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Dettaglio seduta n.195 del 22/01/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Dichiaro aperta la seduta. Punto primo dell'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute".
I processi verbali delle sedute del 15, 16 e 17 gennaio sono stati distribuiti ai Consiglieri all'inizio dell'odierna seduta. V'è da rilevare in proposito che il Consigliere Zanone, che nelle sedute del 17 gennaio vi figura fra i non presenti, è invece da considerarsi in congedo, come da sua regolare comunicazione.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Punto secondo dell'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente".


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Giovana, Debenedetti, Nesi Simonelli.


Argomento:

b) Progetti di legge - Presentazione e assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

Sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge: n. 130 relativa a interventi regionali per case di abitazione dei coltivatori diretti" n. 131 relativa a: "Interventi regionali nel settore dei miglioramenti fondiari" n. 132 relativa a: "Interventi regionali in favore della zootecnia" presentate tutte in data 18 gennaio '74 dal Consigliere Franzi assegnate alla VI Commissione il 21 gennaio '74.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Presentazione del programma organico della Giunta e relativa discussione (seguito)


PRESIDENTE

Passiamo al punto terzo dell'o.d.g.: "Proseguimento discussione programma organico della Giunta".
Ha chiesto di parlare il Consigliere Vera. Ne ha facoltà.



