Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.20 del 14/12/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
I verbali delle sedute precedenti, data la loro voluminosità, verranno distribuiti fra tutti i componenti del Consiglio regionale, in modo che tutti possano prenderne visione entro domani, e saranno sottoposti ad approvazione nella prima seduta di domani, con o senza lettura a seconda di come deciderà il Consiglio (faccio presente che la lettura di questi verbali comporterebbe probabilmente un lavoro di due o tre ore: per questa ragione la Presidenza ha ritenuto bene farli distribuire per procedere alla normale approvazione nella seduta successiva).


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Debbo fare alcune comunicazioni al Consiglio regionale: alcune di ordinaria amministrazione, altre no.
Dalla Associazione italiana Aziende autonome soggiorno, cura e turismo si esprime la convinzione che nella determinazione e nell'attuazione di una politica del turismo le Regioni debbano avvalersi, per le funzioni delegate nello spirito della Costituzione, della insostituibile esperienza pluridecennale degli enti operanti nel settore medesimo.
Dal Comune di Gargallo, in provincia di Novara, si fa presente la situazione di inquinamento atmosferico derivante dalla costruzione della nuova centrale termica della Società per azioni Bemberg.
Il Comitato direttivo provinciale della FIP-CGIL richiama la nostra attenzione sul grave stato di disagio e di fermento in cui si trovano i lavoratori postelegrafonici a causa della persistente applicazione delle disposizioni contenute nella circolare Spagnolli.
Dalla Federazione provinciale Pensionati CGIL si fa presente lo stato di disagio dei pensionati della Previdenza sociale.
Dalla Presidenza provinciale delle Acli di Alessandria si fa rilevare in merito alla istituzione della Facoltà di Medicina a Vercelli, sia pure in forma di sezione staccata dell'analoga Facoltà dell'Ateneo torinese, che sede naturale per definire il problema dell'assetto universitario piemontese è il Consiglio regionale.
Devo anche informare il Consiglio regionale che, d'accordo con la conferenza dei Presidenti, l'Ufficio di presidenza ha ottenuto la pubblicazione dello Statuto nei giorni scorsi sui quotidiani "La Stampa" "La Gazzetta del Popolo", l' "Unità", l' "Avanti! ", "L'Avvenire". Comunico pure al Consiglio che il 7 dicembre scorso si è svolto l'incontro deciso dalla Conferenza dei capi Gruppo con i parlamentari piemontesi allo scopo di concordare le modalità di una rapida approvazione dello stesso. Erano presenti numerosi parlamentari ed amministratori regionali.
Signori Consiglieri! Si sono verificati nei giorni scorsi fatti estremamente incresciosi in alcune città d'Italia, alcuni dei quali ci toccano molto da vicino perch avvenuti nella nostra Regione: mi riferisco in particolare ai fatti recentissimi avutisi nella città di Alba ed a quelli nei giorni precedenti nella città di Cuneo. Per quello che riguarda quest'ultima città, comunico al Consiglio di aver preso l'iniziativa, come Presidente del Consiglio regionale, di inviare al dott. Tancredi Dotta Rosso, sindaco del Comune di Cuneo e presidente del Comitato dei partiti antifascisti, un telegramma di solidarietà per la manifestazione indetta da questo Comitato nella città di Cuneo.
Desidero pure dar lettura, perché mi pare sia la reazione più eloquente agli episodi di questi giorni, dell'ordine del giorno approvato dal Comune di Cuneo, dalle organizzazioni sindacali, resistenziali e di altro tipo della Città di Cuneo sui fatti che si sono verificati in questa città: "Il Consiglio comunale di Cuneo, richiamato il proprio ordine del giorno unanimemente approvato nel corso della seduta consiliare del 30 novembre 1970, condanna con sdegno ed amarezza il ripetersi in Cuneo capitale morale della Resistenza, di atti di violenza fascista invita la cittadinanza tutta a rispondere a tali episodi di rigurgito reazionario partecipando in modo compatto allo sciopero indetto dalle ore 10 alle ore 12 di giovedì 10 dicembre 1970 ed alla manifestazione unitaria che avrà luogo in detta occasione nella piazza cittadina dedicata a Duccio Galimberti, eroe nazionale della Resistenza chiede che gli organi preposti alla difesa delle libere istituzioni repubblicane intervengano prontamente per assicurare a tutti i cittadini la possibilità di operare in un clima di civile convivenza confida che la popolazione cuneese saprà ritrovarsi unita per difendere con vigilante fermezza, e senza lasciarsi coinvolgere dalle palesi provocazioni tese ad instaurare una logica di violenza, il patrimonio di libertà duramente conquistato dal popolo italiano negli anni della lotta di Liberazione e consolidato ed ampliato negli ultimi venticinque anni di vita democratica".
Ad Alba, nel Consiglio comunale, i partiti dell'arco costituzionale l'Associazione nazionale Partigiani italiani, gli studenti antifascisti, le tre organizzazioni sindacali C.I.S.L., C.G.I.L. e U.I.L. hanno redatto ieri e distribuito per la città un ordine del giorno in cui si dice che: "Alba, medaglia d'oro della Resistenza, di fronte ai rigurgiti della violenza fascista, che con provocazioni armate sfida ancor oggi i valori della libertà e della democrazia, dopo essersi fermamente opposta al ritorno della tracotanza squadrista, afferma il suo sdegno nei confronti della teppaglia e della violenza fascista e si propone con ogni mezzo ed in ogni occasione di dire di no al fascismo".
Su questi fatti la nostra attenzione era stata attirata nei giorni scorsi dal Circolo della Resistenza di Torino, al quale noi avevamo espresso la nostra solidarietà. Fatti di questo genere si stanno verificando in numerose città italiane. Rigurgiti come quelli segnalati ad Alba ed a Cuneo si sono verificati sabato e si verificano anche in questo momento, nella città di Milano, dove affluiscono squadre d'azione di estrema destra per provocare nuovi episodi di violenza. Faccio presente anche che la manifestazione che era stata indetta dai partiti antifascisti a Milano per manifestare lo sdegno della popolazione milanese contro il processo che si sta celebrando in questo momento contro sedici nazionalisti baschi a Burgos e dichiarare la solidarietà degli italiani nei confronti di questi antifascisti si era svolta in un clima assolutamente pacifico. Colgo anzi questa occasione per esprimere anche il mio senso di solidarietà verso coloro che, lottando per la libertà del popolo spagnolo, son in questo momento processati a Burgos.
Davanti al ripetersi di questi episodi, che non possono più essere dovuti semplicemente all'iniziativa individuale di qualche giovane esaltato ma che corrispondono certamente ad un disegno politico premeditato, e premeditato da qualche tempo, davanti allo spostamento di squadre d'azione da diverse città italiane verso le città nelle quali si vogliono provocare episodi di violenza, ritengo di dover manifestare il senso di sdegno e di esecrazione del Consiglio regionale piemontese per questi attentati alla libertà del popolo italiano. Ritengo che da questa Regione debba partire una chiara parola di condanna, poiché in essa, forse più che in qualunque altra, si è combattuto per ripristinare la libertà del popolo italiano.
Signori Consiglieri, desidero comunicare che la Giunta delle elezioni composta, come già comunicato al Consiglio, dei consiglieri Giletta Paganelli, Petrini, Vietti, Besate, Lo Turco, Marchesotti, Simonelli Fonio, Fassino, Vera, Giovana, deve per prima cosa procedere alla propria costituzione, ai sensi dell'art. 13 comma primo del Regolamento provvisorio del Consiglio, eleggendo nel proprio seno un presidente, due vice presidenti e un segretario; dovrà quindi procedere alla convalida della elezione del Consigliere Vera e all'esame di eventuali casi di incompatibilità; ed inoltre elaborare a priori i criteri che ispireranno il suo operare e comunicarli al Consiglio. A tali fini, di procedere al suo insediamento e programmare i propri lavori, la Giunta delle elezioni è convocata per domani mattina in questa sede alle ore 9,30.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni - Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Formazione Commissioni permanenti e rinvio alle adottande norme del Regolamento del Consiglio


PRESIDENTE

Per quanto attiene alla formazione delle Commissioni permanenti, questo punto era già all'ordine del giorno del Consiglio all'epoca in cui abbiamo discusso lo Statuto Regionale. Faccio presente al Consiglio che la formazione delle Commissioni permanenti presume anche l'adozione da parte del Consiglio medesimo delle norme relative alla loro costituzione, norme che allo stato delle cose ancora non esistono, perché, come ricorderete, il nostro regolamento provvisorio non prevedeva norme per la formazione delle Commissioni. Occorre, quindi, prima di poter procedere alla elezione, o alla formazione, in qualunque modo, di Commissioni permanenti, adottare le norme necessarie; ed è normale competenza della Commissione Regolamento già prevista prima del Regolamento provvisorio ed oggi regolata anche dallo Statuto della Regione, la elaborazione delle norme relative alla formazione delle Commissioni ed anche di norme di altra natura. Bisogna quindi rinviare, se il Consiglio non ha obiezioni, all'adozione di queste norme l'attuazione del punto 2 al nostro ordine del giorno, cioè quello della formazione delle Commissioni medesime. Se non vi sono obiezioni, conviene procedere alla formazione della Commissione Regolamento. Non vedo alcuno alzare la mano, quindi ritengo che non vi siano obiezioni e si possa passare al punto 3 dell'o.d.g.


Argomento: Statuto - Regolamento

Nomina nuova Commissione Regolamento prevista dallo Statuto


PRESIDENTE

Ricordo le norme contenute nello Statuto circa la formazione della Commissione Regolamento. Nell'art. 23 comma primo è detto: "Il Presidente del Consiglio nomina una Commissione consiliare per il regolamento interno su designazione dei Gruppi in relazione alla loro consistenza numerica e in modo da garantire la presenza di tutte le forze politiche del Consiglio".
Ricordo pure, non essendo in contrasto con questa norma, l'art. 11 comma primo, lettera a) del Regolamento provvisorio del Consiglio, a termini del quale: "Il Presidente, nella prima seduta dopo la costituzione dei Gruppi comunica al Consiglio i nomi dei Consiglieri da lui scelti per costituire la Giunta per il Regolamento interno, che sarà presieduta dallo stesso Presidente del Consiglio, in numero da 10 a 15, tenendo conto della consistenza numerica dei Gruppi consiliari".
Per poter nello stesso tempo permettere, come prevede lo Statuto, la partecipazione alla Commissione Regolamento di tutte le forze politiche del Consiglio, e per poter tener conto della consistenza numerica dei Gruppi in esso presenti, anche senza assicurare una rappresentanza rigorosamente proporzionale, la cifra di quindici Consiglieri come massimo per la Commissione Regolamento non è sufficiente. Infatti, per garantire una rappresentanza equilibrata che consenta di mantenere la maggioranza di questo Consiglio, occorre portare questa cifra per lo meno a 16. Avanzo quindi, proposta formale di revisione di questa cifra nel Regolamento provvisorio nel senso di elevare da 15 a 16 il massimo dei membri della Commissione.
Vi sono osservazioni? Pongo allora ai voti questa modifica del Regolamento: di portare il massimo dei membri della Commissione Regolamento da 15 a 16. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvata.
Secondo la procedura prevista dallo Statuto e dal Regolamento, ho consultato la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari, e successivamente ciascun Gruppo consiliare, per farmi indicare i nomi delle persone designate dai singoli Gruppi a rappresentarli in questa Commissione. Nella riunione della conferenza dei Presidenti del 4 dicembre u.s. si è concordato che la Commissione Regolamento fosse composta da 16 membri, oltre al Presidente del Consiglio che la presiede. Era a tal fine necessario che il Consiglio deliberasse di modificare in tal senso l'art.
11 lettera a) del Regolamento provvisorio, ciò che è stato fatto testé. I membri della Commissione, su designazione dei capi Gruppo, che vengono quindi a comporre la nuova Commissione del Regolamento, presieduta dal presidente del Consiglio regionale, sono i seguenti: per il P.S.I.U.P. il Consigliere Giovana, per il P.R.I. il Consigliere Gandolfi, per il M.S.I.
il Consigliere Curci, per il P.L.I. i Consiglieri Gerini e Zanone, per il P.S.U. i Consiglieri Debenedetti e Vera, per il P.S.I. i Consiglieri Nesi e Simonelli, per il P.C.I. i Consiglieri Sanlorenzo, Berti e Marchesotti, per la D.C. i Consiglieri Armella, Calleri, Conti e Falco.


Argomento:

Ordine del giorno contro il ripetersi dei rigurgiti neofascisti


PRESIDENTE

In relazione alle comunicazioni che ho fatto testé, è stato presentato un ordine del giorno da alcuni capi Gruppo: del P.S.I., Nesi, della D.C.
Bianchi, del P.S.U., Debenedetti, del P.C.I., Berti, (e suppongo che altri vorranno eventualmente sottoscriverlo). Ne dò lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte, di fronte al ripetersi di rigurgiti neofascisti, che assumono il tono e la forma della intimidazione e della violenza, rivolge un monito solenne a tutti coloro i quali, in nome di un passato che costituisce la vergogna del nostro Paese, ritenessero possibile ripetere le azioni di un tempo, a non turbare la vita di una regione che per prima si è ribellata con le armi al fascismo e al nazismo.
Invita i cittadini, indipendentemente dalla loro ideologia, a vigilare affinché la libertà conquistata con tanti sacrifici dalla Resistenza non venga turbata da irresponsabili avventurieri e dai loro mandanti".
Desiderano illustrarlo?



