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Dettaglio seduta n.193 del 17/01/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione delle vittime della sciagura ferroviaria del 15 gennaio 1974, a Rivalta Scrivia


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Non ci sono per ora comunicazioni della Presidenza.
Signori Consiglieri, un grave incidente sul luogo di lavoro ha colpito ancora una volta, nei giorni scorsi, la nostra Regione. Le quattro vittime e il ferito della sciagura ferroviaria accaduta martedì alla stazione di Rivalta Scrivia, al di là della meccanica dell'incidente e delle relative responsabilità, ha portato ancora una volta all'attenzione dell'opinione pubblica in modo dolorosamente drammatico il problema gravissimo, e tuttora irrisolto, della tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
Il Consiglio Regionale ha espresso ripetutamente il proprio impegno per l'adozione di misure atte a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro: basti ricordare l'esplicita norma inserita nello Statuto piemontese e la deliberazione 19 luglio '73 per la tutela sanitaria nei luoghi di lavoro. Si tratta di un impegno che in un momento come questo l'Assemblea, ne sono certo, intende ribadire con forza, di fronte al continuo stillicidio di vittime e di incidenti, accelerando e approfondendo gli studi di misure adeguate al riguardo e intervenendo opportunamente presso gli organi competenti.
Ho già provveduto ad inviare messaggi di condoglianze ai familiari delle vittime ed un augurio di pronta guarigione al lavoratore rimasto ferito nell'incidente di Rivalta Scrivia. Penso di dover rinnovare in questa sede, a nome di tutta l'Assemblea, la vivissima partecipazione del Consiglio Regionale del Piemonte al lutto delle vedove e degli otto figli dei lavoratori periti.
Ha chiesto la parola il Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, personalmente, e a nome della Giunta, mi associo al cordoglio espresso testè dal Presidente dell'Assemblea per questo lutto che colpisce ancora una volta il mondo del lavoro. La morte è sempre una realtà che induce a riflessioni profonde e che fa associare l'uomo ai superstiti di chi è scomparso. Ma quando si muore così tragicamente, nel momento in cui si è sul lavoro, per procurare a se stessi ed ai famigliari, a coloro che resteranno privati non soltanto dell'affetto della persona che scompare ma anche di colui che procura i mezzi di vita e di sussistenza, il dolore diventa anche più profondo, la solidarietà più franca e più aperta, il cordoglio espresso non soltanto con le labbra ma veramente e sentitamente con lo spirito, con la sofferta partecipazione.


Argomento: Prevenzione infortuni

Comunicazioni del Presidente della Giunta


PRESIDENTE

Il Presidente della Giunta Regionale intende ancora fare una comunicazione. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Desidero informare il Consiglio che, a conoscenza che ieri sera è stata presentata sull'argomento relativo all'incidente mortale sul lavoro del quale abbiamo testé ricordato le vittime un'interrogazione con carattere di urgenza, mi dispongo ad assumere le informazioni del caso per essere in grado di rispondere immediatamente agli interroganti e per dare conseguentemente ulteriori notizie all'intera assemblea, mentre assumo l'impegno di potenziare per quanto è possibile alla Giunta tutta l'attività diretta ad una maggiore, intensificata azione in tema di prevenzione sul lavoro, al fine di evitare il verificarsi di questi incidenti.



BERTI Antonio

Peccato che questo che lei ha detto non sia scritto, nel documento della Giunta, ove si parla di Sanità.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Nulla ci vieta di aggiungerlo: non vi mancano pagine bianche sulle quali si possa scrivere ancora.



BERTI Antonio

Ce ne sono parecchie in quel capitolo.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Le riempiremo; siamo qui per questo.



BERTI Antonio

Ne prendo atto.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Presentazione del programma organico della Giunta e relativa discussione (seguito)


PRESIDENTE

Sono iscritti a parlare i Consiglieri: Besate Piero, Giletta, Sanlorenzo, Nesi, Marchesotti, Bono.
Per intanto, darei la parola al Consigliere Besate, che l'ha chiesta.



BESATE Piero

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, intervengo nel dibattito naturalmente a nome del mio Gruppo, per contribuire, nello spirito e nella collocazione che già ieri il compagno e collega Minucci ha qui enunciato al suo svolgimento.
Affronterò essenzialmente quattro temi, evitando di ripetere le valutazioni generali sul documento presentato dalla Giunta, temi che sono in realtà quattro aspetti diversi di un unico problema, autonomi ma anche interdipendenti. Si tratta dei problemi dell'occupazione e formazione professionale, dell'Università, del diritto allo studio, e del distretto scolastico, argomento, questo, in merito al quale mi limiterò ad alcune considerazioni.
Non farò le osservazioni che sarebbero necessarie per il modo con il quale questi temi o aspetti di un unico problema si trovano inseriti qua e là nel programma. Dico soltanto che questo modo riflette i resti di un campo di battaglia, quello della Democrazia Cristiana, per la ripartizione degli Assessorati e delle competenze tra i vari Assessori, senza alcun rispetto all'omogeneità e alle affinità. Segno che il trapasso dal centriamo al centro-sinistra non è stato affatto indolore, per la Democrazia Cristiana.
Ma, al di là di questa dispersione, che fa sì che della formazione professionale si parli del capitolo dell'istruzione, e poi nel capitolo della Sanità, e ancora in altra parte dello stesso documento, vale in particolare il giudizio che nel complesso è stato dato dal compagno e collega Minucci. Il documento, cioè, offre la possibilità di un confronto concreto, più ravvicinato, sul problema, anche per quanto riguarda le scelte.
Per affrontare questi temi, farò qualche riferimento di fondo indispensabile.
Al 31 dicembre del 1971, cioè all'inizio del '72, la popolazione attiva, in Piemonte, era di 1.800.000 unità, quella in condizione professionale di 1.744.000, quella in cerca di prima occupazione di 57.000.
La popolazione attiva e scesa al 40,7%, cioè di ben 10 punti, negli ultimi venti anni. In questo quadro le donne rappresentano solo il 23,9%, gli uomini il 58,3%. La ripartizione per settori mostra che 213 sono gli addetti all'agricoltura, 966 all'industria, 564 al terziario, in condizione professionale, quindi escludendo quelli in cerca di prima occupazione.
Non affronterò la questione della dinamica, che pur sarebbe interessante, in rapporto alla quale si può dire che, grosso modo, la popolazione attiva ha subito quella riduzione elevata che ho detto, che in questa riduzione si nota la drammatica condizione del lavoratore agricolo la situazione più ancora indebolita dell'occupazione femminile, sia nell'industria che nell'agricoltura, la drammatica situazione dell'occupazione giovanile, il gonfiamento caotico del terziario, nel quale il nerbo non è sostenuto dai servizi sociali ma da altri settori nei quali prevalgono elementi patologici.
L'altra serie di dati riguarda la scuola.
Per la scuola materna si ha questa situazione (i dati che cito sono aggiornati fin quasi ad oggi): la scuola materna pubblica ha 719 sezioni per 20.506 alunni, mentre la scuola privata ha 1.624 sezioni, con 75.583 alunni, cosicché la scuola pubblica rappresenta il 20%, quella privata il 79%. In totale, quindi, nella scuola materna abbiamo 2.343 sezioni, con 96.149 alunni.
E' importante, ad esempio, rilevare questa curiosità: che sui 20.000 alunni della scuola pubblica ben 15.103 usufruiscono della mensa, mentre sui 75.583 della scuola materna privata solo 19.000 (sono di più in cifra assoluta, ma in cifra percentuale relativa sono una infima minoranza) si avvalgono di tale servizio. Ma di questo torneremo a parlare a proposito della scuola.
Per quanto riguarda la scuola dell'obbligo, le elementari, comprese le scuole private, hanno 250.000 alunni, la scuola media inferiore 170.000 alunni, per un totale di 420.000; le Medie superiori 125.000. E' da notare che tra le elementari e le medie superiori si ha questo scarto: 250.000 nelle elementari, 125.000 nelle Medie superiori, esattamente il 50%. Se ne deduce chiaramente che nella fascia dell'obbligo si ha una selezione veramente falcidiante.
Nell'Università, 45.000.
Quindi, nel complesso di tutto l'arco scolastico, dalla Scuola materna all'Università, in Piemonte, abbiamo 686.149 alunni; una cifra molto elevata, che pone problemi grossi, in rapporto direttamente con quello dell'occupazione. Non esaminerò, anche qui, la frequenza, le scelte nei vari ordini di scuole, nelle varie specializzazioni, poiché esula, questo dallo scopo del mio intervento. Ho voluto soltanto dare un quadro d'insieme fondamentale, che purtroppo, per limiti di tempo, deve prescindere dalle valutazioni territoriali, comprensoriali e congiunturali sia per quanto riguarda la scuola sia per quanto riguarda l'occupazione. Ma questo quadro deve essere anche in riferimento immanente, sempre compresente in ogni considerazione programmatoria, se è vero, come deve essere vero, che la piena occupazione è l'obiettivo primario assoluto di ogni azione di piano.
Bisogna assumere la piena occupazione come variabile indipendente abbandonare i concetti di privilegio del cosiddetto reddito, del cosiddetto pieno impiego, che è cosa ben diversa dalla piena occupazione, concetti la cui applicazione ha portato ai risultati che ben conosciamo. Certo, sono obiettivi strettamente collegati, ma è il secondo che va posto in funzione del primo, non viceversa. Del resto, la realtà ha già dato il suo giudizio.
Ecco allora il primo importante interrogativo. Posto come vincolante e prioritario il problema del Mezzogiorno, posto che ciò non deve segnare e significare l'arresto dello sviluppo (peraltro, ci sono le note situazioni di degrado di Mondovì, Casale, Vercelli, Alto Novarese, la montagna e poi per settore, l'agricoltura), per cui è giusto puntare allo sviluppo dell'agricoltura, allo sviluppo della piccola e media azienda, noi riteniamo si debba anche aggiungere che occorre un dato qualitativo fondamentale, che muti completamente l'elemento di scelta, di analisi, di giudizio per la nostra Regione: si tratta dell'occupazione femminile e dell'occupazione giovanile. Sorvolo sulle questioni che questo indirizzo necessariamente comporta in fatto di politica industriale e di programmazione. Così pure non accennerò ai servizi (altri lo faranno).
Entrambi questi temi, come anche quello dell'agricoltura, li do per scontati, in riferimento a quanto già detto da Minucci ed a quanto diranno altri miei compagni. Certo, l'approfondimento non è ancora sufficiente, ma si può renderlo soddisfacente se in possesso di termini adeguati ad impostare una politica del lavoro e della formazione professionale organica flessibile, anche per adeguarsi agli inevitabili scarti che la realtà imporrà e correggere gli inevitabili errori. Se mai, ciò che manca non tanto una certa conoscenza del dato, per quanto riguarda la formazione professionale, ma la riforma della scuola media superiore nell'ambito della quale venga rifondata la formazione, l'istruzione professionale.
Perché dico questo? Perché proprio mentre in un passo generale del documento letto dal Presidente della Giunta si dice che bisogna respingere la tentazione dei cinquecento giorni, per quanto riguarda l'istruzione professionale si prevede, per tutto programma, di sollecitare lo Stato per la legge-quadro. Cioè, se abbiamo ben compreso, tutto dovrebbe procedere come prima, dal punto di vista della funzione dell'istruzione professionale, quindi con disorganicità, sperperi, risultati scarsamente efficaci, scarsamente attendibili, senza nemmeno tentare di razionalizzare o di generalizzare le poche esperienze positive.
Noi respingiamo questa prospettiva. I dati che ho comunicato sulla scuola media superiore, i dati sull'occupazione agricola, sull'occupazione femminile, quelli sull'Università e lo stato dei servizi sociali e della scuola debbono per forza condurre ad una conclusione ribaltata di 180°.
Un esempio concreto e macroscopico di quanto e di che cosa possa verificarsi in mancanza di questo ribaltamento e di una vera politica da parte della Regione è fornito dalla Confindustria biellese. Un primo livello del modo in cui si intende intervenire e di che cosa succede nel campo della formazione professionale quando la Regione non fa quello che deve fare anche sul piano più elementare lo troviamo nell'intervento di formazione professionale in rapporto alla Lancia di Verrone. Per l'addestramento di 1580 allievi - perché in prima approssimazione verranno assunti circa 1600 addetti - abbiamo, intanto, che 1460 saranno maschi dai 18 ai 35 anni e 120 donne. (Mi sia consentito ricordare, a questo proposito, quanto si disse a suo tempo sulla funzione diversificante che avrebbe dovuto avere l'insediamento Lancia: su 1600, solo 120 donne!). Non solo, ma di questi 1580, per 1290 l'addestramento porta al conseguimento di una abilità, mansionale monovalente. Ecco qui tutto il fondamento della funzione, della concezione della formazione professionale. La Regione non interviene. E sì che a questa formazione si provvede con denaro pubblico: questo è uno degli interventi previsti dall'art. 7 del Decreto delegato n.
10, rimasti di competenza del centro ma attuati d'intesa con la Regione per cui i fondi sono erogati dalla Regione. E sapete quanto si spende per questo tipo di formazione professionale? Per i 1600 allievi della Lancia di Verrone, 2 miliardi e 100 milioni, denaro pubblico. Si tratta di dati ben precisi, che ho qui segnati, in un documento ufficiale dell'Unione Industriale di Biella, comprensorio di ristrutturazione dell'industria biellese, fornito attraverso l'ente della Confindustria.
E questo non è che un esempio, forse nemmeno il peggiore, di come la Regione ha permesso che si esplichi la funzione dell'istruzione professionale in Piemonte.
Il secondo livello, sempre riferito a questa iniziativa del Biellese, è di ben altra portata. Si prevede l'intervento del Fondo sociale europeo quindi danaro pubblico - e naturalmente di qualche privato, con il contributo di enti pubblici, per costruire una cosiddetta "città degli studi tessili", con un istituto superiore tessile, un istituto di riqualificazione e aggiornamento professionale, un lanificio scuola, un istituto di ricerche tecnologiche, un centro sperimentale, un campus con biblioteche ecc. ecc., una residenza studenti, una zona sportiva: totale 140.000 metri quadrati, di cui 27.300 coperti. Qui si va in previsione di strutture private che riguardano, intanto, la formazione professionale nell'ambito di scelte privatistiche finanziate con fondi pubblici, ma all'interno di questo, con l'istituzione di vere e proprie scuole private Ebbene, con quale finalità? Lo leggiamo a pag. 17 e 18 di questo documento: "Essa (la città degli studi) è nata da un nuovo concetto della preparazione industriale, da una idea diversa del rapporto tra uomo e lavoro mediata da una preparazione tecnico-professionale che dovrà essere accompagnata dall'adeguata conoscenza di tutti i problemi psicologici e sociali del nostro tempo, puntando da un lato sul valore infinito dell'individuo (qui rileviamo la classica contraddizione dialettica) e dall'altro sul concetto di solidarietà di ciascuno verso il bene comune ecc. ecc.. Con la città degli studi tessili l'obiettivo della messa in moto dei vari processi educativi e formativi non è solo quello di qualificare i quadri tessili..
ma anche soprattutto quello di mediare le situazioni tradizionali...".
Le finalità, i principi, sono evidentemente molto importanti. Ma ecco quali sono gli scopi: "Compito della scuola superiore sarà anche quello di chiarire le idee a coloro che vi accederanno per renderli consapevoli che nell'organizzazione delle imprese esistono diversi gradi manageriali in cui inserirsi a seconda delle caratteristiche e capacità individuali". Chiarire le idee occorre, dunque: si vede che quelli che vengono dalla scuola di massa attuale non hanno idee chiare. Con ogni probabilità, gli elementi formatisi nel nuovo clima, sia pure con tutte le deficienze della scuola magari parlano di collegialità, parlano di dipartimento, parlano in una certa direzione.
Ho voluto prendere questo esempio perché fra l'Istituto superiore tessile e l'addestramento Lancia, in concreto, al di là di ogni considerazione, abbiamo una valutazione obiettiva della politica, o non politica, della Regione e dei suoi effetti nel campo dell'istruzione professionale. Potremmo anche parlare della Fiat, della Olivetti anche se l'Olivetti ha fatto in un certo senso marcia indietro per quanto riguarda l'ITI, il suo ex ITI.
Sono esempi di iniziative private, di scuole vere e proprie di formazione professionale, finanziate con denaro pubblico, basate su indirizzi pedagogici e formativi che sono già clamorosamente falliti perché separano la tecnica dalla cultura e dalla formazione di base e vanificano il contenuto culturale e formativo della tecnica stessa, perch lo restringono entro filtri e separazioni tecnocratiche monocordi, che riproducono a livello più alto, e perciò anche più pericoloso, i difetti dell'addestramento monovalente. Perciò il conseguimento degli obiettivi proclamati, generali di formazione professionale è illusorio. Del resto dobbiamo domandarci perché mai negli Istituti tecnici industriali esistano 31 indirizzi, a quanto mi consta, ai quali se ne aggiungono altri degli Istituti professionali. Invece di andare su una base diversa, si va su un restringimento della base di formazione.
Il fenomeno macroscopico che ho citato è una risposta sbagliata, per ad una esigenza reale che esiste. Accanto a questi esempi si potrebbero portare quelli di centinaia di corsi polverizzati, anchilosati, senza una vera funzione formativa. E tutto ciò avviene, naturalmente, in assenza di una politica della Giunta (mi riferisco ovviamente alla Giunta passata quella oggi in carica non ha ancora nemmeno potuto esprimersi, ha considerato il problema piuttosto affrettatamente, posso dire, forse con espressione eufemistica).
Ecco perché ho parlato di ribaltamento. Mentre la riforma della Media superiore è rientrata nel silenzio, occorre qui sviluppare tutta l'azione e la nostra capacità organizzativa delle forze piemontesi per dare il nostro contributo a riprendere il discorso e portarlo a conclusione. Occorre che la nostra Regione - come hanno fatto già altre, e possibilmente meglio riordini con legge regionale, sulla base delle leggi vigenti, della Costituzione e dei principi generali delle leggi dello Stato tutta la materia, utilizzando tutti i margini consentiti per farla avanzare verso il ruolo che è richiesto dalla situazione occupazionale e dalla scuola per rapporto al piano di sviluppo.
Il nostro Gruppo sta per presentare una proposta di legge regionale fondata su questi principi, strettamente connessa e funzionale alla programmazione anche in rapporto al fondo sociale europeo e alle direttive comunitarie per l'agricoltura. Una legge operante per piani organici capace di incidere nel campo della formazione di base, del perfezionamento post-diploma e post-laurea, d'intesa con le Medie superiori e con l'Università, democraticamente gestita, assicurando il godimento del diritto allo studio e delegandone le funzioni ai Comuni opportunamente aggregati. Certo, un capitolo decisivo a questo proposito sarebbe quello del rapporto con l'organizzazione del lavoro, e quindi con le organizzazioni sociali dei lavoratori e i consigli di fabbrica; ma di questo si parlerà altra volta, in altra sede.
Con questo non abbiamo inteso insegnare alcunché ad alcuno, ma dalla critica abbiamo inteso passare alla proposta positiva, reale, e soprattutto realizzabile, per fare una politica qualificante, anche per la Regione, ma soprattutto per il tipo di sviluppo, qualificante per quei lavoratori, quel milione e 800 mila attivi, per quei 680 mila studenti che sono presenti nelle scuole piemontesi, cioè due milioni e mezzo di persone, che nel complesso rappresentano più della metà della popolazione del Piemonte.
Ecco allora come il discorso del piano della piena occupazione, della formazione professionale, della scuola si connette all'Università. Ritengo che non si debba prescindere dalla drammatica condizione dell'Università torinese, che è oggi anche l'Università piemontese. Dietro la retorica ufficiale autoritaria dei decenni passati -- degli ermellini, delle prolusioni, all'apertura degli anni accademici - è maturata una incredibile situazione per l'effetto combinato di gestioni miopi e autoritarie, e di un irresponsabile atteggiamento della Democrazia Cristiana locale e dei suoi Governi centrali, dei suoi ministri della Pubblica Istruzione, soprattutto di quelli piemontesi, fino al rinvio eterno della riforma.
Mentre diciamo che il problema del personale amministrativo dev'essere risolto, diciamo anche che la soluzione di questo problema non è la soluzione della questione dell'Università, né, tanto meno, dell'Università torinese e piemontese. Con la legge 766 del 30 novembre '73, che ha modificato e convertito il decreto legge n. 580, quello detto dei provvedimenti urgenti, mentre si conferma e si estende il divieto della legge cosiddetta Codignola, la 924, per il riconoscimento di nuove Università o Facoltà o corsi (si dovrebbe aprire un capitolo sui cosiddetti corsi abnormi di Vercelli, Medicina, e Novara, Medicina e Ingegneria), si stabilisce che il Governo presenterà al Parlamento uno o più disegni di legge per l'istituzione di nuove sedi universitarie, tenuto conto delle osservazioni del CIPE e "dei pareri delle Regioni interessate sulla localizzazione delle nuove sedi universitarie e sui corsi di laurea ritenuti particolarmente utili ai fini dello sviluppo regionale".
Quest'ultimo aspetto è particolarmente interessante: si tratta del riconoscimento di una funzione delle Regioni in materia universitaria. Noi i Gruppi parlamentari del nostro partito, abbiamo criticato fortemente i provvedimenti cosiddetti urgenti, perché rinviano la riforma. Ma abbiamo dato su questa parte, che si stacca da tutto il resto del contesto, una valutazione positiva, e questo sia in fatto di localizzazioni, cioè di assetto del territorio, sia di definizione dei corsi di laurea, cioè di funzione dell'Università, di rapporto Università-società dell'organizzazione che ne deriva, quindi dipartimentale o no, che tipo di dipartimento, di rapporto con la ricerca, che deve essere privilegiata. E questo fatto che muta notevolmente le responsabilità delle Regioni. Noi riteniamo che il parere della nostra Regione debba concretizzarsi non tanto in un giudizio su una proposta che ci venga dal centro ma nella proposta di un sistema universitario regionale le cui unità si integrino a pari livello culturale, scientifico, didattico, formativo, sistema aperto alla società e sulla società e aperto alle Università o sistemi universitari delle altre Regioni e alle culture e alla scienza mondiale.
Per le iniziative del Consiglio, il Piemonte su questo piano si trova forse meno impreparato che in altri settori. La relazione presentata dal collega Conti nel maggio scorso e le relative decisioni del Consiglio con l'Intercommissione costituiscono il fondamento concreto, valido ed operante dell'iniziativa. La Giunta le ha richiamate nel primo documento: non le ricordo, le considero presenti alle vostre considerazioni. In particolare ai fini specifici assume nell'immediato importanza strategica l'istituzione del Centro di calcolo automatico tra Università e Regione, così come era stato individuato dall'ordine del giorno votato appunto nel maggio 1973, e ciò sia ai fini delle funzioni programmatorie della Regione e della gestione del piano, ma anche delle gestioni amministrative della Regione e degli Enti piemontesi, sia ai fini di una riqualificazione culturale e professionale della formazione e della ricerca universitaria con reciproche influenze. Si pensi solo alla funzione di questo centro in rapporto agli ospedali. Dice l'Assessore, nella parte Sanità: "Si vedrà la computerizzazione degli ospedali". Cosa significa? Ho saputo che, ad esempio, nell'Assessorato ai trasporti esistono dei terminali già oggi operanti collegati con calcolatori...



