legge n. 2244 "un gravissimo attacco alla potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni".
Il Movimento Sociale-Destra nazionale, per ultimo, richiama e sostiene che "lo Stato è l'unico interlocutore della C.E.E., per cui ad esso soltanto incombe il dovere di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare".
Sono posizioni che, viste singolarmente, possono essere considerate estremamente valide, poiché rispecchiano i risultati di diversi angoli visuali.
La tesi liberale, infatti, è perfetta se vista alla luce della vigente legislazione che regola i rapporti fra lo Stato e le Regioni nell'attuazione delle competenze operative che derivano da accordi internazionali, ed in particolare da quelli della Comunità economica europea.
La tesi comunista, invece, discostandosi completamente dal vincolo giuridico, concede spazio all'aspetto legislativo quale momento interpretavo della volontà parlamentare, e quindi politica. Quella del Movimento Sociale si adegua, grosso modo, alla tesi liberale, richiamando peraltro anche l'istituto delle delegazioni, di cui si dirà più avanti.
Non vi è dubbio che le tre tesi siano estremamente interessanti.
Tuttavia, non sembra che l'una possa o debba prevalere sull'altra, poiché i rapporti fra Stato e Regioni, seppure regolati da norme precise ed insuperabili, debbono essere di ampio respiro, nell'ambito delle quali devono trovare spazio anche le iniziative e le scelte regionali.
A sorreggere tale considerazione si richiama la stessa relazione del Governo al disegno di legge n. 2244, ove si precisa che la scelta delle "direttive" è in relazione alla esigenza di una opportuna flessibilità ed adattabilità dell'azione comunitaria, avuto riguardo alle differenti condizioni in cui le diverse agricolture si trovano ad operare. Questo inciso focalizza, secondo me, due aspetti principali: il primo, che si deve salvaguardare il principio della flessibilità e della adattabilità alle diverse condizioni, il secondo che trattasi di interventi in favore dell'agricoltura.
Questa seconda indicazione, cioè che si tratta di interventi in favore dell'agricoltura, è estremamente importante, perché riguarda una di quelle materie per le quali, a sensi dell'art. 117 della Costituzione, le Regioni possono emanare norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
Il punto, quindi, da chiarire è quale attività specifica si debba intendere come attività agricola e quali siano i limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
A tal riguardo sembra giusto indicare che si può considerare attività agricola ogni iniziativa ed azione che abbia come scopo quello connesso alla produzione del suolo ed all'allevamento del bestiame. Non vi è dubbio che la materia non sia di facile delimitazione, tuttavia si può accettare il principio oggettivo statuito ancora recentemente dalla Corte costituzionale che possano ricondursi al settore dell'agricoltura gli interessi "connessi ai prodotti del suolo".
Questa delimitazione, seppur limitativa rispetto ad altre introdotte tanto in sede scientifica che giurisprudenziale, agganciato sia all'art.
2135 del Codice civile, ove l'attività agricola viene riferita "alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame ed attività connesse", sia all'art. 38 del Trattato della C.E.E., che inquadra tra i prodotti dell'agricoltura "i prodotti del suolo, dell'allevamento" risulta sufficientemente valida per legittimare interventi legislativi delle Regioni.
Gli scopi finalistici delle direttive comunitarie sono chiaramente indicati nella qui richiamata relazione del Governo al disegno di legge n.
2244, ove si precisa che "le direttive rappresentano un comune sforzo di elevamento dell'agricoltura" e si riafferma "l'esigenza di una stretta e permanente connessione tra la difesa dei prezzi e dei prodotti agricoli e la modifica delle condizioni di produzione".
Anche lo stesso Consiglio della C.E.E., nel licenziare le tre direttive, fa esplicito riferimento all'ammodernamento delle aziende agricole attraverso precisi piani strutturali e alla qualificazione professionale delle persone che lavorano in agricoltura.
Oltre a tali considerazioni di carattere generale, penso che possano convenientemente suffragare la tesi esposta e gli aspetti più particolaristici indicati dallo stesso legislatore nazionale attraverso il trasferimento dallo Stato alle Regioni delle competenze amministrative D.P.R. 15/1/72 n. 11 - ove, fra le altre, si attribuiscono le specifiche competenze per: i miglioramenti fondiari ed agrari, ivi compresi gli impianti aziendali ed interaziendali per la raccolta, conservazione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli l'assistenza tecnica alle imprese agricole le coltivazioni arboree, erbacee e gli allevamenti zootecnici ed animali ed altre iniziative collaterali.
Sono tutti problemi agricoli di natura similare a quelli previsti dalle direttive della CEE, vero che nella fattispecie trattasi di competenze amministrative proprie dello Stato trasferite alle Regioni, ma pu convenientemente valere una corretta interpretazione, anche perché deriva da atto legislativo nazionale.
Ma ad ulteriore conforto può valere come esempio la stessa iniziativa regionale in materia di strutture agricole già esercitata con il rifinanziamento degli articoli 16, 17, 18 del Piano verde n. 2.
Non vi deve, quindi, essere dubbio che le materie previste dalle direttive CEE possano essere attribuite alla competenza delle Regioni.
Resta tuttavia da verificare quale sia la sfera di questa competenza e come lo Stato debba riconoscere la presenza delle Regioni stesse.
La Costituzione, com'è noto, all'art. 117 fa riferimento ai "principi fondamentali stabiliti dalie leggi dello Stato", e l'ultimo comma dell'art.
17 della legge 16/5/70 n. 281 precisa che l'attività legislativa delle Regioni, nelle materie indicate nell'art. 117 della Costituzione, "si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono o quali si desumono dalle leggi vigenti".
L'interrogativo che ci si deve quindi porre è quello se esistano oggi principi stabiliti da leggi dello Stato che possano legittimare l'iniziativa delle Regioni in materia particolare di direttive o norme comunitarie.
Sotto questo profilo, risulta appropriata l'analisi compiuta dall'on.
Galloni con la sua relazione alla Commissione Affari costituzionali, ove precisa che rappresentano norme di principio che devono essere recepite da legge nazionale avente natura di legge-quadro o comunque di principi informatori quelle contenute nella direttiva 159, ove: si dà la definizione di "azienda agricola in grado di svilupparsi" si deve dare la definizione di "imprenditore a titolo principale" si debbono indicare le procedure e la corresponsione degli incentivi si deve inoltre innovare il rispetto alla regolamentazione per quanto riguarda il credito agrario si obbliga altresì alla tenuta della contabilità aziendale nella direttiva 166, ove si incoraggia la cessazione dell'attività agricola, stabilendo il prepensionamento si indica il nuovo strumento della ricomposizione aziendale nella direttiva 161, ove: si incoraggia la diffusione della informazione socio-economica.
Questi sono alcuni degli aspetti innovatori, i cui principi non si possono desumere dalle leggi nazionali, e che pertanto devono essere recepiti con legge statale.
Dalle direttive CEE deriva, quindi, non un semplice obbligo di adattamento legislativo, ma un problema di cambiamento di principi fondamentali della legislazione nazionale sulle strutture agricole. E questo cambiamento di principi non può avvenire che mediante legge nazionale.
Penso, quindi, che si possa fondatamente sostenere la tesi secondo cui lo Stato deve recepire con propria legge le direttive della C.E.E.
limitandosi però a fissare limiti e principi, che devono essere successivamente sviluppati ed attuati con leggi regionali.
Tale soluzione realizzerebbe altresì il presupposto dell'intervento diversificato secondo le particolari esigenze locali, e soprattutto le singole iniziative regionali sarebbero validi strumenti attuativi della programmazione periferica.
Non va infatti dimenticato che, alla luce dello Statuto, almeno per quanto riguarda la Regione Piemonte, e sul principio che si desume dal Piano Verde n. 2, si devono redigere ed attuare piani zonali di sviluppo per cui la nuova strutturazione aziendale cui in particolare tende la direttiva 160 deve avvenire secondo le linee che saranno elaborate in sede regionale.
E' comunque appena il caso di confermare che le leggi regionali debbono essere elaborate anche nel pieno rispetto delle indicazioni che derivano dalle direttive C.E.E., non solo per non incappare nella censura dello Stato o della stessa Comunità, ma proprio perché la Regione diventa soggetto legislativo principale, cui compete il diritto-obbligo di realizzare anche gli impegni propri dello Stato.
Tale indicazione rientra nella logica del nostro sistema costituzionale, riconosciuto dalla stessa Alta Corte di Giustizia della C.E.E., costruito secondo una architettura unitaria che si realizza attraverso il binomio Stato-Regioni.
Ma esiste un altro problema, altrettanto interessante: quello amministrativo. Anche se soltanto l'ordine del giorno comunista accenna alla potestà amministrativa delle Regioni, tuttavia questo secondo aspetto certamente non meno importante di quello legislativo, si presenta molto complesso, e di difficile interpretazione.
Con il D.P.R. 15 gennaio '72 n. 11, che trasferisce alle Regioni le funzioni amministrative già di competenza del Ministero dell'Agricoltura si fa esplicita riserva alla competenza degli organi statali della competenza sulla applicazione di regolamenti, direttive, ed altri atti della CEE relativi alla politica dei prezzi, al commercio dei prodotti agricoli e agli interventi sulle strutture (art. 4 paragrafo b), ed al successivo art. 13 lettera a) si precisa che viene delegata alle Regioni la "formulazione di programmi regionali da proporre al Ministero dell'Agricoltura in applicazione dei regolamenti della Comunità relativi alle strutture agricole ecc.".
Da tali precisazioni emerge la condizione assurda ed illogica che se alle Regioni possono essere attribuite competenze dirette legislative, non altrettanto può essere fatto per quanto attiene l'amministrazione dei mezzi finanziari assegnati dalla CEE ed impegnati dallo Stato.
Tale assurda ed illogica situazione, al di là di quelle che possono essere le considerazioni della nostra volontà politica, è sorretta dalla sentenza della Corte Costituzionale del 24/7/72 n. 142, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, le eccezioni fra le altre concernenti l'art. 4 lettera b) e l'art. 13 nella sua interezza. E la sentenza pare ancora più assurda ed illogica ove si consideri che giunge a tale decisione dopo aver argomentato ed ammesso che se "la censura è ammissibile solo con riferimento agli interventi sulle strutture agricole" tuttavia non viene poi in effetti ammessa "perché ogni distribuzione dei poteri di applicazione delle norme comunitarie che si effettui a favore di enti minori diversi dallo Stato contraente presuppone il possesso di strumenti idonei per la surroga qualora si verifichi inerzia da parte dell'ente investito della competenza della attuazione. Strumenti di tale genere difettano nell'ordinamento amministrativo nazionale, per cui sino a quando non sarà diversamente provveduto il solo mezzo per far concorrere le Regioni all'attuazione dei regolamenti, e nel caso nostro direttive sarebbe quello della delegazione, previsto dall'art. 13 lettera a)".
Il problema, di rilevante interesse, meriterebbe di essere altrimenti considerato. Tuttavia, per quanto riguarda il rapporto amministrativo Stato Regione, è indubbio che presenta condizioni giuridiche estremamente difficili, il cui superamento può avvenire solo con legge di Stato.
Ecco perché in premessa ho precisato che l'ordine del giorno del Gruppo liberale è perfetto riguardo alla vigente legislazione, anche se questo aspetto non attiene l'autonoma competenza legislativa delle Regioni.
In conclusione, quindi, penso che si debba riconoscere la competenza dello Stato a recepire in legge nazionale le direttive n. 159 - 160 - 161 che si possa fondatamente chiedere che il Parlamento elabori una legge di principi così come indicato all'art. 117 della Costituzione ed all'ultimo comma dell'art. 17 della Legge 281; che si debba chiedere al Parlamento in abrogazione dell'art. 4 lettera b) e dell'art. 13 lettera a) del D.P.R.
15/1/1972 n. 11.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Signor Presidente, signori Consiglieri, lo spazio che il nostro Consiglio dedica a questa questione, la sensibilità che vari Gruppi dimostrano sono, credo, giustificati dalle questioni di contenuto che essa riflette, cioè la materia agricola nel contesto comunitario, da questioni di carattere istituzionale ed infine dal contesto politico in cui questa discussione si colloca. Da quest'ultimo io prenderò le mosse per invitare il Consiglio Regionale, anche i Consiglieri che non si mostrano molto sensibili a questa questione ed a questi aspetti, preferendo rimanere a discutere di altro nel corridoio, a considerare tutti gli aspetti della questione sulla quale si accinge ad esprimere una propria posizione.