CURCI Domenico

Vorrei parlare, per un richiamo al Regolamento.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, l'art. 34 del Regolamento dispone che il Consiglio può discutere e deliberare soltanto intorno ad argomenti che siano iscritti nell'ordine del giorno. Poiché l'ordine del giorno che ella ha testè letto non figura fra i punti da discutere nella seduta odierna, chiedo che la discussione e l'eventuale deliberazione in ordine al medesimo venga rinviata ad altra seduta, previa iscrizione, naturalmente, all'ordine del giorno.



PRESIDENTE

L'ordine del giorno che ho testè letto si riferisce alle comunicazioni da me fatte, che sono iscritte all'ordine del giorno: pertanto, esso pu essere messo in discussione.
Qualcuno desidera parlare su questa richiesta di cancellazione dell'ordine del giorno testè presentato? Ha facoltà di parlare il Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Signor Presidente! Mi pare che le osservazioni testé sollevate non abbiano rilevanza giuridica - non voglio parlare di rilevanza politica e di rilevanza morale -, perché, come ella giustamente ha detto, il nostro ordine del giorno si riferisce a sue comunicazioni, e sulle comunicazioni del Presidente credo sia aperta ogni possibilità di presentare ordini del giorno.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Minucci.



MINUCCI Adalberto

Signor Presidente! Signori Colleghi! Il Gruppo comunista aderisce a questo ordine del giorno, ma sente il bisogno di precisare alcune cose che in questo momento, in ore che senza dubbio sono di drammatica tensione per il nostro Paese, è necessario dire se si vuole il massimo di chiarezza e se si vuole che anche un pronunciamento positivo, come noi giudichiamo sia questo del Consiglio regionale, abbia una incidenza reale sull'attuale situazione.
Ancora una volta sabato scorso, a Milano, così come quasi ogni giorno ormai accade nell'una o nell'altra città italiana - a Cuneo, nella nostra stessa Torino, a Novara, a Verbania, a Trieste e così via - si è avuta una aggressione fascista, un tentativo di creare gravi diversivi in funzione antioperaia e contro il movimento operaio organizzato, si è fatto ricorso alla violenza; e abbiamo dovuto constatare, fatto ancor più grave, che gli autori di queste sopraffazioni, di queste patenti illegalità, pur formando gruppi ristretti, i cui componenti sono notissimi, restano tuttavia a piede libero e possono così continuare a ripetere le loro azioni delittuose. Vien fatto di chiedersi, allora: che cosa c'è dietro questi scioperi? Chi organizza, chi incoraggia questi gruppi? Parliamoci chiaro: se si trattasse soltanto dei relitti del M.S.I., del neofascismo, sarebbe assai facile spazzarli via, come li abbiamo cacciati nelle fogne in periodi ben più tempestosi della storia della nostra Italia, quando i gruppi politici qui rappresentati in grande maggioranza hanno contribuito con noi alla liberazione del nostro Paese da questa peste. Questi sono invece tentativi preordinati ed organizzati da forze potenti, da forze che finanziano questi gruppi di provocatori, e che tendono in tutti i modi a bloccare lo sviluppo delle lotte sociali, l'avanzata e il progresso della classe operaia, la lotta per le riforme, la lotta per l'occupazione, il grande moto di partecipazione operaia che è in atto ormai da diversi anni nel nostro Paese. Si vuole instaurare un clima di violenza, un clima di provocazione che faccia perdere di vista alle grandi masse lavoratrici gli obiettivi di rinnovamento, di riforma e di progresso per cui oggi essi si battono. Se è così, non ci è certo difficile individuare le forze che si annidano dietro questi gruppi, che li finanziano, che li organizzano, che li incoraggiano e comprendiamo anche la gravità del fatto che vi siano negli apparati dello Stato chiare connivenze con questi gruppi. Lo abbiamo detto altre volte, e sentiamo il dovere di ribadirlo ancora oggi: è fin troppo evidente a tutti che mentre è sufficiente un picchettaggio, uno sciopero, una manifestazione per dare il pretesto a certe forze dell'ordine di intervenire, ed operare arresti o fermi, non vengono mai colpite le forze neo-fasciste responsabili di questo stillicidio di delitti.



CURCI Domenico

E le decine di nostri giovani che sono in galera?



MINUCCI Adalberto

Sta zitto, con voi i conti li abbiamo chiusi il 25 aprile 1945 e se ricominceremo li chiuderemo nello stesso modo.



RASCHIO Luciano

Vi abbiamo già sistemati un'altra volta: sapremo farlo ancora se sarà necessario.



MINUCCI Adalberto

In ogni caso, cari colleghi, pur senza raccogliere la provocazione di quella gente, non possiamo non sentire tutti il senso di responsabilità che per questi atti continui, quotidiani, deriva a noi, rappresentanti di una Regione antifascista, che ha come capoluogo una città medaglia d'oro della Resistenza. E' giusto, dunque, che dal nostro consesso parta un appello all'unità antifascista, ma anche un appello a rendersi conto che oggi meno che mai antifascismo può essere un richiamo retorico: antifascismo dev'essere soprattutto presa di coscienza delle forze reali che oggi si stanno muovendo nel nostro Paese e del tentativo di bloccare l'avvento del nuovo corso politico favorevole alla classe operaia ed alle masse lavoratrici. Ecco il perché, anche, della denuncia di ciò che certi apparati dello Stato stanno compiendo contro la legalità repubblicana.
Pensate che a Milano i provocatori hanno avuto la spudoratezza di scegliere per una azione così grave proprio il giorno anniversario della strage di piazza Fontana, l'episodio più cruento, forse, degli ultimi anni, di cui però ancora non si sono scoperti né i colpevoli né i mandanti. Gli stessi giornali della borghesia milanese, lo stesso "Corriere della Sera", non hanno potuto esimersi dall'accusare le forze di polizia di aver tenuto un comportamento tutt'altro che obiettivo.
Noi comunisti aderiamo dunque a questo ordine del giorno, ma sentiamo il dovere morale e politico di precisare il nostro punto di vista: non pu bastare un appello generico, occorre un impegno di tutti a stroncare il neo fascismo, a eliminare, a isolare qualsiasi provocazione e ad essere dalla parte delle forze del progresso, delle forze del lavoro, che chiedono di poter avanzare e conquistare nuove posizioni nel Paese.



PRESIDENTE

Prego il pubblico di astenersi da manifestazioni di approvazione o disapprovazione: il pubblico è qui per assistere, è il Consiglio regionale il protagonista di questo dibattito.
Ha facoltà di parlare il consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Non abbiamo sottoscritto questo ordine del giorno per una presa di posizione formale e retorica, onde procedere poi semplicemente all'esaurimento degli altri argomenti. Credo non vi sia italiano che si ispiri ai concetti di democrazia, e, al di là di questi, a qualcosa di più profondo, cioè di civiltà e di umanità, che possa non considerare con sgomento, con profonda tristezza, con profonda amarezza, il riproporsi l'affacciarsi anche soltanto di ipotesi di soluzioni politiche che veramente si riteneva che non solo e non tanto per l'azione che abbiamo svolto e concluso il 25 aprile, ma per la condanna universale che era venuta dalle coscienze dei popoli in ordine a certi sistemi, dovessero essere seppellite.
Quindi, quando noi ci pronunciamo contro, ed assumiamo le nostre responsabilità, atteggiamenti virilmente consapevoli, nei confronti di ogni richiamo ad ideali decadenti, insostenibili su ogni piano - culturale filosofico, morale, storico -, sentiamo di interpretare dal profondo l'anima di gran parte del popolo italiano. Quando noi facciamo richiami che furono così largamente ascoltati dopo il 25 aprile a bandire l'odio, quale che sia il fine cui possa essere indirizzato, a bandire la violenza, quale che sia il fine che essa persegue, dal metodo di azione politica ricerchiamo una coerenza con la dottrina che ci ispira ma ribadiamo ancora un principio che si è radicato, dopo la tragica esperienza storica, nelle convinzioni del popolo italiano. Rifuggiamo, quindi, da ogni tentazione, da ogni sollecitazione ad una strumentalizzazione o utilizzazione di questi fatti a fini storicamente ancora da verificare.
Pertanto, mentre noi rileviamo che in questo momento assolutamente prevalente è la ragione di preoccupazione e di sdegno in ordine ai comportamenti ed agli atti che soprattutto hanno interessato la nostra Regione, noi non ricerchiamo le facili popolarità in termini solo negativi ma, giustamente, in termini di democrazia positiva ed operante, richiamando tutti a considerare che non esiste soltanto il fascismo in camicia nera: esistono infinite tentazioni fasciste, che albergano nell'animo forse di ogni uomo, nella sua parte peggiore, che si realizzano e si manifestano ogni volta che partendo da criteri, da principi, da sollecitazioni di sopraffazione si ricorre in modo spavaldo alla violenza. Se vogliamo veramente il progresso del popolo italiano, se vogliamo che le conquiste dei lavoratori siano feconde, sicure, garantite, dobbiamo respingere questo spirito di violenza, da qualsiasi parte provenga, non dobbiamo svalutare la nostra condanna morale qua e là con scelte che non sono scelte morali ma diventerebbero scelte tattiche.
Pertanto, mi assumo personalmente la responsabilità di queste affermazioni, proprio in momenti di così grave tensione, mentre sul piano contingente rivolgiamo con quell'ordine del giorno la nostra condanna a quel fatto assolutamente prevalente, non possiamo lasciar passare l'occasione di ricordare che sono molte le fonti, le provenienze di azioni di atti, di comportamenti che tendono a mettere in mora la civile convivenza del popolo italiano, il modo civile di pervenire alle conquiste del mondo del lavoro, alle conquiste dei giovani, alle conquiste civili che interessano la società italiana. E' vero, solo in un clima di serenità, in un clima di civile competizione si possono ottenere conquiste serie e definitive, solo avendo rispetto della legge, delle forze dello Stato, ed assicurando ad esse la possibilità di esercitare anche un'azione di arbitrato, e non reclamando di poter noi sulla piazza risolvere in contrapposizione gli uni agli altri i problemi.
Mentre, dunque, noi condanniamo, come sempre, con profonda convinzione il fascismo, ricordiamo che non si può indulgere impunemente ad alcun'altra forma di violenza. Del resto, di esempi ce ne sono, tristi, ogni giorno, e credo non siano mancati anche a Milano, seppure prevalenti fossero le fonti,che abbiamo denunciato, di provocazione.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Debenedetti.



DEBENEDETTI Mario

Signor Presidente! Onorevoli Colleghi! Credo che l'adesione data dal nostro Gruppo all'ordine del giorno stia a testimoniare la condanna che, ancor prima che sul piano politico, emana sul piano morale dal senso di responsabilità di ogni cittadino.
Mi pare che il sistema cui hanno fatto ricorso i colleghi del M.S.I.
per cercar di impedire che si facessero in questo momento le dichiarazioni che stiamo facendo sia già di per se stesso indicativo della mentalità delle convinzioni che muovono certe forze politiche rispetto a quelle dell'antifascismo.



CURCI Domenico

Guarda che il Regolamento dice esattamente così.



DEBENEDETTI Mario

Mi pare che non sia passato neppure un mese da quando noi ci siamo trovati qui a denunciare, in relazione ai fatti di Torino, questi rigurgiti di fascismo, ad invitare ogni forza politica dell'antifascismo ad assumere non solo una posizione di condanna morale ma un impegno ad operare, ad agire perché queste forze non possano più compromettere lo svolgimento civile e democratico della convivenza degli italiani.
Io penso, per non dilungarmi troppo, di poter concludere dicendo che deve esserci in ciascuno di noi, preso individualmente, la volontà consapevole e l'impegno, di carattere morale soprattutto, di esaltare l'eredità che ci è stata tramandata dai Caduti della Resistenza, attraverso il rispetto assoluto degli ideali fondamentali che hanno ispirato la Resistenza: ideali di libertà, ideali di democrazia.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Fassino.