VERA Fernando

Lo svolgimento a puntate di questo dibattito e il fatto che il quarto potere, che tutto può, in fondo mi abbia già elencato tra gli oratori della scorsa settimana mi indurrebbero a riconsiderare l'utilità di un mio intervento. Ritengo però dovere di ognuno in questo Consiglio prendere posizione sulla volontà espressa dalla Giunta in ordine all'azione da esplicarsi in questi ultimi cinquecento giorni di legislatura regionale prescindendo da una valutazione del modo di strutturarsi di questi nostri dibattiti, che nell'ambito di una revisione del Regolamento consiliare andrebbe, a mio avviso, riveduto al fine di evitare un certo sfilacciamento della discussione.
Il lungo, ampio discorso tenuto dal Presidente Oberto una decina di giorni or sono ha riproposto in forma concretizzata ed esplicativa la volontà politica già espressa nel documento programmatico delle forze di maggioranza che ha accompagnato l'elezione della Giunta, e quindi riesce abbastanza difficile aggiungere qualcosa a chi è stato, come noi, partecipe di quella volontà. Ritengo che siano piuttosto utili alcune sottolineature di obiettivi e di quadro operativo nell'ambito di questo ampio panorama che il Presidente Oberto ha proposto al Consiglio.
E' evidente che gli obiettivi che si devono porre l'azione della Giunta, l'azione del Consiglio, l'azione delle forze del Consiglio che appoggiano la Giunta travalicano cronologicamente i limiti della legislatura. Il tempo che ci rimane a disposizione è un tempo breve, in cui si può far poco o molto a seconda dell'impostazione che si dà al lavoro della Regione: poco si farebbe se si pretendesse di impostare la soluzione di tutti gli problemi e di costruire in questi pochi mesi il Piemonte degli anni Ottanta e Novanta molto se si creano - e questo è possibile ed è fattibile - gli strumenti acciocchè la seconda legislatura regionale piemontese possa veramente, attraverso quegli strumenti, utilizzandoli ai fini dell'esplicazione di una propria volontà politica, creare il Piemonte degli anni tra gli Ottanta e i Novanta.
Il primo strumento - l'abbiamo già detto in occasione della discussione del documento programmatico, ma conviene ripeterlo - è indubbiamente il Piano regionale. Piano regionale che, anche in considerazione dei limiti di tempo che abbiamo davanti a noi, cioè del fatto che ciò che noi proponiamo dovrà essere concretamente realizzato da coloro che ci succederanno su questi banchi, deve essere abbastanza completo nelle impostazioni generali nelle scelte che vengono proposte - che, tra l'altro, saranno proposte all'attenzione degli elettori nelle elezioni del 1975 -, ma anche abbastanza elastico da consentire arricchimenti, integrazioni e correzioni di rotta negli anni che andranno dal 1975 al 1980.
Uno degli elementi importanti - giustamente lo sottolinea il Presidente nella relazione - di questo piano è il problema della ripartizione comprensoriale, o sub-regionale, se non vogliamo usare l'aggettivo comprensoriale, dei settori di operatività del piano, che comunque pongono chiaramente le basi per la creazione nei prossimi anni dei comprensori creazione che ci viene richiesta (credo che tutti o Consiglieri ricevano documenti, ordini del giorno votati da Consigli Comunali e da organismi locali del nostro Piemonte) da più parti.
All'attuazione della soluzione istituzionale, che rappresenta indubbiamente l'optimum, sappiamo che si frappongono difficoltà di carattere giuridico. Accanto ad essa, proprio in quanto lo riteniamo uno strumento vitale, uno strumento, quindi, profondamente, sostanzialmente democratico, non va scartata ma va incoraggiata la soluzione di carattere volontario e funzionale attraverso l'azione dei Comuni della nostra Regione che dovrebbero comporre questi comprensori.
Altri strumenti del Piano sono la Finanziaria, sono gli enti ad hoc di sviluppo, che dovrebbero essere agili e specifici per la realizzazione del Piano. Quello che soprattutto importa, a mio parere è mobilitare attorno al Piano di sviluppo della Regione Piemonte l'interesse, la cooperazione, la partecipazione, la collaborazione di tutti i cittadini della Regione, ed in particolare dei sindacati, degli operatori economici, delle forze sociali e politiche. Perché soltanto in questo modo noi potremo avere un piano di sviluppo della Regione Piemonte che sia, per il modo di elaborazione, per l'interesse, per la collaborazione anche agli effetti dell'operatività veramente democratico, e quindi, in una società dove non e pensabile una pianificazione di carattere coercitivo, come la nostra, tale da avere veramente possibilità di realizzazione, e non debba rimanere, come troppe volte è avvenuto nella storia della programmazione relativa al nostro Paese, una bellissima costruzione astratta che però noi/ viene calata nella realtà e soprattutto non viene calata nella volontà di coloro che dovrebbero realizzarla.
Un altro strumento che con piacere abbiamo visto che il Presidente Oberto e la Giunta da lui presieduta hanno intenzione di perfezionare è indubbiamente costituito dal Personale della Regione. E' necessario operare attraverso una sistemazione di carattere organico del Personale che abbiamo ed una prospettiva di strutturazione della futura burocrazia regionale.
Una delle remore che mi pare trovi citazione anche nel documento della Giunta, che comunque e stata spesso richiamata, è il fatto che non si sia ancora risolto il problema delle deleghe e del collegamento tra quanto sarà delegato ad altri Enti locali e quanto rimarrà come funzione alla Regione e il personale che sarà chiamato a realizzare e questa parte rimasta alla Regione e il controllo su quanto sarà ad altri delegato: mi pare abbastanza logico ed ovvio. Importa, però, a nostro avviso, evitare che questo collegamento, che, ripeto, ha una sua logica, rappresenti anche un alibi una remora alla risoluzione di questo problema e che quindi si arrivi alla fine della legislatura senza aver dato alla Regione una sua struttura quanto a personale.
A tale proposito, ritengo che occorra operare non soltanto per il presente ma anche e soprattutto per il futuro: occorre evitare che si riproduca nell'ambito della burocrazia regionale un certo tipo di mentalità e di costume della burocrazia statale che noi abbiamo spesso criticato curando la preparazione di quadri burocratici agili, efficienti, di mentalità del tutto diversa da quella che noi abbiamo rimproverato alla burocrazia statale, che consenta alla Regione nei prossimi anni, nei prossimi decenni, di operare in modo diverso, in modo efficiente, la preparazione di un cast di persone anche abbastanza ristretto che sappia rendere sensibile la presenza della Regione nei confronti dei problemi che ad essa competono e dei quali la popolazione attende da essa la risoluzione.
Indubbiamente, la crisi in cui versa il Paese, in cui versa la nostra città, in cui soprattutto versa il Piemonte, in quanto regione fra le più industrializzate e quindi a tecnologia e a industrializzazione più avanzata dell'Italia, crea alla strutturazione del futuro economico, sociale e politico della Regione Piemonte difficoltà che vanno tenute in considerazione. Quindi, anche la parte di lavoro, di elaborazione programmatoria che si e finora svolta va evidentemente corretta in considerazione di queste difficoltà. Si deve trattare, però, di correggere non di rimanere in una situazione di stasi che impedisce qualsiasi impostazione di azione riformatrice, e che, come si sente dire con una certa frequenza in campo nazionale, faccia sì che si congeli tutto e che le riforme vengano poi rinviate a tempi molto lontani, quando i mezzi economici permetteranno di realizzarle. Al contrario, occorre un'impostazione, un inizio di un'azione riformatrice proprio anche in funzione di incoraggiamento, in funzione psicologica e morale verso popolazioni che la situazione economica attuale mette in stato di difficoltà e di estrema preoccupazione.
Certo, nell'ambito di questa crisi - crisi più economica che energetica, anche se indubbiamente il fattore energetico è uno dei fattori forse neppure il principale - si intrecciane azioni politiche anche sotterranee, spesso contraddittorie, che rischiano di mettere in pericolo la stessa democrazia nel nostro Paese: giochi politici che ripetono il solito costume di machiavellismo deteriore purtroppo tipico della vita politica nel nostro Paese; velleità rivoluzionarie e nostalgie reazionarie estremamente intrecciate; una forma di luddismo, cioè di posizione antitecnologica, tanto p u negativa perché, a differenza dal luddismo dell'Ottocento, non ha quale retroterra quella società contadina che forniva una giustificazione umana ed anche una possibilità di sia pur anacronistico ritorno agli inizi dell'Ottocento; la tentazione per molti ceti e molti gruppi politici di far pagare ai lavoratori con milioni di disoccupati il prezzo della deflazione e nello stesso tempo di castigarli per le loro conquiste politiche e sociali; la disordinata marcia verso il Sud, tessuta purtroppo di interessi clientelari (abbiamo visto in questi giorni l'episodio clamoroso dell'Alfa Romeo), che rischia di non giovare al Sud e nello stesso tempo di danneggiare l'economia del Nord, soprattutto di ridurne il livello dell'occupazione .
Noi Consiglieri regionali siamo stati chiamati spesso, in queste ultime settimane, ad occuparsi dei casi della "Coppo", della Moncenisio, della Lancia, e io ritengo che a questo proposito, anche se non è detto esplicitamente nei propositi della Giunta espressi nel documento, occorra che si faccia da parte della Regione Piemonte, come da parte di altre Regioni del Nord interessate, un discorso completo, un discorso organico e di prospettiva nei confronti del Governo del Paese Un discorso, cioè, che esamini realisticamente quanto di valido c'è in questi tipi di industrie e di attività industriali, quali possibilità ci sono ancora per il prossimo futuro; ma che, nello stesso tempo, organicamente, concretamente contrasti con il Governo del Paese quello che è il livello di occupazione della nostra Regione, delle altre Regioni del Nord, ed eviti, sia pur nel quadro giustissimo e valido di un'azione a favore del Mezzogiorno d'Italia, che si producano nella nostra Regione situazioni di disoccupazione ere non possono non essere preoccupanti anche per i riflessi politici.
Questo intreccio di azioni contraddittorie, che ci preoccupa in quanto potrebbe danneggiare, forse addirittura distruggere,la democrazia italiana va sciolto da parte di tutti, non soltanto da parte del Governo, quindi anche da parte nostra, da parte della Regione da parte degli enti locali correggendo gli errori del passato e non stravolgendo tutta una realtà ed un'impostazione di strutture industriali e sociali, sostenendo le conquiste ottenute nel passato, creando, se mai, alternative rispetto ai vuoti e alle lacune che si vengono a creare, prospettive per il futuro.
Uno di questi settori di correzione che già avevamo indicato in occasione del discorso sul documento programmatico è indubbiamente quello del turismo, uno dei più toccati dalle restrizioni adottate dalle autorità governative ed estremamente bisognoso di un sostegno. Questo sostegno pu essere episodico, sporadico, ma dev'essere, a nostro avviso, organicamente contenuto in un piano che tenga conto anche, come quello approntato, se non erro, dalla Regione Emilia, delle strutture, delle attrezzature turistiche da crearsi con un certo tipo di scelte, e quindi con un colloquio con gli enti locali, in modo da evitare che nascano e vengano incoraggiate iniziative a carattere puramente artigianale, con scarse prospettive di sviluppo, e facendo invece scelte di carattere organico, pianificate, in modo da dare al settore turistico, che in una Regione a carattere montano come il Piemonte ha pur sempre una sua possibilità di avvenire un appoggio adeguato, evitando però ogni spreco causato da disorganicità.
Un altro settore che ha indubbiamente bisogno di un'azione di sviluppo è quello dell'agricoltura. Non mi attarderò a ripetere in questo Consiglio del resto, se n'è parlato ampiamente, ed anche in modo polemico considerazioni già svolte da alcuni colleghi. Vorrei soltanto osservare visto che il problema ci è stato posto in modo abbastanza drammatico una settimana addietro, con una contestazione che ha delle motivazioni umane cui non possiamo non essere sensibili, che l'accusa che viene mossa a tutta una classe politica avrebbe bisogno quanto meno di discriminazioni, perch ci troviamo di fronte al fatto paradossale che gli contestatori appartengono ad un'organizzazione che non è soltanto un'organizzazione sindacale ma che è stata negli anni passati soprattutto un'organizzazione di grosso peso politico, come già ha ricordato qualcuno in quest'aula, che ha avuto una parte importantissima, se non predominante, se non essenziale nella politica agraria nel nostro Paese; la contestazione va quindi semmai rivolta sotto forma di autocritica verso l'interno di questa organizzazione, anziché investire tutta una classe politica le cui eventuali colpe vanno poste in subordine a quelle dell'organizzazione che ripeto, aveva questa grossa responsabilità nell'ambito della politica agraria.
Per quanto riguarda la questione particolare che ci è stata posta, cioè quella dell'Albo professionale, io voglio dire che, per quanto riguarda il nostro Gruppo, noi non abbiamo prevenzioni nei confronti di questa proposta, purché - e ci pare una condizione logica - questo non rappresenti un fatto corporativo ma sia un fatto di difesa di legittimi interessi e di aspettative degli agricoltori.. Cioè, se questo servirà effettivamente ad evitare speculazione, ad impedire che vengano concesse agevolazioni a persone che non fanno parte della categoria agricola, siamo perfettamente d'accordo; siamo invece assolutamente contrari se si vuol crearne un fatto corporativo.
Noi abbiamo ascoltato con commozione, la settimana scorsa, il discorso appassionato del collega Bertorello. Mi si consenta però di dire che è contraddittorio che da una parte si lamenti lo spopolamento delle campagne e contemporaneamente ci si dolga che ci siano degli operai i quali per amore verso la terra ereditata dalle loro famiglie, dai loro genitori dedicano una parte del loro tempo libero a questa attività di carattere agricolo, o che dei pensionati, sottraendosi all'atmosfera alienante della città, tornino a lavorare la campagna. Questa lamentazione, questa tendenza ad escludere alcuni tipi di attività agricola mi pare in contrasto con la preoccupazione per lo spopolamento delle campagne, Noi non vogliamo, in sostanza, che si crei una categoria chiusa, in cui forse neppure Cincinnato, se potesse rivivere, avrebbe diritto di entrare perché non iscritto all'albo professionale. Perché ci preoccupiamo dei contadini, ma anche dei Cincinnati - ad un livello più modesto, naturalmente, di quello storico - che, dopo aver trascorso un'intera esistenza al tornio nell'officina, desiderano tornare all'agricoltura dei loro padri e coltivarsi il pezzetto di terra loro rimasto nel paese.
Altri settori alternativi, oltre a quello dell'agricoltura, sono evidentemente - non è il caso di soffermarcisi, perché già se n'é parlato in numerosi interventi - l'edilizia residenziale ed i servizi, ivi compreso il grosso problema dei trasporti, che a nostro avviso richiede un ampio discorso organico circa il trasporto pubblico e circa l'estensione dell'area pubblica del trasporto pubblico. Perché c'è poi questo equivoco semantico del pubblico che però può anche indicare l'impresa privata che esercita l'attività di trasporto pubblico.
Noi riteniamo che un'estensione dell'area pubblica sia un fatto indubbiamente oneroso per gli Enti locali, che però non può non essere auspicato proprio per dare organicità al settore e soprattutto per dare alle popolazioni possibilità di servizi, magari non redditizi, magari non economici, che hanno però una loro validità sociale ed ai quali non si pu rinunciare nel momento in cui si propone il trasporto pubblico come alternativa al trasporto privato.
Un altro settore per il quale io credo sia il caso di soffermarci a sottolineare l'esistenza di un'esigenza di intervento è quello ospedaliero.
E' un settore che attende tutto: una razionalizzazione, degli interventi.
E' forse uno dei settori più disastrati nel campo dei servizi sociali del nostro Paese, come, d'altra parte, anche un settore che ha bisogno di molto e che ha bisogno soprattutto di molta razionalizzazione è quello dell'assistenza, in rapporto al quale vorrei riaffermare l'urgenza di un'assistenza agli anziani, che troppo spesso nel nostro Paese vengono dimenticati e sottaciuti proprio quando invece l'isolamento, la solitudine ma soprattutto la situazione di estremo bisogno dell'anziano in una società tecnologicamente avanzata diventa ogni giorno più drammatica.
Tutte queste azioni che la Regione e gli altri Enti locali che essa dovrà stimolare e coordinare devono svolgere non rappresentano soltanto delle alternative di occupazione rispetto a settori scoperti come occupazione, ma anche - e questo è un fatto politico e democratico - una realizzazione di servizi nei confronti della popolazione, soprattutto della parte più disagiata della popolazione, che è la classe lavoratrice, in un momento in cui a questa classe lavoratrice vengono chiesti molti sacrifici per sostenere l'economia del Paese. Come contropartita - se vogliamo usare questo termine, che però non è esatto - a questi sacrifici che vengono richiesti, lo Stato, gli enti pubblici, la comunità devono pur dare un minimo di servizi, proprio come dimostrazione :.della presenza dello Stato ed anche come scoraggiamento ad una fiducia nello Stato, ad una fiducia nella cosa pubblica che oggi difficilmente può essere dimostrata ed invocata.
Il più importante tra i servizi, quello che è veramente un cardine dell'azione per creare una società più preparata alle esigenze ed ai mutamenti di una vita moderna, è senz'altro la scuola. In questo campo si è molto distrutto in questi anni, a mio avviso giustamente, perché ci trovava di fronte a strutture marce, decrepite, che cedevano da tutte le parti.
L'azione demolitrice del piccone che da parte di movimenti di contestazione si è avuta nei confronti della scuola ha forse avuto degli eccessi, ma ha indubbiamente avuto una notevole dose di validità. Il fatto che si sia molto distrutto rende oggi maggiormente indilazionabile l'esigenza di ricostruire; perché non è possibile lasciare una scuola in queste condizioni; come non era possibile, d'altra parte, precedentemente avere una scuola in quelle condizioni.
Noi abbiamo sentito l'altro giorno, almeno quelli che hanno partecipato all'incontro con i dirigenti della Fiat, una considerazione che, quale che sia il giudizio sulla porta da cui viene, ritengo sia ugualmente valida: quella, cioè, che per procedere verso prospettive di sviluppo nel settore terziario più avanzato, che sono quelle alternative alla struttura industriale poggiata sull'auto, occorre disporre di una scuola che fornisca dei quadri orientati verso questo tipo di tecnologia avanzata. Perché oggi come oggi, rispetto alla scuola di altri Paesi del mondo occidentale, noi abbiamo una scuola indubbiamente ad un gradino inferiore, che quindi consente di meno, o non consente affatto, lo sviluppo di questi programmi di tecnologia più avanzata. Il che dimostra ancora una volta che la scuola è veramente il cardine per un'azione di trasformazione; che il cosiddetto nuovo modello di sviluppo che si vuol creare, quali che poi ne siano le implicazioni e le forme, a tutt'oggi è ancora abbastanza nebuloso: comunque, questo modello di sviluppo passa attraverso la scuola, passa attraverso la formazione di quadri tecnici e sociali diversi da quelli che produce la scuola italiana di oggi.
Non intendo soffermarmi su altri problemi, che indubbiamente ci sono e sono tutti importanti: quello del commercio, per esempio, della distribuzione, dove occorre trovare una linea mediana fra strutture diverse della piccola e della grande distribuzione, della cooperazione - che a nostro parere sarebbe ingiusto e sbagliato distruggere a favore di una sola di, esse: occorre trovare una via di contemperamento, attraverso una distinzione di compiti che consenta ad ognuna ci queste forme di distribuzione di avere una propria sfera d'azione e nello stesso tempo impedisca ad ognuna di esse di invadere la sfera d'azione propria di altri settori.
Circa il problema della montagna, non dovremmo avere preoccupazioni perché il nostro Presidente della Giunta può essere considerato un missionario dei problemi della montagna. Lo ricordo anni fa magnifico Assessore alla Montagna della Provincia di Torino. Indubbiamente, questo ci rassicura molto. Vorrei però ricordare il modo piuttosto controverso in cui sono nate le Comunità Montane, che a giudizio molti, anche nostro, non davano tutte le garanzie di essere veramente degli strumenti di un'efficace pianificazione. E quindi la maggiore esigenza, che già avevamo sottolineato in occasione di quel dibattito, che attraverso l'intervento, il controllo l'assistenza della Regione fosse sviluppata proprio questa funzione, di strumenti di ripianificazione delle Comunità Montane, che non dovevano essere semplicemente un modo ed uno sfogo di campanilismi di carattere abbastanza deteriore. Questa mi pare sia una cosa non molto contemplata nel discorso programmatico della Giunta: mi pare sia però un elemento che vada tenuto in particolare considerazione, proprio ad evitare che uno strumento democratico quale sono le Comunità Montane che noi abbiamo creato vada poi sprecato perché non viene utilizzato per quello che può essere veramente un obiettivo di progresso, un obiettivo di riforma, un obiettivo di prospettiva, ma ad un livello estremamente più basso.
Un'altra lacuna che rilevo nel discorso programmatico della Giunta - e che presumo lamenterà anche l'amico Calsolaro - è quella di un discorso europeo che proprio le vicende degli ultimi mesi hanno reso particolarmente pressante e pregnante nei confronti delle Comunità nazionali. Capisco benissimo che non è un compito regionale, perché sconfina nella politica estera, e il Governo rivendica a sé in questo settore un'assoluta supremazia, avvalendosi anche di circolari di riferimento, com'é avvenuto in passato, alle leggi fasciste. Però, a me pare molto strano - a prescindere da altre azioni, da altre iniziative che le Regioni specialmente una regione di frontiera come il Piemonte, una regione che ha tradizioni europee come il Piemonte, potrebbero attuare nei confronti di altre Regioni dell'Europa - che nel momento in cui si discute di una politica regionale europea, e di quello strumento essenziale per una politica regionale europea che è il Fondo regionale di sviluppo, al vertice degli istituti europei, l'interlocutore di questo discorso sia soltanto il Governo italiano. Mentre capisco, conoscendo certi antefatti, il desiderio del Governo italiano di riservare a sé questo compito, capisco assai meno la riluttanza delle Regioni ad affrontare congiuntamente, combattendo insieme, questa che è poi una battaglia di rivalutazione dell'istituto regionale, chiedendo di discutere con il Governo questo problema, che le tocca direttamente (forse il nostro Piemonte un po' meno di altre Regioni che si trovano in condizioni di sottosviluppo). Non mi risulta che ci sia da parte delle Regioni italiane un'iniziativa in rapporto a questo problema, che è un problema di carattere regionale.
Vorrei pertanto sollecitare il Presidente Oberto, proprio perché ne conosco il passato e la passione europeista, visto che, in fondo, il Piemonte è parte meno interessata e quindi una sua azione ha meno probabilità di essere sospettata di essere svolta pro domo sua, a promuovere come Regione Piemonte, insieme ad altre Regioni, come la Lombardia, che ha avuto un precedente nel Convegno di Milano sulla Comunità alpina, un'iniziativa di carattere politico al fine di ottenere che il problema del Fondo regionale sia discusso da parte del Governo insieme alle Regioni, che sono le più dirette interessate. Mi pare che un'azione di questo tipo da parte di Regioni che dovrebbero essere quelle maggiormente interessate al processo di unificazione europea, cioè le Regioni del Nord Italia, sia non soltanto utile ma necessaria, rispondente alle responsabilità politiche e storiche che queste Regioni hanno, opportuna in specie in un momento in cui purtroppo il nostro Paese ha fama di interessarsi scarsamente ai problemi europei e semmai di subire tentazioni verso altri tipi di politica estera, anche se molto velleitari, di carattere africano, mediterraneo, che ricordano la spada dell'Islam di malfamata memoria.
Tutti questi problemi, indubbiamente di estrema vastità, di fronte ai quali si trova la Regione Piemonte, e a cui essa deve offrire, ripeto, non una soluzione globale che sarebbe impossibile, ma un'impostazione che affidi alla seconda legislatura della Regione qualche cosa di più che delle buone intenzioni e delle velleità, vanno affrontati non soltanto dalla Giunta ma da tutto il Consiglio, che ripropone un discorso di rapporti fra la maggioranza che si è costituita con la formazione della Giunta Oberto e le forze politiche di opposizione che esistono in questo Consiglio intendo ovviamente il Partito comunista e il Partito liberale, perché la cosiddetta Destra Nazionale si colloca in un'altra dimensione, al di là di quelle che sono le cose politiche democratiche del nostro Consiglio, della nostra Regione -; un discorso che mi pare sia stato dal Presidente Oberto nel suo discorso programmatico, impostato abbastanza correttamente.
Per quanto ci riguarda, noi siamo decisamente favorevoli a questo discorso, a questo confronto, a questa sfida democratica - chiamiamola come si vuole, non è tanto il nome che conta quanto la sostanza che si darà a questo -, ma a condizione che non vi siano strumentalizzazioni da una parte di opposizione, e soprattutto non vi sia da parte della maggioranza la considerazione di questa diversa forma di opposizione come una specie di puntello dato alla sfiducia in se stessi. Noi riteniamo che la maggioranza debba avere un'estrema fiducia nelle proprie forze, nelle proprie iniziative, e non debba temere di confrontarla con le voci che possono venire dalle opposizioni, e anzi debba accettare queste voci quando esse rivelano la loro validità, proprio in funzione di questa fiducia che la maggioranza ha nelle proprie forze e nelle proprie capacità.
Per parte nostra, l' ho già detto; non vi è assolutamente alcuna discriminazione nei confronti delle forze di opposizione: verso l'una vi è una chiara divergenza ideologica, che credo non abbia bisogno di essere sottolineata, verso l'altra una differenziazione politica estremamente netta. Vi è però, da parte nostra, un'estrema disponibilità ad un confronto e ad un incontro sui problemi, che riteniamo siano nell'interesse di tutti.
La Giunta che nasce avrà da parte del Gruppo socialista democratico la più leale collaborazione, com'è nel nostro stile e nel nostro costume.
Leale collaborazione che vuol essere anche un'azione di stimolo e di verifica. Cioè, noi non riteniamo, anche se siamo autorevolmente rappresentati dagli Assessori Benzi e Debenedetti nella nuova Giunta, anche se abbiamo in questi uomini da noi designati a coprire questi incarichi la massima fiducia, di aver dato alla Giunta una delega totale ad occuparsi di tutti i nostri problemi, di tutti problemi della Regione; riteniamo invece che questo tipo di strutture che rispondono ad una normale strutturazione democratica degli enti elettivi, almeno degli enti elettivi come la Regione, implichi anche ed esiga una compartecipazione delle forze politiche, pur nella diversa collocazione dei compiti che derivano dallo Statuto, che derivano dalla legge e che riconosciamo.
Il Presidente Oberto ha detto che occorre, per governare in questi tempi difficili, negli anni Settanta, fantasia ed immaginazione.
Concordiamo su questa valutazione. Naturalmente, sarebbe bene sempre precisare che cosa si intende per fantasia e che cosa per immaginazione.
Noi riteniamo di dare a queste espressioni il loro significato più positivo: non di fantasia ed immaginazione che creano come fossero vere delle strutture svincolate dalla realtà, il che è proprio spesso della rappresentazione artistica, almeno di un certo tipo di rappresentazione artistica di carattere fantastico; ma di fantasia e immaginazione in quanto capacità di dare armonia, di trovare la sostanza delle cose che sono, cioè della realtà. L'altro è un tipo di fantasia di cui gli italiani sono spesso anche troppo dotati, ma che non riteniamo una qualità positiva per governare, che anzi ha già fatto anche troppi danni. Quindi, anche capacità di previsione, di realismo, di coraggio; capacità di rispondere efficientemente alle sfide che pongono i problemi. E' una cosa che molte volte - diciamolo sinceramente e onestamente - è mancata nella classe politica italiana. Occorre dimostrare oggi all'elettorato che la democrazia non è soltanto il migliore, l'unico tipo di governo possibile, ma che la democrazia può essere anche efficiente. Non è vero quello che dicono gli apologeti della dittatura, anche delle dittature di nuovo tipo - abbiamo visto decantare i bravissimi generali brasiliani o sud-americani, questi tecnocrati usciti dalle accademie militari, che mettono tutto a posto e creano anch'essi un nuovo modello di sviluppo, che evidentemente noi non ci sentiamo di accettare. Noi riteniamo che la democrazia possa dare una risposta efficiente ai problemi che pongono le società estremamente più complesse, i sistemi estremamente più complicati del mondo moderno, della vita d'oggi. Soprattutto questo, più che la fantasia e l'immaginazione e via dicendo, noi chiediamo alla Giunta della Regione Piemonte che abbiamo eletto poco tempo fa e che ci ha esposto in questa serie di dibattiti il suo programma.
Le Regioni sono oggi un po' il banco di prova della democrazia l'abbiamo già detto in altre occasioni, perché sono un istituto nuovo, un istituto che non ha avuto molte possibilità di squalificarsi di fronte all'opinione pubblica, cui, quindi, l'opinione pubblica guarda con una certa speranza. In parte hanno mancato fino ad ora ai loro compiti, per colpa di circostanze varie (non c 'erano le deleghe eccetera). Però, se continueranno ad operare in modo così deludente, nei prossimi anni attribuire la colpa alle circostanze potrà servire a salvare la responsabilità degli uomini, o in qualche misura, sia pure molto attenuata di qualche forza politica. Ma, mettiamocelo bene in testa, non potrà salvaguardare l'avvenire della democrazia nel nostro Paese, perché questo è l'ultimo istituto, l'esempio di quel che può essere la democrazia come partecipazione popolare, come modo di avvicinare la cosa pubblica alla vita d'ogni giorno degli uomini che compongono il nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'attività della nuova Giunta alla quale i socialisti hanno dato la loro adesione, il loro consenso viene a coincidere con una fase particolarmente delicata della vita del nostro Paese e della nostra Regione.
Le drammatiche vicende che si sono andate via via sviluppando, e di cui la crisi energetica è soltanto il motivo immediato e quasi occasionale ben più lontane e decisive essendo le cause reali che ne hanno reso possibile l'insorgere e il progressivo affermarsi - hanno coinvolto in misura massiccia anche la nostra Regione, collocandola addirittura al centro di un processo involutivo che potrebbe interessare le stesse istituzioni democratiche del nostro Paese.
E' una sensazione, questa, che abbiamo avuto nei giorni scorsi alla luce degli incontri con i lavoratori delle fabbriche e con gli amministratori locali delle zone più direttamente minacciate.
Abbiamo sentito i rappresentanti della Comunità Montana della bassa Valle di Susa - esasperati da una situazione di continua degradazione dei livelli e delle condizioni di occupazione, di permanente ansia di migliaia di famiglie legate alle sorti di aziende le cui prospettive di esistenza appaiono sempre più difficili - minacciare la proclamazione dello stato di disobbedienza civile.
