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Dettaglio seduta n.2 del 22/07/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Pregherei i signori Consiglieri, specialmente quelli che sono assenti di essere puntuali perché desidererei cominciare le sedute alle ore fissate e non essere costretto a ritardarne l'inizio per la mancanza di un gran numero di Consiglieri. Questo nell'interesse dell'intero Consiglio, della funzionalità e della rapidità dei lavori.


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta


PRESIDENTE

Al primo punto all'o.d.g. abbiamo l'approvazione del verbale della precedente seduta. Gli interventi relativi alla seduta del 13 luglio 1970 sono stati mandati a tutti Consiglieri che hanno preso la parola. La parte deliberativa del verbale, relativa alla nomina dell'ufficio di Presidenza è a disposizione dei Consiglieri che vogliono prenderne visione.
Se non vi sono osservazioni in merito a quanto sopra, il verbale della seduta del 13 luglio 1970 si intende approvato. Non vi sono osservazioni il verbale è approvato. Il verbale stesso sarà dato alle stampe e trasmesso a ciascun Consigliere.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Al secondo punto all'o.d.g., vi sono le comunicazioni del Presidente dell'assemblea.
In primo luogo desidero comunicare all'assemblea la decisione dell'ufficio di Presidenza di inviare una serie di messaggi al Capo dello Stato, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro per l'attuazione delle Regioni e ai due Ministri piemontesi Donat-Cattin e Giolitti. Al Capo dello Stato è stato inviato dal Presidente del Consiglio della Regione, il seguente messaggio di cui d lettura integrale: "Il 13 luglio 1970 la Regione Piemonte ha solennemente assunto l'esercizio dei propri poteri e funzioni previsti dalla Costituzione.
L'Assemblea Regionale nella prima adunanza ha compiuto, con piena consapevolezza e concordia di intenti, il primo suo atto ufficiale eleggendo il Presidente del Consiglio e l'Ufficio di Presidenza.
Assumendo la carica per unanimità di consensi, a nome dell'intero Consiglio e dell'Ufficio di Presidenza, rivolgo al Capo dello Stato, figlio e protagonista di questa nostra terra piemontese, garante delle libertà democratiche, il saluto e i voti più fervidi unitamente al messaggio scaturito da tutti i banchi del Consiglio stesso di sentimento e impegno unanimi tesi al raggiungimento, attraverso i nuovi organi costituzionali di alte finalità di vita civile e democratica, di progresso economico e sociale di pienezza e dignità di lavoro".
Il Capo dello Stato ci ha risposto con il seguente telegramma, a me indirizzato e rivolto a tutto il Consiglio: "Le sono sinceramente grato per le cortesi espressioni rivoltemi e La prego di voler partecipare questi miei sentimenti ai componenti il Consiglio Regionale. Ella ha voluto rammentare i particolari vincoli che mi legano alla nobile terra piemontese ed in verità sono fiero di sentirmene figlio, quando ricordo gli anni giovanili e l'affettuosa, fervida amicizia con tanti illustri esponenti di codesta Regione nel segno di una comune milizia per l'affermazione degli ideali di libertà e democrazia. Con tale animo rivolgo un caldo saluto a lei ed ai componenti il Consiglio Regionale e formulo l'augurio che codesta Assemblea secondo i dettami della nostra Costituzione scaturisca ulteriore stimolo per il progresso economico e sociale del Piemonte, Cordialmente Giuseppe Saragat".
Ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati ho inviato due messaggi che dopo espressioni di saluto e di augurio contengono indicazioni precise su quanto, a mio giudizio, il Consiglio Regionale, si attende dai due rami dei Parlamento. Leggo soltanto il periodo che mi pare più rilevante ai fini concreti del nostro lavoro: "Il Consiglio Regionale Piemontese, nell'accingersi all'assolvimento dei compiti affidatigli dalla Costituzione, si augura di poter validamente contribuire al civile e democratico progresso della nazione e confida che per parte loro gli organi legislativi dello Stato compiano, con sollecitudine, l'indispensabile opera di aggiornamento e completamento della vigente legislazione, atta a concretare la piena attuazione, del dettato costituzionale delle materie di competenza delle Regioni" Al Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, dopo un messaggio augurale, ho affermato che "la Regione, accingendosi ai proprii compiti costituzionali, spera di offrire un valido contributo allo sviluppo dell'intera Nazione. Auspico tuttavia che il governo dia sollecitamente corso alla piena attuazione del dettame costituzionale perfezionando ed emanando tutti gli atti di natura legislativa e regolamentari idonei a un effettivo trasferimento di poteri e di funzioni dello Stato al nuovo Ente".
Al Ministro per l'attuazione delle Regioni, dopo un messaggio con parole di augurio, affermo che "il Consiglio Regionale piemontese auspica tuttavia che il governo e il Parlamento italiani diano progressiva attuazione al dettato costituzionale, procedendo sollecitamente all'emanazione dei provvedimenti legislativi ed alle necessarie deleghe di poteri e funzioni" Sono stati pure mandati due messaggi augurali dei quali ho fatto cenno sopra, al Ministro Donat-Cattin ed al Ministro Giolitti. Il Ministro Giolitti ha risposto con un telegramma che mi è pervenuto nella giornata di ieri.
Desidero pure informare il Consiglio dell'attività che è stata svolta nei giorni scorsi dall'ufficio di Presidenza, che ha attinenza con i lavori del Consiglio. Nella giornata del 15 luglio si è svolta una prima riunione dell'ufficio di Presidenza per stabilire la data di convocazione del Consiglio, nonché l'o.d.g. e abbiamo proceduto a questo adempimento senza attendere di poterci incontrare immediatamente con i rappresentanti dei gruppi consiliari, perché, se avessimo dovuto rinviare questa seduta, la stessa convocazione, per i termini di legge, sarebbe stata spostata di circa una settimana, avendo in mezzo le giornate festive e rinviando in questo modo adempimenti che, eseguiti sollecitamente dal Consiglio stesso permetteranno al Consiglio anche di andare in vacanza un po' più rapidamente e alle commissioni di poter iniziare, nello scorcio del mese di luglio che ci rimane, il loro lavoro.
Il 17 luglio, tuttavia, si è di nuovo riunito l'ufficio di Presidenza insieme alla conferenza dei capi gruppo, per chiarimenti intorno alla formazione dell'o.d.g. e per stabilire accordi tra i gruppi per un primo dibattito sulle linee essenziali dello Statuto. Desidero avvertire che questo incontro dell'ufficio di Presidenza con la conferenza dei capi gruppo, che noi abbiamo immediatamente introdotto come norma regolamentare provvisoria per un migliore e più efficace lavoro del Consiglio Regionale piemontese, è stata presa in considerazione dalla Camera dei Deputati, come ce ne informa la stampa di questa mattina, come nuova norma risultata da 25 anni di esperienza di lavoro parlamentare da introdurre in maniera istituzionale nel regolamento della Camera e suppongo che la stessa cosa avvenga nel regolamento del Senato. Credo che, per un più agevole rapporto tra i gruppi, tra la Presidenza e il Consiglio convenga che i gruppi stessi siano sempre messi in grado, prima di essere costretti ad esprimere un loro eventuale dissenso pubblico in Consiglio, di discutere tutti quanti fra di loro il modo in cui il Consiglio stesso è chiamato a funzionare. E, a questo riguardo, in comunicazioni successive e in proposte che mi riservo di formulare al Consiglio stesso, la riunione del Consiglio di Presidenza con la conferenza dei capi gruppo ha permesso di raggiungere intese che probabilmente, se questa conferenza non si fosse riunita con Consiglio di Presidenza, avrebbero richiesto al Consiglio lunghe ore di dibattito, con conclusioni che non sarebbero certamente state accolte in maniera così unanime come sono state accolte dalla conferenza dei capi gruppo.
Inoltre, il 20 luglio, l'ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale ha ritenuto di dar corso ad alcune proposte che io formulai nel discorso con il quale accettai la elezione a Presidente del Consiglio Regionale mediante alcuni incontri iniziali con organizzazioni di categoria a carattere non formale che miravano e mireranno in avvenire a mettere categorie e gruppi, non rappresentati direttamente al Consiglio, in condizione di poter direttamente manifestare al Consiglio Regionale le loro opinioni, salvo naturalmente il diritto del Consiglio Regionale di prenderle o non prenderle in considerazione nelle forme che stabilirà nel proprio Statuto e nel proprio regolamento e salvo naturalmente il diritto della Giunta di utilizzare la pienezza dei suoi poteri nei rapporti stessi che la Giunta vorrà stabilire non soltanto col Consiglio ma con la società piemontese nel suo complesso.
In questo quadro, l'ufficio di Presidenza ha avuto un incontro con rappresentanti delle tre organizzazioni sindacali a livello regionale e con il Presidente del Comitato di Coordinamento tra le associazioni industriali del Piemonte, in due incontri separati che, ripeto, hanno avuto carattere assolutamente non formale e che hanno consentito a queste organizzazioni di esprimere i loro pensieri, i loro orientamenti sull'inizio del funzionamento dell'Ente Regione.
L'ufficio di Presidenza si è pure riunito in quanto tale, nella giornata del 20 luglio, per procedete all'esame delle condizioni di eleggibilità dei Consiglieri regionali. Ricorderete che, a questo esame, il Consiglio di presidenza era stato delegato come commissione istruttoria, in maniera da poter rendere conto poi al Consiglio e mettere il Consiglio stesso in condizione di procedere alla delibera legale in materia di eleggibilità dei proprii componenti. Nel punto dell'o.d.g. relativo all'esame delle condizioni di eleggibilità vi comunicherò le conclusioni cui e giunto il Consiglio di Presidenza.
Vi sono alcuni problemi sui quali mi limito soltanto a fare comunicazioni perché per alcuni di questi si deve attendere la formazione della Giunta, ma essendo problemi che richiedono soluzioni urgenti, e bene che il Consiglio ne sia edotto fin da questo momento, salvo poi, nel momento della formazione della Giunta, a studiare le forme in cui la Giunta, nel campo del proprio potere di iniziativa, e il Consiglio Regionale, attraverso i suoi organi di Presidenza, riescano a dare sollecita soluzione a questi problemi. Uno di questi, che non è secondario anche se può apparire simbolico, è quello della scelta dell'emblema regionale. Noi riteniamo, come ufficio di Presidenza, che alla ripresa autunnale sia bene che la questione sia istruita dallo stesso ufficio di Presidenza, in modo da poter poi mettere il Consiglio, sollecitamente e sulla base di apposita documentazione, in condizione di prendere le deliberazioni del caso. Naturalmente, anche su questo problema bisogna attendere la formazione della Giunta per concordare con la Giunta stessa le necessarie procedure per raggiungere questo scopo.
Vi è poi un problema della stessa natura, assai più importante, che richiede anch'esso la formazione della Giunta, la quale ha poteri di iniziativa in questo campo, che è quello degli studi necessari per la scelta della sede definitiva della Regione, studi che dovranno mettere il Consiglio, quando le proposte saranno mature, in condizione da formulare le proprie scelte per dare anche a questo problema la soluzione quanto più sollecita possibile. E vorrei ricordare a questo proposito quanto già dissi nel corso della seduta precedente del Consiglio, che la scelta di una sede definitiva della Regione e l'insediamento della Regione in una sede definitiva contribuiranno in maniera forse determinante e decisiva a togliere al nostro istituto quel carattere di provvisorietà che i suoi lavori attuali tendono a smentire, ma che per l'opinione pubblica verrà smentito in modo definitivo quando si vedrà il Consiglio Regionale operare con tutti i suoi organi, quando si vedrà inoltre la Giunta con tutti i suoi Assessori operare in una sede che sia la sede definitiva della Regione.
La Giunta stessa dovrà, non appena costituita, indicarci le forme e i modi in cui ritiene di dovere affrontare il problema dell'assetto anche provvisorio del personale della Regione. Non si tratta di dare quell'assetto che deriverà dalla elaborazione dell'approvazione dello Statuto, ma occorre che la Regione sia messa, anche in questi primi mesi, e cioè nella sua fase costituente, in condizione di lavorare efficacemente e di mettere i proprii componenti chiamati a far parte di eventuali commissioni per l'elaborazione dello Statuto e del regolamento, nella possibilità di avere locali, di avere funzionari, di avere esperti a loro disposizione, affinché il Consiglio possa essere provvisto, di qui ad alcune settimane, di progetti che si saranno avvalsi di tutti questi contributi che sono subordinati alla soluzione di questi problemi pregiudiziali ma determinanti.
Infine, vi è una questione che presenta una certa delicatezza.
L'ufficio di Presidenza ha ritenuto, in questa prima fase, di dover convocare il Consiglio Regionale per due sedute al giorno nella giornata di oggi e nella giornata di domani. Nell'incontro del Consiglio di Presidenza con i capi gruppo è stato stabilito di dedicare le sedute di oggi e di domani a questi adempimenti e ad una discussione preliminare sui principi informatori dello Statuto, che possa servire da orientamento ai componenti del Consiglio che, nel corso delle settimane estive, saranno chiamati a lavorare per mettere il Consiglio stesso, alla ripresa, in condizione da affrontare il problema della elaborazione del proprio Statuto, nelle forme e nei modi definitivi che saranno allora stabiliti, in maniera sollecita ed efficace. Ma non si può tuttavia chiedere ai Consiglieri regionali di lavorare in queste adunanze, di partecipare a commissioni che saranno chiamate a lavorare in settimane in cui normalmente anche il Parlamento nazionale va in vacanza e di avvalersi eventualmente del parere di esperti senza porli anche nelle condizioni materiali di affrontare questo gravame.
La legge che per il momento siamo tenuti ad applicare, prevede nei suoi artt. 16,17,24 e 29 la elaborazione di leggi regionali che non siamo ancora in grado di varare in questa sessione e che sono destinate a fissare i compensi e le indennità di presenza dei vari organi di questo Consiglio Regionale. Nel frattempo un decreto legislativo, emanato nelle scorse settimane, conferisce al Presidente della Giunta il potere di amministrare il primo fondo di insediamento messo a disposizione della Regione. Il Consiglio, che sarà sovrano nello stabilire con proprie leggi queste indennità, non ha tuttavia competenza, in questa fase, per fissare compensi e anticipazioni che permettano tuttavia ai proprii componenti, fin da questo momento, di poter dare il loro contributo e di non essere scoperti per quello che riguarda le spese che saranno chiamati a sostenere.
Io non voglio anticipare nessuna proposta e nessuna comunicazione in un campo che in questa fase e di competenza esclusiva del Presidente della Giunta che noi non abbiamo ancora eletto. Mi riservo, però, non appena il Presidente della Giunta sia stato eletto, di consultarmi con lo stesso Presidente della Giunta in modo che questa sessione del Consiglio non si concluda senza che questo problema, almeno in via provvisoria, sia stato risolto.
Vi è un'altra questione, che presume la formazione della Giunta, perch la nomina dei componenti del Comitato, di cui ora parlerò, appartiene al Presidente della Giunta, ed è quella della creazione, in base agli artt. 55 e 56 della legge 1953, dei Comitati o del Comitato per controllo sulle Province, sui Comuni e sugli Enti locali. Ho detto del Comitato o dei Comitati, perché la legge prevede la possibilità o di utilizzare un solo Comitato nel quale il Consiglio è chiamato ad eleggere tre membri - e sottolineo che non si tratta delle terne che siamo chiamati ad eleggere per il controllo sulla Regione, terne la cui composizione è già all'o.d.g. di questa sessione del Consiglio. Si tratta di quei Comitati che metteranno la Regione in condizione di esercitare uno dei suoi poteri più importanti, che è il controllo sulle Province e sui Comuni. Ma, siccome la scelta delle forme in cui questo controllo si eserciterà sui Comuni, e di spettanza della Giunta, dobbiamo attendere che la Giunta sia formata per poter successivamente definire le forme in cui questi controlli si eserciteranno e provvedere, per quando è di competenza del Consiglio, alla elezione dei rappresentanti del Consiglio in questo o in questi Comitati.
Signori Consiglieri, non vi sono altre comunicazioni, con la riserva che ho formulato all'inizio, di fare proposte per risolvere alcuni dei quesiti che sono all'o.d.g. o che sono stati da me menzionati nel corso di queste comunicazioni e quindi possiamo procedere all'esame del terzo punto all'o.d.g.
Prima di procedere all'esame di questo terzo punto però, dò la parola a chi la volesse chiedere, sulle comunicazioni del Presidente.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Per un'interrogazione verbale signor Presidente. Desidererei conoscere i motivi per cui all'incontro tra l'ufficio di Presidenza e le organizzatimi sindacali , non è stata invitata anche la CISNAL.