Il contesto politico credo sia oggi oggetto delle maggiori preoccupazioni di tutti i democratici del nostro Paese: è un contesto che non esclude le avventure reazionarie, che fa dilagare il qualunquismo e che, per avvenimenti che fra poco ci vedranno rivolgerci agli elettori per il voto sul referendum, propone elementi di seria riflessione.
Mi limiterò a sottolineare quella parte che riguarda l'attività e la presenza delle istituzioni pubbliche, in particolare delle assemblee elettive, in questo momento additate in generale dalla stampa reazionaria e da coloro che mestano nel torbido come elemento di ritardo circa l'attuazione di provvedimenti indispensabili per la ripresa economica e sociale del nostro Paese e che in verità per la parte loro offrono sufficienti motivi per dar luogo a questa critica. Emerge sempre più chiaramente la tendenza a partire dalla inefficienza delle istituzioni pubbliche per prospettare l'esigenza di un ordine che da taluni è posta con rievocazioni vecchia maniera che nel nostro Paese non hanno più spazio mentre altri che fanno parte della maggioranza del Governo, che hanno da lunghi anni incarichi direttivi nel nostro Paese, puntano invece ad uno Stato di carattere autoritario, che garantisca una efficienza di intervento. Emerge, questo, da una parte di atteggiamenti che continuano di fatto ad emarginare gli enti locali, le assemblee elettive, e, come vedremo più avanti, l'istituto regionale, dall'altra parte la proposta continua di assegnare delle funzioni che normalmente dovrebbero essere svolte dagli enti locali ad enti, agenzie, commissari, supercommissari; la tendenza cioè, a costruire un tipo di Stato fondato non su una molteplicità di centri di potere democratico ma attraverso organismi accentrati, che in effetti, secondo le intenzioni di coloro che perseguono questo disegno dovrebbe garantire una efficienza oggi inesistente in uno Stato fondato sulle Autonomie locali e che dovrebbe essere invece garantito da questa presenza di istituti accentrati in cui la presenza dei privati sarebbe prevalente, oppure in cui l'azienda di Stato, ma con direzione non certamente democratica, nel senso di una partecipazione degli elementi rappresentativi della collettività, potrebbe garantire.
Il momento è contrassegnato anche da una profonda sfiducia che l'opinione pubblica ha non soltanto più per gli istituti ma per le forze politiche che questi istituti governano; una sfiducia che si manifesta in un dilagante malcontento per un accumularsi di bisogni insoddisfatti, per i ritardi che si assommano nel rispondere positivamente alle numerosissime questioni che sono aperte nel nostro Paese, infine attraverso la corruzione, la degradazione civile e sociale che nel nostro Paese sta dilagando e che proprio ora emerge in tutta la sua drammaticità in rapporto alla questione del petrolio, di cui credo che ognuno di noi dovrà valutare esattamente il peso sulla situazione politica nazionale e sul favore che l'opinione pubblica deve accordare alla democrazia ed alle istituzioni che la rappresentano.
Non credo occorra aggiungere molti altri dettagli a descrizione del contesto politico in cui si collocano decisioni come questa, che riguarda l'attività legislativa ed amministrativa della Regione; di questo ente Regione che, sorto come elemento vitale indispensabile per una politica di rinnovamento delle strutture accentrare, per l'attuazione di una politica di riforme, dopo tre anni di attività, come abbiamo già rilevato ripetutamente, non è ancora riuscito ad assumere nei confronti dell'opinione pubblica - vuoi per responsabilità soggettive delle forze che le governano, vuoi per difficoltà di carattere oggettivo che dipendono da atteggiamenti negativi dello Stato nei suoi confronti - quel rilievo istituzionale, politico e sociale che deve invece avere per poter far uscire il Paese dalla crisi politica, economica ed istituzionale in cui si dibatte.
Basterà, credo, considerare due aspetti - in genere non conosciuti e seguiti credo nemmeno da tutti i Consiglieri regionali - per avere per il futuro della Regione auspici molto negativi. Uno di questi elementi sta nel modo in cui si vanno riordinando i ministeri. Nella realtà, lo Stato si trattiene sempre di più - e questo si evidenzia proprio nelle proposte di riordino dei Ministeri - tutta una serie di competenze che per Costituzione sono affidate alla Regione. Non a caso attribuiamo tanta importanza a questa questione di carattere, non solo noi, credo, ma anche altre forze politiche qui presenti. La maggioranza delle Regioni hanno già colto quest'altra occasione per esprimere una volontà regionalistica che è valida nella misura in cui, però, si traduce in atti concreti, senza infingimenti e coglie l'essenziale della situazione. Questa regolamentazione della politica comunitaria, nelle forme espresse, comporta certamente una netta limitazione dei poteri in materia di agricoltura delle Regioni recentemente costituite. O noi vogliamo prender atto che questa è una delle questioni su cui si gioca il futuro delle Regioni, insieme con altre che potranno essere sottolineate (una l'ho detta prima); oppure noi accettiamo tranquillamente senza reagire, senza informare l'opinione pubblica, senza collocarci responsabilmente nella posizione di chi invece si batte, ritorno su questo punto, contro un contesto politico che vede importanti schieramenti politici, gruppi all'interno di forze anche di maggioranza ormai decisamente tesi a fare delle Regioni quello che alcuni auspicavano già all'epoca della loro istituzione: uno strumento di mero decentramento amministrativo, cioè uno strumento esecutivo della volontà centralizzata del Governo. Credo che questo possa essere detto molto chiaramente, e non possa venir contestato, se non da chi voglia attaccarsi ai vetri, ma soltanto per difendere una posizione che certamente non consente di portare avanti con questa battaglia regionalistica una costruzione di uno Stato nazionale democratico come vuole la Costituzione, fondato sulla partecipazione maggiore di tutti gli strati sociali al Governo del Paese.
Questo esempio richiama il grande scontro politico di questi giorni nel nostro Paese. Credo che ogni cittadino, ma essenzialmente ogni responsabile di attività politica, ogni esponente politico non possa oggi estraniarsi dai grandi temi della politica nazionale, se vuole riuscire a cogliere i nessi che si stabiliscono tra ogni momento, ogni decisione parziale che si assume, con questo contesto generale, diviso, ripeto, tra una grossa maggioranza, io sostengo, di forze antifasciste, di forze democratiche tese a costruire un Paese diverso per farlo uscire dalla situazione, e gruppi, tra i quali i gruppi economici più potenti italiani ed anche stranieri, tesi a costruire un diverso tipo di Stato, il quale comporta l'emarginazione proprio delle istituzioni.
Io invito le forze politiche a collocarsi in questo contesto nell'accingersi a valutare queste questioni. E il nostro ordine del giorno badate, non entra nel merito della politica comunitaria - anche se l'ordine del giorno liberale ci consiglia, e Ferraris lo ha fatto, ad entrare nel merito, perché le due questioni sono senza dubbio collegate -, coglie essenzialmente questa realtà politica, e chiede al Consiglio regionale del Piemonte di assumere una posizione regionalistica contro le posizioni antiregionalistiche attualmente presenti nella Commissione che sta esaminando la legge approntata dal Governo in questo senso. Le posizioni antiregionalistiche noi le abbiamo indicate nel nostro ordine del giorno: sono essenzialmente quelle dell'annullamento delle prerogative amministrative delle Regioni attraverso una normativa minuziosamente predeterminata e delegata in una materia in cui è incontestabile la potestà della Regione, il previsto intervento sostitutivo da parte dei poteri centrali nei confronti delle Regioni, i limiti ed i divieti ai contenuti dell'attività legislativa delle Regioni in materia di aiuti per l'investimento.
Non ho bisogno di aggiungere molto perché, intervenendo nel dibattito sul programma della Giunta, ha già avuto occasione di illustrare gli elementi antiregionalisti presenti nella proposta di legge che si propone.
Rimando quindi i Colleghi a quel dibattito. Se sarà necessario, potremmo ritornarvi ancora, ma do per scontato che tutte le forze dell'arco costituzionale sinceramente regionaliste del Consiglio Regionale hanno presenti questi aspetti, e indico, per la parte che ci riguarda, gli elementi essenziali che ci dovrebbero consentire di uscire.
Ha già detto poco fa Ferraris che noi non sottovalutiamo affatto, ma anzi ci facciamo carico, della difficoltà di regolamentare una questione in cui lo Stato ha certamente la funzione di rappresentanza unitaria, ma nello stesso tempo sottolineiamo che è necessario che questa rappresentanza unitaria non passi attraverso l'emarginazione dell'istituto regionale ma anzi si fondi su un ampliamento, semmai, un rinvigorimento delle potestà legislative e amministrative della Regione.
Allo scopo il nostro ordine del giorno e il nostro intervento si rifanno a quanto espresso dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, che in tal senso ha assunto una posizione credo unanime o quasi almeno a larghissima maggioranza, che a nostro avviso consente di dare una soluzione positiva. Devo, credo, portare a conoscenza di quanti in questo Consiglio non hanno potuto prendere visione degli atti appunto elaborati dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, poi messi in essere in parte dal Comitato ristretto della Commissione agricoltura. Da ciò nasce il dissenso che attualmente frena la legge, ma che noi vogliamo sciogliere in chiave appunto regionalistica. E' proprio la Commissione Affari costituzionali che denuncia il valore, anzi, i contenuti antiregionalistici, di una serie di questi articoli.
La Commissione Affari costituzionali, a conclusione dei propri lavori stabilisce di esprimere parere di conformità costituzionale del disegno di legge n. 2244 alle seguenti condizioni, che io propongo così come sono state espresse al Consiglio ed offerte alla sua valutazione: "Per quanto attiene alla competenza legislativa delle Regioni a statuto ordinario ed a statuto speciale, allo scopo di rendere il disegno di legge conforme all'art. 117 della Costituzione ed agli Statuti speciali delle singole Regioni, occorre: far salve le competenze stesse con una norma del seguente tenore: 'Le Regioni possono con propria legge regolare la materia di attuazione delle direttive del Consiglio della CEE per adattarla alle esigenze delle singole Regioni o zone agrarie, anche in deroga alla disciplina della presente legge, purché, in ogni caso, siano rispettati i limiti stabiliti dalle direttive comunitarie, nonché i principi fondamentali stabiliti dalla presente legge, salvo, in ogni caso, il ricorso al procedimento di cui all'art. 117 della Costituzione ogni qual volta il Governo ritenga la predetta legge regionale in contrasto con gli interessi nazionali o con quelli di altre Regioni'".
Mi sembra che questo punto formulato dalla Commissione Affari costituzionali colga nel contempo l'esigenza di rappresentanza unitaria dello Stato e l'esigenza indissolubile di salvaguardare le potestà legislative della Regione. Per quanto attiene alla competenza amministrativa delle Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, allo scopo di rendere il disegno di legge conforme all'art. 118 della Costituzione, occorre sostituire in alcuni articoli, alla competenza del Ministero dell'Agricoltura, la competenza della Regione o dell'Assessore regionale all'Agricoltura. Segue l'elenco, che non starò qui a leggere degli articoli in cui appunto la Regione assume veste diretta sostituendosi agli esperti del Ministero dell'Agricoltura.
Infine, per quanto riguarda il potere sostitutivo che lo Stato, che il Governo si arrogherebbe nei confronti della Regione con la legge in esame la Commissione Affari costituzionali propone di "introdurre apposita disciplina per regolamentare il potere sostitutivo dello Stato in questo modo: in caso di inattività persistente della Regione negli adempimenti amministrativi di attuazione delle direttive comunitarie che possa configurare una responsabilità internazionale dello Stato, il Governo, su proposta del Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, sentito il Presidente della Giunta regionale o della Giunta provinciale autonoma interessi, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, fissa alla Regione un termine per gli adempimenti, trascorso il quale autorizza il Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste a sostituirsi alla Regione limitatamente alla esecuzione degli atti amministrativi proponendo, ove occorra, le opportune variazioni di bilancio".
Altre indicazioni emergono ancora: ho sottolineato le più importanti perché a nostro giudizio ci consentono, partendo da un parere che ha già visto la stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento collocarsi in posizione favorevole, di approvare qui un ordine del giorno che risponde agli interessi dello sviluppo della politica comunitaria nel senso di difendere gli agricoltori e soprattutto, in questo momento e per quanto ci riguarda, a quello di salvaguardare, anzi sviluppare, in questo contesto politico le autonomie locali, in specie dell'istituto regionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Calsolaro, ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