RIVALTA Luigi

Sfortunatamente non ancora.



GANDOLFI Aldo, Assessore ai trasporti

C'è un progetto.



BESATE Piero

Credevo fossero già in funzione, quelle macchinette che ho intraveduto della Honeywell, se non sbaglio.
Se ne parla, quando si sentono le voci della Findata, delle Società costituite tra la Philips ed altre, per gli ospedali. Ieri il compagno Minucci, si è soffermato ampiamente sull'importanza strategica di queste industrie. Sul piano mondiale questo settore è già salito al secondo posto immediatamente dopo la produzione automobilistica. A parte il volume d'affari, quel che più conta è l'importanza strategica che questa industria sta assumendo.
Ora, non si può parlare così semplicemente in questo senso. Certo, è necessario computerizzare gli ospedali, ma soprattutto è necessario informatizzare la Sanità nel suo complesso. Le scelte non possono essere fatte settorialmente, senza collegamento alcuno con tutte le altre funzioni della Regione. Non si può andare all'informatizzazione della società piemontese alla maniera americana, sotto la spinta della IBM, della Honeywell, della Univac, le quali hanno interesse a piazzare non solo i loro prodotti ma i loro uomini. Perché va tenuto presente che insieme al prodotto c'e l'uomo, e queste società hanno il monopolio anche e soprattutto della formazione del personale. In Italia esistono tre corsi soltanto per laurea in informatica: uno a Torino, uno a Pisa e uno a Bari e necessitano di ben altri sviluppi, di ben altri aiuti. I nostri migliori elementi, così, scappano a Parigi, o in America. Una tale situazione ci rende subordinati, non tanto culturalmente nel senso tradizionale, ma politicamente, sul piano della politica delle scelte del modo di concepire la società e l'intervento dell'ente pubblico.
Ecco allora l'importanza di questo Centro, che consiste appunto anche nel disporre di una struttura indipendente, politicamente e culturalmente.
Certo, la Findata o altri Centri possono persino proporre a noi, agli enti locali, tariffe da dumping interno. E' una acerrima battaglia che si combatte oggi in questo campo su tutto il globo terraqueo: dalla computerizzazione dipende la missilistica, la conquista dello spazio l'istruzione programmata.
Siamo ad un momento nodale della strategia, e non si può ragionare soltanto in termini, badate bene, di tariffe economiche. Se è vero che l'America ha fatto la guerra di secessione per poter sviluppare la propria industria, se è vero che misure economiche di difesa e di protezione vengono assunte quando si vuole sviluppare una propria autonomia in settori strategici, non si tratta naturalmente di condurre una guerra di secessione, ma noi temiamo che non si afferri in tutta la sua portata l'importanza strategica di avere un Centro di calcolo per il servizio pubblico, indipendente politicamente e culturalmente, in modo che si riversino nell'Università i problemi reali della Regione, della società riqualificandone culturalmente tutto il contenuto, e si riversino nella Regione, negli enti locali, negli enti pubblici la cultura, lo sviluppo scientifico e le determinazioni, le acquisizioni autonome degli scienziati.
L'Assessore Conti, che in quanto Consigliere - lo Statuto dice infatti che gli Assessori membri delle -Commissioni sono Consiglieri - è relatore dell'Intercommissione, sta lavorando attorno alla relazione da presentare all'Intercommissione prima, al Consiglio poi, dopo un incalzante lavoro condotto dalla Commissione insieme con l'IRES e l'Università. Oggi, per già urgono decisioni per il Centro transitorio dell' Università, che è stato potenziato. E' ancora quello dell'Università, non ancora quello Università-Regione, naturalmente, perché sarà il Consiglio a dovere decidere in merito, non una Commissione e nemmeno la Giunta.
Non mi pronuncio sulle cifre, perché non le conosco ufficialmente, ma considerata l'importanza strategica del futuro sistema universitario piemontese per le funzioni programmatorie e gestionali della Regione e degli Enti locali, per l'interdipendenza degli Enti pubblici nel campo della programmazione e delle scelte, noi siamo dell'opinione che un intervento della Regione, magari con contropartite, sia necessario, senza misurare se la contropartita, per la ragione che ho detto, sia totalmente coperta.
D'altro canto, ad esempio, il bollettino di una Regione limitrofa, la Lombardia - non perché dobbiamo andare ad imparare dagli altri quello che fanno, ma perché è bene tener conto di quel che viene fatto -, informa che quella Regione ha erogato 200 milioni per sedi universitarie senza contropartita specifica. Noi ci rendiamo ben conto che resteranno problemi complessi da risolvere, ma gli enti, gli amministratori esistono appunto per tentare di risolverli, e di risolverli bene.
Un altro tema immediato è quello delle due Facoltà di Agraria e Veterinaria. Il Presidente ha annunciato qui ufficialmente che l'Università è favorevole alla localizzazione a Stupinigi. Spetterà al collega Conti illustrare nella sua relazione come e perché si sia pervenuti a quell'orientamento, che comunque deve e dovrà essere sottoposto al vaglio del Consiglio e ricevere da questo approvazione. Sarebbe però opportuno intanto, ottenere l'assenso della proprietà di Stupinigi, cioè dell'Ordine Mauriziano. Per riequilibrare finanziariamente l'Ordine, noi siamo dell'avviso che, piuttosto che un esborso di denaro, sia utile alle funzioni e agli scopi del Mauriziano - ma anche della Regione - un accordo con la Regione nell'ambito del Piano sanitario. Tanto più che le proprietà boschive non sono redditizie per quelle essenze di bosco che pure hanno un grande valore di patrimonio verde naturale, E' pure scarsa la risorsa finanziaria rappresentata dagli affitti agrari, anche se si tratta comunque di un peso non giustificato per gli affittuari (a proposito di questi ultimi, occorre cominciare a muoversi per cercare per loro una sistemazione: non si può, non si deve metterli sulla strada). Inoltre Stupinigi dovrebbe essere considerato nel suo complesso: la palazzina è un patrimonio artistico culturale che viene eroso da elementi atmosferici e dal processo di invecchiamento, viene eroso dalla Fiat (mi riferisco al Centro direzionale di Candiolo, che si è insediato ritagliando nel parco di Stupinigi); intorno avanzano i capannoni, mentre sulle strade attorno alla costruzione i grossi veicoli provocano vibrazioni che in alcuni anni possono compromettere irreparabilmente l'edificio.
Infine, su tutto, anche se già attuato, a proposito delle vicende dell'Università, dev'essere ribadito il metodo della partecipazione dell'informazione, del confronto.
Quanto all'assistenza scolastica, desidero fare alcune osservazioni che ritengo di rilevante importanza.
Non si capisce perché la sistemazione sia prevista in due tempi. Non in questo senso ci si era impegnati. Si può, e si deve, fare subito la legge di delega. Non mi risulta ci siano difficoltà, salvo che ne avanziate voi di natura politica, nel qual caso dovreste farle presenti.
Ci sono, intanto, due progetti, che mi sono fatto inviare: Legge regionale dell'Umbria, del 25 maggio '73: "Norme per l'assistenza agli alunni frequentanti le scuole materne statali e le scuole dell'obbligo della Regione" Legge regionale 22 ottobre 1973: "Norme di delega - quindi approvate dal Governo - ai Comuni delle funzioni amministrative in materia di assistenza scolastica nella scuola dell'obbligo e negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore e artistica" Legge 13 dicembre '73: "Delega ai Comuni delle funzioni in materia di assistenza all'infanzia in età prescolare".
C'è tutto il quadro. Si tratta di leggi tutte approvate.
In Piemonte non si è discusso, almeno in sede di Consiglio specificamente sui temi della delega, salvo parlarne come elemento politico. Per carità di patria potremmo dire che ci siamo impegnati su altri argomenti, anche se non è proprio esatto. Ci sono però, comunque, gli esempi di altre Regioni che possono far testo. Li esamini l'Assessore, li esamini la Giunta. Non c'è proprio alcuna ragione perché venga rinviata la legge di delega con il pretesto di dire: risolviamo la questione dei libri.
A questo punto si ritorna al buono-libro, si ritorna al concetto dell'assistenza. Anche la questione dei libri non si può risolvere con una legge a sé, a questo punto: o si risolve nel senso del buono-libro, e quindi della suddivisione, o si risolve con la delega ai Comuni nell'ambito di una legge di delega. Non c'è altra via. Ma questo si pu fare subito, entro gennaio. La Giunta si metta al lavoro, prendendo per base appunto lo studio delle leggi varate da altre Regioni, e presenti una propria legge. La Commissione darà il suo parere, a meno che non la blocchi in Commissione la maggioranza, accollandosi però tutta la responsabilità di fronte all'intero Piemonte, di fronte al Consiglio, di fronte al fatto di continuare a gestire le funzioni in questo modo, in presa diretta, senza alcuna regolamentazione.
E giungo all'ultimo tema che intendo affrontare: quello del distretto.
Nel documento si fa più volte riferimento al distretto scolastico, si parla addirittura di conferimento di delega al distretto. Non so dove ci si sia potuti ispirare per pensare di conferire le deleghe delle funzioni amministrative al distretto quando la legge 477 dice: "Ai distretti potranno essere affidati i delegati dalle Regioni compiti (non funzioni) di assistenza"; e i compiti sono su tutt'altro piano di quello dell'esercizio delle funzioni amministrative. Non si tratta solo di concetti, ma di differenze sostanziali. Questa facoltà, fra l'altro, è altra cosa, non si tratta di delega. Come mai si è fatta una tale confusione? Oltre tutto, il distretto scolastico, per avere la delega all'esercizio delle funzioni dovrebbe essere parificato ad un Ente locale, il che non è. E dovrebbe esserci un consiglio del distretto scolastico, che sarebbe una specie di consiglio di un consorzio tra comuni. Qualcosa di impensabile, insomma.
Ma, a parte l'aspetto giuridico, veramente inconsueto non comprendo come politicamente possa nascere una simile idea, se si bada al giudizio che aveva dato sul distretto la III^ Commissione. Leggetevi i documenti sono stati pubblicati anche in un volume curato dal Consiglio. Sul distretto scolastico, a pag. 8, vi si dice: "L'unico distretto possibile è quello che fa capo al comprensorio quale unità di programmazione regionale di base".
Non aggiungo altro per non dilungarmi eccessivamente. Dico solo che ho l'impressione che il tema del comprensorio scolastico sia stato letto prevalentemente in chiave di giustificazione del rinvio inaccettabile della legge di delega, nell'ambito della quale soltanto si risolve anche la questione del libro, e non a sé.
Il tema distretto è stato un'occasione perduta nel documento della Giunta. Intanto, quello scolastico è il solo comprensorio previsto da una legge italiana. E' un comprensorio settoriale, certo, ma press'a poco come il piano zonale agricolo del nostro Statuto, con il più che è previsto dalla legge statale, con il meno che sarà istituito dal Ministro, sia pure su proposta delle Regioni e sentiti gli enti locali.
Scadenza il maggio '74. Vale quanto ho detto circa l'elaborazione della proposta del progetto universitario. Anche qui bisogna mettersi in movimento con il massimo di partecipazione. Finora la Giunta passata non ha nemmeno considerato il problema, che è di grosso e interessante impegno programmatico. Altre Regioni da tempo vi si cimentano, attuando la più larga partecipazione come un momento di rivitalizzazione della scuola; di un reale rapporto scuola-società per conseguire una funzione programmatoria in questo campo. Farò un esempio solo, per puntualizzare e non rimanere nel generico. Si è discussa qui la questione dell'ITIS di Rivoli, in rapporto alla quale ho presentato anche una interrogazione. l'ITIS di Rivoli l'Istituto professionale di Rivoli ed il Liceo scientifico di Rivoli sono stati sistemati nella sede dell'ex Seminario. La Provincia di Torino invece di procedere alla costruzione di un complesso scolastico organico che servisse tutta la zona (perché si tratta di scuole secondarie superiori, e non quindi locali; difatti frequentano l'ITIS studenti provenienti da zone comprese in un raggio assai esteso, Condove, Torino Moncalieri), ha preferito affittare l'ex Seminario di Rivoli, pagando un affitto, mi dicono, di 8.000 lire il metro quadrato (pensate con un simile canone di affitto quante annualità, e di che ammontare, si sarebbero potute pagare per un mutuo). Data la distanza, si deve provvedere anche ai trasporti, e si dovrebbe provvedere alla mensa. Ma quest'anno la Provincia non aveva predisposto in proposito, e ciò ha determinato scioperi manifestazioni di protesta da parte dei genitori, degli studenti, dei docenti, di tutta la popolazione, degli Enti locali, compresa la Regione almeno chi di noi era presente, compreso anche l'Assessore alla Pubblica Istruzione (gliene do volentieri atto, anche se non lo vedo ora in aula).
Pare ora che la Provincia abbia in animo di acquistare l'ex Seminario sempre per adibirlo a scuola. Ma programmatoriamente - al di là dell'affare in sé, che non mi interessa - si può pensare di andare ad istituire una scuola secondaria superiore in quella località, concesso anche che è una località amena, dove l'aria è salubre. Assolutamente no: bisogna procedere in modo diverso. E' vero che nella riunione che si è tenuta con la partecipazione dei genitori, docenti, studenti, rappresentanti dei Comuni della zona ed anche della Regione, l'Assessore provinciale compagno Bozzello ha dichiarato che la decisione, se verrà presa, lo sarà senza il suo assenso, perché intende votare contro.
Si deve o no, dunque, affrontare il tema del distretto scolastico in Piemonte in modo organico? Perché si tratta della prima programmazione reale e concreta, si voglia o no, che si farà. O la facciamo noi o la farà il Ministro della Pubblica Istruzione, Malfatti, e il Piemonte si sarà lasciata sfuggire una occasione. Non si dica che dev'essere un Gruppo, o una Commissione, a prendere l'iniziativa: siamo sul classico terreno delle funzioni proprie della Giunta. Certo, in rapporto al Consiglio, alle Commissioni e alla partecipazione. Ma di questo non si è neanche parlato salvo che per dare una giustificazione ad una richiesta di rinvio della legge di delega ai Comuni sull'assistenza scolastica.
Ecco le nostre critiche, le nostre valutazioni, le nostre proposte in relazione ai quattro temi indipendenti che ho voluto trattare.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Giletta. Ne ha facoltà.