PRESIDENTE

Sono stati invitati, come è consuetudine negli incontri fra il governo e i sindacati, questi tre sindacati, dall'ufficio di Presidenza, ma se altre organizzazioni richiedono di incontrarsi con lo stesso ufficio di Presidenza, questo si riserva di riceverle, come è diritto di tutte le organizzazioni esistenti nel campo sindacale o in altri campi, di chiedere udienza all'ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale; sempre naturalmente, che abbiano un'organizzazione regionale, che conferisce al Consiglio di Presidenza del Consiglio Regionale, non dico competenza perché qui siamo in un campo di rapporti informali, ma per lo meno autorità sufficiente per incontrare queste organizzazioni. Problema che però non si applica all'interrogazione che lei ha formulato perché mi pare che quell'organizzazione sia regionale.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Vorrei un chiarimento su quello che lei sottolineava, sui Comitati di controllo sugli enti ai livelli inferiori, cioè Comuni e Province. Mi sembra che avesse sottolineato che in questo campo ci sono delle competenze del Presidente della Giunta. Io mi riguardavo la legge Scelba....



PRESIDENTE

Per la nomina. Il Presidente della Giunta nomina il Comitato di controllo e il Consiglio elegge i proprii rappresentanti in questo Comitato.



GANDOLFI Aldo

Mi sembra che ci sia un fatto preliminare: deve essere lo Statuto regionale a definire se di Comitati di controllo sui Comuni ce n'e uno per tutta la Regione o se ce n'è uno in ogni capoluogo di provincia. C'é una decisione preliminare che va definita nell'ambito dell'approvazione dello Statuto. Dopo di che subentra effettivamente quel tipo di competenza cui il Presidente ha accennato.
Ci tenevo a chiarire questo punto perché mi sembra che questo tipo di problema vada rimandato a dopo la discussione dello Statuto su questi punti.
"Lo Statuto regionale provvede a stabilire se il controllo sugli atti del Comune debba essere esercitato dallo stesso Comitato di cui all'art 55 o se debba svolgersi in forma decentrata"



PRESIDENTE

Senza dubbio, ma ho voluto ricordare a noi stessi quello che sarà uno dei poteri essenziali della Regione, su cui probabilmente il Consiglio dovrà aprire un'ampia discussione perché è uno dei problemi sui quali nel campo dottrinale e nel campo dei convegni fatti in varie Regioni, sono state sollevate maggiori riserve sulla costituzionalità della legge che prevede queste disposizioni.



GANDOLFI Aldo

Ci tenevo solo a chiarire il punto: a me sembra che non è tanto un problema di competenza del Presidente della Giunta quanto...



PRESIDENTE

Secondo la legge vigente deve esserci un Presidente della Giunta e deve esserci uno Statuto perché si possa procedere...



GANDOLFI Aldo

Questo è chiaro, ma innanzi tutto lo Statuto.



PRESIDENTE

Si, si, d'accordo Ha chiesto di parlare il Consigliere Berti Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

E' ormai acquisito da tutti che noi della legge Scelba facciamo un uso discrezionale (nella misura in cui ci serve per mettere immediatamente in funzione la Regione) e la usiamo ponendo il problema del suo superamento come appare dai convegni che in varie parti d'Italia si stanno tenendo all'atto della formazione dello Statuto. Tuttavia il controllo sulle Province, sui Comuni e sugli altri Enti locali, mi sembra un problema da discutere; non so se si può fare adesso, in sede di comunicazioni.



PRESIDENTE

Vorrei pregarla Consigliere Berti, siccome abbiamo deciso, nella riunione dei capigruppo alla quale anch'ella ha partecipato, di dedicare da tre a quattro sedute, alla discussione dei principi informatori dello Statuto, di sollevare questa questione più ampiamente quando passiamo a questa parte della discussione.
Io ho voluto soltanto rammentare l'esistenza di alcuni adempimenti.
Quanto poi al modo di svolgere questa attività è chiaro che quanto è di competenza dello Statuto, verrà discusso in queste riunioni e poi verrà discusso quando procederemo alla elaborazione e all'approvazione dello Statuto stesso.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Convalida degli eletti. Adempimenti relativi


PRESIDENTE

Passiamo al n. 3 dell'o.d.g.: "Convalida degli eletti. Adempimenti relativi".
Occorre che il Consiglio, ai sensi degli artt. 17 e seguenti della legge 17/2/1968, n. 108, proceda alla convalida della elezione dei propri componenti.
Dai verbali dell'Ufficio regionale centrale e degli Uffici circoscrizionali regionali sono stati proclamati eletti i seguenti Consiglieri: Circoscrizione di Alessandria: Lista n. 1 (P.C.I.): RASCHIO LUCIANO - MARCHESOTTI DOMENICO; Lista n. 4 (P.S.U.): DE BENEDETTI ANGELO; Lista n. 5 (P.S.I.): SIMONELLI CLAUDIO Lista n. 6 (P.L.I.): GERINI ARMANDO; Lista n. 9 (D.C.): ARMELLA ANGELO



BIANCHI ADRIANO; Circoscrizione di Asti

Lista n. 1 (P.C.I.): FERRARIS BRUNO; Lista n. 9 (D.C.): MENOZZI



STANISLAO - BORELLO GIOVANNI

Circoscrizione di Cuneo: Lista n. 2 (P.S.I.): VIGLIONE ALDO; Lista n. 5 (P.L.I.): FASSINO GIUSEPPE; Lista n. 9 (D.C.): GILETTA GIUSEPPE CHIAFFREDO - FALCO GIOVANNI



MARIO - SOLDANO ALBERTINA - PAGANELLI ETTORE FRANCESCO

Circoscrizione di Novara: Lista n. 1 (P.C.I.): SANLORENZO BERNARDO - BONO SERENO; Lista n. 4 (M.S.I.): CARAZZONI CARLO; Lista n. 5 (P.S.I.): FONIO MARIO; Lista n. 7 (P.S.U.): CARDINALI GIULIO; Lista n. 8 (D.C.): BELTRAMI VITTORIO - BORANDO CARLO Circoscrizione di Torino Lista n. 1 (P.C.I.); MINUCCI ADALBERTO - LO TURCO GIORGIO - FURIA



GIOVANNI - BERTI ANTONIO - RIVALTA LUIGI - REVELLI FRANCESCO; Lista n. 2

(P.R.I.): GANDOLFI ALDO; Lista n. 3 (P.S.I.U.P.): GIOVANA MARIO; Lista n. 5 (P.L.I.): ROTTA CESARE - ZANONE VALERIO; Lista n. 6 (P.S.I.): VITTORELLI



PAOLO - NESI NERIO; Lista n. 7 (M.S.I.): CURCI DOMENICO; Lista n. 8



(Si procede alla votazione per alzata di mano)



PRESIDENTE

Dò atto che il Consiglio ha preso atto delle singole situazioni indicate nei predetti punti all'unanimità dei 47 Consiglieri presenti.