FASSINO Giuseppe

Signor Presidente! Colleghi Consiglieri! Già in altra occasione il Gruppo liberale si è associato alla deplorazione che a nome di tutto il Consiglio il Presidente aveva fatto: si trattava allora degli incidenti del Politecnico. Anche oggi, come cuneese condanno i fatti accaduti a Cuneo e ad Alba. Come liberale appartengo ad un Partito che ha fatto parte sempre del Comitato sorto nel '45 in Cuneo libera, per sanzionare con un atto non retorico ma concreto, la volontà e lo spirito democratico dei cuneesi tutti.
Come Consigliere regionale, e come capo Gruppo liberale, mi associo quindi, a nome del mio Gruppo, a quanto affermato nell'ordine del giorno che non ci è stato presentato per la firma ma che noi approviamo, e mi auguro che il vero costume liberale, - mi si consenta di usare questo aggettivo, non espresso in senso partitico - prevalga su ogni violenza, su ogni sentimento di odio, ripeto e sottolineo, da qualsiasi parte essi provengano, e riporti nel nostro Paese, oggi così travagliato, tranquillità e serenità, nel rispetto assoluto delle leggi democratiche e di tutti coloro che all'osservanza della legge stessa sono preposti.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Giovana.



GIOVANA Mario

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Non posso che associarmi anch'io all'ordine del giorno proposto dal Presidente del Consiglio, ed associarmi in particolare ai giudizi qui espressi prima di me dal collega Minucci in merito al quadro generale della situazione, all'interno del quale si collocano gli episodi ai quali stiamo assistendo in questi giorni.
Quando, essendo in corso i lavori di questa assemblea per la votazione dello Statuto, apprendemmo che in Torino la solita - sottolineo "solita" squadraccia fascista aveva operato un'aggressione contro gli studenti del Politecnico, ebbi occasione di dire che quell'episodio rientrava nel novero di una serie già infinita ed intollerabile di episodi del genere destinata a proliferare altri episodi analoghi se non ci fossero stati interventi ben precisi e ben decisi delle forze responsabili del Governo; e aggiunsi che gli esecutori di questo tipo di mansioni non sono che gli scherani di forze nascoste, peraltro abbastanza note, le quali svolgono il ruolo di mandanti.
Ecco, quindi, configurarsi un disegno molto preciso, che non è di questi giorni, o di queste settimane.
Io apprezzo, perché so da quali nobili sentimenti personali sono dettate, le parole del collega Bianchi di condanna per ogni forma di violenza, di richiamo ad una concezione etica della vita e della lotta politica. Occorre dire, però, che l'Italia, nel corso di questi venticinque anni, è stata governata da forze ben precise e ben qualificate, le quali portano in sé una responsabilità altrettanto precisa e altrettanto documentabile di fatti che hanno messo più volte a repentaglio la sicurezza e l'esistenza stessa della democrazia repubblicana. Basterà ricordare come uno dei peggiori attentati alla democrazia repubblicana non sia nato anche se, certo, ancora una volta ne ha avuto gli strumenti - all'interno della formazione nostalgica del M.S.I., ma dall'interno del Partito di maggioranza (mi richiamo ai fatti Tambroni): se allora non avessimo fatto appello alle forze popolari, all'antifascismo, sarebbe passato silenziosamente qualche cosa di molto simile ad un disegno autoritario di natura fascista.
Vorrei ancora ricordare che non si è fatta chiarezza, anche se già in una sede giudiziaria qualche particolare di una certa evidenza è emerso, su fatti gravissimi di probabile tentata cospirazione contro la democrazia repubblicana da parte di alti gradi dell'Esercito, in collusione, pare, con precise forze politiche; ed anche a questo disegno si ha il fondato dubbio che non siano estranee componenti le quali non appartengono precisamente soltanto alle forze nostalgiche del neofascismo ufficiale. Ecco quindi come la responsabilità, se investe in primo luogo il ritorno, il rigurgito di epigoni di Brandimarte, di De Vecchi e di Farinacci, di coloro cioè che hanno scritto una delle pagine più indecorose, più indegne della storia italiana, si riversa anche sulle più potenti forze che tirano i fili di un qualcosa nel quale giustamente il collega e compagno Minucci ha individuato in una volontà politica di far arretrare, di bloccare la espansione, la forza, il vigore con cui il movimento dei lavoratori si presenta alla ribalta della società italiana onde conquistare nuove posizioni di giusto potere all'interno di essa, per eliminare antiche e nuove ingiustizie e per svolgere quel ruolo che gli compete in quanto forza dirigente reale della società stessa.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente! Signori Colleghi! Nell'associarmi all'ordine del giorno che è stato proposto a nome del Partito repubblicano, vorrei anch'io accogliere quell'invito alla riflessione che ci è stato rivolto dal collega Minucci quando ha detto, e giustamente, che il fascismo non deve essere retorica ma attenta meditazione sui moventi politici ed i rapporti tra le forze politiche che agiscono nel Paese. Da questo punto di vista sarò forse ottimista ma ritengo che questa azione, chiaramente preordinata e coordinata, di squadre fasciste, che si è rivelata in questi giorni e che non fa che riproporre un tipo di azione politica abbastanza costantemente adottata in questi anni non minacci affatto lo sviluppo democratico che si è realizzato e si è consolidato nel nostro Paese, e non costituisca un reale pericolo per le istituzioni del nostro Paese. E', a mio avviso, un fatto che rispecchia le nostalgie di certe forze e di certe classi del nostro Paese più che denunciare un reale pericolo in un momento in cui io credo che le istituzioni democratiche si siano sufficientemente consolidate, che il clima politico del nostro Paese si sia ormai talmente consolidato nel senso della democrazia e della partecipazione, del peso delle classi lavoratrici da non permettere più ritorni indietro.
Ma vi è un altro dato importante che occorre rilevare in queste vicende, sul quale condivido alcune osservazioni che sono state fatte da parte dei rappresentanti dei Gruppi di sinistra del Consiglio regionale: che questi episodi dimostrano, se non una connivenza, che non mi sentirei in piena sincerità di sostenere, certamente una macroscopica preoccupante insensibilità della burocrazia statale, dei burocrati che presiedono a certi rami dell'Amministrazione statale, come quello della polizia e dell'ordine pubblico nel nostro Paese, verso certi problemi di comportamento e di azione di polizia che certamente, collegati a quell'altro tipo di indicazioni e di problemi che sollevava Giovana, cioè le vicende tipo Sifar eccetera, costituiscono un quadro piuttosto preoccupante. Evidentemente, quando negli organismi statali, siano essi l'esercito o la polizia, esiste una sensibilità fondamentalmente unidirezionale e che fa sì che ci si ritrovi costantemente di fronte a gruppetti sia pure assai sparuti di estrema, ben qualificati, che tentano costantemente e ripetutamente, sempre nelle stesse forme, con le stesse persone, di portare avanti azioni di violenza, vi è motivo di preoccupazione per le forze politiche, per tutte le forze politiche democratiche, perché tutto ciò comporta anche un lavoro estremamente serio di individuazione delle cause e dei possibili rimedi perché all'interno della burocrazia, degli organi tutti dello Stato, si crei un clima, una sensibilità, un'attenzione diverse verso questi problemi.
Con questo spirito, con questo tipo di considerazioni, mi associo, a nome del Partito repubblicano, a chi ha presentato questo ordine del giorno e preannuncio il mio voto in favore della sua approvazione.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Desideriamo innanzitutto precisare, per tranquillità dei colleghi Nesi e Debenedetti, che il nostro richiamo ad una norma regolamentare mirava unicamente ad impedire quella che nella nostra valutazione era sembrata essere una violazione del regolamento, non certo a sottrarre il nostro Gruppo alla responsabilità di questa discussione. Accettata l'interpretazione che dall'Ufficio di presidenza è stata data, infatti, noi non abbiamo alcuna difficoltà, alcuna esitazione, alcuna riserva ad entrare nel merito dell'ordine del giorno qui presentato.
Ci limiteremo a due brevissime considerazioni: 1) - se quel che si chiede è una condanna della violenza, il Movimento Sociale Italiano è pronto a sottoscriverla, a patto che il giudizio non sia unilaterale, a patto che la condanna investa tutti coloro che instaurano la violenza sulle piazze d'Italia; se quel che si propone è di invocare maggiore rispetto dello Stato, delle forze dell'ordine, della legge, il Movimento Sociale Italiano è pronto ad associarsi a questa invocazione senza alcuna discriminazione, è pronto a dire che la legge deve essere rispettata da chicchessia, nell'interesse dello Stato 2) - riteniamo però estremamente penoso - lo diciamo con alto senso di responsabilità - che nell'Italia del 1970, in sede di Consiglio regionale si debba parlare di fascismo e di antifascismo. Noi consideriamo superata anacronistica, ridicola questa polemica: il fascismo - siamo noi stessi del MSI a dichiararlo - appartiene ad un determinato periodo della storia d'Italia e non può più ripetersi con le medesime caratteristiche di allora.
Oggi come oggi, è di attualità un'altra polemica, quella fra comunismo ed anticomunismo, ed è nel nome dell'anticomunismo che noi chiamiamo a raccolta i veri italiani.
Per questo noi votiamo contro questo ordine del giorno, nel quale non vediamo altro se non un ennesimo trabocchetto teso ai partiti cosiddetti democratici dal Partito comunista.



RASCHIO Luciano

Ma tutti i rottami del fascismo ancora in vita li avete attorno a voi gli esaltati che facevano corona intorno a Mussolini.



PRESIDENTE

Consigliere Raschio, lei non ha facoltà di intervenire.
Se nessun altro chiede di parlare, pongo ai voti l'ordine del giorno presentato dai consiglieri Nesi, Bianchi, Debenedetti e Berti. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato.


Argomento: Comitato regionale e sue sezioni

Elezione dei rappresentanti del Consiglio regionale nel Comitato di controllo sulle Province. Rinvio e inversione dell'ordine del giorno


PRESIDENTE

Non so se i Gruppi di maggioranza e i Gruppi di opposizione abbiano già concordato la rosa dei nomi da sottoporre a votazione. Se non l'avessero fatto si presenterebbe la necessità di posporre l'esame di questo punto all'ordine del giorno in modo che possano essere presi gli accordi necessari. Chiedo pertanto ai Gruppi di essermi precisi in merito.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Chiediamo che si inverta l'ordine del giorno e si affrontino subito i problemi della crisi della piccola e media industria, in particolare quelli della Magnadyne, che così drammaticamente ci hanno investiti in questi giorni.



PRESIDENTE

Vi è una richiesta analoga, che credo il Consigliere Nesi vorrà illustrare, di cui non ho ancora dato lettura perché avrebbe dovuto essere inserita successivamente al punto 4 dell'o.d.g.: invertire l'esame del punti 5 e 6. Non essendo pronti i Gruppi, si tratterebbe di anteporre il punto 6 all'esame degli altri punti, cioè di prenderlo in esame adesso e quindi proseguire nell'ordine del giorno, salvo poi vedere se si voglia posporre alla fine di questo ordine del giorno l'elezione dei rappresentanti del Consiglio regionale.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Signor Presidente! Mi ero permesso di scriverle questa mattina una breve lettera. Se mi è consentito, la leggo: "A seguito dell'aggravarsi della tensione suscitata dallo stato di crisi in cui versano alcune piccole e medie industrie piemontesi, e di cui i fatti più recenti, che hanno coinvolto la stessa sede della Regione Piemonte, sono testimonianza eloquente e drammatica (e mi riferisco ai fatti della Magnadyne), le chiedo di modificare l'ordine del giorno della seduta del giorno 14 dicembre spostando dal punto 6 al punto 5 la discussione della mozione sulla piccola e media industria".
Quindi, sono favorevole a che si anteponga questa discussione alla nomina della Commissione di sorveglianza sulle Province.



BIANCHI Adriano

Mi associo.



PRESIDENTE

Da due Gruppi diversi è venuta dunque una proposta abbastanza analoga: modificare l'ordine della discussione ponendo al termine dell'ordine del giorno la elezione dei rappresentanti del Consiglio regionale nel Comitato di controllo sulle Province, e prendendo in esame innanzitutto la mozione sulla piccola e media industria, per continuare poi con l'esame della mozione sull'agricoltura e di quella sulla riforma tributaria. Penso che prima di entrare nel merito di questo esame la Giunta voglia fare comunicazioni sui fatti relativi alla Magnadyne che si sono verificati in questi giorni.
Prima di dare la parola alla Giunta, vorrei però sapere se vi sono ulteriori osservazioni sulla proposta di inversione dell'ordine del giorno.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente! Ci associamo alle proposte che sono state fatte in tal senso, cioè per l'inversione fra i punti 5 e 6 all'ordine del giorno.
Vorrei solo far presente che la mozione sulla crisi della piccola e media industria non è stata distribuita ai Consiglieri, per lo meno a tutti i Consiglieri.



PRESIDENTE

Quello che ho davanti a me è un testo fotocopiato, che dovrebbe essere già stato distribuito a tutti i Consiglieri. Comunque, è piuttosto breve, e se i Consiglieri lo richiedono, dopo che la Giunta avrà fatto le sue comunicazioni, si potrà anche sospendere per qualche minuto, o anche darne lettura, in modo che tutti possano averne conoscenza.



CURCI Domenico

La ringrazio, Presidente.



PRESIDENTE

Se non ci sono obiezioni si intende approvata l'inversione dell'ordine del giorno, come è stata da me formulata poco fa.


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Mozione sulla piccola e media industria. Situazione della Magnadyne


PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare un membro della Giunta sui fatti della Magnadyne.