E' una sensazione che diventa realtà preoccupante con il provvedimento assunto dalla Direzione della Lancia nei confronti di migliaia di lavoratori e che l'incontro con la società capogruppo non ha certo contribuito in misura soddisfacente a modificare.
Si offre in questo momento alla nostra Regione - al Consiglio e alla Giunta - un'occasione unica, e forse irripetibile, per porsi all'avanguardia del movimento riformatore, incontrando come naturali alleati su questa strada gli enti locali - i Comuni, le Province, le Comunità Montane -, i partiti democratici, i sindacati, le formazioni sociali, tutti ugualmente impegnati nel generale processo di rinnovamento delle strutture economiche e sociali del nostro Paese.
La relazione del Presidente della Giunta sul programma elaborato dai Gruppi politici che hanno costituito il nuovo Governo regionale ci sembra che corrisponda in larga parte alle attese che si erano andate accumulando nella previsione di quella svolta politica che le decisioni dei partiti interessati avevano assunto come inevitabile e non più dilazionabile.
Ci sembra, d'altra parte, e ad ulteriore conforto di questa nostra convinzione, di avere colto negli interventi che fino ad ora si sono succeduti, anche da parte delle forze politiche delle opposizioni democratiche, un momento di particolare interesse per il programma presentato e di rinnovato impegno per l'assunzione da parte della Regione di precise responsabilità in ordine al suo naturale ruolo di guida dello sviluppo regionale.
Questo interesse e questo impegno pur nella diversa prospettiva nella quale si collocano le forze politiche che se ne sono fatte partecipi esigono da parte della maggioranza che ha dato forma al nuovo Governo regionale risposte chiare, non equivoche, sostanzialmente innovatrici sul modo di fare politica proprio del recente passato, collocate tempestivamente nel quadro della domanda emergente dalla collettività.
I socialisti, partecipando al Governo della Regione, non intendono per esaurire in questo ambito la loro funzione di promozione, di stimolo, di proposta, di critica. Essi intendono, nel rispetto degli accordi programmatici liberamente sottoscritti, per quell'autonomia dei partiti che e condizione essenziale e irrinunciabile ai fini di una corretta dialettica politica e di un effettivo progresso delle istituzioni democratiche svolgere la loro funzione ed i loro compiti esigendo da un lato la sollecita e puntuale realizzazione del programma alla cui predisposizione hanno dato la loro approvazione, dall'altro riservandosi quelle iniziative e quelle modifiche che nel corso della legislatura dovessero apparire più opportune o necessarie per una maggiore rispondenza dell'azione programmatica e dello stesso programma allo spirito degli accordi di maggioranza.
Questo nostro impegno deriva anche dal significato che la costituzione della Giunta di centro-sinistra alla Regione Piemonte e la contemporanea costituzione di una Giunta di centro-sinistra al Comune di Torino rappresentano in ordine ad un modo di far politica e di gestire il potere nella sovrapposizione, nella convergenza, nell'intricato gioco di interessi molteplici e contraddittori.
La coesistenza di questi interessi politici, amministrativi ed economici è stata, senza dubbio, una delle cause determinanti del mancato decollo della Regione sul piano della vertenza istituzionale con i poteri dello Stato e di quella che abbiamo altra volta definito la "pigrizia legislativa" della Giunta di centro destra.
Essa ha rasentato i limiti dell'assurdo in occasione delle controversie sulle ineleggibilità e le incompatibilità, al cui confronto le guerre tribali dei popoli cosiddetti selvaggi, anche se selvaggi non sono acquistano il sapore di libero e democratico confronto.
Riteniamo di esserci posti alle spalle definitivamente, almeno sul piano politico, la fase di arretramento democratico aperta con l'esperimento di centro-destra, e per questo abbiamo ragione di considerare e di apprezzare positivamente l'apporto che nel seno dei partiti impegnati a livello governativo hanno assunto quelle forze che della ricostituita collaborazione di centro-sinistra si sono fatte promotrici e realizzatrici.
Ci rendiamo altresì conto - ed esiste in proposito un esplicito richiamo, nella relazione programmatica del Presidente della Giunta dell'importanza di quell'opposizione diversa che viene proposta dal Gruppo comunista, e che è stata annunciata in termini che potremmo definire "di governo" dal Consigliere Minucci in quest'aula. Essa costituisce indubbiamente ulteriore motivo di impegno e di responsabilità da parte della maggioranza.
Non possiamo tuttavia non esprimere la nostra viva preoccupazione per le conseguenze che si potrebbero determinare sugli stessi obiettivi enunciati per i 500 giorni di questo scorcio di legislatura per l'ipotesi che si e ormai fatta previsione certa, che il Paese venga chiamato a subire la prova del referendum sul divorzio: più particolarmente se questa prova dovesse assumere i caratteri laceranti di uno scontro frontale che consentisse alle forze della conservazione più retriva e più ottusa di utilizzare il referendum per riproporre e ricacciare indietro di molti anni i rapporti politici fra le grandi forze popolari di ispirazione cattolica e quelle di ispirazione laica.
Ritengo che il P.S.I. abbia dato prova di grande responsabilità affermando, con decisione unanime della propria Direzione nazionale, la necessità di affrontare la prova con la sua fisionomia, con il suo volto con la sua politica, senza alcuna confusione con altre posizioni o annebbiamenti della sua personalità, deciso a salvaguardare il quadro politico contro qualsiasi strumentalismo e fare quanto è necessario per superare vittoriosamente la prova senza che ne derivi pregiudizio alla pace religiosa ed allo sviluppo democratico del Paese, e principalmente contrastando e battendo le mire di quanti intendono attentare alla matrice resistenziale dello Stato repubblicano.
E' una posizione che noi condividiamo pienamente e sulla base della quale assumiamo sin d'ora l'impegno di portar avanti, comunque, in questo Consiglio, la politica di sviluppo regionale secondo le linee e i tempi del programma e di operare affinché, nell'interesse della collettività regionale, il voto sul referendum non ponga - pur nel diverso atteggiamento che le varie componenti democratiche di questo Consiglio riterranno di dover assumere, nell'occasione, come risultato di una libera scelta maturata nel convincimento della propria coscienza - problemi insolubili per la nostra democrazia e le nostre istituzioni.
Abbiamo sinceramente fiducia che questa nostra proposizione sia favorevolmente accolta, e soprattutto di poter ottenere affidamenti in questo senso da tutte le forze che costituiscono l'attuale maggioranza.
La relazione del Presidente della Giunta riprende e sviluppa i temi già enunciati nel documento programmatico preliminare e richiama l'ordine delle priorità fissato dall'accordo fra i partiti del centro-sinistra.
Primo fra tutti, quello dell'approvazione del piano di sviluppo entro il 1974 e l'impegno di avviare subito in modo concreto e operativo la politica di programmazione che, con la presentazione della nota di variazione al bilancio, si dovrà tradurre in specifici atti di concreta realizzazione.
Nell'enunciazione di carattere generale e negli impegni di natura legislativa che la Giunta ritiene di accogliere ritorna sovente il motivo dei tempi di attuazione degli interventi, con l'indicazione di precise scadenze.
Ora, ad un anno e mezzo dalla fine della legislatura e con un ritardo piuttosto cospicuo sulla tabella di marcia più volte annunciata e predisposta, riteniamo di non poter più accettare, né del resto lo abbiamo mai accettato quando eravamo all'opposizione, il ricorso all'abusata tendenza verso una serie successiva di rinvii.
Pertanto, se dei termini vengono fissati, essi debbono essere scrupolosamente rispettati, e diciamo subito chiaramente che noi saremo disposti - né ci si venga poi a chiedere di farlo - a coprire la responsabilità di chi, per quell'ignavia cui fa cenno in fine della sua relazione il Presidente della Giunta, si facesse carico, con questo comportamento, di ulteriori remore all'attuazione dei programmi e degli adempimenti legislativi.
E, tanto che ci siamo, cominciamo con la richiesta formale di un immediato esame da parte della Giunta della situazione amministrativa abnorme in cui versano troppi enti ospedalieri della Regione. Ci sono troppi Commissari e la facile scusa delle difficoltà che si incontrano nell'individuazione degli interessi originari (o altre analoghe) ha ormai la barba lunga e necessita di un taglio netto.
Se la memoria non mi tradisce, abbiamo approvato da tempo le leggi sull'istituzione di alcuni Circondari. Se non sbaglio, non si è ancora provveduto alla loro costituzione né ad eleggere le relative Commissioni di controllo. Vogliamo fissare dei termini? Diciamo, per esempio, trenta quaranta giorni? Si doveva istituire una Commissione consiliare consultiva per le nomine. Ogni tanto se ne parla, quando sorgono particolari problemi che riguardano l'interferenza del Consiglio nei poteri della Giunta; poi tutto tace.
Ho indicato alcuni dei più grossolani inadempimenti in materie che dovrebbero essere della più ordinaria amministrazione proprio a proposito del programma e dei suoi tempi operativi, perché riesce veramente difficile immaginare che si possa realmente dare avvio al piano ospedaliero o all'istituzione dei comprensori quando non si riesce ad ottenere cose ben più semplici, come la regolare e legittima designazione dei Consigli di Amministrazione degli ospedali o l'istituzione dei Comitati di controllo dei Circondari.
Sono aspetti di un modo di gestione di cui questa Giunta non ha responsabilità, e che desideriamo non si assuma.
Pensiamo che la credibilità della Regione, del suo Governo, riposi anche su questi modelli di comportamento: sulla puntualità dei suoi impegni e sulla scrupolosa osservanza dei termini. Abbiamo purtroppo dei pessimi esempi in materia di nomina e di scadenze da parte dello Stato : ecco facciamo esattamente il contrario, e faremo sicuramente bene.
Dicevo del programma e degli impegni legislativi della Giunta (prima della digressione esemplificativa): entro marzo, approvazione della nota di variazione del Bilancio con i progetti operativi, e discussione sul piano regionale.
Ma, entro lo stesso mese di marzo, anche approvazione della legge sul personale e degli enti di sviluppo che costituiscono strumenti essenziali del piano.
La necessità di varare a tempi brevissimi la legge sul personale ci trova completamente consenzienti, e l'accordo con i sindacati e con il personale stesso faciliterà indubbiamente la migliore soluzione possibile.
Esprimeremmo però qualche perplessità sull'opportunità che la legge sull'organico del personale venga posta, in questo momento, in rapporto ai problemi delle deleghe e dei comprensori, in rapporto cioè con istituti la cui attuazione è ancora soggetta a discussioni di carattere preliminare e non ancora ben delineate. L'efficienza del personale è in rapporto diretto con la certezza del suo stato giuridico, del suo trattamento economico e dell'organigramma al quale fa cenno la relazione del Presidente Oberto, e non sembra giusto né producente che si subordinino i provvedimenti legislativi che lo riguardano ai provvedimenti legislativi che dovranno regolare l'assetto definitivo dell'attività politica e amministrativa della Regione. Quindi, si provveda pure con norme transitorie, salvo opportuni e conseguenti adeguamenti dell'organico in tempi successivi.
Ci sembra importante - e non abbiamo dubbi che la Giunta nella replica vorrà riconfermare il suo impegno - che si realizzino gli strumenti operativi rappresentati dagli enti di sviluppo, sul quale argomento è già largamente intervenuto (soprattutto sui rapporti fra gli enti di sviluppo l'attività della Regione e gli istituti di credito) il Consigliere compagno Nesi.
Si tratta di provvedimenti per i quali esistono pluralità di proposte che da tempo sono all'esame delle competenti Commissioni del Consiglio.
Sull'opportunità di una sollecita definizione della struttura e delle funzioni di questi enti vi è ormai una larga convergenza di opinioni, che concordano sul principio che essi vengano destinati a prestare un'opera di assistenza tecnica volta a far maturare scelte conformi ad una prospettiva di squilibrato assetto del territorio e non si trasformino in organismi di gestione settoriale degli interventi, offerti - come frequentemente avviene in questi casi - all'occasionale disponibilità di chi meglio sa, ai più svariati fini, sfruttarne gli effetti.
Sui comprensori, la relazione della Giunta sembra alquanto problematica, direi addirittura amletica. Ora, è vero che l'istituzione dei comprensori pone dei grossi problemi legislativi ed organizzativi.
Ma tutti noi siamo stati amministratori comunali e provinciali, e non possiamo non ricordare con quale impegno i Comuni e le Province hanno rivendicato compiti nuovi di fronte all'evoluzione della vita comunitaria e con quanto vigore ci siamo battuti nei riguardi di una legislazione statuale largamente carente e nei confronti delle G.P.A. (che, mi si consenta, oggi, alla luce dell'attività di controllo dei Comitati regionali di controllo, appare di non poi troppo infausta memoria), anticipando in moltissimi casi, nella continua necessità di interventi a sostegno della domanda di servizi provenienti dalla collettività, addirittura compiti e funzione dell'Ente Regione. Questo lo ha detto molto chiaramente nella sua relazione il Presidente della Giunta, facendo riferimento all'esperienza degli amministratori regionali in quanto amministratori comunali e provinciali.
Se oggi la Regione ha un suo Istituto di Ricerche, non dimentichiamo che lo ha per l'iniziativa dell'allora Presidente della Provincia di Torino, prof. Grosso. Eppure, nessuna legge prevedeva che la Provincia di Torino dovesse costituire l'Ires.
Il Presidente della Giunta è stato uno dei promotori e dei realizzatori dei Consigli di Valle in Italia. Ebbene, crede il Presidente della Giunta che se non si fossero costituiti gli Consigli di Valle si sarebbe avuta la legge sulle Comunità Montane? Crede il Presidente della Giunta che i Consigli di Valle sarebbero stati istituzionalizzati fino al punto di divenire soggetti attivi della programmazione regionale e regolatori essi stessi del proprio sviluppo? E' vero che ci vuole fantasia - lo si dice esplicitamente nella relazione -, ma questa non può essere la fantasia poetica di Shakespeare che fa dire sui comprensori "Essere o non essere?" ma la fantasia creativa di opere e di istituzioni. Troviamo quindi un raccordo operativo tra Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane; creiamo il fatto comprensoriale. La legge seguirà, e non potrà non tenere conto, così com'è avvenuto a proposito delle Comunità Montane, di una realtà che si è andata creando nelle cose e nella collettività.
Nell'enunciazione dell'impegno per l'istituzione legislativa dei comprensori viene esattamente individuata l'urgenza di provvedere all'area di Torino.
Le caratteristiche quantitative e qualitative dello sviluppo sociale del nostro Paese convergono infatti nell'indicare che il problema dell'assetto della città e del territorio è destinato ad assumere un rilievo sempre maggiore nella battaglia per le riforme.
Non è azzardato sostenere che le tensioni sociali e i conflitti politici siano oggi sostanzialmente tensioni e conflitti del tipo urbano perché è nelle grandi città che stanno esplodendo le più gravi contraddizioni del nostro sistema di sviluppo (come il traffico l'inquinamento e la carenza dei principali servizi sociali); perché è nella città che va assumendo forma e consistenza una più consapevole domanda di partecipazione sociale e di controllo delle scelte che incidono sull'assetto e sulla condizione urbana.
Del resto, in una situazione particolarmente difficile della vita nazionale e in un momento in cui molti errori commessi nell'indirizzare i modi di vita e lo sviluppo stesso del Paese si sono manifestati in tutta la loro evidenza e drammaticità, è necessario un vigoroso impegno per un processo di revisione del nostro modello di sviluppo che surroghi l'inevitabile caduta dei consumi privati con una sostenuta espansione dei consumi collettivi, come i trasporti, la case, gli ospedali, le scuole, le infrastrutture urbane: in questo senso si può affermare che soprattutto a seguito delle recenti misure restrittive votate dal Governo il problema dell'assetto della città e del territorio è destinato ad assumere un rilievo centrale nella battaglia per le riforme del nostro Paese ed una rinnovata valenza politica e culturale.
Proponiamo così un'azione politica che tenda a fare della città e delle forze sociali più avanzate che vi sono coinvolte il punto di partenza per una strategia che, muovendo dalla condizione urbana, e interessando con la responsabilità programmatoria e di indirizzo della Regione le responsabilità degli Enti locali elettivi, si allarghi alla revisione di quel tipo di meccanismo di sviluppo che ha provocato la crescita disordinata delle nostre città.
E' necessaria, tuttavia, una più avvertita consapevolezza sul piano dei meccanismi amministrativi - e qui ci richiamiamo anche alle prospettive di attuazione legislativa che sono enunciate nella parte generale della relazione della Giunta in ordine ai problemi del personale, delle deleghe e dei comprensori - , meccanismi la cui insufficienza ha finito col vanificare il più delle volte ogni sforzo teso a modificare le paurose condizioni di arretratezza delle strutture sociali e civili della nostra città.
La quantità e la complessità dei problemi esplosi sul piano dei principali servizi sociali (dalla crisi del traffico alla carenza di abitazioni agli inquinamenti, all'assenza di inserimento degli immigrati alla crescente anomalia della vita cittadina) pongono indubbiamente come prioritaria la ricerca di soluzioni alternative ed un modello di sviluppo capitalistico di tipo deteriore ed una riorganizzazione del territorio che abbia come suo principale elemento di riferimento politico la diversa condizione del lavoratore nei grandi agglomerati urbani.
Se è vero che la città è lo specchio delle contraddizioni del sistema (del dualismo fra Nord e Sud, degli squilibri economici e territoriali della congestione delle aree più industrializzate e dell'abbandono e della degradazione di altre aree) e che pertanto è ad una radicale modifica di questo tipo di aspetto che occorre guardare, non è meno vero che la città è il punto di osservazione più avanzato dell'impotenza degli strumenti pubblici a tenere dietro ai pur modesti disegni politici diretti ad eliminare le più macroscopiche distorsioni derivate dalla sua crescita disordinata.
Cosi nel settore dell'edilizia sociale, caratterizzato da un accentuato incremento dei fabbisogni, di fronte ad una situazione di paurosa arretratezza, la macchina amministrativa non riesce a spendere neppure le modeste risorse finanziarie destinate a coprire parzialmente tali fabbisogni, tanto che si è andata accumulando una massa imponente di residui passivi sia per l'edilizia abitativa, quanto per quella scolastica ed ospedaliera.
Così nel campo della spesa corrente in campo sociale l'espansione della spesa è legata ad una distorsione dei meccanismi che hanno obbedito a logiche differenziate a seconda del tipo di prestazione: per quanto riguarda l'erogazione dei servizi pubblici (come la scuola, la sanità e l'assistenza) il motore che ha alimentato gran parte della spesa va individuato nell'aumento dei costi di produzione, mentre per i trasferimenti monetari l'espansione della spesa si è invece realizzata attraverso la statuizione di meccanismi redistributivi la cui operatività sfugge a qualsiasi indirizzo politico, in presenza di un sistema previdenziale talmente confuso e cattolico da essere di fatto ingovernabile.
A riprova di ciò valga la considerazione che l'incremento delle spese sanitarie degli enti mutualistici e della spesa ospedaliera è dovuto solo in minima parte all'allargamento dell'area dei soggetti tutelati.
Lo stesso discorso vale per la spesa pubblica per l'istruzione, che mentre mette in evidenza una crescita a ritmi assai elevati, non registra un effettivo miglioramento della qualità del servizio reso.
I nodi di una politica tendente al soddisfacimento dei grandi consumi sociali sono quindi la rapidizzazione della spesa di investimenti e la qualificazione della spesa corrente.
La causa della lentezza nella spesa delle pur scarse risorse finanziarie disponibili dovuto al caos amministrativo che investe le competenze a livello locale, regionale e nazionale porta ad un rapporto fra tempi amministrativi impiegati per il concreto avvio delle opere ed i tempi della realizzazione delle opere finite che va da 3 a 6 volte per i tempi amministrativi rispetto ai tempi di costruzione.
Così ad esempio per la costruzione di una nuova scuola occorrono da 60 a 80 mesi e di questi solamente da 12 a 18 (e il Presidente della Giunta per essere stato Presidente della Provincia di Torino, di un'amministrazione particolarmente interessata al settore, sa che questo è vero) per la realizzazione concreta delle opere, gli altri per gli adempimenti amministrativi quali la programmazione, il finanziamento l'individuazione e l'acquisizione dell'area, la progettazione, l'appalto e il controllo delle varie amministrazioni.
L'attribuzione delle recenti competenze alle Regioni, attribuzione particolarmente estesa in coerenza con la norma costituzionale, non ha normalizzato o semplificato gli ambiti di competenza e le relative procedure da percorrere per arrivare al momento realizzativo.
Anzi l'incertezza e la contradditorietà normativa ha creato, per quanto riguarda la legge 865 di riforma della casa, una serie di incertezze e frastagliature fra le competenze amministrative centrali, regionali e periferiche.
Estremamente grave si presenta in questo quadro la tendenza espropriativa dello Stato nei confronti delle Regioni, in cui non si sa ancora come norme statali possano disciplinare una materia trasferita alle Regioni da leggi costituzionali.
Ci si rende sufficientemente avvertiti dei reali pericoli di vanificazione e di bruciatura di nuove iniziative, sia pure cospicue ed a lungo respiro nel campo delle grandi infrastrutture sociali, se non viene affrontato responsabilmente il problema di una maggiore rapidità ed efficienza della spesa pubblica di investimento.
La relazione della Giunta enuncia l'impegno per l'attuazione dell'istituto della delega.
Esso ci appare come il primo passo per contrastare e vincere la lentezza nella spesa (anche se non l'unico). Ci sembra in questo settore di grande rilevanza l'adozione di un indirizzo univoco da parte delle Regioni che sia rispettoso del vincolo di natura politico-costituzionale secondo il quale, nel disegno tracciato dal costituente, la Regione deve essere riguardata non come ente di gestione di determinate attribuzioni o competenze, ma come ente di programmazione e di governo dei settori individuati da tali attribuzioni e competenze.
Essendo il suo ruolo prevalente quello di ente di decentramento legislativo e dunque politico, i modi di esercizio delle funzioni amministrative regionali debbono essere quelli dell'amministrazione indiretta, normalmente mediante la delega a province e comuni o ad altri Enti locali, e solo eccezionalmente attraverso forme di organizzazione impropria.
L'adozione di un indirizzo univoco in materia di deleghe pone pertanto il problema di un costante rapporto informativo e di scambio con le altre Regioni, così come lo pongono altri problemi per i quali una consultazione permanente fra i Consigli Regionali, le Giunte e gli Uffici di Presidenza consente un confronto di iniziative e di studio con indubbio reciproco vantaggio.
In questa visione l'urgenza di un'iniziativa concreta che potrebbe essere formalmente assunta dalla nostra Regione, e di cui la relazione fa cenno come a problema essenziale per l'esistenza stessa degli Enti locali territoriali, è quella dl un ampio dibattito a livello delle Regioni proprio sulla riforma della legge comunale e provinciale, dibattito al quale si potrebbe arrivare con un esame approfondito sullo stato della finanza locale - già in altre occasioni proposto come studio di rilevante interesse ed importanza dal collega Simonelli - e con proposte concrete che consentano agli enti locali territoriali di vedersi riconosciuti legislativamente quei poteri di iniziativa democratica che le legge attualmente in vigore costantemente nega e che costringe le amministrazioni locali del nostro paese ad un'azione perennemente soggetta a controlli tali che ne mortificano la stessa autonomia.
E' proprio il rilievo accordato al problema di un'ampia delega agli Enti locali che fa emergere la crisi profonda in cui versa la generalità degli enti locali e più in particolare il organizzazione amministrativa delle metropoli.
L'equilibrio precario realizzatosi fra autonomia locale e amministrazione centrale - sia pure oppressivo per gli enti locali - è stato spezzato bruscamente dallo sviluppo urbano che ha messo in crisi lo schema generale dell'ente autarchico così come delineato dalla nostra legislazione secolare.
L 'aumentata dimensione dei problemi oggettivi con i quali l'amministrazione deve misurarsi; la crescente separazione, soprattutto nella grande area metropolitana, fra attività produttive, attività di servizio, funzione di residenza hanno sostanzialmente spezzato il tradizionale elemento di organizzazione del governo locale rappresentato dalla relazione fra la popolazione, i servizi erogati, le entrate a carico della collettività, dal momento che ogni unità locale svolge le proprie funzioni in riferimento non tanto alla popolazione amministrativamente computata ma in funzione dell'intera organizzazione urbana di cui costituisce solo un elemento.
Rispetto a ciò il sistema amministrativo è ancora fermo ad una visione atomistica ed egalitaria dell'unita di governo locale e ignora completamente i problemi di coordinamento e di azione unitaria che lo sviluppo di questi tempi inevitabilmente pone.
Impegno per l'attuazione delle deleghe quindi, collaborazione con le altre Regioni per affrontare il tema della riforma della legge comunale e provinciale, determinazione dei contorni giuridici e delle competenze dei comprensori.
Abbiamo già espresso il nostro accordo sulla scelta dei settori individuati nel documento preliminare come prioritari, di lavoro della Giunta: i trasporti pubblici, l'edilizia a favore dei consumi sociali l'inquinamento e il verde pubblico, l'agricoltura.
Concordiamo con la relazione programmatica sulla necessita di compiere quella scelta pubblica nel settore dei trasporti che implica, nel potenziamento e nella riorganizzazione del trasporto collettivo, un totale rovesciamento degli indirizzi di politica economica e di politica dei trasporti prevalsi fino ad oggi.
In questo quadro riteniamo che il primo passo debba essere fatto in direzione di un immediato blocco delle tariffe e che ogni aumento delle tariffe praticato dai concessionari - con l'autorizzazione degli uffici del Compartimento - venga revocato con atto di determinazione politica e come manifestazione di volontà operativa da parte della Giunta.
Siamo d'accordo per la costituzione di un Comitato regionale di coordinamento che elabori a tempi brevissimi uno schema di piano di integrazione regionale dei diversi modi di trasporto per conto terzi ed una previsione dei finanzi amenti necessari, limitato al soddisfacimento dei bisogni arretrati, effettivamente accertati.
Riteniamo anche necessaria la promozione di strumenti normativi per la costituzione di enti comprensoriali di trasporto ai quali demandare l'incentivazione organica dei mezzi di trasporto, avendo come obiettivo primario quello dell'integrazione e della riorganizzazione delle diverse strutture di trasporto esistenti nelle diverse aree, individuando le fonti finanziarie dalle quali ricavare le opportune risorse.
Ci sembra anche opportuno suggerire l'opportunità che si promuova, nei confronti dell'Amministrazione Centrale e delle aziende industriali, lo studio e la realizzazione di standards sia per le ferrovie che per i trasporti pubblici automobilistici, al fine di favorire la formazione di costi minimi e di evitare spese ingiustificate.
Abbiamo sentito, in occasione dei recenti incontri sui problemi sollevati dalla crisi energetica - in particolare sui tempi della diversificazione produttiva - come uno degli ostacoli principali ad una produzione più efficace ed a costi inferiori sia proprio la mancanza di standards.
Sui problemi dell'agricoltura, e senza entrare nel merito dei singoli punti programmatici già ampiamente trattati nella relazione del Presidente della Giunta, vorrei solo richiamare quanto già altre volte abbiamo sostenuto, e cioè la rivendicazione della piena competenza costituzionale delle Regioni nei confronti della competenza dello Stato, che è prevista e deve restare negli stretti limiti di un'attività di coordinamento - e pertanto il diritto - potere della Regione di assumere rapporti diretti con la CEE: l'o abbiamo sostenuto in occasione della discussione sulla proposta di legge al Parlamento per l'elezione diretta del Parlamento europeo; è un principio che è affermato nelle decisioni della Corte di Giustizia della CEE.
E' un problema politico di fondo, che riguarda la sostanza delle competenze regionali e che si inserisce nel quadro di quella tendenza espropriativa dei poteri regionali di cui la proposta Natali per l'attuazione in Italia delle direttive comunitarie è esempio illuminante.
E' un problema che per gradi successivi porta alla domanda delle Regioni di partecipare alle scelte della politica comunitaria in materia di politica regionale.
Gli Enti locali che partecipano alla battaglia per la costruzione di un'Europa democratica e federale hanno già riaffermato l'esigenza che idonee rappresentanze degli enti territoriali siano poste in grado di partecipare alla definizione, in sede comunitaria, degli obiettivi, dei contenuti e delle procedure riguardanti gli interventi comunitari in favore dello sviluppo regionale, proprio al fine di assicurare ad essi la maggiore efficacia e consentirne un più razionale e spedito indirizzo da parte delle Amministrazioni regionali e locali.
A tale scopo mi sembra necessario che la Giunta operi in stretto contatto con l'Ufficio di Collegamento con la Comunità istituito a Bruxelles dal Consiglio dei Comuni d'Europa, soprattutto con riferimento alla direttiva n. 161 del Consiglio dei Ministri della Comunità 17 aprile 1972 riguardante l'informazione in agricoltura, che, se attuata nel pieno rispetto delle attribuzioni regionali, potrà consentire la formazione di personale capace di divulgare adeguatamente la conoscenza delle norme comunitarie in materia ed assicurare la consulenza per la preparazione di progetti agricoli ammissibili al finanziamento comunitario.
Sulla necessita della partecipazione delle Regioni alla regolamentazione dei Fondi europei destinati a favorire lo sviluppo regionale, nonché alla loro applicazione o gestione - in contrasto con la proposta comunitaria di costituire un Comitato di politica regionale che prevede che solo funzionari degli Stati membri ne facciano parte - occorre che il Consiglio e la Giunta prendano sollecitamente posizione affinché sia garantita alle Regioni la loro partecipazione all'attività del Comitato assicurando così la preminenza del momento politico su quello burocratico.
Qualche breve osservazione sui problemi della cultura.
Gli artt. 5 e 7 dello Statuto privilegiano un tipo 01 intervento della Regione che a mio avviso non è quello che riguarda il teatro - come parrebbe quasi di rilevare dalla relazione del Presidente Dirò ai Presidente, personalmente, che ho una congenita antipatia per questo tipo di espressione culturale; mi trovo, del resto, in buona compagnia perch anche Levi Strauss, come lei sa, ha pubblicato uno studio spiegando le ragioni della sua antipatia per il teatro...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Più per il cinematografo.