Argomento: Statuto - Regolamento

Statuto regionale. Adempimenti


PRESIDENTE

Passiamo al n. 4 dell'o.d.g.: "Lo Statuto regionale. Adempimenti".
Prima di aprire la discussione sui principi ispiratori dello Statuto, e riservandomi di formulare, al termine di questa discussione, che si potrà svolgere nelle sedute di questa mattina, di questo pomeriggio, di domani ed eventualmente di domani pomeriggio, alcune proposte per quello che riguarda i modi pratici di mettere il Consiglio in grado di elaborare lo Statuto della Regione, desidero ricordare preventivamente alcune considerazioni che derivano dallo stato presente della legislazione.
Non desidero rifarmi, come già feci nel mio discorso nel corso della prima seduta del Consiglio, ai rilievi che sono stati messi all'interpretazione data dal legislatore alle norme costituzionali relative alle Regioni. Spetta del resto al Consiglio ed ai proprii componenti di sollevare queste questioni nel corso della discussione che sta per aprirsi.
Allo stato delle leggi e riferendoci alla legge del 10.2.1953 n. 62 sulla Costituzione e funzionamento degli organi regionali, alla legge elettorale regionale n. 108 del 1968, alla legge sulla finanza regionale e tenendo presenti gli Statuti delle Regioni a statuto speciale particolarmente quello del Friuli-Venezia-Giulia, che è il più recente e quello che, per molte ragioni, ha più punti in contatto con i futuri Statuti ordinari, si possono fare alcune osservazioni e previsioni su quello che potrà essere, a grandi linee, l'aspetto dello Statuto delle Regioni a Statuto ordinario. Naturalmente, gli Statuti si adatteranno alle esigenze locali e differiranno perciò notevolmente l'uno dall'altro; è facoltà di ciascun Consiglio Regionale delle Regioni a Statuto ordinario di elaborare in piena autonomia il proprio Statuto, quali che siano gli orientamenti delle altre Regioni a Statuto ordinario e naturalmente anche delle Regioni a Statuto speciale.
Qui si vuole solo esaminare quali, in base alle leggi vigenti ed agli esempi precedenti degli Statuti speciali, potrebbero essere alcune direttive di carattere prettamente giuridico e formale. E sottolineo il carattere giuridico e formale delle considerazioni che sto per fare, perch lo Statuto (come la Costituzione dello Stato), non può essere un elenco di norme astratte e morte, ma deve anche corrispondere alla analisi delle condizioni politiche, economiche e sociali che verrà certamente effettuata sia nel corso di queste adunanze, sia nel corso dei lavori preparatori dello Statuto, per poter poi trarre quelle conseguenze giuridiche di carattere statutario che meglio corrispondano, secondo l'opinione del Consiglio regionale, alle esigenze della Regione piemontese.
Bisogna sottolineare anzitutto una grossa differenza formale tra gli Statuti delle Regioni speciali e quelli delle Regioni ordinarie. Mentre i primi, rifatti, sono deliberati dal Parlamento nazionale con legge costituzionale dello Stato, i secondi vengono deliberati dai rispettivi Consigli Regionali per essere poi approvati dal Parlamento con legge ordinaria. E qui, se posso utilizzare questa espressione neologistica, si ha una specie di bicameralismo verticale, in cui i Consigli regionali fungono da prima Camera e il Parlamento, nei suoi due rami, funge da seconda Camera, la cui approvazione dello Statuto proposto dal Consiglio regionale è indispensabile per dare forza di legge, ma anche forza coattiva, in sede regionale, allo Statuto stesso.
Sembrerebbe perciò, questo, un aspetto di maggiore autonomia delle Regioni a Statuto ordinano nei confronti di quelle a Statuto speciale.In realtà, la legge del 10.2 53 n.62 dà direttive così precise e vincolanti che la discrezionalità del legislatore statutario è ridotta al minimo. E' da notare però che da più parti si ritiene che questa legge n. 62 del 1953 sia incostituzionale violando l'art 123 della Costituzione, il quale afferma che "ogni statuto stabilisce le norme relative all'organizzazione interna della Regione".
Non è naturalmente compito del Presidente di questo Consiglio esprimere un'opinione in merito a questo problema. E' tuttavia suo compito richiamare il Consiglio stesso alle numerose discussioni che sono già avvenute nel campo dottrinale e nel campo delle varie forme politiche, perché lo stesso Consiglio Regionale piemontese sia, prima di affrontare questa parte dei suoi lavori, edotto di una discussione aperta in merito alla costituzionalità di questa legge.
Premesso ancora che lo Statuto dovrà essere deliberato dal Consiglio entro 120 giorni dalla prima convocazione - come afferma l'art. 75 della legge del 1953 - questo dovrebbe essere lo schema generale, tenendo sempre presente quanto si è detto e cioè che non si tiene conto delle norme che saranno introdotte, per ragioni contingenti, varianti da Regione a Regione.
Tengo anche ad osservare che, sul termine dei 120 giorni, vi sono discussioni circa il carattere perentorio che questo stesso termine ha. Pur tuttavia io ritengo, come Presidente di questo Consiglio, che se la Regione Piemonte, nel suo Consiglio Regionale, fosse in grado, - non perché il termine sia necessariamente vincolante - di tenere conto di questo termine e di approvare il proprio Statuto entro il termine di 120 giorni, essa non soltanto darebbe prova di estrema serietà, ma, quello che praticamente è più importante, metterebbe in grado se stessa, con lo Statuto approvato, di esercitare la pienezza delle potestà che le sono conferite dalla Costituzione e che non possono essere esercitate fino a quando lo Statuto non sia stato approvato.
Lo Statuto è una delle condizioni che permettono alla Regione di esercitare le sue potestà; ve ne sono altre derivanti dalla Costituzione e dalla legge, che saremo meglio in grado di esigere, come Consiglio Regionale piemontese, dagli organi ai quali compete di emanare le norme necessarie, nella misura in cui noi stessi ci saremo messi in grado di recepire compiti, poteri e attribuzioni che ci debbono derivare da altre fonti del diritto che non siano quelle delle deliberazioni dello stesso Consiglio Regionale.
Questi orientamenti si possono così sintetizzare: innanzi tutto lo Statuto dovrebbe specificare, entro i limiti dell'art. 117 della Costituzione, che è inoppugnabile, perché fa parte della Costituzione l'estrinsecazione della potestà legislativa della Regione, che, come è noto, per le Regioni a Statuto ordinario, e secondaria, cioè deve rimanere nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
Naturalmente, tali materie sono esclusivamente quelle previste dalla Costituzione e lo Statuto non potrà prevederne altre, ma in quest'ambito potrà centrare più particolarmente, tenendo presenti le esigenze proprie della Regione, i modi di atteggiarsi concreti di questa facoltà.
Per quel che riguarda la funzione amministrativa, che deve avere la stessa estensione di quella legislativa, lo Statuto dovrà contenere norme sulla delega di funzioni amministrative della Regione e Province, Comuni ed altri Enti locali, per oggetti definiti e per tempo determinato, come prevede del resto l'art, 1 della legge n. 62.
Su quest'ultimo punto, si può notare che lo schema di disegno di legge De Mita, che è rimasto allo stato di schema di disegno di legge, demanda invece alla legge regionale la determinazione dei limiti e delle modalità dell'esercizio del potere di delega dalla Regione agli Enti locali minori.
Anche questa è una di quelle materie sulle quali il Consiglio Regionale dovrà pronunciarsi in merito all'applicabilità e costituzionalità o meno dell'art. 1 della legge n. 62 del 1953.
In secondo luogo, lo Statuto dovrà contenere norme sull'organizzazione degli Uffici regionali, sul funzionamento del Consiglio e della Giunta regionale, sui rapporti fra Consiglio, Giunta e Presidente regionale, ma la discrezionalità del legislatore statutario é, per ora, fortemente limitata dalla legge 62 del 1953 che si intitola appunto "Costituzione e funzionamento degli organi regionali". Sarebbe forse stato meglio se quella legge avesse proposto una riforma della Costituzione che avesse demandato al legislatore il potere di fare esso stesso gli Statuti delle Regioni a statuto ordinario.
I precetti contenuti in quella legge dovranno naturalmente essere oggetto di discussione nell'ambito di questo Consiglio e dovranno anche indurci a ricercare quelle forme legali e costituzionali nelle quali noi potremo fare uno Statuto che non corra il rischio di essere bocciato dal Parlamento nazionale. E questo richiamo, che desidero fare incidentalmente serve a completare quello precedente relativo all'opportunità che lo Statuto sia elaborato nel termine di 120 giorni.
Non servirebbe a nulla che il Consiglio regionale piemontese concludesse per primo questa parte delle proprie attività, presentando poi al Parlamento nazionale, senza avere accertato le possibilità che lo Statuto venga approvato dal Parlamento stesso, uno Statuto destinato ad essere bocciato. E' quindi compito del Consiglio, dei suoi organi e della Giunta, ricercare i modi nei quali sia possibile, per lo stesso Consiglio esercitare una pressione anche sugli organi centrali dello Stato allo scopo di potere, entro questo breve termine di 120 giorni, elaborare uno Statuto che sia snello ed efficiente anche quando non si uniformi alla legge del 1953, ma sapendo pure che al momento in cui sarà raggiunto in sede regionale questo traguardo, vi siano già procedure in atto o per iniziativa della Regione, o per iniziativa del Parlamento nazionale, che permettano di andare in porto con la certezza che lo Statuto sia approvato dal Parlamento stesso.
Le norme delle leggi precitate, infatti, contemplano: a) i tempi e i modi della prima adunanza del Consiglio e i primi adempimenti dello stesso artt.14 e 15; adunanze ordinarie e straordinarie del Consiglio e condizioni di validità delle deliberazioni, artt. 19 e 21; attribuzioni del Consiglio regionale, art. 22; b) elezione del Presidente della Giunta, alcune attribuzioni del Presidente artt. 23 e 25; c) composizione della Giunta regionale; è specificato anche il numero degli assessori, art. 26 elezione, adunanze, attribuzioni della Giunta; deliberazioni d'urgenza revoca del Presidente della Giunta e di assessori, sospensione del Presidente del Consiglio Regionale, del Presidente della Giunta Regionale e di Assessori, artt. 26 e 35.
Sono dalla stessa legge lasciati alla discrezionalità del legislatore statutario: 1) data di convocazione del Consiglio Regionale in via ordinaria 2) attribuzione di funzioni al Presidente della Giunta 3) istituzione degli assessorati 4) la fissazione dei limiti e dei modi entro i quali la Giunta regionale delibererà nelle materie di sua competenza 5) la fissazione dei limiti e dei modi entro i quali la Giunta potrà deliberare d'urgenza.
In terzo luogo, per quello che riguarda la materia elettorale, la legge 17.2.68 n. 108 ha dato una regolamentazione uniforme a tutte le Regioni a Statuto ordinario, togliendo quindi ogni possibilità di differenziazione.
In quarto luogo, spetterà allo Statuto emanare le norme sulla iniziativa delle leggi regionali, anche se la legge del '53 contiene già alcune disposizioni al riguardo; norme sul referendum abrogativo di leggi regionali, di regolamenti regionali e di provvedimenti amministrativi di interesse generale della Regione, nei limiti della citata legge; norme sulla revisione delle disposizioni statutarie e sulla loro abrogazione sempre nei limiti della citata legge.
In quinto luogo, lo Statuto conterrà norme sullo stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione, il quale, però, secondo l'art. 67 della legge del '53, deve uniformarsi alle norme sullo stato giuridico ed il trattamento economico del personale statale e comunque non può disporre un trattamento economico più favorevole.
In sesto luogo, la finanza regionale è regolata da una legge dello Stato che lascia poco spazio al legislatore statutario. Bisogna ricordare che, per quello che riguarda l'esazione e la riscossione delle imposte e tasse regionali, nelle Regioni a Statuto speciale e intervenuto lo Stato a regolare la materia con norme di attuazione.
In settimo luogo, la materia dei controlli è fra quelle più minutamente regolate dalla legge 1953, che proprio su questo punto ha voluto dare una normazione uniforme quanto mai precisa ed univoca.
Per quello che riguarda il controllo sugli atti amministrativi, sia il controllo dello Stato sull'amministrazione regionale, sia il controllo della Regione sugli enti locali, la legge n. 62 è così dettagliata che non si vede su quali punti possa ancora intervenire il legislatore statutario se non su questioni marginali e secondarie nell'ambito della legge predetta. Così, compete espressamente, art. 56, allo Statuto, decidere se il controllo sugli atti dei Comuni debba svolgersi in forma decentrata o no. Lo Statuto può inoltre stabilire che una o più sezioni del Comitato di controllo siano dislocate nei capoluoghi di circondano (art. 56). Si pu osservare che invece lo Statuto della Regione Friuli-Venezia-Giulia, per esempio, al suo art. 60, stabilisce che il controllo sugli atti degli Enti locali è esercitato da organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato.
E, a dire il vero, la norma costituzionale che conferisce alla Regione questi poteri di controllo, fa della Regione il soggetto del controllo e quindi fa della Regione un soggetto che è chiamato non soltanto ad esercitare il controllo stesso, ma anche a definire i modi nei quali questo controllo verrà esercitato. Sottolineo pur tuttavia che una legge ordinaria fissa viceversa forme che per il momento si impongono al rispetto del Consiglio regionale.
Dobbiamo ancora ricordare a noi stessi, infine, che lo Statuto dovrebbe enucleare più specificamente i compiti e le attribuzioni del Commissario del governo, il quale coordina i compiti dello Stato nella Regione ed esercita il controllo di legittimità sulle leggi approvate dal Parlamento regionale. Non anticipo una discussione che certamente verrà fatta in seno a questo Consiglio, sulla figura del Commissario del governo come configurata nelle norme costituzionali e nella interpretazione che a queste norme ha dato il legislatore del 1953. Spetta al Consiglio dare questa interpretazione e trarne eventualmente le conseguenze.
Si tratta qui, come avete veduto, di considerazioni di mero carattere tecnico e giuridico che non entrano in merito agli organi che la Regione può ritenere necessario di istituire nel proprio Statuto, per venire incontro alle esigenze ed ai compiti che essa propone a se stessa. Non v'è dubbio che in questo campo la Giunta, fin dal momento della sua costituzione, sarà chiamata ad esprimere i proprii pareri non appena essa sarà stata in grado di concepire un programma politico che metta in condizione la Giunta stessa non soltanto di formulare le sue scelte, ma anche di fare le sue osservazioni sui modi in cui Consiglio regionale dovrà domani mettere questa stessa Giunta in grado di esercitare i suoi poteri e le sue funzioni. Il Consiglio naturalmente è sovrano nell'elaborazione dello Statuto e spetta esclusivamente al Consiglio il compito di approvare lo Statuto, con l'unica riserva che lo Statuto diventa applicabile soltanto il giorno in cui esso sia stato approvato con una legge ordinaria.
Mi sono permesso di fare, su decisione del Consiglio di presidenza del Consiglio regionale, queste brevi comunicazioni informative sullo Statuto della Regione, per poter avviare una discussione concreta, che ora si aprirà, sui problemi statutari, tenendo conto delle varie notizie che ho ricavate dalla legislazione vigente e che ho tenuto a rammentare al Consiglio stesso prima che esso proceda alla discussione di questo punto all'o.d.g.
Dichiaro quindi aperta la discussione su questi problemi.
Ha chiesto di parlare il Vice Presidente, consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Vorrei chiedere al Presidente Vittorelli l'autorizzazione a sedermi sui banchi del mio gruppo perché intenderei svolgere un intervento di parte e non come vice presidente e credo quindi che per correttezza sia opportuno che mi sposti.