GILETTA Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, prendo la parola per esporre brevemente il mio pensiero sul programma elaborato dalla Giunta Regionale e presentato dal Presidente avv. Oberto, programma che approvo, denso di previsioni e di interventi, che mi auguro possa essere realizzato, almeno nelle sue parti essenziali e fondamentali, nell'ormai breve tempo che ci separa dal termine di questa legislatura.
Vorrei, comunque, proporre a questa onorevole Giunta un programma di interventi massicci ed a carattere assolutamente prioritario nell'interesse dell'agricoltura, anche se, in parte, essi sono già previsti nel programma presentatoci.
Si tratta di interventi straordinari e decisivi a favore della zootecnia, che sta attraversando un momento difficilissimo, sia con la concessione di contributi e mutui agevolati che con la concessione di premi a favore degli allevatori; di mezzi idonei per garantire sensibili miglioramenti fondiari ed alle infrastrutture agrarie; di interventi di tipo sociale interessanti le case di abitazione per i coltivatori diretti la costruzione e sistemazione di strade, la costruzione di acquedotti e simili. Prendo atto con compiacimento di tali iniziative, che dimostrano tutto l'interessamento della Regione verso i problemi del mondo agricolo, e mi auguro che tutte le procedure siano sensibilmente snellite e facilitate nel tempo e rese più accessibili alla generalità dei coltivatori diretti.
In modo speciale, mi auguro che tutte le facilitazioni previste non vengano più concesse tenendo soltanto conto della consistenza patrimoniale dell'azienda, bensì in base alla serietà, alla capacità lavorativa ed alla buona volontà di quei coltivatori che ne hanno effettivamente bisogno, e che a tale scopo siano considerati imprenditori agricoli e coltivatori diretti tutti coloro che, siano essi proprietari, affittuari, i coloni e mezzadri, dimostrino di dedicare direttamente e personalmente alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento del bestiame almeno il 70% del fabbisogno complessivo di mano d'opera e di trarre da detta attività almeno il 70% del proprio reddito complessivo.
Per quanto attiene agli interventi di tipo sociale, io sono convinto che, al pari di tutte le altre categorie di lavoratori, anche chi presta la propria attività nelle campagne ed abita in case sparse sente inscindibile dalla dignità umana il bisogno di una casa confortevole, dotata di servizi adeguati e moderni e fornita di una idonea strada di accesso. Altra necessità nel campo agricolo e dell'allevamento del bestiame è la concessione di adeguati contributi per l'alpeggio del bestiame bovino durante la stagione estiva, dando la possibilità agli allevatori di aumentare il loro carico di bestiame con il reperimento di maggiori quantità di foraggi, portando, contemporaneamente, un notevole contributo in denaro ai montanari che vorranno cedere in affitto i loro, ottimi pascoli abbandonati.
In provincia di Cuneo arrivano giornalmente dalla Francia per i nostri allevamenti bovini numerosi autotreni di fieno e foraggio, che vengono ceduti a prezzo elevato mentre noi permettiamo che sulle nostre colline e sulle nostre montagne vada distrutto un patrimonio foraggero di erba verde particolarmente adatta al foraggiamento del bestiame.
All'Assessorato ai Trasporti pongo questa domanda: non è possibile mettere fine alla grave lacuna rappresentata dal trasporto del bestiame bovino acquistato in Francia a mezzo di autotreni? Attualmente, infatti, i nostri allevatori che vanno in Francia ad acquistare il bestiame da destinarsi all'ingrasso, oltre Barcellonette ed in Provenza, non possono transitare per il Colle della Maddalena, che rappresenterebbe la più comoda e breve strada di comunicazione, ma sono costretti a transitare per il ponte San Luigi, e Ventimiglia, con un chilometraggio notevolmente più lungo e conseguente maggiore spesa di trasporto.
Servizi sociali. A questo riguardo devo rivolgere un vivo ringraziamento alla precedente Giunta ed all'Assessore dott. Vietti per quanto già realizzato, e devo rivolgere un plauso alla nuova Giunta per l'impegno assunto, inteso ad una rapida soluzione di alcuni servizi sociali. Personalmente, mi permetto di proporre l'adozione, con criterio di assoluta priorità, della proposta di legge regionale n. 76, presentata in data 8 marzo 1973 dal sottoscritto e dai Consiglieri Menozzi e Bertorello riguardante la corresponsione di una indennità giornaliera a favore dei coltivatori diretti e mezzadri del Piemonte nel caso di un loro ricovero ospedaliero derivante da infortunio sul lavoro.
Vi è da rilevare, inoltre, a questo proposito un'altra grave lacuna che presenta il nostro ordinamento legislativo. Si tratta dell'esclusione dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, dal godimento dell'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta conseguente appunto ad infortunio sul lavoro.
La concessione di tale indennità, regolata dall'art. 213 del Testo unico approvato con Decreto presidenziale 30/6/'65, è prevista a favore di tutti i lavoratori dipendenti del settore artigiano - salariati, braccianti ecc. -, con esclusione dei coltivatori diretti e dei loro familiari. Dal 1917 al 1965 la legge sull'assicurazione per gli infortuni sul lavoro in agricoltura venne modificata più volte, ma i coltivatori diretti ed i mezzadri continuarono a rimanere esclusi dal diritto all'indennità per inabilità temporanea, salvo i casi particolari previsti dall' art. 209 del Testo unico succitato. Infatti, tale articolo prevede l'erogazione di un'indennità giornaliera per inabilità temporanea a favore dei lavoratori autonomi dell'agricoltura soltanto nel caso che l'infortunio si sia verificato durante l'uso di macchine agricole azionate da motori, mentre nessuna indennità viene corrisposta a coloro che subiscono infortuni durante l'espletamento di ogni altro tipo di lavoro agricolo svolto senza uso di macchine motorizzate, quali la mungitura a mano, la raccolta dei foraggi, il taglio della legna eccetera.
All'interno della stessa categoria dei coltivatori diretti si registrano, pertanto, due pesi e due misure. Infatti, mentre i più abbienti, i quali hanno la possibilità di provvedere alle proprie colture utilizzando trattori e macchine agricole varie, possono usufruire, in caso di infortunio, della indennità per inabilità temporanea, i piccoli coltivatori della collina, della montagna e di gran parte della nostra sterminata Langa non possono godere di tale indennità perché costretti, per lo più, a provvedere manualmente ai singoli lavori. Mi risulta che nella nostra Regione il numero degli infortuni sul lavoro denunciati annualmente si aggiri su circa 17.000 casi. Di questi 17.000 addetti all'agricoltura colpiti da infortunio sul lavoro soltanto il 30% (salariati, braccianti e coltivatori infortunati durante l'uso di macchine agricole motorizzate) hanno potuto beneficiare dell'indennità giornaliera per inabilità temporanea; il 70% degli infortunati, cioè circa 12.000 persone, sono rimaste prive di aiuto nei periodi di assenza dal lavoro, e cioè proprio quando la necessità di un intervento assistenziale si è fatta maggiormente sentire.
Mi auguro, quindi, che da parte dell'Assessore ai Servizi sociali sia portata avanti concretamente una proposta di legge che serva ad ovviare a tale inconveniente e ad eliminare tale ingiusta disparità di trattamento.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Sanlorenzo, ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, abbiamo avuto modo, in questi giorni, di leggere con molta attenzione le 80 cartelle circa della relazione del Presidente, con tutta l'attenzione con la quale certamente lei signor Presidente, avrà letto le otto pagine del documento che il Gruppo comunista ha presentato. Ottanta cartelle sono tante, più di tutte quelle presentate da tutte le Giunte (e sono state numerose) che abbiamo avuto alla Regione Piemonte. E' già un buon sintomo, anche se non sempre la quantità è qualità, ma può esserne la premessa. Gli Assessori non parlano ancora con la loro voce, ma hanno cominciato a parlare con i loro programmi settoriali. E' già un dato positivo, forse parleranno persino in questo dibattito conclusivo sul programma. E sarebbe un fatto quasi rivoluzionario. Insomma, c'è del buono; c'é anche del nuovo, ed è quello che noi volevamo, un terreno nuovo per poterci confrontare.
Prima di tutto, questo volevamo quando abbiamo presentato quel documento, per realizzare un momento di confronto, di rapporto ravvicinato sulle cose. Non ci poniamo come governo ombra anche quando ci presentiamo con un programma di governo e non vogliamo demandare a quando si sarà creata una nuova maggioranza, la soluzione del problema di cui mi occuper e cioè del come bisognerebbe governare in modo nuovo la Regione Piemonte nei prossimi diciotto mesi, se vogliamo davvero concludere questa legislatura in modo coerente con la fase costituente delle Regioni e con l'impegno che ci viene imposto dalla gravità generale della situazione di cui, in questi due giorni, emblematicamente, abbiamo potuto riscontrare tutti i dati e tutte le pericolosità: le sospensioni alla Lancia l'interruzione delle trattative per la Fiat, la questione della Montedison e di Mergozzo, i contadini venuti ieri alla Regione.
Il riferimento alla prima fase costituente che ho fatto ha un significato politico preciso e duplice. Da un lato è polemico con il recente passato della gestione del potere regionale in Piemonte e dall'altro tende a dire con molta chiarezza che non si tratta solo di ripetere l'esperienza del centro sinistra nella nostra Regione, ma di operare una svolta e si tratta di operarla in tempi brevissimi, non c'è tempo da perdere. La questione politica che si pone a tutti, per la gravità della situazione economica e per la pericolosità di certi appuntamenti politici come il referendum, è di evitare che si vada nei prossimi mesi ad un aggravamento di questa situazione con decine di migliaia di disoccupati con un aumento del tasso di inflazione, con uno sviluppo inevitabile e generalizzato delle spinte salariali e che nello stesso tempo rimanga ancora in piedi la pericolosità delle trame nere non distrutte e l'appuntamento lacerante del referendum. Se si abbinassero questi elementi se venissero a congiungersi nel mese di aprile o di maggio, ecco ciò che deve preoccuparci sin d'ora e deve imporre alla Regione Piemonte una svolta nelle prossime settimane, nei prossimi mesi.
Questo è il senso della proposta avanzata ieri dal nostro compagno Minucci, di un piano (si usi la parola emergenza, si usi quella che si vuole) che sia tale da essere incisivo, concreto, da immediatamente portare la Regione Piemonte ad un salto di qualità.
Tutto questo deve avviarsi su una linea di riforma di cui vi sono accenni, impegni su un programma che viene annunciato, per un piano che viene promesso. Bisogna impedire che si programmi senza progetti e anche che ci siano progetti senza programmi, bisogna che ci sia questo legame molto solido e molto netto se vogliamo fare un salto di qualità. Ci sono le premesse, e vi sono degli impegni, occorre una linea che si muova in questa direzione.
Io credo che una certa consapevolezza di questa necessità vi sia nella relazione del Presidente Oberto e vi sia soprattutto nell'impegno e nello slancio con cui ha cominciato ad operare. Gliene diamo atto, sarebbe stato forse troppo chiedergli di essere più esplicito, più netto, più critico rispetto al recente passato, ma certo il Presidente e la nuova maggioranza non si capiranno, se invece, questa impietosità critica l'avremo noi per convinzione e per coerenza e anche perché francamente, signor Presidente malgrado le numerose e positive novità che si possono dedurre e anche leggere nella sua ampia relazione, non siamo ancora del tutto sicuri che ci stiamo avviando verso una svolta vera nel modo di governare che, come lei sa, è così tanta parte oggi della sostanza del contenuto dell'opera di governo, qui e a Roma.
In effetti, se si abbina, la lettura del documento sul quale la Giunta ha chiesto la fiducia, alla relazione del Presidente Oberto, si possono trovare tracce e impegni di operare in modo nuovo là dove si dice di volere la massima collaborazione fra l'attività della Giunta e quella del Consiglio, là dove si assicura che le competenze del Consiglio saranno sempre rispettate senza confusioni e prevaricazioni. Ne prendiamo atto, ma questo vuol dire in concreto molte cose e molte cose nuove.
Prima di tutto vorrei rammentare, a me stesso e anche a voi signori Consiglieri, che, in questa nostra prima esperienza triennale abbiamo avuto sovente a scontrarci con il centralismo dei governi e della burocrazia; noi abbiamo avuto in Piemonte il triste primato di vedere che, nessuno poteva dire sino a che punto era centralistica la volontà di governi nazionali sino a quando non leggeva alcune delle leggi della nostra Regione. Queste riuscivano persino a farsi rimproverare da quegli autentici campioni del regionalismo che sono gli ambienti della presidenza del Consiglio, i direttori generali ed i Consiglieri giuridici dei governi Andreotti e anche di quelli che c'erano prima di Andreotti. Era difficile stabilire chi era di più centralista. E vi rimando, perché non voglio rubare troppo tempo, a un saggio recentemente pubblicato (perché siamo già divenuti oggetto di saggi giuridici) su quello che è successo alla Regione Piemonte negli ultimi tre anni. Leggetelo, è una rivista di documentazione di giurisprudenza che si occupa di noi, di tutta la nostra esperienza, in modo molto rigoroso. Non lo leggo qui, non voglio infierire sui caduti, ma leggetelo, sarà una lettura educativa.
Il Consigliere Marchesotti l'altro giorno si occupava delle tre leggi che già sottolineano la questione centralistica, quella della gestione degli asili nido, quella sui contributi per il rinnovo del materiale rotabile e quella sugli oneri di esercizio. Se n'è parlato e non voglio riprendere la discussione. Il senso però era che, in tutti tre i casi l'esecutivo tendeva ad attribuirsi compiti che non gli spettavano. Non mi interessa sapere se era una cattiva intenzione non compresa, se è stato un errore il senso era quello. Ed è stato forse solo quello? Abbiamo avuto solo quegli episodi lì per dire che la Regione ha avuto questa tendenza? No, ne abbiamo avuti molti, io ve ne risparmio tanti, fateveli venire in mente. Non voglio tediarvi con queste cose, voglio soltanto ricordare che quel dibattito dal punto di vista teorico ha origini lontane, nasce dal dibattito sullo statuto. Ci fu uno scontro politico anche allora, ma noi non eravamo assemblearisti, mentre qualcuno diceva di non essere presidenziale. Ma poi i fatti parlarono chiaro e ora non lo diciamo più solo noi, la questione è diventata già materia di trattazione retrospettiva, non da parte dei soli comunisti, da parte dei giuristi italiani. Abbiamo già vissuto un'esperienza, abbiamo alle spalle qualcosa su cui riflettere.
La sostanza politica della questione (l'unica cosa che davvero in questo momento mi interessa perché guardiamo al futuro) qual'é? Qual'è la sostanza che spinse ad essere centralisti, a lavorare in questa maniera come si è lavorato, mentre è indispensabile ora fare un salto di qualità e cambiare indirizzo? La sostanza politica è questa; c'é chi pensa di poter governare con le maggioranze, e con un corretto rapporto con le minoranze mentre la sostanza è un'altra e cioè che si può governare in modo nuovo se si realizzano le condizioni per far partecipare alla vita del governo tutti coloro che devono partecipare. Gli ostacoli che abbiamo di fronte sono ben superiori delle diversità che ci possono essere tra maggioranza e opposizione; qui ci scontriamo contro difficoltà enormi per cui ci vorrebbe persino l'unità totale del Consiglio Regionale, dopo di che, e lo dimostrerò dopo, potrebbe anche darsi che tutta questa unità non riesca ancora a fare un solo passo in avanti rispetto alla dimensione degli agenti internazionali e degli agenti interni che bloccano lo sviluppo del nostro Paese. Ecco la sostanza politica della questione, e non certo la disputa giuridica sulle competenze del Consiglio e della Giunta. Occorre legiferare, in questi diciotto mesi, rispettando lo Statuto e la Costituzione, dato che non è ancora detto che quando anche noi facessimo questa svolta nella volontà della Regione, la stessa coincida con l'effettiva svolta del Governo centrale. Certo qualcosa di nuovo c'è anche lì. Le Regioni sono uscite dalla battaglia per il bilancio dello Stato del '74 con un successo, sono stati strappati 400 miliardi, abbiamo contribuito anche noi a dare questa battaglia. Ora ci sarà quella da dare per il '75.
Il bilancio del '75 deve essere fatto in modo radicalmente diverso, ma non abbiamo la certezza che sia cambiato molto dal punto di vista dell'orientamento regionalista del Governo centrale. Solo qualcosa è cambiato, ma non molto e deve ancora essere fatta molta strada in questa direzione.
Mi permetta signor Presidente, di toccare a questo proposito, un punto debole nell'impostazione della sua relazione.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Il primo ad essere convinto che ci sono dei punti deboli sono io. C'era uno che aveva sempre ragione, ma non vorrei fare quella fine!



SANLORENZO Dino

Ma le dico di più signor Presidente, forse non è neanche un punto debole. Alcuni di noi hanno ricevuto, nella prima stesura del documento una pagina n. 6 bianca, magari era scritto lì quello che io adesso devo dirle.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Ma allora avete veramente una centrale che funziona anche all'Ufficio di Presidenza!



SANLORENZO Dino

Sì sì, funziona!



RIVALTA Luigi

Basta puntare le basi.



SANLORENZO Dino

Intendo riferirmi all'esercizio delle funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni. Come stanno le cose al riguardo nella nostra Regione, lei lo sa certo, e lo sa perché è un attento lettore delle vicende delle Regioni italiane, ma come stiamo noi nel rapporto con gli altri? Bene, Signor Presidente, su 15 Regioni a Statuto ordinario, 13 hanno approvato leggi per l'esercizio delle funzioni trasferite, in sei di queste si è risolto il problema con un'unica legge, mentre nelle altre sette si è provveduto con leggi specifiche, settore per settore. In due sole Regioni non si è proceduto in alcun modo e sono la Campania ed il Piemonte.
Signor Presidente, questo è un modo sbagliato di intendere l'unità fra Nord e Sud. Ci sono delle unità (non voglio rubare la battuta al mio Capogruppo) fra Piemonte e Campania; Gava, Calleri, fanno parte tutti e due della corrente dorotea, ma non è questo il tipo di unità necessaria fra Nord e Sud. Credo che neanche lei volesse riferirsi a questo. Ma allora questa Giunta, e Lei signor Presidente, che intenzioni ha a questo proposito? Facciamo una legge generale? Ne facciamo tante per ogni settore? Quando le facciamo? Quando si parla di tempi io chiedo quando le facciamo dato che (e lo dirò dopo) ho letto 28 proposte di legge della Giunta, molto interessanti, ma questa non c'é. Io dico che bisogna farla subito se non cambia niente del sistema di gestione dei pochi o tanti soldi che abbiamo nella Regione Piemonte e non cambia niente nella definizione concreta del rapporto fra Giunta e Consiglio, perché queste leggi servono appunto a definire ciò che è di competenza del Consiglio e ciò che è di competenza della Giunta nella gestione delle funzioni trasferite.
Invece che cosa ho trovato leggendo i bollettini? Ho trovato che l' "opposizione democratica della D.C." in Toscana, criticando la Giunta Regionale ed il Consiglio, dice testualmente così: "Dopo un iter faticoso ed interessante durato oltre un anno, dopo numerosi incontri con i Comuni e la raccolta delle richieste delle priorità, la Giunta Regionale ha proposto in ottobre al Consiglio Regionale la delibera della ripartizione ed assegnazione dei fondi previsti nel bilancio '72 e nel bilancio '73 per lavori pubblici e opere di pubblica utilità".