CALSOLARO Corrado

Per il cinematografo tollero i western.
Ma i problemi culturali, dal punto di vista degli artt. 5 e 7 dello Statuto riguardano essenzialmente la difesa del patrimonio culturale del territorio. Quindi da una parte il patrimonio linguistico con tutte le conseguenti implicazioni ad esso collegate, e le opere materiali, come i monumenti e i centri storici.
Sul patrimonio linguistico esiste da tempo una proposta di legge del Gruppo socialista che vorremmo vedere finalmente in aula.
Ci rivolgiamo a lei che sappiamo particolarmente sensibile su questo argomento perché il problema venga affrontato concretamente in termini brevi o brevissimi.
Sulle opere non vedo riprodotta (forse per una svista materiale) quella proposta per un censimento dei beni culturali che dovrebbe costituire il momento conoscitivo indispensabile per la programmazione degli interventi.
Per quanto riguarda le aree verdi ed i parchi naturali, mentre riteniamo fermo il programma di dotare l'area metropolitana, oltre che della Mandria, dei parchi di Stupinigi e delle Vallere, e mentre pensiamo che la Giunta vorrà seguire le indicazioni del Piano Nazionale che prevedono la costituzione delle riserve naturali di Val Grande e delle Langhe, nonché dei parchi regionali di Valdieri e del Gran Bosco richiamiamo la Necessità dotare la Regione dello strumento giuridico indispensabile che è la legge sul demanio regionale con la fissazione delle specifiche attribuzioni di competenza di cui all'art 39 dello Statuto.
I problemi dell'istruzione, assistenza scolastica ed universitaria hanno già formato oggetto ai dibattiti nelle scorse sedute, e ci riserviamo di approfondire il discorso in occasione della discussione e del voto sulla legge di delega ai Comuni e sulla proposta delle localizzazioni universitarie.
Vorremmo solo richiamare l'urgenza di quel piano per la formazione professionale sul quale già la precedente Giunta aveva assunto un preciso impegno di fronte al Consiglio Così, sulla sanità - mentre confermiamo la nostra adesione al programma ci sembra urgente ricordare la situazione drammatica nella quale versano i servizi della medicina scolastica. Sorti per iniziativa dei Comuni e delle Province hanno subito un rallentamento nel ritmo di espansione come conseguenza della gravissima crisi finanziaria in cui versano le Amministrazioni locali della nostra Regione.
Sono di questi giorni le notizie dei pesanti tagli che la Commissione per la finanza locale ha operato e sta operando sui bilanci comunali e provinciali, con metodo freddamente e rigidamente burocratico, senza quella valutazione obiettiva e programmatica che potrebbe invece essere data da un controllo di carattere politico quale invece sarebbe quello delle Regioni.
Ecco quindi un'altra occasione per l'iniziativa politica della Giunta che favorisca l'effettivo sviluppo delle autonomie locali nel quadro di interventi programmati e nell'ambito della politica di piano, con un raccordo fra bilanci degli enti locali e bilancio regionale, fra i rispettivi programmi e linee operative.
Ci sembra di poter concludere questo intervento richiamando i opportunità che la Giunta Regionale intervenga presso il Governo per puntualizzare la situazione in cui versa la Giustizia nella nostra Regione.
Si tratta di problemi che sono sottratti alla competenza della Regione, ma che la Regione non può ignorare come se avvenissero in un altro pianeta- La dichiarazione del Ministro Zagari che riguardava fatti avvenuti nella nostra Regione e da lui denunciati al Consiglio Superiore della Magistratura non può non toccarci direttamente. Ci auguriamo che si tratti di fatti meramente episodici, e che non siano pertanto indici ai una situazione più generale. E che la nostra fiducia nelle istituzioni più delicate del nostro Paese non debba subire ulteriori e gravi ripensamenti.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Come già detto dai colleghi del mio Gruppo che mi hanno preceduto, ci troviamo in presenza questa volta di un documento che nella sua globalità presenta elementi di confronto e di dibattito che non Panno precedenti nella vita della Regione.
Sistemato secondo i vari problemi e materie, consente anche di articolare e circoscrivere le risposte per argomenti, almeno per chi intende farlo. Ma di per sé l'ampiezza del confronto e la sua sistematizzazione, seppure sono elementi positivi, ed in questo senso giustamente valutati da noi, non possono essere invocati dalla Giunta come condizione per un'assoluzione. Proprio per ché vogliamo considerare questo documento.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Viene dopo il peccato l'assoluzione e la Giunta non ha peccato!