PRESIDENTE

Potrà spostarsi nel momento in cui prenderà la parola e parlare dai banchi del suo gruppo. Desidero anche avvertire che, in tutta questa fase del funzionamento della Regione, se noi riuscissimo a concordare fra di noi, come si è già concordato fra i capigruppo, di procedere senza eccessivi formalismi, questo permetterà di agevolare moltissimo i nostri lavori. Mi rendo conto che quando sarà stata formata la Giunta, i componenti la stessa non dovrebbero, in una fase in cui la Giunta non ha vasti poteri di governo, essere sottratti a questa fase dei lavori del Consiglio Regionale, mediante la loro partecipazione, in qualità di Consiglieri, alle commissioni che eventualmente saremo chiamati a formare per la elaborazione di testi che permetteranno poi al Consiglio di procedere alla formazione del proprio Statuto e del proprio regolamento.
Non so se il Vicepresidente Sanlorenzo vuole essere iscritto per primo.
Vedo che il consigliere Gandolfi chiede di nuovo di parlare. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Non so se la Presidenza, sia pure come orientamento, ha fissato dei termini nei quali i Consiglieri devono limitare i proprii interventi, o dei limiti di interventi fra i singoli gruppi.
Sarebbe opportuno che, sia pure in forma provvisoria, la cosa venisse fatta.