I problemi connessi alla attuazione delle direttive comunitarie per la riforma dell'agricoltura, che oggi vengono in discussione sulla base degli ordini del giorno proposti dal Gruppo liberale e dal Gruppo Comunista, sono già stati oggetto di specifico riferimento da parte del Gruppo socialista in più di una occasione.
In particolare nel corso della discussione della proposta di legge al Parlamento per l'elezione unilaterale a suffragio universale diretto dei delegati italiani al Parlamento europeo.
Facemmo allora osservare come l'avvento delle Regioni ed il trasferimento ad esse di un'aliquota di poteri statali aprisse una nuova problematica proprio in quei settori, come quello dell'agricoltura, che coinvolgono principalmente i poteri delle Regioni e nei quali il controllo della Comunità europea è più penetrante.
Sottoponemmo così al Consiglio una serie di questioni, e cioè: la possibilità di costituire un raccordo istituzionale utile e propulsivo fra l'attività comunitaria e l'attività delle Regioni, non tanto in ordine ai controlli, quanto per la partecipazione delle Regioni alle scelte e alle politiche che condizionano la vita della Comunità europea; le necessità di contrastare la tendenza riduttiva che mira a fare delle Regioni non dei Governi con poteri circoscritti ma pieni, quanto dei meri strumenti amministrativi per lo più in settori depotenziati, senza mezzi per efficaci interventi nel campo dell'economia e del territorio, e di cui sono manifestazioni evidenti l'interpretazione restrittiva del precetto enunciato dall'art. 93 del Trattato di Roma ed il contenzioso diplomatico del nostro Ministero degli Esteri in contrasto con la sentenza della Corte di Giustizia della CEE sugli adempimenti delle obbligazioni comunitarie in rapporto ai sistemi costituzionali degli Stati membri.
Ancora, testualmente, sulla competenza in materia di agricoltura, e sui rapporti Regione-Stato-CEE così affermammo la posizione del gruppo socialista: "Si tratta di stabilire al più presto, con coraggio e con determinazione, collegamenti di varia natura fra le nuove realtà regionali e la Comunità; con la Commissione, con il Consiglio, con il Parlamento. I collegamenti appaiono opportuni e necessari soprattutto per la politica agricola. Non basta dire che il panorama agricolo è differenziato, che occorre una pluralità di politiche diverse secondo le vocazioni colturali i dati maturati, lo specifico quadro sociale di questo o di quel territorio: se manca una reale consulenza delle Regioni la Comunità non pu assicurare efficacia, realismo e credibilità alla sua azione".
"Il nostro Paese si è data una struttura regionale e le Regioni sono soggetti necessari per preparare le linee di comportamento nazionale a livello comunitario nelle materie che la Costituzione assegna alla competenza regionale. Non si tratta di un discorso in prospettiva, ma di un discorso urgente che ha scadenze assai ravvicinate".
"L'Italia dovrà fare i conti con le tre direttive sulle strutture agricole approvate dal Consiglio della Comunità il 17 aprile 1972. Il ruolo che il Governo intende far svolgere alle Regioni in questo campo non è soltanto un problema di correttezza costituzionale, ma di reale difesa della nostra agricoltura".
"E' chiaro che le direttive europee influiscono sui contenuti della politica agricola delle Regioni, ma non intaccano le loro competenze costituzionali. Governo e Regioni devono pertanto collaborare e trovare soluzioni concordate affinché l'interlocutore italiano della Comunità sia davvero in grado di esprimere la volontà dell'intera collettività del nostro Paese".
Dal disegno di legge Natali sembra doversi dedurre che il Governo (che era il Governo centrista al tempo della presentazione del disegno di legge ma che è anche l'attuale Governo se esso si propone di portare avanti senza sostanziali modifiche l'originario disegno di legge) intende far svolgere alle Regioni un ruolo del tutto secondario di puro e semplice adempimento di disposizioni maturate negli uffici centrali del Ministero della Agricoltura.
Tutte e tre le direttive contengono, nelle considerazioni preliminari alla adozione della singola direttiva, un paragrafo che è espresso in questi termini: "Considerando che la diversità nelle cause, nella natura e nella gravità dei problemi strutturali in agricoltura può richiedere risoluzioni distinte secondo le zone, adattabili nel tempo; che occorre contribuire allo sviluppo economico e sociale globale di ogni zona interessata; che si possono ottenere migliori risultati se, fondandosi su concezioni e criteri comunitari, gli Stati membri attuano essi stessi l'azione comune tramite i propri strumenti legislativi, regolamentari e amministrativi e, se d'altro canto, determinano essi stessi, alle condizioni fissate dalla Comunità, in che misura tale azione deve essere intensificata o concentrata su alcune zone".
Inoltre ogni direttiva prevede un esame annuale da parte del Parlamento europeo e del Consiglio sui risultati ottenuti "onde poter valutare la necessità di completare o di modificare il regime istituito".
Nell'attuare le tre direttive è quindi necessario assicurare il loro adeguamento alle situazioni particolari delle singole zone agrarie e alla evoluzione socio-economica generale e, inoltre, adottare un meccanismo che consenta di utilizzare l'esperienza maturata nel corso della loro applicazione.
L'adeguamento delle tre direttive alla particolare situazione italiana impone di tener conto delle caratteristiche del nostro Paese.
La situazione istituzionale è rappresentata dagli articoli 117 e 118 della Costituzione. Il decreto di trasferimento n. 11 riserva allo Stato all'art. 8, la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni che attengano ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e in particolare della Comunità Economica Europea. Il successivo art. 13 dispone la delega dello Stato alle Regioni nella formulazione dei programmi regionali di intervento da proporre al Ministero dell'Agricoltura in applicazione dei regolamenti della Comunità europea relativi alle strutture agricole e nella attuazione degli interventi conseguenti alle decisioni comunitarie. Occorre pertanto garantire alle Regioni la possibilità di svolgere il ruolo primario della politica agraria loro assegnato dalla Costituzione anche nella fase di applicazione delle direttive CEE.
La situazione strutturale dell'agricoltura italiana è caratterizzata da una prevalenza di imprese diretto-coltivatrici (secondo il censimento del 1970, su un totale di 3.600.000 aziende con 25 milioni di ettari, le aziende con meno di 50 ettari sono 3.500.000 per una superficie globale di quasi 15 milioni di ettari) e da uno scarso sviluppo delle cooperative e in genere dalle associazioni di produttori, inferiore a quello di tutti gli altri Paesi della CEE.
La situazione sociale nelle campagne italiane è caratterizzata da un processo particolarmente accentuato di senilizzazione; dall'esistenza di contratti agrari che la Comunità ha costantemente considerato incompatibili con le esigenze moderne, come i contratti di colonia e di mezzadria, che interessano ancora 200.000 aziende per una superficie di quasi 2 milioni di ettari; dalla presenza di 1.500.000 lavoratori dipendenti, braccianti e salariati agricoli, che soltanto nel settore agricolo possono trovare fonte di occupazione rimanendo nelle zone di origine. Questi lavoratori erano 1.200.000 nel 1970, sono aumentati di 50.000 nel corso del 1971 ed ulteriormente negli anni successivi, rovesciando la tendenza costante del precedente decennio, soprattutto perché sono diminuite le occasioni di lavoro nei settori extra-agricoli e nei Paesi esteri.
Le caratteristiche della superficie agraria italiana sono date dalla scarsa estensione delle pianure e dalla prevalenza delle zone collinari e di montagna, dove si trovano 2.500.000 aziende, con quasi 20 milioni di ettari, pari all'80% della superficie agraria utilizzata; nonché da diffusi fenomeni di erosione del suolo, di disboscamento, di disordine idraulico aggravati dallo spopolamento di ampie zone in montagna e in collina, causa del frequente ripetersi di alluvioni, frane e altre calamità.
Il nostro Paese non ha mai adottato finora, a differenza della Francia della Germania e dell'Olanda, strumenti e regimi analoghi a quelli previsti dalle tre direttive, per cui è indispensabile attribuire alla prima applicazione di queste direttive un carattere sperimentale e prevedere un successivo perfezionamento in base alle esperienze acquisite.
Il progetto del governo italiano per attuare le tre direttive non appare adeguato alle esigenze particolari dell'agricoltura italiana e non può considerarsi conforme alle direttive stesse.
Il disegno di legge è gravemente lesivo dei poteri che spettano alle Regioni in materia di agricoltura: le argomentazioni svolte nel parere espresso dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera e le conseguenti proposte di modificazione dirette a salvaguardare le competenze legislative delle Regioni ci trovano largamente consenzienti e costituiscono un'utile base di discussione che sia rispettosa, sul piano legislativo nazionale, della norma costituzionale.
Alle Regioni sono infatti delegate soltanto funzioni amministrative di secondaria importanza, restando nella gestione del Ministero dell'Agricoltura le principali funzioni amministrative. Per esempio in materia di fideiussione, di cui agli artt. 16 e 17 del disegno di legge; di aiuti alle associazioni di produttori, di cui all'art. 23; di attività di informazione socio-economica, e di formazione e perfezionamento dei consulenti socio-economici, di cui agli artt. 39, 41, 42 e 43.
La materia relativa ai corsi di formazione professionale è sottratta alla competenza delle Regioni, in contrasto con la norma costituzionale. Si prevede di fare ampio ricorso ad iniziative private, invece di privilegiare e di promuovere le iniziative degli enti pubblici che offrono maggiori garanzie di efficienza.
Alle Regioni viene negata ogni possibilità di differenziare l'importo degli incentivi secondo le zone, oppure di non applicare in quale zona l'insieme o alcune delle misure proposte. C'è soltanto, all'art. 13, una differenziazione per il Mezzogiorno e le zone depresse dell'Italia Centrale che è da considerarsi troppo generica e troppo ampia, non idonea cioè a garantire l'adeguamento delle misure alle situazioni delle singole zone come prevedono le norme comunitarie.
La manovra finanziaria che l'art. 21 del progetto attribuisce al Ministero mette la Regione in condizioni di non avere alcuna garanzia di finanziamento e quindi di non poter promuovere una programmazione degli interventi.
Aggiungiamo ancora che il disegno di legge ignora i piani zonali di sviluppo, che la legge del 1966 sulla programmazione aveva indicato come lo strumento fondamentale per garantire agli interventi pubblici in agricoltura un carattere di globalità e di organicità. Le Regioni hanno già adottato i piani zonali come modello preferenziale per una politica coordinata di assetto territoriale: altrimenti, intervenendo su singole aziende, si rischia di avere aziende efficienti, ma isolate in un contesto di depressione economica e sociale.
Gli articoli 16 e 17 del progetto del governo applicano in forma burocratica e restrittiva quanto propone l'art. 8, c. 1, della direttiva 159 circa le garanzie per i mutui contratti e i relativi interessi, nei casi in cui sia necessario supplire alla insufficienza delle garanzie reali e personali. Questo significa per molti coltivatori l'esclusione da ogni forma di aiuto, soprattutto perché l'art. 10 del progetto richiede che le loro domande siano accompagnate da un piano di finanziamento che, dato l'arretrato regime del credito agrario in Italia, sarà di difficile presentazione.