RIVALTA Luigi

E' sul contenuto del programma che peccate. Pertanto pur considerando quanto ci avete prospettato come un punto di partenza innovativo e meno elusivo dei programmi delle passate Giunte, non possiamo accontentarci di ciò; si tratta di entrare nel merito dei problemi, con spirito critico, per cogliere anche da parte mia alcune di quelle carenze (quei nei a cui si richiamava il compagno Berti) che si possono largamente ritrovare nella posizione della Giunta.. E' questa la modalità più costruttiva di intervenire nel dibattito; non quindi, di fronte alla nuova formula di governo, una riduzione formale e convenuta di analisi critica, ma il suo sviluppo per svolgere l'opposizione diversa ma incisiva che è nella linea del nostro partito nei confronti del centro-sinistra e contribuire a determinare le scelte di lavoro e di indirizzo del nuovo corso politico.
Ed io adotto questo criterio con riferimento ai problemi dell'urbanistica e dell'organizzazione del territorio.
La Giunta dedica a questo settore un capitolo del programma, nel quale si possono cogliere alcune delle carenze a cui mi riferivo. La prima consiste nel non fare alcun cenno alla situazione, quasi che essa non presentasse aspetti critici e come se la Regione non avesse già accumulato nei confronti della situazione che dobbiamo affrontare, delle sue proprie responsabilità, e come se non fosse necessario individuare una linea di correzione. Si individua un programma di intervento tirando un velo sul passato, che invece è bene sollevare per avere ben presente la situazione da cui si è costretti a partire. Queste valutazioni sono necessarie per prendere piena coscienza di cosa oggi è necessario fare.
Io non voglio produrre qui un'analisi della situazione, poiché non lo consente il tempo a mia disposizione; essa è documentata in una ricca bibliografia; a tutti è dato averla di fronte in sintesi con immediatezza e drammaticità richiamando alla mente le immagini delle nostre città e del nostro territorio, le distruzioni dei centri storici e della natura, e ricordando le innumerevoli esperienze di negative condizioni di vita nelle città e nelle campagne. I fenomeni di congestione, la commistione di attività, l'immigrazione delle popolazioni dirette al polo torinese l'instabilità economica e sociale e la decadenza delle altre aree regionali; l'insufficiente situazione abitativa, la situazione dei quartieri urbani come degli insediamenti rurali, tutti insufficientemente dotati di servizi sociali, e in alcuni casi privi finanche di quelli primari (acquedotti, fognature, elettricità), ne sono un esempio. Intere zone sono prive di una viabilità e di trasporti soddisfacenti indispensabili per rendere possibile la permanenza della popolazione e delle attività, mentre dall'altro lato ci sono zone come quella torinese in cui si stanno accumulando le iniziative di grandi infrastrutturazioni.
Senza un riferimento a questa situazione, diventa compromessa fin anche ogni intenzione di attivismo che la Giunta ha professato. D'altra parte quale giudizio è possibile formulare su un programma operativo costituito di un elenco di interventi di natura amministrativa e burocratica, senza definizione degli obiettivi? Questa è la seconda carenza che io voglio rilevare fra quelle contenute nel programma della Giunta, per quel che riguarda la materia urbanistica e non solo l'urbanistica, poiché generale è l'assenza di indicazione di obiettivi.
Esistono, certo, finalità già indicate in questa assemblea a cui si pu sottintendere di fare riferimento; esse consistono nelle indicazioni programmatiche disposte nello Statuto, e ribadite nelle varie dichiarazioni politiche successivamente qui fatte. Ma queste indicazioni non sono più sufficienti; non e possibile, a distanza di tre anni e mezzo dalla proclamazione dello Statuto, continuare a rifarsi a quelle finalità generali. Quelle finalità devono cominciare a prendere la concretezza di obiettivi specifici, riferiti alle necessità di operare realmente per la soluzione dei problemi che ci stanno di fronte. La Giunta, evitando l'analisi della situazione e la determinazione degli obiettivi, astrae dalla realtà, come se non fossero presenti ed evidenti in modo macroscopico delle tendenze in atto che sono manifestamente contrarie al perseguimento degli stessi indirizzi programmativi contenuti nello Statuto.
Di queste tendenze in atto è necessario avere coscienza ed assumere con immediatezza un atteggiamento di difesa attiva per imporre un altro corso allo sviluppo. Non siamo in una situazione di stasi; non possiamo rimandare la definizione degli obiettivi in cui devono articolarsi le finalità contenuto nello Statuto. All'interno della nostra regione, da parte delle popolazioni, delle organizzazioni sociali e sindacali sono poste rivendicazioni precise in merito al problema dell'organizzazione del territorio. Ad esse si deve rispondere.
I processi di sviluppo del passato continuano pressoché indisturbati e perseguono i loro obiettivi. Ai timidi ostacoli di natura vincolistica che sono stati ad essi frapposti, soprattutto dai Comuni più ancora che dalla Regione, tali processi han reagito in maniera virulenta, come insetti mitridatizzati Alle operazioni speculative di piccola portata si fanno avanti operazioni più con si stenti, quale ad esempio l'iniziativa dell'immobiliare di Borgaro (in questo caso ci troviamo di fronte ad un'operazione che prevede la costruzione di una città satellite di 40.000 abitanti alle porte di Torino).
Ebbene, è proprio a non guardare la situazione e a non precisare gli obiettivi, che, procedendo ad una mera attivazione del lavoro dell'Assessorato, priva di intenzioni e di contenuti alternativi, si pu operare in efficienza (necessaria ed attesa), ma senza bloccare, anzi favorendo, i programmi di infrastrutturazione che accentuano la polarizzazione su Torino e che aumentano le disparità presenti nella Regione, senza bloccare le iniziative private e speculative dell'Immobiliare a Borgaro, o quelle turistiche nelle valli alpine, o la distruzione dei centri storici, come sta avvenendo nella gran parte degli abitati della nostra regione.
Il nostro discorso "della corona in attesa", come è stato definito dal Presidente della Giunta il documento da noi presentato, poiché è costruito su un esame della situazione condotto in questi mesi attraverso un contatto diretto con la realtà regionale e formulato in collaborazione con i rappresentanti delle varie comunità locali, ha ben presenti e precisa gli obiettivi che si devono conseguire. Partendo dalla finalità di evitare ulteriori polarizzazioni su Torino e dall'esigenza di un recupero della carenza di infrastrutture sociali sull'intero territorio regionale, in questo nostro discorso noi abbiamo posto come obiettivo immediato, ad esempio, quello di respingere l'insediamento dell'Immobiliare a Borgaro, e di impedire lo svilupparsi di insediamenti di questo tipo nell'area torinese. Allo stesso scopo abbiamo chiesto che si dica no alla tangenziale est di Torino, all'autostrada Torino-Pinerolo, a quella per Caselle, a quella della Valle di Susa, e a tutte quelle infrastrutture che sono parte di un disegno che ha come ragione la polarizzazione di Torino e quindi l'accentramento ulteriore delle attività e delle popolazioni nell'area torinese. Così come abbiamo chiesto, in questo nostro documento, che si dica no alle altre autostrade e tangenziali in altre parti delle Regioni perché queste, come quelle che si vogliono ancora costruire nell'area torinese, non sono le infrastrutture di cui le popolazioni e lo sviluppo della nostra economia hanno bisogno, soprattutto in questo periodo.
E così abbiamo chiesto di fermare e di discutere l'ampliamento dell'aeroporto di Torino, il progetto della linea metropolitana di Torino sempre perché partecipanti a quel disegno di sviluppo dell'area torinese che già è stato nefastamente dominante nel passato. Abbiamo chiesto di dire no a queste iniziative perché ciò che queste infrastrutture determinano non è l'organizzazione equilibrata del territorio che deve perseguire la Regione; non è l'infrastrutturazione che ferma l'esodo dalle campagne, che favorisce il decentramento delle attività produttive e favorisce il nascere di quelle autonome dall'industria automobilistica, che risolve i problemi di vita civile e sociale di cui abbisognano le popolazioni rurali e urbane.
A queste richieste, alcune fra le altre poste, e che io qui non richiamo, ma che si possono leggere nel nostro documento; a queste questioni che hanno un'incidenza sostanziale nel definire lo sviluppo economico e sociale e nel caratterizzare l'organizzazione del territorio e la politica urbanistica, non è data risposta nel documento della Giunta.
Chiediamo quindi alla Giunta, nella sua replica, di darci un'indicazione chiara circa l'atteggiamento che vuole assumere nei confronti dei processi urbanistici in corso; espliciti i contenuti della politica che vuole sviluppare. Abbiamo posto anche altre questioni; ne voglio richiamare una già prima sollevata dal collega Calsolaro quella delle aree verdi. Si pronunci la Giunta, e dia una risposta precisa, anche in merito ai tempi dell'acquisizione, relativamente alla costituzione dei parchi delle Vallere, Stupinigi, La Mandria, collina torinese, collina di Rivoli, e alla formazione dei parchi regionali. Nel nostro documento sono indicate varie località, in cui è necessario intervenire per dare inizio ad una politica di questo genere. E per questa finalità abbiamo chiesto di bloccare ogni speculazione turistica in atto o in progetto.
Un atteggiamento nei confronti dell'assetto del territorio lo si deve definire intanto precisando che cosa la Giunta intende fare per bloccare le iniziative speculative, e come intenda operare per coordinare e promuovere e giustamente indirizzare quelle iniziative che possono essere recuperate a finii ed interessi sociali.
Sono gli interventi infrastrutturali, di vario genere, da quelli sulla viabilità a quelli sui trasporti, ai servizi; sono le strutture abitative industriali e terziarie che realizzano di fatto l'organizzazione del territorio. Se non ci si confronta con le operazioni pubbliche o private in corso tutti i discorsi ed gli propositi di svolgere una funzione attiva nell'organizzazione del territorio diventano una finzione.
Questi interventi infrastrutturali, questi insediamenti sono dominati in genere dalla imprese private. Sono esse che anche determinano e guidano le scelte di intervento dell'ente pubblico. Si guardi per esempio alla grossa incidenza che iniziative private, quelle dell'industria automobilistica, hanno avuto in direzione di tutta la politica della viabilità e dell'intrastrutturazione autostradale Ma questa politica che va avanti e che di fatto consolida quella "disorganizzazione" del territorio di cui tanto negativamente parliamo tutti, è attuata, consentita ed avallata dagli enti pubblici, dallo Stato, dalle Amministrazioni provinciali, ed anche comunali in molti casi. In questa politica è coinvolta la responsabilità diretta dell'ente pubblico; ora, anche della Regione che ha una funzione primaria di intervento per quanto concerne l'urbanistica e l'organizzazione territoriale. Non è possibile fingere di fare una politica urbanistica lasciando libere queste iniziative, senza contrapporsi ad esse, e ponendosi a rimorchio. I processi sono in atto bisogna intervenire immediatamente, tutti i tempi morti sono tempi persi.
E' necessaria una presa di posizione netta verso di essi-: esprimere con chiarezza una volontà politica, che dica ad essi no, perché le finalità che perseguono sono diverse da quelle che sono state assunte come impegno statutario dalla Regione.
Al contrario, nel programma della Giunta ove non si eludono le questioni da noi poste si dà ad esse una risposta negativa. Così, ad esempio, si rifiuta il nostro invito di meditare nel caso del progetto di linea metropolitana di Torino. L'atteggiamento della Giunta è assunto (anche questo lo voglio porre come indicazione dello scadente valore qualitativo del programma) senza un minimo di attenzione per gli aspetti urbanistici; senza considerare che la scelta di quella linea metropolitana è nell'indirizzo dell'accentuazione dei valori e delle funzioni del centro storico di Torino, di quel centro che si vorrebbe decongestionare, ed è nella logica del consolidamento della struttura piramidale della città delle cui tante conseguenze negative siamo costretti a prendere atto ogni giorno. Proprio questo aspetto specifico dell'atteggiamento assunto nei confronti della progettata attrezzatura di trasporto metropolitano, mette in evidenza la non volontà di confrontarsi con i problemi urbanistici, e l'assenza di un programma, di una linea da conseguire in alternativa ai processi spontanei, e alle logiche settoriali che vengono avanti e che sono portatori ancora dei modelli di organizzazione e dei costumi di vita che abbiamo subito nel passato.
In questo modo non si fa che rincorrere, senza mai controllarli, i problemi che esistono.
Il vostro atteggiamento, in questo caso, parte dall'unica constatazione che la città, ed in particolare la sua parte centrale, è congestionata. La risposta che date è quella di ridurre gli effetti negativi che la congestione provoca sulla mobilità, e non già di intervenire sulle cause vere della congestione. Le condizioni di mobilità che si vogliono garantire nel centro cittadino non devono essere valutate solo in relazione alla congestione che in quell'area si è generata. La congestione è conseguenza della centralizzazione di attività in quella parte della città. E' un dato dipendente dal tipo di organizzazione del territorio, dalla struttura della città e dal modo d'uso del suolo urbano, dal con cui l'attività sociale di sviluppo urbano ed economico prodotta dal lavoro della comunità è stato oggetto di appropriazione privata e strumento di realizzazione di rendite parassitarie e di processi di accumulazione e di profitto privati.
Intervenendo nel modo proposto dalla Società Metropolitana di Torino e accettato da questa Giunta, si possono forse alleviare alcuni punti di attrito presenti nella rete di traffico cittadino, ma paradossalmente eliminando gli impedimenti che hanno finito per svolgere il ruolo di naturale freno, di forma di rigetto a più intensi processi di accentramento urbano, non si fa altro che promuovere le condizioni per generare nuovi accentramenti di attività e più intensi flussi di movimento verso e dal centro storico di Torino, in misura tale che rapidamente si riprodurranno le stesse soglie di congestione fisica precedenti, se non soglie maggiori nullificando gli stessi iniziali effetti di alleggerimento prodotti dagli interventi promossi.
Lewis Mumford, quando a Londra si costruiva la rete dei trasporti sotterranei, aveva fortemente criticato l'iniziativa, preconizzando che essa non avrebbe risolto la congestione, ma sarebbe stata un fattore per crearne ulteriormente: cosa che puntualmente si è verificata.
Gli interventi nel settore dei trasporti non devono essere guidati dalla congestione; la domanda di trasporto non può essere fatta dipendere unicamente dalla situazione di congestione. La domanda di trasporto deve essere vista in prospettiva e valutata in base agli obiettivi urbanistici che si pongono; deve dipendere dal modello e dall'organizzazione di vita della comunità che si vuole conseguire, e deve essere coerente alla fisica traduzione di quel modello in termini spaziali, e pertanto deve essere parte dell'organizzazione urbanistica che lo realizzerà.
Ecco quindi un altro esempio concreto di ciò che comporta quella mancanza di riferimenti alla situazione e di fissazione di obiettivi, che caratterizza negativamente il programma di questa Giunta. Anche in questo caso riguardante i trasporti metropolitani, come per gli altri, queste carenze non sembrano spiegabili come disattenzioni E come potrebbe essere così intesa se proprio sul tema dei trasporti la Regione si è impegnata ed ha precisato un intervento operativo consistente ed anche interessante e positivo, per quanto attiene all'utilizzo delle linee ferroviarie secondarie dell'area torinese? Poiché proprio attraverso questi interventi si perseguono obiettivi di mobilità territoriale nell'area torinese, non possono non essere emersi gli effetti sull'organizzazione territoriale dell'area stessa; ed in questa stessa visione territoriale perché non si giudica la proposta di trasporti urbani di tipo "metro" prospettata per la città di Torino? L'elusione di una visione urbanistica e territoriale è in questo caso la condizione per accettare acriticamente la proposta del "metrò". Se si fosse scelta una misura urbanistica e territoriale di valutazione della rete e dei mezzi di trasporto, sarebbe emersa come dato sostanziale la dimensione unitaria e comprensoriale che si attribuisce all'area ecologica torinese, e si sarebbe così evidenziata la solidarietà che già esiste sul piano dei rapporti casa-lavoro e casa-scuola e la solidarietà che più in generale deve essere conseguita come obiettivo di piano, in forza di un'equilibrata distribuzione di valori sociali e di condizioni di vita, tra le varie parti del territorio.
In questa ottica di solidarietà tra le varie parti del territorio dell'area torinese, che ha alla base una visione unitaria del modello di vita delle popolazioni, l'organizzazione dei trasporti troverebbe una configurazione diversa da quella che la Giunta ha accettato.
La stessa proposta di utilizzo delle ferrovie secondarie che la Giunta ha formulato, non risulterebbe un'occasionale risposta alla domanda dei pendolari, ma si sarebbe sostanziata e caratterizzata come strumento unitario e omogeneo di riorganizzazione dei trasporti dell'area e come struttura fondamentale dell'organizzazione territoriale del comprensorio.
Invece la Giunta propone ed accetta, senza valutarne gli effetti, un disegno non organico, somma di interventi concepiti in tempi e in modi diversi, che eserciteranno funzioni non omogenee, che saranno gestiti da enti diversi, con tutti i pericoli di accentuazione della parcellizzazione e dell'inadeguatezza della politica fino ad ora attuata in materia di trasporti.
Secondo la proposta della Giunta, l'intervento che la Regione dovrebbe attuare sulle linee ferroviarie secondarie è tale che esse, anche se potenziate, continueranno ad attestarsi in alcuni punti della città. E' questo un sistema di rete di trasporti che privilegia il punto di attestamento, e quindi la città; che piega il resto del territorio all'attrazione della città centrale, e che scompone il territorio in parti mantenendo l'isolamento di una parte rispetto all'altra. In questo modo non si riducono le difficoltà di comunicazione tra le varie parti del territorio esterne alla città, ma si facilitano unicamente le relazioni con le zone cittadine di attestamento delle linee. Né il collegamento, previsto a mezzo del metrò, degli attestamenti, per altro risolti in modo artificioso, può dare continuità alla rete e l'esigenza di omogeneità di trasporto e di eguale condizione di accesso sull'intera area territoriale che è uno degli obiettivi urbanistici che ci dobbiamo porre.
Un assetto dei trasporti ben diverso si sarebbe proposto se si fosse partiti dal fine conclamato di tendenzialmente unificare ed equilibrare il territorio. Ponendoci questi obiettivi (ed ecco qui la relazione tra le linee di organizzazione territoriale e urbanistica ed i trasporti) si sarebbe tratta la conclusione di dover realizzare per l'area torinese un sistema, fondato sulla ferrovia, unitario e di tipo passante che ad esempio dalla Val Pellice e dal Chierese, attraverso la città centrale, consenta di raggiungere direttamente il Canavese, le Valli di Lanzo, la Valle di Susa e le altre zone dell'area torinese, come ogni altra del Piemonte, già servita da ferrovie. Un tale sistema unitario si porrebbe come mezzo di decentramento, poiché lungo tutta la rete si potrebbero ottenere condizioni di pari accessibilità da ogni altro punto.
Ed ecco come in questo modo la scelta dei trasporti diverrebbe mezzo coerente per evitare l'ulteriore polarizzazione su Torino e per introdurre elementi positivi al fine di fermare l'esodo delle popolazioni dai centri minori e di rivitalizzare in particolare quegli abitati che sono disposti lungo le strade ferrate. Si recupererebbe così i) disegno di distribuzione spaziale della popolazione consolidatosi nel tempo ed al cui servizio le ferrovie sono state costruite. E' questo il modo di porre termine agli sconvolgimenti alle distruzioni incontrollate dell'assetto del territorio ereditato dal passato, all'abbandono di insediamenti e risorse, ai processi di sviluppo squilibrato del tipo di quelli che hanno preso le mosse in questi ultimi decenni, non a caso nel periodo di sviluppo dell'uso dell'auto.
Ho richiamato questa relazione tra trasporti ed urbanistica, perch credo che più di ogni altra consenta di valutare in che cosa si sostanzia e consista una politica urbanistica, e permette, d'altra parte, di individuare quali siano le finalità che devono presiedere ad ogni discorso operativo settoriale.
Ma analoghi discorsi si possono improntare ed analoghe relazioni si devono stabilire tra altri settori e la politica urbanistica. Ciò vale per i lavori pubblici e la politica di infrastrutturazione. La distribuzione dei finanziamenti per eseguire opere pubbliche non deve infatti costituire un'attività di elemosina, esercitata magari secondo criteri clientelari verso qualche amministratore di ente locale, ma deve essere uno strumento per realizzare le condizioni necessarie alla vita della collettività; per fornire le strutture essenziale per la vita sociale ed economica, e quindi per indirizzare e promuovere la qualificazione e lo sviluppo dell'intera comunità regionale. E' dagli obiettivi che ci si pone in questo ambito e dalla loro distribuzione spaziale che si deve partire per pianificare e definire la localizzazione e le priorità degli interventi nel settore delle opere pubbliche. Ed è facendo così che si dà vita ad una politica urbanistica e si promuove la organizzazione territoriale coerente con l'organizzazione sociale ed economica che si dichiara di voler perseguire.
Analogamente, l'urbanistica si sostanzia degli obiettivi sociali ed economici che si intendono realizzare attraverso gli interventi nell'agricoltura, nel turismo, nella difesa del paesaggio e dell'ambiente nel settore della distribuzione; e cito qui unicamente materie che sono di competenza della Regione. L'urbanistica non deve quindi essere intesa come mera esecuzione di pratiche amministrative e burocratiche. La politica urbanistica e di organizzazione del territorio deve riflettere ed esprimere tutti gli contenuti dei processi sociali ed economici e dello scontro di classe in atto nel Paese e nella Regione, e deve fornire la soluzione spaziale di tutti i problemi che sul territorio si manifestano. La politica urbanistica, e quindi la proposta relativa di intervento di una Giunta Regionale, non può eludere il confronto con la complessa realtà economica e sociale in atto.
Da tutto ciò emerge che l'attività della Giunta, ammesso che 'abbia già trovato modo di essere collegiale, certamente non ha carattere interdisciplinare. Così pure emerge che la visione spaziale e la valutazione delle conseguenze urbanistiche non è presente nell'ambito di nessuna delle proposte fatte in merito alle varie materie di operatività della Regione. Di contrapposto emerge che la concezione urbanistica non è elemento di sintesi e di analisi spaziale, come dovrebbe essere dell'intera attività della Regione.
L'Assessorato all'urbanistica pare non essere in grado di esprimere una visione culturale di questo tipo, e mostra di non essere portatore della volontà politica necessaria per indurre ad affrontare in una visione globale i problemi. D'altra parte la Giunta, almeno nel suo programma, non indica nessuna collegiale volontà per intervenire su questa linea.
Da questo limite politico e culturale generale è nato il programma del settore urbanistico, che si presenta privo di riferimento alla situazione e privo di obiettivi. Esso è ridotto ad essere una promessa di maggiore attivismo in merito all'espletamento delle procedure amministrative e burocratiche, mancando del tutto di ogni indicazione di criteri e di contenuti. E' vero che si rimanda ad una prossima definizione, Noi vogliamo prendere ancora una volta atto di questa ennesima promessa; nell'attesa che, a tempi ravvicinati, si proceda alla definizione dei criteri e dei contenuti della politica urbanistica, chiediamo che sulle questioni di sostanza che riguardano i processi in atto (infrastrutturazioni varie e insediamenti nell'area torinese; distruzione dei centri storici dell'ambiente naturale, delle aree agricole), la Giunta si esprima subito senza aspettare altro tempo.
Nel programma della Giunta si fa professione di concretismo e si afferma di volersi attenere ad indicazioni fattibili entro limiti temporali ristretti; ma allora queste indicazioni devono essere davvero assunte in modo concreto nei confronti dei problemi che ci stanno davanti; si dichiara di voler qualificare il programma con iniziative che incidono decisamente sul territorio, ma allora è necessario proprio il confronto con i processi in atto, perché sono questi che stanno determinando le caratteristiche della futura organizzazione territoriale.
Il programma della Giunta, non affronta questi problemi, e al di là di quella promessa di predisporre criteri ed indirizzi per la formazione l'esame e l'approvazione degli strumenti urbanistici, non contiene altro che una serie di impegni di attivismo, come quello di promuovere lo smaltimento di tutte le pratiche urbanistiche giacenti all'Assessorato, di rendere più sollecita l'applicazione della 865 e l'espletamento delle pratiche di esproprio, di imporre una più severa applicazione agli articoli della legge urbanistica.
Tutto ciò e talmente necessario, da apparire ovvio da un lato, e del tutto insufficiente dall'altro.
Così, pur nell'ambito della vostra ristretta concezione dell'urbanistica, quando voi ponete l'obiettivo di una più sollecita applicazione delle pratiche di esproprio, sta bene, ma ciò non basta.
Questa è stata una delle richieste più sollecitate dagli Enti locali nel corso delle consultazioni dal mio Gruppo condotte a livello regionale; ma al di là di questo ovvio richiamo della Giunta sull'esigenza di essere più attivi nello smaltire rapidamente le pratiche di esproprio, sentiamo l'esigenza che si dica qualcosa nel merito della politica che attraverso gli espropri la Regione vuole sostenere.
Cosa vuol dire rendere più celeri le pratiche di esproprio? Noi abbiamo già fatto altre volte richiesta che queste pratiche siano smaltite celermente, senza porre intoppi, senza richiedere dimostrazioni inutili sulla volontà che anima gli Enti locali che hanno deliberato l'esproprio ed in aggiunta a quelle che la legge impone. Riteniamo, ad esempio, che debba essere assunto l'impegno politico, da parte della Giunta Regionale di dare immediato corso alle procedure di esproprio riguardanti l'acquisizione delle aree di servizio nella misura corrispondente ai 18 mq per abitante, richieste dagli standard ministeriali, applicati intanto alla popolazione esistente. I decreti ministeriali richiedono che lo sviluppo edilizio residenziale avvenga garantendo la presenza dei 18 mq, per ogni abitante di aree da destinare a spazi pubblici o riservati ad attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi. Poiché nei Comuni della nostra Regione, già rispetto alla popolazione esistente, questa dotazione non è rispettata, è necessario che non si mettano intoppi a tutte le pratiche di esproprio promosse dai Comuni che tendono a recuperare tale carenza. Sanare il deficit di aree per servizi è una condizione essenziale per poter correttamente reimpostare lo sviluppo edilizio residenziale in ogni Comune della nostra regione.
Per quanto concerne in generale le questioni riguardanti l'applicazione della 865, esse avrebbero dovuto essere oggetto di una più ferma presa di posizione politica ed impegno da parte della Giunta. E ciò, sia nel programma e nell'attività interna sia nei casi in cui la Giunta partecipa ad iniziative esterne. Così ad esempio, al convegno sulla casa svolto sabato scorso nella nostra città, in luogo di discorsi astratti, e di ingiustificate glorificazioni dell'attività della Regione, sarebbe stato necessario contribuire all'azione per la salvaguardia ed il potenziamento della legge 865 attraverso una pubblica assunzione di impegno di facilitare le pratiche di esproprio per l'acquisizione delle aree necessarie alla diffusione dei servizi sociali. E' questo il modo concreto per la Regione di partecipare all'azione politica volta ad ottenere che la legge 865 sia migliorata.
Più avanti nel vostro programma, quando dite di voler accelerare le procedure di esame degli strumenti urbanistici, ancora noi diciamo che è un'indicazione ovvia ed insufficiente nei contenuti Noi vi abbiamo chiesto di indicare con quali criteri i piani regolatori vengono discussi all'interno dell'Assessorato. Anche qui un'indicazione li criteri deve essere fornita; noi ci aspettavamo che venisse formulata nel programma di questa Giunta. L'Assessorato non è inoperante; sta necessariamente discutendo ed approvando, o rinviando con richieste di modifiche, gli piani regolatori e gli altri strumenti urbanistici. I criteri seguiti vanno dichiarati e discussi subito, pubblicamente, perché questa è l'unica maniera di evitare equivoci e di dare chiarezza all'attività dell'Assessorato. Nel nostro documento questa era una delle richieste questa richiesta, peraltro, l'abbiamo sostenuta anche con un'interrogazione, per la stesura della cui risposta l'Assessorato deve impiegare parecchio tempo, anche in ragione dell'assenza di sistematicità e di organica impostazione del lavoro svolto dall'Assessorato in passato.
Confidiamo che nella replica che ci verrà data, alcuni elementi di giudizio circa i criteri da adottare nel giudicare gli strumenti urbanistici siano presenti, e che essi esprimano la volontà di non consentire espansioni qualsiasi, quantitativamente e qualitativamente in contrasto con l'esigenza di salvaguardare l'ambiente, di impedire sprechi di frenare la polarizzazione e l'espansione de l'area torinese.
Allo stesso modo abbiamo richiesto, sempre con riferimento all'approvazione dei piani regolatori e degli strumenti urbanistici, con quali criteri di democraticità la Giunta intende introdurre nuove procedure di esame. Noi abbiamo rivendicato la costituzione di comitati appositi, per l'istruttoria di esame e per la formulazione di giudizi. Chiediamo che in questo senso si recuperi e si migliori quella presenza di partecipazione esterna agli apparati burocratici nel corso dell'esame degli strumenti urbanistici che era in atto prima del passaggio delle competenze alla Regione, e che è prevista dalla legge; mi rifaccio all'intervento richiesto per l'approvazione dei piani regolatori e degli altri strumenti urbanistici, al Consiglio Superiore dei LL.PP. e all'attività dei Comitati tecnici amministrativi. Il Consiglio Superiore ed i Comitati tecnici amministrativi avevano un carattere di consulenza tecnica, ma costituivano già un momento di partecipazione alla formulazione dei giudizi di persone scelte all'esterno, dell'apparato burocratico. Queste persone, sia pur nella qualifica di esperti, poteva consentire una dialettica tra il mondo della cultura, tra gli specialisti, tra le forze politiche e sociali e l'amministrazione dello Stato, generando, e non solo sul piano tecnico, un dibattito continuo e quindi, seppure timidamente, provocando un'evoluzione nelle posizioni che l'autorità tutoria assumeva nei confronti dell'approvazione degli strumenti urbanistici.
Noi sosteniamo l'esigenza di costituire Comitati tecnici politicamente qualificati e rappresentativi. Da queste strutture pensiamo possa derivare una garanzia di correttezza nell'amministrazione dell'attività urbanistica.
Anche a questo facciamo riferimento quando parliamo di quella nuova maniera di gestire, che è stata ampiamente sollecitata dal collega Sanlorenzo.
L'attività urbanistica, per sua natura così complessa, poiché riflette la complessità della vita sociale, politica ed economica, richiede strutture di gestione opportune e dotate di capacita critica collettiva sia tecnica che politica. Soltanto da una capacità critica collettiva pu derivarsi la sicurezza della bontà del giudizio e delle posizioni. Non e accettabile che una materia di tale complessità gravi su singole persone ed in particolare sui funzionari. Noi ci aspetteremmo anche che coscientemente, i funzionari che oggi sono lasciati soli nell'assumere queste responsabilità, le rifiutassero, poiché ad essi non può competere un onere così gravoso e così complesso. Essi non sono del prefetti, n intendono esserlo; né lo Stato italiano della riforma regionalista pu fondare la propria vita su strutture burocratiche amministrative di questo tipo.
L'esame dei piani certamente richiede competenze legali: è una condizione necessaria per lo svolgimento di tutte le attività amministrative; ma ha soprattutto necessità di competenze tecniche attinenti ai settori specifici, e di un inquadramento e di un'impostazione politica chiara ed espressa, Il funzionario, se lasciato solo all'interno di un apparato burocratico, è spesso condizionato, che lui lo voglia o no a porre l'attenzione soprattutto sulle norme; dove non esiste una dialettica politico-culturale, questa diviene la sua dimensione operativa il suo modo di rispettare le competenze e di non sopraffare, come certamente invece farebbe se intendesse colmare lui il vuoto di direzione politica Questa situazione può portare sino al punto di limitare la libertà d'azione, di ricerca, di approfondimento, di partecipazione del funzionario. Ciò toglie alla pubblica amministrazione la coscienza dei suoi fini, la ragione che ne giustifica l'esistenza, ed elimina all'interno degli apparati amministrativi pubblici ogni tendenza critica ed evolutiva.
Il questi casi, poiché il "diritto" guarda per sua natura al passato, è facile cristallizzare l'esame dei piani in una pura visione formale dando corpo ad ogni tentazione conservatrice e riducendo l'attività ad esercitazioni di carattere giuridico.
A queste possibili deformazioni della vita amministrativa è bene porre rimedio subito; dobbiamo evitare che un istituto nuovo, al di là della volontà dei singoli,, al di là della stessa volontà collettiva della Giunta, possa correre il rischio di trovarsi di fronte ad un apparato burocratico che paralizza e ritarda le scelte politiche. Quindi fin dall'inizio bisogna introdurre nuovi metodi di lavoro, attraverso ai quali l'apparato dell'Amministrazione Regionale sia posto a contatto con componenti esterne, elette e rappresentative delle forze sociali e politiche, e del mondo della cultura, Da questo rapporto se ne avvantaggerà l'istituto regionale nel suo insieme, ma io credo se ne avvantaggerà la vita interna dell'apparato amministrativo regionale sotto ogni aspetto, ed in particolare nel senso di qualificare il proprio lavoro.
Ma, se questa è un'esigenza immediata che abbiamo posto aspettandoci una risposta ed un'indicazione di soluzione già in sede di programma dobbiamo tuttavia dire che lo strumento che in modo sostanziale può dare impostazione chiara e corretta alla fase di approvazione degli strumenti urbanistici, e può giustamente regolare i rapporti tra Regione e Comuni in questa materia, è il Piano Territoriale di Coordinamento.
Voglio qui richiamare il fatto che l'istituto del piano regolatore ha avuto nel corso della sua applicazione, a partire dal 1942, un'evoluzione forzata per quanto si riferisce alle competenze; originariamente esso era un atto del Comune, sul quale il Ministero doveva svolgere una funzione preventiva di coordinamento, ed a posteriori, una pura funzione di controllo. E' diventato invece un atto composto, quello che i giuristi chiamano un atto ineguale, con posizione paritaria fra il Comune ed il Ministero, ed ora la Regione attraverso al quale la Regione interviene a modificare le decisioni già assunte dal Comune. Questa procedura si è generata a causa della mancata formulazione dei piani territoriali di coordinamento. In quella situazione il Ministero per svolgere una funzione di coordinamento e di indirizzo ha finito con l'intervenire sui piani comunali al momento dell'approvazione. Se fossero stati fatti i piani territoriali di coordinamento non sarebbe stata necessaria questa trasformazione di imputazione che ha reso il piano regolatore un atto complesso ed ineguale.
Il coordinamento degli interessi e delle decisioni locali deve essere preventivo e va ricondotto all'interno dello strumento previsto dalla legge, anche se è strumento da migliorare (e anche per questo auspichiamo una nuova legge urbanistica). Si formulino quindi i piani territoriali di coordinamento . E' questo l'unico modo di stabilire un rapporto corretto e di stabilire la gerarchia di competenze fra Comuni e Regione, evitando quella che qui è stata chiamata la gara di pingpong tra Regione e Comuni.
L'incertezza attuale dell'esito dell'esame degli strumenti urbanistici genera equivoci ed il giudizio lascia sempre molte amarezze; amarezze a volte ingiustificate, ma che, per la procedura che le genera, certamente non contribuiscono a creare dei sani rapporti tra la Regione e gli Enti locali.
Per questo abbiamo posto con forza il problema della formazione dei piani territoriali di coordinamento. E' questa una competenza che spetta alla Regione: noi pensiamo che, ove non si realizzano procedure di formazione dei piani che prevedano la partecipazione degli Enti locali interessati, debba essere la Regione a comunque formularli in virtù delle proprie competenze. In questo caso, a livello della Regione deve essere elaborato il piano territoriale, con lo stesso impegno con cui a livello di Comune si pretende la formazione del piano regolatore.
Ma abbiamo anche chiesto, e vorremmo qui avere una risposta, di operare perché l'elaborazione del piano territoriale di coordinamento non assuma il carattere di imposizione forzata da parte della Regione nei confronti dei Comuni. Per questo pensiamo che esso non debba essere formulato come piano urbanistico unico per l'intero territorio regionale, ma venga formulato come piano dei singoli comprensori di aree ecologiche. Al piano di sviluppo regionale deve essere lasciato il compito di dare le indicazioni territoriali di carattere generale all'interno delle quali si devono inquadrare e attenere i singoli piani territoriali di coordinamento di ciascuna area ecologica. Chiediamo quindi che o piani territoriali di coordinamento vengano elaborati dalle autorità politiche di comprensorio che si devono istituire, e che a livello del comprensorio si realizzi la partecipazione dei Comuni alla formulazione dei piani stessi.
Sotto questo profilo abbiamo più volte richiesto, ultimamente anche attraverso un'interrogazione, che non si procedesse a definire territori da sottoporre a piani di coordinamento, in modo disgiunto dall'articolazione comprensoriale che dovrà assumere il piano di sviluppo regionale, come è stato invece fatto per l'area torinese. I 52 Comuni considerati in questo caso non costituiscono un'entità organica del piano regionale; è necessario fare riferimento al comprensorio dell'area ecologica di Torino. In questa ottica abbiamo richiesto che non si procedesse all'aero-fotogrammetrico per i 52 Comuni, ma lo si estendesse intanto a tutta l'area ecologica, ed inoltre a tutta la Regione (oltre che alla formazione dei piani di coordinamento, la cartografia è necessaria per i piani comunali, un contributo reale, assieme a quello dei finanziamenti che la Giunta vuol dare per la formazione degli strumenti urbanistici comunali, al fine dell'accelerazione dei tempi, e quello di dotare i Comuni dell'aero fotogrammetrico ).
Concludendo su questo punto vi chiediamo di precisare la volontà di formare i Piani Territoriali e di precisare che è il comprensorio dell'area ecologica il riferimento territoriale del piano. Inoltre, l'impegno alla formazione immediata del piano dell'area ecologica di Torino che dev'essere considerato prioritario per l'importanza che questa area deriva sia da una valutazione economica sia da una valutazione urbanistica. All'interno di questo piano esteso all'intera area ecologica si può collocare, e non altrimenti, il progetto pilota del Ministero del Bilancio di cui abbiamo discusso alcune sedute or sono. Infine, il rilievo aero-fotogrammetrico se venisse fatto in riferimento soltanto ai 52 Comuni renderebbe difficoltosa la formulazione del piano territoriale esteso all'intera area ecologica pertanto la Giunta si impegni ad ordinarne l'estensione.
Il discorso sui piani territoriali di coordinamento ha praticamente introdotto l'ultimo argomento sostanziale che intendo toccare: quello dei comprensori.
La politica di piano, per il suo stesso realizzarsi in senso tecnico per la sua stessa necessità di caratterizzazione in senso democratico richiede un'articolazione sub-regionale e l'individuazione e l'attuazione dei comprensori. La formazione del Piano di sviluppo regionale, che proprio per dettato del nostro Statuto deve articolarsi in piani comprensoriali, la stessa formazione dei piani territoriali di coordinamento richiedono che nella direzione della costituzione dei comprensori non si perda ulteriormente tempo.
La risposta data dal programma di questa Giunta alla nostra richiesta sembra indicare un atteggiamento di disponibilità ad affrontare il problema dei comprensori. E' ancora incerta questa risposta - d'altronde, mi rendo conto che una risposta sicura la potremo dare soltanto lavorando intensamente e collegialmente, e per un certo tempo su questo problema.
Proprio per questo chiediamo che ci si ponga subito all'opera. Noi pensiamo che gli comprensori si possono attuare intanto come organismi aventi funzioni essenzialmente politiche, e che quindi possano essere realizzati attraverso la costituzione di un organismo rappresentativo politico. A questi organismi possono immediatamente essere assegnati compiti di giudizio e di consultazione sui vari problemi che riguardano l'intervento della Regione, da quelli di pianificazione a quelli dei piani di riparto.
Ma non voglio dilungarmi oltre su questo argomento, tanto più che le nostre posizioni in merito ai comprensori sono precisate nella proposta di legge che noi abbiamo da tempo presentato, e sono ribadite e aggiornate nella proposta che su questo argomento è stata fatta nel nostro documento.
Passo ad un ultimo discorso, che nei confronti dei problemi urbanistici può non apparire di carattere sostanziale, ma che e certamente importante dal punto di vista strumentale. La gestione del territorio, intesa nel senso in cui ho cercato di delinearla - come gestione spaziale dei processi necessari per conseguire gli obiettivi di vita sociale ed economica che si siano fissati - e intesa parallelamente come condizione per una partecipazione democratica alle scelte, richiede un'informazione costante una conoscenza permanente dei processi in atto. Inoltre per riuscire a studiare, meglio di quanto non abbiamo potuto fare fino ad oggi, la natura dei processi che sono in atto, le loro caratteristiche specifiche e particolari; per costruire una nostra teoria dello sviluppo urbano, dello sviluppo territoriale, che sia confacente ai problemi originali che si presentano nel nostro territorio, è necessario uno strumento di raccolta e di elaborazione delle informazioni.
Per questo, per avere questa informazione permanente, costante precisa; per poter analizzare i dati attraverso i quali questa informazione si condenserà, per l'elaborazione di questi dati secondo modelli di prefigurazione che permettano di valutare scientificamente le possibili alternative dei processi ipotizzati e di conoscere quello che può succedere nel futuro; per consentire una vera partecipazione, una vera possibilità di scelta e di gestione democratica, è necessaria la costruzione di un sistema informativo che interessi la Regione, i comprensori, gli Enti locali. La necessità operativa è immediata ad ogni livello, Alcuni Comuni e Province hanno già preso iniziative: dell'altro giorno è l'inaugurazione del Centro di calcolo del Comune di Alessandria, alla presenza del Ministro Giolitti.
L'esigenza è reale, e le intenzioni di queste Amministrazioni locali non si può che ritenerle positive. Ma questo esplodere di iniziative singole pone alcuni problemi e non è priva di rischi: la disordinata ed antieconomica proliferazione dei medi e piccoli calcolatori nell'Amministrazione locale può risultare disintegratrice, anziché aggregatrice, degli enti locali stessi. Può risultare una rottura rispetto all'esigenza di avviarsi ad una gestione associata degli enti locali, e di dar vita alla politica di piano comprensoriale regionale; può tradursi in una cristallizzazione municipalistica che nel futuro potrà risultare di ostacolo. Inoltre, i Comuni, ricercando soluzioni individuali alle esigenze di trattamento automatico dei dati (che in generale si presenta a loro come problema di meccanizzazione della gestione amministrativa e anagrafica), si vengono a trovare in balia della rete di vendita delle grandi case produttrici, in particolare l'IBM (mi ricollego al discorso che Minucci ha fatto sotto questo profilo), ma con manovre anche di damping tendono a monopolizzare il mercato a loro favore, offrendo condizioni non sostenibili nel futuro e che comunque dislocano macchine e sistemi in funzione dei loro interessi, senza rispondenza agli effettivi bisogni degli enti acquirenti.
Questa parcellizzazione della struttura di informazione, generata dalle iniziative prese singolarmente dagli Enti locali condizionerà l'uso di questi stessi strumenti, e la stessa ricerca dei programmi operativi non sarà una ricerca libera, dal momento che singolarmente questi enti locali non potranno disporre di proprie strutture di ricerca, e dipenderanno strettamente dalla volontà e dalla standardizzazione dei programmi delle case costruttrici.
E' evidente, dunque, la necessità della costruzione e gestione pubblica di un sistema di informazioni. Ha un'importanza politica di fondo, questo perché soltanto così in futuro - ma era già un problema del passato - si potrà gestire la politica dell'informazione, e si potranno gestire democraticamente i processi che sono in atto. Chi non conosce, o chi per conoscere deve dipendere da strutture che non controlla politicamente sarà, come nel passato, in balia dei processi in atto e di coloro che tali processi animano, e si troverà costantemente nel continuo tentativo di rincorrere i problemi e le decisioni da altri imposte.
La Regione, tra l'altro, di un sistema informativo ha bisogno non soltanto per i problemi dell'urbanistica e dell'organizzazione territoriale ma per l'intera sua attività di programmazione. Credo che l'ex Assessore alla programmazione sia cosciente di questo e lo sia anche colui che lo ha sostituito nella nuova Giunta: mi auguro che essi si facciano promotori di una posizione della Giunta che favorisca la soluzione di questo problema per cui è impegnata l'apposita intercommissione. La stessa politica sanitaria ha bisogno di un'organizzazione di questo genere. E qui non si tratta soltanto della meccanizzazione dell'attività amministrativa degli ospedali - questa attività può avere anche una sede diversa da quella della Regione - ma di gestire tutto il processo di diagnosi, di prevenzione e di cura, e di poterlo gestire democraticamente. Se, in questo senso, si vuol realizzare quella politica sanitaria che qui molto spesso è stata richiamata dal collega Berti, è necessario disporre di strumenti di elaborazione automatica dei dati. E scopriremo che una tale politica sanitaria non soltanto riformerà il modo di affrontare i problemi della salute, ma inciderà sulla stessa organizzazione del territorio, sulla stessa distribuzione e organizzazione delle attività produttive, sull'uso del suolo in ragione del rapporto che esiste tra la salute e l'ambiente; in ragione di quei rapporti interdisciplinari che la Giunta vuol ignorare.
Vi è quindi necessità di costruire con immediatezza un sistema di informazione unitario ed omogeneo. La Regione non può attendere...