PRESIDENTE

La cosa è stata fatta nella riunione del Consiglio di presidenza e della conferenza dei capigruppo (quasi tutti i gruppi erano rappresentati) proprio per permetterci di procedere più agevolmente a questi lavori.
Vorrei ricordare ai Consiglieri (che hanno facoltà di contestare le decisioni o le proposte della conferenza dei capi gruppo) che in quella conferenza si è concluso un accordo per riservare, secondo il numero dei proprii Consiglieri, un certo numero di interventi ai vari gruppi i cui rappresentanti avrebbero poi pensato di comunicare loro, designando i singoli oratori. Tenendo conto del numero di interventi previsto per i vari gruppi, è possibile portare a compimento questa fase dei nostri lavori entro i termini previsti, a condizione che ciascun oratore si attenga ad un limite massimo di circa mezz'ora. Non si tratta di deliberazione di carattere regolamentare, non toglierò la parola a nessuno. Però, se riuscissimo a contenerci entro questi limiti, potremmo certamente condurre in porto più agevolmente i nostri lavori.
Il primo oratore iscritto a parlare è il Consigliere Sanlorenzo, che si recherà adesso sui banchi del suo gruppo.
La presidenza si riserva il diritto, se il Consiglio non ha nulla in contrario, pur tenendo conto dell'ordine delle iscrizioni, di alternare gli oratori secondo le varie provenienze politiche, in maniera che non accada che si abbia tutta una serie di interventi di seguito della stessa parte senza che vi sia un dibattito vero e proprio. Inviterei poi i gruppi eventualmente al termine della seduta, a concordare con me, sulla base delle iscrizioni già ricevute, l'ordine successivo degli interventi.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito opportunamente e correttamente aperto dal Presidente su questo punto all'o.d.g., ci pone preliminarmente il problema di quale portata e significato esso debba avere nella nuova assemblea regionale piemontese. In primo luogo credo debba essere un contributo a costruire sollecitamente e nella chiarezza di posizioni, gli strumenti indispensabili per il funzionamento dell'assemblea (Statuto e regolamento). In secondo luogo credo ci permetterà di offrire oggettivamente, in questo momento, un contributo alla soluzione della crisi che travaglia, sin dal suo sorgere, le Regioni. Crisi politica di numerose Regioni e crisi voluta e mantenuta anche su scala nazionale, come confermato anche dalle notizie di oggi, da un partito presente in vari partiti, quello che non solo la nostra parte ha definito il "partito della crisi" e che agisce con gravi ed evidenti risultati se in molte Regioni italiane non si fanno le presidenze e tanto meno le Giunte e se in altre invece si fanno le barricate (e non di tipo giacobino) sostenute da quelle forze politiche che invece dovrebbero mettere in funzione le Regioni e le Giunte.
In terzo luogo, questo stesso nostro dibattito, preliminare alle decisioni delle commissioni per lo statuto e per il regolamento, è già un modo di affermare un principio che deve ispirare la fase costituente statutaria e cioè il principio della sovranità dell'assemblea, non solo, ma il principio della pienezza dei poteri decisionali in ordine alla generalità delle funzioni spettanti alla Regione. Le commissioni per lo statuto e per il regolamento che verranno elette dopo, credo che potranno e dovranno tener conto delle indicazioni e delle conclusioni di questo dibattito e anzi, questo dibattito costituisce il primo contributo politico autonomo delle forze regionaliste piemontesi alla costruzione dell'edificio legislativo della Regione.
Ma permettete che rilevi altresì come noi possiamo prefiggerci anche altri risultati che potrebbero avere rilevante importanza. Penso che si siano realizzate sul piano della dottrina e sul piano politico alcune convergenze importanti in recenti convegni convocati per la elaborazione degli Statuti, da diverse parti politiche, che qualora venissero qui confermate davvero darebbero, al positivo avvio che hanno avuto i lavori della nostra assemblea, un seguito coerente e di grande valore democratico.
Quali sono queste questioni? Sul piano dell'orientamento politico la prima questione che mi pare si ponga e che ha gia introdotto il Presidente è quella dell'atteggiamento nei confronti della lettera e dello spirito della legge del 1953 n 62. La seconda questione e quella dell'orientamento sulle funzioni della Regione, concepita come nuovo modo di dirigere lo Stato, come sviluppo di una democrazia fondata sulla partecipazione. La terza questione della quale vorrei occuparmi, è quella dei caratteri rispettivi e specifici di Giunta e di assemblea, rapporti fra assemblea e Giunta di governo, Presidenza dell'assemblea e Presidenza della Giunta.
Sono solo alcuni dei problemi che riguardano la complessa e ampia problematica dello Statuto, mentre alcuni altri verranno trattati da altri compagni del mio gruppo, sono però problemi qualificanti di uno Statuto e di un regolamento. Inoltre mi pare che essi siano già stati prospettati in altre sedi, da parti politiche diverse, così che è oggi possibile un confronto, e se necessario uno scontro, da cui far emergere le posizioni di partenza che noi ci auguriamo possano essere le più largamente unitarie.
Sulla prima questione e cioè sul rapporto della nostra assemblea con la legge 62 del 1953, mi pare che vi sia tutt'oggi, dopo il convegno promosso dall'Unione delle Province toscane, dopo il Convegno dei Consiglieri Regionali socialisti di Roma, dopo l'ultimo Convegno promosso dalla D.C. a Lecco, dopo le posizioni espresse dal Partito Comunista in modo particolare sul numero speciale della rivista "Critica marxista", una larga convergenza, quasi un'unanimità su alcune questioni di indirizzo fondamentale. Secondo queste convergenze la fase costituente deve essere considerata libera da impedimenti legislativi contrastanti con la Costituzione, come è stato detto letteralmente al convegno di Lecco della D.C.; l'interesse nazionale in questa materia non può essere canonizzato in una legge statale come la legge Scelba del '53 che pretende di predestinare la struttura di governo delle Regioni (come è stato detto letteralmente dal relatore al convegno dei Consiglieri Regionali socialisti di Roma); la maggior parte delle disposizioni della legge del '53 non si salvano dal vizio di incostituzionalità (come ha detto il nostro Presidente e come è stato affermato dal relatore al Convegno delle Province toscane); e infine possiamo aggiungere dalla nostra parte, che se noi dovessimo essere vincolati, condizionati nella formulazione del nostro Statuto, dalle norme principali di quella legge, tanto varrebbe che non si facesse nemmeno la commissione per lo statuto, perché in realtà si tratterebbe soltanto di fare un regolamento di attuazione di una legge che è stata concepita per la specificazione di ogni materia come una legge limitativa dell'autonomia statutaria della Regione.
Se vi fosse intesa su questi orientamenti di massima, sul modo di indirizzare i nostri lavori per lo Statuto, ne deriverebbero due conseguenze: la prima è il rifiuto del condizionamento delle norme statutarie alla legge 62 del '53; seconda conseguenza è la necessità del suo superamento diretto e indiretto Ma altre conseguenze ne potrebbero derivare: la semplice utilizzazione della legge in questione per il funzionamento transitorio. Si tratterebbe addirittura di definire il periodo di questa transitorietà, attuando una rapida procedura per la discussione e la elaborazione dello Statuto, che sarà tanto più rapida quanto più vi sarà l'accordo di massima su questi orientamenti; infine una iniziativa politica del Consiglio Regionale piemontese per garantire la sollecita approvazione dello Statuto dal Parlamento. Perché non bastano le dichiarazioni fatte stamattina, lette nel programma di governo dell'on.
Andreotti (che mi pare assai difficile possa diventare Presidente di un governo) per garantirci che poi, se anche riuscissimo a fare lo Statuto nei termini che ci siamo fissati, davvero questo Statuto, anche qualora fosse rispettoso delle norme e dello spirito della Costituzione, sia poi davvero approvato nei due mesi successivi.
Ecco una prima questione di indirizzo generale sulla quale credo sia possibile una larga unità, oggi, dell'assemblea piemontese, e quindi dovrebbe essere possibile una unità operativa per la commissione dello statuto che sarà eletta. Ad ogni modo noi prospettiamo, avendo voluto questo dibattito, questi giudizi, in modo che si realizzi immediatamente un confronto di posizioni.
La seconda questione concerne gli orientamenti sulla funzione della Regione come strumento di democrazia fondata sulla partecipazione e sul modo di recepirla nello Statuto e in tutta l'attività dell'assemblea e dei suoi organi. Credo che noi dobbiamo avvertire come si tratti di una questione centrale e non soltanto, penso, per la mia parte, una questione che ha una base oggettiva nazionale e un'urgenza indilazionabile se non si vuole la crisi dell'apparato statale, la paralisi delle pubbliche istituzioni, la generalizzazione dei casi di inefficienza, di dispersione di corruzione, se non si vuole assistere passivamente alla proliferazione di corpi separati e incontrollabili nella macchina dello Stato, se si vuole davvero contrastare con armi democratiche le pressioni, il potere delle grandi concentrazioni private.
Alcune condizioni per realizzare una Regione che sia un modo nuovo di dirigere lo Stato, vi sono e a mio parere giustificano queste condizioni preliminari di partenza unitaria. Esse sono prima di tutto determinate dal nuovo che l'esperienza e la lotta di milioni di lavoratori, di giovani, di contadini, di studenti hanno saputo portare nella vita politica della nostra Regione e del nostro Paese nel 1969-1970. Dobbiamo anche a questo "nuovo" e alle modificazioni che sono intercorse successivamente nella situazione e nei rapporti politici del Paese, le stesse conquiste che ci hanno portati prima alle elezioni Regionali e oggi a questa nostra assemblea.
Ma non si tratta solo di questo. Si tratta del fatto che i lavoratori hanno conquistato in fabbrica qualcosa di nuovo: il diritto di assemblea; e gli studenti l'hanno conquistato nelle scuole e i cittadini hanno organizzato in numerose e grandi città i consigli di quartiere e i Comuni dove si sono fatte esperienze consortili hanno sperimentato con successo elementi di decentramento consiliare. Insomma, molti aspetti della società civile hanno realizzato mutamenti, esperienze e conquiste per cui si pu dire che non si tratta più, nel 1970, di governare "per i lavoratori", "per i cittadini", "per i giovani", ma "con" i lavoratori, "con" i cittadini "con" i giovani e con le organizzazioni tradizionali e nuove che la società civile si è data. Ecco il significato e la portata anche politica della metodologia che l'ufficio di Presidenza e il suo Presidente hanno voluto instaurare, sin dall'inizio della costituzione della Regione. Credo che nei fatti abbiamo voluto affermare come questo rapporto non sia stato occasionale; esso è voluto, è ricercato, e dovrà ispirare la ricerca di noi tutti nella elaborazione dello Statuto.
Occorre avere piena coscienza di questa novità, mentre l'Italia ufficiale, purtroppo, sovente è ancora quella dei prefetti che bocciano le spese di 250 lire deliberate dal Comune di Novellara per un telegramma di solidarietà alla CGIL in occasione di un attentato neofascista o che bocciano l'acquisto di 290 copie della Costituzione per i nuovi elettori come nel Comune di San Giuliano in provincia di Pisa, o, per stare più vicino a casa nostra, anche in questo nostro Piemonte così "diverso" l'Italia è ancora quella dei prefetti che bocciano gli stanziamenti che i Comuni del Piemonte hanno fatto per i lavoratori, per partecipare con loro alle lotte sindacali del 1969. Ecco quindi una delle questioni di indirizzo centrale ed ecco nello stesso tempo una contraddizione, un abisso che va colmato fra cittadini e organi dello Stato.
Anche qui però io credo vi siano alcune condizioni di partenza per una ricerca e un lavoro comune, nel promuovere, nel cercare e anche nel sancire nello Statuto e nella prassi tutte le forme di partecipazione necessarie.
Non ci sono sfuggiti gli accenti contenuti nel discorso pronunciato nella prima seduta del Consiglio, per esempio dal Consigliere Bianchi, capogruppo della D.C., non ci sono sfuggite le parole dette dal Consigliere Nesi, dal Consigliere Giovana e da altri. Questo problema mi è parso fosse presente nei loro interventi. Ci ricordiamo bene quel che disse alla radio piemontese il rappresentante della D.C., che purtroppo non vedo qui (purtroppo perché le cose che aveva dette nel corso della campagna elettorale ci avevano convinti, si vede che poi la sorte o qualcos'altro non hanno voluto che fosse presente in questo Consiglio regionale); ma soprattutto abbiamo potuto risentire lunedì, nel positivo incontro della Presidenza con i sindacati, ciò che i rappresentanti dei lavoratori intendano per partecipazione. Hanno detto testualmente: "Quante volte abbiamo cercato l'incontro con gli Enti locali? Sempre. Ma il dialogo non è divenuto prassi, iniziava e non andava avanti, qualche volta era possibile solo nei momenti di massima tensione. Noi chiediamo che il rapporto con la Regione sia continuo, determinato nei tempi e nella materia, possibile anche con l'assemblea regionale perché vi siano ascoltate le ragioni dei lavoratori".
Ecco uno dei punti, autonomia piena dell'assemblea e reciproca di tutte le organizzazioni, ma ricerca della partecipazione non formale alla determinazione delle scelte. Così partecipazione deve voler dire recepire nello statuto una linea che non collochi la Regione sulla testa dei Comuni e delle Province. Sarebbe assai poca cosa l'Ente Regione se si limitasse ad essere un sistema di controlli e di condizionamenti, o anche di coordinamenti, che si attuerebbe a livello regionale invece che a livello nazionale. Noi siamo, dobbiamo essere, a partire dall'elaborazione stessa dello Statuto, per una partecipazione la più ampia, per i contributi più diversi che ci possono venire dai Comuni e dalle Province. E a settembre dovremo in una fase del dibattito e della elaborazione dello Statuto (è una proposta che avanzo) inviare a tutti i Comuni e a tutte le Province del Piemonte ciò che la commissione avrà elaborato perché quegli enti in un periodo determinato si pronuncino sulla bozza di Statuto e possano dare il loro contributo.