RIVALTA Luigi

E' la discussione dell'altro giorno.



SANLORENZO Dino

Eh già, io non sono intervenuto ma questo l'avevo già letto e non ho voluto interrompere il Consigliere Calleri.
Che cosa si deduce da questa lettura? Che vi sono state consultazioni che sono durate un anno; che sono state faticose, ma interessanti (dice la D.C.) e che tale piano, dopo queste consultazioni, è stato approvato dal Consiglio. Poi il "Bollettino" dice che non è d'accordo su come vengono ripartiti questi soldi, che bisognerebbe darne di più a certe maggioranze ecc. Ma questa è un'altra faccenda. Tra l'altro, nella replica del Consiglio, sono state accettate alcune proposte della D.C., altre no e si è tentato di realizzare quel problema a cui accennavo in principio, quello della partecipazione, intanto, delle forze che ci sono nel Consiglio e anche fuori del Consiglio, nella Regione.
Voi capite che è anche troppo facile dire che qui da noi non solo non si consulta per un anno quando si tratta di elargire fondi, ma è persino difficile capire chi e che cosa si decide e si approva. E non è che lo diciamo noi, lo dite voi.
Nella relazione sui lineamenti congiunturali dell'autunno '73 dell'Assessore D.C. al Comune di Torino, Fantino, si legge: "Si deve dire che l'assunzione da parte della Regione delle competenze in questa materia (istruzione professionale) non si è ancora tradotta nel salto qualitativo necessario, limitandosi ad una diversa titolazione nell'erogazione dei contributi. La mancata definizione dei parametri oggettivi e di un preciso controllo sull'attività e sui risultati dei vari centri di formazione professionale, la mancata definizione di un indirizzo politico a cui riferire l'azione della Regione stessa, impedisce una rigorosa selezione dei finanziamenti e finisce quindi per favorire la proliferazione di iniziative incontrollate di natura privatistica". E' un Assessore del Comune di Torino che giudica così l'attività della Regione.
Facciamo un altro esempio. Ho letto su uno dei bollettini regionali del 15 ottobre, sempre in Toscana (citiamo sempre l'Emilia, stavolta cambiamo un po'), che è stata approvata una delibera con la quale viene ripartita la "favolosa" cifra di tre milioni e 422.000 lire fra alcuna enti che avevano fatto richiesta di contributi per l'assistenza estiva. Insomma, per ripartire tre milioni è stata emessa una delibera del Consiglio. Tra l'altro suppongo che per vararla saranno occorsi cinque minuti. Basta arrivare in Commissione o presentare prima ai gruppi una idea, un progetto.
Non c'é bisogno di fare dei discorsi, non si tratta di trasformare il Consiglio Regionale in un Consiglio Comunale, nessuno propone questo. Anche qui ci vuole dosaggio, misura, ma ci vuole la volontà politica soprattutto. Se uno vuole farle queste cose le fa e le fa quando capisce che c'è un punto politico, che, se viene risolto bene e nell'interesse generale, non diventa una palla al piede per la vita della Regione, non diventa argomento di frizione, di rotture, di favoritismi. Voi vi adombrate quando vi si dice che la Giunta di centro-destra ha ampiamente praticato una politica clientelare di elargizione di fondi, politica decisamente avversata dalle stesse amministrazioni locali e che, per la sua episodicità e frammentarietà, si colloca fuori da ogni scelta programmatica. Come abbiamo scritto noi comunisti nel documento di otto pagine. Ma il fatto è che non siamo soli a denunciare questo. Noi siamo andati in giro per i Comuni a consultarli prima di scrivere le cose che abbiamo scritto in quel papiro e abbiamo ascoltato tanta gente. Eravamo in tanti a sentirle, quelle denuncie, ci sono persino i verbali. Una Giunta insospettabile di centro destra del Comune di Novara, (il sindaco Leonardi è amico di Beltrami) ci ha detto per bocca del suo sindaco tante cose interessanti, però ce ne ha detta una che interessa la Regione: un bel giorno sono piombati lì, al Comune di Novara, un Assessore con un gruppo di tecnici e gli volevano rifilare un piano per l'epurazione delle acque, fatto dalla Siteco.
Sennonché il dettaglio consisteva nel fatto che il Comune di Novara aveva già pronto per gli appalti, nel rione Bicocca, un depuratore; ne aveva un altro in progettazione, ne mancava solo uno che avrebbe fatto il prossimo anno. E non capiva perché venivano a prospettargli un unico depuratore che avrebbe tagliato la città in due o tre parti. Il Comune ha fatto correre l'Assessore e i suoi tecnici, ma non si può governare così, non è questo il tipo di rapporto che ci deve essere tra Regione e gli Enti locali. Parler poi della Siteco e della Tecneco, su come bisogna impostare le cose secondo me per governare in maniera diversa nella Regione Piemonte. Non è questo il rapporto che deve stabilirsi tra amministrazioni comunali e Regioni. E così non bisogna fare nemmeno per altre cose più modeste. Ho parlato una settimana fa col Preside dell'Istituto Mossotti della mia città. Persona seria, educatore fra i migliori che io abbia conosciuto (lo conosce anche Borando) e mi ha detto: "Ho ricevuto dalla Regione 200.000 lire (lui è preside di una scuola con duemila studenti) cosa ne faccio? " "Ma, non so fate una bevuta generale, forse non bastano nemmeno, con cento lire per ogni studente, cosa vuoi fare? Compra qualche libro". "Ma no, sono per l'assistenza! Adesso scrivo all'Assessorato per capire a che cosa servono".
Devi rispondergli tu Borando.



BORANDO Carlo, Assessore all'istruzione

Ho già risposto.



SANLORENZO Dino

Vorrei proprio sapere che cosa gli hai risposto! Comunque non è colpa tua e forse non è nemmeno colpa di quello che c'era prima di te. Ma c'è di peggio. Liceo artistico di Novara: assegnate 36.000 lire. Con queste si possono comperare forse delle puntine da disegno! A che cosa serve fare così? E' questo il modo di orientare la spesa pubblica? Il Comune di Casaleggio ha presentato una richiesta per 200 milioni di finanziamenti alla Regione per strade, asili e anche per fare in maniera che ci sia un palazzo comunale (il comune di Casaleggio ha 800 abitanti).
Gli arrivano due milioni e mezzo per il Municipio. Ma questi hanno bisogno delle strade!



BORANDO Carlo, Assessore all'Istruzione

Sessanta milioni per il Municipio!



SANLORENZO Dino

Macché, sinora sono due milioni e mezzo. Ma la questione non è sui due milioni e mezzo, è il fatto che arrivino per il Municipio!



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

Due milioni e mezzo trentacinquennali.



BORANDO Carlo, Assessore all'istruzione

A parte il fatto che non è necessario fare il Municipio.



SANLORENZO Dino

Ecco, vedi Borando, tu vedi le cose come me, non è il caso di fare il Municipio. E' già discutibile se esiste il paese (gli storici sono divisi c'è stata un'accurata indagine, ma non hanno stabilito ancora) per facciamo anche noi come nel sud dove si facevano le case, le scuole dove non c'era più nessuno. Qui c'è qualcuno che programma, che coordina, che vede? Noi possiamo anche divertirci un po' parlandone, ma la questione è drammatica, è triste. Bisogna organizzarsi per la programmazione, il piano il bilancio, ma ci sono tante cose da cambiare.
Che cosa vuol dire "svolta" in questo campo? Bisogna uscire dallo stato di carboneria reciproca intanto, che esiste fra Assessori, Commissioni Consiglio, Giunta. E io intendo auspicare, e sono sicuro, che il Presidente della Giunta Oberto non vorrà smentire Oberto Presidente del Consiglio. Lei sa Presidente quante letterine abbiamo mandato al Presidente della Giunta...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Adesso me le dovrei scrivere da solo!



SANLORENZO Dino

Ma no, non c'é bisogno, gliele mando tutte io, stia tranquillo! Quante belle letterine abbiamo mandate per riuscire a stabilire un collegamento corretto. Mai ricevuto una qualsiasi risposta! Allora, adesso noi dobbiamo, prima di tutto, fare una rivendicazione di carattere generale, politica, ispirandoci allo spirito dello statuto, a un tipo di interpretazione giuridica: tutti i piani di ripartizione dei fondi regionali a favore degli Enti locali devono essere discussi, previa la consultazione con la comunità regionale, dal Consiglio regionale, quale unica sede del confronto politico, specie quando si trovi ad operare in assenza di un piano regionale. E il piano regionale, per un anno almeno non c'è; quindi questa è una delle richieste urgenti, immediate, che deve cambiare lo stile di lavoro delle Commissioni e del Consiglio. Le vie delle consultazioni possono essere scelte caso per caso, può essere l'Assessore che viene in Commissione e riferisce può essere il Consiglio direttamente ma questa è certo una norma che dobbiamo assolutamente stabilire in modo del tutto nuovo.
Le affermazioni sulla necessità di collaborazione tra la Giunta ed il Consiglio devono tradursi in innovazioni concrete, fra le quali, credo abbiano un particolare rilievo le seguenti misure: garantire l'invio al Consiglio Regionale delle convocazioni e dell'ordine del giorno delle sedute di Giunta, nonché le copie delle deliberazioni assunte, in modo da garantire agli organi del Consiglio la necessaria informazione sull'attività dell'esecutivo, analogamente a quanto avviene da parte degli organi consiliari, con invio alla Giunta dei verbali dell'ufficio di presidenza. Garantire da parte della Giunta una pubblica azione maggiormente dettagliata, e quindi più comprensibile alla comunità regionale, delle deliberazioni e degli atti della Giunta pubblicati sul bollettino ufficiale (il Bollettino ufficiale va fatto in maniera assolutamente diversa, meno omissis e più chiarezza); riunioni periodiche fra Giunta e organi consiliari per fare il punto sugli adempimenti da parte della Giunta sugli ordini del giorno approvati dal Consiglio, almeno alla fine delle sessioni del Consiglio. Dobbiamo confrontarci dopo poco tempo per vedere se le cose vanno avanti e come vanno avanti, se non vanno avanti e perché. Relazioni periodiche al Consiglio, da parte della Giunta, della sua attività, indispensabili per dare attuazione al secondo comma dell'art.
8 dello statuto. Impegno a dare un resoconto alla fine di ogni sessione come verifica dell'attuazione del programma.
Signor Presidente, noi siamo in una situazione nella quale già il rispetto dello statuto può rappresentare una svolta nei confronti del passato. Si pensi alla recente esperienza sul bilancio regionale; i nostri due ultimi bilanci sono stati presentati da Giunte dimissionarie, approvati da Giunte diverse da quelle che li avevano presentati e fuori dai termini fissati dallo statuto; i rendiconti sono stati presentati dopo i termini e alcuni non li abbiamo ancora nemmeno visti. So benissimo che vi sono delle responsabilità che investono prima di tutto il Governo centrale, so benissimo che in alcuni casi non si poteva fare diversamente ma non è possibile constatare tutto questo e dire: non faremo niente di diverso. No qui ci vuole un impegno preciso e nel documento della Giunta c'é qualcosa di interessante: entro marzo si presenterà il bilancio, il bilancio sarà accompagnato dalle leggi e dall'impegno di finanziamento. Tutte queste cose sono molto importanti per cambiare il metodo.
Lodevole proposito, noi l'abbiamo già proposto nel bilancio del '72/'73, dateci atto di questo; prendiamo atto che nel '74 si vuole incominciare così. Però lei mi permetterà signor Presidente, a questo punto, che io le rivolga qualche maliziosa osservazione, qualche maliziosa domanda.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

E' nella sua natura.



SANLORENZO Dino

E' nella natura della vita umana.
.e rilevi qualche pecca di impostazione nel documento complesso presentato, una sorta di scompenso fra le intenzioni dichiarate nella parte scritta da lei e le indicazioni che si possono ricavare dalle cose scritte dai singoli Assessori. Quasi che il documento, scritto a più mani, mancasse di sintesi, di coordinamento. Esistono quelli che Zanone chiamava salti di quota; c'è un salto di quota per la qualità, ma c'é, secondo me, non ancora una visione di che cosa significa tutto l'insieme. Mi permetterò di farle omaggio di alcune cose che forse servono alla Giunta.
La prima domanda che vorrei rivolgerle è la seguente: lei sa quanti progetti di legge ha presentato o intende presentare nel prossimo futuro? Non lo sa, ma non importa, ho fatto il conto io, stia tranquillo, siamo qui per aiutarci a vicenda. Sono ventotto e sapete per quali argomenti li avete annunciati?



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Qualcuno l'ha già detto stamattina.



SANLORENZO Dino

Con quale ordine di priorità? Per alcuni viene detto subito, altri rientrano nella categoria degli "immediatamente" "al più presto" "fra due mesi", altri invece sono nel limbo dell'incertezza, per cui non si sa bene se la Giunta è gravida di questi progetti di legge. La sensazione è che ci sia una pulzella che vuole raccontare di essere incinta per farsi sposare le cose però forse non stanno proprio così, almeno per quanto riguarda una serie dei progetti di legge qui contenuti.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Questo non può riferirsi al Presidente, anche perché già sposato e poi non è pulzella!



SANLORENZO Dino

Ma io ho detto la Giunta, al femminile! Però voi non vi limitate a presentare i progetti di legge, per fortuna dite anche altre cose, presentate anche delle iniziative (io non ho trovato altro modo di chiamarle che iniziative). E c'é di tutto! Sono 24, gliene do l'elenco signor Presidente, così alla fine potrà dirci quante saranno per il mese di gennaio, quante per febbraio, marzo, aprile, maggio, con le date. La richiesta precisa che avanziamo è questa, perché solo così si è coerenti con la drammaticità della situazione; non le chiedo il giorno, le chiedo il mese. Questo comporta che cosa? Un tipo di collaborazione fra Consiglio e Giunta, che se non è basato su cose precise come fa ad attuarsi? Dobbiamo tutti lavorare in modo radicalmente diverso, tutte le Commissioni devono lavorare in modo diverso, per fare un terzo del programma della Giunta, lo non sto dicendo se questo programma è buono o cattivo, quanto ne accettiamo come gruppo comunista. Diciamo che in questo momento sto parlando come vice Presidente del Consiglio, e sto ponendo un problema generale. Se si vuol realizzare una parte di questi impegni, se si vuole realizzare una svolta (e qui parlo come esponente del gruppo comunista), si deve cambiare tutto il modo di lavorare. Le Commissioni devono riunirsi davvero due volte alla settimana e questo vuol dire per ogni commissario quattro volte alla settimana. Devono essere molto frequenti le riunioni fra gli Assessori e le Commissioni per gli scambi che abbiamo detto; la Giunta deve essere precisa nei tempi di presentazione dei suoi progetti di legge perché non sono certo i soli. Ci sono quelli che vengono dalle minoranze, e quelli che provengono dalla iniziativa popolare.
Se vogliamo fare 50/60 progetti di legge (li identifichiamo fra quelli in gestione e quelli che vengono annunciati), è evidente che un salto di qualità impressionante attende il Consiglio Regionale. Noi comunisti siamo disposti a questo salto di qualità.
Il Capogruppo Berti fece un rilievo di questo genere alcune sedute or sono. Noi siamo qui per proporre delle misure concrete di attuazione di quel richiamo che non era soltanto morale, ma politico. Per quanto riguarda i soldi che bisogna spendere, l'altra domanda che vi rivolgo è questa: quanti soldi si dovrebbero spendere per fare i 28 progetti di legge che annunciate? Lo so, ci sarà il bilancio del '74 che presenterete entro il mese di marzo, ma il fatto é, che questi annunci, vengono fatti senza che nelle 80 cartelle ci sia un'analisi delle risorse disponibili che si possono già ipotizzare, quelle per il '74 senz'altro, e quelle per il '75 in gran parte. Occorre una prima idea di suddivisione per grandi capitoli di queste fonti, è una lacuna, della sua dichiarazione. Nella replica dovrebbe dirci che cosa.
E qui affronto il capitolo forse più delicato, più drammatico della nostra situazione come Regione Piemonte. Anche questo, Presidente, forse non le è del tutto presente anche perché è Presidente da poco, so però che fa di tutto per rendersi al più presto conto di quello che sta succedendo.
Ho avuto la curiosità di andare a vedere la situazione finanziaria della Regione al 31 dicembre e ringrazio l'Assessore al Bilancio e alla programmazione, ringrazio soprattutto i funzionari che hanno dovuto fare questo lavoro in pochissimo tempo. La situazione è la seguente: per il capitolo entrate, abbiamo una situazione, tutto sommato, discreta soddisfacente, non per la quantità delle entrate, che sono assai minori di quanto la Giunta ed il Consiglio vorrebbero ma nel senso che il meccanismo delle entrate non rivela gli elementi di paralisi che, potremmo paventare per far funzionare la Regione. Tutto sommato le entrate tributarie nostre arrivano, otto miliardi e 200 milioni erano previsti, ne sono arrivati sette miliardi e 230 milioni, il divario c'é, ma non è gigantesco, le quote dei tributi statali arrivano (in questo senso, almeno, l'amministrazione dello Stato funziona). I soldi nostri riusciremo ad incassarli: 50 miliardi sono arrivati. Le entrate tributarie manifestano invece una carenza rispetto ai nove miliardi previsti ne sono entrati soltanto quattro e 934 milioni; questo è un punto da individuare con precisione e pongo la domanda all'Assessore al bilancio e programmazione perché ci dia, se possibile questa risposta in sede di replica.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Glielo comunicheremo, ha avuto un incidente che speriamo non sia grave glielo auguriamo. Questa è la ragione della sua assenza.