BESATE Piero

Nel programma della Giunta, però, in fatto di computerizzazione, ci si riferisce solo alla computerizzazione degli ospedali, in modo staccato.



RIVALTA Luigi

Non per nulla io ho richiamato questo aspetto della salute collegandola ai contenuti politici generali dell'iniziativa della Regione.
La Regione non può, dunque, attendere ancora a dotarsi di queste strutture di lavoro, e non può eludere la responsabilità che su di essa ricadono in direzione della realizzazione di una struttura pubblica gestita democraticamente, per il trattamento dell'informazione. Si deve realizzare un centro di informazione che sia strumento di lavoro per l'attività della Regione, dei comprensori, degli Enti locali, e al tempo stesso che sia centro di vita democratica e di partecipazione di tutte le forze sociali e sindacali che devono essere chiamate a gestire i processi che danno sede nella nostra Regione, e nel nostro Paese.
Abbiamo tardato troppo a rispondere alla richiesta dell'Università che, certamente per esigenze sue proprie, ma positivamente come indirizzo culturale, chiedeva alla Regione di impegnarsi, non tanto nell'utilizzo dell'attuale Centro di calcolo, quanto per la costituzione di un nuovo Centro di calcolo. Esiste un'occasione positiva, anche in virt dell'apporto scientifico che l'Università è in grado di fornire, per progettare il Centro in modo da renderlo rispondente alle esigenze che l'organizzazione universitaria locale e regionale dovrà affrontare, e rispondente alle esigenze che l'attività di programmazione regionale comprensoriale e comunale richiederanno. Ora occorre una risposta immediata. Concludendo, è possibile sottolineare quanto gravi siano gli impegni disattesi dalla Giunta nei confronti della politica del territorio e urbanistica. Si tratta di recuperare queste carenze d'ordine culturale democratico, istituzionale e strumentale. Solo così si potranno superare gli inconvenienti che si sono avuti nel passato in conseguenza della mancata programmazione dell'uso del territorio.
Inconvenienti che sono risultati ben più gravi di quanto comunemente si intenda: si pensi ai fenomeni di speculazione sulle aree fabbricabili e sulle costruzioni edilizie; alla distruzione di terreni agricoli; alle disfunzioni delle reti di trasporto ed alle carenze di mobilità; alle distruzioni di risorse derivanti dal disordinato processo di insediamento di attività e di residenze. Tutto ciò ha avuto un'influenza negativa sullo sviluppo dell'organizzazione territoriale, e ciò ha influito sullo sviluppo economico: ha provocato aumento di costi, ha determinato sprechi, ha influito sui processi inflattivi. Sotto questo profilo, quindi, c'é una stretta connessione fra gli problemi dell'organizzazione territoriale e i contenuti che vogliamo conseguire sul piano dello sviluppo economico nazionale e regionale. La pianificazione urbanistica, mediante la localizzazione delle infrastrutture, la determinazione delle zone industriali, agricole e residenziali, delle zone destinate a servizi pubblici è strumento e parte integrante dello sviluppo economico e sociale.
E' quindi un ambito d'azione attraverso al quale la Regione si confronta costantemente con le tensioni sociali ed economiche presenti nella nostra società. Un tale confronto richiede un impegno collegiale dell'intera Amministrazione Regionale, dell'intero Consiglio Regionale, e sollecita un lavoro organizzato (e per questo noi abbiamo fatto riferimento ai piani territoriali e ai comprensori) al quale sia chiamata ad apportare il proprio contributo e la propria partecipazione l'intera comunità regionale.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

Ritengo che a questo punto dei lavori, prima di dare la parola al Consigliere Bianchi, sia opportuna una sia pur brevissima sospensione della seduta.



(La seduta, sospesa alle ore 18,15, riprende alle ore 18,30)