L'art. 19 del progetto ammette agli aiuti anche le aziende con reddito di lavoro superiore all'obiettivo di ammodernamento, oltre i limiti indicati dall'art. 2 della direttiva 159, mentre, data la limitatezza dei beni disponibili e il gran numero di aziende con redditi bassi ma in grado di modernizzarsi che esiste in Italia, è necessario riservare gli aiuti a queste ultime. L'art. 19 del progetto del governo italiano, infatti ammette alle provvidenze le aziende con redditi di lavoro non inferiori allo obiettivo di ammodernamento, a condizione che "palesino" strutture tali da porre in pericolo la conservazione dei "predetti" livelli di reddito, mentre l'art. 2 della direttiva si riferisce ad aziende la cui struttura "è" tale da mettere in pericolo la conservazione del reddito al livello comparabile.
Nessuna norma particolare è prevista per incoraggiare le iniziative di imprenditori associati o che siano impegnati ad associarsi, secondo l'art.
5 della direttiva 159. Anzi, l'art. 23 del progetto governativo, del dare attuazione all'art. 12 della direttiva, concede aiuti di avviamento alle sole associazioni di produttori che si costituiscono "dopo" l'entrata in vigore della legge e ne affida la gestione al Ministero, togliendola alle Regioni. Ma senza favorire lo sviluppo di iniziative di carattere associativo, molte imprese agricole italiane non potranno raggiungere isolatamente gli obiettivi del piano e, pertanto, si escludono di fatto dai benefici delle direttive, a meno che non si deroghi dal corretto principio della competitività e della efficienza.
Inefficaci sono le proposte verso i coltivatori più anziani: data la particolare gravità del fenomeno di senilizzazione è necessario che l'indennità di cessazione sia corrisposta, sia pure senza contare sui rimborsi del Feoga, anche ai coltivatori con più di 65 anni, come prevedevano le prime proposte della Commissione. In caso contrario si corre il rischio che siano incoraggiati a lasciare l'agricoltura i capi di azienda da 55 ad un massimo di 65 anni e che rimangano invece a condurre l'azienda i coltivatori con più di 65 anni.
Il disegno di legge non dà applicazione all'art. 14, c. 2, della direttiva 159, che permette di aiutare anche i coltivatori con livelli di reddito molto bassi quando la loro permanenza sul fondo sia necessaria per la conservazione dell' ambiente naturale. La gravità di questa lacuna è dimostrata dal fatto che negli ultimi dieci anni, come si ricava dai dati del censimento, sono stati abbandonati 560.000 ettari in montagna e 700.000 ettari in collina già utilizzati per attività agricola.
La mancanza, poi, di una previsione legislativa per il coordinamento della legge di attuazione delle direttive comunitarie con la legge 1102 per lo sviluppo della montagna ci sembra particolarmente grave, proprio alla luce delle caratteristiche di gran parte della nostra agricoltura e dei fenomeni che particolarmente nelle zone di montagna e di collina si sono manifestati nel modo più acuto.
Il progetto governativo non contiene infine alcuna norma che preveda la possibilità di un esame annuale sui risultati raggiunti, in armonia con quanto dispone l'ultimo "considerando" di ognuna delle tre direttive. Ciò è tanto più grave di quanto l'Italia ha bisogno, più di ogni altro Paese, di attribuire un carattere sperimentale alla prima applicazione delle direttive, trattandosi - per quanto ci riguarda - di una legislazione del tutto innovativa delle linee tradizionali della politica agraria e pertanto senza precedenti normativi e senza esperienze amministrative. Il riesame annuale non può che aver luogo nel Parlamento nazionale, sulla base di relazioni delle singole Regioni e del Governo, in armonia con i compiti attribuiti dalle direttive al Parlamento europeo.
In conclusione, la preoccupazione che ci viene da un esame sommario della articolazione contenuta nel disegno di legge Natali è che (a parte tutti i problemi posti dalla coesistenza di tre ordinamenti, comunitario statale e regionale, specialmente per quanto riguarda le direttive comunitarie che sono rivolte allo Stato membro, ma che poi dovranno essere tradotte in legislazione interna delle Regioni) attraverso l'applicazione e il presupposto della normativa comunitaria, lo Stato, cioè il potere centrale, finisce per riprendersi le competenze che costituzionalmente sono invece essenzialmente regionali. E la cosa è preoccupante sotto due aspetti: in primo luogo perché priva le Regioni di competenze costituzionali loro attribuite; in secondo luogo perché in tal modo le Comunità europee, ad una osservazione superficiale, rischiano di apparire agli occhi dei Consiglieri regionali come un ostacolo all'autonomia regionale.
In tal modo il processo di integrazione, anziché essere visto, quale è in realtà, come un fatto di enorme portata storica, elemento di una moderna società, contributo essenziale alla crescita economica e sociale del nostro paese, potrebbe presentarsi come una specie di meccanismo, di ingranaggio che rivaluta i poteri centrali, i poteri dello Stato, piuttosto che quelli regionali.
Sono queste le ragioni che ci spingono da un lato a chiedere la profonda revisione del disegno di legge Natali, nel pieno rispetto delle competenze costituzionali, e dall'altro una effettiva partecipazione delle Regioni alla elaborazione della politica comunitaria che trova proprio a livello regionale le più valide ed effettive prospettive di sviluppo.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cardinali, ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, io intervengo come Gruppo del PSDI in quanto questa mattina purtroppo mi trovo a parlare, solo, in una materia sulla quale ho idee personali ma non so fino a quanto aderenti all'impostazione di gruppo.
Io credo comunque che il dibattito abbia rivelato alcuni aspetti che i promotori degli ordini del giorno hanno già sottoposto alla nostra attenzione, aspetti che da un lato partono dalla premessa della situazione in cui si dibatte la agricoltura italiana con tutti i suoi drammi dall'altro mettono in evidenza un insieme di incertezze che sono alla base del ritardo con cui si sta dando corso da parte del governo ai dispositivi in materia di attuazione delle norme comunitarie.
E' fuor di dubbio che tutto questo nasconde un malessere di carattere politico ed anche divergenze sostanziali a livello dei gruppi che fanno parte dell'attuale maggioranza, ma credo che non sarebbe questo il momento di entrare nel merito effettivo delle norme comunitarie e di ciò che esse implicano per la nostra agricoltura perché la situazione è in tale evoluzione e i problemi si accavallano e diventano talmente diversi un giorno dall'altro che costruire il tutto su ipotesi in gran parte già superate o dimostratesi non valide oggi può rappresentare un grosso rischio da parte di qualsiasi legislatore. Se noi pensiamo che si è parlato a lungo di ridimensionamento delle superfici agricole in Europa e che contemporaneamente siamo costretti a prendere atto dei drammi che attraversano paesi africani dove il sostentamento non è più possibile e dove muoiono di fame centinaia di migliaia di altri esseri umani come noi tutto questo può apparire paradossale.
Ma credo che l'aspetto di fondo sia stato centrato dall'ordine del giorno del Partito comunista quando richiama la posizione delle Regioni nei confronti e delle norme comunitarie e soprattutto della loro attuazione così come oggi è prevista dal disegno di legge n. 2244. Sotto questo profilo non c'è nessun dubbio che il disegno di legge in esame sia se non altro ambiguo e non tenga conto di una realtà che oggi si è imposta all'attenzione ed alla realtà della vita regionale, realtà che ha già cercato di incidere in un settore di sua particolare competenza come quello dell'agricoltura e sul quale non è possibile oggi fare dei passi indietro.
Io ritengo che debba essere correttamente posto il problema sui rapporti di carattere internazionale e che nessuno pensi che competa alle Regioni inserirsi in questo tipo di rapporti. Sarebbe però corretto e soprattutto legato alle grandi linee della programmazione che in settori in cui si esplica la attività legislativa delle Regioni, venissero prese iniziative con il contributo delle Regioni e sono d'accordo col collega Ferraris che l'itinerario di un disegno di legge importante come il 2244 dovrebbe essere anticipato da una larga consultazione con le Regioni.
Questo è un punto che ci lascia perplessi perché può far intendere come attraverso la messa in moto di certi meccanismi, quale quello dell'adeguamento della nostra legislazione alle direttive comunitarie possa anche esserci il tentativo di togliere in parte alle Regioni ciò che è stato già loro demandato da precisi dispositivi della nostra Costituzione.
Sotto questo punto di vista il nostro discorso deve essere estremamente chiaro e non penso che ci sottrarremo come gruppo a questo tipo di impegno.
Certo si tratta di un terreno molto delicato, ma non si può prescindere da un presupposto di fondo e cioè dalla nostra competenza legislativa in materia di agricoltura. Qualsiasi intervento, qualsiasi norma dello Stato deve poter trovare attraverso la legislazione della Regione l'adeguamento ad una realtà che può essere vista dallo Stato come norma generale di indirizzo, ma che non si può calare in ogni singola realtà regionale così come possiamo fare invece noi come singole Regioni. La necessità di una legge quindi è fondamentale, ma deve essere intesa come legge quadro nell'ambito della quale non si deve limitare la possibilità legislativa delle Regioni.
E' stato già sottolineato da diversi colleghi, e non lo ripeterò, che ci sono già delle situazioni avanzate sulle quali le Regioni ormai si sono espresse o tendono ad esprimersi; è evidente che non possiamo arrivare alla contraddizione di rinunciare alle nostre prerogative sui piani di sviluppo nell'agricoltura per la semplice ragione che sopra la nostra testa passano iniziative che si legano ad altri tipi di rapporti. Noi non vogliamo avere delle ambascerie con gli altri Stati europei, però siamo coscienti che la nostra voce deve essere sentita e non solo come esecutori materiali di norme che altri hanno elaborato, ma come apportatori di contributi fondamentali affinché queste norme siano le più efficaci e le più aderenti alla realtà che dobbiamo affrontare.
Sì, certo, c'è una situazione difficile che mette già in evidenza la forbice che si palesa fra direttive comunitarie, impostazione della politica agricola comunitaria e la realtà italiana, ciò nonostante crediamo negli organismi supernazionali, crediamo in un'Europa che tenda ad unirsi a tutti i livelli e non siamo certamente per le proposte di tipo autarchico o per il ripiegamento su vecchie formule che hanno fatto il loro tempo.
Purtuttavia riteniamo che in questa situazione il principio regionalistico debba essere riaffermato e non per la sola volontà di affermarlo sempre e costantemente, ma perché mai come in questo momento una situazione così difficile come quella italiana può essere risolta solo con la collaborazione chiara e precisa tra gli organi centrali e le Regioni le quali hanno la possibilità di offrire una operatività molto più aderente ai problemi effettivi.
Non vi è alcun dubbio che se oggi non fossimo chiamati ad esprimerci su ordini del giorno per i quali abbiamo elementi di valutazione sia in senso negativo che in senso positivo - e il dibattito ha fatto emergere chiaramente quali possono essere anche i punti di incontro - e se quindi riuscissimo a mettere in evidenza la caratteristica della flessibilità con la quale anche le norme più valide o più rigide possono e debbono essere adattate ad una realtà regionale (alla quale siamo molto più sensibili di qualsiasi organismo centrale) potremmo raggiungere un risultato positivo e fare ulteriormente sentire la voce della nostra Regione nei termini autorevoli che essa è in grado di esprimere.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Menozzi, ne ha facoltà, ma lo pregherei di essere un po' sintetico perché stiamo volgendo al termine e dovrà ancora intervenire l'Assessore. Con questo non voglio limitare il suo intervento perché è l'ultimo, ma solo pregarlo di una certa concisione.