BENZI Germano, Assessore

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Prima di iniziare a svolgere le mie considerazioni sul contenuto della mozione circa la piccola e la media industria, ritengo opportuna una discussione approfondita sulla questione specifica della Magnadyne preceduta da una relazione sulle vicissitudini di questi dieci giorni in cui la Regione si è occupata di tale problema. Ritengo che la questione della piccola e media industria sia troppo importante perché la si possa inglobare in un coacervo di discussione. Pregherei pertanto i Colleghi di fare ora interventi specifici sulla Magnadyne, per poi riprendere più avanti la discussione sulla piccola e media industria.
Vorrei per parte mia illustrare qualche caratteristica di questa azienda, immaginando che non tutti siano a conoscenza del tipo di azienda e specialmente del suo attuale stato finanziario ed economico.
La Magnadyne figura più precisamente come Società INFIN. Unico titolare, risulta il signor De Quarti. Produce televisori e componenti elettronici. Ha circa 3300 dipendenti, di cui 2160 donne, suddivisi nei seguenti stabilimenti: a Torino, uno sito in via Avellino, un altro in via Francesco Re, un altro in via Vipacco, un altro in via Sant'Ambrogio, per un totale di 1700 dipendenti, di cui 1180 donne; a Sant'Antonino di Susa un altro stabilimento, per un totale di 1600 dipendenti, di cui 980 donne.
Il fatturato del 1970, più o meno fino ad oggi, è di circa 15 miliardi e mezzo. Sulla parte, poi, prettamente economica, interverrà l'assessore Viglione, che dispone di dati contabili particolareggiati che a me mancano.
Gli impianti sono utilizzati parzialmente: per il reparto televisori all'incirca nella misura del 60 per cento, per i componenti elettronici sino a fine ottobre per lo meno, all'incirca al 100 per cento. Nei magazzini sono giacenti 18.000 televisori, valutati circa mezzo miliardo inoltre vi sono materie prime per un miliardo di lire.
La Magnadyne ha già avuto un prestito dall'IMI nel 1965, di 3 miliardi e 300 milioni, di cui pare che circa 700 siano stati rimborsati. I contributi assicurativi sono ancora da versare per sette mesi; nel 1970 sono stati versati fino a giugno.
In relazione al pagamento dilazionato dello stipendio per il mese di ottobre, una delegazione composta da operai ed impiegati si è recata in Direzione per avere chiarimenti sulla situazione attuale dell'azienda.
Tramite questi colloqui avuti con la Direzione, presieduta dall'ing.
Gabbai, l'organico aziendale è stato portato a conoscenza della situazione critica in cui l'Azienda si trova.
La Direzione ha spiegato tale crisi adducendo questi punti principali: a) difficoltà di credito bancario ed una carenza di liquidità monetaria in circolazione b) difficoltà di mercato sia in Italia che all'estero, e in conseguenza impossibilità di smaltire la produzione e le giacenze di magazzino c) aumento del costo di lavoro dovuto al rincaro della mano d'opera e delle materie prime.
A fronte di tali difficoltà, il complesso direttivo ha contrapposto delle speranze per il futuro, basandole su: possibilità di finanziamento relativo al Decretone; eventuali trattative con grossi complessi esteri, di cui una doveva svolgersi il 27 novembre, l'altra mi pare il 26 dicembre.
Riferirò ora in merito a tutto l'iter che la Regione ha percorso in questi giorni, a partire dal 2 dicembre, giorno in cui una Commissione di rappresentanti dei Consigli di fabbrica si è recata alla Regione e l'ha investita della situazione che vi ho illustrato. La delegazione viene ricevuta dai Vicepresidenti del Consiglio regionale Oberto e Sanlorenzo che allacciano con i delegati i primi contatti. Il 4 dicembre vi è un altro incontro tra enti, sindacati, proprietari e operai, presenti per la Regione chi vi parla e il collega Sanlorenzo. Si incomincia ad avere di fronte il padrone dell'azienda, il quale non fa che ribadire di trovarsi in difficoltà finanziarie avendo perso una commessa fortissima con la Germania, e non dà assicurazioni circa il pagamento agli operai delle retribuzioni maturate né delle liquidazioni a dicembre né delle ferie. Egli evita di rispondere alle precise domande che gli rivolgiamo, ma dice di fare molto affidamento su di un eventuale intervento di qualche ente statale. Gli operai contrastano questa impostazione: vogliono l'intervento dell'Iri o di qualche altro ente, perché l'azienda diventi statale, in quanto non hanno più fiducia nella conduzione dell'attuale proprietario.
Il giorno 6 dicembre c'é un altro incontro: il Presidente della Giunta regionale, dr. Calleri, ha a sua volta un incontro con i delegati dell'Azienda.
Si arriva al 10 dicembre. Quel giorno, nel corso di una nuova assemblea, cui partecipa una commissione di Assessori regionali che la Giunta ha nel frattempo nominato, composta dai Consiglieri Benzi, Garabello e Viglione, con il compito di prendere nuovi contatti per giungere ad una decisione che sblocchi la situazione (vi è preoccupazione per quanto sta capitando in Valle di Susa, anche perché non si è dimenticato il triste evento di due o tre anni fa, che coinvolse l'azienda di Felice Riva, ed è grande il timore che possa ripetersi un caso analogo), si decide di inviare ai Ministri competenti un invito pressante perché il sabato successivo si trovino a Torino per discutere con la Regione e con la Provincia di Torino e con le maestranze dello stabilimento la drammatica situazione. Parte un telegramma, di questo tenore: "Onorevole Colombo, Presidente del Consiglio Ministri, Roma.
Giunta Regionale incontro odierno con quasi totalità lavoratori Magnadyne habet riscontrato esigenza immediato incontro Torino rappresentanti Governo, Ministri interessati, organismi locali et rappresentanza maestranze. Lavoratori insistono tale incontro abbia luogo sabato 12 corr. ore 10 sede Provincia Torino via Maria Vittoria 12.
Riferimento grave situazione che Ella conosce colpisce popolazioni vasta piaga territorio regionale, prego assicurare presenza giorno fissato Ministro del Lavoro, Ministro Industria, Ministro Partecipazioni statali.
Ringrazio e saluto. Firmato: Calleri, Presidente della Regione Piemonte".
Il giorno 11 avviene una visita, provocata dagli interventi del Presidente della Giunta regionale, da parte di funzionari dell'IMI, a carattere ispettivo-amministrativo, sulle condizioni effettive dell'Azienda. E' una azienda in condizioni non particolarmente gravi: un'azienda che potrebbe vivere ancora. Però su questo, come ho detto prima riferirà poi il collega Viglione.
Il sabato, alle ore 10, si presentano per la riunione prevista il collega Sanlorenzo, Viglione, chi vi parla, Garabello, un rappresentante della Provincia, un rappresentante del Comune di Torino; dei Ministri invitati, però, nemmeno uno: Roma ha ignorato l'appello della Regione. E sì che il giorno prima chi vi parla aveva personalmente ricercato per tre ore a Roma, di mettersi in contatto con i Ministri per persuaderli a venire a Torino o a mandare qualcuno in grado di decidere. Questa la realtà della situazione. Deprecato l'assenteismo di questi Ministri e rappresentanti dopo una animata discussione si è deciso di mandare un telegramma a Roma ai ministri prima menzionati: gli on.li Colombo, Donat Cattin, Gava Piccoli, Ferrari Aggradi, e anche all'on. Giolitti, interessato in quanto Ministro del Bilancio. Il telegramma era di questo tenore: "Assemblea lavoratori Magnadyne, riunita presso la Regione, unitamente alle organizzazioni dei lavoratori, al Comune, alla Provincia di Torino ed alla Giunta regionale piemontese, di fronte alla ingiustificata assenza Governo et Ministri interessati convocati per la seduta odierna, in carenza di soluzioni privatistiche nazionali ed internazionali, considerano come scelta obbligata per garantire la piena occupazione e lo sviluppo produttivo dell'azienda, il controllo pubblico sulla Magnadyne-INFIN escludendo qualsiasi soluzione che preveda la ulteriore responsabilità di gestione dell'attuale proprietà, tenendo conto che una soluzione positiva è condizionata dalle urgenti decisioni politiche e finanziarie che impegnano il Governo ad operare e rispondere immediatamente. Firmato Benzi". Inoltre sempre nella stessa giornata, c'é stato un incontro di una delegazione degli operai e sindacati della Magnadyne con il ministro Giolitti alla presenza del collega Viglione. E' stato anche emesso al termine un comunicato stampa in cui si prende esattamente posizione. Eccone il testo: "Si è svolto stamani a Palazzo Cisterna, per iniziativa della Regione Piemonte, un incontro fra enti pubblici, organizzazioni sindacali e lavoratori della Ditta Magnadyne per discutere i gravi ed urgenti problemi derivanti dalla situazione di crisi dell'Azienda. Nel corso di un ampio dibattito, il vice-presidente della Giunta regionale, Benzi, e gli assessori Garabello e Viglione hanno riferito all'assemblea dei lavoratori l'attività svolta nei giorni scorsi dalla Regione per dare soluzione al problema interessante i circa 3300 dipendenti della Magnadyne. Nella discussione sono intervenuti anche il vice-presidente del Consiglio regionale, Sanlorenzo, l'assessore al Lavoro del Comune di Torino, Fantino sindacalisti e rappresentanti dei Consigli di fabbrica. Al termine dell'incontro è stato inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri Colombo, eccetera il seguente telegramma (si tratta del testo che ho già letto precedentemente). Un altro telegramma è stato inviato al Ministro del Lavoro, Donat Cattin, dalle organizzazioni sindacali e dai Consigli di fabbrica, unitamente ai rappresentanti dei Comuni, della Provincia e della Regione. In esso si considera necessaria l'applicazione della Legge n. 1115 come garanzia del salario dei lavoratori, e particolarmente per facilitare l'assunzione del controllo da parte dello Stato sull'Azienda, garantendo così piena occupazione e sviluppo produttivo".
Dirò, a conclusione di questa mia illustrazione, che spero giudicherete obiettiva, che la Ditta, mentre noi stavamo cercando una soluzione, ha chiesto la cassa d'integrazione per tutti i dipendenti, il che vuol dire praticamente che oggi i lavoratori della Magnadyne non hanno più sicurezza di paga e nemmeno più la sicurezza di ricevere quello che potrebbe essere un compenso ridotto. Su questo dovrebbero insistere i sindacati perch almeno su questa parte il Ministro del Lavoro intervenga decisamente a far dare loro quanto loro compete.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare l'Assessore Viglione.