PRESIDENTE

La seduta riprende. E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi, l'ampiezza di questo dibattito non mi consente certo di tentare, ai fini di una risposta anche politica del Gruppo, una sintesi che sia valida e rispettosa della complessità e della profondità degli apporti che sono stati dati. Credo che ciascuno di noi si riprometta di far ricorso alle parti agli interventi più significativi soprattutto in relazione a specifici argomenti, per farne poi tesoro nel momento in cui passeremo da questa discussione generale alle specificazioni e al confronto sui temi concreti.
Il programma della Giunta, proprio attraverso il filtro della discussione consiliare, mi sembra assumere rilievo, perché esprime una consapevolezza serena e realistica sulla natura e sulle dimensioni della crisi economico-sociale e politica che ci ha colpiti, sul suo carattere, in una determinata fase di sviluppo della nostra società, in cui coesistono gli problemi e le prospettive di una società-post-industriale, quelli di una società con sacche di sottosviluppo, quelli di fasi, di momenti di decollo industriale, quelli permanenti del mondo agricolo, così come coesistono gli problemi e le ragioni di crisi internazionale: quella energetica, quella del disordine monetario, quella del nuovo assetto e rapporto fra le forze, le potenze, gli Paesi del mondo.
La stessa momentanea eclissi di un multipolarismo che era stato assunto quale elemento di equilibrio e di pace mondiale che e riposto in discussione, mentre riemerge più che mai l'aspetto bipolare, che è sicuramente motivo di preoccupazione per la giusta collocazione da trovare per le forze intermedie, per i Paesi di non grande dimensione e potenza.
Manifesta, il programma della Giunta, in termini positivi sostanzialmente avvertiti, recepiti dalle varie parti politiche, la ferma volontà di fronteggiare gli eventi, di dare delle risposte tempestive e concrete; una volontà ed un vigore morale di fondo, che respinge l'ineluttabilità di un approdo fatale della crisi in atto. Propone in modo efficace, nelle sue linee essenziali, in modo non direttamente contestabile, la questione delle priorità e delle scelte, in una coordinata sintesi tra le esigenze della congiuntura e quelle, di termine più lungo che riguardano le strutture e il tipo di società da far maturare e da far progredire.
E cosi, gli problemi del piano, del suo aggiornamento, degli obiettivi nuovi da perseguire, degli strumenti di cui avvalersi hanno trovato giusta collocazione. E così, l'indicazione dei settori di intervento, che sono insieme atti a dare una risposta ai problemi congiunturali e a problemi permanenti; con le soluzioni di intervento indicati per l'agricoltura, per i trasporti, per la casa, per l'assetto del territorio, per l'artigianato.
Motivi, tutti questi, che hanno visto più impegnato il Consiglio ad approfondire i temi, a specificare le ragioni e i motivi di intervento regionale che non ad esprimere polemiche e dissensi.
In alcuni interventi di colleghi si è ironizzato, poi, su qualche eccessiva diffusione elencativa o di analisi contenuta nella seconda parte del discorso programmatico, che concorre ad essere qualificante ma che poteva, dal punto di vista politico, essere omessa senza che il programma della Giunta perdesse di validità.
Al di là di questa facili notazioni ritengo che si possa riconoscere l'ansia di un inventario programmatico e di esigenze per la migliore e più energica azione che ci è richiesta nel tempo su cui ancora possiamo contare, i cinquecento giorni ai quali molti colleghi hanno fatto rituale riferimento.
Il programma e il dibattito che in esso si integra ci servono a fornire il quadro metodologico e politico in cui le molte e nuove questioni troveranno collocazione e soluzione. Sono molte quelle enunciate, troppe ha detto qualcuno, ma certamente ve ne saranno molte di nuove, che la realtà ci proporla anche in questi 500 giorni, e per queste era giusto fornire un quadro per la collocazione politica e per la metodologia da adottare.
Si afferma che la crisi attuale, per la vastità delle sue dimensioni per la debolezza del nostro Paese, per la debolezza delle sue strutture civili e sociali, per la difficoltà di influire sulle sue cause, che ci sfuggono per i tempi lunghi che si prevedono al suo corso, minacci direttamente di intaccare o di travolgere le nostre istituzioni, il n ostro sistema politico costituzionale, gli equilibri tra le forze politiche.
Nessuno certamente può sottovalutare la situazione e i suoi pericoli.
Nessuno di noi vorrà però concorrere, per spirito di dimissione, per psicosi della catastrofe, a mettere in mora ciò che appunto teme possa andare perduto.
Non e la democrazia ad essere inadatta ad affrontare le grandi emergenze Essa, anzi, per la sua duttilità, per la sua essenziale disposizione a produrre e a recepire il nuovo, è sicuramente il sistema più adatto. Ha però bisogno - e qui possono venire in luce le nostre personali o generali carenze - di essere sorretta da convinzioni ferme, da valori autentici, da un'etica e da comportamenti coerenti.
Le grandi mutazioni sociali, economiche, geopolitiche, le nuove indicazioni tecnologiche, e, consentitemi, la formulazione addirittura di nuove tesi filosofiche, pongono in discussione giudizi, metodi, fini tecniche dell'azione di Governo e dell'azione dei partiti che sembravano consolidate. Basterà ricordare, per farsi capire, che è messa in discussione seria e a breve termine non solo e non tanto l'opportunità che consentirebbe una scelta, in base alle ideologie, ai metodi ed alle finalità delle forze politiche - ma la possibilità stessa di uno sviluppo economico costante, illimitato e crescente.
Molti strumenti concettuali sono soggetti a revisione; una certa fiducia di marca illuminista e positivista pseudo-scientifica è ormai vigorosamente scossa, Metodi di Governo, formule ideologiche, mezzi di analisi, gli schemi mentali usati sono in gran parte divenuti ferri vecchi nelle mani degli utilizzatori - partiti, sindacati, istituzioni sociali. A ciascuno di noi si chiede l'umiltà ed il coraggio di una conseguente profonda, rapida revisione, non di dubitare delle ragioni di fondo, della loro funzione e della possibilità di svolgerla efficacemente.
Avranno queste nostre istituzioni il vigore, l'efficienza, la capacità di affrontare l'eccezionalità dei problemi e la gravita delle situazioni che si addensano sul nostro Paese? modo più sicuro per dare una risposta positiva è quello di far funzionare le istituzioni che ci sono affidate quelle in cui siamo chiamati ad operare. La Regione deve esprimere tutte le potenzialità democratiche, di governo, d'impulso, di amministrazione di cui può essere capace.
Io credo che il programma della Giunta fosse inteso ad esprimere questo spirito. La relativa modestia dei mezzi e dei poteri che le sono affidati può tradursi in grossi risultati se si crede negli effetti, in termini di mobilitazione e moltiplicazione delle forze, che derivano da un quadro capace di identificare le linee d'azione, di indicare i nuovi traguardi cui deve tendere la forza creatrice dei singoli e della società nel suo insieme.
Il momento pubblico vede accentuato sicuramente il suo ruolo, le sue responsabilità, l'esigenza di una sua autorevole proposta ed iniziativa.
Ma, come è da respingere con energia volontà, vigilanza ed azione la prospettiva di crisi e di involuzione in senso autoritario - piano inclinato in cui sarebbero travolti molti di coloro che ipocritamente se ne rammaricano mentre ne sono auspici, così, ed in positivo, deve essere affermato che l'accentuazione necessaria del momento sociale, il più vasto ed incisivo intervento dei poteri pubblici sono finalisticamente orientati a fare più salde, valide, accette e funzionanti le fasi di una società più comunitaria, più solidale, più giusta, ma nello stesso tempo articolata dinamica, libera, pluralista e diversificata.
Come il "New Deal", traendo la società americana dalla depressione che aveva aperto altrove le vie al nazismo, preparava una società più matura capace di respingere le egoistiche e miopi illusioni dell'isolazionismo, e di concorrere in maniera assolutamente decisiva alla ripresa del cammino dei popoli, sempre faticoso ed insidiato, verso la libertà e la democrazia così ora, i sacrifici che ci disponiamo a fare, l'accentuazione degli aspetti di coesione, di responsabilità, di impegno comune, sono validi in quanto orientati e destinati non a difendere e a gestire l'esistente, non a soffocare od attutire il civile dissenso, non a corrompere nella complicità, ma a concentrare e a suscitare le energie, a salvare, creandone anche di nuove più stabili, riconosciute ed accette, le basi della convivenza sociale e politica.
Quando il Presidente della Giunta, esprimendo il comune pensiero delle forze politiche che la sostengono, ancora ed orienta l'azione programmatica regionale e le coesioni e responsabilità che comporta nel senso della democrazia e della Costituzione repubblicana, in senso, quindi antifascista, non compie un'operazione rituale, né cede ad una tattica propiziatoria verso il Partito comunista, né compie l'errore di prospettiva di vedere il pericolo rappresentato dal Gruppo del MSI Destra nazionale Se il giudizio, il ricordo, la condanna del fascismo, che rappresenta il dolore e l'umiliazione del passato, ci richiama ai valori universali, umani e civili, su cui si è cercato di fondare la nostra Repubblica, il riferimento, ai pericoli attuali o permanenti ha ben altro fondamento culturale che non sia il timore del fascismo storico in orbace.
E' consapevolezza che nei momenti di difficoltà, di crisi, e potente la tentazione delle soluzioni politiche che affidano alla forza e all'esercizio spregiudicato del potere ogni più grave questione, ogni conflitto sociale, che solo la pazienza, il confronto, il vigore morale, la libertà può autenticamente risolvere; altrimenti significa fare lunghi rinvii alle soluzioni nella storia passando attraverso il buio di un tunnel. Non il neo-fascismo, ma un nuovo, più subdolo fascismo può cogliere la democrazia alle spalle. Oberto voleva dire, dunque, che noi riconfermando l'attaccamento ai valori che la Resistenza ha espresso intendiamo qui operare per un'azione di riforma, per una costruzione che concorra sempre più ad isolare, ad emarginare nella coscienza dei singoli e della società questo più pericoloso tipo di suggestioni e le condizioni che le possono alimentare.
Del resto, sappiamo bene che una rigorosa, radicale, lucida posizione democratica ed antifascista costituisce la migliore piattaforma, quella moralmente più valida ed efficace, per il confronto, il dibattito, il dialogo, e, quando occorre, per la lotta con il partito comunista. Il richiamo, Consigliere Curci, a qualche labile, incerto episodio della sfera tattica, inevitabile in quasi trent'anni di vita politica in cui fisicamente si è pure coesistito, non riabilita né rivaluta il fascismo: ne mette semmai in evidenza l'isolamento morale ancor prima che politico in cui si è confinato.
Il discorso sul piano di sviluppo che la Giunta propone, ed il cui significato è stato s o stanzia] mente recepito e positivamente valutato, o comunque fatto oggetto di viva attenzione, sia dal Gruppo comunista, sia dal Gruppo liberale, serve, per dirla con termini del grande Segretario fiorentino, "non per conoscere i tempi e l'ordine delle cose ed accomodarsi a quelle, ma per conoscere le cose e cambiarle". E questa è insieme la volontà e la necessità politica che promana dalla natura delle forze che compongono e sostengono la Giunta, dagli elementi di omogeneità che le uniscono su di una vasta base democratica e popolare, che non discrimina ma si pone come termine autonomo di riferimento nella ricerca degli apporti e dei consensi.
I termini operativi che la Giunta propone a se stessa e al Consiglio la prevista nota di variazione al bilancio '74, il documento programmatico da allegare ed integrare nella stessa, la spinta ad un rapido aggiornamento dei dati, la volontà di offrire una politica di indirizzo nei confronti degli altri operatori pubblici e privati, manifestando in concreto il Proposito di passare dalle fasi conoscitive - che si rincorrono e si vanificano in una gara di velocità in cui la realtà va sempre più forte di chi la studia - alle fasi operative.
E qui si colloca il discorso sul nuovo modello di sviluppo. Io non lo tratterò certo esaurientemente, ma mi limiterò a qualche notazione.
Occorre, a mio avviso, dissipare anzitutto un equivoco. Quando, sotto questa enunciazione del nuovo modello di sviluppo, si intende indicare le esigenze di autentica crescita umana e civile e che comportano: a) l'ordine e la difesa dei valori ambientali-territoriali e delle risorse che ne sono espresse b) l'equilibrata ed armonica distribuzione delle attività economiche produttive e degli insediamenti umani c) la destinazione di risorse, energie ed attenzioni sempre più vaste ai consumi che concorrono a restituire all'uomo la sua centralità di soggetto condizionante rispetto alla produzione dei beni, e così parliamo dei modi di concepire e di servire l'esigenza della mobilità, di tutelare la salute, di alimentare la libertà e la disponibilità umana con l'istruzione, la cultura, l'accesso ai beni culturali e così via quando si parla di consumi sociali, in una parola, non si fa solo un discorso che attiene ai valori di una civiltà, ma si identificano le condizioni stesse per lo sviluppo di una società industriale e per il passaggio alla società post-industriale.
Il discorso dei consumi sociali in una società sottosviluppata ha un sapore di irrisione o di velleità. Certo, venendo da secoli di miseria e di compressione, il mito dello sviluppo economico-produttivo incessante e condizionante ogni altro momento ha provocato vischiosità e ritardi nel prelievo e nella destinazione delle risorse che crescevano e che divenivano finalmente disponibili per la loro destinazione appunto ai settori culturali e sociali. Lo spreco, però, è stato una dolorosa caratteristica che ha accomunato, perché sostanzialmente comune era la meta produttivistico-industriale quantitativa - ricordate le gare in cui voleva impegnare Kruscev la Russia -, società capitalistiche e società collettivistiche. Spreco nell'abbondanza e spreco nella povertà.
L'autentico nuovo modello di sviluppo che è imposto agli uni e agli altri in prospettiva di tempi che si fanno sempre più brevi è costituito non da scelte ideologiche, da movimenti di pensiero, come è quasi sempre avvenuto, nel corso della storia umana, ma da un impatto improvviso, seppur previsto e prevedibile, contro il muro di situazioni che sono riferibili allo sviluppo demografico, alla bomba demografica, alla limitazione tangibile delle risorse, agli effetti distruttivi, di livello planetario derivanti dalle attività umane di utilizzazione e di sfruttamento delle risorse della terra, Ma non voglio evadere nel futuribile, e resto in argomento.
Qui non do risposte: sono implicite. Rilevo solo che la gravità delle responsabilità che su noi gravano è costituita dal fatto che di questa seconda sconvolgente prospettiva si è preso coscienza a livello dei popoli e delle masse nel momento in cui noi ci trovavamo in crisi per la rettifica, per l'aggiustamento, per la correzione del sistema di sviluppo della nostra società, che aveva ormai attinto alti livelli sotto il profilo della produzione industriale.
Occorre dunque controllare realisticamente i discorsi, le reazioni, gli atti politici, perché la chiusura di prospettive a lungo termine non abbiano effetti di caduta catastrofica rispetto a condizioni e processi produttivi, a condizioni di vita che sono dominabili e modificabili in tempi relativamente brevi, ma non con salti improvvisi. L'eventuale opportunità e decisione, per intendersi con un'immagine, di tomaie al mezzo più leggero dell'aria, al dirigibile, non si realizza, non può comportare l'ordine di spegnere i motori dei mezzi più pesanti quando sono ancora in volo.
Le campagne del modo, gli Paesi terzi rispetto ai Paesi industrializzati, le autentiche campagne nostre rispetto alle "città" sono state sacrificate, in questa fase di sviluppo, e in qualche modo compresse.
Oggi siamo al momento della collera, o al momento magico, a seconda dell'angolo visuale in cui ci collochiamo. Siamo ad una delle numerose lezioni che la storia dà all'orgoglio umano: dopo aver toccato gli astri torniamo a piegarci verso la terra, direi addirittura torniamo a piegarci sulla terra.
Per quanto riguarda noi italiani, la netta separazione tra città e campagna e la sudditanza del mondo rurale, del contado - per questo io sopprimerei come prospettiva ciò che viene sintetizzato nel termine di "mondo contadino" - al privilegio politico dei cittadini è addirittura alla base del ritardo nella formazione dello Stato nazionale. Gia a partire dal Cinquecento si verificava questa condizione, di separazione, di frattura che ha impedito la formazione dello Stato nazionale, ha aperto il nostro Paese addirittura alle dominazioni e alle invasioni straniere.
Quando, tornando a cose minori, piccole e nostre, con un minimo di consapevolezza parliamo, vedendo la realtà regionale e piemontese, di ente di sviluppo, quando noi pensiamo di coinvolgere, di impegnare, di offrire una cittadinanza piena al mondo rurale, non facciamo un'operazione ritardata culturalmente, tendente a ripristinare privilegi corporativi o interpretazioni di tipo corporativo, ma vogliamo ritrovare le linee per la restituzione a questo mondo di un suo autentico stato civile, politico, di maggiore età, capace di gestire il proprio destino, capace di sentirsi città nel senso politica con tutta la comunità nazionale.
Così, quando si parla di zootecnica, e si sente, con efficacia di immagine, richiamare da Bertorello il problema della mucca e dell'uomo, noi non possiamo non essere scettici di fronte, anche in questo caso all'impostazione illuministica che vede la possibilità di risolvere i problemi con alcune centinaia o migliaia di miliardi da destinare a grandi enti per operazioni di tipo industriale, ignorando che un'autentica zootecnia richiede pazienza, richiede le qualità dell'allevatore, richiede nuove strutture aziendali adatte all'allevamento, richiede un processo lento, di scelta, di qualificazione, di elaborazione di condizioni che solo con strutture ben gestite, solo con idee chiare possono essere restituite alle nostre campagne.
E così, quando sentiamo protestare il mondo contadino e anche possiamo ritrovare momenti di preoccupazione, per il turbamento che ne può venire sia pur per un attimo, alla vita di un'Istituzione democratica rimeditando, riflettendo, sentiamo che ci è posta una domanda di tipo politico estremamente valida, alla quale dobbiamo dare una risposta concreta, convincente.
E' inutile la polemica sui termini, sul nominalismo degli albi, degli elenchi, dei registri: quello che ci vuole è uno strumento organico esplicito, nel quadro costituzionale del nostro Paese - che considera superato, come segregante, emarginante, ogni concetto corporativo -, che consenta la tutela, la valorizzazione, il rilancio dalla professionalità agricola, che non può essere disgiunta, evidentemente, dalla validità delle strutture in cui viene a collocarsi. Non vale definire la professionalità non vale tutelarla con un'operazione estetica in un bell'albo, anche se ben disegnato: vale invece collocare questa professionalità in un contesto concreto, in aziende valide, in una serie di strutture tecniche amministrative, finanziarie, economiche che la tutelino e la valorizzino.
Comunque, noi siamo disponibili perché la risposta sia coerente, completa e soddisfacente tanto sul piano formale che su quello concreto.
Mi limito a parlare delle colture, tralasciando altri settori di intervento prioritario: ritengo basti questa impostazione ad esprimere in modo emblematico l'atteggiamento, il modo con cui vogliamo accostarci a questi problemi.
Il collega Minucci, analizzando i dati di questa crisi e le dimensioni dei mutamenti sociali in atto vi ha visto la causa di una crisi di identità della stessa Democrazia Cristiana. A quali ceti, a quali interessi, a quali equilibri sociali tende a corrispondere la D.C.? Quali scelte sarà indotto a fare questo Partito, "le cui sorti non ci sono indifferenti"? Noi abbiamo coscienza delle difficoltà e delle tensioni; ma crediamo di poterci richiamare all'intuizione permanente della validità di una rappresentanza organica, che vede il popolo in una sua unità pluralistica ma che sceglie - ecco il momento storico - e considera come traenti, come propulsivi, i ceti attivi, i ceti produttivi, i ceti culturalmente consapevoli e dinamici: i contadini, gli operai, i ceti medi tecnici professionali, i ceti in cui le capacità imprenditoriali e l'iniziativa costituiscono un patrimonio che dev'essere impiegato a beneficio dell'avanzamento della società intera. In questo senso è il dato permanente dello sforzo e della ricerca di chi da questo centro, come diceva De Gasperi, muove verso sinistra per la soluzione dei problemi dei più deboli e non per la loro emarginazione.
Nel presente momento storico e certamente vero che l'alternativa è tra il prevalere dei grossi, vasti interessi delle posizioni protette, delle posizioni parassitarie, delle posizioni indifferenti ad ogni controllo e confronto di produttività ed efficienza, di validità del servizio reso alla comunità ed allo Stato e il prevalere del momento attivo e produttivo. E qui si pone il problema della pubblica amministrazione, della sua capacita di rispondere tempestivamente alle domande che vengono dalla nostra società, che non attende soltanto delle analisi, ma degli atti politici. E noi questi atti vogliamo compierli, qui, in questa sede. Nei giorni che ancora ci restano vogliamo, dopo la fase che è stata consacrata soprattutto all'elaborazione, al confronto delle posizioni, alla ricerca delle linee alla conoscenza della realtà su cui operare, vogliamo scendere direttamente al concreto e con questo misurarci.
Il collega Minucci, ancora, partendo dal riconoscimento obiettivo, che in una certa misura non ho difficoltà a fare mio, secondo il quale la classe operaia ha compiuto un grande cammino sulla via dell'assunzione e dell'interpretazione dei problemi e degli interessi della società intera direi anzi che la secessione del proletariato, attraverso la lunga marcia dalla fine del secolo scorso ad oggi rientra dalla porta principale - ci dice: "Non siamo sull'Aventino". La classe operaia, dunque, viene concretamente .e fisicamente identificata ed assunta, nel quadro delle forze produttive, in una ricerca di integrazione e di organicità sociale.
In altro momento questa impostazione sembra assumere invece la classe operaia al ruolo di categoria politica, di strumento concettuale ed ideologico per individuare i problemi della società, le linee politiche, le soluzioni.
Nel tempo stesso in cui si concede che la classe operaia non è univocamente rappresentata, nel momento in cui si propone la collocazione come quella di una forza politica che vuol essere portatrice dei problemi e degli interessi di ceti sempre più vasti e differenziati, quali riflessi si notano, quali conseguenze derivano nella struttura interna del Partito comunista? L'opposizione diversa, o rischia di essere soltanto, al di là di ogni buona volontà, cui noi facciamo credito, un importante e permanente momento tattico, o comporta una diversificazione funzionale alla realtà cui si dice di voler corrispondere.
Il discorso del pluralismo sociale, dei mutamenti che sono avvenuti e di quelli che occorre determinare non può non investire il Partito comunista. Anche a questa corrispondenza ed identità, oltre che ai fatti nostri, noi siamo chiamati a fare attenzione.
Come governare, dunque, a fronte delle difficoltà eccezionali che si presentano? Essenziale e che i motivi della responsabilità, della convergenza, i momenti unitari siano determinati dall'autonoma considerazione e valutazione che ciascuna forza fa al cospetto del bene comune, con riferimento alla salvezza di valori ed istituti fondamentali per la convivenza civile, per la salvaguardia delle speranze comuni a tutti i buoni democratici.
L'unità, più esattamente l'unione, può a volte meglio risultare dai modi con i quali il dissenso, il giudizio critico si manifesta che non dal trasferimento della lotta in sedi sotterranee, coperte da conformismi unitari superficiali.
Certo, la Giunta, impegnata a svolgere tutto il suo lavoro, a valersi di tutte le sue prerogative, a misurarsi davanti al Consiglio con tutti i problemi regionali, non può non tendere a metodi di massima trasparenza per fugare ogni diffidenza, per giovarsi di ogni apporto, per rafforzarsi nella quotidiana verifica di obiettività, che è al servizio della collettività.
Il passaggio ad una fase intensamente operativa richiederà pure chiarezza nell'esercizio delle competenze, senza formalistiche rigidezze senza impuntature dovute a malintese questioni di prestigio, ma senza sovrapposizione confusionaria o confondente. Così come i tempi e i modi delle discussioni, delle consultazioni, i rapporti fra Giunta e Commissioni e fra queste e il Consiglio dovranno essere portati ad una maggiore snellezza e sinteticità, che giova a tutti e non comprime esigenze reali di alcuno.
Nel fervore dei compiti che andremo svolgendo con tutta la nostra passione civile, avremo forse modo ed occasione di esprimere il nostro pensiero e forse il nostro voto su un delicatissimo tema che tocca le coscienze e i fondamenti della convivenza sociale. L'attenzione e il tempo che vi potremo dedicare, per quanto ci riguarda, non potrà segnare, né una pausa né un pretesto, per confondere o deviare la tensione che ci occupa per la serie dei problemi vitali che qui abbiamo dibattuto. Così come non saremo noi a consentire che vengano falsati i rapporti, gli equilibri e i ruoli delle forze politiche.
Si é, infine, fatto accenno, come ad una delle condizioni per rendere sempre più diversa una certa opposizione, alle linee della politica estera.
Io direi che gli apprendisti stregoni dalle varie parti identificabili che hanno lasciato si verificasse il conflitto nel Medio Oriente, oggi, se dovessero rivedere le posizioni, ripenserebbero un pochino prima di assumere le stesse iniziative. La nostra opinione è che l'opportunismo dei deboli non paga. Noi ricerchiamo l'amicizia, la collaborazione di tutti gli popoli; riteniamo un dato permanente l'offerta di collaborazione, di lavoro, di produzione, di scambi che abbiano alla loro base la sostanza del lavoro che ognuno fa per gli altri perché gli altri fanno qualcosa per noi.
Ma il nostro avviso è che inseguire la benevolenza con la viltà sia una pessima strategia . Del resto, il realismo politico ci mostra, quasi con un aspetto umoristico, Sadat e Kissinger che si baciano sul collo mentre l'Europa, divisa, incerta, malsicura, mercantile, piegata solo alla convenienza e all'egoismo nazionali, rischia di andare a fondo; un naufragio che potrebbe a breve scadenza, se non si pone rimedio coinvolgere in una rottura di equilibri - perché qui ancora c'e la sede di risorse immense, economiche, umane e di intelligenza - tutto il resto del mondo, turbando veramente gli obiettivi di pace che dobbiamo perseguire.
L'Italia faccia dunque il suo dovere sul piano della ricerca di un'autentica politica di pace con tutto il mondo, di un'autentica politica europeistica per ridare equilibrio e una, voce a questa parte del mondo che deve poter svolgere i propri compiti. All'interno le forze politiche tengano ciascuna il proprio ruolo, attente tutte - perché questo richiede la legge della sopravvivenza della democrazia - alle molte ragioni che, per quanto forti possano essere i contrasti, possono essere trovate per il consenso, per il concorso, per il lavoro comune, non scandalizzandosi se su alcune possono esservi radicali, ferme, nette distinzioni.
Io penso che nei giorni che ci attendono potremo ritrovare interi lo slancio, lo spirito, la forza di convinzione, la passione che ci hanno ispirati nei giorni del lavoro statutario, perché da un'enunciazione di principio, da un'affermazione di fede si possa passare ad un'incarnazione di queste affermazioni nella realtà che attende il nostro intervento.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Berti, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