MENOZZI Stanislao

Forse è perché lei conosce i miei difetti di origine, ma l'invito mi è stato rivolto così garbatamente che cercherò di compiere sforzi inauditi per poterlo esaudire.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, affrontando il discorso sulle direttive comunitarie, prima ancora di abbandonarci a considerazioni di carattere più propriamente economiche e finanziarie, basta richiamare alcune date per sentirci fortemente preoccupati della lentezza con la quale procede l'iter e delle lungaggini e delle inadempienze nel frattempo registrate e non solo da parte del nostro Paese, nel recepire le direttive in oggetto.
Nell'aprile del '72, e precisamente il giorno 23, il bollettino della comunità pubblicava il testo delle tre direttive e cioè la 159, inerente all'ammodernamento delle aziende, la 160 riguardante la cessazione dell'attività agricola con destinazione dei relativi terreni a scopi diversi e, non ultimi, per la soluzione dei problemi di ristrutturazione agricola in fatto di accorpamento ed arrotondamento aziendale e la 161 sulla qualificazione professionale e sull'assistenza socio-economica.
Esse dovevano venire recepite dalla legislazione nazionale ed entrare in funzione entro il 30 giugno dell'anno successivo e cioè il 1973. Il 12 giugno dello stesso anno veniva predisposto dall'allora ministro della agricoltura un disegno di legge fatto proprio dal Governo, per il recepimento delle direttive, disegno di legge che, presentato sotto l'assillo della scadenza prefissata, prorogata poi al 31.12.73, accusava le insufficienze della fretta e del fatto di non aver potuto, come sarebbe stato auspicabile, consultare le Regioni e consentire alle stesse di dibattere il delicato problema al loro interno. E se ciò fosse avvenuto collega Rossotto, mentre non si sarebbe assolutamente lesa la sovranità degli stati membri della Comunità, bene evidenziata dal Trattato di Roma il Governo prima e il Parlamento poi avrebbero potuto avvalersi di un valido, per non dire indispensabile, apporto collaborativo e nel contempo sarebbe stato salvaguardato il diritto-dovere delle Regioni a trattare e seguire problemi che non possono ignorare.
Circa poi l'avanzata richiesta che alle Regioni - e qui entro nel merito delle due diverse concezioni dei rispettivi ordini del giorno siano riconosciuti maggiori poteri, con il superamento delle sole prerogative amministrative, reputiamo necessario sottolineare che una siffatta richiesta, valida in prospettiva, nell'attuale realtà e in riferimento proprio al citato trattato, non possa essere giustificata sempre che non si voglia assistere al fallimento del varo non tanto del disegno di recepimento da parte del nostro Parlamento quanto delle stesse direttive in discussione. Perché allora dovremmo rivedere il trattato modificandone i contenuti. Ecco perché ho ritenuto la richiesta valida in prospettiva e anche in coerenza con quanto in passato io stesso avevo avuto occasione di ricordare.
E' implicito che il nostro pronunciamento deve collocarsi nell'ambito dell'odierna realtà e non anche in base a quella che ci auguriamo possa maturare col tempo e soprattutto se dalla unità economica il nostro vecchio continente riuscirà a qualificarsi arrivando all'unità politica vera e propria, a suffragio universale, speranza che, pur essendo l'ultima a morire, coi venti che spirano attualmente a Bruxelles, ha subito in questi ultimi tempi delle scosse notevolissime.
Ritornando alle date, il 5 ottobre dello scorso anno la Commissione agricoltura della Camera riprendeva la discussione e ai primi di dicembre procedeva alla nomina di un Comitato ristretto, rappresentativo dei vari gruppi politici, col compito di rivedere il testo del 12 giugno. A tutt'oggi, anche per ulteriori difficoltà e contrasti verificatisi in sede comunitaria, il Comitato non ha ancora concluso i suoi lavori. Siamo alla fine di febbraio del '74, senza prevedere quanto questa annosa questione potrà essere risolta, e ciò costituisce veramente motivo di preoccupazione con i ben comprensibili rischi che ancora una volta sta correndo il nostro Paese e con le altrettanto comprensibili delusioni dei nostri operatori agricoli, i quali confidavano (e nonostante tutto continuano a confidare) nelle direttive comunitarie, che si ricollegano a quell'ormai vetusto memorandum Mansholt, che poi doveva diventare piano e che, attraverso le forbici, si è ridotto in tre direttive.
L'unico rischio che non corriamo, almeno per il momento, è di vedere il nostro Paese denunciato alla Corte di giustizia, a meno che la Comunità non voglia denunciare quasi tutti i paesi membri e conseguentemente se stessa.
Infatti lo stato di applicazione nei diversi paesi comunitari delle direttive socio-strutturali n. 72159 CEE, 72160 CEE e 72161 CEE, approvato dal Consiglio dei Ministri il 30-31 marzo '72 è il seguente: i Paesi Bassi darebbero la sensazione di avere già applicate ed attuate le tre direttive come una sola cosa, in deciso contrasto e al di sopra dei parametri indicati dalle direttive; in Germania le tre direttive sono in applicazione dal mese di aprile del '73, grosso modo adottando la stessa metodologia dell'Olanda (la Germania aveva già due sue direttive interne prima ancora che il Consiglio dei Ministri di Bruxelles varasse le tre direttive in discussione); la Gran Bretagna e l'Irlanda dal 1° gennaio '74 hanno iniziata l'applicazione delle prime due direttive; in Belgio idem; la Danimarca dal 1° gennaio '74 ha applicato la prima direttiva, mentre, a modifica di precedenti decisioni danesi, non sarebbe tenuta all'applicazione delle restanti due; la Francia non ha ancora dato inizio all'applicazione delle tre direttive; l'Italia non ha ancora trovato lo strumento legislativo di recepimento delle direttive medesime; nel Lussemburgo pare che l'applicazione delle direttive dovrebbe iniziare dal 28 febbraio '74.
Per tutti i paesi indicati comunque, soprattutto per quelli che sembrerebbero trovarsi in posizioni migliori delle nostre, i contrasti e le disarmonie stanno a dimostrare quanto sia lieve il tessuto comunitario della CEE.
Ciò premesso, da un esame seppur succinto del predetto disegno di legge, osserviamo che non è chiaramente indicato (e qui entriamo in uno spirito critico che non vuole suonare offesa per nessuno, ma porsi a sostanziamento della libertà di pronunciamento affidata ad ogni singolo Consigliere) che gli aiuti, che provengono dalla CEE, dal Governo nazionale, dalle Regioni, devono essere riservati agli imprenditori a titolo principale e non alla impresa come sembra indicare il disegno di legge approvato.