VIGLIONE Aldo, Assessore

Colleghi Consiglieri, per incarico del Presidente e della Giunta una commissione che si è riunita presso l'ufficio del presidente Benzi si è occupata in questi giorni della Magnadyne. Il Presidente della Giunta aveva già un giorno o due prima della nomina promossa un'iniziativa affinché due tecnici, altamente qualificati (sono due condirettori dell'IMI), venissero a Torino per verificare tecnicamente la situazione aziendale. Nominata la commissione, ci incontrammo con i due esperti per iniziare l'esame tecnico dell'azienda.
La Magnadyne articola la sua produzione attuale prevalentemente in due settori: ha abbandonato da tempo il campo degli elettrodomestici e delle radio e si è orientata verso la sezione così detta "neon", che produce delle parti staccate e la sezione "televisori". Quest'ultima si incentra soprattutto nello stabilimento di Sant'Antonino, le altre lavorazioni invece negli stabilimenti di Torino. La fabbrica di Roma, che fu costruita alcuni anni addietro, venne abbandonata ed affittata per 18 milioni all'anno all'Autovox. L'azienda è la prima in campo nazionale per quanto riguarda i televisori, con una capacità produttiva che può toccare, come limite massimo, quasi mille televisori al giorno; attualmente mi pare che non ne produca tanti, ma vi è molto vicina. Per la sezione "neon" la produzione è pure assai elevata e ha le caratteristiche per un migliore mercato.
Per quanto concerne invece la situazione occupazionale, la Magnadyne ha avuto periodi alterni: fino al 1964 ha occupato un numero assai alto di dipendenti, che toccò la punta massima di quattromila, successivamente per fatti quasi analoghi a quelli di oggi, diminuì fortemente l'occupazione e vi fu un intervento pubblico in due tempi da parte dell'IMI che consentì all'azienda di risollevarsi. Furono infatti concessi due prestiti con ipoteca su tutti i beni immobili, appartenenti alle società del De Quarti.
Successivamente vi furono altri interventi da parte di società di natura pubblica e, a breve scadenza, aperture di credito anche da banche di interesse nazionale e in piccola parte di interesse privato.
Vi è adesso da esaminare perché dal 1964 ad oggi, dopo aver avuto aiuti pubblici assai importanti, la situazione si sia ripetuta. Vi possono essere due ordini di motivi: l'uno è attinente puramente al campo direzionale l'altro alla voce "mercato". Quest'ultimo ha avuto alterne vicende sia per quanto riguarda il settore dei televisori, che per la sezione neon. La produzione della Magnadyne spesso è andata fuori dagli stabilimenti più con altri nomi che con il proprio. Ciò ha creato una disarticolazione.
Lavorando massicciamente soltanto per pochi gruppi stranieri che richiedevano le apparecchiature senza la individuazione dell'azienda, si è giunti a un decadimento, perché il vero campo commerciale della Magnadyne si è ridotto dato che la produzione si incentrava soprattutto sui terzi per cui venendo a mancarne le commesse cadde di per sé la produzione di mercato che interessava invece collocare un po' più diffusamente.
Mesi addietro venne stipulato un accordo con una casa tedesca, accordo che avrebbe dovuto avere una durata di tre anni, e che invece improvvisamente, per motivi che non abbiamo potuto appurare, col primo gennaio 1971, è stato disdettato. Ciò ha portato mesi fa ad un balzo dell'occupazione da 2300/2400 ai 3000/3100 attuali e il fatturato, che era di dodici miliardi e mezzo circa è salito a 17 miliardi. Proprio in seguito all'accordo con la casa tedesca, di un tipo quasi unico di distribuzione della produzione, l'occupazione è salita di circa 700/800 unità e tutti ricordano che ancora pochi mesi fa la Magnadyne cercava del personale.
Il mercato dei televisori in campo europeo è caduto per motivi anche comprensibili perché, raggiunto un certo punto di saturazione, non vi è che il rinnovo. La televisione a colori nel nostro Paese non ha ancora trovato un indirizzo di natura anche legislativo nella scelta dei due sistemi, o il sistema francese Segnant o il tedesco Pall e la Magnadyne è arroccata soltanto sulla produzione dei televisori in bianco e nero. Praticamente il mercato che era ancorato ad un accordo con un'unica casa, che prevedeva circa 90.000 televisori in esportazione col 1^ gennaio verrà a cadere.
Ripeto, su questi problemi che coinvolgono valutazioni ben più larghe non ci è stato possibile in questo breve volgere di tempo, approfondirne i motivi e le cause. A questo accordo di scambio produttivo di vendita doveva seguirne un altro circa la comproprietà di gestione, ma anche di questo ci sono ignote le vere cause, perché la lettera della casa tedesca parla puramente di una situazione di carattere generale che avrebbe impedito l'ulteriore progredire delle trattative anche a livello di gestione. Ho poi avuto conferma due ore fa che anche le ultime banche che avevano allargato un po' i fidi oggi stesso ne hanno comunicato la chiusura per cui l'azienda come disponibilità finanziaria oggi è a zero.
La valutazione fatta è di questo tipo: le proprietà, gli impianti, la forza produttiva dell'azienda sono notevoli: tecnologicamente la ditta dispone di un personale preparato e specializzato e di impianti di natura tecnica assai avanzati. Mi è stato solo fatto rilevare che forse, dal punto di vista della sicurezza fisica dei lavoratori, potrebbero fare qualcosa di più perché si sono verificati alcuni gravi fatti che si sarebbero potuti evitare.
Giunti a questo punto i sindacati delle forze del lavoro occupate, si chiedono quale soluzione potrà essere data. La situazione patrimoniale dell'azienda, cioè le poste attive sono eccedenti, però tutto questo potrà cadere nel nulla se l'azienda chiude i battenti. Abbiamo visto per il Cotonificio Valle di Susa, una proprietà valutata 30 miliardi, venduta per 13 miliardi; caduta l'azienda vengono travolti tutti i beni, anche se tecnologicamente avanzati.
La soluzione che si presenta in questo momento riguarda la direzione dell'azienda; tutti gli interventi di natura pubblica a favore della Magnadyne in questi anni, sia da parte dell'IMI che da altri istituti di carattere pubblico che oggi possono valutare i propri crediti intorno ai sei miliardi di lire, non sono serviti a dare una nuova strutturazione all'azienda. La direzione non ha valutato esattamente il problema di mercato e tutta quella che poteva essere una conversione aziendale. E' per questo che da parte delle forze del lavoro si chiede in primo luogo che la direzione dell'azienda sia cambiata, perché ha dimostrato che nonostante gli aiuti ricevuti (si avvalse persino della legge sugli alluvionati per ottenere un prestito di 500 milioni) non ha trovato una soluzione.
Abbiamo detto in più occasioni, anche nell'assemblea dei lavoratori che riteniamo che allo stato attuale, l'azienda è nelle mani dell'istituto pubblico, solo che questo voglia dare un indirizzo chiaro e preciso rispetto a quello che sarà il futuro della Magnadyne. Le ipotesi possono essere tre: o gli istituti pubblici rimangono ad attendere gli eventi (l'IMI è garantito ipotecariamente su tutti i beni dell'azienda, le altre aziende di interesse pubblico qualche sia pur piccola garanzia ce l'hanno) o i creditori, anche se pubblici, richiedono l'immediato realizzo (questa è una ipotesi che scarterei perché potrebbe essere sfruttata dall'altra parte per dire che l'istituto pubblico ha la responsabilità di aver fatto cadere la Magnadyne); oppure l'istituto pubblico (qui si esce dal campo tecnico per entrare nel campo ben più specifico di una volontà politica che noi dovremo manifestare al termine del dibattito), scartata la prima ipotesi dell'attesa, scartata l'ipotesi che voglia realizzare i propri crediti decide di passare ad un'azione positiva e cioè alla gestione dell'azienda.
Ma, ripeto, questo è un discorso di natura politica che dovrà essere fatto successivamente. In questo momento non si chiede all'istituto pubblico soltanto la realizzazione, il fine dell'istituto pubblico non è soltanto quello di realizzare il più possibile, anche se ciò vuol dire la caduta dell'azienda, perché chi ha una certa esperienza di queste cose sa che in questi casi anche gli interessi salvaguardati da garanzie, da privilegi vengono ad essere compromessi. In questa sede si dovrà dire, per quelli che hanno in mano la società e che sono gli istituti pubblici, quale sarà la sorte della Magnadyne. La Magnadyne coinvolge, direttamente o indirettamente, nella Valle di Susa e a Torino l'economia di 50.000 cittadini; tenuto conto delle condizioni che sono state generate dal fallimento del CVS, il Consiglio Regionale non potrà certo sottrarsi ad un giudizio che rimbalzerà sugli organi politici in sede governativa romana per decidere la sorte di questa azienda.
Abbiamo già detto nelle assemblee cui abbiamo partecipato di avere sposato la causa della Magnadyne, cioè riteniamo che debba essere compiuto ogni sforzo possibile affinché questa azienda, che tanta parte ha nella nostra economia, debba essere salvata.



PRESIDENTE

Dopo il Vicepresidente Benzi e l'Assessore Viglione adesso, a nome della Giunta, ha facoltà di parlare l'Assessore Garabello.