La procedura seguita per questo dibattito sul programma è inconsueta noi riteniamo non debba più verificarsi, perché non ci consente di esprimere un giudizio che è completo solo se avviene dopo le repliche della Giunta. Noi dobbiamo quindi pronunciarci essenzialmente su quella che è stata l'esposizione del documento e sugli interventi della maggioranza mentre risposte alle nostre domande non mi pare siano venute in termini tali da consentirci di esprimere un giudizio conclusivo Non possiamo quindi che rimetterci alla risposta che il Presidente della Giunta e gli Assessori daranno giovedì e vedremo quali possibilità avremo di riprendere il discorso.
Debbo ricordare che eravamo partiti da un impegno preciso espresso dall'ex Presidente della Giunta on. Calleri il quale, a conclusione di un dibattito infruttuoso durante il periodo di crisi, aveva affermato essere intenzione della D.C. arrivare a un dibattito programmatico prima della formazione della Giunta per presentare una replica che comportasse la possibilità di concludersi con un voto. Questo non è avvenuto, ma non stiamo a sottilizzare su queste questioni, vogliamo soltanto dire che quando facciamo gli dibattiti dobbiamo avere la possibilità di concludere con tutti gli elementi a disposizione.
A questo dibattito noi abbiamo partecipato con molti interventi (del resto noi siamo per il confronto); a qualcuno la cosa potrà apparire una perdita di tempo, non molti credo però in quanto si sono sforzati tutti di approfondire aspetti già presenti nel documento della Giunta e in quello che noi abbiamo stampato e diffuso in Piemonte.
L'impegno che noi abbiamo portato per la formazione del programma credo sia di opposizione costruttiva, non abbiamo tralasciato di cogliere le carenze del documento della Giunta, ma la nostra opposizione non si ferma a questo punto, è chiaro che noi incalzeremo (la parola è di attualità) la maggioranza con successive proposte di dibattito su questioni che in questa sede ancora non hanno potuto essere molto approfondite per sviscerarle come per esempio, questa sera ha fatto Rivalta per il settore dell'urbanistica entrando in dettagli tali da suggerire una politica Credo che questo dovrà avvenire per i vari settori. In definitiva (starà alla Giunta giudicare i tempi e le possibilità) dovremo arrivare ad avere 31 quadro dei principi politici entro cui la Regione si muove in ogni settore.
Deriveranno così delle indicazioni precise di linea e quindi anche dei momenti operativi che saranno validi in quanto stralciati dal quadro politico, dai programma di settore su cui ogni Assessore opera.
Abbiamo giudicato parzialmente positivo il documento perché già si è mosso in questa direzione, per certi versi molto positivamente, per altri settori ancora con dei limiti che sono stati evidenziati dagli interventi.
Noi saremo quindi presenti con richieste di dibattito, con iniziative legislative nelle direzioni che abbiamo ritenuto essere prioritarie e per quei settori in cui ancora non operiamo. Incalzeremo quindi la Giunta e la maggioranza con la nostra iniziativa continua, più ancora di quanto non sia avvenuto sino ad oggi.
Dobbiamo dire che siamo molto preoccupati circa un argomento che è stato appena sfiorato, anche ultimamente dal Consigliere Bianchi: il referendum, Di fronte a una situazione economica e sociale molto complessa nell'incontro dell'altro giorno con i rappresentanti della Fiat abbiamo avuto una dimostrazione anche più palese dei termini del periodo di autonomia di cui gode ancora l'economia piemontese e nazionale, e dell'esigenza precisa che da parte del Governo, ma non soltanto del Governo, intervengano delle scelte, degli impegni tali da consentire che l'economia avanzi nella direzione giusta, non soltanto, ma mantenga l'attuale stato di occupazione. E' una situazione molto pesante che richiede interventi precisi e tempestivi e che rischia di essere messa in causa proprio perché, per la situazione in atto probabilmente, se non intervengono i miracoli, come ha detto il segretario della D.C. quindici giorni fa, saremo chiamati a scontrarci sulle piazze per una questione che in questo momento, sono d'accordo con Calsolaro, fa tornare indietro il Paese di fronte ad una scelta di civiltà quale è stata quella per il divorzio. E le posizioni delle forze più conservatrici della destra reazionaria già dimostrano qual è il clima che si vuole creare. E noi non possiamo non rammaricarci, non denunciare la posizione della D.C. la quale arroccandosi su una propria concezione della società si attesta su questioni di partito, su questioni ideologiche e rinuncia ad assolvere una funzione nazionale quale toccherebbe a un Partito di maggioranza relativa che ha così grosse e pesanti responsabilità nella conduzione del Paese.
Noi non possiamo non denunciare il fatto che con questo si tenti, per salvaguardare un proprio preciso indirizzo ideologico di limitare il diritto di libertà di altri cittadini: abolire il divorzio perché nessuno lo faccia.
Noi andremo a dire questo non contro il referendum che e un diritto costituzionale, ma denunciamo i propositi di coloro che lo hanno promosso: limitare il diritto di libertà (lo ha affermato ancora ieri la Corte Costituzionale) dei cittadini italiani che del divorzio si vogliono servire. Non potremmo non denunciare che non ci si è voluti assumere la responsabilità, sopratutto di fronte alla situazione che abbiamo approfondito in questi tre giorni di dibattito. E se una possibilità ancora esiste per evitare questo scontro, invitiamo le forze politiche qui presenti ad esprimerla con un voto del Consiglio Regionale affinché si faccia un ultimo tentativo per richiamare coloro che sono decisamente per il referendum, oppure assumono atteggiamenti passivi quando invece tocca a tutti di assumere atteggiamenti attivi.
Per tornare al nostro dibattito, noi ci adopereremo perché comunque le questioni avanzino puri senza rinunciare a combattere con tutte te nostre forze, una battaglia, visto che ci siamo obbligati, che vogliamo vincere richiamandoci a tutti gli aspetti della questione, politici e non.
Affinché il lavoro del nostro Consiglio Regionale non sia limitato, per quanto starà nelle nostre possibilità chiediamo al Presidente del Consiglio avv. Viglione di convocare una riunione dei Capigruppo per programmare l' lavori dell'attuale sessione, affinché le scelte di impegno prioritario siano programmate e su questo lavori il Consiglio. Certo i problemi sono molti, ma noi affermiamo che è necessario lavorare molto e che è possibile con un ritmo anche fida intenso, portare a compimento tutta una serie di scelte.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Non si riferisce al Presidente della Giunta? !



BERTI Antonio

Mi riferisco soprattutto alle Commissioni. Il Consiglio Regionale pu lavorare con un ritmo intenso promuovendo dibattiti, ma può lavorare con un ritmo intenso per approvare le leggi, soprattutto se le Commissioni saranno molto più impegnate a sbrigare tutte le questioni che ci sono. E' certo che le Commissioni per lavorare hanno bisogno di un rapporto, di tipo nuovo con gli Assessorati ed entrerò nel merito di una questione che ci fa tornare ad un aspetto critico dei nostri interventi.
Questo mio intervento si colloca ancora, non potendo esprimere un giudizio complessivo, sul piano di alcuni apporti, possibilmente costruttivi. Noi abbiamo preso visione in questi giorni di una circolare inviata a tutti i Comuni dall'ex Presidente della Giunta Calleri a proposito di lavori pubblici e delle infrastrutture in generale che annulla tutte le pratiche avviate fino ad oggi con il Ministero e con la Regione e che invita tutti i Comuni a riproporre le richieste.
Mi sono chiesto quali timori avesse che le domande potessero essere conosciute da altri, ma a prescindere da questi aspetti (che non sorprendono considerati i precedenti, non a casi la lettera è della vecchia Giunta) noi possiamo anche cogliere positivamente questo fatto ad una condizione e poniamo una domanda precisa: annullare tutte le pratiche precedenti, vuol dire iniziare un iter completamente diverso? Vuol dire cioè stabilire criteri con i quali vengono assegnati i contributi ai Comuni? Con quali criteri viene determinata la suddivisione? Vuol forse dire (e mi rifaccio a quella parte dei programma in cui sotto la voce di programmazione che mi sembra impropria. Si parla dei lavori pubblici infrastrutture, ecc. e all'accenno che questo debba essere fatto con il contributo dei Comuni, Province ritenuti interlocutori validi) vuol forse dire che la ripartizione viene fatta in collaborazione con i Comuni e con il Consiglio? Una risposta credo debba essere data perché questa frase introdotta nel capitolo programmazione della relazione del Presidente della Giunta abbia un significato preciso e possa essere assunta in tutti i suoi elementi positivi quali quanto meno sino ad oggi emergono.
Voi avete visto come ci siamo collocati nei confronti del documento, da ogni intervento sono venuti riconoscimenti, approfondimenti e inviti ad operare all'insegna di una maggiore precisione di una puntualizzazione dei tempi e dei modi.
Noi siamo stati critici soprattutto in direzione di un settore, quello della sanità, su cui desidero rapidamente ritornare. So che l'Assessore l'ha presa quasi come un fatto personale e si propone, mi è stato detto, di fare una dichiarazione La cosa mi sorprende perché sarebbe del tutto nuovo che le osservazioni rivolte ad un programma della Giunta siano assunte come oggetto di attacchi personali e necessitino di una risposta. La risposta e politica, come politica è stata la critica; come noi non abbiamo mancato di sottolineare gli elementi positivi del documento, all'insegna di questa nostra posizione, abbiamo ritenuto di doverne sottolineare le carenze e siamo stati particolarmente severi con il settore della sanità, settore sul quale ci proponiamo di ritornare in una seduta apposita. Perché? Vorrei sgombrare subito il terreno.
Noi non abbiamo una posizione preconcetta nei confronti dell'Assessore Armella. Mi si vorrà dare atto che quando abbiamo approvato la delibera per l'intervento nell'ambiente di fabbrica, abbiamo dato atto dell'impegno dell'Assessore, quindi noi i nostri giudizi li diamo sui contenuti, sulle cose, non ci entra mai la persona in quanto tale. Mi rifaccio quindi al fatto che il giudizio e la risposta non possono che essere politici e rispondere agli argomenti con gli argomenti. Tale quanto meno è la nostra concezione del dibattito.
Ma il fatto che noi sottolineiamo gli aspetti carenti della sanità trae alimento da considerazioni e constatazioni che siamo costretti a fare durante il lavoro del Consiglio Regionale. Io non mi rifaccio alle questioni di merito, già le ha fatte Vecchione, ma per riassumerle in una frase, non ritroviamo nell'attività dell'Assessorato alla sanità un filo conduttore entro cui collocare i vari interventi. Sappiamo che l'Assessore sta lavorando o ha lavorato con dei collaboratori che si è cercato (e nel suo diritto) per un piano ospedaliero, ma la questione che noi poniamo è quale politica, guaii indirizzi seguono costoro che stanno lavorando per l'Assessorato. Non era forse meglio stabilire l'indirizzo politico che la Regione Piemonte persegue in materia di' sicurezza sociale, e all'interno di questo assegnare delle consulenze, dei compiti? Il metodo è inverso Credo di poter affermare che con l'Assessorato alla sanità esista una specie di incomunicabilità, noi rileviamo una non facile disponibilità a discutere né con le forze esterne, né tanto meno con il Consiglio Regionale Ogni volta è una conquista riuscire a discutere con l'Assessore. A noi pare che sia l'Assessore ad avere interesse a discutere sempre con la Commissione e che nella misura in cui riceve degli apporti costruttivi è la politica sua e della Regione che ne traggono vantaggio.
Vedete che cosa sta capitando nella IV Commissione? Lei signor Presidente nel programma ha posto, tra le altre questioni, quella di portare a compimento le circoscrizioni sanitarie, Effettivamente abbiamo in IV Commissione varie proposte della Giunta, del Medico Provinciale, ecc che riguardano la suddivisione del Piemonte in circoscrizioni sanitarie. Si tratta di una questione che ha degli aspetti di politica sanitaria e anche degli aspetti tecnici. In sostanza noi, chiamati a dare un giudizio abbiamo per certi versi espresso la nostra possibilità di esprimerlo, per altri versi richiesto delle consulenze. Rientra nei diritti delle Commissioni, stabiliti dallo Statuto, è la cosa più normale di questo mondo, normalissima. Eppure attorno a questa richiesta, peraltro condivisa da quasi tutti i membri della Commissione, di ottenere la consulenza di uno studio anche per conto del Ministero della Sanità, tra le più importanti del nostro Paese, che si avvale di medici che hanno non solo esperienza di ospedali, ma di organizzazione sanitaria (si tratta di una equipe costituita apposta per studiare il tema della sanità in tutte le sue componenti e che, come diceva prima Rivalta, si occupa non soltanto dell'aspetto medico, ma di tutta una serie di altre questioni) c'è non un rifiuto esplicito ancora, ma c'é una posizione, non so se di tutta la Giunta o dell'Assessore, negativa; tanto da condizionare persino il Presidente della Commissione, i suoi compagni di partito che evidentemente non possono collocarsi in posizione di rottura. Noi abbiamo detto apertamente che non vogliamo una consulenza (entro nei particolari per dare corpo e sostanza alle nostre critiche, perché la cosa non sia assunta come un attacco generico, per dimostrare che non c'é l'accusa all'uomo, al personaggio, all'Assessore) di questo tipo per contrapporre opinione all'opinione della Giunta, vogliamo collaborare con la proposta della Giunta con contributi che possono venire, noi riteniamo, da studiosi che hanno maggiore esperienza.. E' sbagliato chiedere questo? Quali meccanismi mette in crisi? Che cosa impedisce di accettare rapidamente una proposta di questo tipo e debbono passare tre mesi? Mi rivolgo al Presidente della Commissione che per certi versi ho sentito sensibile a questa esigenza, ma tuttavia è condizionato da risposte negative che non possono che venire dal suo partito, dall'Assessore, non lo so. Vorrei che fosse reso esplicito perché qui sta l'incomunicabilità.
Pare a me che nell'attività dell'Assessore ci sia una gelosa conservazione delle proprie prerogative, il diritto di servirsi dei propri consulenti in forma esclusiva, che io non gli contesto. è libero di farlo io però se fossi Assessore cercherei continuamente i rapporti con gli altri Consiglieri e mi contornerei dei miglior consulenti perché mi permetterebbero di evidenziate delle linee importanti.
.abbiano ricevuto in questi giorni le linee di politica centrale della Regione Basilicata.. Non so chi ha fatto la relazione introduttiva, ma è di estremo interesse sul piano concettuale prima di tutto e sul piano operativo poi. E' chiedere troppo? Io mi rivolgo in questi termini all'Assessore, proprio per vedere se è possibile superare questo empasse. Quando il compagno Vecchione ha detto che abbiamo l'impressione che l'Assessorato operi al di fuori della Giunta si riferiva a cose di questo genere Noi non possiamo andare avanti in questi termini, vogliamo che sia stabilito il quadro di interventi e denunciamo il fatto che l'Assessorato continua a non cogliere, come riferimento, il documento del 10 febbraio '73 di tutte le Regioni e si rifà continuamente a progetti di riforma che sono morti e sepolti.
Diciamo che occorre predisporsi a un discorso che non debba essere ogni volta una conquista, ma sia spontaneo, naturale, che la Commissione o il suo Presidente non debba chiedere dieci volte all'Assessore se è disposto a venire in Commissione, semmai sia l'Assessore a ricercare queste collaborazioni.
Io mi accaloro perché noi vogliamo darlo questo contributo. Vediamo per esempio che l'Assessorato è attivissimo sulla questione dei Consigli di amministrazione degli ospedali, sulla ricerca degli enti originali. L'ho già detto una volta, particolarmente attiva è questa ricerca nei confronti dei Comuni in cui si delinea una maggioranza che potrebbe anche eleggere un presidente dell'ospedale comunista. Lo dico esplicitamente, è ora di finirla. Per fortuna che interverrà - lo abbiamo letto in questi giorni una riforma sanitaria che così come è stata pubblicata sui giornali contiene elementi positivi e si propone subito lo scioglimento dei Consigli di amministrazione degli ospedali. Sarà finita questa lunga battaglia sui Consigli di amministrazione che non so bene quali interessi nascondano per essere così sostenuti.
In sostanza, signor Presidente, noi chiediamo di fare della politica sanitaria. Ci rendiamo conto che l'attività di tutti gli giorni è più complessa, che richiede impegni specifici anche di ordinaria amministrazione, ma vogliamo fissare delle linee di intervento che al di là di tutte le parole predispongano effettivamente linee nuove e non scelgano l'ospedale come elemento fondamentale. A noi pare che i collaboratori (vada a loro tutto il rispetto nostro sul piano professionale anche per il lavoro che svolgono) che l'Assessore si è scelto siano preparati, per la loro stessa professione, essenzialmente su questioni ospedaliere e che manchi loro una visione più generale della moderna politica sanitaria che è qualcosa di più vasto, anche se problemi contingenti ci possono obbligare a intervenire (certo non quello di chiedere al Governo il ripiano del deficit delle mutue come è avvenuto tempo fa). Se il Governo deve intervenire non può che farlo su indirizzi precisi e appunto gli elementi nuovi che mi pareva di cogliere in quanto abbiamo letto sui giornali circa la riforma si riferiscono a questo.
L'ultima, signor Presidente, è una questione che riguarda l'agricoltura che è stata privilegiata in questo dibattito, e non a torto. Noi abbiamo già espresso la nostra opinione su certi momenti del dibattito, siamo rimasti colpiti dall'intervento che in questa sede è avvenuto da parte di numerosi giovani coltivatori diretti dei quali sposiamo la causa, non il metodo.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Senza possibilità di divorzio! !



BERTI Antonio

E ci rammarichiamo di un fatto: noi abbiamo avuto la sensazione che si sia colta una divergenza all'interno dei Partiti di maggioranza per strumentalizzarla in questa sede portando i giovani che con il peso della loro protesta, un po' fuori del normale, hanno inteso obbligare quelle forze che all'interno della maggioranza avevano espresso pareri contrari o limitati, a pronunciarsi. Il metodo non può essere accettato.
Come noi non possiamo concedere un'altra volta che così facilmente coloro che di questa politica negativa dell'agricoltura sono responsabili talvolta in prima persona, possano oggi tranquillamente assumere la posizione di chi denuncia quanto è stato fatto. Ci sono dei fatti che possono essere chiaramente denunciati, riaffermo qui quello che ho già detto una volta, e forte sarebbe la tentazione, Bianchi, di riprendere il tuo ultimo intervento col quale chiedi di ristrutturarci, di dare non so bene quali altre garanzie. Sarà bene farlo questo discorso per vedere come ognuno di noi, ogni partito, oggi si adegua alle nuove esigenze. Credo che nessuno come il nostro Partito abbia, in questi ultimi tempi soprattutto assunto delle posizioni responsabili. Il nostro atteggiamento qui lo dimostra Noi riteniamo che chi ha svolto dei compiti di direzione politica del Paese, chi ha avuto delle responsabilità primarie nella gestione della politica agraria, della Federconsorzi e che oggi avverte la carenza della situazione, deve avere il coraggio di venire e fare un'autocritica, di assumersi le proprie responsabilità, perché noi respingeremo il tentativo che più volte è stato fatto di mettere tutti quanti nello stesso carrozzone Ho detto altre volte e lo ripeto, che e proprio dalla maggioranza che viene il ricorso frequente, sottolineato, alla necessità che ognuno si assuma le proprie responsabilità, la maggioranza da una parte e la minoranza dall'altra La maggioranza le responsabilità, come del resto noi facciamo per quanto ci riguarda, se le assuma fino in fondo. Io credo che questo sia corretto.
Di fronte al grosso problema dell'agricoltura, termino con una richiesta di pronunciamento del Consiglio Regionale, signor Presidente, ad una lettera che lei avrà certamente ricevuto, firmata dal Presidente del Gruppo parlamentare comunista alla Camera. Noi pensiamo che il Consiglio Regionale piemontese, sensibilizzato su questa questione, possa esprimersi con un ordine del giorno relativo al disegno di legge governativo per l'attuazione delle direttive comunitarie in agricoltura, che, come è noto investono delle precise competenze regionali.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Che data ha la lettera?



BERTI Antonio

E' del 16 gennaio, e arrivata ieri o l'altro ieri.
Io faccio questa richiesta, anche se in certi termini e stata posta dal mio compagno Ferraris, perché ha carattere d'urgenza. La questione è molto complessa e delicata, investe obblighi internazionali dell'Italia come Stato, ma su competenze che la Costituzione affida alla Regione e mentre nella Commissione Affari costituzionali si era delineata la possibilità e l'opportunità di legiferare in materia in modo da salvaguardare gli interessi e le competenze della Regione, nella Commissione ristretta dell'agricoltura c'è un tentativo m atto di recuperare questi aspetti antiregionalisti Nella lettera sono segnalate alcune delle posizioni che devono essere assolutamente difese, quali per esempio riconoscere la competenza amministrativa propria e non delegata alle Regioni, come invece tenta di fare il progetto di legge governativo; respingere gli interventi sostitutivi nei confronti di ipotizzate inerzie legislative o amministrative nelle Regioni? Semmai, e i comunisti lo propongono, ci pu essere una supplenza sostitutiva nel momento in cui fossero scaduti i termini assegnati alle Regioni per pronunciarsi sulle questiona e dopo di avere sentito le Regioni sui motivi che le hanno indotte a non intervenire in quel settore. Ma guai a noi se una legge dello Stato legiferasse in materia e stabilisse che la Regione, per opportunità e al riguardo d'impegni internazionali, perde di fatto le sue competenze in materia d'agricoltura.
E infine, molto importante, core di no all'art. 24 di questa legge che pone limiti e divieti ai contenuti dell'attività legislativa delle Regioni in materia d'investimenti a favore di aziende agricole escluse dai benefici previsti dalle direttive comunitarie. Noi siamo già intervenuti qualche mese fa a questo proposito. Se la legge dello Stato limitasse questo nostro diritto, credo che dal punto di vista delle possibilità effettive la Regione avrebbe ben poche cose da dire ancora.
La nostra richiesta e quindi che il settore dell'agricoltura, che è stato così giustamente privilegiato nel dibattito, sia adesso difeso per quanto riguarda la competenza effettiva della Regione con un pronunciamento immediato che potrebbe anche essere assunto nella seduta conclusiva di giovedì, nei confronti della Commissione agricoltura del Parlamento , nella direzione che il Gruppo comunista parlamentare indica, o comunque nelle direzioni che il Consiglio Regionale vorrà stabilire.



PRESIDENTE

Non essendovi altri iscritti a parlare ci riconvocheremo giovedì alle ore 9 per la replica del Presidente della Giunta.
Vorrei soltanto annunciare al Consiglio che giovedì si terrà la seduta alle 9 ed alle 15 precise; quando si è stabilita la giornata di giovedì pur avendo indicato solo le ore 9 si è inteso stabilire che si sarebbe continuata la seduta tutta la giornata, non vorrei che vi fossero interpretazioni errate.
Se non vi sono opposizioni da parte del Consiglio o altre richieste, d questo annuncio comunicando che l'ordine del giorno e quello che è stato inviato e che prevede la replica del Presidente e dei componenti della Giunta, l'esame del progetto di legge n. 57, 58, 109 sui provvedimenti nel settore dell'artigianato, l'esame del disegno di legge n. 115 relativo a convalida del decreto del Presidente della Giunta Regionale 14 settembre '73 n. 1385.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,40)



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