FERRARIS Bruno

Non "sembra indicare", "indica".



MENOZZI Stanislao

Non ci soffermiamo a fornire indicazioni circa lo spirito che ci induce a chiedere queste distinzioni perché abbiamo già avuto occasione di farlo in un recente passato.
E' ovvio che, per stabilire chi è da considerarsi imprenditore a titolo principale, occorre già prevedere nell'attuazione delle direttive tale figura, attraverso la contestuale istituzione del più volte richiesto e sollecitato, anche in questa aula, albo professionale degli imprenditori agricoli. Occorre stabilire che gli aiuti riservati all'agricoltura vadano alle persone fisiche e non alle imprese agricole in quanto tali o alle persone giuridiche non costituite da imprenditori agricoli professionali.
Inoltre deve essere chiarito che l'albo va interpretato come strumento che consenta all'imprenditore di accedere al credito agevolato sulla base di garanzie professionali e non reali come tuttora avviene. Ciò si impone anche e soprattutto in riferimento ai piani di sviluppo aziendale previsti dalla direttiva 159 e conseguentemente all'inevitabile necessità di capitali occorrenti all'imprenditore per realizzare i non facili obiettivi previsti dai predetti piani di sviluppo e che comporteranno, specialmente per la Regione Piemonte, dei tagli dolorosissimi. Perché, poter ipotizzare in quei piani realizzi oscillanti da un milione e 500.000 a due milioni per ogni addetto, per chi conosce il problema, sarà oltremodo difficile per gli operatori agricoli piemontesi.
Il disegno di legge del governo difetta anche di uno specifico richiamo agli enti di sviluppo ai quali dovranno essere demandati alcuni specifici compiti, tra cui: l'accorpamento di aziende in relazione alle terre che saranno rese libere dai lavoratori che faranno ricorso all'indennità di cessazione; la promozione di iniziative e l'assistenza nel campo della cooperazione e dell'associazionismo; la redazione di piani di sviluppo aziendale di cui si è detto, per imprenditori singoli ed associati. Si rilevano pure carenze di indicazioni precise, e che si prestano ad equivoche interpretazioni, in merito agli incentivi per le forme di cooperazione e di collaborazione fra aziende; a tal proposito sono opportuni supporti giuridici idonei allo scopo e nel contempo si deve provvedere celermente a riformare definitivamente la legislazione sulla cooperazione, a completamento della piccola riforma avvenuta nel 1971, e a varare quella sulle associazioni dei produttori, le cui proposte giacciono da anni negli scaffali del Parlamento italiano.
Sul requisito della più volte menzionata professionalità "a titolo principale" riteniamo necessaria l'elevazione dell'aliquota del tempo all'85% e a quella del lavoro al 75% di cui all'art. 1 del disegno di legge in discussione. La direttiva parlava del 50%, almeno ci fosse stato il 51 in rapporto a certe misure elettorali, si sarebbe anche potuto capire.
Senza dilungarmi ulteriormente all'esame del disegno di legge e sorvolando sugli stanziamenti previsti che riteniamo globalmente insufficienti e non ripartiti adeguatamente tra le tre direttive, faccio solo rilevare come di esse la 159 abbia una dotazione finanziaria di 95 miliardi, mentre la terza, anch'essa importante ne ha soltanto 75.
Penso di avere - collega Rossotto - seppure indirettamente, fornito una risposta circa i motivi sui quali eravamo titubanti allora e lo siamo ancora oggi.



ROSSOTTO Carlo Felice

L'avete presentata anche voi la legge, no?



MENOZZI Stanislao

Ma è altrettanto vero che ci sono atti parlamentari.



ROSSOTTO Carlo Felice

C'è la legge Natali...



MENOZZI Stanislao

Pre e post-governo Natali.



PRESIDENTE

La prego di non raccogliere le interruzioni, altrimenti non andiamo più avanti.