Dobbiamo poter decidere in piena autonomia, ma dobbiamo richiedere la partecipazione più ampia a determinare l'opportunità delle decisioni. Ma lo Statuto non dovrà recepire solo un'esigenza, un'indicazione un'aspirazione. La regolamentazione dell'iniziativa popolare degli Enti locali, del referendum sulle leggi e sui provvedimenti amministrativi pensiamo che debba essere effettuata con orientamenti che ne facilitino e ne estendano l'esercizio. Dovremo essere non solo per l'istituto del referendum abrogativo, ma per il referendum costitutivo, dovremo essere per la trattazione nel Consiglio regionale dei problemi posti dall'iniziativa popolare, in qualunque forma essa si esprima: iniziativa di legge petizione; dovremo essere per la partecipazione consultiva alle commissioni consiliari di rappresentanze in primo luogo degli Enti locali e delle altre organizzazioni sindacali, culturali, giovanili, locali; dovremo essere per resoconti periodici dell'attività della Regione a Comuni e Province e anche direttamente agli elettori o attraverso le organizzazioni di quartiere, o di più Comuni o di valle che già esistono o potranno sorgere. Questa linea questa volontà politica dovrebbe permettere di introdurre la terza questione di rilevante importanza statutaria e cioè i rapporti fra Giunta Presidenza, assemblea e prima di tutto la definizione del tipo di Giunta e del tipo di assemblea previste dalla Costituzione.
Anche in questo delicato e decisivo capitolo delle norme statutarie si può dire che si è realizzata un'ampia convergenza di forze che respinge una tesi, quella di una forma presidenziale di governo regionale. Al convegno dei Consiglieri socialisti tale rifiuto è stato netto, perché in contrasto con i principi costituzionali, estraneo al contesto politico italiano caratterizzato da una larga articolazione delle forze politiche che ha sempre condotto, ovunque, alla formazione di governi di coalizione. Questa è la storia del nostro Paese, questa è la realtà politica del nostro Paese.
Ma a conclusione non differente è giunto il relatore su questo tema Bassanini, al recente convegno della D.C. di Lecco, partendo dalla constatazione che la Costituzione prevede espressamente che il Presidente e la Giunta sono eletti dal Consiglio fra i proprii membri. Questa è una norma così chiara che davvero non lascia spazio a interpretazioni diverse che devono in questo caso postulare una riforma di carattere costituzionale. E quindi se la Costituzione questo prevede, esclude ogni forma presidenziale che porterebbe invece ad una elezione diretta dal popolo.
Ma non credo sia sufficiente indicare la necessità di operare nella commissione per lo Statuto contro ogni forma di Regione presidenziale e quindi contro ogni ipotesi del tipo progetto De Mita o similari, ma occorra altresì, se vogliamo essere coerenti con i principi di partecipazione democratica che debbono ispirare tutta la vita della Regione, partire da un altro articolo fondamentale della Costituzione repubblicana che già chiarisce in modo netto il rapporto fra Giunta ed assemblea: il 121, là dove sancisce che "la Giunta regionale è l'organo esecutivo delle Regioni".
Concetto molto chiaro sul quale però, mano a mano che ci si è avvicinati alla effettiva realizzazione delle Regioni, si è cominciato da più parti a mettere cortine fumogene e oscurità volute, nell'intento, invece molto trasparente, di capovolgere semplicemente il concetto e di fare assolvere alla Giunta le funzioni che sono proprie del Consiglio.
Questo è un punto dove non si può dire che c'é convergenza di posizioni. Ma allora ci deve essere confronto in questa sede pubblicamente, di modo che la commissione per lo Statuto possa lavorare non partendo da zero, ma partendo da un dibattito a cui ha partecipato tutta l'assemblea e da un confronto di posizioni. Io spero che al termine del dibattito - ed è anche per questo che abbiamo voluto aprire questa discussione - offrendo il nostro giudizio sulla materia - si arriverà ad un punto di approdo più unitario di quello esistente in partenza, fuori da quest'assemblea.
Punto di partenza di questo capovolgimento di posizioni, è la assimilazione del sistema di governo regionale a quello parlamentare. Il Presidente, introducendo alcuni concetti di carattere giuridico, ha parlato di "bicameralismo", è un neologismo, ma credo che già questa dizione appunto contrasti con questa volontà di capovolgere il significato e i dettati della Costituzione. Dovremo liberarci da queste tendenze se esistessero in questo Consiglio, dovrebbe essere possibile raggiungere una unità di valutazioni, se poniamo mente ad alcune considerazioni: prima di tutto quella che nessun parallelo può essere e fatto fra la forma di governo parlamentare e quella prevista invece per le Regioni, dai costituenti. La forma di governo parlamentare prevede: 1) che il governo nasca al di fuori delle Camere; è il Presidente della Repubblica che nomina il Presidente del Consiglio e su proposta di questo, i Ministri; 2) il governo ha una vita autonoma rispetto alla fiducia delle Camere: infatti entra nel pieno delle sue funzioni con il giuramento nelle mani del Presidente e rimane in carica anche dopo la revoca della fiducia; 3) il governo è titolare di un indirizzo politico generale e di questi è responsabile il Presidente del Consiglio; 4) il governo deve avere la fiducia delle due Camere, votata per appello nominale (art 94 della Costituzione) e la mancanza di una revoca motivata, il governo pu considerarla non sufficiente per dimettersi. Ma la forma di governo prevista per le Regioni è completamente diversa, non c'è una sola delle caratteristiche del governo parlamentare. E questo non lo sottolineo per diminuire l'importanza delle Regioni: 1) non esiste un organo, esterno al Consiglio che nomini il Presidente della Giunta o la Giunta stessa; la Giunta è diretta promanazione del Consiglio; 2) la Giunta non ha vita autonoma rispetto al Consiglio, infatti può essere sostituita dal Consiglio stesso e in caso di scioglimento del Consiglio essa non rimane in carica neanche per l'ordinaria amministrazione; 3) non è previsto dalla Costituzione un indirizzo politico generale della Giunta, né competenze a lei riservate attraverso le quali possa riconoscersi un indirizzo politico.
Non esiste, di conseguenza, l'istituto della fiducia, mentre vi è invece un riferimento esplicito alla revoca.
La conseguenza principale di queste evidenti diversità, dovrebbe portarci a respingere quella che ormai è una evidente pressione, anzi, una offensiva non solo di forze antiregionaliste, ma di gruppi di potere ben individuati per la cosiddetta stabilità dell'esecutivo, per la preminenza dei compiti della Giunta sull'assemblea, per fare assumere dall'assemblea stessa pure e semplici funzioni di controllo, (un'assemblea che si riunisce per esempio, come previsto dalla legge Scelba, se va bene, tre volte all'anno con i Consiglieri chiamati ad alzare tante volte le mani su quello che ha fatto e deciso la Giunta in centinaia di deliberazioni. Se così si operasse, si andrebbe a riprodurre esattamente quello schema che ha portato alla crisi di istituti rappresentativi, al distacco nei confronti dei cittadini e degli elettori).
La questione della stabilità dell'esecutivo è certo seria e dobbiamo dirlo chiaramente, interessa anche la nostra parte, ma non può essere risolta con artifici antidemocratici. La stabilità dell'esecutivo c'è o non c'è, se esiste o scompare l'unità politica sui contenuti, sui programmi sulle cose, da parte di quelle forze che in quel determinato momento danno vita a una maggioranza di Giunta. Le crisi che hanno travagliato i governi regionali delle Regioni a statuto speciale, la crisi che travaglia tuttora il centro sinistra nel Paese, nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni non deriva da qualche congegno imperfetto che caratterizzi gli esecutivi, le Giunte, i governi comunali, provinciali, o regionali, o nazionali, non si tratta di modificare la Costituzione perché il governo non riesce a farsi in questa settimana; tutto questo deriva da lacerazioni e contrasti profondi di indirizzo. E non bastano i numeri a fare una maggioranza, non possono essere gli statuti a imporne una e non possono essere gli artifici come il voto palese per la elezione del Presidente e della Giunta a costruire una solidità all'esecutivo, se questa solidità non c'è.
L'argomentazione addotta per il voto palese sembra ignorare che certi gruppi di potere perseguono l'abolizione del voto segreto per fini diametralmente opposti a quelli dichiarati. Il fine dichiarato è quello di un'aperta assunzione di responsabilità, ma il fine reale è proprio quello di coartare la libertà degli eletti, per impedire il libero esprimersi di fermenti, di spostamenti di posizione anche politica che possono intercorrere in uno o in più consiglieri, sotto le spinte del Paese. Perch mai se il Paese cambia in un anno, in due, l'assemblea regionale e i suoi orientamenti dovrebbero registrare tali cambiamenti soltanto ogni cinque? La Regione deve essere anzi all'avanguardia dei processi unitari che attraverso ogni aspetto della società civile crescono e spingono a modificare l'assetto politico di una Regione, o di un Comune del nostro stesso Paese nel suo complesso. Coloro che vogliono ostacolare questo processo sono arrivati persino a proporre la permanenza in carica delle Giunte sconfessate, messe in minoranza, battute e fallite se non viene eletta una nuova Giunta in un tempo prestabilito. Ecco, questo sì che sarebbe un artificio, una soluzione giuridica sbagliata per dare stabilità all'esecutivo. No, lo Statuto della Regione piemontese, se vuole essere un momento importante della fase costituente, deve davvero ricondursi allo spirito che animò i costituenti del '46 ed essere all'altezza dei nostri tempi. Bisogna guardarsi da due pericoli, quello di credere che sia lo Statuto pur senza nulla togliere alla sua importanza, il momento decisivo del superamento delle difficoltà politiche è quello di credere che conti assai poco ciò che scriveremo nella legge fondamentale della Regione perché tutto poi dipenderà dai numeri, dai rapporti di forza, dalla legge della maggioranza.
La storia del lontano passato, la cronaca più recente ci hanno più volte dimostrato che non bastano le leggi di per sè e non contano i numeri delle maggioranze fittizie a costruire una democrazia nuova. Non bastò alla repubblica di Weimar avere una costituzione giuridicamente avanzata, per salvarsi dal nazismo, non bastò alla sinistra italiana dell'epoca avere il potere politico per impedire che la corte di Umberto scegliesse i ministri degli Esteri e della Guerra, non bastò la maggioranza monarchica dell'assemblea francese del 1871 a impedire nel '75 l'avvento della terza repubblica; e non basta davvero ai colonnelli greci avere il potere, i numeri del potere, tutto il potere militare per avere anche il numero dei consensi e poter far credere al mondo di governare invece di dominare. E per la cronaca dei nostri giorni, di queste settimane, non è bastata alla D.C. nemmeno la maggioranza assoluta in Molise per non essere costretta a disertare la prima assemblea, per non mettere in piedi neanche il Presidente; e non èe stato sufficiente un centro sinistra maggioritario per eleggere un presidente in Liguria che raccogliesse almeno suoi voti di partenza; non sono stati sufficienti i numeri di una formula non solo a mettere in piedi l'assemblea in Calabria, ma a impedire gli assalti squadristi alle sedi dei partiti della sinistra. La formula c'è per fare leggi e avviare una politica di allargamento della democrazia: è quella di favorire la formazione di nuovi processi unitari nel Paese, è quella di favorire l'incontro delle forze politiche su programmi e problemi capaci di determinare un processo di rinnovamento e di riforme. La formula è quella di essere coerenti con le cose che si dicono e quelle che si fanno, anche se la coerenza costa e non paga subito. D'altra parte, elaborare uno statuto vuol dire non fare opera solo contingente, meno che mai farla costretta ad un modello superato di realtà politica. E allora come si potrà accettare nello Statuto ciò che la contingenza politica pare volerci riservare? Come riuscire a mettere d'accordo il fatto che le due principali forze del centro sinistra hanno sin qui, in ogni convegno, dichiarato che esse sono per una Giunta collegiale e quindi ristretta, dove persino in discussione c'é il fatto se vi devono essere gli assessori, con il fatto poi che forse domani il Piemonte avrà una Giunta con il massimo degli assessori consentiti da una legge che pure a parole si vorrebbe cambiare? Come mettere d'accordo i criteri della razionalità, della limitazione della burocrazia, del fare in modo nuovo, del non ripetere le esperienze negative, del voler dare "l'esempio" quando poi in un'assemblea di 50 eletti ben 17 verranno chiamati a posti di governo? Ecco una contraddizione che mi sembra destinata a pesare in partenza, molto gravemente, sulla nostra assemblea, ma che certo non può e non deve orientare i lavori della commissione per lo Statuto. Guai se nello Statuto noi volessimo codificare ciò che può essere, per qualche forza politica, a un prezzo che accetta di pagare in questa situazione.
Colleghi Consiglieri, ho gia finito, ho voluto solo prospettare alcune delle questioni di indirizzo che credo ci appassioneranno durante i lavori delle commissioni e nei prossimi lavori dell'assemblea, per favorire un confronto di idee. Ma nello stesso momento in cui ritengo che il dibattito sullo Statuto costituisca un momento assai importante per la vita della Regione, credo che tutti assieme commetteremmo certo un errore se pensassimo che l'assemblea per quattro mesi, solo di Statuto e di regolamenti si dovrà occupare. No, credo che non dovremo e credo anzi che non potremo così operare. Noi siamo stati per l'immediato insediamento della Presidenza e delle Giunte perché vogliamo che le Regioni funzionino subito, anche se mancheranno ancora strumenti e leggi, e regolamenti e abitudini ed esperienze. Si possono e si debbono affrontare urgenti impegni nazionali come l'espressione di un parere, per esempio, sulla legge per la procedura della programmazione. Si tratterà di coordinare l'iniziativa degli Enti locali su problemi economici e sociali che non aspetteranno quattro mesi, se manderemo il progetto di Statuto ai Consigli, comunali sarà forse un contributo a far sì che gli stessi intanto si costituiscano perché voi sapete che nel nostro Piemonte decine e decine di amministrazioni comunali dei grandi Comuni non sono affatto insediati.
Leggevo stamani sul giornale della mia provincia che non c'è intenzione di insediarli fino a settembre, perché il centro sinistra nella mia provincia non si mette d'accordo né per il Comune, né per la Provincia, né per altri comuni importanti. Si tratterà di sollecitare al massimo il decentramento delle funzioni statali, di avviare l'elaborazione di un piano di sviluppo.
Sono problemi che stanno di fronte a noi e che possiamo affrontare. Se abbiamo cominciato bene, sollecitamente, credo che l'opinione pubblica chieda a noi di andare avanti in questo modo e chieda alle forze politiche di misurarsi di fronte ai problemi nella pienezza delle sue possibilità anche se non saranno ancora tutti disponibili gli strumenti che potranno risolvere i problemi che l'opinione pubblica, che i cittadini, che i lavoratori porranno all'assemblea.
Queste erano le considerazioni che ho voluto esporre per introdurre il dibattito sul problema dello Statuto e del regolamento.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Fonio. Ne ha facoltà.