SANLORENZO Dino

Glielo chiedo allora a lei signor Presidente, perché è l'unico punto oscuro, delicato del meccanismo delle riscossioni.
Morale: su 72 miliardi del bilancio della Regione nella voce entrate riusciamo a riscuoterne 65. Il divario c'è, ma il meccanismo sostanziale delle entrate non rivela grosse inefficienze. La questione delle spese è del tutto differente. Abbiamo due voci: spese correnti e spese in conto capitale. Nelle spese correnti le cose stanno così: gli stanziamenti sono di 43 miliardi 387 milioni; l'impegno di spesa su questi stanziamenti si riduce a 34 miliardi 521 milioni; i pagamenti sulle spese correnti a 19 miliardi 217 milioni. Sono le spese correnti, quelle che vanno via più facilmente, oppure c'è un divario, i pagamenti sono il 40% degli stanziamenti rispetto agli impegni! Le spese in conto capitale stanno così: su 28 miliardi che abbiamo da impegnare, ne impegniamo 21 - e qui c'è già un divario - ma ne paghiamo tre, il che significa il 10% di ciò che decidiamo. Solo il 10% di ciò che decidiamo esce dalle casse e va dove deve andare! Signori Consiglieri, qui c'é in gioco la Regione. Voi certo capite che cosa vuol dire questo. Ieri sera i contadini protestavano e dicevano: se non ci date qualcosa entro un mese noi andiamo via, se ce lo date fra tre mesi la metà soltanto più lo riceve, se ce lo date fra un anno non serve più a niente. Questo ci hanno detto i contadini ieri in quest'aula e tutte le cose che non vanno della società italiana possiamo dire altrettanto. Se facciamo un'eccellente legge, per la quale facciamo riunioni, commissioni dibattiti e poi, di tutta questa legge importante, di impegno, si realizza solo il 10%, allora anche qui c'è da cambiare. Io chiedo, (se non è possibile in sede di replica, perché è un'indagine molto delicata, lo chiedo in sede di presentazione dell'aggiornamento del bilancio '74), di avere un'analisi rigorosa, precisa, Assessore per Assessore, voce per voce per capire perché quando una decisione è presa i soldi non arrivano.
E dico questo, signor Presidente, signori Consiglieri, perché ho la sensazione che le cose possano andare diversamente. Ho letto per esempio che nella Regione Emilia l'Assessore ai LL.PP. in Consiglio, senza che nessuno l'abbia smentito, ha annunciato che su uno stanziamento complessivo di dieci miliardi e 124 milioni, viene ad essere impegnata la spesa di 10 miliardi e 64 milioni, cioè il 99,40%. Non è ancora detto che i soldi vadano fuori tutti perché so benissimo che l'ostacolo più grande è lì, ma c'é già impegno per il 99,40. Dipenderà dal fatto che ne discutono con tutti? Dipenderà dal fatto che viene svolto un lavoro diverso, organizzato in maniera diversa per cui c'é la possibilità di spendere i soldi che si hanno? Ho la sensazione di sì, signor Presidente, e se così è, facciamo una proposta: gli Assessori che sono più imbarazzati nello spendere i soldi quelli che sono in ritardo, vadano a consultarsi con quegli Assessori. Le Regioni non devono essere un fatto nuovo? E va bene, se quelle Regioni rosse hanno la "drammatica responsabilità" di governare meglio delle altre fatevi insegnare come si fa. Cosa volete che vi dica? Lo so che anche in quelle Regioni c'é il divario fra gli impegni ed il bilancio di cassa, ma almeno tentano di superare il ritardo fra il momento in cui la somma viene destinata ad un Comune ed il progetto che deve essere ancora fatto per avere poi davvero il finanziamento. Il problema è quello di governare delegando, perché se si decentra davvero, allora questi ritardi si superano. Non a caso, quasi tutte le Regioni, stanno discutendo in questo momento nei Consigli le leggi di delega. Qui non abbiamo la sproporzione che c'è nei confronti dell'esercizio delle funzioni, ma le documentazioni ci dicono che nelle altre Regioni queste leggi vanno avanti. E' tempo Presidente, che ci dica quando verranno presentate, anche alla Regione Piemonte e quante, se per settore, o di carattere generale.



BORANDO Carlo, Assessore all'istruzione

Se c'è stata una delega per il passato è proprio quella per i lavori pubblici.



SANLORENZO Dino

Però i risultati sono quelli che mi avete dato voi. E la situazione è seria, dissennata. Presidente, lei faceva riferimento a Massimo d'Azeglio ma vede, Massimo d'Azeglio ha avuto poi un giudizio storico complicato.
Gramsci l'ha stroncato. L'ha stroncato per due ragioni molto precise: perché non ha dato le armi ai garibaldini per andare a Marsala (é una cosa piuttosto grave) e perché si è opposto al riconoscimento di Roma capitale.
Poi viceversa ha scritto, nei suoi ricordi, cose buone, dove io ritrovo molte cose a cui lei fa riferimento, per esempio il gusto della puntualità della serietà. C'è un capitoletto delle sue memorie in cui ricorda quando lui e sua sorella erano abituati a vivere con un ordine di servizio che descriveva giorno per giorno le cose da fare...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Anch'io!



SANLORENZO Dino

Lo so, lo so, e lo apprezzo. E suo padre gli spiegava il valore di questo metodo di lavoro, di vita, per non fare perdere tempo agli altri diceva. Diciamocelo fra di noi, in modo che qui dentro si apprezzi almeno questo di Massimo d'Azeglio e non prendiamo ad esempio il fatto che non abbia dato le armi ai garibaldini, per poi non dare qui i soldi ai Comuni!



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Che è una cosa diversa!



SANLORENZO Dino

Appunto, non si tratta di dare armi, ma di dare dei soldi. E allora diamoli questi soldi, non atteniamoci all'insegnamento di Massimo d'Azeglio, atteniamoci invece all'insegnamento dell'esperienza.
Lei sa benissimo quanto sia differente l'Ufficio di Presidenza dalla Giunta, ma qualche esperienza l'abbiamo compiuta pure noi, e anche lei quando era Presidente del Consiglio. Ho il piacere di annunciarvi, cari Consiglieri, che noi i residui passivi non li abbiamo. Avevamo un miliardo e 260 milioni da spendere e li abbiamo spesi tutti, salvo alcuni, ma dir perché quelli non spesi non sono titoli di demerito. Perché non li abbiamo spesi tutti? Perché abbiamo avuto un solo Vicepresidente invece di due, sul piano politico sarà stata una soluzione discutibile, sul piano finanziario abbiamo risparmiato dei soldi e non c'è stato residuo passivo. Abbiamo avuto un componente dell'Ufficio di Presidenza che era anche Presidente di Commissione, quindi i soldi che bisognava dare al Segretario potevano sommarsi con gli altri e si è risparmiato. Abbiamo avuto due Segretari nel Consiglio invece di quattro e abbiamo risparmiato altri milioni. Abbiamo una legge sull'assicurazione infortuni non approvata, questa è una cosa non tanto giusta perché è un risparmio fatto sulla pelle dei Consiglieri, ma non ci accuserà, siamo per lo meno stati omogenei alla saggia decisione di non aumentare gli stipendi ai parlamentari. Abbiamo soprattutto speso molto meno in missioni per incarichi speciali. Non è una Regione che fa turismo politico la nostra (la Giunta non va nemmeno dove deve andare). La maggioranza dei Consiglieri non ha neanche utilizzato i biglietti che aveva a disposizione. Si, lo so, il paragone non può calzare appieno, ma qual'è l'insegnamento che si trae da tutto questo? Che quando l'organismo politico decide, chi deve eseguire esegua e chi deve pagare paga. Questo è il punto.
Il problema della Giunta è di una complessità notevolmente superiore, ma porto l'esempio per dire, ancorché sia giusto spendere come abbiamo speso (questa è un'altra faccenda), che si possono impegnare le spese e farle arrivare alla giusta destinazione. Mi avvio rapidamente alla conclusione.
Compare nel programma della Giunta l'impegno ad operare per istituire numerosi enti: sviluppo agricolo, finanziario, artigianato, enti di gestione a livello di bacini di traffico; compaiono anche formulazioni più oscure: servizio ad hoc snellissimo per le comunità montane, esperti e consulenti esterni per gruppi di lavoro, per singoli progetti.
Io credo che ci sia un discorso da fare, sia sulle formulazioni chiare sia su quelle oscure. Sugli enti che si conoscono, voi lo sapete, non abbiamo una posizione ideologica, noi abbiamo la prudenza che ci deriva dall'esperienza compiuta dalle Regioni e abbiamo anche delle posizioni precise sulla loro gestione. Gli Enti finora costituiti nel nostro Paese anche a livello regionale, sovente sono serviti a finanziare sé stessi, a sistemare Assessori eventualmente usciti fuori dal giro, sovente questi enti hanno operato, come la Cassa del Mezzogiorno o altre varie edizioni di finanziarie molto note e sono divenuti centri di clientela. Sugli enti snellissimi ad hoc, in attesa di capire meglio (é una richiesta che faccio all'Assessore competente), lei mi permetterà di essere un po' angosciato proprio per l'uso dell'aggettivo "snellissimo" al superlativo. Fosse stato solo snello...



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

La colpa è mia se è messo al superlativo.



SANLORENZO Dino

Già, ma snellissimo lascia intendere che è proprio una cosettina da poco; non sarà mica un commissariato straordinario alla montagna, per caso?



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Nooo!



SANLORENZO Dino

Perché, anche nel governo, c'è della gente che pensa di dare snellezza a tutte le operazioni rifilando dei progetti speciali a un commissario.
Certo la struttura è snella. C'é il ministro che telefona al commissario e quello opera. Più snella di così si muore. Solo che non si capisce più a cosa servono le Regioni. Ho letto su "Panorama" che uno dei pochi funzionari che è collocato veramente al posto giusto nella Regione Piemonte tra i tanti funzionari bravi che abbiamo, dovrebbe diventare addirittura il direttore di questi progetti del Mezzogiorno (sto parlando di Gatti).
Speriamo che non succeda, perché perdiamo uno del collaboratori più preziosi che abbiamo. Ma dicevo, non vorrei che "snellissimo" volesse significare che per esempio il geom. Martinengo diventa commissario. Il Presidente ci dica poi come intende organizzare lo "snellissimo strumento ad hoc".
Molto più rilevante è la questione degli Enti di Stato, o Enti privati o agenzie private cui la Giunta, mi pare di capire, intende rivolgersi, o si pone per lo meno il problema di rivolgersi. Qui occorre certo partire da una situazione del tipo di quella che ho descritto io, cioè 10% delle spese che si riesce davvero ad effettuare: ecco la base oggettiva da cui nascono queste tendenze, queste spinte, queste proposte.
Anche qui non abbiamo una posizione ideologica, siamo per una società pluralistica. Operiamo in un sistema ad economia mista, l'industria di Stato e l'industria privata possono avere funzioni positive nella misura in cui vengono gestite bene e fanno le cose che devono fare nell'interesse generale. Questa è la posizione ideologica che si può avere in un momento come l'attuale. Tendenzialmente, si capisce, ci deve essere una collocazione preferenziale da parte della Regione verso l'industria di Stato, ma non nel senso di fare o ricevere favori.
Abbiamo due esperienze in Italia su questa questione ed invito la Giunta ad esaminarle e a dare una risposta martedì o in sede di bilancio.
Abbiamo l'esperienza della Toscana che, come voi sapete, ha stipulato una convenzione con la Società per lo sviluppo dell'edilizia industrializzata la SVEI e il Movimento cooperativo per fare 135.000 stanze corrispondenti a 27.000 alloggi entro il '77. Queste cifre, quando vengono fuori da un contratto, hanno già il sapore della concretezza, un sapore nuovo.
L'esecuzione di questo lavoro viene ripartita equamente fra le imprese a partecipazione statale, imprese private e imprese cooperative; 40% alle prime, 35% alle seconde e 25% alle ultime. Non voglio qui dare un giudizio aprioristico, sto dicendo che questo è già successo, una Regione si orienta ad operare così.
Un'altra Regione, l'Emilia Romagna, ha stipulato una convenzione con l'ENI per fare il piano delle acque. C'é un contratto, c'è un regolamento del contratto, ci sono delle cose interessanti, ma anche dei pericoli e delle critiche che vengono rivolte anche da sinistra. Credo ci siano delle perplessità anche nel mio partito, perché non dirlo? E' una sperimentazione, però sono fatti e decisioni responsabili. La Giunta cosa intende fare? Mi pare di aver capito che intende muoversi verso agenzie private (Siteco, o altre). Siate più precisi nella replica perché io non dico Siteco o ENI, non dico ITALSTAT oppure un'altra azienda privata in Piemonte, dico soltanto che dobbiamo avere una linea che porti non necessariamente a scegliere le imprese private (e per forza) dato che siamo in Piemonte. Ciò significa quasi sempre la FIAT, direttamente o indirettamente. Anche qui non c'è un preconcetto ideologico. Se le imprese della FIAT fossero in grado di realizzarci eventualmente dei progetti nei tempi, e sotto l'effettiva direzione politica democratica, e con i controlli che la Regione esige, potrebbe anche andar bene, ma ci vuole il confronto, Sarebbe errato se la nostra politica consistesse nel decidere aprioristicamente, nel scegliere unilateralmente, nel non vedere fino in fondo, nel non intervenire politicamente per fare una scelta caso mai migliore, di quelle che sono state fatte in precedenza. C'è un problema di approfondimento, di enorme portata, altrimenti non ne usciamo fuori dall'inefficienza e dalla politica del rinvio. Se la riforma della pubblica amministrazione non avviene entro aprile e ho la vaga sensazione che non avvenga nemmeno entro il '74. Noi abbiamo bisogno di dare concretezza ed efficacia a ciò che vogliamo fare. E allora scegliamo coraggiosamente anche la strada di operare il decentramento e la delega verso gli Enti locali dando tutti gli strumenti necessari.
Infine, sugli esperti confesso di essere un po' prevenuto, da come abbiamo visto nella vita politica italiana, nel modo come sono state gestite le cose che sovente gli esperti non si sa bene che cosa sono, come nascano e chi serrano. Ogni tanto parlo con dei funzionari della Regione ingegneri, avvocati. Quasi mai mi succede di trovare, ad esempio l'ingegnere specializzato in un certo settore, sistemato al posto giusto.
Io non dico che i tecnici debbano sempre essere addetti alla loro specifica specializzazione mentre non credo che i politici devono essere gente che anche se non capisce niente di argomenti tecnici non importa. E' giusto in generale che i tecnici siano un po' più politici e non vivano nell'astrattezza e i politici siano non digiuni di tecniche specifiche. Per esempio confesso di non aver mai capito perché a dirigere la politica urbanistica alla Regione Piemonte vi sia un ingegnere elettrotecnico. Io non sono in grado di dare un giudizio di merito, suppongo che sia un'eccellente persona, anzi so che lo è. Ma ripeto, non so per quale strano processo a dirigere la politica urbanistica della Regione Piemonte ci sia un ingegnere elettrotecnico. Non l'ho capito. Non so perché, ad esempio nelle Commissioni del Consiglio non sempre ci sia l'esperto di quella data materia. La gente arriva a lavorare nei modi più incredibili, più strani.
Forse non sempre nei modi più corretti.
E allora, poiché il grado di efficienza del sistema è condizionato da tutto questo, dobbiamo anche qui cambiare parecchie cose. Abbiamo fatto anche noi un'esperienza di esperti, come ufficio di presidenza, e lei lo sa Presidente, è stata una cosa allucinante. Noi non capivamo niente di calcolo attuariale, allora abbiamo pensato di rivolgerci ad un "esperto".
Per carità di patria, e siccome non è ancora passata la legge che lei Presidente, ha presentato assieme ad altri Presidenti d'Italia, affinch non ci mettano in galera se diciamo le cose che pensiamo, dirò solo alcune cose. Ma questo esperto ci ha presentato una proposta dell'altro mondo. Per fortuna avevamo i nostri ragionieri nel Consiglio che ci hanno fatto una cosettina come si deve, con dimensioni umane, come si direbbe, e hanno preso, alla fine del mese, solo il loro stipendio. L'esperto voleva 300.000 lire e ha lavorato io credo due o tre ore. Allora dobbiamo capirci molto bene sugli esperti. C'è l'intenzione di affidare a dei privati, fuori della Regione, la divisione dei progetti esecutivi del piano? Se così fosse allora discutiamo davvero tutto in Consiglio, e nelle Commissioni! Infine, signor Presidente, credo che dobbiamo dare una svolta anche al rapporto che abbiamo sinora intavolato con le altre Regioni, con i sindacati e anche ai rapporti della nostra politica regionale con l'Europa.
Con le altre Regioni qualcosa sta già modificandosi. Ho visto, con estremo piacere, la notizia che Bassetti è venuto a Torino per incontrarsi con lei e qui ci sono almeno due fatti miracolosi: che Bassetti sia venuto a Torino e che si sia incontrato col Presidente della Giunta Regionale e non perch l'aveva richiesto il Presidente della Giunta. Non so che cosa ne sortirà che cosa ne è già sortito, ma il Piemonte deve uscire dall'isolamento. Io non sono un estimatore incondizionato di Bassetti. La mia impressione è che parla molto e fa meno di quello che dice, però il problema è un altro. Le Regioni che hanno tirato il gruppo in questi ultimi tre anni sono tre: Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. Perché poi ad un certo punto la forza politica si impone dove c'è e non c'è dubbio che in quelle tre Regioni c'è stata una forza e un peso politico specifico.
Noi dobbiamo entrare nel giro. Dobbiamo fare assolvere alla Regione Piemonte il ruolo che deve svolgere, per quello che è, per il peso che ha nell'economia italiana, per la sua tradizione, per la sua storia, per la sua cultura, per la classe operaia che esprime, per gli uomini che ha espresso e che fanno parte della storia del nostro Paese. Se il Piemonte è tutto questo perché dobbiamo accettare un ruolo subalterno? Ho visto che il Presidente della Regione Piemonte assieme all'Assessore competente ha partecipato all'incontro con le Regioni e col Governo, è un fatto positivo ho visto che non eravamo assenti dall'incontro con i sindacati a livello nazionale, è un altro fatto positivo. Ma noi non dobbiamo solo partecipare quando ci invitano gli altri. Dobbiamo avere una attività promozionale, un respiro italiano nelle cose che proponiamo, e per il modo in cui poi operiamo per realizzarle. E anche un respiro europeo, ma in che senso? Permettetemi, non il respiro delle autostrade, dei trafori. Un respiro diverso, quello del contributo di una regione di cinque milioni di abitanti ad un discorso certo complesso, difficile, ma da cui dipende anche l'economia italiana in un momento come questo. Una proposta di democratizzazione delle organizzazioni della Comunità, la partecipazione alla costruzione di una politica delle Regioni d'Europa, per una Europa democratica, autonoma, con una politica che sia né antisovietica n antiamericana. E per quanto riguarda i sindacati a livello regionale, anche qui deve esserci una svolta. Presidente, non attenda che le tre organizzazioni sindacali le chiedano di incontrarsi con lei. Promuova lei l'incontro, ma non per discutere caso per caso, non per discutere solo della fabbrica che chiude, o dei seimila senza lavoro, ma per discutere anche di quello che hanno fatto recentemente le Regioni con i sindacati a livello nazionale. Creiamo un rapporto di fiducia che sia al livello delle esigenze che in questo momento si pongono alla Regione Piemonte. E per finire, Presidente, il Segretario generale del nostro partito ha detto recentemente, in un intervento al Comitato Centrale, che l'obiettivo essenziale oggi, di noi comunisti, e quello di dare il nostro contributo ed una spinta al superamento positivo della crisi del Paese. Ciò ci porta a porre in primo piano non la lotta contro la formula su cui si regge l'attuale Governo, che pure continuiamo a giudicare inadeguata, ma l'iniziativa per influire concretamente sugli indirizzi della politica governativa. Questa è la sostanza della nostra opposizione, diversa a livello nazionale. E sostanzialmente è l'atteggiamento complessivo che abbiamo già avuto anche in sede di dibattito sulla formazione della Giunta e nei confronti di questa Giunta Perché, però, Presidente, questo avvenga e abbia uno sviluppo lineare, badi che la drammaticità della situazione esige delle cose molto precise, perché le prospettive dell'opposizione diversa sono solo due: o, l'opposizione diventa sempre più diversa perché le cose si sviluppano in modo positivo e quindi va verso una maggiore intesa e collaborazione tra le forze politiche democratiche (chiamatelo compromesso storico, chiamatelo come volete) oppure l'opposizione diventa sempre più opposizione, e sempre meno diversa. Sennonché questo dipende da tanti fattori, e ora soprattutto dal metodo e dall'azione di governo. Noi non ci metteremo adesso sull'Aventino ad aspettare che voi facciate. Noi vogliamo intervenire sui fatti perché vediamo produrre fatti come atti di una politica. Vogliamo sì, certo, controllare i fatti altrui, ma vogliamo "determinare" i fatti in maniera coerente con l'interesse generale della nostra Regione e del nostro Paese. Questo, è ormai il terreno del confronto e delle possibili intese formali in questo Consiglio Regionale. Saranno questi fatti, più duri di tutte le parole, a parlare. Noi faremo di tutto perché essi parlino il linguaggio serio, ardito e severo che la gravità della situazione oggi chiede a noi come a tutte le altre forze politiche democratiche.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Sono ancora iscritti a parlare tre oratori nella mattinata: Nesi Franzi, Marchesotti, altrimenti non riusciremo ad esaurire gli interventi del pomeriggio. Ricordo che l'VIII^ Commissione è convocata alle 14,45 in questa sede per procedere alla sua integrazione e all'elezione del Presidente. Nessuna obiezione a che continuiamo con i tre interventi? Chiede di parlare il Consigliere Berti, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Io inviterei il Presidente a considerare l'opportunità di non strozzare il dibattito. Qui la Giunta è stata eletta, non è che si debba concludere subito con il voto, lo strumento esecutivo c'é, le Commissioni stanno lavorando, direi che sia interesse di tutti tenere aperto questo discorso per consentire che i singoli aspetti del programma possano essere il più ampiamente discussi. Anche se non finiamo questa sera si può continuare un altro giorno. Non so se adesso altri tre interventi possano svolgersi nell'interesse e con la presenza di tutta l'assemblea, se questa fretta non c'è potremmo ancora farne uno o due, a seconda della lunghezza, riprendere oggi e se non si finisce oggi andiamo a lunedì o martedì, quando sarà.