MENOZZI Stanislao

E' una polemica garbata, rispettosa.
Il collega Ferraris ha poi toccato alcuni aspetti tecnici inerenti all'operatività della CEE e soprattutto alla undicesima tranche di interventi del FEOGA ed io mi permetto fornire alcune considerazioni in merito.
A qualcuno potrebbero sembrare non pertinenti, ma anche gli aspetti tecnici, la metodologia con la quale si caratterizza l'operatività della CEE, possono rientrare benissimo nel contesto della discussione e, avendolo fatto altri colleghi, se il Presidente me lo concede, vorrei farlo anch'io.
Le direttive dello Stato membro e nel nostro caso del MAF, per l'undicesima tranche, ad esempio, sono state impartite con circolare n. 11 dell'11 agosto 1973. Fra l'altro era detto che le stesse dovevano essere opportunamente divulgate (e questo non fu fatto) al fine di mettere i vari imprenditori agricoli ed i professionisti, specializzati in materia, in grado di presentare le pratiche entro il 31.12.73. Alla Regione, se non vado errato, la precitata circolare è arrivata alla fine di ottobre se non ai primi di novembre, quando il tutto doveva scattare un mese e mezzo dopo.
Il primo giorno lavorativo dopo il 31.12.73 dall'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura dovevano partire quei telegrammi per la CEE e per il Ministero dell'Agricoltura da cui risultava il numero delle pratiche presentate. Entro il 15 gennaio questo elenco, comunque, doveva essere inviato al MAF per la programmazione generale, però già si sapeva che i fondi per il Piemonte erano limitati a cinque miliardi circa (non so in base a quali decisioni FEOGA, MAF o CEE) e che le pratiche ricevute (di 47 miliardi circa per il solo Piemonte), non potevano essere accolte soprattutto, se è vera la notizia dei sette miliardi, auguriamoci che si siano dimenticati qualche zero.
Sarebbe stato quindi più opportuno dare una direttiva per una selezione a monte, quale scelta prioritaria di intervento, o meglio non segnalare e non ammettere affatto quelle pratiche non presentate con le documentazioni essenziali indicate nella predetta circolare. Forse si sarebbero potuto evitare delle illusioni e meno malcontenti fra gli esclusi. Ad ogni modo per le pratiche complete di documentazione, entro 28.2.72 debbono essere inviate a Roma le segnalazioni con parere di merito, che, per quelle infrastrutture agricole ormai già note (vedi Cantine e caseifici), potevano benissimo essere fatte sulla scorta dei documenti tecnico-amministrativi inviati a corredo delle pratiche stesse, senza con ciò diminuire l'importanza politica del fatto che la Regione sia chiamata ad esprimere un suo giudizio di merito.
Ed all'amico Ferraris, per dovere di precisione, devo dire che è vero che la Commissione ha affrontato nella sua ultima tornata questo discorso ma è altrettanto vero che, in ossequio alla distinzione dei compiti all'unanimità è stato concordato di chiedere oggi all'Assessore all'agricoltura se sarà nelle condizioni di prendersi degli impegni nel senso da te indicato.
E arriviamo al 28.2.74. Al FEOGA e al MAF i nostri funzionari, non si sa bene in base a quali criteri, debbono controllare le pratiche e - forse in base alle disponibilità economiche di cui si è già a conoscenza - fare dei tagli che speriamo siano almeno giustificati.
Entro il 30.6.74 il FEOGA - MAF deve inviare alla CEE le pratiche per la loro definitiva approvazione in base alle norme ed ai programmi comunitari. Qui si verifica il caso più triste per lo Stato italiano: la Commissione CEE, dove noi teniamo la vicepresidenza col prof. Scarascia Mugnozza, delibera tenendo conto di tutte quelle pratiche, che, nella precedente tranche, la decima, sono state accettate ma non hanno potuto avere finanziamenti. L'Italia, che si è purtroppo svegliata tardi, ne ha presentate, per la decima tranche, 350 e 400 erano giacenti dalla nona tranche, per un totale quindi di 650 pratiche. I criteri e le valutazioni di scelta occorrerebbe chiederli ai funzionari italiani distaccati a Bruxelles, poiché non sono ancora a noi noti e penso nemmeno ai professionisti più accorti.
Entro il prossimo settembre-ottobre la Commissione CEE darà il proprio parere e da quel momento il MAF, recepito il programma comunitario dovrebbe incaricare gli organi preposti per l'istruttoria definitiva delle pratiche e la successiva autorizzazione all'inizio dei lavori. Questo entro il dicembre '74, ma sarà possibile? Lo lascio come interrogativo.
E' vero che la Commissione CEE approverà definitivamente il programma di intervento entro l'aprile del '75, ma questo è un atto amministrativo interno della Comunità Economica ed è altrettanto vero che già altri Stati membri si assumono la responsabilità dell'operazione proposta per cui se la CEE, per un motivo qualsiasi, bocciasse qualche progetto, l'onere del loro contributo verrebbe assunto dallo Stato membro stesso. Questo per l'Italia purtroppo non è. Infatti non solo il progetto perderebbe, nel caso dell'Italia, il 25% di contributo in conto capitale della CEE, ma anche il 25% di contributo in conto capitale del MAF e quindi anche del mutuo a tasso agevolato di completamento.
Ma vi è di più: le cose per il FEOGA vanno ancora più alla lunga per l'istruttoria definitiva e la relativa autorizzazione all'inizio dei lavori, per cui passano normalmente due o tre anni dall' epoca della presentazione ed i prezzi nel frattempo aumentano notevolmente. Gli altri Stati membri hanno accettato una previsione di aumento fino al 25%, con uno scatto annuo del 5%, in Italia ci consta che i funzionari incaricati non ne siano stati messi al corrente. Se si aggiunge il fatto che il prezziario che si applica è iniquo, anche se c'è stata della buona volontà da parte dell'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura, che ha chiesto agli organi professionali un parere in merito al vecchio prezziario MAF, ci si accorge di trovarci nuovamente in una condizione di vera debâcle. A nostro avviso, agli ordini professionali, al collegio dei costruttori oppure al Genio Civile del Piemonte si sarebbe dovuto chiedere di mantenere aggiornato il parere sul prezziario. Ma a questo si può ovviare con una chiara impostazione della prassi da seguire, con una scelta a monte degli scacchieri di intervento.
Teniamo conto, sempre in tema di prezziari, che già solo dopo due mesi da quando sono state presentate le pratiche, per i macchinari e le costruzioni, l'aumento è del 30%.
E' anche per questi motivi - collega Ferraris - che nei giorni scorsi abbiamo avanzato le nostre perplessità circa una iniziativa presa nella nostra provincia e che tu ben conosci, la quale ha suscitato un'ingiustificata polemica.
Concludo augurandomi che questo Consiglio, rendendosi conto della necessità che il nostro Parlamento voglia recepire quanto prima le tre direttive, abbia ad esprimere un voto che impegni il Parlamento a procedere celermente a varare nel senso sopra indicato, e fatta salva la normativa di cui al Trattato di Roma, un provvedimento che salvaguardi ed anzi potenzi al massimo la funzione della Regione e gli interessi dei veri operatori agricoli.



PRESIDENTE

Si è così conclusa la discussione. Ha chiesto di parlare l'Assessore Chiabrando. Ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro, Assessore all'agricoltura

Ringrazio tutti i Colleghi che sono intervenuti, con discorsi interessanti ed approfonditi, sull'argomento.
A nome della Giunta svolgerò alcune osservazioni, in modo molto sintetico, com'è mio solito.
L'Italia avrebbe dovuto recepire con legge nazionale le direttive della CEE entro un anno dalla loro emanazione cioè entro l'aprile 1973. Il Governo italiano, il 12 giugno 1973, ha presentato il disegno di legge n.
2244, che tutti conoscono, già illustrato stamane, di recepimento delle direttive stesse, sul quale si è già espressa favorevolmente, il 24 luglio 1973, la Commissione della Comunità europea.
Sia le direttive che il disegno di legge italiano di recepimento sono nati non tenendo conto compiutamente della innovazione legislativa ed amministrativa rappresentata dalla istituzione delle Regioni.
Il Parlamento, sotto la spinta anche delle critiche rivolte all'impostazione del disegno di legge dalle Regioni e da larga parte del mondo agricolo, ha assunto l'impegno di consultare le Regioni stesse per tutte le implicazioni di carattere costituzionale, amministrative, di programmazione eccetera.
Il Ministro Ferrari Aggradi, nel rispetto dell'impegno assunto dal Parlamento, ha incontrato, su tale scottante problema, il 9 ottobre 1973 gli Assessori regionali all'Agricoltura. Quindi, una prima consultazione c'è stata.
Il 24 e 25 ottobre 1973, come è stato qui ricordato, le Commissioni Agricoltura ed Affari costituzionali della Camera dei Deputati hanno consultato ancora le Regioni, dichiarando la disponibilità del Parlamento ad apportare modifiche al disegno di legge secondo le indicazioni fornite dalle Regioni stesse in occasione degli incontri avuti.
La Commissione Agricoltura sta attualmente mettendo a punto gli emendamenti al disegno di legge, coadiuvata anche da un Comitato ristretto formato dai Partiti della maggioranza.



FERRARIS Bruno

Da tutti i partiti: per l'esattezza da due democristiani, due comunisti, due socialisti e un rappresentante per tutti gli altri partiti.



CHIABRANDO Mauro, Assessore all'agricoltura

Benissimo, allora da tutti i partiti.
L'iter, com'è noto, è molto travagliato, per contrasti di diversa natura.
I ritardi ci vedono oggi inadempienti nei confronti della CEE e principalmente nei confronti del mondo agricolo, che aveva riposto tanta fiducia nella politica comunitaria delle strutture.
A metà febbraio, siamo ancora, purtroppo, in attesa del varo della legge, e con una gravissima crisi che rischia di compromettere l'agricoltura italiana. Bisogna far presto, non deludere le aspettative del mondo agricolo. Fino a quando il Parlamento non avrà varato la legge di recepimento delle direttive comunitarie, gli agricoltori italiani non potranno utilizzare i fondi messi a disposizione dalla CEE per la politica delle strutture, mentre sarà tenuta a versare la propria quota.
La politica delle strutture avvantaggia principalmente l'Italia: è stata voluta dal nostro Paese, in contrasto con gli altri Stati facenti parte della Comunità.
Com'è noto, le direttive comunitarie dell' aprile 1972 rappresentano la fase più importante del lungo e faticoso processo di integrazione economica europea. A tale proposito desidero ricordare brevemente le tappe che hanno precedutq e preparato le direttive socio-strutturali, per mettere in rilievo l'importanza che tali direttive hanno in particolare per l'Italia.
La CEE ,nata nel 1957 con il Trattato di Roma, con lo scopo, tra l'altro, di attuare una politica agricola comune, che potesse incrementare la produttività in agricoltura, migliorare il tenore di vita delle popolazioni agricole, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti ed assicurare prezzi ragionevoli per i consumatori. E' previsto che nell'approntamento degli strumenti di politica agricola comune gli Stati membri debbano tener conto delle diversità delle situazioni strutturali, economico-sociali e naturali delle varie Regioni, nonch debbano attuare con gradualità le riforme stesse. Nei primi anni, l'azione della CEE si é sviluppata essenzialmente con la politica dei prezzi attraverso una serie di misure di protezione alle frontiere esterne alla Comunità e di interventi sui mercati interni. Tale politica non è riuscita a realizzare gli obiettivi che si proponeva il Trattato di Roma, rischiando di far naufragare la Comunità stessa. Infatti, il sostegno dei prezzi ha provocato enormi surplus di certi prodotti, burro in particolare ed in misura minore ortofrutticoli, poiché, assicurando un prezzo minimo, ha sostenuto in modo artificioso produzioni antieconomiche o addirittura ne ha determinato l'ulteriore sviluppo: sono aumentate le stalle di lattifere in Francia e in Olanda e gli impianti ortofrutticoli in Italia, in zone a scarsa vocazione frutticola.
Bisogna arrivare al 1968 perché la Comunità europea riconosca l'insuccesso della politica dei prezzi: è di tale anno, infatti, il famoso "Memorandum 80" del Vicepresidente della CEE, Mansholt, nel quale viene tracciata la linea della politica delle strutture. Soltanto con la politica delle strutture è possibile diminuire i costi di produzione ed orientare con criteri economici la produzione. Tuttavia, non bisogna dare l'ostracismo alla politica dei prezzi, che può e deve integrare la politica delle strutture assicurando una certa stabilità nei mercati.
Dal "Memorandum 80" si arriva alla "risoluzione" del marzo 1972 e finalmente alle tre "direttive" dell'aprile 1972 di cui ci occupiamo oggi.
Le tre direttive (159 - 160 - 161) dettano, in sostanza, norme tese all'ammodernamento delle aziende agricole, per l'incoraggiamento alla cessazione dell'attività agricola ed alla destinazione della superficie agricola utilizzata a scopi di miglioramento delle strutture, ed infine per l'informazione socio-economica e la qualificazione professionale delle persone che lavorano nell'Agricoltura.
La Giunta della Regione Piemonte, consapevole della gravità della situazione dell'agricoltura italiana, e piemontese in particolare ribadisce la necessità che il disegno di legge n. 2244 di recepimento delle direttive comunitarie venga urgentemente, sottolineo per la seconda volta questa urgenza, votato dal Parlamento, apportando alcune modificazioni ispirate ai seguenti principi e con l'impegno di rivedere la legge dopo un primo periodo di applicazione: 1) rivolgere, intanto, ogni attenzione e cura alle imprese familiari accentuandone il carattere imprenditoriale e promuovendo una maggior diffusione della professionalità agricola 2) assicurare la più ampia partecipazione delle Regioni alla realizzazione della riforma dell'agricoltura attraverso un'ampia e completa attribuzione alle Regioni della gestione operativa delle misure comunitarie con possibilità di differenziare gli interventi nel quadro della programmazione regionale 3) assicurare alle Regioni all'interno dei limiti posti dalle direttive e dai principi delle leggi nazionali il giusto spazio legislativo circa le procedure ed i criteri di applicazione 4) consentire alle Regioni una maggiore libertà di interventi con fondi regionali in zone o situazioni particolari per le quali è indispensabile un trattamento particolare 5) dare una corretta impostazione alla funzione amministrativa di coordinamento svolta dal Ministero Agricoltura e Foreste 6) assegnare esclusivamente al Consiglio dei Ministri, e non al Ministro dell'Agricoltura, la decisone della eventuale surroga dello Stato alle Regioni in caso di inerzia od inadempienza delle Regioni.
Non possiamo, quindi, concludendo, accettare di trasformare radicalmente il disegno di legge, perché ciò comporterebbe di ricominciare tutto daccapo, con i gravi ritardi conseguenti. Dico questo in riferimento a valutazioni che questa mattina sono state fatte in quest'aula.
Neppure possiamo accettare di entrare nel merito delle direttive comunitarie, ormai emanate, e che noi dobbiamo applicare ma non d'altronde per ora pensare ad una loro modifica.
Le Regioni possono con proprie leggi adattare le direttive a particolari esigenze, come ho detto prima, per singole zone, anche in deroga alle direttive comunitarie.
Si può accettare il principio, come ho già accennato, che non sia il Ministro ma sia il Governo e siano sentite le Regioni, in alcuni casi per eventuali deroghe a queste direttive, che, per il potere sostitutivo, il Governo possa intervenire soltanto nei casi eccezionali e di accertata inerzia delle Regioni.
In conclusione: non riteniamo accettabili gli ordini del giorno del Partito liberale e del Movimento sociale, che tendono sostanzialmente e soltanto a sollecitare il varo del disegno di legge n. 2244 così come era presentato dal precedente Governo non riteniamo neppure accettabile l'ordine del giorno del Partito comunista nella misura in cui tende a modificare radicalmente il disegno di legge e ad entrare addirittura nel merito delle direttive comunitarie, come ha fatto capire il collega Ferraris, ed a rivendicare alle Regioni anche tutto il potere legislativo credo invece si possano accogliere le sollecitazioni da avanzare al Governo, su cui siamo tutti d'accordo, ed alcune osservazioni già espresse dalla nostra Regione in precedenza - e di ciò ho i documenti in sede di consultazione.