FONIO Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il giorno 13 luglio la Regione Piemonte è nata in quest'aula ove si e compiuto l'atto formale di insediamento del Consiglio a conclusione della consultazione popolare del 7 giugno.
E' nata sotto l'auspicio della concordia e soprattutto dell'impegno espresso unanimemente di fare onore a tante tradizioni piemontesi tra cui quella di seriamente e sollecitamente operare. Forse non è neppure alle persone che si deve fare merito dell'operosità piemontese, e per dare una piccola soddisfazione al nostro consigliere anziano voglio rifarmi a parole di Massimo d'Azeglio il quale ebbe a dire: "non bisogna perdere di vista che per gli individui come per i governi esistono gli ambienti sani, come gli ambienti malsani. Esistono le arie che danno forza ed energia come quelle che inducono ignavia e fiacchezza".
Certamente le arie del Piemonte appartengono alla prima categoria ed eccoci qui, nel rispetto del ruolino di marcia fissato il giorno del nostro insediamento ad aprire i lavori perché la nostra Regione inizi il cammino che deve portarla a dare una risposta concreta ai problemi del Piemonte di oggi.
Le avevo dedicato un pezzo personale, avv. Oberto, mi space che non lo abbia sentito.



OBERTO Gianni

L'ho sentito.



FONIO Mario

Se ci sarà davvero una risposta concreta ai problemi della nostra gente dipenderà essenzialmente da come noi sapremo attuare l'Ente Regione del quale stiamo aprendo la fase costituente.
Come vogliamo dunque che sia questa Regione piemontese? Noi socialisti auspichiamo che essa esca dai nostri lavori quale strumento idoneo a svolgere il ruolo determinante che le compete nel contesto di quella politica di riforma delle strutture economiche e sociali del nostro Paese che costituisce la nostra scelta di fondo.
Noi socialisti abbiamo voluto le Regioni perché in esse vediamo il rimedio contro le piaghe dell'accentramento, dell'autoritarismo, del burocratismo statale e quindi per una vera riforma dello Stato e per l'affermazione di un regime di sostanziale democrazia. Le abbiamo volute perché siamo convinti che con le Regioni si apre una nuova fase della nostra storia politica con la quale potremo uscire da quella attuale di progressivo decadimento delle istituzioni e della fiducia in esse.
La via italiana alla democrazia non può che passare attraverso il decentramento amministrativo così come del resto era già nella concezione e nelle previsioni degli uomini più preparati del Risorgimento.
Il nostro obiettivo è il rinnovamento democratico dello Stato attraverso la più ampia partecipazione alla gestione del pubblico potere e di tale rinnovamento abbiamo visto la prima essenziale tappa nell'attuazione delle Regioni.
Per ciò le avevamo poste come condizione per la partecipazione al governo, a quel governo oggi in crisi per opera di coloro che, dopo aver dovuto subire questa profonda trasformazione, nel quadro generale della loro azione volta a tentare di imporre al nostro Paese un'inversione di marcia verso i vecchi lidi della conservazione, per quanto riguarda la Regione hanno ora il mal celato proposito di volerne limitare quel contenuto di democratizzazione del potere che corrisponde invece all'istanza di fondo del Socialismo.
Da parte nostra opereremo dunque nella convinzione che il processo di adeguamento nelle strutture alle esigenze della nostra società in profonda trasformazione dipenderà notevolmente dal corretto funzionamento della Regione. Opereremo non certo per avere una Regione semplicemente "garantista", ma una Regione "programmatoria" che contratti con il governo centrale il tipo, il processo di programmazione.
Penso che ognuno sia ormai consapevole del ruolo insostituibile che la Regione deve assolvere in materia di pianificazione economica, di riequilibrio territoriale, di coordinamento degli Enti locali.
Se è vero che l'attività di programmazione comporta una centralizzazione delle prescrizioni e delle direttive, è pur vero che essa ha l'imprescindibile necessità di integrarsi dal basso con l'apporto delle forze locali.
E noi socialisti siamo per la creazione di condizioni politiche ed istituzionali che permettano alle Regioni l'assunzione di poteri reali di programmazione e di intervento in sincronia operativa e decisionale con gli obiettivi e gli interventi del piano nazionale.
I problemi per il riequilibrio del territorio non possono trovare la loro soluzione se non nell'ambito della Regione che costituisce il livello più idoneo rispetto a quello statale troppo ampio e a quello degli enti locali troppo limitato e portato a valutazioni troppo circoscritte.
Ciò è facilitato dalla concezione costituzionale della Regione anche come organo di coordinamento ed occorrendo di surrogazione degli Enti locali.
I raccordi della Regione con la Provincia ed i Comuni sono costituiti sia dal conferimento, da parte delle Regioni, agli organi comunali e provinciali dell'esercizio dell'attività amministrativa (art. 118 Costituzione), sia dalla disciplina dei controlli regionali sull'attività comunale e provinciale (art. 125), disciplina che comporta il venir meno di un sistema di controlli che l'esperienza ha determinato essere in antitesi non solo con i principi essenziali di un'organizzazione democratica delle comunità locali, ma con l'esigenza di efficienza delle funzioni pubbliche.
Grande è la tentazione in questo primo intervento di fare riferimento alle materie che l'art. 117 ci assegna in competenza.
Ognuno di noi ha delle competenze specifiche acquisite in lunghi anni di attività ed esperienze amministrative e vede non solo la necessità di portare il suo contributo ai lavori regionali, ma in questo consesso vede anche la sede unica e l'occasione per sentir vibrare finalmente una maggior sensibilità verso problemi veramente fondamentali per le nostre popolazioni. Tuttavia penso - senza anticipare quello che sarà il nostro dibattito quotidiano - che in questa prima fase della nostra attività, noi dobbiamo soprattutto concentrare la nostra attenzione e i nostri sforzi perché lo Statuto che ci accingiamo ad elaborare possa riuscire valido ed idoneo non solo alle necessità presenti, ma soprattutto in rapporto a quella "velocità supersonica" assunta anche dalla vita delle leggi, come qui è già stato ricordato. E se noi vogliamo portare un contributo reale alla riforma democratica della nostra società, dobbiamo tener conto anche che la Regione deve necessariamente comportare lo smantellamento della organizzazione burocratica statale sul piano locale e che quindi siamo chiamati ad assolvere ad una funzione determinante su una delle principali componenti della crisi dello Stato.
Quello che noi sapremo fare, sul piano locale, con la sostituzione degli uffici statali da parte della Regione come organo di direzione e da parte degli enti locali come organi di esecuzione, configurerà un modello strutturalmente destinato a ripercuotersi in molti campi della organizzazione dei pubblici poteri. L'ordinamento che noi andiamo a darci quindi non solo dovrà avere un valore di prospettiva, ma dovrà costituire la base sulla quale possa delinearsi un nuovo disegno istituzionale sia a monte delle regioni verso l'amministrazione centrale dello Stato, sia a valle verso le Province ed i Comuni.
L'attuazione dell'ordinamento regionale ci offre pertanto l'occasione per la riconsiderazione di tutto il nostro tessuto istituzionale: se ci non sapremo fare avremo mancato questo grande appuntamento.
I principi che ho enunciato e le mete alle quali - secondo noi socialisti - dobbiamo tendere, trovano a tutta evidenza un primo ostacolo nella legge 10 febbraio 1953 n. 62, nota come legge Scelba, che da più parti viene ritenuta quanto meno superata dal tempo.
Per noi tale legge oltre che già superata è per molte sue parti incostituzionale perché pretende di vincolare ogni potestà statutaria delle Regioni e pertanto nel mentre chiediamo e auspichiamo un'abrogazione esplicita della stessa, riteniamo di applicarne in via del tutto provvisoria quelle parti che possono permettere l'immediato e concreto funzionamento della Regione, come già ebbe a dichiarare il Presidente dell'assemblea.
Certamente e soprattutto nell'elaborazione dello Statuto non dobbiamo però sentirci vincolati alla stessa, facendo fin d'ora salva la nostra prerogativa di autonomia che va rivendicata proprio attraverso lo Statuto stesso.
Altri colleghi del mio gruppo avranno modo di illustrare nei particolari il tipo di Statuto che noi socialisti auspichiamo e proponiamo: anticiperò, solo - anche per dare una risposta al vicepresidente Sanlorenzo che ha aperto la discussione, - che siamo contrari sia ad un'impostazione di tipo "presidenziale" come a quella di tipo "assembleare" pur auspicando la più stretta collaborazione tra Giunta ed assemblea.
L'importante per noi è che sia impostato su basi nuove e più democratiche il rapporto tra il potere pubblico e i cittadini; che sia assicurata la preminenza del potere politico sul potere burocratico; che sia assicurata l'efficienza dell'amministrazione, che ci sia una garanzia contro la proliferazione degli apparati burocratici e di sottogoverno e il conseguente sperpero di denaro pubblico.
Noi riteniamo pertanto che sarà utile impostare il nostro lavoro facendo in modo che l'azione della Giunta sia improntata alla massima collegialità, che i componenti della Giunta stessa non siano assorbiti dai compiti amministrativi puri e semplici, ma abbiano la possibilità di partecipate effettivamente alla determinazione dell'indirizzo del governo.
Noi siamo anche del parere che vanno ridotti al minimo gli apparati burocratici di tipo tradizionale, sia mediante un largo uso della delega agli enti locali, sia mediante la creazione, per determinati settori operativi, di amministrazioni di tipo nuovo, dotate di un particolare grado di autonomia e di una struttura di tipo aziendale, magari con tecnici di nomina politica destinati a durare in carica quanto la Giunta e revocabili in qualsiasi momento.
E'- ovvio però che nella creazione di "agenzie" che superino le formule tradizionali ministeriali, occorrerà il massimo scrupolo per impedire che le stesse si trasformino in sedi di sottogoverno.
Ma tralasciando di occuparmi - come già detto - delle parti più specifiche che contengono - tra gli altri -i grossi capitoli dell'iniziativa legislativa e del referendum, in ordine al principio generale di una nuova e più democratica impostazione dei rapporti tra potere politico e cittadini, penso che vada enunciata la nostra proposta di prevedere la convocazione di assemblee popolari allo scopo di raccogliere osservazioni e proposte sulla istituzione di determinati servizi pubblici e per sottoporre a pubblico dibattito determinati atti di indirizzo regionale.
Al di là del grosso lavoro per l'elaborazione dello Statuto che dovrebbe comunque esaurirsi nell'ambito dei primi quattro mesi - e noi abbiamo preso l'impegno di rispettare tale termine - mi sia concesso all'apertura dei nostri lavori, di fare un accenno più generale a quell'interrogativo sul tipo di attività che saremo in grado di svolgere in attesa del decreto delegato per il trasferimento delle funzioni amministrative regionali, al quale trasferimento è subordinata la potestà legislativa delle Regioni.
Grande è stata per i regionalisti la soddisfazione derivata dalla modifica dell'art, 9 della famosa legge Scelba, modifica con la quale è stato riconosciuto che l'esercizio da parte della Regione, del potere legislativo ad essa assegnato dalla Costituzione non è più subordinato alla emanazione da parte dello Stato delle famose "leggi quadro".
Le Regioni potranno ormai legiferare anche in mancanza di tale legge con il solo limite dei principi generali dell'ordinamento quali si desumono dalla legislazione vigente.
Però, l'art. 17 della legge finanziaria regionale che ha apportato tale modifica alla legge Scelba, ha stabilito che noi cominceremo ad esercitare la nostra potestà legislativa soltanto dopo l'emanazione dei decreti delegati, previsti dallo stesso articolo per il trasferimento delle funzioni amministrative regionali, o comunque dopo un biennio dall'entrata in vigore della stessa legge finanziaria.
I socialisti auspicano che a questa situazione si voglia ovviare naturalmente con la più sollecita approvazione dei decreti delegati e in subordine si augurano che il Parlamento nazionale si preoccupi di garantire che le sue nuove leggi che coinvolgono competenze regionali, siano fin dall'inizio regionalizzate, cioè contengano disposizioni di diretta attribuzione di competenze alle Regioni.
In ordine ai decreti di trasferimento esiste in noi la preoccupazione per la loro sollecita approvazione e per questo ritengo di dover far sentire la nostra voce fin da questa prima riunione.
Tutti sanno quanto grande e pervicace sia la resistenza della burocrazia centrale e anche di molte parti politiche a un sostanziale trasferimento delle funzioni dello Stato alle Regioni.
Esiste quindi il rischio sempre incombente, la tentazione sempre in agguato di fare delle Regioni non una sede di decentramento irrevocabile e senza riserve, ma un luogo di duplicazioni di funzioni e di strutture amministrative.
Noi sottolineiamo la necessità di respingere sino al limite del possibile situazioni di condominio nelle funzioni, nelle responsabilità nelle strutture organizzative. Le competenze organizzative ripartite sono per esperienza quanto di meno efficiente, di più ritardato, di più dispendioso possa essere istituito.
La Costituzione della Repubblica, per fortuna, è chiarissima a questo riguardo e prevede per le Regioni la condizione di dominus amministrativo nelle materie dell'art. 117 senza ipotesi condominiali.
Bisogna attenersi con tenacia e con rigore al precetto costituzionale occorre che la formulazione dei principi che devono presiedere alla delega in materia di trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni, non lascino aperto il varco ai rischi ed alle tentazioni di cui si è detto.
Solo così le nostre regioni saranno modellate secondo quello schema moderno di democrazia e di partecipazione attiva che noi socialisti vogliamo, solo così saranno veramente la grande occasione che consentirà di far crescere i contenuti democratici della nostra società.
E solo così, colleghi consiglieri, il nostro lavoro avrà quella concretezza e quella efficacia che sono nella nostra ansia e nelle aspettative della nostra gente.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Armella. Ne ha facoltà.