PRESIDENTE

Dirò subito al Consigliere Berti che alla fine della seduta di stasera convocherò i Capigruppo ed il Presidente della Giunta proprio per decidere l'ulteriore corso dei lavori, però i tre oratori avevano chiesto di parlare in mattinata. Se qualcuno dei tre intende rinunciare ad intervenire io non ho niente in contrario.
La parola al Presidente della Giunta.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Per restare fedele a quello che diceva Massimo d'Azeglio, direi di darci un ordine e non strozzare la discussione, come dice Berti, ma neanche andare alle due per essere poi qui alle tre, restare entro l'una in maniera che poi si possa uscire un momento.



PRESIDENTE

Il Consigliere Marchesotti accetta di parlare nel pomeriggio?



MARCHESOTTI Domenico

Si, ma alle 15 ho un impegno, quindi non potrò essere puntuale.



PRESIDENTE

Non importa, parlerà più tardi. Il Consigliere Segretario Franzi mi ha comunicato che oggi pomeriggio deve andare ad una riunione altrimenti avrei chiesto a lui di rimandare.
Ci sono ancora due oratori, dò pertanto la parola al Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, è molto forte per me la tentazione, dopo il discorso del collega Sanlorenzo, di riprendere i temi strettamente politici che egli ha introdotto alla fine del suo intervento ma credo sia più utile parlare invece su un aspetto del programma, forse più arido, che a mio parere presenta notevoli carenze. Mi riferisco ai problemi riguardanti gli aspetti finanziari dell'attività regionale, ai quali ha già accennato il collega Sanlorenzo; mentre egli ha toccato gli aspetti finanziari interni dell'attività regionale, cioè il bilancio, io vorrei toccare quelli esterni.
Mano a mano che maturano esperienze più significative di gestione e di intervento della Regione nell'economia, ci si rende conto che uno scollamento completo, come quello di fatto esistente, tra l'ordinamento delle competenze regionali e il sistema finanziario, pone la Regione in una difficile situazione.
Si è ripetuto molte volte che la distribuzione delle competenze fra Stato e Regione in campo creditizio appare costituzionalmente immodificabile e che comunque, nel caso dell'ordinamento creditizio, ci troviamo di fronte ad esigenze di unitarietà di gestione che, toccando la stessa politica monetaria, possono essere soddisfatte solo da un Governo nazionale.
A me pare che il discorso sia troppo semplicistico.
Se è vero che talune politiche del mondo finanziario possono essere guidate soltanto a livello nazionale, è altrettanto vero che le linee di comportamento su obiettivi specifici e limitati possono essere fissate in modo più concreto a livello regionale.
Vorrei spiegarmi con qualche esempio.
Nessuno può contestare che la determinazione dei coefficienti di liquidità o i criteri generali per l'apertura delle filiali o la normativa in materia di situazioni dei conti o la posizione debitoria e creditoria sull'estero, debbano fare oggetto di una regolamentazione centralizzata. Ma nessuno può contestare che, ad esempio, criteri per la concessione di mutui destinati a favorire la ristrutturazione fondiaria in agricoltura variano da regione a regione e gli istituti di credito agrario sono assai più legati nella loro attività quotidiana agli ispettorati compartimentali dell'agricoltura o ad organismi similari che non ai grandi problemi della politica monetaria.
Come è possibile pensare ad una politica dell'artigianato senza organizzare localmente un sistema di incentivi che se fosse proiettato su scala nazionale darebbe luogo a fenomeni di inefficienza? Sicuramente il discorso è difficile perché siamo di fronte non soltanto a problemi di ordine legislativo ma anche a difficoltà istituzionali.
Tutti gli Istituti speciali infatti, per limitare l'esame a questo settore, sono sorti quando le regioni ancora non esistevano, ed hanno amministrazioni centralizzate, fatta eccezione per i Mediocrediti regionali.
Il caso tipico è quello dell'Artigiancassa, sorta quando la realtà regionale era ancora lontana dalla sua attuazione e che, pur assolvendo egregiamente al proprio compito, si trova sfasata rispetto ai problemi di un settore la cui regolamentazione oggi è sottoposta alla potestà regionale.
Ma discorsi analoghi possono farsi per gli Istituti di credito alle opere pubbliche, per talune sezioni speciali di Istituti di credito di diritto pubblico e così via.
La linea di demarcazione fra competenze regionali e competenze dello Stato è tutt'altro che netta perfino nelle materie in cui la potestà regionale è "esclusiva".
Eppure occorre cominciare a sistemare questa materia, se non ci si vuole trovare di fronte, nei prossimi anni, ad una matassa aggrovigliata di interventi che, rendendo ancora più caotica la già intricatissima selva del credito agevolato e del credito speciale, porterebbe ad una politica economica completamente frammentaria, nella quale qualsiasi impulso o provvedimento di congiuntura rischierebbe di insabbiarsi.
Né si può dire che, stante l'attuale divisione dei compiti, i problemi non sorgeranno in quanto la Regione è comunque tagliata fuori dalla realtà creditizia; si tratta di affermazioni astratte e dogmatiche, che non possono non rivelarsi illusorie di fronte all'impatto che l'iniziativa regionale da un lato e, dall'altro lato, ragionevoli pressioni eserciteranno.
D'altra parte, in quasi tutti gli ordinamenti politici nazionali organizzati con larghe autonomie regionali (Stati Uniti, Germania) i corpi politici locali hanno una propria sfera di intervento in campo creditizio.
Io credo perciò che quando si pensa ai collegamenti tra mondo finanziario e Regione bisogna abbandonare la ricerca di accorgimenti bizantini o di finzioni o di furberie per superare la tassatività di una norma che appare troppo rigida e di cui, probabilmente, in sede di Costituente, non si valuto appieno la limitazione, in una visione che assegnava un'importanza grandissima ai settori produttivi e quindi alla competenza della Regione su taluno di essi, ed un ruolo minore al terziario. Se rileggiamo gli atti della Costituente possiamo constatare come il problema del ruolo del credito nell'indirizzo politico-economico dell'Ente Regione sia stato appena sfiorato e come sia mancata un'analisi approfondita.
E' anche vero che, venticinque anni fa, tutto il problema dell'importanza del terziario e in ispecie del terziario superiore non poteva assumere quei contorni né ricevere quella messa a fuoco che ha oggi in un'economia più avanzata, né, probabilmente, era prevedibile la posizione centrale e decisoria che il sistema bancario avrebbe assunto nei decenni successivi con l'allargamento progressivo della sua sfera di intervento e della sua quota di intermediazione.
Penso perciò che, se cerchiamo non già un'interpretazione ma una riforma dell'assetto legislativo tale da consentire alle Regioni di collegarsi più stabilmente con il mondo finanziario, non facciamo un salto qualitativo rispetto alla volontà costituzionale, ma, piuttosto, poniamo le basi per un ulteriore utile svolgimento del discorso costituzionale. i fatto queste prime esperienze legislative della Regione ci pongono di fronte a tentativi parziali che noi stessi abbiamo fatto, per esempio quando abbiamo dato contributi in conto interessi ai finanziamenti all'agricoltura, soprattutto nel settore del credito di miglioramento quando abbiamo dato sussidi analoghi per il credito artigiano, quando abbiamo concorso agli oneri finanziari dei mutui assunti dagli Enti locali minori, in modo da renderne meno gravoso l'ammortamento; queste sono state azioni legislative nuove sotto il profilo costituzionale, ma che esprimono un'esigenza difficilmente contenibile da affermazioni di principio: quella di ancorare la politica degli impieghi, soprattutto di lungo termine, delle aziende di credito, alla necessità di larghi settori produttivi controllati dalla Regione. Questo tipo di provvedimenti che in questo Consiglio Regionale abbiamo preso, parte dal presupposto che la determinazione di incentivi, da applicarsi ad operazioni di finanziamento, integri l'attività del potere statuale ponendo a disposizione degli utenti del credito determinate agevolazioni; poiché i fondi erogati hanno come destinatari direttamente i settori produttivi e non le aziende di credito, le Regioni non esplicano l'attività legislativa al di fuori dei loro compiti statuali.
In realtà l'esperienza del credito agevolato, consolidata in Italia come in nessun altro Paese del mondo, ci dimostra che l'esistenza stessa di incentivi comporta cospicue e significative modifiche nella distribuzione delle risorse; infatti le aziende di credito e gli istituti speciali, nella destinazione dei propri impieghi, sono condizionati dai provvedimenti in questione così come sono condizionati in Piemonte gli istituti bancari dai provvedimenti del Consiglio Regionale. E' chiaro perciò che la taglia del vestito cucito addosso alle Regioni in questa materia appare troppo stretta rispetto allo sviluppo del corpo da ricoprire. A mio avviso il discorso sulle competenze delle Regioni in questo campo va rivisto a fondo e, di questo, lamento l'assoluta mancanza nel programma, pur così largo in altri settori.
Qualora infatti, in seguito a provvedimenti della Regione del tipo di quelli prima descritti, insorgessero conflitti di competenza che fossero risolti nel senso di intendere rigidamente il limite posto alle Regioni per interventi in campo creditizio, le Regioni tenderebbero inevitabilmente ad appoggiarsi per le loro operazioni ad organismi, istituti nuovi, come stiamo facendo.
Per esempio stiamo utilizzando, come molte Regioni, la legge finanziaria per creare le Società Finanziarie Regionali ed è molto importante quello che è avvenuto nei giorni scorsi, quando il Governo cambiando un atteggiamento che aveva lasciato tutti molto perplessi, che è stato oggetto anche di un'importante riunione interregionale qui a Torino ha dato il suo consenso all'istituzione delle Finanziarie Regionali emiliana e ligure.
Noi abbiamo molto discusso sulle funzioni delle Finanziarie Regionali e il dibattito si è incentrato sugli interventi infrastrutturali o di partecipazione che questi istituti potranno svolgere e sicuramente si tratta di compiti primari. Tuttavia, qualora si verificasse l'ipotesi di uno "iato" fra l'attività della Regione e l'attività delle aziende di credito, è più facile ritenere che le Finanziarie Regionali sarebbero chiamate a compiti di intermediazione creditizia, a svolgere cioè anche e forse prevalentemente, una funzione di trasferimento e di erogazione di fondi nei limiti consentiti dall'attuale ordinamento; ma di questo discuteremo più a fondo, quando (mi auguro molto presto) parleremo della legge istitutiva della Finanziaria Piemontese.
Ecco perciò che i finanziamenti comunque collegati ad una attività di erogazione dell'Ente Regione vuoi in conto interessi, vuoi in conto capitali, vuoi per effetto di garanzie prestate dall'Ente pubblico sarebbero canalizzati non più attraverso la struttura esistente dell'ordinamento creditizio, ma attraverso organismi parabancari nuovi.
Voglio spiegarmi con un esempio che può rendere facile capire come sia obbligatorio il collegamento fra la struttura finanziaria regionale e l'Ente Regione. Noi possiamo prevedere che, costituita la società finanziaria regionale, essa utilizzi i suoi fondi per attrezzare alcune aree industriali: a cosa porterebbe una siffatta iniziativa se le banche non operassero adeguati interventi creditizi per le imprese che prevedono di insediarsi in quelle zone industriali che sarebbero state create proprio attraverso le società finanziarie regionali? Voglio fare un altro esempio. Il primo rapporto dell'Ires sul Piano Regionale Piemontese prevedeva un investimento nel prossimo quinquennio per infrastrutture pubbliche e sociali di 975 miliardi, senza peraltro offrire positive indicazioni circa la disponibilità ed il reperimento sul mercato finanziario di una parte consistente di tali cospicui mezzi, attesa l'esigua capacità residua di indebitamento delle pubbliche Amministrazioni da ciò deriva l'incertezza sull'effettiva disponibilità delle risorse necessarie e, in conseguenza, un ridimensionamento dei programmi ritenuti indispensabili per le collettività locali. Eppure io credo, sulla base di previsioni attendibili, che tale cifra sia perfettamente compatibile con la capacità del sistema creditizio regionale di drenaggio e di impiego di risorse, secondo un modello di flussi finanziari in grado di misurare in termini di saldi la formazione di attività e passività finanziarie delle famiglie, delle imprese e degli Enti della Regione.
A questo punto è ovvia la conclusione che una collaborazione tra banche ed istituti di ricerca, nella stesura dei programmi regionali indispensabile; ma questa collaborazione è necessaria non tanto e non solo per una migliore formulazione delle previsioni - obiettivo di per sé assai importante - ma perché, se anche le previsioni fossero esatte, le realizzazioni possono mancare perché ognuno segue una strada sua divergente da quella dell'altro. Riprendo l'esempio dei 975 miliardi, che corrispondono a circa 200 miliardi l'anno. Avevo detto che questa cifra teoricamente è computabile con le possibilità del sistema; se però il sistema finanziario non viene coinvolto nel processo di pianificazione essa verrà tranquillamente dirottata verso altri tipi di impieghi, per esempio con l'acquisto di obbligazioni di grandi enti nazionali o, ancora verso il finanziamento della rendita fondiaria o indirizzata su impieghi esteri per finanziare, poniamo, una fabbrica di automobili all'estero; ma le banche hanno il diritto di sapere per tempo che, per effetto di determinate previsioni di investimento dell'operatore pubblico, sarà loro richiesto un certo sforzo di finanziamento. Anche per le banche esiste un problema di efficienza nella politica di liquidità e, in genere, nella politica degli impieghi: più cose si conoscono in anticipo, più elevata sarà questa efficienza. Non dimentichiamo che i piani non sono fatti solo dall'Ires e dalla Regione, ma anche dalle imprese, e che una concordanza è necessaria se l'Ente Pubblico non vuole trovarsi, per eccesso di presunzione, a programmare sulla carta. Questa verifica di conformità tra programmazione regionale e "planning" aziendale può essere grandemente facilitata da un collegamento più diretto, tra sistema creditizio e Regione.
Ma l'assetto regionale del credito può specificamente trovare valide ragioni per il credito speciale.
E' opportuno affrontare più particolarmente il discorso intorno a questo settore perché esso più di ogni altro, fornendo credito per gli investimenti, è legato agli sforzi di ammodernamento e di sviluppo perseguiti dalla Regione.
Considerazioni diverse si possono fare a seconda che oggetto del nostro esame sia il Credito agrario, il Credito fondiario, quello industriale o quello per opere pubbliche.
I canali di erogazione del credito agrario sono già oggi essenzialmente basati su istituti regionali: infatti, ove si eccettui il Meliorconsorzio la cui quota di mercato non è molto rilevante, il credito agrario è erogato da istituti speciali operanti a livello regionale. I collegamenti tra Istituti speciali di Credito Agrario e Regioni si stanno organizzando anche se in modi difformi da regione a regione, favoriti dalla carenza di provvedimenti legislativi statali per il rifinanziamento di alcune fondamentali forme di intervento agricolo. Essendo l'agricoltura compresa tra le materie assoggettate alla potestà regionale, mi pare che, in una prospettiva di breve periodo, un collegamento tra regioni e istituti o sezioni di credito agrario potrebbe essere basato su alcuni principi: determinazione da parte della Regione dei criteri, delle forme e dei limiti dell'intervento creditizio degli istituti di credito agrario, sulla base delle competenze della Regione.
fissazione dei tassi agevolati da parte della Regione, con possibilità di statuire in materia di garanzie, di concorso in conto interessi ed in conto capitale collegamenti, a livello degli organi amministrativi, tra Regione ed Istituti di credito speciali.
Per contro dovrebbero essere riservati allo Stato i provvedimenti in ordine alla istituzione di nuovi enti di credito agrario, alla loro competenza territoriale ed ai provvedimenti di risconto; analogamente dovrebbe restare all'Autorità monetaria la vigilanza sulla corretta gestione degli istituti di credito agrario.
Gli istituti di credito fondiario ed edilizio hanno anche essi attualmente, una struttura prevalentemente locale. Le erogazioni infatti riguardano per la maggior parte sezioni speciali di aziende di credito ad operatività prevalentemente regionali. Anche se norme specifiche estendono la possibilità di operare in zone del Mezzogiorno a tutti gli Istituti di credito fondiario, in realtà, la domanda di mutui negli ultimi 20 anni ha avuto origine soprattutto nelle zone di più intensa industrializzazione come Torino e Milano.
Il discorso dei collegamenti fra Regione ed Istituti di credito fondiario a mio avviso, eminentemente politico, in quanto il credito è il più potente strumento di sviluppo dell'edilizia ed in passato ha consentito l'esplosione di fenomeni di rendita e di esaltazione del costo della produzione edilizia.
E' fondamentale che l'Ente locale sia in grado di condizionare gli insediamenti residenziali non soltanto attraverso la pianificazione urbanistica ma ponendo ben precisi legami con l'organizzazione dei finanziamenti.
Se, per esempio, fosse stabilito che possono ricorrere al credito fondiario agevolato soltanto gli imprenditori che costruiscono in una certa zona o che salvaguardano determinate caratteristiche tipologiche o paesaggistiche gli Enti locali avrebbero in mano uno strumento ben più persuasivo e flessibile di quelli che la legge urbanistica e la legge sulla casa offrono oggi ai Comuni Anche in questo campo la futura organizzazione delle competenze regionali e statuali è tutta da definire e da pensare.
Se vogliamo non porre soltanto dei problemi di carattere congiunturale, ma dalla congiuntura abbiamo la capacità di creare qualcosa che rimanga, per il futuro, questo è il momento, tenendo conto che gli istituti di credito fondiario fanno un largo ricorso al mercato dei capitali e, pertanto esiste un'esigenza unitaria di gestione di politica creditizia a livello nazionale da tenere nel dovuto conto.
Basti pensare che il flusso delle obbligazioni emesse ogni anno da questi istituti si avvicina ormai ai 1.500 miliardi; una eccessiva compartimentazione derivante da un penetrante intervento della Regione in questo settore opererebbe in profondità sulla circolazione dei capitali.
Il collegamento andrebbe cercato perciò, non tanto dando vita ad interventi gestionali, quanto proponendo linee di raccordo tra erogazione del credito ed organizzazione del territorio.
C'è un ultimo campo sul quale vorrei intervenire come collegamento con la Regione: quello degli istituti di credito mobiliare, che, come è noto riguarda sia le imprese che gli Enti pubblici. In questo caso l'offerta bisogna dire, è assai più centralizzata perché i grandi istituti di medio credito sono tutti, come è noto, nazionali (Imi, Icipu, Crediop Mediocredito Centrale). Abbiamo però già, in questo caso, un'articolazione periferica che esisteva precedentemente alle Regioni della quale non si pu non tener conto, anche perché ha dato in certe Regioni, forse non tanto in Piemonte, un notevole risultato che è quello dei Mediocrediti Regionali.
Anche su questo credo dobbiamo porre l'accento.
Per contro nel settore delle opere pubbliche le sezioni autonome delle aziende di credito assicurano una discreta mole di finanziamenti.
In sostanza, la Regione, costituzionalmente, è chiamata ad esprimere una propria politica soltanto nei confronti del settore artigiano, anche se la tendenza è quella di impostare una politica industriale a salvaguardia delle minori imprese. Io credo che a questo impatto noi non sfuggiremo anche perché diventa difficile dividere la politica dell'impresa fra impresa artigiana e impresa piccola o piccolissima.
Il collegamento tra Regione e Istituti di Credito Industriale dovrebbe partire in questa considerazione.
Io ho voluto dare soltanto alcune informazioni e fare soprattutto alcune considerazioni che non sono tecniche, ma politiche.
Dalla problematica regionale quale emerge, in modo organico per certi aspetti, dal ponderoso programma della Giunta, non a caso mi pare ci sia una sproporzione: sulle 80 pagine ce n'é una dedicata ai problemi finanziari. Non ne faccio colpa al Presidente della Giunta, forse non ci sono ancora i termini esatti del problema e quindi la Giunta non poteva impegnarsi se non con un atto di coraggio, che però la Giunta deve avere.
Se noi ci mettiamo, in una situazione che presenta delle caratteristiche di così grande pericolosità come questa, ad amministrare giorno per giorno non traiamo dalle difficoltà del momento una utilità, che è quella di creare qualcosa di nuovo; prima il collega Sanlorenzo ci diceva delle cose che sembrano avveniristiche, che pure sono avvenute, in Emilia e in Toscana. L'accordo che hanno fatto l'Emilia con l'ENI e la Toscana con un ente a struttura mista, pone dei problemi di natura tecnica ma soprattutto di natura politica. Stiamo andando incontro ad un pragmatismo che proviene non a caso da due regioni che esprimono delle linee politiche significative, che noi abbiamo il dovere di cogliere. C'é stato sull'accordo ENI-Emilia e c'è in corso in Emilia, nelle forze politiche di sinistra, un dibattito approfondito, essendo quelle forze divise su questo problema. Però è certo che queste bozze di accordo, sia quella fatta in Emilia, sia quella fatta in Toscana, aprono delle strade nuove, cioè fanno uscire la Regione da quella veste così stretta che ha adesso, che è l'applicazione rigida di un articolo della Costituzione di 25 anni fa, ma dalla quale dobbiamo trovare linfa per andare avanti.
L'accordo ENI-Emilia o Italsiel-Toscana pongono in essere la rottura di un certo tipo di impostazione, così come gli argomenti dei quali volutamente ho parlato, anche per infrangere una sorta di segretezza che si nota sempre quando si parla dei rapporti tra credito e Regione e che non ha ragione di esistere; proprio per questo ne ho voluto parlare in modo analitico, specifico. Su queste cose dobbiamo discutere, perché nella misura in cui riusciremo (e lo potremo fare più noi qui che in Parlamento) a ottenere alcuni risultati, allora avremo anche il diritto di porre il problema della Regione come un problema preminente a livello nazionale. E' chiaro che se riusciremo a fare riforme che vadano al di là di quello che fa il Governo, che è per natura centralista perché difende dei centri di potere, ebbene, soltanto in questo caso riusciremo a percorrere strade nuove e a farci interpreti di realtà diverse.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare, ultimo oratore della mattinata, il Consigliere Franzi. Ne ha facoltà.