FERRARIS Bruno

Guarda che l'ordine del giorno, come puoi controllare, dato che è scritto e preciso, non entra nel merito, affronta solo gli aspetti costituzionali. E' il mio intervento che è entrato nel merito.



CHIABRANDO Mauro, Assessore all'agricoltura

Infatti, io intendevo riferirmi al tuo intervento.
Credo invece, ripeto, si possano accogliere le sollecitazioni che da tutte le parti sono pervenute, su cui siamo tutti d'accordo, e alcune osservazioni già avanzate dalla nostra Regione in precedenza, da me illustrate poc'anzi ed avanzate questa mattina nella discussione con particolare riguardo alle proposte della Commissione parlamentare citate dal collega Berti.
La Giunta è quindi disponibile per stilare in questi termini un ordine del giorno da inviare al Governo e al Parlamento.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta.
Comunico per intanto che mi è stato presentato un quarto ordine del giorno.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, al Consigliere Ferraris, che mi ha invitato esplicitamente a fare una dichiarazione di precisazione, credo di dover rispondere in questi termini.
Certamente, entro il 28 febbraio, termine ultimo, la Giunta adempirà al suo dovere, di far pervenire il parere, in maniera anche di carattere straordinario, per evitare di pregiudicare il risultato interessante talune pratiche. Che peraltro la Giunta non conosce ancora, perché tutte presso gli uffici.
Oggi stesso gli uffici sono stati interessati a far pervenire i documenti, le pratiche, le istanze alla Giunta. In rapporto alla data in cui verrà in possesso di questa documentazione, la Giunta stessa esaminerà l'opportunità, tenendo conto delle risultanze del dibattito odierno, di consultare eventualmente i Capigruppo o un rappresentante di ciascun Gruppo che abbia specifica competenza su questa materia. E' un impegno che prendo in termini assolutamente relativi, perché, ripeto, tutto dipende dal momento in cui perverranno alla Giunta le documentazioni: è chiaro che se la Giunta si troverà a consultarsi sul tamburo e ad esprimere sul tamburo il proprio parere non sarà possibile una ulteriore consultazione.
Sottolineo e rilevo, peraltro, che i vari documenti che sono stati presentati hanno tutti un contenuto che dev'essere rilevato, esplicitato fatto proprio, personalmente da chi vi parla e dalla Giunta. Cioè, la riaffermazione, nei limiti delle cose possibili e fattibili - quindi evidentemente, senza ambascerie, anche perché la Giunta non ha un Assessore agli Esteri e conseguentemente non ha neppure ambasciatori da accreditare alla CEE - chiara, netta e precisa del riconoscimento delle competenze e dell'assunzione responsabile di quelle che possono essere le competenze da valutarsi in una visione anche più ampia di quanto non sia stato fatto, la Regione la fa, e la fa facendo proprio quello che è stato un argomento esplicitato nell'intervento del Consigliere Berti, il quale ha letto per tutti quelli fra noi che non le conoscessero - evidentemente la cosa non era ignota all'Assessore all'Agricoltura, che è stato incaricato dalla Giunta di rispondere in merito - le sollecitazioni di quel parere da parte della Commissione costituzionale, che una volta tanto è veramente da ringraziare perché il suo intervento indica che vi sono dei parlamentari i quali, consci della validità dell'Ente Regione, vogliono che a questo vengano riconosciute competenze che ad esso spettano.
In questo spirito mi pare che il dibattito possa essere concluso. Non so che cosa si potrà fare in concreto, questo sarà compito dei Capigruppo dei Gruppi consiliari deciderlo. Si potrà arrivare ad una presa di posizione che raggiunga una larga maggioranza, se non la unanimità? E' indubbiamente forse molto opportuno che la conclusione del dibattito avvenga su queste linee, rinunziando tutti e ciascuno a qualche cosa che possa essere una visione del particolare ma consentendo invece che parlando esternamente, si possa dire che su quelle linee il Consiglio Regionale è unanime e concorde. La cosa mi sembra che potrebbe avere una grossa importanza.
Devo anche, se il Presidente me lo consente, far presente che noi oggi ci troviamo a dover discutere, ed approvare, io spero, una legge estremamente importante e qualificante. Sono le ore 13 e siamo riconvocati per le 15. Dobbiamo ridimensionarci un poco tutti, per lavorare bene. E' opportuno che si vada avanti stasera poi fino a mezzanotte, strozzando il dibattito su una legge di così alto rilievo? E' un interrogativo che io propongo in persona prima, perché i Capigruppo abbiano eventualmente la possibilità di meditare e prendere una decisione conforme al parere della maggioranza.



PRESIDENTE

Si è così conclusa la discussione.
Prego il Consigliere segretario Franzi di leggere l'ordine del giorno ultimo presentato, che reca le firme dei Consiglieri Franzi, Cardinali Calsolaro.



FRANZI Piero, Segretario

"Il Consiglio Regionale del Piemonte visto il d.d.l. n. 2244 presentato dal Governo in data 12 giugno 1973 per il recepimento e l'attuazione nel nostro Paese delle direttive CEE n. 159 160 - 161 approvate dal Consiglio della Comunità in data 17 aprile 1972, e con riferimento al dibattito in corso presso la Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati riconosciute le difficoltà oggettive derivanti per il Parlamento nazionale dalla necessità 'nuova' di attuare un obbligo internazionale dello Stato in materia di agricoltura, devoluta dalla Costituzione alla competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni ritiene che il disegno del testo del disegno di legge 2244 sia eccessivamente restrittivo nei confronti della potestà legislativa e amministrativa delle Regioni considerato che le direttive CEE devono rappresentare il supporto per l'aggiornamento e l'ammodernamento delle strutture agricole nazionali, onde porre la nostra economia in condizioni di maggiore competitività nei confronti di quella degli Stati aderenti alla Comunità Economica Europea esprime la più grave preoccupazione per i gravi ritardi che sta subendo l'"iter" parlamentare di questa legge, impedendo così agli imprenditori agricoli italiani di beneficiare delle provvidenze finanziarie rese disponibili dalla CEE dato atto che si debba riconoscere la competenza dello Stato a recepire con legge nazionale le direttive della Comunità Economica Europea; che si debba chiedere che il Parlamento italiano riconosca ed assegni alle Regioni specifica competenza legislativa per l'attuazione delle direttive CEE attraverso una legge di principi, come indicato all'art. 117 della Costituzione ed all'ultimo comma dell'art. 17 legge 26 maggio 1970, n. 281 dà mandato alla Giunta di rendersi interprete presso il Parlamento ed il Governo affinché siano sollecitamente recepite in legge nazionale le direttive CEE n. 159 - 160 - 161 dell'aprile 1972; di sostenere presso il Parlamento ed il Governo le legittime richieste delle Regioni intese a vedersi attribuite le competenze legislative per la pratica attuazione delle medesime direttive".



PRESIDENTE

Farò pervenire subito copia dell'ordine del giorno a tutti i Capigruppo. Riterrei ora di sospendere la seduta antimeridiana consigliando ai Capigruppo di cercar di trovare, nel corso della discussione sull'ESAP che si svolgerà nel pomeriggio, un accordo a proposito degli ordini del giorno presentati.
La seduta riprenderà alle 15,30.



(La seduta ha termine alle ore 13,05)



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