ARMELLA Angelo

Signor Presidente, egregi colleghi, dobbiamo essere grati alla Presidenza dell'assemblea che ha posto il problema dello Statuto nella sua tematica fondamentale, che, nella sua precisione, è a lato di quell'aspetto, peraltro suggestivo, dell'importanza dei compiti che ci siamo assunti entrando a fare parte di questo Consiglio. Mentre appare chiara qual'é l'importanza del nostro compito e sono chiari i fini che ci proponiamo di raggiungere, dobbiamo rilevare che meno chiaro è il complesso delle norme giuridiche che sono state formulate nell'iter che ha condotto alla costituzione delle Regioni a statuto ordinario. Su questa problematica la nostra attenzione deve farsi molto puntuale, superando quel tanto di aggressività che può derivare dalla partecipazione a gruppi diversi, forse portati per il fatto della diversa estrazione, ad accogliere valutazioni che sono certamente politiche, ma che non devono per questo essere intese in termini esclusivamente congiunturali.
Direi che devono tenersi presenti alcuni punti, alcuni concetti, forse alcune nozioni, (sottolineerei il tono quasi didattico di certe proposizioni del Presidente della assemblea) che ci derivano dal dettato costituzionale e che devono essere poste alla nostra attenzione, affinch la redazione dello Statuto possa essere proficua. Mi pare che sia così più facile venire a sciogliere i nodi che la legge del 1953 ed anche la legge finanziaria, in quella formulazione del l'art. 17 testè citato dal collega Fonio di Novara, presentano.
In primis, mi pare di dover rilevare il dettato costituzionale dell'autonomia delle Regioni perché dal suo approfondimento derivano come corollari - per quanto si possa essere poi sui corollari d'accordo - molte delle deliberazioni che dobbiamo prendere; rilevare come questa autonomia sia posta in termini di grande rilievo nella Costituzione, talché è indicata nei principi fondamentali, che sono contenuti nei primi articoli della Costituzione, così che taluno ha osservato che fra tali principi trova posto l'autonomia con l'art. 5, mentre non si menziona, ad esempio la struttura politico-parlamentare della Repubblica. Non già perch quest'ultima sia meno importante, ma perché il principio dell'autonomia regionale, in particolare, era in effetti nuovo al nostro ordinamento. Il carattere di novità si appalesa non soltanto nel non esserci riferimento nello statuto albertino, ma neppure nell'intero ordinamento legislativo del nostro Stato. Nuovo, perché impone una partecipazione democratica che è ad un tempo mezzo e fine per conseguire quanto la Costituzione vuole. Ciò non vuol dire che le Regioni nascano come Stati sovrani, (non siamo infatti in uno Stato federale), ma certamente con elementi del tutto nuovi e diversi dalle istituzioni del passato e che distinguono profondamente questi nostri istituti dalle Province e dai Comuni, talché qualcuno ha rilevato essere le Regioni, enti "costituzionali" e le Province ed i Comuni, enti di "rilevanza costituzionale", che è cosa diversa e che trova riferimento in un altro dettato costituzionale, là dove si dice che le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione, mentre per le Province ed i Comuni si parla di principi fissati da leggi generali della Repubblica. Peraltro nel nostro ordinamento - si tratta dell'ordinamento delle Regioni a statuto ordinario - si rileva anche questa novità, direi di maggiore accentuazione democratica e cioè che mentre le Regioni, come bene ha rilevato il Presidente, a statuto speciale, Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, hanno avuto gli statuti adottati con legge dello Stato nell'ormai lontano 1948 e la regione Friuli Venezia Giulia nel 1963, gli statuti delle Regioni a statuto ordinario devono essere approvati dal Parlamento, ma redatti, formulati dalle stesse Regioni.
A monte dello statuto dovrà necessariamente porsi un esame della situazione sociale ed economica del nostro Piemonte, e della struttura amministrativa che in esso esiste, perché l'autonomia dell'ente Regione si rifletterà sugli enti locali esistenti nella Regione, perché è nostra convinzione che tutte le funzioni oggi demandate agli enti locali ed altre che proprio la costituzione della Regione dovrà demandare, saranno veramente valorizzate. Gli enti locali minori, cioè le Province e i Comuni troveranno l'occasione per vedere finalmente impostata la riforma della legge comunale e provinciale. Basti pensare all'introduzione del controllo che sugli atti degli enti locali passera dai prefetti, alle Regioni, cioè a degli enti elettivi e all'abrogazione del controllo di merito. Infatti richiamandosi dall'art. 130 le stesse norme che vigono per la Regione, il controllo di merito e cioè la valutazione dell'opportunità degli atti delle Province e dei Comuni non potrà più essere realizzato se non con la richiesta di riesame e non già con quell'annullamento di cui peraltro le autorità prefettizie, salvo casi clamorosi citati dal collega comunista non hanno fatto larga applicazione.
In questo quadro dovrà finalmente trovare posto lo studio della ristrutturazione della Provincia, di questo ente che, nato come ente intermedio, ha trovato sostenitori e detrattori e di cui si pone adesso la necessità di una ristrutturazione. Basterà rilevare che la Provincia ha assunto credito e prestigio di fronte alle nostre popolazioni, più per quello che non era proprio dei suoi compiti istituzionale che per quello che era limitato ai detti compiti. La sollecitazione al Parlamento delle apposite leggi può avvenire proprio attraverso la Regione ed inoltre largo apporto alla ristrutturazione della Provincia potrà essere dato dalla stessa attività regionale, se si dovrà, come ritengo, applicare largamente l'istituto della delega, affidando quindi alle Province l'esecuzione di una quantità di compiti che la Regione farà proprii e istituzionalmente e per volontà propria. Anche qui ritengo che l'art. 117 della Costituzione abbia possibilità di una larga applicazione, intendo dire di un'interpretazione estensiva. In questo quadro dovrà essere presente alla nostra attenzione il problema dei piccoli Comuni, dei Comuni rurali, in numero così vasto e progressivamente sempre più oberati di oneri insostenibili, avendo da provvedere a servizi che in parte non possono essere più espletati, per la limitata consistenza dei Comuni stessi, per il numero esiguo degli abitanti: si debbono ridistribuire delle funzioni che molto spesso sono addossate ai Comuni, senza che gli stessi abbiano possibilità di adeguate entrate.
Per tutto questo, che è stato enunciato, noi possiamo far conto su un'autonomia legislativa delle Regioni. E qui viene in discussione il vero punto, il concetto di autonomia in relazione alle competenze delle Regioni.
Si è rilevato che la Regione ha una competenza concorrente con quella dello Stato, non già contrapposta, ma concorrente sì, così che lo Stato si pone proprio attraverso la Costituzione, nella situazione di chi legifera in una determinata materia le cui competenze sono anche della Regione. Per cui, se non c'é l'ostacolo dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, non si vede come possa essere preclusa alla Regione la competenza legislativa. Il limite non può non essere se non quello disposto dall'art.
117 della Costituzione, cioè dei principi fondamentali e dell'interesse nazionale e di quello di altre Regioni. Ma mentre il secondo aspetto, e cioè che le leggi non siano in contrasto con l'interesse nazionale o con quello di altre Regioni, comporta propriamente un esame di merito, per l'esame di legittimità non resta che il limite dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato. Si è ritenuto che questi principi fondamentali debbano essere elencati nelle leggi cornice e per specifiche materie, mentre si è ritenuto per contro che non ci sia la necessità delle leggi cornice. Per la prima tesi si è richiamato, come è ben noto, la disposizione nona di attuazione della Costituzione, richiamata ancora nell'art. 17 della legge finanziaria testé approvata, la n. 281 del 16 maggio scorso: i lavori stessi dei Costituenti, si ricorda a sostegno della prima tesi, fanno ritenere che quel termine di tre anni in cui la Repubblica avrebbe dovuto adeguare la propria legislazione alle esigenze degli enti locali, cioè alle esigenze della legislazione regionale, sia stato previsto come un termine ordinatorio e non come un termine perentorio.
Ma non mi pare che la questione debba essere posta in termini così stretti da affermare che la scadenza di questo termine comporti più l'impossibilità da parte del Parlamento di emettere leggi a questo proposito, quanto piuttosto deve porsi il quesito se sia necessaria l'indicazione specifica in leggi cornice delle competenze delle Regioni, se sia necessaria l'enucleazione dei principi fondamentali. I principi fondamentali, per loro stessa natura, si traggono dall'ordinamento vigente per cui non si debbono fare delle nuove leggi, se non si vuole aggiungere qualche cosa di nuovo. Personalmente ho molti dubbi non soltanto della costituzionalità dell'art. 9 della legge del 1953, ma anche di parte dell'art. 17 della legge 281: il problema in effetti è questo debbano: essere necessariamente enucleati dal Parlamento in apposite leggi i principi fondamentali delle materie indicate nell'art. 117 o invece questi principi non già si possano trarre dalla legislazione vigente? Il fatto stesso di mettere un termine di due anni e poi lasciare libera l'attività legislativa delle Regioni, anche là dove l'enucleazione non sia fatta (art. 17 legge finanziaria), che cosa significa se non una proposizione programmatica, non certo precettiva, da parte del Parlamento, che si pone nell'ambito dei suoi lavori, il compito di provvedere, ma non l'obbligo costituzionale di dovere, attraverso questa forma, dare il via all'attività legislativa delle Regioni? Di fatto però non possiamo nasconderci che per larga parte della nostra attività questa non possa non essere, proprio per ragioni di tempo, praticamente, limitata proprio perché ci deve essere un certo tempo perché l'avvio dei lavori del Consiglio Regionale possa essere proficuo e spedito, anche mancando in precedenza il trasferimento delle funzioni con i relativi uffici statali.
Quindi non c'è tanto un'interpretazione restrittiva delle norme, quanto piuttosto una valutazione realistica della situazione. Mi pare che debba attribuirsi grande rilievo all'intervento della Regione nella programmazione, cioè alla legge, anzi, al progetto di legge (che legge ancora non è diventata) sulle procedure della programmazione, progetto che ha avuto modo di essere già largamente discusso non soltanto in sede parlamentare; ne hanno discusso i comitati regionali della programmazione economica, che hanno dato indicazioni e suggerimenti a questo proposito. Il progetto assegna alle Regioni un contributo determinante nella formazione del programma nazionale. In una Regione come il Piemonte, Regione del triangolo, di altissima tradizione industriale, in una Regione come il Piemonte, mi pare impossibile che questo argomento non debba trovare opportuno rilievo nello Statuto che stiamo per redigere. Senza dire ancora che mi pare giusto rilevare che proprio in quella più larga interpretazione dell'art. 117 della Costituzione si deve includere una capacità regolamentare della Regione, anche nelle materie che non sono propriamente quelle indicate nella sua specifica competenza e che pure attengono a quelli che di riflesso possono essere compiti della Regione o attività statale che nell'ambito della Regione si deve svolgere. In questo la Regione deve avere una larga possibilità di intervento dal momento che la Costituzione nulla esclude a proposito.
Un opportuno rilievo mi pare dover fare su un altro punto: l'elencazione dell'art. 117 della Costituzione comprende molta parte di quelle materie che sinora sono state affidate, con norma legislativa o non all'attività delle Province e dei Comuni. Basta leggere questa elencazione comprendente urbanistica, polizia locale, caccia, pesca, biblioteche musei, istruzione professionale, assistenza scolastica, beneficenza, ecc.
lavori pubblici di interesse locale (interesse regionale, ma direi che si può allargare al termine più vasto dell'interesse locale), turismo, di cui peraltro oggi si occupano anche gli enti turismo che, come altri enti traspirano un ricordo di tipo corporativo o commissariale. Per tutte queste materie mi pare che nello statuto si debba trovare rispondenza, nella ricerca di una funzione di indirizzo, di governo, di programma. Occorre costituire una valida alternativa perché si superino, là dove è possibile quegli indirizzi consortili che sono stati il mezzo cui si è ricorso per fare svolgere (in qualche modo), un'attività per il raggiungimento di fini generali, proprio in mancanza della Regione e in attesa della Regione. E' per superare la frammentaria azione statale che un certo numero di leggi ben note (la legge Tupini, la legge per l'edilizia ospedaliera, per l'edilizia scolastica), ha consentito di sopperire alle necessità degli enti locali, in conseguenza delle loro entrate insufficienti, ma adesso si deve, proprio in un quadro di riordinamento programmatico, trovare un più giusto, concreto e proficuo intervento che non può non avvenire se non attraverso l'attività dell'Ente Regione.
Ometto, per brevità di tempo, le questioni d'ordine finanziario perch certamente non mancheranno i colleghi che le vorranno trattare, le questione sui controlli dell'attività regionale e dei Comuni e delle Province, limitandomi peraltro, per le Province e i Comuni, a sottolineare un'esigenza evidente in una Regione grande come il Piemonte, composta di sei province, di oltre 1200 Comuni di decentramento; altrimenti faremmo non certamente meglio di quello che è avvenuto in passato con le Giunte Provinciali amministrative.
Vorrei solo fare un brevissimo riferimento alla struttura della Regione, cioè agli artt. 121,122,123 della Costituzione per rilevare che si prevedono tre organi: Consiglio Regionale, la Giunta e il Presidente; tre organi, non uno solo, tre organi ognuno con le sue competenze. Lo statuto dice l'art. 123 della Costituzione, deve essere redatto in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica.
Si è rilevato, mi pare non senza fondamento, che la Costituzione facendo riferimento alle leggi della Repubblica, non intende ogni e qualsiasi legge, ma quelle leggi che la Costituzione prevede siano emesse per l'attuazione dell'ordinamento regionale. Onde si è passati a configurare una fase "costituente" della Regione, cioè una fase in cui non ci sia altra frapposizione all'attività della Regione per la formazione dello Statuto, se non i dettati della Costituzione. Si sa, come è noto e l'abbiamo sentito ripetere (sono cose acquisite alla dottrina e al dibattito in sede nazionale) che alla legge 1953 non si fanno appunti per ogni articolo, ma particolarmente su due punti: su quello che indica il contenuto dello Statuto, (art. 1) che peraltro potrebbe avere un significato esemplificativo, comunque non limitativo in senso di esclusivo e sull'art. 9 che ho già citato per la modifica apportata dall'art. 17 della legge 281 del 1970; e sui rapporti Consiglio-Giunta-Presidente che riguardano proprio la struttura, il funzionamento della Regione.
Proprio per l'esigenza di superamento della legge del 1953, già avvertita in epoca precedente, ci fu la commissione nominata dal governo Moro che diede origine a quel progetto che correntemente va sotto il nome del Sottosegretario De Mita, di cui circolano peraltro due versioni non perfettamente eguali, ma neppure sostanzialmente diverse. Anche qui gli appunti si fanno per altri motivi: uno mi pare superato, cioè l'invio degli Statuti al Ministero degli Interni che dovrebbe presentarli al Parlamento con una relazione; l'altro per l'accentuazione del carattere presidenziale per l'esigenza di stabilità dell'esecutivo, problema che non va peraltro preso di leggeri come mi è parso nelle intenzioni di taluno che mi ha preceduto. Per questo si è raffigurata l'esigenza, per scendere nel pratico, di un superamento della legge del 1953 cercando anche di individuare i rimedi necessari, ipotizzando una proposta di legge di abrogazione, dalle Regioni alle Camere, quella facoltà che già il Presidente ricordava la volta scorsa, sancita dall'art. 121 della Costituzione; qualcuno invece ha ipotizzato il ricorso al referendum popolare abrogativo; terzo, il ricorso diretto alla Corte costituzionale però taluno ritiene non si possa più fare, essendo decorso il termine previsto dalla legge del 1948, di funzionamento della Corte costituzionale.
Infatti il progetto c.d. De Mita se ne preoccupava rimettendo in termini i Consigli Regionali dando un nuovo termine di 90 giorni dalla loro costituzione. Taluno ha pensato al ricorso alla Corte costituzionale qualora il Parlamento non approvasse gli Statuti che non tenessero conto o che fossero in contrasto con la legge del 1953.
Io non vedo invece perché il Parlamento domani non possa approvare degli Statuti che siano parzialmente o totalmente in contrasto con la legge 1953. Non vedo soprattutto perché non lo debbano fare, se avvenisse che questi Statuti trovassero una certa concordanza in diverse Regioni, onde il collegamento che qualcuno ha auspicato con altre Regioni trova qui una puntuale rispondenza. Non vedo pertanto perché non si possa addivenire attraverso l'approvazione del nuovo Statuto, a un'implicita abrogazione per quel tanto che i nuovi Statuti contenessero in contrasto con questa legge 1953. Ma non cavalcherei così il cavallo della contestazione, soltanto per il gusto della stessa: ho rilevato, dando una scorsa sommaria, che la stessa Unione Regionale delle province toscane, cui si è fatto stamani autorevole riferimento, si è posto il problema, e ha ritenuto di risolverlo o, meglio, proposto di risolverlo in termini molto moderati. In definitiva vi si accolgono in parte le indicazioni della 1953, si accolgono in parte le indicazioni del progetto De Mita, ad esempio, contrariamente alla tesi esposta dal Consigliere Sanlorenzo; infatti detto progetto ha messo proprio in ipotesi prevalente la proposta di un sistema presidenziale....



SANLORENZO Dino

Infatti non sono d'accordo.



ARMELLA Angelo

Io non l'ho detto malignamente, pensando che a Firenze pensassero che il Presidente sia comunista e allora cercassero di sostenerlo: la verità è che hanno fatto due formulazioni, ma hanno presentato in primis l'ipotesi della regione presidenziale. Poi magari la Regione toscana non ne terrà conto, per quanto mi pare si siano fatte delle esatte osservazioni e proposte sull'attività del Consiglio, di esercizio effettivo di quei compiti di controllo e legigeranti che sono proprii del Consiglio, in quanto non è detto che questi debbano essere necessariamente ritenuti in contrapposizione con l'attività del Presidente o della Giunta.
Mi sono limitato ad una problematica, senza quindi scendere in molte concrete proposizioni, ma certo in questa tematica mi pare evidente che il problema della stabilità dell'esecutivo (che taluni ritengono si possa risolvere anche soltanto col voto palese, disposizione che vuole moralizzatrice di certe negative tendenze) debba essere affrontato dallo Statuto. Mi pare opportuno, nella prospettiva di un approfondimento del tema, raccogliere la dichiarazione fatta dal Consigliere Fonio di un no alla Regione presidenziale, ma di un pari no ad un sistema esclusivamente e prettamente assembleare. Non abbiamo dei buoni esempi dall'accentuazione di un'eccessiva pretesa assembleare, che ci vengono da certi episodi siciliani o anche dalla non lontana regione tra i monti a nord del Piemonte.
Proprio per questo parrebbe che l'approfondimento debba essere effettuato con grande apertura, certamente, senza preclusioni di alcun genere, ma con l'intenzione ferma di giungere a delle scelte che da un lato tengano conto che la Regione non è il Parlamento, che la Regione è a un tempo un organo legiferante, ma è anche un organo amministrativo, e deve essere anche un mezzo di governo.
Signor Presidente, egregi colleghi; ho terminato e non mi attardo in una disamina che per la vastità della materia finirebbe, nonostante il grande interesse per la stessa, di essere affaticante. Mi sono solo avvicinato, senza l'intenzione di farne una summula, ai problemi esistenti soltanto per dare l'espressione di una presa di coscienza della problematica che si presenta a noi. Noi tutti sappiamo di essere di fronte ad un compito difficile e nello stesso tempo stimolante. Non dobbiamo ritenere che il sistema politico istituzionale italiano possa cambiare di punto in bianco; è difficile che possa cambiare di punto in bianco, perch sono nate le Regioni, ma nello stesso tempo dobbiamo credere, e ne siamo fermamente convinti, che con le Regioni molto è cambiato e molto cambierà.
Ci auguriamo che questo cambiamento possa essere fatto con serietà, con preparazione e, per quanto ci riguarda, anche con entusiasmo.



PRESIDENTE

I nostri lavori riprenderanno alle ore 16.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,35)



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