GARABELLO Enzo, Assessore

Signor Presidente, signori Consiglieri, un breve intervento soltanto ad aggiunta e a chiarimento di alcune cose che sono state dette nella cronaca degli avvenimenti da parte del collega Benzi e che ritengo, per motivi di obiettività, siano fatti presenti al Consiglio Regionale perché erano di pubblico dominio nell'assemblea, molto ordinata e civile, che i lavoratori hanno organizzato venendo alla Regione nelle due giornate in cui si sono incontrati con noi, giovedì e sabato.
Rispetto alla partecipazione ritengo sia obiettivo non dimenticare che erano presenti alla riunione, al banco della presidenza, due direttori di uffici provinciali di Ministeri romani, inviati dai Ministri per motivi informativi: il dr. Lasorsa segretario della Camera di Commercio per il Ministro dell'Industria e il dr. Cerchio, direttore dell'Ufficio provinciale del Lavoro per il Ministro del Lavoro. Gli stessi evidentemente non avevano in mano elementi e deleghe per entrare nel merito del problema la loro presenza aveva un carattere auditivo e conoscitivo.
Seconda aggiunta: non avendo potuto il collega Benzi, per le ragioni già spiegate, avere contatti a tutti i livelli romani, ero stato incaricato di tentare di parlare con il Ministro del Lavoro on. Donat Cattin. Sono riuscito ed egli, impedito per un'indisposizione, mi ha dato alcune informazioni che ho comunicato all'assemblea dei lavoratori e che ritengo che nel quadro generale abbiano un significato di cui non possiamo non tenere conto, per obiettività, in rapporto all'azione che la Regione intende continuare a svolgere a favore di questa importante azienda. Le aziende in condizioni di notevole crisi sono attualmente sul piano nazionale circa 200, fra queste la Magnadyne, per importanza, per numero di lavoratori, è la seconda, preceduta soltanto di poco da un'azienda del settore dell'abbigliamento della regione veneta. In questo senso il Ministro mi diceva l'estrema preoccupazione a livello governativo anche per il significato particolare che rappresenta la Magnadyne come industria portante della struttura economico-sociale della Val Susa, già notevolmente provata da altre cose cui ha fatto cenno il collega Benzi e da situazioni aziendali ugualmente preoccupanti. Per questo motivo era suo convincimento (naturalmente esposto con molta prudenza perché essendo un Ministro del posto non voleva essere logicamente accusato di sposare in maniera non obiettiva situazioni che invece richiedono la massima attenzione) che il governo avrebbe rivolto particolare attenzione alle vicende di questa Società.
La questione generale delle 200 aziende, è ormai a livello massimo del governo, essendone stato investito il Presidente del Consiglio dei Ministri e logicamente tutto il gruppo dei ministri tecnici sociali interessati al problema: Industria, Partecipazioni, Tesoro, Bilancio e Lavoro. Mi diceva il Ministro che l'intervento dell'IMI attualmente in corso e richiesto dalla presidenza della Regione, era ritenuto un intervento informativo anche per il governo, il quale aveva bisogno delle maggiori delucidazioni sulla situazione dell'azienda.
Terzo intervento in corso: colloqui con il Governatore della Banca d'Italia per la chiusura di fidi e castelletti da parte delle banche locali, al fine di ottenere una valutazione la più obiettiva e soprattutto la più comprensiva degli interessi dei lavoratori, perché le possibilità di poter liquidare le spettanze già maturate o in corso di maturazione in questo periodo, fossero rapidamente raggiunte attraverso disposizioni della Banca d'Italia.
Queste cose ho ritenuto, a nome della Giunta e del Ministro che me ne aveva incaricato, fare presenti all'assemblea di fabbrica che logicamente ne ha preso atto nell'ambito di una sua generale valutazione dei problemi.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Sanlorenzo, ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, credo che tutti i Consiglieri in ordine alla situazione della Magnadyne avessero il diritto e il dovere di conoscere con molta precisione quale sia stato l'intervento della Regione nei suoi organi sin dall'inizio, per esprimere poi un giudizio prendere una posizione e assumere le iniziative e gli atti che si rendono necessari questa sera per giungere a una soluzione positiva della questione. Tale esposizione è stata fatta correttamente dagli Assessori Benzi, Viglione e Garabello con la cronologia dei fatti. Ma a noi credo incomba anche il dovere e il diritto di riflettere su questi fatti, di trarne una sintesi per poi arrivare consapevolmente a una presa di posizione che, io propongo, impegni tutta l'assemblea regionale e non soltanto quegli organi che sinora per dovere, hanno seguito tutta la vicenda.
La prima considerazione che dobbiamo fare è che deve apparire chiaro a tutti i Consiglieri un elemento fondamentale della situazione e cioè l'estrema responsabilità e serietà dimostrata da tutti i lavoratori della Magnadyne, uomini e donne, giovani e anziani, lavoratori che hanno trascorso tutta la loro vita di lavoro in quella fabbrica e operai che invece ci sono entrati 15/20 giorni or sono, quando hanno letto un irresponsabile manifesto che invitava al lavoro, quando già si conoscevano le condizioni dell'azienda. Giovani che non avevano prima mai partecipato ad uno sciopero, ad una manifestazione di strada e che in tre giorni hanno maturato una consapevolezza, sindacale e politica e hanno scoperto la Regione. Noi dobbiamo essere loro grati se l'hanno fatta diventare subito qualche cosa non di impalpabile ma di vivo e che vivrà e crescerà solo se sapremo sempre stabilire con loro e con tutta la popolazione piemontese un rapporto del tipo che siamo riusciti a stabilire sinora.
Perché parlo di estrema responsabilità e serietà? Ricordiamo i fatti.
Per prima è venuta alla Regione una delegazione ristretta. Sono venuti in quindici, eravamo presenti il vice presidente Oberto ed io e ci hanno detto che venivano in quindici e non in 300 perché non volevano compromettere una qualsiasi possibilità di soluzione che invece avrebbe potuto essere compromessa se in quel momento le banche o gli altri enti che in qualche modo potevano partecipare ancora positivamente alla soluzione della questione, avessero avuto la sensazione che non c'era più nulla da fare e non si doveva più fare nulla.
E' privo di significato questo primo rilievo? Pensate, nella Repubblica italiana succedono fatti di ogni genere, può succedere persino che il presidente di un grande colosso italiano quando la barca affonda si fa liquidare con un miliardo e mezzo di lire, taglia la corda e se ne va, non cerca interlocutori quando qualcuno mette in discussione come ha agito, non si fa scrupolo del suo modo di agire. Questi lavoratori invece, che da difendere hanno soltanto il posto di lavoro, si preoccupano delle sorti della azienda e vengono in quindici perché non succeda qualcosa che possa danneggiarla. Poi capiranno che le cose non riguardano solo la proprietà e abbandoneranno queste preoccupazioni, ma "dopo" e tutte le volte che faranno un passo, lo faranno per una maturazione nuova che hanno acquisito dai fatti e dal modo in cui si comportano le varie parti che dicono di voler ricercare una soluzione al loro problema.
Sino a ieri hanno evitato l'occupazione della fabbrica perch conoscendo a fondo la situazione aziendale, hanno capito che non dovevano farsi complici involontari di una manovra tipo quella del 1964 e che li aveva messi in piazza non tanto per risolvere il problema, ma per spremere denaro pubblico che sarebbe poi stato amministrato nel modo che è stato amministrato e che ha portato a questa situazione. Se sono venuti alla Regione e non hanno occupato prima la fabbrica, non è perché erano mossi da intendimenti qualunquistici che li spingevano a mettere tutto in un fascio e a protestare indistintamente; non sono venuti alla Regione con gli intendimenti di coloro che hanno portato la questione di Reggio Calabria a quel punto. No, sono venuti qui perché hanno creduto di individuare nella Regione non un nemico, ma un mezzo, uno strumento per farsi sentire di più e per individuare l'interlocutore reale che è il governo. Sapevamo, come ha detto Viglione, che di fatto la Magnadyne è già di proprietà pubblica tanto che i miliardi sono già stati dati a questa azienda, non c'è bisogno che gliene diano altri a fondo perduto. Sembrava che avessero studiato lo Statuto; abbiamo fatto bene a diffonderlo in un milione di copie, ma non credo che tutti i lavoratori della Magnadyne abbiano letto gli 80 e più articoli dello Statuto. Hanno però fatta propria la sostanza della funzione della Regione. Hanno interessato il Comune di Torino, la Provincia, la Regione, non per metterli sotto accusa, ma per stabilire un rapporto fecondo e hanno richiesto ed ottenuto una partecipazione che ritenevano essenziale. La Regione, che non poteva dare ancora quattrini e non poteva intervenire per risanare l'azienda poteva offrire questa possibilità di partecipazione. Essi hanno posto non solo il proprio problema, ma anche quello di tutti coloro che sono interessati alla questione, cioè la popolazione di Sant'Antonino, di quella valle, della città di Torino e l'hanno posto non solo in termini corporativi e localistici, ma preoccupandosi dell'azienda, della sua direzione, della sua proprietà, dei finanziamenti che eventualmente si devono trovare, del modo di adoperarli nell'interesse collettivo. A nessuno di loro sfugge che, in fondo, in Piemonte in qualche modo è possibile trovare occupazione. Certo, non siamo nella Lucania, non siamo in una zona depressa, ma la cosa è più facile per coloro che hanno 16-18-19 anni. Mi diceva un'operaia con le lacrime agli occhi, in un'assemblea: "Io ho 45 anni, fino a due mesi fa lavoravo in una fabbrica che non aveva di questi problemi, ho letto il manifesto, sono andata alla Magnadyne e adesso mi trovo senza lavoro; sono sola, non ho n marito né figli, dove vado a cercare il lavoro? Fuori di casa mia? " E chi è che oggi assume donne di 45 anni? Hanno posto il problema dell'economia di una zona, perché la storia la fanno anche senza leggere i libri, sanno che cosa è stato il Valle di Susa ricordano le ripercussioni particolari e generali di quell'episodio che il vice presidente conosce così bene perché allora era Presidente della Provincia. Essi hanno evitato, con la saggezza dei loro organismi sindacali, di rendersi strumenti inconsapevoli di manovre che ci sono state e ci sono ancora, perché quando un'azienda è prossima al fallimento, i corvi si muovono nell'aria per comperare con quattro soldi ciò che rimane.
Abbiamo visto la manovra (di cui parleremo dopo) della Tobler, quali insegnamenti ci ha portato.
Essi hanno respinto, in modo argomentato, qualsiasi tentativo che è stato portato avanti dalla proprietà dell'azienda di renderli corresponsabili di una situazione nella quale invece non avevano responsabilità alcuna; qualcuno ha giocato una carta dicendo: "Siamo giunti a questa situazione perché ci sono stati gli aumenti salariali".
Ma lo hanno smentito quando hanno detto che i salari sono inferiori del 12 per cento a quelli di aziende simili alla Magnadyne del gruppo interno e internazionale, mentre i prezzi sono superiori del 12 per cento. E allora che cosa c'entrano i salari nella situazione della Magnadyne? E queste cose le hanno dette di fronte al padrone, perché la Regione che non ha ancora lo Statuto approvato, che non ha ancora gli strumenti, ha già il potere politico di convocare i padroni italiani e svizzeri, di farli partire dalle loro casematte da cui non vorrebbero uscire mai e farli venire alla Regione, persino dalla Svizzera. Siamo riusciti a fare questo anche senza lo Statuto approvato. Il padrone è venuto e ha dovuto rispondere a domande dei lavoratori che lo hanno inchiodato. Ne è uscito dicendo: "Io mi considero già fuori dell'azienda, non voglio più un centesimo". E i lavoratori l'hanno preso sul serio, infatti hanno detto: "Tu nell'azienda non devi più contare, perché l'hai governata in modo tale per cui la tua permanenza li dentro sarebbe un danno pubblico che si aggiungerebbe a tutti gli altri". E quel telegramma unitario Comune-Provincia-Regione, è venuto fuori da un confronto diretto, senza possibilità di equivoci, fra coloro che erano le vittime di questa situazione e coloro che ne erano responsabili.
Hanno chiesto l'intervento del controllo pubblico non perché avessero in mente una soluzione che non tocca a loro individuare tecnicamente, ma perché avevano in mente una linea che bisognava portare avanti. Non tocca a loro dire se sarà l'IMI, se sarà l'IRI, è il potere pubblico che deve esaminare, e decidere la soluzione più utile, ma la linea deve essere indicata da un rapporto fecondo fra la democrazia operaia e le assemblee elettive se vogliamo che la Regione sia un elemento di rinnovamento della vita politica del nostro Paese. Insomma, hanno fatto ciò che dovremmo fare noi, ciò che faremo certamente noi, tutti assieme, quando dovremo proporre studiare, elaborare un qualsiasi piano di programmazione.
Di fronte a questo comportamento quale è stato quello del Comune di Torino, della Provincia e della Regione? Io credo che dobbiamo dire che è stato all'altezza dei compiti vecchi e nuovi degli Enti locali. Io dò qui un giudizio generale positivo del comportamento degli Enti locali perch questo rapporto è stato fecondo non soltanto fra Regione e lavoratori, ma fra lavoratori e Comune di Torino e Provincia. Credo che non sia priva di rilievo questa circostanza, questa ammissione che viene da una parte che non è tenera verso questa Giunta e verso le maggioranze che governano il Comune e la Provincia. Ma il problema non è di differenziazioni politiche non abbiamo forse constatato, durante la discussione sullo Statuto, che è possibile raggiungere unità di intenti quando i problemi vengono posti con estrema chiarezza e nitidezza di fronte agli occhi di tutti? E io non ho difficoltà a dire che abbiamo lavorato assieme, senza chiederci vicendevolmente le tessere del partito che avevamo in tasca, con Viglione con Benzi, con Garabello, su questa e sulle altre questioni perch bisognava procedere come unità di intenti.
Chi è che invece non ha operato come poteva e doveva? Ecco il punto.
Ecco la questione che i lavoratori della Magnadyne non hanno posto subito all'evidenza ma hanno dovuto maturare prima di prendere una decisione; ci hanno messo il loro tempo prima di capire, perché volevano esperimentare volevano verificare. Hanno partecipato all'assemblea alle 10 del 12 dicembre tenutasi a Palazzo Cisterna alla quale, come ha già detto l'Assessore Benzi, erano stati invitati tre Ministeri: del Lavoro dell'Industria e delle Partecipazioni statali, con un telegramma della Giunta regionale che era partito il 10 dicembre. Era scorretto quel telegramma? Era imperativo? Certo, poteva apparire nuovo persino per noi che una Regione, un Comune, una Provincia osassero convocare i Ministeri della Repubblica italiana nel giro di 48 ore. Quando mai era successo un fenomeno del genere? Persino il nostro ardimento poteva farci dubitare dell'efficacia dell'atto, ma le cose sono così solo in apparenza, perché se il telegramma era partito solo due giorni prima, erano sei anni che il governo conosceva la situazione della Magnadyne, e guai al mondo se non l'avesse conosciuta, se non avesse saputo che miliardi di denaro pubblico sono stati dati e non sono ritornati, se avessero dovuto aspettare quel telegramma per essere informati del fatto che il denaro pubblico era stato dilapidato. No, le cose le sapevano, non solo, ma non era nemmeno possibile giocare la carta del telegramma non arrivato o forse arrivato in tempi troppo ristretti per decidere perché il telegramma l'hanno ricevuto e assieme hanno ricevuto anche le telefonate. Benzi ha già detto che cosa è stato fatto nel pomeriggio di venerdì per garantirsi la presenza dei Ministeri. Non vi ha raccontato però l'episodica che sarebbe pure illuminante: c'é stato un funzionario che si è aggrappato al telefono e per quattro ore ha tempestato tutti i Ministeri per chiedere che qualcuno venisse a Torino. Le risposte sono state queste: "Non so, riferiremo mandate la relazione". Queste le risposte, mentre 3300 operai avevano il licenziamento alle porte di casa. I Ministri non hanno saputo che era stata convocata la riunione? L'hanno saputo e qualcosa hanno mandato, non un telegramma, non una telefonata, hanno mandato due funzionari ma non di Roma, bensì di Torino, che sono venuti per "assistere". Ma cosa volete che dicessero? I rappresentanti della Camera di Commercio e dell'Ufficio del Lavoro (non ne faccio colpa nemmeno a loro) non sapevano che dire, loro davvero non sapevano e non dovevano dire. Sarebbe bastato un direttore generale presente alla riunione, mandato con un aereo, per rappresentare l'interlocutore, per ascoltare e riferire. Sembra facile, ma non è stato così ed è a questo punto che i lavoratori hanno capito che l'interlocutore c'era, ma era nascosto e bisognava snidarlo e portarlo alla ribalta. Per fare che cosa? Per fare assieme ciò che bisognava fare, per cercare assieme quella soluzione, dalla quale non potevano essere esclusi certo coloro che avevano promosso l'iniziativa. E' stato questo "disprezzo" per un giusto rapporto democratico che ha fatto scattare la molla che poi ha portato i delegati di fabbrica a proporre, nell'assemblea autonoma dei delegati l'assemblea permanente nei locali di Palazzo Cisterna; la proposta è stata votata all'unanimità. In quel momento loro tutelavano la dignità dei cittadini prima che l'interesse dei lavoratori, difendevano un diritto dovere di qualunque cittadino a esigere che il rapporto con coloro che rappresentano il potere pubblico sia impostato in modo nuovo, se vogliamo che le istituzioni siano salvate davvero, oltre il necessario o.d.g. contro il fascismo. E' anche fascismo quello che si esprime nel disprezzo dell'interesse della gente, nel non tener conto di un rapporto democratico che non viene richiesto a coloro che devono rispondere delle loro responsabilità.