FRANZI Piero

Signor Presidente, signori Consiglieri, il documento di "proposta" presentato all'insediamento della nuova Giunta, nonché il programma di "lavoro" illustrato dal Presidente Oberto l'altro ieri, sono indubbiamente molto chiari, tuttavia, a mio avviso meritano alcune considerazioni chiarificatrici, tali da rendere meglio intelligibili le enunciazioni, e più chiari alcuni particolari che sono forse troppo schematicamente espressi. Non è tuttavia il caso di esprimere lunghe elucubrazioni quanto invece, più semplicemente, puntualizzare pensieri capaci forse di richiamare anche l'attenzione della Giunta sul come impostare certe iniziative per la soluzione di determinati problemi.
E' appena il caso di ribadire l'impegno comune di assumere il più sollecitamente possibile iniziative capaci di contenere il pericoloso flusso inflazionistico conseguente alla crisi energetica apertasi pochi mesi or sono e che già oggi si presenta in tutta la sua gravità. La riduzione dell'orario di lavoro alla Lancia e l'interruzione delle trattative per il contratto di lavoro alla Fiat ne sono l'evidente dimostrazione.
Se anche a livello regionale per le competenze che sono proprie della Regione vogliamo renderci partecipi dello sforzo che il Governo sta compiendo per difendere e rilanciare l'economia nazionale, è necessario lavorare con il più impegnato sincronismo, ed attraverso tempi i più brevi possibile.
E' indubbio che se si vuol trovare il modo di aumentare gli investimenti pubblici e privati è necessario assicurare elementi di reddito e di produttività più certi e continuativi nel tempo.
L'aleatorietà del tornaconto aziendale a livello di qualsiasi attività non è certamente di stimolo ad assumere nuove iniziative produttive, ma costituisce, almeno per i più pavidi, la bandiera per giustificare la propria rinuncia.
Certo, il momento economico che stiamo attraversando non è dei più facili. Tuttavia, la capacità e l'iniziativa tante volte dimostrata dai nostri imprenditori - produttori agricoli, artigiani, commercianti industriali - ci devono confortare. Ma questa loro capacità di adattamento alle mutate e mutabili condizioni operative non dev'essere di giustificazione per ulteriormente abbandonarli a se stessi, ma deve invece costituire la condizione di fondo per sorreggere lo sforzo comune attraverso un'azione armonicamente coordinata e programmata.
Le pressioni economiche e finanziarie che da più direzioni condizionano la nostra economia devono richiamare anche la nostra attenzione affinché le iniziative operative che sono state indicate si collochino in una visione di programmazione capace di eliminare ogni sorta di improvvisazione.
Ecco, quindi, evidenziarsi come esigenza principale quella di una realistica programmazione degli impegni e delle iniziative da assumere e portare avanti.
Il discorso sulla programmazione degli interventi, sia pubblici che privati, avvince da tempo politici ed economisti, tuttavia, dobbiamo sinceramente ammettere che in Italia, finora, si è programmato solo a parole e che le scelte operative sono state lasciate alla libera iniziativa, con tutte le gravi ripercussioni di mercato e di economia di cui siamo stati attoniti spettatori proprio nel corso del 1973.
E' vero che le prime statistiche relative agli indici di produzione di quest'ultimo anno sono abbastanza positive; ciononostante, non dobbiamo mai dimenticare che il saldo passivo della bilancia dei pagamenti, e quello alimentare in particolare, e la svalutazione della nostra moneta aumentano mese dopo mese. Sono condizioni esplose in quest'ultimo anno, ma le cui cause sono remote, e vanno ricercate anche nella mancanza di una strategia di sviluppo verificatasi negli anni Sessanta, periodo che ha visto altresì esaurirsi le iniziative spontanee. Questa è la realtà economica che anche gli Amministratori regionali devono affrontare e contribuire a risolvere onde evitare ulteriori recessioni produttive che automaticamente rimbalzerebbero sulle classi più deboli. Preoccupazione nostra dev'essere quella di stimolare quelle iniziative che possono assicurare il pieno impiego delle forze di lavoro a condizioni sempre più civili e progredite e di orientare gli investimenti pubblici (almeno quelli su cui possiamo influire) verso quei settori che presentano le carenze più gravi e che realmente possono migliorare le condizioni socio-economiche delle nostre popolazioni e dei nostri territori.
Ecco quindi l'esigenza di operare scelte prioritarie, sulle quali mantenere rigidi impegni, senza accettare compromessi e condizionamenti esterni.
Ed a questo riguardo non si può non apprezzare ed esprimere un giudizio altamente positivo per la scelta prioritaria rivolta all'agricoltura. E' indubbio che aiutare l'agricoltura significa aiutare lavoratori autonomi che, senza un preciso e contrattuale salario, lavorano certamente quanto i lavoratori extra-agricoli e guadagnano la metà. Non vuol essere, questa una frase ad effetto, ma solo rimarcare molto sinteticamente il rilevamento statistico dell'IRES per l'elaborazione del Piano economico 1971-1975.
Si accettano integralmente le proposte che sono state illustrate dal Presidente, tuttavia come azione qualificante per l'agricoltura indispensabile realizzare entro il più breve tempo possibile l'Ente di Sviluppo agricolo, quale "strumento" operativo della Regione e supporto della autonoma iniziativa dei singoli produttori.
Attraverso l'Ente di sviluppo agricolo, così come proposto dalla precedente Giunta e nella sostanziale impostazione accettato e fatto proprio dalla maggioranza della 6^ Commissione, si potrà realizzare l'auspicato incontro tra iniziativa pubblica e privata per la soluzione di quei grossi problemi, relativi alla commercializzazione dei prodotti agricoli, al riordino delle utenze irrigue, alla pianificazione zonale eccetera, che più volte sono stati indicati ma mai realizzati, proprio per mancanza di uno specifico organo operativo.
L'Ente di Sviluppo agricolo deve costituire il punto di convergenza delle varie iniziative operative, evitando però nel modo più assoluto che sia strumento di prevaricazione o limitazione delle libere ed autonome scelte imprenditoriali. Tale ente dev'essere altresì amministrato come maggioranza dai produttori agricoli e dai rappresentanti delle loro organizzazioni economiche e dovrà guidare l'agricoltura della nostra Regione facilitando la realizzazione dei presupposti che rientrano nelle competenze proprie della Regione e di quelli più generali che alla Regione derivano dalle direttive comunitarie e dalle deleghe del Governo.
Sono momenti operativi giuridicamente diversi, ove per le prime la Regione ha piena ed autonoma facoltà di scelta, mentre per le seconde la Regione deve attenersi alle indicazioni che le saranno prescritte tuttavia, sia per le une che per le altre la Regione deve poter esprimere la propria presenza operativa in modo concreto e fattivo, legando a sé la piena disponibilità dei produttori agricoli.
Esaminando il programma che la Giunta intende realizzare, vediamo che giustamente figura al primo posto il settore della zootecnia, che per la Regione piemontese rappresentava oltre il 50% della produzione lorda vendibile (per il 1962, 262 miliardi di lire su 480 miliardi, pari a circa il 55%). Ho detto "rappresentava" perché non abbiamo dati statistici più recenti di quelli del 1972. Sarebbe infatti molto interessante verificare se la consistenza del patrimonio zootecnico della Regione si è mantenuto anche nel 1973 sui valori del 1972. E' però sensazione diffusa che anche in Piemonte, ed in particolare in quelle zone ove più facilmente si è potuta effettuare la riconversione dalla foraggicoltura verso la cerealicoltura il patrimonio zootecnico abbia subito una grave falcidia.
Non credo, però, che la diminuzione del nostro patrimonio sia in percentuale pari a quella recentemente denunciata dal Ministro Ferrari Aggradi per l'intero patrimonio nazionale, cioè del 10% circa (diminuzione di circa 900.000 capi bovini dell'intera popolazione zootecnica). Certo anche da noi la zootecnia ha subito nel corso del 1973 una forte diminuzione.
L'anno 1973, per il settore zootecnico, è stato sicuramente tra i più negativi di quest'ultimo decennio, poiché i produttori, nel corso dell'intera annata agraria, sono stati sempre costretti a produrre in perdita. Solo all'inizio di quest'anno, almeno in alcune zone, il latte ha avuto una certa ripresa, ancora insufficiente però a coprire i costi di produzione.
Per le carni, invece, il mercato è ancora molto pesante, perch negativamente influenzato dalle manovre speculative dei pochi importatori e dalle notizie sempre più concrete degli ingenti quantitativi stoccati nei magazzini frigoriferi, che non vengono immessi sul mercato di consumo in attesa dell'aumento dei prezzi bloccati. La notizia comparsa su un quotidiano due giorni fa, secondo cui, in conseguenza del modificato sistema di liquidazione dei montanti compensativi, gli importatori avrebbero intenzione di chiedere la revisione dei prezzi ne è la più evidente dimostrazione. La notizia riportata questa mattina dal giornale "La Stampa" circa la dichiarazione in tal senso del Ministro Ferrari Aggradi ne è dimostrazione ulteriore. A questo riguardo sarebbe perci oltremodo opportuno che il Presidente della Giunta invitasse i servizi addetti all'alimentazione del Ministero dell'Agricoltura nonché i servizi del Ministero delle Finanze perché si faccia luce su queste voci di stoccaggio speculativo sulle carni, che, oltre ad appesantire i prezzi alla produzione, limitano l'offerta, con conseguente aumento dei prezzi al consumo.
E' un accertamento doveroso, che la Regione deve richiedere al Governo perché in un momento di difficoltà economiche come quelle che stiamo attraversando, per il cui superamento si è chiesto il sacrificio di tutti anche mediante il contenimento dei salari, sarebbe veramente mostruoso che pochi favoriti sfruttassero a loro personale vantaggio le difficoltà del momento che l'intera società cerca di superare.
Le cause della grave crisi zootecnica che stiamo attraversando sono a tutti note, perché più volte apertamente ed ufficialmente denunciate.
Tuttavia, spiace costatare che solo in queste ultime settimane il Governo abbia invitato il Ministero dell'Agricoltura a chiedere a Bruxelles, al Consiglio dei Ministri, l'abolizione dei montanti compensativi concessi agli esportatori C.E.E. verso l'Italia sui prodotti caseari e sulle carni (montanti compensativi che oscillano dalle 15 alle 35 lire per ogni litro di latte ed intorno al 15% per le carni). La notizia di questi ultimi giorni del rifiuto netto della Germania federale alla abolizione dei montanti compensativi non ci dà certo molto a sperare. Già il 9 agosto dello scorso anno, accompagnando dal Ministro dell'Agricoltura una delegazione di allevatori, avevamo denunciato questa distorsione di mercato a danno degli allevatori e senza nessun vantaggio per i consumatori.
Ebbene, solo ora, a distanza di cinque mesi, la nostra impostazione sollecitata dagli allevatori piemontesi, ha trovato riscontro anche nella iniziativa di governo.
Se non si modificano le condizioni che regolano i rapporti di mercato e di finanza tra l'Italia e gli altri Paesi comunitari, molto difficilmente riusciremo a risollevare le sorti della nostra zootecnia.
Penso che la Giunta farebbe opera positiva a sostenere l'iniziativa del Governo intesa ad ottenere un'ulteriore svalutazione del 6,50% della "lira verde" come soluzione finanziaria capace di avvicinare il valore della nostra moneta alla parità commerciale delle altre monete comunitarie. In tal modo si potrebbero eliminare quasi completamente i montanti compensativi conseguenti all'artificiosa maggior valutazione della nostra moneta, che non tiene conto del reale indice di svalutazione nei confronti delle altre monete europee.
Vi è poi l'impegno esterno che la Giunta dovrebbe esprimere nei confronti del Governo e del Parlamento per quanto riguarda il famoso e tanto sbandierato "piano carne", non solo per salvaguardare le competenze operative proprie della Regione ma soprattutto perché gli interventi giungano ai veri allevatori, evitando il paventato pericolo di veder dirottati i pochi mezzi disponibili verso i già prefigurati nuovi carrozzoni pubblici per l'allevamento dei vitelli. L'allevamento del bestiame è un fatto agricolo, e come tale deve restare all'agricoltura, per cui la Giunta deve energicamente opporsi ad ogni soluzione surrogatoria degli specifici compiti che competono all'azienda agricola. Per quanto riguarda le competenze della Regione, non vi è dubbio che gli interventi nel settore degli allevamenti (con la sola esclusione di quelli sanitari) sono stati totalmente trasferiti alle Regioni, per cui il Governo deve limitarsi ad esperire un'azione di coordinamento e controllare che le singole iniziative regionali non contrastino con gli interessi di altre Regioni. Ebbene, a fronte di tale condizione giuridica (riportata dal D.P.R. 15/1/'72 n. 11), la bozza del DDL del Governo, almeno per quanto ci è dato conoscere, relativa al famoso"piano carne", ignora completamente le Regioni, ed il programma degli interventi è impostato come se le Regioni cui, a sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione, competono gli interventi agricoli, neppure esistessero.
Si propone, anche in questa occasione e a distanza di pochi mesi eguale soluzione centralizzata come quella proposta con "la bozza di DDL per il recepimento in legge italiana delle direttive comunitarie nn. 159 160-161 del 1973".
La Giunta deve perciò intervenire energicamente perché alla Regione siano salvaguardati i compiti che le sono propri in conseguenza del dettato degli articoli 117-118 della Costituzione.
La Giunta deve ancora, a mio avviso, essere molto vigile circa le iniziative di interventi nel settore zootecnico, dell'ordine di 453 miliardi, proposte dall'EFIM. Pur senza voler esprimere a priori alcun giudizio decisamente negativo, non mi sento di essere completamente favorevole. Tutti sappiamo quanto siano delicati e sensibili i mercati, per cui un intervento pubblico, così massiccio nel settore della produzione agricola potrebbe causare gravi scompensi a tutto il settore imprenditoriale privato. Si è favorevoli ad ogni sorta di intervento pubblico soltanto quando manchi l'iniziativa privata, il che non si verifica nel settore zootecnico. I nostri allevatori sono pienamente disponibili ad assumere impegnate iniziative di produzione, chiedendo soltanto di essere sorretti in questo loro sforzo. Per cui l'intervento del capitale pubblico (qual è appunto la condizione dell'EFIM) assolutamente non deve prevaricare l'autonoma iniziativa degli allevatori privati, ma soltanto essere di integrazione agli interessi di questi. Se l'EFIM vuole operare in agricoltura, cerchi di realizzare valide forme di integrazione con i produttori agricoli e le loro associazioni, Solo così potremo essere sicuri che il capitale pubblico potrà veramente soddisfare la funzione di supporto all'iniziativa privata. Sarebbe perciò estremamente positivo che l' EFIM, quale strumento sostitutivo, prendesse il posto dei pochi importatori di bovini da allevamento e da carne, perché in tal modo veramente sarebbe possibile eliminare le forme speculative che oggi si devono dolorosamente denunciare.
E' appena il caso di precisare che anche in questo settore la Giunta deve rivendicare la propria funzione di controllo e di coordinamento affinché queste ed altre analoghe iniziative si collochino nell'ambito della programmazione regionale e che l'iniziativa stessa non venga poi sussidiata con altro denaro pubblico. Altrettanto importante è l'impegno programmato a favore della Cooperazione e dell'Associazionismo. Non vi è dubbio che tali sistemi in Piemonte costituiscono condizioni economiche tutte da scoprire.
Le iniziative cooperative nel settore della vitivinicoltura sorte nella zona del Monferrato non hanno certo dato risultati positivi, tuttavia, si è convinti che il miglioramento della nostra economia agricola deve necessariamente passare attraverso la cooperazione.
Non è oggi l'occasione di approfondire i temi sugli orientamenti che la cooperazione potrebbe assumere nell'ambito territoriale del Piemonte. Si considera però opportuno precisare che in via principale sarà necessario impegnare tutte le nostre forze nel settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli, poiché, come giustamente ha dichiarato qualche tempo fa il Sen. Rossi Doria, il settore agricolo "vincerà o perderà la sua battaglia, che il mondo economico gli pone, solo sul piano della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli". "Se questo non avvenisse, ogni altro sviluppo cooperativo perderebbe di significato, per l'ovvia ragione che la cooperazione pu progredire soltanto tra uomini liberi e capaci di difendere la propria autonomia di iniziativa".