Noi dobbiamo dire con chiarezza che se anche c'era un po' di illusione nel chiedere che i Ministri fossero presenti a Torino, non deve però essere interpretata come qualche cosa che non deve succedere mai. Noi prevediamo dobbiamo prevedere che il rapporto si stabilisca con la Regione, ma non soltanto quando il Presidente della Giunta o dell'assemblea andrà a Roma per essere consultato tutte le volte che un Ministro o l'altro chiederà il suo parere, ma il rapporto deve significare anche un viaggio alla rovescia.
Perché mai i Ministri dovrebbero essere soltanto coloro che vengono in Piemonte per tagliare i nastri e inaugurare le autostrade? No, non deve essere più concesso a nessuno di tagliare nastri e poi di tagliare la corda quando invece bisogna esserci; non deve essere concesso a nessuno usare le malattie diplomatiche improvvise che non lasciano nemmeno il tempo di mandare qualcuno che lo sostituisca. Non deve essere nemmeno concesso che un governo lasci che un Ministro parta per fare un giro di conferenze in Piemonte, un Ministro cui va, tutto sommato, la nostra stima, il quale per non sa niente di queste cose e deve essere raggiunto attraverso delegazioni di operai che lo inseguono a Biella e a Novara per parlargli di una cosa di cui dovrebbe essere informato, anche se non ne è responsabile, anche se non era stato invitato sabato alle ore 10. Cosa vuol dire collegialità del governo se non vuol dire almeno consapevolezza collettiva di ciò che succede in una Regione, che non è certo l'ultima dell'Italia? Ecco che cosa è stata l'esperienza di questi giorni In quel momento i lavoratori si sono sentiti estranei, con un governo che non li degna di un cenno; si sono sentiti come gli operai della Falconi di Novara, di cui non voglio adesso parlare, i quali attendono la stessa cosa; io ne parlai al Presidente della Giunta, lui fece quello che doveva fare, ma attende come attendiamo noi, come attendono da sei mesi gli operai, una risposta qualunque essa sia. Perché non rispondere, o alimentare illusioni sbagliate, o peggio non dire le cose come stanno? Ciò porta alla conseguenza che la gente che potrebbe trovarsi un lavoro non lo cerca, non sa che cosa fare e chiede risposte, chiede l'interlocutore, chiede che ci sia un rapporto che si stabilisca in qualche modo, di modo che i passi avanti o indietro siano valutati assieme. Questo diritto è sacrosanto, non può più essere negato.
E allora cosa fare? L'abbiamo gia detto nella riunione di ieri mattina a Palazzo Cisterna con i rappresentanti dei partiti, dei sindacati, del Comune, della Provincia e della Regione, i quali hanno deciso di convocare per domani, tramite i parlamentari presenti Borra, Damico e Filippa, una riunione che si terrà domattina in Parlamento di tutti i parlamentari piemontesi i quali chiederanno appunto al governo non solo la soluzione che è stata indicata, ma un intervento immediato, una risposta immediata.
Quello che c'è da fare è quanto ha fatto la Giunta Provinciale di Torino che si è riunita ieri e ha proposto di seguire la questione come Giunta affiancandosi a tutte le altre iniziative che già sono in corso. Quello che c'è da fare è anche quanto ha fatto l'ufficio di presidenza questa mattina che ha esaminato l'ordine dei lavori per fare coincidere la discussione di questo punto all'o.d.g. e la presenza dei lavoratori nel nostro Consiglio Regionale, che è un fatto democratico, importante, giusto nella forma e nella sostanza. Quello che c'é da fare è ciò che dobbiamo fare noi fra poco e cioè assumere una posizione unitaria come Consiglio regionale, che si muove nella linea già espressa dalla Giunta, dal Comune di Torino e dalla Provincia, in un documento sintetico molto breve, che riprenda i punti già sollecitati dai lavoratori, dai sindacati e dagli Enti locali e che sia trasmesso questa sera stessa al governo della Repubblica, dati i tempi delle riunioni che si stanno tenendo a Roma, per affrontare il problema delle 200 aziende in cima alle quali c'è la Magnadyne.
E quello che dobbiamo fare, permettete colleghi, credo sia anche dare una risposta metodologica ai lavoratori della Magnadyne che hanno stamani occupato le fabbriche. Noi dobbiamo fare come hanno fatto loro, loro sono venuti dalla Regione a porre i loro problemi, a indicarci una soluzione e chiederci se pensavamo, nella nostra autonomia, di poterla condividere. Io credo che una delegazione dell'assemblea dovrà recarsi nelle fabbriche dei lavoratori della Magnadyne per portare le conclusioni a cui saremo giunti al termine di questo dibattito, comunicare loro tempestivamente, con un rapporto rapido, le cose che si dicono e le cose che si fanno, in piena coerenza, in modo che il rapporto di democrazia sia ininterrotto e si stabilisca un'atmosfera di fiducia.
Ecco quanto propongo all'attenzione dei Consiglieri. Se faremo così faremo non solo il nostro dovere, aiuteremo i lavoratori della Magnadyne a risolvere il loro problema e porteremo avanti un metodo, un costume che è stato sin dall'inizio il motivo ispiratore dell'attività della Regione ed è in fondo la grande speranza dei cittadini e dei lavoratori italiani per costruire davvero una democrazia nuova nel nostro Paese.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Simonelli.
Pregherei coloro che intervengono di essere un po' più concisi del collega Sanlorenzo; non ho voluto interromperlo, però credo che questo dibattito ci impedirebbe di proseguire i lavori se tutti intervenissero così a lungo come lui.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente, colleghi del Consiglio, noi siamo chiamati oggi a discutere - in un clima giustamente teso e drammatico - i fatti della Magnadyne per i quali un'ampia delegazione di lavoratori è insieme spettatrice e partecipe del nostro dibattito, ma dobbiamo compiere anche uno sforzo per inquadrare la vicenda nel contesto più generale della crisi che sta investendo le strutture produttive del Paese e della Regione. Ci troviamo in presenza di una situazione nella quale vengono a maturare problemi vecchi e nuovi del nostro sistema produttivo, che rimette in discussione tutta una serie di apparenti verità che sembravano acquisite negli anni passati, cosicché la Regione Piemonte si troverà obbligata ad intraprendere, con lena rinnovata e con molte novità rispetto al quadro tradizionale, la sua azione nel campo economico e sociale, badando soprattutto ad affrontare i grossi nodi dello sviluppo economico e dell'occupazione.
Quando le forze politiche, i sindacati, gli enti pubblici, il Comitato Regionale per la programmazione economica hanno esaminato le linee fondamentali dello schema di sviluppo per il Piemonte, gli obiettivi formulati per la Regione erano soprattutto due: 1) rallentare il ritmo di crescita indiscriminato dell'area metropolitana torinese, diffondendo lo sviluppo economico e civile in tutto il Piemonte; 2) articolare diversificare maggiormente il tessuto della nostra industria. Nell'analisi che stava sotto queste scelte, i problemi delle aree periferiche della Regione e delle industrie in fase di trasformazione o in crisi erano stati sottaciuti o si erano sovrapposti l'uno all'altro, non avevano avuto quel rilievo, quella drammaticità, quella dimensione sociale che oggi la realtà dei fatti pone con forza davanti ai nostri occhi.
Non starò a ripetere quello che già abbiamo detto, e cioè che gli obiettivi del primo schema di sviluppo del Piemonte non si sono realizzati che non si è ottenuto uno sviluppo più equilibrato delle attività industriali su tutto il territorio della Regione, come non si è realizzata una diversificazione del nostro tessuto produttivo. Abbiamo ancora una netta prevalenza delle industrie motrici e in particolare della Fiat nel contesto dell'economia industriale della Regione, e abbiamo uno sviluppo che permane accentrato nell'area metropolitana torinese. E questo è avvenuto per tante ragioni: perché c'è stata una recessione della nostra economia, perché la programmazione regionale non aveva gli strumenti per diventare operativa e anche perché vasti settori industriali della nostra Regione sono entrati in una fase di riconversione, o addirittura di crisi di cui solo oggi noi possiamo cominciare a valutare tutti gli effetti e le conseguenze. Direi che negli ultimi tempi, proprio l'autunno caldo, con le conquiste che il movimento dei lavoratori e i sindacati hanno ottenuto, ha funzionato un po' come cartina di tornasole per le reali condizioni nelle quali si trova ad operare gran parte della nostra industria, ha messo cioè a nudo una serie di problemi strutturali che le indagini degli anni passati non avevano consentito di evidenziare appieno. E allora il problema dei maggiori costi di lavoro, che molte industrie si sono trovate improvvisamente ad affrontare, si è tradotto in più gravi e più pesanti difficoltà per l'incapacità di molte aziende a ristrutturare in modo nuovo i loro assetti interni, produttivi ed organizzativi, a procedere al necessario rinnovamento tecnologico, ad aggiornare la propria produzione, a procedere in modo diverso alla organizzazione della ricerca, ecc. Molte imprese sono state certamente all'altezza della situazione, altre non lo sono state, altre addirittura hanno colto il pretesto degli aumenti nel costo del lavoro come un'occasione per procedere a ridimensionamenti o addirittura a chiusure di stabilimenti, a cessazioni di attività produttive. Nello stesso momento si sono inseriti in questa vicenda, già tormentata e ricca di incognite, altri fattori più generali che riguardano lo sviluppo del capitalismo nel nostro Paese: concentrazioni aziendali all'interno dei grandi gruppi produttivi, fusioni, chiusure di stabilimenti come episodi di una politica di riassetto e di ristrutturazione di interi gruppi industriali. Anche questi fenomeni hanno portato conseguenze negative e pesanti sull'occupazione della Regione. Potremmo dire, colleghi del Consiglio, che in questi tempi il capitalismo italiano viene mostrando contemporaneamente due facce: la sua faccia sopranazionale, quella delle integrazioni, delle concentrazioni, delle soluzioni a scala europea e continentale, insieme alla sua faccia provinciale, meschina, quella degli imprenditori improvvisati, degli avventurieri pronti a tentare la sorte in tempi di mercato facile, quando i guadagni sono abbondanti e si possono ottenere con relativa facilità, pronti però ad abbandonare i lavoratori al loro destino e ad uscirsene per la tangente quando i tempi diventano difficili.
Ho l'impressione che il caso che abbiamo dinanzi a noi, quello della Magnadyne, rientri in questa seconda categoria di capitalismo, in questo modo angusto e funesto di intendere la funzione imprenditoriale. Gli effetti di questi diversi fenomeni si vanno accumulando, e si traducono non solo in una contrazione nei ritmi di produzione, negli incrementi di produttività, nel livello del valore aggiunto, ma anche in pesanti contrazioni dei livelli di occupazione, che non solo rimettono in discussione gli obiettivi del piano a livello regionale e nazionale, ma ci devono fare avvertiti che i tempi che si preparano sono tempi, anche sotto questo profilo, particolarmente difficili.
Noi ci eravamo proposti di discutere oggi più in generale la situazione della piccola industria, che evidentemente è, ancor più della grande industria, pressata da difficoltà di tipo congiunturale, e perciò più soggetta a rischi di chiusure, di crisi in conseguenza di aumenti, anche limitati, nei costi di produzione. La piccola industria sta certamente attraversando, nella nostra Regione, un momento particolarmente grave e difficile, che si riflette anche sui livelli di occupazione, perché accanto ai casi più grossi, più notevoli, che sono alla nostra attenzione, quelli della Magnadyne, della Falconi, della Tobler che conosciamo bene, c'é una miriade di licenziamenti in atto che interessano tutto il tessuto industriale della Regione, che si diffondono a livello delle piccole città del Piemonte, i cui sindaci ed amministratori sono particolarmente preoccupati, proprio perché c'é uno stillicidio di licenziamenti, una diminuzione della manodopera occupata che interessa tutti i comparti produttivi e tutte le aree della Regione. Paradossalmente la stessa norma del recente decreto ministeriale che ha introdotto una discriminazione nei massimali degli oneri sociali a favore della piccola e media industria rischia di tradursi in un ulteriore incentivo alla diminuzione di manodopera, nella misura in cui le piccole aziende - comprese nella fascia di occupati tra i 50 e i 100 addetti - tenderanno a ridurre la loro occupazione al di sotto dei 50 addetti per poter così beneficiare dei massimali minori, fissati appunto a 3500 lire, limitatamente alle aziende con meno di 50 addetti.
E' chiaro che questa realtà ci impone di iniziare un discorso nuovo prospettando, soprattutto, in termini radicalmente nuovi, il discorso sullo sviluppo del settore industriale e sulla difesa dell'occupazione in Piemonte. Oggi noi non possiamo più valerci dei dati sui quali abbiamo elaborato e costruito tutti i nostri programmi negli anni passati, proprio perché mai come in questo momento le medie statistiche, i dati aggregati tradiscono la realtà, che è fatta di profondi squilibri, che è fatta, anche nella nostra Regione, di profonde differenze qualitative all'interno dei diversi comparti produttivi e all'interno delle diverse aziende. Quindi dobbiamo procedere ad esaminare - per settore e nel caso delle grandi aziende anche per azienda - quali sono le caratteristiche produttive, i livelli di occupazione, le possibilità di sviluppo. E solo da una disaggregazione dei dati che riguardano la situazione economica industriale della Regione, procedere poi ad indicare le politiche e gli interventi di settore.
Da questo discorso emerge l'assoluta esigenza di dare alla politica degli enti pubblici, alla politica della Regione e dello Stato, gli strumenti necessari perché essa sia davvero penetrante e possa raggiungere i suoi risultati: piani territoriali che condizionino le localizzazioni e gli investimenti produttivi; Finanziaria pubblica per interventi come quello che oggi si impone nei confronti della Magnadyne; concertazione programmatica con le aziende e soprattutto avvio concreto e deciso della politica di programmazione a livello regionale e a livello nazionale.
Perché, colleghi del Consiglio, il caso della Magnadyne può e deve essere risolto secondo le linee che qui ci sono state indicate dalla Giunta e dai Colleghi che hanno parlato prima di me. Il caso è troppo grosso emblematico direi, perché i poteri pubblici possano ulteriormente restare in una posizione di sostanziale disinteresse, almeno a livello delle scelte e delle indicazioni operative. Il caso deve essere risolto con l'intervento del governo, con l'intervento della finanza pubblica, che del resto è già ampiamente impegnata nell'azienda. I lavoratori devono uscirsene stasera di qui con la consapevolezza che abbiamo fatto tutto quello che potevamo per sbloccare la situazione e che possono fondatamente ritenere che i loro diritti saranno tutelati, difesi, e dicendo diritti, voglio intendere tanto il diritto ad avere le retribuzioni che loro spettano quanto il diritto ad avere garanzie sul loro posto di lavoro. Però non ci possiamo fermare qui perché è importante che altre Magnadyne non ci siano nei prossimi anni, è importante che la situazione che oggi drammaticamente affrontiamo in Consiglio non si abbia a ripetere. Io credo (e non ce lo possiamo nascondere) che i fatti che abbiamo oggi dinanzi a noi siano un atto di accusa che va al di là della figura dell'imprenditore chiamato in questione o della cattiva organizzazione dell'azienda o di una crisi di mercato, o delle innumerevoli serie di errori di produzione e di mercato che stanno dietro a questa crisi; il caso Magnadyne investe il sistema così come esso è e come esso funziona, così come i lavoratori ed i poteri pubblici se lo trovano di fronte, investe l'irresponsabile comportamento di una fetta della classe dirigente italiana che oggi ripercorre quelle strade aperte non lontano da qui, nello spazio e anche nel tempo, da qualche altro imprenditore, come il biondo delinquente fuggitivo nel Libano.
Non è concepibile, in definitiva, colleghi del Consiglio, che tanto potere, cioè il potere di far vivere o di mettere sul lastrico tremila lavoratori e le loro famiglie, stia nelle mani di una sola persona. Non è concepibile che si possa ancora tranquillamente considerare "iniziativa privata" una realtà imprenditoriale nella quale è così preminente l'interesse pubblico, l'interesse dei lavoratori, dell'economia, dello sviluppo economico e industriale di un'intera Regione. E allora è chiaro che di qui, da questo episodio, deve nascere non solo l'impegno preciso a risolvere il caso della Magnadyne così come i lavoratori ci chiedono di risolverlo, ma anche il nostro impegno a marciare sulla strada di una politica economica diversa, sulla strada di quella politica di piano attraverso la quale gli interessi pubblici, gli interessi della collettività, possano prevalere sull'interesse - o forse si potrebbe almeno in questi casi, dire sul "disinteresse" - dei privati.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Signor Presidente, l'intervento del Consigliere Simonelli, che ritengo molto interessante e che ha proposto alla discussione dei temi che dobbiamo riprendere, mi induce però ad invitare il Consiglio a limitarsi per il momento esclusivamente al tema della Magnadyne. I termini sono noti, si tratta di arrivare a una posizione comune, possibilmente, in cui sia reso esplicito il volere di tutto il Consiglio regionale sulle proposte da fare al Ministro.
Quindi, se i colleghi e la Presidenza sono d'accordo, propongo che sulla base degli elementi emersi, una commissione di Consiglieri si riunisca intanto per proporre un o.d.g. che poi sottoporremo all'approvazione del Consiglio, in modo che sia chiaro che vogliamo concludere rapidamente, anche per consentire ai dipendenti della Magnadyne che aspettano la nostra risposta, di conoscerla senza dover attendere lunghe ore per un dibattito che è certamente interessante ma che potremo anche fare successivamente.



PRESIDENTE

Il Consigliere Berti propone praticamente una sospensione di seduta per consentire l'elaborazione di un documento che possa indicare la volontà del Consiglio. L'avrei suggerito anch'io se non avesse preso la parola, perch anche a me pare opportuno che dopo l'impegno manifestato dalla Giunta (e le relazioni dei tre assessori intervenuti in questo dibattito lo dimostrano) e da vari settori del Consiglio il dibattito non si deve concludere senza uno strumento che esprima la volontà del Consiglio stesso.
Se nessun altro chiede la parola per continuare la discussione sull'argomento specifico della Magnadyne cioè sulle comunicazioni fatte dai tre Assessori a nome della Giunta, sospenderei la seduta per alcuni minuti per dar luogo all'elaborazione del documento.
Vi è qualcuno che chiede ancora la parola sulle comunicazioni della Giunta? Nessuno chiede la parola. La seduta è sospesa.



(La seduta viene brevemente sospesa)



PRESIDENTE

La seduta è riaperta. Ha facoltà di parlare il Consigliere Bianchi che è uno dei presentatori dell'o.d.g. sottoscritto da vari Consiglieri. Prego anzi il Consigliere Bianchi di segnalare chi ha dato la sua adesione.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, signori Consiglieri, in questa interruzione si sono riuniti il Presidente della Giunta e i Presidenti dei Gruppi consiliari per riesaminare in concreto quali azioni, quali iniziative potessero essere ulteriormente assunte per manifestare non solo una solidarietà che è ormai clamorosamente, chiaramente manifestata e ovvia, ma per identificare, con assunzione piena di responsabilità e non solo formale, le linee concrete di soluzione e di intervento da parte della Regione attraverso i suoi organi.
E' stato altresì redatto un documento, brevissimo, sintetico, col quale si esprimono delle valutazioni e si formulano delle indicazioni e delle pressioni nei confronti dell'autorità anche governativa e politica, perch solleciti gli organi tecnici e finanziari competenti agli opportuni interventi. La riunione ha pure ritenuto di poter interpretare le valutazioni responsabili che le stesse assemblee dei dipendenti hanno fatto, in ordine ad alcuni aspetti positivi e negativi. Aspetti positivi sul tipo di soluzione da ricercarsi che non può che derivare dall'intervento del controllo pubblico sulla gestione dell'azienda e negativi, cioè tali da rimuovere o da impedire che possano proseguire nel tempo tipi di corresponsabilità legate alle sorti dell'azienda e all'esito doloroso cui si è giunti in questi giorni.
Dò quindi semplicemente lettura dell'o.d.g. che è stato sottoscritto da tutti i Gruppi presenti, con l'astensione del Gruppo liberale il quale devo dare atto (non voglio anticipare io le dichiarazioni che forse farà il Gruppo liberale), concorda sulla sostanza dell'o.d.g. e solo manifesta perplessità in ordine a quell'aspetto negativo, a quella richiesta di soluzioni che non comportino ulteriori responsabilità dell'attuale proprietà della Società. Ecco l'o.d.g.: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, riunito a Torino il 14.12.70 esaminata la situazione della Società Magnadyne, ascoltata la relazione della Giunta sulla quale concorda pienamente, considera come scelta obbligata, per garantire la piena occupazione e lo sviluppo produttivo dell'azienda, il controllo pubblico sulla gestione della stessa Magnadyne che escluda qualsiasi soluzione che comporti ulteriori responsabilità di gestione da parte dell'attuale proprietà".
Spiego che questo inciso significa che le prospettive di soluzione non possono comportare ulteriori responsabilità, ma tutte queste responsabilità sussistono allo stato attuale e sussistono per rendere possibile, per creare i ponti e rendere possibili le soluzioni finali che il Consiglio Regionale con questo o.d.g. auspica.
"Il Consiglio, tenendo conto che una soluzione positiva è condizionata dall'urgenza di decisioni politiche e finanziarie, invita il governo nazionale ad operare e a rispondere immediatamente".



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Zanone.



ZANONE Valerio

Dall'incontro dei Gruppi che ha avuto luogo pochi minuti fa, noi non abbiamo ricavato la certezza che la via indicata nell'o.d.g. sia la più efficace, soprattutto in assenza di concreti impegni di intervento immediato da parte dell'autorità pubblica centrale, al fine di garantire la piena occupazione dei lavoratori della Magnadyne, che è l'unico fine che ci stia a cuore. Non siamo neppure certi che sia la via più giusta (anche da un punto di vista per così dire etico), quello di sollevare preliminarmente e con un atto di forse eccessiva facilità il proprietario dell'azienda in questione dalle sue responsabilità in materia.
Per questo, nell'incertezza che la via seguita da questo o.d.g. possa avere un'applicazione immediata e ottenere il risultato che credo corrisponda all'obiettivo comune di tutto il Consiglio, il Gruppo liberale si asterrà dalla votazione.



PRESIDENTE

Nessun altro Consigliere chiede la parola? Ha facoltà, per esprimere il parere della Giunta, di parlare il Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente del Consiglio, signori Consiglieri, la Giunta accetta questo o.d.g. che si colloca nella linea lungo la quale la Giunta regionale si è mossa in questa dolorosa vicenda della Magnadyne, sollecitando l'intervento prima a livello tecnico e successivamente a livello di esame di intervento finanziario da parte dell'Istituto Immobiliare Italiano istituto che noi riteniamo possa, nella condizione attuale della Società venire incontro alle esigenze che sono state qui unanimemente espresse esigenze che riguardano la ripresa produttiva della Società e soprattutto il mantenimento del livello dell'occupazione operaia.
Noi riteniamo che il modo più concreto di portare la solidarietà della Regione ai lavoratori che in questo momento sono colpiti da queste vicende sia un impegno nei termini più concreti, per fare in modo che la crisi venga superata e venga superato anche il dubbio che si è affacciato da molte parti relativamente al tipo ed al modo di gestire la Magnadyne.
Dalle relazioni che i colleghi Assessori hanno fatto, dai dati che, sia pure con un'analisi non completamente dettagliata, ma a giudizio mio sufficientemente vasta, ne sono scaturiti, abbiamo modo di non avere un'opinione pessimistica circa il futuro di questa Società. Certo i passaggi sono difficili, tutti quanti dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo di fronte ad una realtà aziendale che avendo già subito nel passato forti scossoni, non consente certo di commettere degli atti di leggerezza o di faciloneria per quanto riguarda la soluzione del problema.
Mentre richiamo anche se non è affatto necessario, questa valutazione, con grande responsabilità da parte di tutti, voglio sottolineare l'atteggiamento unanime del Consiglio che rende ancora più impegnata la Giunta a proseguire lungo la linea nella quale già ha cominciato a camminare, per fornire ai lavoratori intanto della Magnadyne, così come ad una zona molto importante come quella della Valle di Susa, la solidarietà della Giunta, la solidarietà della Regione. Il fatto di essere al loro fianco è senza dubbio un motivo che ci stimola e ci spinge a fare in modo che la soluzione che andiamo ricercando avvenga nei tempi e nei modi più rapidi e più confacenti possibile.
Accettando quindi questo o.d.g., dichiaro che la Giunta si impegna a fare in modo che nel più breve tempo possibile siano prospettate delle soluzioni favorevoli affinché la situazione della Magnadyne si risolva.
Vorrei dire anche che la richiesta di controllo pubblico sulla gestione non significa affatto che vengano sollevate dalle proprie responsabilità a coloro che responsabilità hanno avuto fino ad ora nella gestione stessa significa soltanto che sicurezza e tranquillità vogliono che questa soluzione sia garantita da una gestione che non commetta più quei gravi errori di previsione che sono stati qui denunciati e che pongono i lavoratori in una situazione di particolare difficoltà. Secondo noi il controllo della gestione è uno degli elementi che può garantire sviluppo e sicurezza di lavoro.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'o.d.g. (del quale darò nuovamente lettura) presentato dai Consiglieri Bianchi, Nesi, Curci, Debenedetti.
"Il Consiglio Regionale del Piemonte, riunito a Torino il 14/12/1970 esaminata la situazione della Società Magnadyne; ascoltata la relazione della Giunta sulla quale concorda pienamente considera come scelta obbligata per garantire la piena occupazione e lo sviluppo produttivo dell'Azienda, il controllo pubblico sulla gestione della stessa Magnadyne, che escluda qualsiasi soluzione che comporti ulteriori responsabilità di gestione da parte dell'attuale proprietà.
Il Consiglio tenendo conto che una soluzione positiva è condizionata dall'urgenza di decisioni politiche e finanziarie, invita il Governo Nazionale ad operare e rispondere immediatamente".
Pongo in votazione l'o.d.g., che ha l'approvazione della Giunta.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano. E' approvato.
Data l'ora, signori Consiglieri, credo sia difficile iniziare ora con freschezza di mente l'esame dei successivi punti all'o.d.g. Mi proporrei quindi di convocare il Consiglio in due sedute nella giornata di domani, la prima alle ore 10, la seconda alle ore 16, sperando che entro domani sera si possano concludere i lavori.
Prima di dare lettura dell'o.d.g. della seduta di domani, vorrei pregare i Signori Presidenti dei Gruppi, il signor Presidente della Giunta o Assessore da lui delegato, di fermarsi qui per una riunione dei Capigruppo per l'ordine dei lavori.


Argomento:

Ordine del giorno della seduta di domani


PRESIDENTE

La seduta di domattina è convocata in questa sede alle ore 10 con il seguente o.d.g.: approvazione verbali precedenti sedute mozione sulla piccola e media industria mozione sull'agricoltura mozione sulla riforma tributaria elezione dei rappresentanti del Consiglio Regionale nel comitato di controllo sulle province.
Ricordo ancora ai membri della Giunta delle elezioni che sono convocati per il loro insediamento in questa sede, qui a Palazzo Madama alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,30)



< torna indietro