Non credo sia necessario fare altre considerazioni, se non richiamare l'attenzione della Giunta sul fatto che nel programma di sviluppo della cooperazione l'iniziativa della base non deve restare proposta a se stante ma deve trovare consistente sostegno nell'organo pubblico. Il supporto pubblico dev'essere tuttavia evidentemente assicurato in modo molto consistente solo allorquando si realizza la componente partecipativa dei produttori attraverso una efficace disciplina contrattuale dei soci.
L'esperienza ci insegna che, mancando disciplina nei rapporti sociali, non vi sarebbe alcuna possibilità di mantenere funzionante la cooperativa, e il sostegno finanziario pubblico si tradurrebbe in un'inutile dispersione di mezzi. Circa poi gli impegni per assicurare il miglioramento delle condizioni di vita e di ambiente nelle campagne, il discorso da farsi sarebbe quanto mai ampio, essendo necessari interventi non solo nei confronti dell'azienda ma nel più vasto ambito di tutto il mondo rurale.
Migliori condizioni di vita e di ambiente non significano solo migliori attrezzature aziendali o più adeguati redditi, ma devono significare anche migliore viabilità, migliore dotazione energetica (in modo particolare energia elettrica), migliore assistenza sanitaria, migliore assistenza tecnica eccetera; tutti aspetti di vita che non riguardano soltanto i fattori della produzione ma interessano la globalità dei cittadini dei paesi rurali, delle frazioni e dei cascinali.
Circa la viabilità - e mi spiace che non ci sia l'amico Petrini - penso sia il caso di esporre, sia pur molto brevemente, alcune considerazioni sulla cosiddetta viabilità vicinale. La legislazione attuale, e per ultima la legge 12/2/'58 n. 126 per la disciplina delle strade ad uso pubblico, le classifica in strade nazionali, provinciali, comunali e vicinali. Questa classificazione pubblicizza dunque anche le strade minori, cioè quelle vicinali, comunemente conosciute come strade campestri e che servono per la circolazione agricola.
Per l'amministrazione di queste strade la legge rimette ogni incombenza all'iniziativa dei consorzi privati che devono costituirsi fra i proprietari di fondi frontisti o comunque usufruenti della strada. Tale condizione disattende completamente i caratteri pubblici conseguenti non solo alla classificazione ex-lege ma anche allo stato proprio del diritto d'uso che compete non solo ai proprietari interessati ma alla generalità dei cittadini.
Ebbene, proprio per questi caratteri pubblici, o meglio di uso pubblico, sarebbe opportuno che la Regione assumesse una specifica iniziativa intesa a migliorare la viabilità minore che in più parti del territorio piemontese presenta condizioni così arcaiche da non poter essere percorribili dai mezzi meccanici moderni. L'iniziativa potrebbe essere presa in collaborazione fra l'Assessore alla Viabilità e l'Assessore all'Agricoltura. Per quanto riguarda specificatamente il programma per la casa, considero oltremodo positiva la volontà della Giunta di sostenere una legge che preveda specifiche provvidenze per la casa del coltivatori considerando la casa di abitazione come diritto per la vita umana e non come è avvenuto sinora, struttura agraria produttiva, alla pari dei miglioramenti fondiari, come magazzini, silos, stalle eccetera.
Il programma di lavoro per quanto riguarda il turismo propone di affrontare le situazioni più fragili, limitando eccessivamente la visione degli interventi per verificare la possibilità di riequilibrare, anche a mezzo del turismo, economie zonali depresse, quali in particolare la montagna e la collina. Si chiede che la Giunta esamini la possibilità di proporre qualche soluzione valida, così come già avviene in molti Stati per incentivare anche da noi il turismo agricolo, allo scopo anche di favorire un più civile ed umano raccordo delle popolazioni urbane con la campagna e la gente dei campi. Di questa integrazione verrebbero certamente a beneficiare sia i cittadini dei centri urbani ed industrializzati sia il produttore agricolo, che troverebbe modo di collocare a condizioni più vantaggiose parte dei propri prodotti aziendali. E' un'indicazione che si propone alla Giunta per un più ampio e concreto esame.
Su quanto riguarda i problemi relativi all'ecologia, e più specificatamente al settore delle acque, si accetta l'impegno di proporre un piano generale per le acque per un più coordinato utilizzo a scopi potabili, agricoli e industriali. A tale riguardo si ricorda il lavoro già svolto dall'IRES, di cui alla pubblicazione edita nel settembre del 1973 dal titolo "L'irrigazione in Piemonte", che fotografa la situazione irrigua agricola della Regione. Tale documento rappresenta un valido documento di base per l'elaborazione di ulteriori ricerche e soprattutto per l'orientamento degli investimenti pubblici da effettuarsi nel settore.
Particolare considerazione va riservata alla possibilità di aumentare le disponibilità idriche per il soddisfacimento dei sempre maggiori bisogni umani, agricoli ed industriali.
E' pure il caso di richiamare la vigilante attenzione della Giunta affinché le disponibilità idriche, dopo aver soddisfatto i bisogni umani siano destinate all'irrigazione agricola, quale base della natura connaturato al suolo ed alle colture agricole. Solo dopo aver completamente soddisfatto le esigenze umane ed agricole, le eventuali eccedenze potranno essere destinate all'industria.
Come ancora si richiama la vigilante attenzione della Giunta per evitare i conflitti che da tempo si verificano e che si debbono affrontare fra settore agricolo e settore industriale. E' il caso dell'ENEL, che ogni anno, per alimentare gli invasi alpini per la produzione di energia elettrica, proprio nei periodi più siccitosi, di primavera ed estate trattiene le acque defluenti dai nevai e dai ghiacciai, contravvenendo anche ai disciplinari di utenza ed alle norme di legge sull'utilizzazione delle acque pubbliche; ed è anche il caso della utilizzazione delle acque sotterranee nel territorio di Crescentino, ove da alcuni anni è insorto un grave conflitto tra l'Acquedotto del Monferrato e la FIAT.
Sono esempi, certo i più macroscopici, che evidenziano quanto importante e necessaria sia la presenza della Regione per intervenire come organo normativo per la salvaguardia degli interessi prioritari, che sono quelli dell'uomo e dell'agricoltura.
Si ricorda che per l'accertamento delle disponibilità e dei fabbisogni di acque, la Giunta uscente, almeno per il settore agricolo, aveva già predisposto la costituzione di una apposita commissione di studio il cui decreto di insediamento non è stato firmato solo per la sopraggiunta crisi.
Compito della Commissione era quello di accertare i fabbisogni di acque per soddisfare i bisogni dell'agricoltura e quali iniziative si sarebbero dovute realizzare per darne completa soluzione. Si è convinti che una delle esigenze primarie è quella di promuovere la costruzione di invasi alpini che, oltre a soddisfare i maggiori bisogni di acque, servirebbero come strutture idrauliche per il contenimento delle piene, favorendo la laminazione dell'onda di caduta a valle aumentando i tempi di corrivazione.
Sono proposte che sicuramente la Giunta vorrà fare proprie nel più ampio interesse di equilibrio e di difesa del territorio. Parlando di agricoltura e di iniziative valide a migliorare il settore non si può certo dimenticare di richiamare l'attenzione della Giunta ad incentivare l'istruzione professionale e l'assistenza tecnica.
E' appena il caso di ricordare che tali iniziative, seppur diverse nella sostanza giuridica, sono però strettamente interdipendenti e connesse nella realtà pratica.
L'istruttore tecnico deve lavorare in stretta collaborazione con l'assistente, per evitare di fare discorsi diversi ed essere a volte più di danno che di vantaggio. Come è necessaria una valorizzazione sul piano della preparazione tecnica mediante costanti aggiornamenti, così da essere veramente specializzati. Il tecnico che "sa un po' di tutto" non sarà mai né un bravo istruttore né un bravo assistente.
Già quest'anno la Giunta uscente ha assunto una specifica iniziativa in collaborazione con l'Università, Facoltà di Agraria, per l'aggiornamento tecnico degli istruttori e degli assistenti. Bisogna continuare su questa strada, perché solo così potremo avere tecnici in grado di guidare e formare imprenditori agricoli capaci di recepire le più avanzate tecniche colturali e produttive. Da ultimo, desidero svolgere rapidamente qualche considerazione sulla pianificazione zonale per il dimensionamento ottimale delle aziende capaci di recepire gli orientamenti strutturali delle direttive C.E.E. che nel corso del 1974 saranno introdotte nella legislazione italiana.
E' noto che la finalità principale di queste direttive è quella di far conseguire ai produttori agricoli redditi di lavoro pari a quelli percepiti dai lavoratori extra-agricoli.
Per rendere concreto questo principio è indubbio che devono essere assicurati agli imprenditori strumenti operativi capaci di assicurare più elevati indici di produttività e di reddito.
Negli anni Sessanta gli strumenti di lievitazione dei redditi agricoli si sono ottenuti attraverso la politica dei prezzi e attraverso le leggi sui miglioramenti fondiari (Piano verde, n. 1 e n. 2); soluzioni che hanno dimostrato la loro validità, ma risultate ancora insufficienti a garantire un costante incremento di reddito, capace di assorbire il costante aumento dei costi di produzione.
Il Piano Agricoltura '80, fermo restando l'impegno per la difesa dei prezzi, ci propone nuove soluzioni, capaci, almeno a livello di proposizione, di assicurare una maggiore difesa del reddito agricolo. Tale soluzione si dovrebbe realizzare attraverso più moderne ed adeguate strutture agricole. La passata Giunta ha chiesto all'IRES la formulazione di proposte capaci di orientare gli interventi pubblici allo scopo di realizzare tali premesse. Si tratta infatti di conoscere quali e quante sono le zone omogenee dal lato agronomico, così da poter individuare, in determinate condizioni produttive, la superficie agraria coltivabile capace di assicurare il reddito di lavoro comparato a quello dei settori extra agricoli.
Solo sulla scorta di questa premessa si potranno elaborare i piani zonali di sviluppo agricolo. Senza conoscere a fondo le condizioni agronomiche e climatiche delle singole zone, ben difficilmente si potranno offrire validi orientamenti.
E' stato più volte dichiarato e sostenuto che l'agricoltura dev'essere realizzata a dimensione di uomo. Ebbene, solo attraverso una precisa analisi delle condizioni operative in cui si deve vivere e operare, si potranno realizzare le condizioni da tutti proposte ed auspicate. Non credo sia il caso di formulare altre considerazioni su questo argomento.
Ma l'ottimalità dell'azienda, sia sotto il profilo della superficie che sotto quello della redditività, non può essere estraniata dalla componente umana che alla stessa azienda deve sovrintendere.
Chi conosce la direttiva comunitaria dell' aprile 1972, la n. 159 ricorderà che la principale caratteristica che si richiede per l'ottenimento dei benefici pubblici e che l'imprenditore eserciti la propria attività a titolo prevalente e tragga da essa il maggior reddito.
Questa norma, come già ricordato, sarà entro quest'anno recepita in legge italiana, per cui è indispensabile che anche a livello regionale cui competono interventi agricoli si assuma uno specifico impegno di convogliare le disponibilità finanziarie pubbliche solo verso le aziende organizzate in impresa di persone, siano esse individuali che associate. In altre parole, si chiede che la Giunta risponda in modo preciso in che modo intende attuare il principio del nostro Statuto di "...favorire l'impresa singola ed associata" (art. 4) ed in che modo intenda dare risposta alle pressanti richieste e premure che provengono dai produttori agricoli, in particolare i giovani, che chiedono una specifica qualificazione giuridica del loro stato professionale, adeguata alle mutate condizioni imprenditoriali.
Le condizioni di diritto previste dal Codice Civile del 1942 e dalla legge del primo periodo del nostro Stato repubblicano devono essere modificate in rapporto ai nuovi parametri produttivi. Oggi il nostro imprenditore che produce per il mercato e non più per la famiglia deve poter mantenere il ritmo concorrenziale che i rapporti comunitari impongono, ma per realizzare tale condizione è indispensabile modificare non solo le strutture produttive ma anche lo stato giuridico di chi vi attende.
La richiesta ufficiale è quella dell'Albo professionale, e non si considera perciò sufficiente la dizione della Giunta: "Destinare con opportune garanzie" i mezzi disponibili per assicurare la qualificazione giuridica rivendicata dai nostri produttori.
Chiediamo che la Giunta ci dia in tal senso più precise garanzie assumendo già sin d'ora l'impegno di realizzare "....le opportune garanzie" cui ha fatto riferimento il Presidente mediante l'istituzione dell'Albo professionale agricolo. Non vediamo perché ci si debba rifiutare di concedere questo riconoscimento quando già da tempo analogo provvedimento è stato assunto con legge nazionale per altri settori di lavoratori autonomi.
Il Presidente, nella sua particolareggiata esposizione, nell'indicare le esigenze degli interventi zonali, ha giustamente precisato che "la montagna deve guadagnare il tempo perduto, poiché la montagna non è solo dei montanari". Concetto ed impegno dell'uomo che ama la montagna ed i montanari. Ma solo la montagna deve guadagnare il tempo perduto? Solo la montagna è di tutti? E la collina, non costituisce forse "zona" da rilanciare sul piano economico e sul piano sociale? A questo riguardo considero necessario che la Giunta ci assicuri che anche per i territori e le popolazioni collinari saranno assunte precise iniziative per evitare l'ulteriore degradazione economica, umana ed ambientale.
Signor Presidente, non credo sia possibile concludere queste mie considerazioni sul settore agricolo senza aver richiamato la vigile attenzione della Giunta in favore di tutto il settore in considerazione delle difficili condizioni che purtroppo si vanno profilando. I continui aumenti dei costi di produzione e la mancanza di prodotti e beni di servizio creano non poche preoccupazioni, che devono essere attentamente affrontate. La maggior attenzione va rivolta senz'altro al settore dei carburanti e dei concimi, che scarseggiano in modo grave. Senza concimi e senza carburante non si può certo produrre, quando invece tanto urgente ed indispensabile è realizzare condizioni per poter aumentare le produzioni di beni agricoli. E' necessario perciò intervenire subito, e con il massimo peso, presso il Governo affinché sia assicurato il carburante necessario per le normali lavorazioni colturali (per il Piemonte sono necessari grosso modo, 1.200 000 quintali); come pure è urgente insistere perch siano assicurati i concimi anche se aumentati dell'ordine del 100% ed in alcuni casi del 150%. Non possiamo disinteressarci di problemi di così pressante gravità per tutta l'economia nazionale. E per concorrere a realizzare tali condizioni di possibilità produttiva, nonché per favorire l'aumento dei redditi agricoli è altresì necessario richiedere al Governo l'adeguamento dei prezzi dei prodotti agricoli alle mutate condizioni di costi. Non possiamo accettare l'aumento dei mangimi dell'ordine del 100 120% quando i bovini mantengono gli stessi prezzi del gennaio 1973 senza intervenire a riequilibrare i prezzi agricoli anche attraverso una adeguata azione a livello comunitario. E' dovere nostro intervenire nelle opportune sedi, perché i produttori hanno diritto di avere redditi certi per sé e per le proprie famiglie. Nel corso del dibattito alcuni colleghi hanno auspicato il superamento delle norme che regolano il credito agrario, in modo particolare per quanto attiene alle garanzie reali. Conoscendo tali normative, credo sia difficile pensare di ottenere maggiori affidamenti solo in funzione della capacità e serietà imprenditoriale del richiedente per cui si rende necessaria la ricerca di altre soluzioni. A titolo personale, credo che sia il soddisfacimento di tale istanza mediante interventi fideiussori della Regione ad integrazione delle garanzie sussidiarie già assicurate dal fondo interbancario di garanzia.
Signor Presidente, so di avere abusato, tuttavia, i problemi agricoli e rurali in genere sono tanti che si potrebbe continuare ancora per altrettanto tempo a disquisirne. Concludo dichiarando il mio apprezzamento per l'impegno della Giunta a realizzare parte almeno di quanto atteso dai nostri produttori e formulando agli amici della Giunta un sincero augurio di buon lavoro, in modo particolare al collega Chiabrando, che mi ha sostituito sulla sedia esplosiva dell'Assessorato all'Agricoltura.



PRESIDENTE

La seduta è aggiornata alle ore 15. Il primo intervento del pomeriggio sarà quello del Consigliere Curci.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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